Ludwig

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Sono passati molti anni da quando ho visto Ludwig per l’ultima volta. Già allora era vecchio, e la cosa non si poteva nascondere, a onor del vero non ci provava nemmeno, e malgrado questo – o, a dir meglio, proprio per questo – a un certo punto ho provato una gioia maligna che non ho cercato nemmeno di soffocare, anche se in quel momento Ludwig mi girava la schiena e non poteva leggere nulla di quanto era impresso sul mio viso. Gli sta bene, ricordo di aver pensato, è giusto che sia vecchio come una suola consunta, come un uovo marcio, come un ciottolo levigato in un torrente di montagna. Una volta una donna, una geologa, mi mostrò dei sassi di misure diverse e mi indicò la loro età approssimativa e il tempo necessario perché l’acqua, l’aria e il vento li foggiassero nelle forme che tenevamo in mano. Con questo non intendo dire che Ludwig apparisse proprio così vecchio, voglio solo sottolineare ciò di cui molti non si accorgono, ossia che io sono, in realtà, più vecchio di Ludwig, in altre parole, che lui è più giovane di me, di ben due anni e due o tre mesi, non ricordo mai la sua precisa data di nascita, ma è innegabile che lui sia venuto al mondo dopo di me, e quindi, se le cose non procederanno per il verso contrario, da qui se ne andrà dopo di me. Mentre scrivo queste righe mi sgranchisco le spalle, così che devo tener ferma la carta con il gomito. Ho letto chissà dove che stiracchiarsi, come sbadigliare, può essere un segno di eccitazione, anche se per la maggior parte della gente indica esattamente il contrario, cioè stanchezza e noia, quindi il desiderio di andare a dormire, cosa che per me, almeno in questo momento, non è affatto vera. In questo momento nulla è tanto lon7


tano da me quanto il pensiero di andare a dormire; mai il letto mi è sembrato così poco attraente, odioso, addirittura repellente, soprattutto se penso alle lenzuola sgualcite, abilmente nascoste sotto il copriletto ben teso; l’unico mio pensiero è Ludwig, e l’unica cosa che mi riempie di pace è l’idea che sembri più anziano di me, sia per i tratti del viso sia per il portamento, per non parlare dei vestiti. In breve, mi stiracchio per l’eccitazione, fra un po’ comincerò a sbadigliare per mancanza d’aria, per il senso di soffocamento provocato, in realtà, dall’emozione, dalla gioia di aver finalmente detto ciò che in tutti questi anni mi ha tormentato, al punto che mi sentivo come la principessa sul pisello: per quanti materassi si frapponessero fra me e ciò che forzatamente tacevo, una dozzina o due volte tanto, continuavo a provare fastidio, e di notte non facevo che rigirarmi, gemere e contorcermi come un verme, nel vano sforzo di sfuggire a quelle parole inghiottite, nella continua paura che prima o poi sarebbero marcite, da qualche parte dentro di me, in profondità, e che avrei camminato sempre in compagnia del fetore che si sarebbe innalzato fino al cielo, e oltre. Come oltre? Dove oltre? Esiste forse un luogo oltre il cielo?, già si odono le domande assordanti di coloro che non mancano mai di farsi sentire quando la mia voce risuona alla radio o alla televisione, quindi ogni volta che la voce non è più la mia, ma soltanto una modificazione della mia vera voce, e quelli allora urlano e intavolano discussioni ricorrendo ai più svariati argomenti, ripetuti talmente tante volte da non trasmettere più alcun significato, ma è sempre così, si fanno sentire sempre quelli che dovrebbero tacere, mentre tacciono quelli le cui parole ci sarebbero utili, nonostante ve ne siano poche, di parole e di persone utili – le persone ancor meno delle parole –, in ogni caso ce ne sono. Se adesso mi fermassi un momento a riflettere, sicuramente di qualcuno mi ricorderei, forse anche di più d’uno, e tutti sarebbero muti, assolutamente muti, e i loro occhi spalancati, come si spalancano quando giungiamo infine a una constatazione cui non eravamo mai arrivati prima, ma ce ne sono poche, di constatazioni e di persone del Ludwig


genere, così che, nel complesso, la maggior parte di loro urla, agita le mani e mi affibbia epiteti vari e non nasconde che sarebbe felice solo quando tacerò per sempre. In altre parole, quando me ne andrò là dove la lingua non significa più nulla, dove dominano il silenzio e il buio. Non ha mai smesso di stupirmi la capacità degli esseri umani di odiare. Mi stupiscono gli altri quando odiano me, ma mi stupisce anche l’odio che cova dentro di me, quando sono io che odio gli altri. Odiare è una cosa sterile, diceva Ludwig, e su questo sono d’accordo, perfino quando sento di odiarlo per il semplice fatto che l’ha detto lui. Non so come ci arrivi, da dove prenda tutte quelle frasi che trovano posto di solito nei diari un po’ sconci di leziose ginnasiali, così come nelle pompose agende di funzionari di istituti finanziari. E anche sugli autobus urbani, di cui mi devo servire perché, a differenza di Ludwig, io non guido la macchina, non l’ho mai guidata e non ho alcuna intenzione di guidarla in futuro, anche su quegli autobus, dicevo, sento talvolta che nominano Ludwig e addirittura citano frasi sue, non solo sull’odio, ma anche su altre questioni, comprese la guerra e la pace, la pesca e il costo del prezzemolo al mercato principale della città. È sufficiente perché mi venga la nausea, cosa che è accaduta, e non una volta sola. Varie volte, infatti, ho sentito ondate di nausea quando si faceva il nome di Ludwig in frangenti particolarmente delicati, anche se a ogni occasione sono riuscito a trattenermi e ad allontanarmi con abilità dal luogo pubblico dove mi trovavo, per precipitarmi alla toilette a vomitare in santa pace, tenendo presente che solo in minima parte si trattava di normali conati, piuttosto si potevano definire squarciamenti delle budella, tali erano gli sforzi e gli spasimi interni, tanto che ero davvero convinto che il mio ventre si sarebbe rivoltato come un guanto o una canottiera, e poi, quando tutto era finito – per fortuna non durava mai troppo a lungo – tornavo in quello stesso luogo pubblico come se nulla fosse accaduto, solo che avevo gli occhi leggermente iniettati di sangue. In una circostanza la cosa si ripeté addirittura tre volte: non appena mi rimettevo e tornavo in 8

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compagnia, come se nulla fosse accaduto, ero costretto, dato che qualcuno aveva insensatamente citato di nuovo certe parole di Ludwig, a sgattaiolare con cautela verso la porta e poi, senza esitare, affrettarmi alla toilette. La tazza del gabinetto è la misura massima della solitudine che può cogliere all’improvviso una persona. Non c’è nulla di più solitario e doloroso del chinarsi sulla tazza del water e confrontarsi con la placida superficie dell’acqua sul fondo, soprattutto quando per la terza volta in breve tempo lo stomaco si sforza di espellere qualcosa, pur non avendo più niente dentro. Questo è ciò che fa Ludwig: se non può prendervi niente, vi prenderà quel niente, semplice. E di nuovo mi viene in mente che qualcuno, in base a queste mie parole, potrebbe pensare che abbia qualcosa contro Ludwig, anche se la verità è del tutto diversa e io non sono mai stato fra coloro che hanno avuto da ridire su di lui. Certo, non ho mai insistito perché Ludwig arraffasse tutte le lodi, quello lo ha fatto lui stesso, aggiungendo che la nostra letteratura, la nostra arte, anzi, tutto il nostro spirito, non sarebbero stati ciò che erano se non ci fosse stato lui. Era stato lui da solo, diceva Ludwig, in uno sforzo immane, a cambiare il corso e il ritmo del nostro spirito, così come da solo, in uno sforzo non meno immane, aveva spinto la nostra prosa fuori dalle secche del conformismo e del torpido provincialismo, per condurla sulla strada che sfocia nell’alveo della letteratura europea. Ludwig può dire quel che gli pare, il punto è che io mi sono trovato su quella strada prima di lui, e questo lui non l’ha mai ammesso, anche se sapeva ciò che aveva fatto, ossia, sapeva che mi aveva investito come un rullo compressore lanciato a folle velocità, trasformandomi in una chiazza, in una cicca spiaccicata su quella stessa strada, e per di più senza girarsi indietro a vedere com’ero ridotto. E io ero ridotto a un niente, proprio come chiunque sia stato investito da un rullo compressore, non ci sono molte alternative, non ero la foglia pressata di un erbario, neppure la carta stagnola colorata che un tempo, da bambini, lisciavamo attentamente con la punta delle unghie e conservavamo in una scaLudwig


tola di scarpe. Ludwig in seguito ha detto che non mi aveva visto. Non importa a chi l’ha detto, non importa da chi l’ho sentito, ma la dichiarazione stessa mi fa morire dal ridere. Su quella strada non c’era nessuno tranne me, l’unica cosa che su quella strada si poteva vedere ero io, in altre parole, su quella strada esisteva un solo modo di investirmi: farlo appositamente. È vero, io quella strada la percorrevo ancora di nascosto, per lo più la sera tardi o di notte, e anche di giorno scivolavo nell’ombra, ma non si può certo dire che fossi invisibile. Anzi, ero talmente visibile che certe persone – non occorre citarne il nome perché si sa chi sono – quelle certe persone, dicevo, legate a loro volta a certe istituzioni – e neppure queste occorre citare, si sa benissimo quali sono – dunque, loro, quelle certe persone di quelle determinate istituzioni, avevano pubblicamente attirato l’attenzione sul mio, come l’avevano definito, «comportamento sconveniente», che lasciava, sempre secondo la loro affermazione, un «sapore sgradevole in bocca». Un sapore sgradevole in bocca! Come se il comportamento si potesse mangiare! Mi avrebbero mangiato volentieri, lo so, già pensavano di avermi intaccato, ma io sono un frutto coriaceo, secerno le mie proprie difese, e chi mi morde può solo aspettarsi che gli si alleghino subito i denti. Non è così terribile, l’allegamento è un fenomeno passeggero, ben più importante è che loro – a differenza di me – i denti ce li hanno, mentre i miei sono caduti tutti in quel furioso assalto del rullo di Ludwig. Poi qualcuno mi ha confessato che i miei denti si vendono a un prezzo molto alto, ma non sono riuscito a stabilire se sia vero e se esista un rimedio legale che possa, detto in senso figurato, restituire quei denti alla mandibola cui appartengono. Comunque, non è neppure così terribile essere schiacciati dal rullo di un uomo che, come dice, ha cambiato il corso della nostra letteratura, e neppure la perdita dei denti è la cosa più brutta di questo mondo, ma è brutto, anzi, spaventoso, che quello stesso uomo, in una trasmissione televisiva a cui partecipavamo entrambi, si fosse girato verso di me e mi avesse chiesto che cosa cercassi mai su quella 10 11


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