Balkan pin up

Page 1



Balkan pin-up


A cavallo con la frusta

Ho in mente un altro avvenimento a cui partecipammo molti anni dopo, Josip Broz Tito ed io. Eravamo nel settembre del 1977. Camminavo lungo la strada che al tempo si chiamava “29 novembre” e mi facevo largo attraverso una massa enorme di persone per raggiungere l’edificio in cui allora abitavo. A un certo punto mi sono accorto che tutti procedevano nella stessa direzione e che ero l’unico ad avanzare in senso contrario. In quel momento ho capito che quest’onda umana stava rotolando verso il luogo dove si sarebbe svolta la parata in onore di Josip Broz Tito, che proprio quel giorno era tornato da un viaggio in Cina e Corea del Nord. La mia non era una situazione piacevole, in questi casi uno teme di ritrovarsi suo malgrado a indossare i panni dell’eroe sconfitto in un romanzo distopico, come se dall’angolo opposto della strada mi osservasse Richard Burton nel film 1984. Oppure, per non esagerare, farei meglio a paragonarmi a un personaggio di Fahrenheit 451 che nasconde in tasca un libro proibito. Ricordo di essermi chiesto che cosa aveva spinto tutte quelle persone a intasare le strade per dimostrare stima, amore, idolatria o quant’altro al vecchio presidente a vita. È vero, durante tutto il santo giorno radio e tv avevano invitato a partecipare alla parata, ma non si trattava di un ordine e io sono l’esempio vivente che si poteva procedere anche in direzione opposta senza gravi conseguenze. 10 11


Da allora ho sempre pensato che anche Tito doveva aver contribuito a quella rappresentazione belgradese in stile Corea del Nord: o richiedendo apertamente un simile bagno di folla, oppure pronunciando un’allusione più o meno casuale che aveva spinto i cortigiani alla riflessione e all’azione. La convinzione che sia andata effettivamente così mi viene dai numerosi libri su Tito che ho letto. In essi compaiono documenti resi pubblici solo di recente dai quali emerge un Broz attentissimo ai dettagli apparentemente più insignificanti che tuttavia si riveleranno in seguito centrali nella creazione e nel mantenimento di un meccanismo di potere assoluto. Proprio in questi giorni sto sfogliando un libro dal titolo Tito: un emblema del XX secolo, nel quale vengono ricostruiti per la prima volta più di 500 nuovi episodi estrapolati da ogni fase della vita di Tito, compresi gli ultimi anni del suo regno. Qui probabilmente troverò risposta a quella sorprendente sindrome nordcoreana palesatasi nelle strade di Belgrado nel 1977. Tuttavia vorrei prima spendere alcune parole sul perché questo libro è diventato immediatamente un bestseller ex-jugoslavo. Intrigante come un giallo ben congegnato, Tito: un emblema del XX secolo rende pubblici dati sorprendenti e finora sconosciuti rivelando il vero significato della storia recente in modo chiaro e lineare: la vicenda del protagonista principale svela come sia possibile sostanziare un approccio machiavellico al mondo attraverso perversioni politiche di ogni genere. L’operazione mi ricorda la strategia di quei pensatori teoretici che per avvicinare il lettore alle loro complicate teorie sulla sovranità ricorrono a Il signore degli anelli di Tolkien. Nel nostro caso si ripercorre la vita di Tito divertendosi come se si leggesse Balkan pin-up


Agata Christie e d’un tratto si arriva a comprendere cosa caratterizza la teoria politica e sociale del XX secolo. È la stessa cronologia della vita di Tito che scandisce in modo drammatico l’andamento di questo giallo socio-politico: dalla calcolata svogliatezza nel fornire indicazioni precise su nome e data di nascita all’azione politica condotta insieme al Comintern per eliminare i rivali all’interno del partito, dalla collaborazione con i nazisti all’autoproclamazione a maresciallo, dalla paura di un’invasione sovietica al piano di fuga dal Paese e avanti così all’infinito fino al ritorno dalla Corea del Nord. A questo punto della narrazione trovo la seguente frase di Tito: «Proprio non me l’aspettavo al rientro da quel viaggio. Mai prima d’ora l’intera Belgrado si era riversata nelle strade manifestando un simile entusiasmo». È deludente constatare come quel folle spettacolo per le strade di Belgrado non ebbe bisogno di Tito nemmeno nella veste di casuale assistente alla regia. Tuttavia a proposito di quel fatto ecco un’altra sua riflessione, direi del tutto paradigmatica: «In Corea sembra che Kim Il Sung sia tutto, in ogni caso la disciplina è grande. La gente lo idolatra, ma la sua non è una dittatura. Si tratta piuttosto di una sorta di mentalità». Per quel che riguarda Tito e il suo destino post-mortem si potrebbe aggiungere che tali mentalità non possono che condurre all’idolatria, soprattutto se molto velocemente emergono nuove figure da venerare. Nel libro trovo anche un’interessante storia dall’infanzia di Tito. Sembra che il piccolo Josip Broz fosse stato sorpreso a tagliare delle piante nel sottobosco della natia Kumrovec. La sua giustificazione sul mo12 13


tivo di tanto sforzo fu laconica: «Voglio farne una frusta». Ma subito dopo arrivò la motivazione esauriente: «Avrò un cavallo quando avrò una frusta». Josip Broz Tito si presentò veramente ai suoi sottomessi in groppa a un cavallo bianco e, quando in seguito si poté attingere ai documenti del suo regno, risultò che gli piaceva essere visto con una frusta in mano. Però a volte capitava che il suo cavallo non fosse bianco, ma nero.

Balkan pin-up


Sachertorte e baklava

Oggi nessuno più ricorda la celebre polemica sulla Mitteleuropa condotta da Josif Brodskij e Milan Kundera poco tempo prima che il blocco sovietico andasse in frantumi. La querelle ricevette molte attenzioni in Jugoslavia e soprattutto a Belgrado, i cui intellettuali volevano che la loro città potesse rientrare nell’ambito mitteleuropeo. Si trattava di una questione d’onore, come se Belgrado in seguito a quella divisione in blocchi temesse di rimanere confinata in Oriente. Oggi quella polemica non è più attuale, tuttavia in qualche modo resiste ancora nelle discussioni sullo statuto della Vojvodina, la provincia serba settentrionale spesso accusata dai nazionalisti di tendenze secessioniste. Anch’io ho una mia personale storia mitteleuropea. Ammetto di non essere del tutto sicuro sulle percentuali di verità e leggenda familiare in essa mischiate, ma mi sembra che ci sia del materiale letterario interessante e per questo ho deciso di raccontarla come se si trattasse di letteratura. All’inizio del ventesimo secolo un collezionista viennese acquistò in un negozio di antiquariato diWeiblingerstrasse un bassorilievo ben conservato risalente alla diciottesima dinastia del Nuovo regno egiziano: un oggetto impressionante, alto 63,4 centimetri che rappresentava la figura di un notabile di corte scolpito in ginocchio con le mani alzate in gesto di adorazione. 14 15


Il collezionista picchiettò con l’unghia sul bassorilievo e quest’ultimo gli rispose con il suono caratteristico del cemento pietrificato. Esaminò il retro e vi trovò tracce d’erosione. Si trattava di un buon segno. Tuttavia sugli orli notò delle fratture che sospettava recenti. Non riuscì mai ad appurare in seguito a quali peripezie questo sasso ingiallito dal tempo, che per millenni aveva adornato un monumento funerario, fosse finito nelle sue mani. Annotò nel suo diario: «La mia collezione cresce, purtroppo anche grazie a mercanti disonesti». Il suo studio medico non rendeva molto e quindi, come sempre succede quando non si hanno molti soldi, contrattò puntigliosamente sul prezzo e pretese un certificato di autenticità per l’oggetto che stava acquistando. I suoi Studi sull’isteria gli avevano procurato vasta stima e rispetto, ma non un numero sufficiente di pazienti fissi. Emblematico al riguardo era il caso della signorina Adele Hitzig, che lamentava dei mal di testa insopportabili. Dopo alcune sedute da quel dottore che la visitava circondato da vasi greci e bassorilievi egiziani, aveva rinunciato a proseguire la cura. «Mi massaggiava il collo e faceva domande idiote» aveva confessato in seguito a una parente che le aveva raccomandato il dottore. «Quello è un personaggio riprovevole.» I molti falsi che giravano sul mercato degli oggetti d’arte suggerivano al dottore viennese di fare molta attenzione. A tal proposito gli scrisse anche Sandor Ferenczi, suo collega di Budapest e lui stesso collezionista, che gli aveva procurato alcuni splendidi reperti da un giacimento archeologico nell’Ungheria centrale appena portato alla luce. Già allora giravano voci che persino la Dama con l’ermellino custodita al museo Czartoryski di Cracovia non fosse stata dipinBalkan pin-up


ta da Leonardo da Vinci, come molti credevano. Sulla tela non vi era infatti traccia della firma di Leonardo. Ma gli affari prosperavano in quella parte d’Europa, qualsiasi cosa poteva essere comprata o venduta e il mercato delle antichità non prevedeva alcuna limitazione. L’offerta ampia e i prezzi relativamente bassi solleticavano i collezionisti ad assecondare i loro slanci per le scoperte appena venute alla luce – dagli scavi archeologici di Troia alla scoperta del labirinto minoico di Creta. In un simile contesto la proposta di Friedrich Naumann di sostituire la moltitudine di nazionalità della Mitteleuropa con un “popolo economico” unificato appariva ragionevole. Lo spirito della produzione di massa e di un’organizzazione sovranazionale compenetra la politica, scriveva Naumann. La gente ragiona su scala continentale. Al popolo economico della Mitteleuropa aderivano anche i giovanotti serbi che andavano a studiare a Budapest, a Graz, a Vienna e a Cracovia. Fra di essi vi fu anche D. Tomić, figlio di un ricco commerciante di maiali di Šabac. Durante gli studi a Budapest e Vienna Tomić non fu mai a corto di denaro. Lo spendeva nei ristoranti e nei bordelli, oppure nei negozi dove si vendeva merce di ogni sorta. Tutto ciò che era nuovo lo attirava, tanto il sapone radioattivo o l’apparecchio radio con le cuffie quanto tutti quegli oggetti appena ritrovati e immediatamente divenuti molto popolari in Europa che documentavano la vita delle antiche civiltà. Ebbe così occasione di conoscere in Weiblingerstrasse un medico che abitava nelle vicinanze e con cui condivideva i medesimi interessi. Il medico aveva i capelli impomatati con la scriminatura sulla destra, folti baffi e una corta barbetta. Questi tre destini, che per caso si erano incrociati in quella che chiamiamo Mitteleuropa, si divisero 16 17


rapidamente. Il medico e collezionista viennese ha contrassegnato quell’epoca col suo operato. Abbandonò la casa in Bergstrasse 19 non appena sopra di essa prese a sventolare la bandiera nazista. È morto in esilio a Londra attorniato da figure greche, egizie e cinesi. Le sue ceneri riposano in un’urna greca del quarto secolo avanti Cristo che ha indotto molti ricercatori a supporre che quell’orcio decorato con miti dionisiaci fosse l’oggetto più caro al dottore in esilio. Adele Hitzig si trasferì ben presto a Budapest sposando il giovane mercante Henrik Koestler. Ebbero un figlio a cui diedero il nome di Arturo, nome fra i più rappresentativi del secolo in questione. Arturo diventerà un valido avvocato convinto e appassionato difensore di movimenti quali il sionismo, il comunismo e l’anticomunismo. «Se mia madre avesse proseguito col suo trattamento a Vienna, probabilmente si sarebbe sposata con qualcun altro e io non sarei nemmeno nato» scrisse nella sua autobiografia. Tomić fece ritorno in Serbia alcuni anni dopo per partecipare alle guerre balcaniche allora appena iniziate. Fra le due guerre mondiali fu comproprietario della banca d’ipoteche di Šabac. Alla vigilia della Seconda guerra mondiale fece bancarotta perdendo ogni cosa. In seguito disse: «Quando i comunisti hanno preso il potere non avevo niente e così non poterono prendermi niente». Tomić aveva due figli e una figlia. Il figlio maggiore si laureò presso la facoltà di slavistica dell’Università Jagellonica di Cracovia e poco dopo morì di tubercolosi. Il figlio cadetto fu maestro in Serbia. A seguito di un’azione congiunta fra Gestapo e SA nel 1942 se ne persero definitivamente le tracce. La figlia sopravvisse e diventò colei che mi diede i natali, cioè mia madre. Balkan pin-up


Ecco. Questa è la storia che in qualche modo mi lega alla Mitteleuropa. Ma forse sarebbe meglio se dicessi semplicemente che il territorio della Mitteleuropa è definito in modo preciso dalle sue pasticcerie. Quando si gusta la Sachertorte ci si trova senza dubbio nella Mitteleuropa, mentre là dove si mangia la baklava è già Oriente. A Belgrado potete trovare sia l’autentica Sachertorte che la baklava turca.

18 19


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.