I latitanti

Page 1



I latitanti

Interno Latitanti.indd 1

8-02-2008 16:02:45


Interno Latitanti.indd 2

8-02-2008 16:02:45


I latitanti

Aveva dimenticato di essere un rastrellatore, così come il giovane Aurelio e sua madre avevano dimenticato di essere vittime potenziali. I due si alzarono per uscire, infilarono i guanti e ripresero i fucili. Ci furono auguri reciproci di buona fortuna. Il soldato più anziano strinse la mano alla piccola donna, alla «gentile signora», come lui la chiamò, e anche l’altro si lasciò andare, dicendo: «Di buona fortuna abbiamo bisogno tutti, noi e voi». Quando la porta si fu richiusa, Aurelio e sua madre si accostarono alla finestra, aprirono una feritoia nei vetri rigati dal gelo e rimasero a guardare i due soldati che si allontanavano sotto la neve, con passo pesante, il fucile appeso alla spalla e con la canna rivolta verso il basso perché la neve non vi entrasse. Non si mossero prima di averli visti scomparire dietro l’angolo della casa vicina. Solo allora si presero le mani e se le tennero strette a lungo, in silenzio. I documenti che avrebbero potuto essere fatali erano abbandonati sul ripiano della dispensa: dimenticati, inoffensivi. La piccola donna dai capelli grigi e dallo scialletto azzurro aveva gli occhi pieni di lacrime. Il giovane Aurelio sapeva che sua madre, durante quella breve assenza, prima di prendere lo scialletto e la spillina d’argento, aveva avvertito le altre persone della famiglia. «Non muovetevi, non fatevi vedere in cucina» aveva detto a tutti, e in particolare a Remigio, l’altro figlio. «Ci sono visite» aveva detto. E tutti avevano capito di quale visita potesse trattarsi. Quel rastrellamento di dicembre non rimase però senza conseguenze per la gente di Borgo V. Nella stessa mattinata ci furono visite in tutte le case, in tutte le stalle, e a soffrirne furono diverse famiglie, tra cui quella di Stevìn. Anche Stevìn si era lasciato illudere dalla neve e dalla calma generale, e anche nella sua casa i soldati erano entrati silenziosamente, all’improvviso. Il padre di Stevìn, dopo aver tentato di mettere alla porta i visitatori, era stato sopraffatto e rinchiuso nella latrina. Il ragazzo, ancora addormentato nel suo letto si era sentito svegliare dalla punta di un fucile che gli frugava la schiena. Alla fine padre e 88

Interno Latitanti.indd 88

8-02-2008 16:03:09


I latitanti

figlio erano stati portati via insieme a una vacca che i soldati avevano ritenuto di dover requisire come premio alle loro fatiche. Il padre di Stevìn fece ritorno a casa pochi giorni dopo; il ragazzo non diede notizie di sé per diversi mesi e ricomparve solo quando la guerra era finita e ormai si disperava di rivederlo; la vacca, naturalmente, non fu più trovata. «Con i latitanti» diceva alla fine della guerra il giovane Aurelio «la fortuna è capricciosa. Può essere prodiga o avara, benevola o perfida, può aiutare o condannare secondo il momento, secondo l’umore, senza che se ne veda la ragione. Basta un gesto, una parola, un respiro, per far pendere la bilancia, da una parte o dall’altra. Così, col tempo, il latitante diventa fatalista, né può essere diversamente quando un’inezia ha un potere decisivo, quando un cespuglio, un muretto, un po’ di neve, un soffio di vento segnano il confine tra libertà e prigionia, talvolta tra la vita e la morte. Una dose di fatalismo è provvidenziale perché allenta una tensione che altrimenti sarebbe insopportabile e porterebbe alla disperazione o alla resa, ma una dose eccessiva è pericolosa perché induce a uno stato di inerzia che soffoca quella mobilità, quella capacità di reazione in cui il latitante ha uno dei suoi strumenti di sopravvivenza. Il fatalismo è anch’esso una tentazione, una delle molte dalle quali il latitante deve guardarsi, è anch’esso qualcosa di troppo umano per un semiuomo o un non-uomo. «Nessun animale, che io sappia, è fatalista, né il timido scoiattolo né il fulmineo furetto, e nemmeno il gufo saggio e pacato. Il latitante deve imparare la lezione degli animali e accantonare quella degli uomini, anche dei più sapienti. Negli animali, credo, c’è una naturale accettazione del destino, ma anche una naturale inclinazione a difendersi fino all’ultimo prima che il destino si compia. La fortuna, poi, è arbitra per gli animali come per i latitanti.» Tra i latitanti che Aurelio aveva conosciuto durante la guerra c’era un beniamino della fortuna. Si chiamava Fabrizio, ma a Borgo V. tutti lo conoscevano come “la Faina”, ed era un esemplare unico, perché sfuggiva a ogni classificazione così 89

Interno Latitanti.indd 89

8-02-2008 16:03:10


I latitanti

come sgattaiolava da ogni trappola. Proprio perché la fortuna sembrava proteggerlo con una strepitosa parzialità, si poteva additarlo e ammirarlo ma non imitarlo, e l’ammirazione era poi condizionata e diffidente. La Faina non si considerava un latitante qualunque ma un «triplo latitante», come lui stesso si definì un giorno nel raccontare spavaldamente al giovane Aurelio il suo stato di servizio. Ricercato dalla giustizia militare come disertore e da quella ordinaria per certi trascorsi legati a uno scarso rispetto per la proprietà altrui, in tempo di guerra si dedicava ad affari che avevano a che vedere con il commercio illecito di derrate soggette al razionamento, ossia con il mercato nero. Nonostante questo passato e il presente lo esponessero a sanzioni di tre ordini e sempre temibili, anche se una sola lo avesse colpito, riusciva non solo a sopravvivere senza doversi nascondere ma addirittura a vivere in una relativa agiatezza e in uno stato di gioiosa, intangibile serenità. A suo modo, secondo Aurelio, la Faina era l’innocenza fatta persona. Poteva aver trasgredito e continuava a trasgredire, ma il dono della destrezza e la vocazione dell’illegalità gli conferivano una sorta di candore, lo rendevano irresistibile e persino irreprensibile. Era munito di documenti che gli attribuivano stravaganti identità e di certificati che gli assegnavano svariate malattie, ma probabilmente nessuna di queste carte gli sarebbe valsa l’impunità se la Faina non avesse posseduto un naturale talento di attore e un istinto che gli faceva scoprire il bandolo per districarsi indenne dalle più ingarbugliate matasse. Più che un latitante, dunque, era un funambolo; o forse, piuttosto, la latitanza era il suo stato naturale, la sua condizione permanente, in pace e in guerra, la necessaria conseguenza della sua propensione a sfidare tutti i codici. Ogni avventuriero, secondo il giovane Aurelio, era in un certo senso un latitante perpetuo e la Faina aveva alcuni dei tratti fisici che caratterizzano l’immagine tradizionale dell’avventuriero. Gradevole all’aspetto e nei modi, non privo di una certa istruzione e di qualche eleganza, sorridente, insinuante, aveva un corpo lungo 90

Interno Latitanti.indd 90

8-02-2008 16:03:10


I latitanti

e sottile, un profilo tagliente, l’occhio vivo e piccoli baffi bruni di cui aveva molta cura. «Baffi da faina» disse ad Aurelio strizzando l’occhio. «Il nome scientifico è Martes foina. Un piccolo predatore, dicono gli zoologi che vorrebbero applicare la morale alle cose della natura. Con un fiuto molto sviluppato che lo aiuta a scovare il cibo e a schivare i pericoli. Non è proprio quello che occorre in tempi di fame e di guerra? Martes foina. Tu che hai studiato, dovresti spiegarmi che parentela c’è tra il dio Marte e la faina.» Aurelio non lo sapeva, né riusciva a immaginare una qualche parentela. Sapeva però che Fabrizio, come la faina, era un solitario, restìo ad associarsi ad altri sia nei suoi commerci sia durante i rastrellamenti. Un paio di volte era finito nelle mani dei rastrellatori, ma poi, due o tre giorni dopo, aveva fatto ritorno a Borgo V., sorridente come sempre. Qualcuno lo evitava temendo che fosse una spia e che la sua apparente impunità nascondesse qualche accordo segreto, ma questo sospetto non trovò mai una vera giustificazione. Anzi, avvenne una volta che la Faina, inaspettatamente, mettesse la sua astuzia al servizio degli altri portando fuori strada una pattuglia che stava per sorprendere tre latitanti nel loro nascondiglio domiciliare. Anche Aurelio, nonostante la sua avversione per i nascondigli domiciliari, non aveva potuto trascurare di predisporne un paio per i casi di massima urgenza, quando le circostanze avessero impedito di allontanarsi per tempo dalla casa. Il primo di questi nascondigli, in un angolo del solaio, riparato da vecchi mobili e attrezzi, consentiva l’accesso al tetto e, per questa via, un estremo tentativo di fuga. Il secondo era uno spazio semipiramidale, in fondo a un corridoio del pianterreno, all’interno di un sottoscala usato per riporvi fascine e legna da ardere. Vi si accedeva strisciando attraverso un piccolo pertugio e poteva diventare una trappola senza alcuna via d’uscita. In compenso il pertugio poteva essere ben mascherato con le fascine, e lo spazio interno si annunciava così angusto e disagevole che difficilmente un estraneo vi avrebbe immaginato una presenza che non fosse quella di una famiglia di topi. 91

Interno Latitanti.indd 91

8-02-2008 16:03:10


I latitanti

In questa seconda tana Aurelio e Remigio, suo fratello, si rifugiarono una sola volta, precipitosamente, in una delle ultime settimane dell’ultimo inverno di guerra. E lì, al buio, l’uno addosso all’altro, in un’aria quasi irrespirabile per l’odore e la polvere del legno, dopo aver ricomposto in fretta lo schermo di fascine, furono gli invisibili testimoni di una conversazione che non avrebbero più dimenticato: la conversazione tra due rastrellatori che si erano appartati in fondo al corridoio con intenti ben diversi da quelli che abitualmente li spingevano a rovistare nelle case. I due dovevano trovarsi proprio a ridosso del sottoscala. Il tono delle voci, guardingo e talvolta affannoso, lasciava intendere che non volevano essere ascoltati. La loro conversazione durò pochi minuti, pochissimi, ma ebbe l’effetto di una rivelazione. «Quante razioni hai messo da parte?» «Una trentina e tu?» «Quindici, credo. Potranno bastare?» «Dovranno bastare. E poi, bastino o no, non c’è più tempo da perdere. Stasera dobbiamo andarcene, o faremo una brutta fine.» «Vedo che non hai cambiato parere.» «A questo punto c’è poco da scegliere. Che cosa ci aspetta, se non ci decidiamo? Nel migliore dei casi una lunga prigionia.» «E nel peggiore?» «Te l’ho già detto. Puoi immaginarlo, no? Finché credevamo di essere noi i vincitori abbiamo fatto tutto quello che i vincitori, i veri vincitori, potranno fare a noi domani. È inutile parlarne, adesso. O non hai più voglia di scappare con me? Ti sei pentito? Hai qualche dubbio?» «Non è questo, no. È che d’ora in poi dovremo contare soltanto su noi stessi.» «Già. Non ci sei abituato, e questo ti spaventa, vero? Finora c’era qualcuno che provvedeva a tutto: mangiare, bere, dormire, marciare, sparare... Avanti! Alt! Indietro! Ordini precisi, direzione di marcia... All’attacco! Al cimitero!...» 92

Interno Latitanti.indd 92

8-02-2008 16:03:11


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.