Catalogo Zandonai 2011

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2011


“Viviamo di scritti e moriamo di cancellature” Edmond Jabès

Animata dall´idea di “sconfinamento” e attenta a coniugare culture e discipline differenti, la casa editrice Zandonai attraversa ed esplora con passione nuovi territori e antichi saperi. Lo scopo è quello di comporre un catalogo dove letteratura e filosofia, architettura e sociologia, storia e politica si intreccino fra loro e disegnino inedite mappe interpretative. Libri capaci di tessere una rete che afferri e ospiti – pur nel rapido flusso che oggi caratterizza le varie forme della cultura – le nuove e complesse manifestazioni della realtà che ci circonda.


ifuochi Nel segno del sodalizio fra saggio e narrazione, la collana mette a colloquio opere saggistiche che non soffocano il proprio impulso a narrare e romanzi dalla forte attitudine riflessiva. In un’epoca in cui la crisi della filosofia è dichiarata e la letteratura conquista spazi assoluti con il rischio di perdere se stessa, la scrittura può raccontare i propri avventurosi sconfinamenti, siano essi antichi o nuovi, ampliando così la dimensione del sentire e della conoscenza. I testi qui raccolti sono “classici” – ovvero libri forse introvabili, di certo irripetibili – e testimoniano tutti, pur nella loro diversità, come sia possibile un confronto con i temi della modernità, anche senza dover a ogni passo rivendicare una paternità forte: o filosofica o letteraria. Non solo. Se il venir meno dei confini costringe pensiero e narrazione a mescolarsi e a contaminarsi, essi possono finalmente dar voce alla loro più autentica tensione utopica, là dove si annidano molti luoghi, reali o fantastici, ancora inesplorati o da riscoprire. In un percorso che si configura come una salutare fuga dalle certezze.


ivo andrić

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honoré de Balzac (1799-1850), proveniente da una famiglia di contadini e destinato alla carriera notarile, a partire dai primi anni venti dell’Ottocento si consacra totalmente all’attività di scrittore, anche con scelte di vita estreme. La frequentazione di salotti e ambienti letterari, frutto anche della sua amicizia con George Sand, è variamente costellata da incontri femminili importanti, tra i quali quello con la contessa polacca Ewelina Hanska, che sposerà nel 1850, pochi mesi prima della sua morte, dopo una vicenda sentimentale piuttosto burrascosa. Proprio per la contessa Hanska scrive Séraphîta, in cui Balzac compie un’esperienza di scrittura che, oltrepassando i canoni tradizionali della letteratura, si avvicina alla filosofia e alle grandi correnti del pensiero mistico.

ivo andrić (1892-1975) è uno dei più grandi autori del Novecento nonché unico rappresentante delle letterature slave meridionali insignito del premio Nobel (1961). All’attività di scrittore ha affiancato per lungo tempo la carriera diplomatica, culminata nella nomina ad ambasciatore del Regno di Jugoslavia a Berlino nel 1939. Durante gli anni della seconda guerra mondiale, trascorsi a Belgrado in totale e volontario isolamento, scrisse i suoi tre capolavori, i romanzi Il ponte sulla Drina, La cronaca di Travnik e La signorina, in cui traccia una cosmogonia della propria terra natale, la Bosnia, un luogo dal fascino complesso e dai tormentati destini. La sua produzione letteraria, in parte ancora inedita in Italia, annovera, oltre ai romanzi “epici” che gli hanno conferito notorietà internazionale, anche una ricca collezione di racconti, novelle e prose meditative.

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febbraio 2011

Žena na kamenu

A cura di Božidar Stanišić Traduzione di Alice Parmeggiani pp.144/ €15,00 978-88-95538-53-2

Come pochi altri scrittori Andrić si rivela maestro nel suscitare gli interrogativi estremi dell’esistenza toccando le sensazioni più semplici ed esplorando le evidenze quotidiane. Non a caso ogni racconto di questa straordinaria raccolta ci offre il ritratto di un’indimenticabile protagonista donna, come se l’autore, scandagliando nelle pieghe più intime dell’animo femminile e dietro le mura domestiche, ci avvertisse che la vita e il destino degli esseri umani non sono fenomeni facilmente accessibili. Anzi, essi appaiono bifronti: la parte in chiaro, quella rivolta al mondo, ne sottende sempre un’altra, interamente in ombra, da cui promanano forze indomabili. Un Andrić inedito, lontano dall’epos balcanico che lo ha reso celebre, ma vicinissimo alle radici segrete della sua grande arte narrativa.

Honoré de Balzac Séraphita

sÉRaphÎta Séraphîta

Sèraphita

la Donna sulla pietRa

Honoré de Balzac

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honoré de Balzac

Prefazione di Giampiero Moretti Traduzione di Pia Cigala Fulgosi 2008 pp.168/ €16,00 978-88-95538-18-1

Considerata da Mircea Eliade «l’ultima grande creazione letteraria europea che abbia come motivo centrale il mito dell’androgino», Séraphîta è ben di più: è l’opera in cui Balzac dà voce, con una tensione quasi febbrile, a un’erotica del sapere di stampo mistico, intonata alle teorie di Swedenborg. Séraphîta-Séraphîtüs, essere che unisce in sé le nature del maschile e del femminile, è un transgender ante litteram che suscita contemporaneamente l’amore di un uomo e di una donna. Questo romanzo, che l’autore ha definito «la dottrina in azione del Buddha cristiano», costituisce la più efficace confutazione di un diffuso errore interpretativo, secondo il quale Balzac sarebbe uno scrittore attento a considerare l’uomo esclusivamente nella sua natura mortale.


Gilberto Forti

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paul Celan (1920-1970) è stato senza dubbio il più grande poeta di lingua tedesca del XX secolo. Mai come nel suo caso la lingua-madre fu solo ed esclusivamente lingua della madre, ebrea della Bucovina morta in un lager nazista nel 1944. Ebbe rapporti, pur intermittenti e problematici, con poeti, filosofi e scrittori, tra cui Ingeborg Bachmann, Yves Bonnefoy, Martin Heidegger. Non poco per un autore che fece della solitudine una virtù, se non addirittura “la” virtù. Da questa solitudine popolosa, che coltiverà strenuamente fino al suicidio finale, avvenuto a Parigi, non potevano nascere che frammenti – ma frammenti che, riuniti nella loro accidentale sequenza, danno un accidentato, fascinoso intero: i Microliti.

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Gilberto Forti (1922-1999), scrittore, giornalista e grande studioso di letteratura tedesca, ha pubblicato versioni poetiche da Goethe e Trakl, e nel 1995 ha ricevuto il premio Monselice per la resa in italiano dei versi di W.H. Auden. Rimangono memorabili le sue traduzioni di Brodskij, Canetti, Benn, Walcott, Prokosch e von Rezzori. È autore di due opere in forma poetica – Il piccolo almanacco di Radetzky (Adelphi,1983) e A Sarajevo il 28 giugno (Adelphi,1984) – che, «con certe sottili astuzie dimesse e magre», come scrisse Giorgio Manganelli, rievocano la finis Austriae attraverso «una crepitante marcia di endecasillabi».

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A cura di Dario Borso Dall’edizione critica tedesca di Barbara Wiedemann e Bertrand Badiou 2010 pp.184/ €18,00 978-88-95538-40-2 ifuochi

«Microliti sono, pietruzze appena percepibili, lapilli minuscoli nel tufo denso della tua esistenza – e ora tenti, povero di parole e forse già irrevocabilmente condannato al silenzio, di raccoglierli a cristalli?». Cosi Paul Celan descrive nel 1956 i suoi frammenti in prosa, siano essi aforismi sulla natura della poesia e sull’identità ebraica, o sapidi apologhi che hanno come bersaglio la società letteraria, o ancora narrazioni fulminanti ed emblematiche. Il tentativo di riunirli in un libro – tentativo a cui il poeta stesso rinunciò in vita – è riuscito solo, con grande fatica e altrettanto amore, alla generazione successiva. In questa raccolta i microliti vengono resi, in prima traduzione mondiale, nella loro nuda e fatidica sequenza cronologica. E sprigionano così tutta la lapidaria forza della scrittura di Celan.

Gilberto Forti I latitanti

Hermann A. Korff (1882-1962), germanista insigne dell’Università di Lipsia, è stato uno dei più significativi interpreti della cultura tedesca, in particolar modo del periodo classico-romantico. La sua interpretazione della storia della letteratura come “sviluppo organico” stupisce ancor oggi per la straordinaria profondità e chiarezza esplicativa, i suoi studi su Goethe e il romanticismo costituiscono un originale punto d’incontro tra critica letteraria e filosofia. Fra le sue opere, oltre al monumentale Geist der Goethezeit, ricordiamo Vom Wesen Goethescher Gedichte (1927), Aufriß der deutschen Literaturgeschichte nach neuen Gesichtspunkten (1930), Goethe im Bildwandel seiner Lyrik (1958) e Geistesgeschichte der Goetheschen Lyrik (1963).

I latitanti

Microliti

«Mikrolithen sinds, Steinchen». Die Prosa aus dem Nachlaß

«Microliti sono, pietruzze appena percepibili, lapilli minuscoli nel tufo denso della tua esistenza – e ora tenti, povero di parole e forse già irrevocabilmente condannato al silenzio, di raccoglierli a cristalli?» scrisse Paul Celan nel 1956 definendo i suoi frammenti in prosa. Il tentativo di riunirli in un libro, tentativo a cui il poeta stesso rinunciò in vita, è riuscito solo un lustro fa, con grande fatica e altrettanto amore, alla generazione successiva. Nel presente volume i microliti celaniani vengono resi, in prima traduzione mondiale, nella loro nuda e fatidica sequenza cronologica. E sprigionano così, a immagine pura della pura vita che li generò, tutta la lapidaria forza della scrittura di Celan.

Gilberto Forti

miCRoliti Paul Celan Microliti

Paul Celan

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paul Celan

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Prefazione di Sandro Modeo A cura di Gabrio Forti

ISBN 978-88-95538-01-3

€ 14,50

i latitanti Prima traduzione italiana di un’opera di Hermann A. Korff, i cinque saggi qui proposti, del 1924, rappresentano il nucleo tematico della sua opera maggiore, il Geist der Goethezeit, uno dei più celebri e dettagliati affreschi della cosiddetta “età di Goethe”, quel periodo decisivo della storia spirituale tedesca che va all’incirca dal 1770 al 1830. Korff analizza alcuni dei concetti fondamentali intorno ai quali si formano, in Occidente, la moderna concezione di “uomo” e l’idea stessa di “cultura”. Approfondisce la controversa nozione di Leben, “vita”, tratteggiandone, con rara chiarezza interpretativa e forza sintetica, lo sviluppo nelle diverse epoche storiche prese in esame: antichità classica, rinascimento, Riforma, illuminismo, Sturm und Drang, classicismo e romanticismo, giungendo a individuare nell’uomo faustiano, ovvero nel cosiddetto “neoumanesimo” della poesia classico-romantica tedesca (che ha in Goethe il suo emblema), il modello di un nuovo sentimento della vita e quindi di una nuova idea di uomo. Lucido e penetrante, questo volume costituisce uno strumento indispensabile per la comprensione di quella straordinaria temperie culturale (“storia dello spirito”) che caratterizzò la vita della Germania, e dell’Europa intera, agli albori del Novecento preconizzandone i fulgidi e allo stesso tempo tragici destini.

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2008 pp.248/ €16,00 978-88-95538-08-2 ifuochi

Gilberto Forti ci restituisce in pochi straordinari tratti la misura vincolante a cui la guerra riduce persone e cose. La dimensione della sopravvivenza non coincide con quella della vita, tuttavia ha il pregio di non nasconderne la precarietà, come ben sanno i latitanti che si ritrovano sospesi, nella loro sub-esistenza, tra una “morte apparente” e una tumultuosa vita interiore. Queste storie di giovinezza e di latitanza, di matrice autobiografica, sono ambientate per lo più fra le montagne dell’Appennino emiliano e durante la guerra partigiana, luoghi che diventano metafora dello spazio mentale della guerra e di una spettrale convergenza dei vivi e dei morti.


Gajto Gazdanov

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martin heidegger (1889-1976) è stato uno dei più importanti e controversi pensatori del Novecento. Le sue teorie e i suoi scritti sono stati decisivi nella storia della filosofia contemporanea, quasi un riferimento imprescindibile, insieme alle opere di Hegel, per comprendere il concetto stesso di civiltà occidentale. E proprio a particolari aspetti del sistema hegeliano Heidegger dedicò alcuni testi di grande interesse che ci permettono di cogliere le linee-guida del suo percorso filosofico e intellettuale nella seconda metà degli anni trenta. Essi furono redatti immediatamente a ridosso della sua opera “segreta”, i Contributi alla filosofia (Dall’evento) (Adelphi, 2007), in un periodo, dunque, di profonda crisi personale e filosofica successiva alla celebre “svolta”.

Georgij ivanovič Gazdanov detto “Gajto” (19031971) nasce a San Pietroburgo, ma ben presto abbandona il proprio Paese sconvolto dalla Rivoluzione bolscevica e dalla guerra civile. Dopo brevi soggiorni in Turchia e Bulgaria, si trasferisce a Parigi, dove svolge una miriade di mestieri, tra i quali il facchino, il lavapiatti, l’operaio alla Citroën e il tassista notturno, quest’ultimo magistralmente tratteggiato nel romanzo Strade di notte. Dovrà attendere il secondo dopoguerra per veder ufficialmente riconosciuta la propria statura letteraria, e perché la sua carriera di scrittore, segnata dal successo nel 1948 de Il fantasma di Alexander Wolf (Voland, 2002), finalmente decolli. Paragonato per potenza narrativa e per stile a un altro grande dell’emigrazione russa, Vladimir Nabokov, le sue opere saranno pubblicate in Russia soltanto a partire dai primi anni novanta.

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aprile 2011

Nočnye dorogi

Prefazione di Dragan Velikić Traduzione di Claudia Zonghetti pp.224/ €22,00 978-88-95538-52-5

Le “strade di notte” che attraversano una Parigi regale e disperata svelano il vero volto della città nascosto dalle paillettes – che qui brillano addosso a vecchie prostitute senza lavoro – e dagli splendidi palazzi affacciati sui boulevards, dietro cui scorgiamo vicoli fetidi e bui, dimora di vagabondi e mendicanti. Strade di notte è un libro di incontri, casuali o ripetuti, con personaggi folli e Ci sono persone che agiscono nobilmente donne lascive, filosofi alcolizzati e percortigiane ri- la loro bontà tutta la vita, spendono poco per volta, senza dare nell'occhio, ma dotte in miseria. Tutti si raccontano senza pudore, quando un grande slancio coglie gli animi piccoli, è come un'esplosione di fuochi nella fugace e precaria intimità di un taxidannonotturd'artificio, tutto in una volta, senza risparmio… no, affidando alla parola la loro salvezza. Perché in questo apocalittico “mondo nel mondo”, dove la bellezza è solo merce in vendita, è proprio la parola l’unica, estrema promessa di dignità. Aleksandar Tišma (1924-2003) è stato tra i più autorevoli e apprezzati scrittori della ex Jugoslavia. Originario della Vojvodina, regione da sempre mosaico di identità e culture differenti, può essere accostato ad autori del calibro di Danilo Kiš, Czesław Miłosz, Imre Kertész per la marcata sensibilità mitteleuropea che colloca le sue opere nell’alveo della grande letteratura del secolo scorso. Di madre ebrea ungherese e di padre serbo, Tišma, scampato allo sterminio degli ebrei di Novi Sad, ha ambientato nella complessa e spesso drammatica realtà del Dopoguerra alcuni tra i suoi romanzi e racconti più belli, dettati da una profonda riflessione sul significato della colpa, sul confine spesso labile tra vittime e carnefici, e che narrano storie di ordinaria efferatezza e di piccole pavidità umane. Ne sono testimonianza, oltre a Kapò, anche L’uso dell’uomo ( Jaca Book, 1988) e Il libro di Blam (Feltrinelli, 2000). Tišma è noto inoltre al pubblico italiano per la raccolta di racconti Scuola d’empietà (e/o, 1988) e per il romanzo Pratiche d’amore (Garzanti, 1993), storia di un gruppo di prostitute di Novi Sad.

Martin Heidegger Hegel

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martin heidegger

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Alla follia della distruzione che impera nel lager c’è chi è riuscito a resistere e chi ha accettato di ritardare la propria morte affrettando quella altrui: il kapò. In questo straordinario romanzo Tišma descrive – con una potenza letteraria e un rigore documentario da togliere il respiro – la caparbia vitalità e la forza animalesca che consentono a Vilko Lamian, un ebreo battezzato e assimilato, di sopravvivere a Jasenovac e Auschwitz cambiando identità e trasformandosi nel kapò Furfa. Ora, dopo la guerra, tormentato dal ricordo dei suoi misfatti e dal terrore della vendetta postuma della storia, ma soprattutto ossessionato dalla figura di una delle sue vittime, Helena Lifka, si mette sulle tracce della donna, convinto che solo lei possa giudicarlo e magari assolverlo. Tišma indaga qui – sollevandosi nettamente al di sopra di ogni contingenza e con una sensibilità lancinante nel registrare il frantumarsi dell’identità – ciò che resta di un uomo quando è costretto ad attingere alle sue estreme risorse, a scacciar via da sé ogni timore e senso di pietà. E la sua opera, uno dei capolavori della letteratura concentrazionaria, è prodigiosamente all’altezza del compito: ferisce, viviseziona, scuote le certezze, ci tiene all’erta contrastando l’oblio.

A cura di Giampiero Moretti Traduzione di Chiara Gianni 2010 pp.176/ €18,00 978-88-95538-34-1 ifuochi

€ 23,00

Nell’enorme mole di scritti che Martin Heidegger ha pubblicato in vita, e ha lasciato da pubblicare dopo la sua morte, spicca la presenza relativamente ristretta di sue interpretazioni del pensiero di Hegel. I testi qui tradotti per la prima volta in italiano, che Heidegger stesso aveva destinato a un volume delle sue Opere complete, risalgono agli anni tra il 1938 e il 1942 e sono dedicati rispettivamente al concetto hegeliano di “negatività” e all’Introduzione hegeliana alla Fenomenologia dello spirito. Al contempo essi permettono di gettare luce sia sulla posizione che Heidegger attribuisce a Hegel nell’ambito della storia del pensiero occidentale, sia, in particolare, sul cosiddetto “pensiero dell’essere”, dallo stesso Heidegger più volte richiamato in queste pagine dense e affascinanti.


Wolfgang Koeppen

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Wolfgang Koeppen (1906-1996), consacrato come uno dei più importanti e originali scrittori tedeschi del Novecento, è senz’altro il più autorevole esponente della cosiddetta “letteratura del dopoguerra”. I suoi romanzi sono un affresco lucido e spregiudicato della Germania denazificata, di una società animata da desideri di riscatto ma lacerata dalla colpa. Intellettuale schivo e refrattario alle ribalte letterarie e ai dibattiti pubblici, Koeppen è stato scrittore, giornalista, sceneggiatore e critico letterario. Questa intensa attività gli è valsa nel 1962 il prestigioso premio Georg Büchner e una prima edizione in sei volumi delle sue opere complete a cura del “decano” della critica Marcel Reich-Ranicki e dello scrittore Hans-Ulrich Treichel.

hermann a. Korff

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hermann a. Korff (1882-1962), germanista insigne dell’Università di Lipsia, è stato uno dei più significativi interpreti della cultura tedesca, in particolar modo del periodo classico-romantico. La sua teoria sullo “sviluppo organico” della storia della letteratura stupisce ancor oggi per la straordinaria profondità e chiarezza esplicativa, mentre i suoi studi su Goethe e il romanticismo costituiscono un originale punto d’incontro tra critica letteraria e filosofia. Fra le sue opere ricordiamo il monumentale Geist der Goethezeit (1923-1957), mai tradotto in italiano.

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la moRte a Roma Der Tod in Rom

Con un saggio di Hans-Ulrich Treichel Postfazione di Michele Sisto Traduzione di Letizia Fuchs Vidotto 2008 pp.224/ €16,00 978-88-95538-14-3

Un’inquietante e grottesca riunione familiare si trasforma in un’autentica discesa agli inferi, nella scenografia di una Roma estiva anni cinquanta, tra atmosfere neorealiste e luci rarefatte da crepuscolo degli dèi. Qui si ritrovano un ex generale delle SS, riparato in Medio Oriente sotto falso nome, la moglie, un’esaltata Erinni nordica nostalgica del Führer, e il cognato, zelante funzionario del Terzo Reich riciclatosi borgomastro nella Germania di Adenauer. Qui si aggirano, in fuga dalla famiglia e da se stessi, i loro figli, incalzati dalla necessità di espiare orrori che non furono loro a commettere. Con implacabile occhio critico Koeppen costruisce una storia che mette a nudo le tare segrete dello spirito tedesco, la pulsione di morte che si nasconde dietro ogni esaltazione mitica della potenza e che sfociò nelle apocalissi del nazionalsocialismo.

umanesimo e RomantiCismo Humanismus und Romantik. Die Lebensauffassung der Neuzeit und ihre Entwicklung im Zeitalter Goethes

Presentazione di Stefano Zecchi A cura di Giancarlo Lacchin 2007 pp.144/ €13,00 978-88-95538-00-6

Prima traduzione italiana di Hermann A. Korff, i cinque saggi qui proposti, del 1924, rappresentano il nucleo tematico della sua opera maggiore, il Geist der Goethezeit, uno dei più celebri e dettagliati affreschi della cosiddetta “età di Goethe”. Korff analizza come si sono formate, in Occidente, la moderna concezione di “uomo” e l’idea stessa di “cultura”. Approfondisce la controversa nozione di Leben, “vita”, tratteggiandone, con rara limpidezza interpretativa, lo sviluppo nelle diverse epoche storiche. Lucido e penetrante, questo volume costituisce uno strumento indispensabile per la comprensione di quella straordinaria temperie culturale (“storia dello spirito”) che caratterizzò la vita della Germania, e dell’Europa intera, agli albori del Novecento, preconizzandone i fulgidi e allo stesso tempo tragici destini.


Christine lavant

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Christine lavant (1915-1973), figlia di un minatore carinziano e ultima di nove figli, è una delle figure più enigmatiche e affascinanti del Novecento austriaco. La sua vicenda biografica – fatalmente segnata dalla malattia cronica, dalla povertà, dal chiuso ambiente contadino e dalla scialba vita di provincia – trova un singolare equilibrio con una formazione letteraria da autodidatta che darà vita a opere di grande raffinatezza linguistica, eleganza poetica e forza espressiva. Il loro valore letterario è stato ufficialmente riconosciuto nel 1970 con il Großer Österreichischer Staatspreis für Literatur. Sono stati sinora tradotti in italiano una raccolta di Poesie scelte (Braitan, 1986) e il romanzo Appunti da un manicomio (Forum, 2009).

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il RitoRno Di Filip latinoViCZ

Con il dialogo Clara Schelling pone un problema che è contemporaneamente esistenziale e metafisico: a fondamento della domanda, se e in quale modo sia possibile concepire in modo filosofico, logico e concettuale un rapporto tra natura e mondo degli spiriti, tra vita fisica e vita spirituale, tra immanenza e trascendenza, si trova infatti la speranza di poter raggiungere, nel naturale, un momento che assicuri la sopravvivenza dell’uomo dopo la morte. Quest’ultima questione anima l’intenzione più profonda di Schelling, il quale scrive il dialogo soprattutto per trovare risposte al dolore provocato dalla prematura morte della moglie Caroline Michaelis (1809). Non si tratta tuttavia del tradizionale problema dell’immortalità dell’anima, anche se il Clara possiede qualche analogia con il Fedone platonico. Schelling, infatti, non cerca soltanto la sopravvivenza dell’anima o dello spirito dopo la morte, ma mira alla sopravvivenza dell’uomo intero, incluso il suo corpo, la sua dimensione naturale e sensibile. La radicalità e la sincerità della domanda si riflettono in un linguaggio che da concettuale e filosofico spesso si trasforma in poetico e descrittivo, e nella cornice offerta quasi per intero da ambienti naturali, che non fanno solo da sfondo romantico alle argomentazioni filosofiche, ma costituiscono il necessario punto di partenza per qualsiasi conoscenza del mondo degli spiriti. Solo chi conosce fino in fondo la natura, infatti, può spingersi fino alle vette più alte della speculazione filosofica.

Povratak Filipa Latinovicza NUOVA EDIZIONE RIVEDUTA E AGGIORNATA

Prefazione di Predrag Matvejević A cura di Silvio Ferrari

2009 pp.264/ €16,00 978-88-95538-10-5 ifuochi

Inseguendo se stesso e una vena creativa da tempo perduta, il pittore Filip Latinovicz fa ritorno dopo oltre vent’anni nei luoghi della sua infanzia, in una piccola comunità di individui pieni di risentimento e personaggi di antico lignaggio, rimasti legati alle vecchie tradizioni asburgiche e dediti all’inconsapevole celebrazione della propria decadenza. Scritto nel 1934, Il ritorno di Filip Latinovicz è senza Ci sono persone che agiscono nobilmente dubbio il capolavoro di Krleža. Tratteggiando per tutta la vita, una spendono la loro bontà poco per volta, senza dare nell'occhio, ma società in piena disgregazione e l’inquieta solitudiquando un grande slancio coglie gli animi piccoli, è come un'esplosione di fuochi ne del protagonista, il romanzo non èd'artificio, soltanto un danno tutto in una volta, senza nitido affresco della Croazia tra le duerisparmio… guerre, ma una straordinaria analisi dei sentimenti umani, uno scorcio epocale dell’alienazione dell’individuo, del disfacimento novecentesco dell’Io. Lirico, visionario, ironico, appartiene a pieno titolo alle grandi opere letterarie del secolo scorso. Christine Lavant (1915-1973) è una delle figure più affascinanti, intense e tormentate della letteratura austriaca del secondo Novecento. Poetessa dalla grande forza visionaria, paragonata per il suo linguaggio e la combattività della sua fede alle mistiche Hildegard von Bingen e Teresa d’Avila, è stata apprezzata da Thomas Bernhard, che ne ha curato le poesie postume, Ludwig von Ficker, Paul Celan e Ingeborg Bachmann. Tra le sue opere pubblicate in italiano ricordiamo la raccolta di versi Poesie scelte (Gorizia 1986) e la vibrante testimonianza biografica Appunti da un manicomio (Udine 2009).

€ 16,00

Christine Lavant Nell

Nell e altri racconti

Il ritorno di Filip Latinovicz

Miroslav Krleža Il ritorno di Filip Latinovicz

Christine Lavant

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miroslav Krleža (1893-1981) è stata una delle figure di maggior rilievo della cultura jugoslava, un autentico patriarca della letteratura croata, ma anche uno degli autori più interessanti della letteratura mitteleuropea del Novecento. Dotato di una forte personalità, spirito ribelle e antidogmatico, intellettuale tra i più brillanti nel periodo delle avanguardie letterarie tra le due guerre, la sua opera è assai poliedrica. Narratore, romanziere, poeta, drammaturgo, saggista, critico letterario, arguto polemista, enciclopedista, è stato definito «un Voltaire fra gli Slavi meridionali». Tra le sue opere in italiano ricordiamo Il Dio Marte croato (Studio tesi, 1982) e le splendide Ballate di Petrica Kerempuh (Einaudi, 2007), in cui reinventa in modo originalissimo una lingua arcaica e contadina.

Miroslav Krleža

anni osse ima, rché ista,

miroslav Krleža

nell Nell. Vier Geschichten Das Kind

Nei cinque racconti di Christine Lavant qui pubblicati “bellezza” e “tristezza” risplendono in egual misura: i protagonisti sono bambini e donne, i “piccoli” evangelici, quelli che con timore e tremore ancora credono «che prima o poi un incantesimo ci tocchi e ci rapisca dalla terra e dal mondo degli uomini». Ma i miracoli, sempre attesi, giungono per lo più troppo tardi e i suoi personaggi si trovano a dover stringere accordi con Dio, implorandolo e persino minacciandolo, consapevoli che cambiamento e capacità d’amore sono raggiungibili solo a patto di varcare gli estremi confini del dolore. La narrativa di Christine Lavant si innalza costantemente al di sopra del mondo visibile e il suo linguaggio, pervaso da una luce quasi dolorosa e teso come un arco verso il mondo spirituale, si fa preghiera. E le preghiere sono simili agli uccelli: liberi e difficili da catturare, eppure messaggeri di una salvezza inattingibile.

Introduzione di Marica Bodrožić Traduzione di Fabio Cremonesi e Umberto Gandini 2009 pp.224/ €16,00 978-88-95538-28-0 ifuochi

In una prosa capace di narrare con potente suggestione «un mondo distrutto» – come scrisse Thomas Bernhard, che fu tra i più entusiasti ammiratori della Lavant – si muovono figure in continua lotta per uscire da un isolamento non voluto e imposto loro da miseria e malattie. Un desolante senso di straniamento induce le figure femminili che animano questi racconti a un personalissimo dialogo con il divino, simili a profeti biblici al cospetto del Dio degli eserciti. La narrativa della Lavant si innalza al di sopra del mondo visibile e il suo linguaggio, pervaso da una luce quasi dolorosa e teso come un arco verso il mondo spirituale, si fa preghiera. E le preghiere sono simili agli uccelli: liberi e difficili da catturare, eppure messaggere di una salvezza inattingibile.


stelio mattioni

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stelio mattioni (1921-1997), triestino, ha trascorso l’intera vita nella sua città natale lavorando presso una raffineria, prima come impiegato poi in qualità di dirigente, e coltivando parallelamente la passione per la letteratura. Scoperto da Bobi Bazlen, ha pubblicato tra la fine degli anni sessanta e i primi anni ottanta cinque volumi per la casa editrice Adelphi che lo hanno collocato di diritto tra i più originali e dotati scrittori italiani. È stato spesso accostato a Buzzati per la ricchezza e l’enigmaticità del suo mondo fantastico, e a Pirandello per le sue storie segnate dall’inesorabile insinuarsi dell’assurdo nel reale. Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo il romanzo Tululù (Adelphi, 2002) e la raccolta di scritti Memorie di un fumatore (MGS, 2009), entrambi postumi.

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heiner müller heiner müller (1929-1995), poeta e drammaturgo, è stato per oltre un ventennio uno degli autori più rappresentati sui palcoscenici internazionali. Dopo la guerra decide di diventare cittadino della neonata DDR, dove vive e lavora tra fortune alterne fino alla sua definitiva dissoluzione nel 1990. Le sue opere saranno sempre bersagliate dalla censura, sin dagli esordi nei primi anni sessanta, quando subisce la clamorosa espulsione dall’Unione degli Scrittori tedesco-orientali, tra le cui fila viene riammesso soltanto nel 1988, all’apice della sua fama mondiale. Membro dell’Accademia delle Arti, nella Germania riunificata è direttore del celebre Berliner Ensemble. Nella sua lunga e travagliata carriera ha ricevuto, tra gli altri, il prestigioso Georg-BüchnerPreis (1985) dalla Repubblica federale tedesca e il Premio Nazionale (1986), massimo riconoscimento scientifico e culturale nella DDR.

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gennaio 2011

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Prefazione di Francesco De Nicola pp.144/ €15,00 978-88-95538-77-8

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Dolodi è un vecchio intrigante, colto e squattrinato, il quale irretisce una giovane coppia e la convince ad acquistare la sua grande e fatiscente casa, che sorge isolata a ridosso del confine di Stato e su cui gravano oscure ipoteche. Quel luogo suscita da subito l’impressione di una minaccia incombente e si trasforma in un labirinto nel quale precipitano angosce e forze malvagie. Ad accrescere una strana sensazione di ineluttabilità, i paletti che segnano la vicina frontiera vengono spostati nottetempo da mani ignote, quasi il confine volesse impossessarsi della casa e dei suoi abitanti, stringendosi intorno a loro come un laccio. Mattioni, scrittore definito da Calvino «misterioso sul serio», ci conduce in queste pagine – animate da un’inconsueta forza letteraria – fino a quel confine errante e provvisorio che separa la realtà dall’ignoto.

GueRRa senZa BattaGlia Krieg ohne Schlacht. Leben in zwei Diktaturen

A cura di Valentina Di Rosa Postfazione di Durs Grünbein Traduzione di Valentina Di Rosa ed Elisabetta Villano 2010 pp.400/ €26,00 978-88-95538-36-5

“Una vita in due dittature”, come recita il sottotitolo della sua intensa autobiografia, è la chiave per comprendere il percorso intellettuale, artistico e personale di Heiner Müller, il più grande drammaturgo tedesco del Novecento dopo Bertolt Brecht. Trascorsa la giovinezza nella Germania nazista, nessuno come lui ha attraversato in maniera così significativa la vicenda storica della DDR, dalla nascita fino al clamoroso tracollo, e testimoniato con la sua vita e la sua opera l’ambiguo rapporto tra intellettuale e potere. Le sue opere teatrali, inizialmente di chiara derivazione brechtiana, spaziano dalle tematiche politicosociali alla reinterpretazione in chiave moderna del dramma antico. In esse Müller ha modo di denunciare sia le degenerazioni totalitarie del comunismo sia le contraddizioni globali del capitalismo. Intorno alla sua figura si concentrano tuttora vivaci discussioni critiche.


Walter F. otto

Friedrich W.J. schelling

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Friedrich W.J. schelling (1775-1854) si presenta precocissimo sulla scena della grande filosofia tedesca nella sua età aurea. Lo sviluppo del suo pensiero è assai complesso e oggetto tuttora di animate discussioni critiche. Dopo un primo periodo di grande notorietà in cui viene largamente imitato come “filosofo della natura”, in coincidenza con l’ascesa dell’astro hegeliano e dell’idea filosofica di “sistema” Schelling sperimenta una crisi stilistica, di pensiero e personale, dalla quale si riprende, per così dire, soltanto molti anni dopo, allorché inizia a scrivere quella che i manuali ricordano come “filosofia positiva”. Testimonianza di quella crisi e, assieme, accenno di una rinascita, è Clara, vero e proprio esperimento filosofico e linguistico.

Walter Friedrich otto (1874-1958) è stato filologo, storico delle religioni e mitologo. Il suo nome compare a pieno titolo tra i maggiori interpreti della religione greca classica. L’originalità e peculiarità della sua opera si distinguono in particolare negli studi sulla mitologia, dedicati in massima parte al rapporto tra mito, linguaggio e libertà umana. Scritti che hanno il pregio di sottolineare l’universale rilevanza simbolica e la profonda attualità dei poemi omerici e delle tragedie classiche, e che rimangono un modello per intere generazioni di studiosi. Otto è ormai ben noto in Italia anche grazie alle molteplici traduzioni ed edizioni delle sue opere più importanti, tra cui ricordiamo Dioniso (il melangolo, 1990), Il mito (il melangolo, 1993), Gli dèi della Grecia (Adelphi, 2004).

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Walter Friedrich Otto

Premessa di Giampiero Moretti

Walter F. Otto Il poeta e gli antichi dèi

Introduzione di Gianni Carchia Traduzione di Monica Ferrando 2008 pp.168/ €15,00 978-88-95538-15-0 ifuochi

ClaRa

Friedrich Wilhelm Joseph Schelling (1775-1854) si presenta precocissimo sulla scena della grande filosofia tedesca nella sua età aurea, vale a dire nel periodo compreso tra Kant e Nietzsche. Lo sviluppo del suo pensiero è assai complesso e oggetto tuttora di vivaci discussioni critiche. Diviene inizialmente noto e largamente imitato come “filosofo della natura”, in contrapposizione cioè alla tendenza - evidente nel pensiero di Fichte - a indirizzare la ricerca filosofica quasi esclusivamente al fenomeno della soggettività, fosse questa empirica o trascendentale. Dopo un primo periodo di grande notorietà, e in coincidenza con l’ascesa dell’astro hegeliano e dell’idea filosofica di “sistema”, Schelling sperimenta una crisi stilistica, di pensiero e personale, dalla quale si riprende, per così dire, soltanto molti anni dopo, allorché inizia a scrivere quella che i manuali ricordano come la filosofia “positiva”. Testimonianza di quella crisi e, assieme, accenno di una rinascita, è il Clara, vero e proprio esperimento filosofico e linguistico, composto molto probabilmente intorno al 1810. Schelling, che sembra avesse dato ordine ai suoi esecutori testamentari di distruggerlo, vi persegue con delicatezza ma anche ossessivamente una riflessione sull’invisibile che lo porta vicino alle tematiche dalle quali, come spiega Giampiero Moretti nella sua Premessa, sarebbe successivamente scaturito il Seraphîtà di Honoré de Balzac, indicando con ciò un “ponte” spirituale tra Germania e Francia a tutt’oggi estremamente nascosto e inosservato.

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F.W.J. Schelling Clara

Clara

Il poeta e gli antichi dèi

Der Dichter und die alten Götter

Il poeta e gli antichi dèi, risalente al 1942, testimonia uno dei momenti più alti e concentrati della riflessione di Walter Otto, in cui il grande studioso si interroga sulla possibilità della poesia e della contemplazione poetica in un’epoca in cui gli antichi dèi, che di esse sono stati la vera fonte, sono ormai fuggiti, o comunque assenti. Ne emerge il conflitto tra l’eccessivo sentimentalismo dell’età moderna e contemporanea da un lato, e l’aridità di tale sentire dall’altro. Un’aridità che il poeta cerca di aggirare e superare nel ricorso ora al “contenuto” poetico per eccellenza, la mitologia, ora all’interiorità individuale e ispirata. Goethe e Hölderlin costituiscono, agli occhi di Otto, due fondamentali eccezioni al disincantato destino dell’Occidente.

F.W.J. Schelling

il poeta e Gli antiChi DÈi

Il poeta e gli antichi dèi, risalente al 1942, testimonia uno dei momenti più alti e concentrati della riflessione di Walter Friedrich Otto e potrebbe essere affiancato, per tematica e profondità, al famoso testo di Friedrich Schiller Sulla poesia ingenua e sentimentale (1796). Ne condivide infatti l’interrogativo essenziale, vale a dire: è possibile la poesia in un’epoca in cui gli antichi dèi, che ne sono stati la vera fonte, sembrano ormai fuggiti, o sono comunque assenti? Il contrasto, che talvolta si configura come vero e proprio conflitto, è perciò quello tra l’eccessivo sentimentalismo dell’età moderna e contemporanea, da un lato, e l’aridità di tale sentire dall’altro. Un’aridità che il poeta cerca di aggirare e superare nel ricorso ora al contenuto poetico per eccellenza (la mitologia) ora all’interiorità individuale e ispirata. Goethe e Hölderlin costituiscono, agli occhi di Otto, due eccezioni fondamentali a tale disincantato destino dell’Occidente, perché declinano, sia pure in modo diverso, la medesima eccezionalità che - in ciò Otto riprende Nietzsche - aveva caratterizzato sin dalle scaturigini l’anima dei Greci. Il volume è corredato da un’Introduzione di Gianni Carchia e da una Premessa di Giampiero Moretti, che ne inquadrano rispettivamente il significato all’interno della produzione dello stesso Otto e le problematiche legate alla ricezione di tale opera nel contesto degli studi di estetica e di ermeneutica dalla seconda metà del Novecento ai giorni nostri.

Clara oder über den Zusammenhang der Natur mit der Geisterwelt

Con il dialogo Clara Schelling pone un problema che è contemporaneamente esistenziale e metafisico: a fondamento della domanda, se e in quale modo sia possibile concepire in modo filosofico, logico e concettuale un rapporto tra natura e mondo degli spiriti, tra vita fisica e vita spirituale, tra immanenza e trascendenza, si trova infatti la speranza di poter raggiungere, nel naturale, un momento che assicuri la sopravvivenza dell’uomo dopo la morte. Quest’ultima questione anima l’intenzione più profonda di Schelling, il quale scrive il dialogo soprattutto per trovare risposte al dolore provocato dalla prematura morte della moglie Caroline Michaelis (1809). Non si tratta tuttavia del tradizionale problema dell’immortalità dell’anima, anche se il Clara possiede qualche analogia con il Fedone platonico. Schelling, infatti, non cerca soltanto la sopravvivenza dell’anima o dello spirito dopo la morte, ma mira alla sopravvivenza dell’uomo intero, incluso il suo corpo, la sua dimensione naturale e sensibile. La radicalità e la sincerità della domanda si riflettono in un linguaggio che da concettuale e filosofico spesso si trasforma in poetico e descrittivo, e nella cornice offerta quasi per intero da ambienti naturali, che non fanno solo da sfondo romantico alle argomentazioni filosofiche, ma costituiscono il necessario punto di partenza per qualsiasi conoscenza del mondo degli spiriti. Solo chi conosce fino in fondo la natura, infatti, può spingersi fino alle vette più alte della speculazione filosofica.

Premessa di Giampiero Moretti Con uno scritto di Alfred Baeumler A cura di Markus Ophälders

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2009 pp.176/ €14,50 978-88-95538-21-1 ifuochi

Con il dialogo Clara Schelling pone un problema che è esistenziale e metafisico al contempo: la domanda filosofica intorno al rapporto che esiste tra natura e mondo degli spiriti, tra vita fisica e vita spirituale. A fondamento di tale problema vi è la speranza di poter raggiungere, nella dimensione naturale, un momento che assicuri la sopravvivenza dell’uomo – incluso il suo corpo e la sua sfera sensibile – dopo la morte. La radicalità e la sincerità della domanda si riflettono in un linguaggio che da filosofico spesso si trasforma in poetico e descrittivo. Schelling scrive il dialogo, rimasto peraltro incompiuto, all’indomani della prematura morte della moglie Caroline Michaelis (1809) e pare avesse dato ordine ai suoi esecutori testamentari di distruggerlo.


Boris pahor

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Boris pahor (1913), decano della letteratura slovena, è nato e vive tuttora a Trieste. Vera e propria coscienza critica del Novecento, voce vibrante di una minoranza linguistica perseguitata e ridotta al silenzio, durante la seconda guerra mondiale prese parte alla resistenza antifascista slovena. Tradito da una delazione finì deportato nei lager nazisti tra il 1944 e il 1945, una vicenda tragica – rievocata nel suo capolavoro Necropoli (Fazi, 2008) – che ha dato un’impronta decisiva a tutta l’opera successiva. Più volte segnalato all’Accademia reale svedese per il Nobel, è stato insignito in Francia della Légion d’honneur (2007) per i meriti in campo letterario. Tra le sue più recenti pubblicazioni in italiano ricordiamo Tre volte no (Rizzoli, 2009) e Piazza Oberdan (Nuova Dimensione, 2010).

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Rievocando le suggestioni di una città elusiva e ammaliatrice come Trieste, questa raccolta di racconti non solo lievita ai livelli più alti della grande letteratura europea ma prelude a quasi tutta la restante produzione del grande autore sloveno quanto a temi e motivi ispiratori, restituendo al lettore italiano aspetti della storia contemporanea dimenticati o colpevolmente rimossi. Accanto alla limpida passione civile, tuttavia, la sensibilità di Pahor fa vibrare altre corde. Lo sguardo tenero sul fragile e indifeso mondo dell’infanzia, la lirica rievocazione di paesaggi marini e lande carsiche, le sottili notazioni psicologiche danno la misura di una straordinaria sensibilità letteraria.

il RoGo nel poRto Kres v pristanu

A cura di Anna Raffetto 2008 pp.240/ €18,00 978-88-95538-11-2

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Boris Pahor Una primavera difficile Una primavera difficile

Sì, forse è possibile scrivere un libro o dipingere un quadro pieno di sole, anche senza aver mai visto il sole, senza averne assorbito i raggi, purché lo si desideri ardentemente. Forse bisognerebbe cancellare il passato, oppure vivere come se fosse già stato cancellato. Vivere come quelli ai quali si vorrebbe somigliare, solo così si comincerebbe davvero a essere loro simili.

Boris Pahor

Boris Pahor (1913), autentico patriarca della letteratura slovena e, per le sue coraggiose prese di posizione contro ogni forma di totalitarismo, punto di riferimento per più di una generazione di intellettuali e scrittori, vanta una vasta produzione sia narrativa sia saggistica sempre animata dalla difesa della dignità della persona e delle identità nazionali e culturali. La sua è una vita segnata da persecuzioni politiche: nel 1920, a sette anni, assiste a Trieste, la sua città natale, all’incendio del Narodni dom, la casa della cultura slovena, per mano delle Camice nere; nel 1944 – tradito da una delazione – è arrestato e consegnato alla Gestapo, che lo deporta a Dachau come prigioniero politico. Di lì passerà in altri lager: Natzweiler-Struthof sui Vosgi, Dora Mittelbau, Harzungen, Bergen-Belsen. Dopo la fine della guerra fonda la rivista “Zaliv” (Il golfo), attenta al processo di democratizzazione della Slovenia e alle tensioni fra Est e Ovest, particolarmente sentite nella Trieste postbellica, entrando più volte in conflitto con le autorità jugoslave che gli vietano infine l’ingresso nel territorio della Repubblica federale per alcuni anni. Per l’autorevolezza della sua voce e il valore della sua produzione letteraria è stato più volte candidato al Nobel per la letteratura e insignito di numerosi premi e riconoscimenti. Tra le sue opere tradotte in italiano ricordiamo La villa sul lago (Rovereto 2002), Necropoli (Roma 2008), Qui è proibito parlare (Roma 2009). Per le edizioni Zandonai sono usciti il romanzo Il petalo giallo (2007) e la raccolta di racconti Il rogo nel porto (2008).

una pRimaVeRa DiFFiCile

Maggio 1945. Un reduce sloveno dai campi di concentramento nazisti giace in un sanatorio alle porte di Parigi. La sua vita somiglia a un dormiveglia dentro una serra di vetro, un dormiveglia attraversato di continuo dalle immagini di là, di quel mondo dove ha visto consumarsi la distruzione. «Lui prima della Germania e lui dopo la Germania, chissà se questi due uomini si sarebbero mai incontrati» si chiede il protagonista, Radko Suban, esprimendo in modo mirabile il dissidio lancinante da cui scaturisce – necessaria e alta – la narrativa di Pahor e la sua appassionata testimonianza civile. La ricchezza del suo talento letterario non si lascia tuttavia confinare alla pura e sofferta memoria del lager o al farsi voce della minoranza slovena perseguitata. Nelle pagine di questo intenso romanzo, infatti, a quell’uomo spezzato in due dalla barbarie è data malgrado tutto la possibilità di ritrovare se stesso e di rinascere grazie all’amore di Arlette, una giovane infermiera francese. Un amore contrastato, in cui nulla è certo: eppure ogni gesto di lei ha il sigillo di una vitalità che sconfigge le ombre e porta in sé una promessa di libertà che lo scrittore ritrae con commozione e stupore, lo stesso che ci coglie dinanzi al «perenne e impercettibile germogliare della terra, buona e immensa».

Spopad s pomladjo

Traduzione di Mirella Urdih Merkù 2009 pp.344/ €18,00 978-88-95538-32-7 ifuochi

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Maggio 1945. Un reduce sloveno dai lager nazisti è ospite di un sanatorio alle porte di Parigi. Attraversata di continuo dalle immagini «di là», di quel mondo dove ha visto consumarsi la distruzione, la sua vita riflette il lancinante dissidio interiore da cui scaturisce – necessaria e alta – la narrativa di Pahor e la sua appassionata testimonianza civile. Nelle pagine di questo intenso romanzo, infatti, la ricchezza del suo talento letterario non si lascia confinare alla pura e sofferta memoria del lager o al farsi voce della minoranza slovena perseguitata. Al protagonista è data malgrado tutto la possibilità di ritrovare se stesso e di rinascere grazie all’amore. Un amore contrastato, in cui nulla è certo, ma dove ogni singolo gesto ha il sigillo di una vitalità che sconfigge le ombre portando in sé una promessa di libertà.


Arno Schmidt

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Arno Schmidt (1914-1979) è uno degli autori più discussi del Novecento tedesco. Amato fino all’idolatria e criticato fino al disprezzo, la sua opera rappresenta certamente un unicum nella letteratura mondiale. Complessità formale e liricità, intima tragedia e dissacrante umorismo si fondono fino a risultare indistinguibili, dando vita a romanzi dalla straordinaria potenza espressiva. Paesaggio lacustre con Pocahontas, pubblicato in Germania nel 1955, gli costò una citazione per vilipendio della religione e pornografia, accuse che testimoniano molto di più la realtà sociale e culturale del tempo che non la peculiarità del testo. Scrittore assai prolifico, buona parte del suo patrimonio letterario non è stato ancora tradotto in italiano. Negli ultimi anni l’editore Lavieri ha dedicato alla pubblicazione di alcune sue opere inedite la collana dal titolo “Arno”.

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Rade Šerbedžija

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Rade Šerbedžija (1946) è un raffinato poeta e cantautore, ma soprattutto uno dei più noti attori della ex Jugoslavia. Diplomato all’Accademia d’Arte drammatica di Zagabria, lavora con i più importanti registi jugoslavi e si distingue come grande interprete shakespeariano. Nei primi anni novanta decide di lasciare il proprio Paese sconvolto dalla guerra civile e, dopo un soggiorno a Londra, di stabilirsi negli Stati Uniti, dove comincia a lavorare per le produzioni hollywoodiane. Il successo internazionale sul grande schermo arriva con Prima della pioggia (1994) di Milcho Manchevski (Leone d’Oro a Venezia) e con Eyes Wide Shut (1998) di Stanley Kubrick. In Italia ha pubblicato una raccolta di poesie dal titolo L’amico dice di non conoscerlo più (Amos, 2004).

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maggio 2011

PAESAGGIO LACUSTRE CON Pocahontas Seelandschaft mit Pocahontas

A cura di Dario Borso pp.112/ €13,00 978-88-95538-58-7

Germania, secondo dopoguerra. Uno scrittore disoccupato e un facoltoso pittore vedovo decidono di trascorrere assieme una breve vacanza sul lago di Dümmer, nell’Oldenburgo. Lì incontrano due ragazze, che diventano subito oggetto delle loro passioni compulsive e sfrenate. Lo scrittore Joachim, io narrante di questo racconto lungo, finirà per scoprire in una di loro, Selma, la sua Pocahontas, la donna che – come la celebre eroina pellerossa – lo salverà dall’abisso in cui la recente esperienza in guerra lo ha fatto precipitare. Con la consueta scrittura magmatica, funambolica, solcata da rimandi e citazioni, Arno Schmidt plasma una delle storie d’amore più intense della letteratura tedesca, in cui un audace e avvolgente erotismo ha lo scopo di cancellare le ferite sottocutanee inferte ai corpi e alle coscienze dalla dittatura nazista.

Fino all’ultimo respiro Do poslednjeg daha

A cura di Dunja Badnjević Con una nota di Miljenko Jergović 2010 pp.456/ €27,00 978-88-95538-35-8

«L’ultimo decennio jugoslavo ha avuto le sue stelle e le sue icone culturali. Per la letteratura c’era Danilo Kiš e per il teatro Rade Šerbedžija». Parola di Miljenko Jergović. Talento poliedrico, artista istrionico e ribelle, Šerbedžija ha attraversato gli anni cruciali della Jugoslavia da protagonista, sempre sopra le righe: dalla Primavera croata alle irriverenti esibizioni davanti ai gerarchi di Partito; dagli incontri con Miroslav Krleža, suo padre spirituale, ai vecchi amici travolti dalla deriva nazionalistica; dall’urlo disperato della Sarajevo assediata alla sofferta fuga all’estero e al ritorno da “traditore”. E la sua vicenda artistica e umana si è a tal punto intrecciata alla storia di un Paese che non esiste più, da trasformarsi nella biografia un’intera nazione. Una vita da autentico mattatore, sempre alla rincorsa, voluttuosa fino all’ultimo respiro.


aleš Šteger

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aleš Šteger (1973) è uno degli interpreti più brillanti ed eclettici della nuova letteratura slovena e un protagonista della vivacissima scena culturale lubianese. Scrittore cosmopolita, traduttore, critico letterario, fotografo, direttore editoriale, ideatore di importanti festival letterari, instancabile giramondo, ha al suo attivo diverse raccolte di poesia, tradotte in varie lingue, e un racconto di viaggio. Affresco incisivo e al tempo stesso surreale di un ispirato flâneur, il suo Berlin si è aggiudicato in patria il premio Marjan Rožanc per il miglior saggio 2007.

aleksandar tišma

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aleksandar tišma (1924-2003), tra i più autorevoli e apprezzati scrittori della ex Jugoslavia, è nato in un villaggio della Vojvodina, regione da sempre crocevia di identità ed etnie differenti. Di madre ebrea ungherese e di padre serbo, è scampato allo sterminio degli ebrei di Novi Sad e ha ambientato nella complessa e spesso drammatica realtà del dopoguerra alcuni tra i suoi romanzi e racconti più belli. Opere dettate da una profonda riflessione sul significato della colpa, sul confine spesso labile tra vittime e carnefici, e che narrano storie di ordinaria efferatezza e di piccole pavidità umane. Ne sono testimonianza, oltre a Kapò, anche L’uso dell’uomo (Jaca Book, 1988) e Il libro di Blam (Feltrinelli, 2000).

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Berlin

Prefazione di Dario Borso

Traduzione di Michele Obit 2009 pp.136/ €15,00 978-88-95538-22-8 ifuochi

La Berlino raccontata da Aleš Šteger in trenta brevi e audaci prose è una città-fessura in cui ci si smarrisce, una metropoli piena di buchi neri che inghiottono il passante per poi risputarlo fuori come dall’altra parte di uno specchio magico. A Berlino gli orli del tempo frantumato sono visibili ovunque, al pari di quella «doppia traccia rosso mattone sull’asfalto» in cui i piedi continuano a Ci sono persone che agiscono nobilmente incespicare, come se il Muro non fosse ab- la loro bontà per tutta stato la vita, spendono poco per volta, senza dare nell'occhio, ma battuto ma «semplicemente sepolto». Fluttuando quando un grande slancio coglie gli animi piccoli, è come un'esplosione di fuochi fra generi diversi – racconto di viaggio, taccuino d'artificio, danno tutto in una volta, senza filosofico e saggio poetico – l’autorerisparmio… scrive in una sorta di simbiosi lirica con le strade, i monumenti, i cimiteri e persino con le fenditure dell’asfalto della città, cogliendone emblemi, splendori e cadute, e delineando in pochi sapienti tocchi i tratti dei berlinesi, «maestri del vivere nel vuoto». Aleksandar Tišma (1924-2003) è stato tra i più autorevoli e apprezzati scrittori della ex Jugoslavia. Originario della Vojvodina, regione da sempre mosaico di identità e culture differenti, può essere accostato ad autori del calibro di Danilo Kiš, Czesław Miłosz, Imre Kertész per la marcata sensibilità mitteleuropea che colloca le sue opere nell’alveo della grande letteratura del secolo scorso. Di madre ebrea ungherese e di padre serbo, Tišma, scampato allo sterminio degli ebrei di Novi Sad, ha ambientato nella complessa e spesso drammatica realtà del Dopoguerra alcuni tra i suoi romanzi e racconti più belli, dettati da una profonda riflessione sul significato della colpa, sul confine spesso labile tra vittime e carnefici, e che narrano storie di ordinaria efferatezza e di piccole pavidità umane. Ne sono testimonianza, oltre a Kapò, anche L’uso dell’uomo ( Jaca Book, 1988) e Il libro di Blam (Feltrinelli, 2000). Tišma è noto inoltre al pubblico italiano per la raccolta di racconti Scuola d’empietà (e/o, 1988) e per il romanzo Pratiche d’amore (Garzanti, 1993), storia di un gruppo di prostitute di Novi Sad.

€ 23,00

Aleksandar Tišma Kapò

Kapò

BeRlino Con il dialogo Clara Schelling pone un problema che è contemporaneamente esistenziale e metafisico: a fondamento della domanda, se e in quale modo sia possibile concepire in modo filosofico, logico e concettuale un rapporto tra natura e mondo degli spiriti, tra vita fisica e vita spirituale, tra immanenza e trascendenza, si trova infatti la speranza di poter raggiungere, nel naturale, un momento che assicuri la sopravvivenza dell’uomo dopo la morte. Quest’ultima questione anima l’intenzione più profonda di Schelling, il quale scrive il dialogo soprattutto per trovare risposte al dolore provocato dalla prematura morte della moglie Caroline Michaelis (1809). Non si tratta tuttavia del tradizionale problema dell’immortalità dell’anima, anche se il Clara possiede qualche analogia con il Fedone platonico. Schelling, infatti, non cerca soltanto la sopravvivenza dell’anima o dello spirito dopo la morte, ma mira alla sopravvivenza dell’uomo intero, incluso il suo corpo, la sua dimensione naturale e sensibile. La radicalità e la sincerità della domanda si riflettono in un linguaggio che da concettuale e filosofico spesso si trasforma in poetico e descrittivo, e nella cornice offerta quasi per intero da ambienti naturali, che non fanno solo da sfondo romantico alle argomentazioni filosofiche, ma costituiscono il necessario punto di partenza per qualsiasi conoscenza del mondo degli spiriti. Solo chi conosce fino in fondo la natura, infatti, può spingersi fino alle vette più alte della speculazione filosofica.

Aleksandar Tišma

Aleš Šteger

Berlino

Aleš Šteger Berlino

KapÒ Kapo

Alla follia della distruzione che impera nel lager c’è chi è riuscito a resistere e chi ha accettato di ritardare la propria morte affrettando quella altrui: il kapò. In questo straordinario romanzo Tišma descrive – con una potenza letteraria e un rigore documentario da togliere il respiro – la caparbia vitalità e la forza animalesca che consentono a Vilko Lamian, un ebreo battezzato e assimilato, di sopravvivere a Jasenovac e Auschwitz cambiando identità e trasformandosi nel kapò Furfa. Ora, dopo la guerra, tormentato dal ricordo dei suoi misfatti e dal terrore della vendetta postuma della storia, ma soprattutto ossessionato dalla figura di una delle sue vittime, Helena Lifka, si mette sulle tracce della donna, convinto che solo lei possa giudicarlo e magari assolverlo. Tišma indaga qui – sollevandosi nettamente al di sopra di ogni contingenza e con una sensibilità lancinante nel registrare il frantumarsi dell’identità – ciò che resta di un uomo quando è costretto ad attingere alle sue estreme risorse, a scacciar via da sé ogni timore e senso di pietà. E la sua opera, uno dei capolavori della letteratura concentrazionaria, è prodigiosamente all’altezza del compito: ferisce, viviseziona, scuote le certezze, ci tiene all’erta contrastando l’oblio.

Traduzione di Alice Parmeggiani 2010 pp.328/ €23,00 978-88-95538-39-6 ifuochi

Alla follia della distruzione che impera nel lager c’e chi si è adattato e ha accettato di ritardare la propria morte affrettando quella altrui: il kapò. In questo straordinario romanzo, uno dei capolavori della letteratura concentrazionaria, Tišma descrive – con una potenza letteraria e un rigore documentario da togliere il respiro – la caparbia vitalità e la forza animalesca che consentono a Vilko Lamian, ebreo battezzato e assimilato, di sopravvivere a Jasenovac e Auschwitz cambiando identità e trasformandosi nel kapò Furfa. Ora, dopo la guerra, tormentato dal ricordo dei suoi misfatti e dal terrore della vendetta postuma della storia, ma soprattutto ossessionato dalla figura di una delle sue vittime, Helena Lifka, si mette sulle tracce della donna, convinto che solo lei possa giudicarlo e magari assolverlo.


Friedrich torberg

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Friedrich torberg (1908-1979), intellettuale dal talento multiforme, fu romanziere, poeta, polemista, sceneggiatore, critico teatrale e traduttore, sicuramente una delle personalità più controverse della cultura ebraica negli anni della guerra fredda. Nato a Vienna da una famiglia di ebrei praghesi, dopo il felice esordio letterario con il “thriller scolastico” Der Schüler Gerber, è costretto, con l’avvento del nazismo, a un lungo esilio che lo fa approdare infine negli Stati Uniti, dove scrive Mia è la vendetta. Rientrato in Europa intensifica la sua attività di giornalista e si distingue per le sue posizioni di intellettuale anticonformista. Poco prima di morire riceve il Grosser Staatspreis für Literatur, massimo riconoscimento letterario austriaco.

Giorgio Vigolo

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Giorgio Vigolo (1894-1983) è stato poeta e narratore, critico musicale e traduttore. La sua ricca attività letteraria copre un arco cronologico che va dagli esordi su “La Voce”, negli anni 1915-16, fino alla tarda produzione degli anni sessanta. Ha sempre alternato una vasta produzione di poesie e prose all’assiduo impegno di studioso, che ha portato all’edizione critica dei Sonetti del Belli (Mondadori, 1952) e alla traduzione delle Poesie di Hölderlin (Einaudi, 1958). I suoi brillanti scritti di critica musicale, frutto di una lunga collaborazione con “Il Mondo” e il “Corriere della Sera”, gli hanno valso la nomina ad accademico di Santa Cecilia.

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mia È la VenDetta Mein ist die Rache

A cura di Haim Baharier Con una nota di Giusi Drago Traduzione di Martino Tranker 2010 pp.88/ €11,00 978-88-95538-45-7

«Non è una storia che si racconta così, tanto per ingannare il tempo.» Inizia in questo modo il racconto di un uomo scampato a un lager nazista sul confine olandese. A tormentarlo ancora adesso è il ricordo delle torture a cui sono stati sottoposti i suoi compagni, tanto spietate da spingerli al suicidio di fronte agli stessi aguzzini. Alla proposta di uccidere il sadico comandante del campo durante uno dei suoi interrogatori si formano due gruppi: c’è chi sostiene la necessità della vendetta e chi ritiene invece che il compito di far rispettare la giustizia spetti unicamente a Dio. In una narrazione di straordinaria chiaroveggenza, pubblicata nel 1943 durante l’esilio americano, e ritenuta unanimemente il suo capolavoro, Torberg porta ai suoi più radicali esiti il dramma della non resistenza ebraica e il tema della legittima difesa.

DiaBolus in musiCa

A cura di Cristiano Spila 2008 pp.116/ €13,00 978-88-95538-07-5

Il volume, pensato da Giorgio Vigolo già nel 1967, raccoglie una scelta di testi inediti, molti dei quali scritti per la trasmissione radiofonica Musica e poesia. Qui Vigolo apre, con le sue scelte linguistiche, le suggestioni letterarie e filosofiche, e la sua padronanza della materia frutto di estesi e meditati studi, un nuovo e illuminante spazio alla critica musicale, inseguendo il significato propriamente “diabolico” della musica. Vale a dire: versatile musa capace di trasmigrare, come la poesia, in altre forme artistiche. Brevi, veloci e di squisito gusto letterario, questi saggi restituiscono con maestria l’atmosfera poetica delle opere musicali e captano ciò che nella musica si nasconde: l’anelito di assoluto, la dimensione ritmica come memoria dei suoni, le inquietudini etiche.


fuoricollana

anteprime 2012/ ifuochi

A cura di Luca Vaglio Traduzione di Giovanni Bensi

Vladan Desnica LE PRIMAVERE DI IVAN GALEB Proljeća Ivana Galeba

Traduzione di Darja Betocchi

Lojze Kovačič GLI IMMIGRATI (Vol. I) Prišleki

Stelio Mattioni LA CITTÀ DEGLI STRACCIONI

Traduzione di Angelo Lumelli

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Friedrich Torberg L’ALLIEVO GERBER Der Schüler Gerber

maggio 2011 Suppliziario salgariano

SUPPLIZIARIO SALGARIANO

A cura di Santi Urso con illustrazioni pp.128/ €13,00 978-88-95538-85-3

Il 25 aprile 1911 moriva suicida Emilio Salgari, uno scrittore che come pochi è riuscito ad avvincere alle pagine dei suoi libri e alle sue travolgenti favole intere generazioni. E nel momento in cui si celebra il centenario della sua morte, è ormai diventato un classico della letteratura italiana, di cui si pubblicano edizioni critiche e ponderosi studi esegetici. Sentiamo dunque il bisogno di dedicargli un piccolo, insolito omaggio, un Suppliziario illustrato, ovvero “Tutto Salgari tortura per tortura”, a cura di Santi Urso. Si tratta di un repertorio di punizioni, atrocità e pene capitali descritte dal re dell’avventura, che hanno nutrito le emozioni e la fantasia di tanti appassionati lettori, più o meno giovani. I libri di Salgari contengono infatti un vero e proprio arsenale di «spaventevoli torture», che strappano alle vittime «urla che nulla più hanno di umano», e da cui trarre un dizionario di esotici supplizi, dall’Alaska alla terra degli Zulu, dove l’autore pare incontrare, come in un esercizio ludico a distanza, il marchese de Sade. Un’antologia di piccoli martìri che nei tempi cupi in cui viviamo, predatori di sogni e fantasie, può addirittura diventare un catalogo di descrizioni ammonitrici. Suppliziario salgariano segue le tracce di un’immaginazione senza confini, sorretta però sempre da una precisa intuizione, come ha sottolineato Folco Quilici: «Emilio ci ha aiutati a capire e a scegliere. A scegliere se stare dalla parte degli oppressi o degli oppressori. Il che, se permettete, non è poco».

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ipiccolifuochi La collana, dedicata alla narrativa contemporanea, è nata dal progetto di portare alla luce alcune stimolanti declinazioni della nozione di “confine” (confine geografico così come confine interiore) che emergono da letterature spesso lasciate ai margini. Particolare attenzione è rivolta alla scena letteraria mitteleuropea e alle voci della nuova Europa che si sta delineando al di là della frontiera orientale, soprattutto nei Paesi della ex Jugoslavia, ricca di scrittori di primo rango a cui è toccato il compito di narrare, tra l’altro, la scomparsa di un’intera nazione e ai quali l’editoria italiana ha sinora riservato spazi limitati e senza dubbio inadeguati al loro autentico valore letterario. Per lettori non conformisti e agili, che ancora non hanno perduto il piacere che scaturisce da prose di grande respiro ma nomadi e ribelli, intrise d’ironia e di descrizioni epiche.

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ipiccolifuochi

Da un vecchio e cigolante magnetofono torna a risuonare, a distanza di alcuni anni dalla sua morte, la voce di una donna. È l’io narrante ad aver inciso su nastro questa singolare intervista alla propria madre e quando ne riascolta le parole è ormai emigrato in Canada, dopo essere fuggito dal proprio Paese, la Jugoslavia dilaniata dalla guerra civile. Albahari tesse con straordinario talento narrativo una fitta trama di corrispondenze simboliche in cui il turbinoso destino di una famiglia ebraica e la testimonianza intensa e sofferta di una coraggiosa figura femminile – più che un angelo del focolare, quasi un angelo del dolore – vanno a comporre la biografia di un’intera nazione, fino al suo tragico disfacimento.

L’ esca Mamac

Da un vecchio e cigolante magnetofono torna a risuonare, a distanza di alcuni anni dalla sua morte, la voce di una donna. È l’io narrante ad aver inciso su nastro questa singolare intervista alla propria madre e quando ne riascolta le parole è ormai emigrato in Canada, dopo essere fuggito dal proprio Paese, la Jugoslavia dilaniata dalla guerra civile. Albahari tesse con straordinario talento narrativo una fitta trama di corrispondenze simboliche in cui il turbinoso destino di una famiglia ebraica e la testimonianza intensa e sofferta di una coraggiosa figura femminile – più che un angelo del focolare, quasi un angelo del dolore – vanno a comporre la biografia di un’intera nazione, fino al suo tragico disfacimento. E quando il narratore vorrà fare della propria madre la protagonista di un romanzo, ecco che il delicato rapporto fra realtà e finzione lo prende all’amo: la madre è anche la lingua madre da lui rimossa, le pagine rischiano di non essere mai scritte, e fra vita reale e vita immaginata si apre un implacabile confronto, lo stesso che oppone l’aspirante autore a un vero scrittore canadese, suo mentore e amico. Due “poetiche” differenti, due antitetiche visioni del mondo – quella europea ostaggio della storia e quella nordamericana orgogliosamente priva di radici e di legami con il passato – rimandano entrambe alla possibilità di una lingua comune, che galleggi «in superficie, al limite dei mondi, al confine tra parola e silenzio».

David Albahari (1948) vive da molti anni in Canada ed è tra le voci più autorevoli della letteratura serba contemporanea. In italiano sono stati sinora tradotti La morte di Ruben Rubenovic (Hefti, 1989), Il buio (Besa, 2003) e Goetz e Mayer (Einaudi, 2006). Questo romanzo gli è valso il prestigioso premio NIN (1997).

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David Albahari L’esca

Traduzione di Alice Parmeggiani

ISBN 978-88-95538-02-0

€ 13,50

L’esca

David Albahari (1948) è tra le voci più autorevoli e originali della letteratura serba contemporanea. Scrittore di fama internazionale – le sue opere sono state tradotte in quattordici lingue diverse – e di solide radici ebraiche, la sua produzione letteraria è per molti versi di matrice autobiografica e ispirata spesso alla storia singolare e travagliata della propria famiglia, che si intreccia significativamente con le sorti del Paese natale, la Jugoslavia. Traduttore di Nabokov e Updike, dal 1993 vive in Canada, dove ha conosciuto una nuova e importante stagione creativa, testimoniata soprattutto dal premio NIN (1997) ottenuto con L’esca. Tra i suoi libri tradotti in italiano ricordiamo Il buio (Besa, 2004) e Goetz e Meyer (Einaudi, 2004).

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David Albahari

David Albahari

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2008 pp.128/ €13,50 978-88-95538-13-6

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LUDWIG Ludvig

Traduzione di Alice Parmeggiani 2010 pp.128/ €13,00 978-88-95538-43-3

Due scrittori belgradesi, un tempo amici inseparabili, sono ora avvinti da un odio incontenibile. Il primo, Ludwig, un vanaglorioso ex autore di bestseller, in pieno declino fisico, continua a essere idolatrato dal pubblico e dalla critica, e a calcare come una star la scena letteraria e mediatica. Il secondo è l’anonimo io narrante di questo sofferto e incalzante monologo, un perdente di talento ma in profonda crisi creativa, quasi predestinato al ruolo di cavalier servente dell’amico, più istrionico e spregiudicato di lui. Ne scaturisce un morboso gioco delle parti che culmina nell’acquisto di una pistola e in un inganno dalle tinte paradossali: l’appropriazione indebita di un libro mai scritto, il plagio di un’opera soltanto immaginata. E un grottesco intrecciarsi di verità e finzione: chi è il traditore e chi il tradito?

Zink Cink

Traduzione di Alice Parmeggiani 2009 pp.96/ €11,50 978-88-95538-23-5

Incalzato dai ricordi della lenta e straziante agonia del padre, il protagonista attraversa gli sterminati territori del Nordamerica che, con la loro vastità e solitudine, offrono la perfetta scenografia del disorientamento e della perdita di un centro, nella vita come nella scrittura. Commovente, ironica, dotata di una perspicacia dolorosa, la prosa di Albahari procede intessendo una rete di paradossi e giocando al sovrapporsi dei piani narrativi. Anche l’espediente del romanzo nel romanzo, pressoché una costante nella sua opera, finisce con il mettere a nudo l’impossibilità di raccontare la morte. Resta indicibile e inafferrabile, la morte; al massimo possiamo coglierne il risuonare: un misterioso rumore metallico, che vibra per un istante nell’aria, raggelante e dolce al contempo.


marica Bodrožić

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È moRto tito Tito ist tot

La morte del maresciallo Tito, osservata da una prospettiva infantile, è l’evento da cui prende origine questa intensa raccolta di racconti, nella quale Marica Bodrožić riesce a dar voce con sorprendente naturalezza alla meraviglia e allo sgomento di una bambina che osserva gli abitanti dei villaggi dalmati, l’aspro paesaggio che li circonda e la spietatezza del loro destino. A catturare il suo sguardo consapevole e innocente al tempo stesso, attento a ogni vibrazione segreta, sono uomini perduti e donne abbandonate, creature alla ricerca di un’identità e di una casa, emigrati per i quali la scrittrice riesce a costruire una dimora di parole, un luogo dove riecheggi la loro unicità. È dunque la lingua stessa a diventare la protagonista dei racconti, grazie a una potenza lirica e uno stile raffinato che non tradiscono mai la profonda capacità di percepire e amare il reale.

DestieRRo Carlo Cazzola Destierro

Prefazione di Claudio Magris Traduzione di Giusi Drago 2010 pp.136/ €13,50 978-88-95538-29-7

€ 14,00

Carlo Cazzola

è morto Tito

Joseph Zoderer (Merano, 1935) è uno dei più grandi scrittori contemporanei di lingua tedesca. Membro dell’Accademia tedesca per la Lingua e la Poesia, oltre a essersi aggiudicato il Premio d’Onore della Fondazione Schiller di Weimar (2001) e il prestigioso Premio Lenz (2003), recentemente è stato insignito del Premio Vogelweide. Tra le sue opere più importanti ricordiamo Lontano (Mondadori, 1986), Il silenzio dell’acqua sotto il ghiaccio, La notte della tartaruga (Einaudi, 1989, 1996), La vicinanza dei loro piedi (Nicolodi, 2005), La felicità di lavarsi le mani.

Destierro

Un’indomabile e crudele ambivalenza attraversa ogni pagina, quasi ogni riga, di questo tagliente romanzo giovanile di Zoderer, fino a sfociare in un assurdo gioco di seduzione e ripulsa. L’autore sembra quasi sdoppiarsi, diventando spettatore imparziale dei propri interiori naufragi: è il passato, non il futuro, che prende forma di volta in volta nelle pieghe di un corpo femminile o nella gelida intensità di uno sguardo. Con un linguaggio ossessivo, incalzante e a tratti visionario, Zoderer dà voce al fatale intreccio di fantasmi e conflitti, di intenzioni impedite e ripetuti smarrimenti, che si nasconde nei bui recessi del nostro “sottopelle”. L’aspra forza espressiva della sua scrittura, che prefigura uno stile ormai inconfondibile, riesce a trasformare frammenti di realtà quotidiana in piccoli specchi in cui il mondo onirico può riflettersi e baluginare dinanzi ai nostri occhi.

Marica Bodrožić è morto Tito

Marica Bodrožić

vive in a pubteraria, morto merosi velato, riginali

ipiccolifuochi

Carlo Cazzola (1948) ha studiato Teologia alla Facoltà valdese e successivamente Filosofia, ma anziché diventare un pensatore a tempo pieno o un pastore protestante, si è specializzato in Economia industriale, pur continuando a nutrire simpatia e amicizia per la coraggiosa minoranza eretica subalpina. Ex dirigente sindacale e ricercatore presso l’IRES, oggi si occupa prevalentemente di mercato e politica della concorrenza. Ha iniziato a dedicarsi piuttosto tardi alla narrativa, nonostante la scrittura sia stata una passione che lo ha accompagnato per tutta la vita. Destierro è il suo sorprendente esordio letterario.

marica Bodrožić (1973) è nata e cresciuta in Dalmazia, ma vive in Germania da oltre un quarto di secolo e scrive in tedesco («In nessun’altra lingua se non in quella tedesca sarei potuta diventare scrittrice»). Ha pubblicato volumi di prosa, raccolte di poesia, saggi di critica letteraria. Ha realizzato inoltre un film documentario sulla sua terra natia dal titolo Un viaggio nella mia Croazia. È morto Tito, la sua prima opera tradotta in italiano, le è valsa in Germania numerosi e importanti riconoscimenti di pubblico e di critica, e ha rivelato, secondo Claudio Magris, «una delle più singolari, fresche e originali voci della letteratura tedesca contemporanea».

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Carlo Cazzola

ipiccolifuochi

ISBN 978-88-95538-02-0

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2008 pp.112/ €11,00 978-88-95538-09-9

Chi subisce il destierro – l’espatrio – si mette in salvo, perdendo però ogni contatto diretto con le proprie origini. Il destierro costringe all’esercizio costante del ricordo, prolunga le sofferenze patite altrove, è nostalgia e silenzio. Ne vive tutto il dramma la giovane donna al centro di questo asciutto e vibrante romanzo. Fuggita dall’Argentina in mano alla giunta militare – dove ha conosciuto il sequestro e la tortura – e rifugiatasi a Roma, si trova a fronteggiare una duplice persecuzione: quella della memoria e quella di un implacabile nemico interno, che lentamente consuma il suo corpo. Destierro non è il semplice resoconto di un esilio, né soltanto una trascinante confessione. Ha l’impatto e la forza della letteratura che trasforma, con piena consapevolezza, il privato in narrazione e testimonianza.


Gian Conti

ipiccolifuochi

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Gian Conti, torinese, è un ex dirigente d’industria con la passione della scrittura, che ha coltivato sin dall’inizio con intenti prevalentemente contemplativi. Oggi è un rinomato collezionista e restauratore di antichi strumenti a corde, e scrittore noir, che riesce a trasmettere alle sue storie la stessa raffinata passione e cura del dettaglio. Vive, ripara e scrive tra Milano e le colline natie del Monferrato.

Una serie di inspiegabili omicidi compiuti nel centro di Parigi coinvolge l’imperturbabile commissario Desclos in un’incalzante trama investigativa. Senza alcun motivo apparente vengono uccisi a sangue freddo inermi e insospettabili cittadini. Pian piano il cerchio si allarga, le deboli tracce che collegano i delitti fra loro svelano un inquietante scenario internazionale e i destini di alcuni personaggi in fuga dal proprio passato vanno a comporre un appassionante mosaico di sangue, mutevoli identità e sinistri presagi. Fino a delineare, in un intreccio magistralmente orchestrato, un circolo chiuso, un loop, dove il confine naturale tra vittima e assassino viene a perdere i suoi definiti contorni.

loop

2008 pp.320/ €16,00 978-88-95538-16-7

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l’ ultimo anello

All’Academic Center di Amsterdam, il professor Kristoffel Mol, genetista di fama internazionale, è riuscito quasi per caso a sintetizzare cellule staminali pluripotenti in grado di rigenerare ogni tessuto umano. Si profila dunque un’ipotesi tanto intrigante quanto spaventosa: rallentare l’invecchiamento del corpo fino a esercitare un controllo assoluto sulla vita e la morte. La scoperta scatena interessi ad alto livello e una serie di efferati delitti, apparentemente slegati l’uno dall’altro, che scuote l’Olanda e le Fiandre. Un meticoloso e compassato commissario da una parte e un imprevedibile e spietato giustiziere fai-da-te dall’altra si trovano a risalire una lunga catena di esecutori e mandanti fino all’ultimo, imprevedibile, inquietante anello. Un thriller intenso, dalle atmosfere torbide e dai risvolti mai così attuali.

puZZle Di tRe Gian Conti Puzzle di tre

2010 pp.336/ €18,00 978-88-95538-48-8

€ 15,00

Puzzle di tre

Gian Conti, ex dirigente dell’industria informatica, è oggi un affermato scrittore. Vive fra Milano e la casa di famiglia nella campagna astigiana, dove scrive e restaura strumenti musicali a corde, di cui possiede una ricca collezione. Oltre ad alcuni racconti, ha pubblicato il romanzo Loop (Zandonai, 2008).

Gian Conti L’ ultimo anello

Gian Conti

Gian Conti

L’ ultimo anello

Tre pezzi di uno strumento misterioso e dotato di poteri soprannaturali, tre tessere di un mosaico da ricomporre seguendo labili e tortuose tracce. Tre frammenti di un segreto sepolto: una lontana eredità intorno alla quale si mette in moto una straordinaria macchina narrativa. Ne scaturisce l’affascinante impasto letterario di un noir ironico-esoterico aperto a mille digressioni e capace di amalgamare in una trama incalzante i più angosciosi dilemmi etici: è giusto possedere, a fini di lucro, la facoltà di cambiare il destino degli esseri umani?

2009 pp.436/ €15,00 978-88-95538-37-2

Tre pezzi di uno strumento antico quanto indecifrabile, dotato di poteri soprannaturali. Tre tessere di un puzzle da ricomporre seguendo labili e tortuose tracce. Tre frammenti di un segreto sepolto, una lontana eredità intorno alla quale si mette in moto una straordinaria macchina narrativa. Vengono così a intrecciarsi casualmente i destini di un trasandato rigattiere nordafricano, un bibliotecario sciupafemmine e uno smaliziato restauratore, tra scenari esoterici e complesse vicende familiari che si perdono in un passato ormai remoto. Una storia divertente e ricca di colpi di scena, con un dilemma finale: è giusto possedere, a fini di lucro, la facoltà di cambiare il destino degli esseri umani?


Bora Ćosić

Filip David

ipiccolifuochi

Filip David (1940), autore serbo di origine ebraica, è una figura emblematica di intellettuale a tutto tondo e dal percorso creativo ricco e multiforme. Scampato fanciullo alla persecuzione nazista in circostanze rocambolesche, ha alternato le sue attività di docente universitario, scrittore, drammaturgo e sceneggiatore con l’impegno politico tra le fila dell’opposizione al regime di Milošević, come testimonia il suo Frammenti di tempi tenebrosi (E, 1994), e successivamente contro ogni deriva ultranazionalistica del proprio Paese. Le sue opere letterarie sono tradotte in diverse lingue e tra le sue sceneggiature ricordiamo La polveriera, portata sul grande schermo da Goran Paskaljević.

Bora Ćosić (1932), scrittore e giornalista, nasce a Zagabria ed è uno dei più brillanti e talentuosi esponenti delle avanguardie letterarie belgradesi degli anni sessanta, quando il suo nome e le sue pungenti satire sulla società socialista sono una presenza fissa nella black list delle autorità jugoslave. Nonostante i ripetuti atti di censura ufficiale, i suoi romanzi riscuoteranno sempre un notevole successo tra i lettori. Dopo la caduta della Jugoslavia, a causa della sua aperta opposizione al nazionalismo di Milošević e a seguito di ripetute minacce, è costretto ad abbandonare la Serbia e a riparare in Istria. Dal 1995 vive a Berlino, città a cui ha dedicato l’intensa raccolta di poesie dal titolo I morti (Mesogea, 2006). Nel 2002 si è aggiudicato il prestigioso Leipzig Book Award.

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giugno 2011

Priče o zanatima

Prefazione di Nicole Janigro Traduzione di Maja Vranješ pp.128/ €13,00 ISBN 978-88-95538-59-4

Belgrado, fine anni quaranta. Sullo sfondo di una città martoriata dal recente conflitto e agli albori della nuova comunità socialista, le avventure quotidiane di una strampalata famiglia e una galleria di bizzarri personaggi secondari disegnano un affresco vivace e coloratissimo della società jugoslava del dopoguerra. Elettricisti, ferrovieri, calzolai, accalappiacani, squinternati, liberatori russi, donnaioli squattrinati, trafficoni d’ogni genere vanno a comporre una singolare enciclopedia delle professioni e delle vocazioni dell’epoca, più o meno ufficiali, raccontate con la meraviglia, l’ingenuità e la cruda schiettezza di un bambino. Una grottesca e divertente epopea familiare divenuta nel tempo uno dei romanzi cult della letteratura jugoslava.

I dieci racconti dell’occulto che compongono questo straordinario libro – in cui la tradizione mistica ebraico-orientale si fonde con la migliore letteratura del fantastico – giocano a manipolare il tempo: lo deformano, lo sdoppiano, lo ritardano. Solo così, sembrano dirci, tempo e destino possono incontrarsi, solo così scaturiscono narrazioni abissali sull’esistenza terrena. I personaggi di David – sempre in fuga dalla realtà – finiscono infatti per sprofondare in labirinti in cui i confini fra veglia e sogno, vita e morte, presente e passato quasi scompaiono. Come nelle Botteghe color cannella di Bruno Schulz anche la prosa di David prolifera di prodigi, metamorfosi, esercizi d’illusionismo ed è abitata da figure stravaganti – taumaturghi, cantori, cabalisti, ebrei erranti e lunatici – colte nel momento in cui si trovano a fronteggiare terrori e angosce. La porta del mondo dove avevano vissuto fino a quel momento si apre e davanti a loro, dentro di loro, può comparire il monte degli uomini perduti oppure la terra primordiale madre di tutti i sogni angosciosi, o ancora un inquietante alfabeto composto da “lettere-occhi”, o infine l’arcangelo Gabriele che marchia le fronti con segni di sangue. Filip David (1940), autore serbo di origine ebraica, è una figura emblematica di intellettuale a tutto tondo. Scampato fanciullo alla persecuzione nazista in circostanze rocambolesche, ha sempre alternato la sua attività di docente universitario, scrittore, drammaturgo e sceneggiatore con l’impegno politico tra le fila dell’opposizione al regime di Milošević, come testimonia il suo Frammenti di tempi tenebrosi (Trieste 1995). Le sue opere letterarie sono tradotte in diverse lingue e tra le sue sceneggiature ricordiamo La polveriera, portata sul grande schermo da Goran Paskaljević.

€ 11,50

il pRinCipe Del FuoCo Princ vatre

Il principe del fuoco

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Filip David Il principe del fuoco

Filip David

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ipiccolifuochi

Traduzione di Alice Parmeggiani Postfazione di Božidar Stanišić 2009 pp.96/ €11,50 978-88-95538-26-6

Nei dieci “racconti dell’occulto” che compongono questo straordinario libro la tradizione mistica ebraica si fonde con la migliore letteratura del fantastico. I protagonisti, sempre in fuga dalla realtà, finiscono per sprofondare in labirinti in cui i confini fra veglia e sogno, vita e morte, presente e passato quasi scompaiono. La prosa di David prolifera di prodigi, metamorfosi, esercizi d’illusionismo ed è abitata da figure stravaganti – taumaturghi, cantori, cabalisti, ebrei erranti e lunatici – colte nel momento fatale in cui si trovano a fronteggiare terrori e angosce, e un nuovo mondo si apre dinanzi a loro. La narrativa di David, di cui Il principe del fuoco (premio Andrić 1988) è forse la testimonianza più fedele e riuscita, è profondamente radicata in quell’humus che ha fatto fiorire l’opera spettrale di Kubin, i racconti di Kafka o le storie arcane di Borges.


ivica Djikić

ipiccolifuochi

ivica Djikić (1977), giornalista e scrittore croato nato in Erzegovina, è una delle voci nuove e più originali della letteratura della ex Jugoslavia. Ha cominciato a scrivere sui giornali locali a sedici anni. Successivamente è stato a lungo redattore del celebre settimanale politico-satirico “Feral Tribune”, tra le pochissime testate indipendenti in Croazia, che con il suo stile graffiante e irriverente ha rappresentato un punto di riferimento dell’opposizione all’ideologia nazionalista ed è stata insignita di alcuni importanti premi giornalistici a livello mondiale. La carriera giornalistica di Djikić si è intrecciata a doppio filo con la rivista fino alla sua definitiva chiusura, nell’estate del 2008. Con Cirkus Columbia, il suo romanzo d’esordio, si è aggiudicato il prestigioso premio Selimović (2003).

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Traduzione di Silvio Ferrari 02-0

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ottobre 2011

Ivica Djikić

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Jenny erpenbeck (1966), nata a Berlino Est ed erede di una dinastia di scrittori della DDR, ha una formazione accademica musicale e teatrale, ed è stata allieva, tra gli altri, di Ruth Berghaus e Heiner Müller. Sin dal suo esordio, il romanzo Geschichte vom alten Kind (Storia di un bambino vecchio, 1999), che ha rivelato il suo precoce e straordinario talento, alcuni critici l’hanno consacrata come l’astro nascente della letteratura tedesca contemporanea. Con il pluripremiato Heimsuchung (Di passaggio, 2008), tradotto in una quindicina di lingue, si è imposta sulla scena letteraria internazionale e negli Stati Uniti ha ottenuto un notevole successo di pubblico e di critica. Alla sua ricca produzione in prosa si aggiungono importanti regie teatrali, soprattutto di opere musicali (Monteverdi, Bartók, Mozart).

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Jenny erpenbeck

2008 pp.136/ €13,50 978-88-95538-19-8

Un lunatico e rancoroso Gastarbeiter fa ritorno al luogo natio, una cittadina dell’Erzegovina, dove smarrisce subito il gatto nero a cui è morbosamente legato. L’intera cittadinanza, allettata dalla promessa di una lauta ricompensa, è coinvolta nella folle ricerca del felino, attorno alla quale si scatena una ridda di episodi esilaranti e tragici al tempo stesso. Finché i venti di una guerra fratricida non soffieranno sulla comunità portando con sé un clima di odio, esecuzioni sommarie, deliri nazionalistici e una nuova generazione di “patrioti”. Epopea grottesca e satira corrosiva della “rinascita croata” degli anni novanta, questo racconto a più voci esprime tutta la potenza di un estro narrativo che riesce a fondere la forza evocativa della metafora con la migliore tradizione letteraria balcanica. In primavera uscirà anche in Italia la versione cinematografica per la regia del premio Oscar Danis Tanović.

Di passaGGio Heimsuchung

Traduzione di Ada Vigliani pp.144/ €14,00 978-88-95538-61-7

Una casa sulle rive di un lago nella campagna del Brandeburgo, una proprietà che passa di mano in mano, di generazione in generazione: ereditata, venduta, espropriata. Un luogo che diventa crocevia di storie e al contempo custode della memoria di un’intera nazione: dalla prima alla seconda guerra mondiale, dalla Shoah all’invasione sovietica, dalla caduta del Muro alla Riunificazione. Undici protagonisti, altrettanti destini, vicende minute, dolorose, venate di nostalgia e passione, compongono un delicato mosaico letterario in cui prende forma un secolo di storia tedesca. E la prosa elegante, raffinata della Erpenbeck, attraversata da bagliori di assoluta liricità, riesce mirabilmente a dar voce a un sentimento profondo e lacerante, a quel labile confine interiore che è la Heimat perduta.


Anne Garréta

Thomas Glavinic

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sfinge Sphinx

Anne Garreta Sfinge

Sfinge Anne Garretta

A cura di Alberto Bramati 2010 pp.160/ €14,50 978-88-95538-46-4

ipiccolifuochi

Thomas Glavinic (1972), nato a Graz, dimostra fin dalla tenera età un notevole talento per gli scacchi, dote che ritroveremo nelle trame appassionanti e nelle sottili costruzioni psicologiche delle sue opere narrative. Ex copywriter e autista di taxi, scopre la sua vocazione per la scrittura nel 1998, quando pubblica il suo fortunato romanzo d’esordio La sfida di Carl Haffner (Beit, 2009). Tre anni dopo, L’assassino con la videocamera viene accolto con entusiasmo sia dalla critica sia dal pubblico per l’attualità della sua denuncia nei confronti del potere manipolatorio dei media, aggiudicandosi il premio Glauser (2002). Vincitore successivamente del premio ORF della critica e finalista al Deutsches Buchpreis con Le invenzioni della notte (Longanesi, 2007), Glavinić ha all’attivo sette romanzi, l’ultimo dei quali, Lisa (2010), ha vinto il Literaturpreis.

Anne Garréta (1962) è maître de conférences di Letteratura francese all’Università di Rennes II. È stata la scrittrice più giovane a entrare nell’OuLiPo, il “Laboratorio di Scrittura potenziale” fondato nel 1960 da Raymond Queneau, che ha accolto, tra gli altri, Italo Calvino e Georges Perec. Sfinge, il suo romanzo d’esordio, pubblicato a soli ventiquattro anni, oltre a rivelare il suo precoce talento letterario, è stato accolto dalla critica francese come un’opera rivoluzionaria dal punto di vista linguistico. I successivi Ciels liquides (1990) e La Décomposition (1999) l’hanno consacrata tra le voci più singolari e interessanti della letteratura francese contemporanea. Con il suo ultimo romanzo, Pas un jour (2002) si è aggiudicata il premio Médicis.

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vive in a pubteraria. sinora a, e ha esche e

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Un’antica leggenda racconta che la sfinge divora coloro che non riescono a risolvere il suo enigma; che nella sua figura mostruosa convivono il leone e l’uccello, e che, una volta svelato l’arcano, la sfinge si getterà dall’alto di una rupe. Le luci notturne di Parigi e New York fanno da palcoscenico a una passione d’amore struggente e drammatica, carica a un tempo di sensualità e di morte. Sfinge è la storia di un enigma, nella forma di una disperata ricerca di identità, e del vuoto che accompagna ogni passione morbosa e fatalmente distruttiva. Ed è un romanzo che si distingue per una particolare caratteristica formale: sia l’io narrante sia l’oggetto della sua ossessione amorosa non hanno una determinazione di genere, nascondono al lettore la loro vera natura sessuale. Un esercizio di stile transgender, dunque, che diventa radicale e inedito gioco linguistico e letterario.

L’assassino con la videocamera Der Kameramörder

Traduzione di Fabio Cremonesi pp.112/ €13,00 978-88-95538-60-0

43 Un buon programma per le vacanze pasquali: un weekend in campagna, ospiti di una coppia di amici. Per il narratore e la sua fidanzata il soggiorno inizia nel migliore dei modi, tra chiacchiere e risate, vivaci partite a carte e lunghe passeggiate. Ma quando il telegiornale dà la notizia che a pochi chilometri di distanza si è appena consumato il barbaro omicidio di due bambini, costretti da un sadico a gettarsi da un albero a favore di camera, la tensione inizia a salire. Il tono dei commenti – in casa e fuori, di cui la televisione è fredda ambasciatrice – si fa sempre più allarmato e le discussioni si animano, soprattutto nel momento in cui un’emittente locale annuncia, da lì a breve, la trasmissione integrale del video. Per questo, quando uno dei quattro ritroverà la videocamera con le immagini del delitto, sospetti e reciproche accuse trasformeranno il tranquillo weekend in un autentico incubo.


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mirko Kovač

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mirko Kovač (1938), romanziere, saggista, drammaturgo e sceneggiatore, ha alle sue spalle una ricca produzione letteraria ed è senza dubbio uno dei più apprezzati autori della ex Jugoslavia. Nato in un villaggio del Montenegro, è stato per molti anni un protagonista della scena culturale belgradese, prima di trasferirsi nel 1991 in Istria, in aperta opposizione al regime di Milošević. Attualmente è membro della Società croata degli Scrittori e dell’Accademia delle Scienze e delle Arti della Bosnia Erzegovina. La città nello specchio, il capolavoro che lui stesso ha definito «la mia opera definitiva», si è aggiudicato, tra gli altri, il premio Selimović (2007) come miglior romanzo nei Paesi della ex Jugoslavia e il premio Nazor (2008), maggior riconoscimento letterario in Croazia.

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la Casa peRDuta Marianne Gruber La casa perduta

Der Tod des Regenpfeifers. Zwei Erzählungen

La casa perduta

Vienna. Medicina, suo maa, poesie teratura. ompany,

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marianne Gruber (1944) è cresciuta nel Burgenland e vive a Vienna. Dopo il diploma in pianoforte al Conservatorio, ha frequentato la facoltà di Medicina, seguendo i corsi di Psicologia di Victor Frankl, suo maestro e mentore. Ha scritto romanzi, racconti di fantascienza, poesie e libri per l’infanzia, e presiede la Società austriaca per la Letteratura. In Italia è stato pubblicato Calma di vento (Shakespeare & Company, 1995), romanzo con cui si è aggiudicata il premio Acerbi.

Marianne Gruber

ano e si zo, sono con una ai hanno un gesto fferenza o conforaesaggio fine con ttuta dai e anime entimennecessagiunge.

marianne Gruber

Prefazione di Elisabetta Dell’Anna Ciancia Traduzione di Cesare De Marchi 2010 pp.96/ €12,00 978-88-95538-44-0

I ribelli e laconici protagonisti delle due storie che si affiancano e si intrecciano fin quasi a formare un romanzo, sono colti in un momento di non ritorno, nel pieno dello scontro con una realtà non più accettabile o redimibile. Hanno ormai scelto di lanciare una sfida assoluta che si concretizzerà in un gesto estremo di rivolta e cancellazione. E al fondo di ogni loro sofferenza parla una voce che non si placa, che nessun compromesso o conformismo riesce a soffocare, una voce che è anche quella del paesaggio vasto ed essenziale del Burgenland, il lembo d’Austria al confine con le steppe ungheresi dov’è ambientato il libro. Una terra battuta dai venti o incendiata dalla canicola, che plasma a sua immagine e somiglianza anime scettiche, irrequiete, non lusingate da facili consolazioni o sentimentalismi.

la CittÀ nello speCChio Grad u zrcalu

Traduzione di Silvio Ferrari 2010 pp.400/ €24,00 978-88-95538-31-0

Una cronaca familiare ci trascina in un tempo e in luogo perduti, là dove la realtà è ancora intrisa di sogno e di magia. Uno scrittore ripercorre la propria infanzia e giovinezza in Erzegovina, e recupera dagli scrigni della memoria un variopinto mosaico di voci e personaggi, paesaggi incantati e vicende tragiche ed esilaranti al contempo. Ci racconta, tra l’altro, di un antico specchio di famiglia, che in alcune speciali occasioni, per un breve istante al calar del sole, riflette l’immagine di Dubrovnik, l’antica Ragusa. Questo prezioso affresco storico è tratteggiato con l’inconfondibile stile rapsodico di un maestro della narrazione, Mirko Kovač, che, sulle orme di Ivo Andrić e Danilo Kiš, iscrive a pieno titolo la “poetica balcanica” nella migliore letteratura contemporanea.


Miljenko Jergović Miljenko Jergović (1966), romanziere, poeta, giornalista e sceneggiatore, nonché maestro del racconto breve, è senza dubbio uno dei maggiori talenti narrativi della sua generazione. Nel 1994, durante il drammatico assedio di Sarajevo – magistralmente tratteggiato nella raccolta di racconti Le Marlboro di Sarajevo (Scheiwiller, 2005) – decide di lasciare la città natale per trasferirsi a Zagabria, dove tuttora vive e lavora. La guerra, l’assedio, la fuga, il doloroso disgregarsi di una comunità, la nostalgia, ma anche gli affreschi commoventi e fiabeschi della propria infanzia, l’intrecciarsi di destini familiari e collettivi, saranno temi ricorrenti in tutte le sue opere successive.

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Quando tutto nella vita è andato storto, come al professor Karlo Adum, vedovo e pensionato, il quale ormai fa affidamento solo su una buona e vecchia Volvo che in trent’anni non lo ha mai piantato in asso, è forse giunto il tempo di mettersi in viaggio, e di portare con sé una pistola. Al volante della sua fedele amica, il professore percorre i chilometri che separano Zagabria da Sarajevo, la città natale da cui manca da quasi mezzo secolo. Davanti ai suoi occhi sfilano rovine, campi minati, ciminiere arrugginite e i bizzarri abitanti di una terra che non gli appartiene più. In questo pungente e disincantato romanzo on the road dominano, esplosivi, gli slanci, gli sdegni, le ossessioni e lo spirito ilare di un autore come Jergović, che quando scrive mette in gioco l’intera esistenza.

FREELANDER Freelander

A cura di Ljiljana Avirović 2010 pp.192/ €15,00 978-88-95538-30-3

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settembre 2011

AL DÌ DI PENTECOSTE Srda pjeva, u sumrak, na Duhove

A cura di Ljiljana Avirović pp.400/ €24,00 978-88-95538-49-5

In un appartamento abbandonato di Zagabria viene rinvenuto il cadavere di una giovanissima zingara, vittima di un barbaro omicidio. La polizia brancola nel buio: nessuno viene a riconoscere la salma, nessuno chiede notizie di lei, né parenti né amici, e il suo nome non compare in alcun registro anagrafico. Si sa solo che è stata vista per l’ultima volta presso un semaforo, il 15 maggio 2005, giorno di Pentecoste, mentre chiedeva l’elemosina danzando e cantando. La matassa si dipana lentamente attraverso le testimonianze di cinque personaggi, emblematici, ciascuno a suo modo, di ciò che rimane della vecchia identità jugoslava andata in frantumi con le guerre degli anni novanta: un’umanità preda di nazionalismi distruttivi e di vecchi e nuovi malfattori, incapace ormai del benché minimo sentimento di solidarietà e compassione.


Ardian-Christian Kyçyku

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Ardian-Christian Kyçyku (1969), scrittore, giornalista e docente universitario di Scienze umane e della Comunicazione, è tra i più interessanti e apprezzati autori contemporanei di lingua albanese. Nato a Pogradec, cittadina sul lago di Ocrida che fa da scenario a I fiumi del Sahara, da circa vent’anni vive e lavora a Bucarest. La sua ricca produzione letteraria è bilingue, tanto che in un’occasione ha definito il suo status «a metà tra il rinnegato culturale di professione e il vecchio cosmopolita». Ha al suo attivo una ventina tra romanzi, novelle e drammi teatrali in albanese e altrettante prose in romeno. Lirici e visionari, i suoi romanzi, ha scritto Elvira Dones, sono «un generoso invito alla bellezza sublime».

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Lumenjtë e Saharasë

Presentazione di Elvira Dones Traduzione di Kamela Guza pp.128/ €13,00 978-88-95538-62-4

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Florjan Lipuš (1937) è considerato il maggiore scrittore sloveno della Carinzia. Figlio di contadini, all’età di sei anni perde la madre, internata nel lager di Ravensbrück. Nel 1949 il padre lo affida a un istituto religioso, da cui uscirà per frequentare il seminario e laurearsi in Teologia. Lipuš ha pubblicato finora una decina di romanzi, è membro dell’Accademia slovena di Scienze e Arti e nel 2004 ha ricevuto il premio Prešeren, massimo riconoscimento culturale sloveno. Basato su una vicenda in gran parte autobiografica, L’educazione del giovane Tjaž (1972), il suo primo romanzo, è stato presentato e tradotto in tedesco da Peter Handke, ed è considerato il suo testo più raffinato, intenso ed emozionante.

marzo 2011

I fiumi del Sahara

Florjan Lipuš

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ottobre 2011 Nell’Albania socialista un giovane studente fa ritorno nella sua piccola città natale. L’inerzia degli amici d’infanzia, la sonnolenza dei luoghi, la consueta, implacabile curiosità con cui la gente spia le vite altrui non possono che alimentare la nostalgia per la donna amata e il desiderio di essere altrove. Uno smottamento improvviso del terreno blocca la ferrovia – unica via di fuga – e la breve visita si trasforma in un soggiorno prolungato che assume i tratti di un incubo. Così, mentre la neve cade copiosa dal grigio cielo invernale e la realtà pian piano perde i suoi contorni naturali, una fugace storia d’amore e un cruento omicidio fanno sprofondare il protagonista nel gorgo delle sue più segrete ossessioni.

L’educazione del giovane Tjaž Zmote dijaka Tjaža

Prefazione di Peter Handke Traduzione di Michele Obit pp.224/ €18,00 978-88-95538-57-0

Costretto dal padre in un collegio vescovile, Tjaž cova fin da subito una frustrazione silenziosa nei confronti di un ambiente oppressivo, rigidamente controllato. E il suo turbamento cresce di pari passo con la portata dei suoi errori, in realtà quelli di un adolescente alla ricerca di un proprio posto nel mondo, restio a sottomettersi alla prepotenza e al conservatorismo dei religiosi. Questo suo sentirsi in cattività si riflette nei primi, sofferti impulsi erotici e si traduce in un malessere fisico, che si conclude solo con la fine degli studi, dunque della sua “detenzione”. Ma qualcosa è rimasto dentro di lui, qualcosa che non gli permette di dimenticare, un nero presagio in attesa dell’inevitabile, tragico epilogo. Uno struggente romanzo a più voci, unanimemente riconosciuto tra i capolavori della letteratura slovena contemporanea.


laurent mauvignier

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laurent mauvignier (1967) ha cominciato a scrivere all’età di dodici anni, durante un lungo ricovero in ospedale. Dopo una breve e non troppo fortunata parentesi all’Accademia delle Belle Arti, oggi è tra gli scrittori più apprezzati in Francia, sia dal pubblico sia dalla critica. Personaggio schivo e riservato, ha all’attivo sette romanzi, quasi tutti pubblicati presso le celebri Éditions de Minuit di Parigi, autentica fucina di giovani talenti narrativi francesi. La camera bianca, il suo primo libro tradotto in italiano, è stato insignito del Prix Wepler e del Prix du Livre Inter nel 2001. Il suo ultimo romanzo, Degli uomini, è stato recentemente tradotto e pubblicato anche in Italia (Feltrinelli, 2010).

Lui la tradisce e sta per lasciarla. E lei lo sa. Ogni sera, sotto gli occhi dei figli, le scenate, le urla e la disperazione. Poi, all’improvviso, l’incidente d’auto, e lui immobilizzato in una camera d’ospedale. L’altra scompare. È solo lei che va a trovarlo ogni mattina, che può finalmente prendersi cura di lui. Nel monologo di una donna tormentata che inganna se stessa, rappresentato con sorprendente sensibilità da Mauvignier, non c’è soltanto l’assillo della gelosia e l’angoscia dell’abbandono, ma ancor più il dramma della parola interdetta, di una solitudine lacerante e senza via d’uscita. In tal modo, quasi inavvertitamente e per sottrazione, una donna semplice e di modeste condizioni si innalza al livello delle grandi eroine amorose della letteratura.

la CameRa BianCa Apprendre à finir

Postfazione di Michel Bertrand Traduzione di Alberto Bramati 2008 pp.112/ €12,50 978-88-95538-12-9

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Laurent Mauvignier (1967) è uno degli autori più interessanti e originali nel panorama letterario francese contemporaneo. I suoi romanzi, quasi tutti pubblicati dalle celebri edizioni Minuit, sono stati finora un successo di pubblico e critica. La camera bianca (Zandonai, 2008) è stato il suo felice esordio italiano.

Loin d’eux

Lontano da loro

Laurent Mauvignier Lontano da loro

lontano Da loRo

Laurent Mauvignier

Luc ha vent’anni. Ama il cinema, soprattutto i vecchi film e gli attori di un tempo, e detesta la realtà che lo circonda. È duro imparare la propria parte nel mondo, soprattutto se si è figli di un operaio e di una casalinga dediti a un rassegnato conformismo, e si vive in una cittadina di provincia, specchio di quella France profonde di cui Mauvignier disegna qui un ritratto impietoso. Per questo Luc ha deciso di andarsene “lontano da loro”, lontano dalle loro presenze e dai loro sguardi, nell’intento di ricominciare tutto da capo. Per un po’ sembra crederci, ma ben presto, imprigionato in una solitudine sempre più radicale, smetterà di sperare che la fine di qualcosa preluda a un nuovo inizio. Uno struggente racconto a più voci, in cui ciascuno dei protagonisti – davanti a un gesto che coglie del tutto impreparati e fa crollare ogni certezza – aggiunge le inconfondibili note del proprio dolore a una composizione straordinariamente cadenzata e di rara intensità ritmica.

Traduzione di Alberto Bramati

€ 11,50

2009 pp.96/ €11,50 978-88-95538-24-2

Luc ha vent’anni. Ama il cinema, soprattutto i vecchi film e gli attori di un tempo, e detesta la realtà che lo circonda. È duro imparare la propria parte nel mondo, soprattutto se si è figli di un operaio e di una casalinga dediti a un rassegnato conformismo, e si vive in una cittadina di provincia, specchio di quella France profonde di cui Mauvignier disegna qui un ritratto impietoso. Per questo Luc ha deciso di andarsene “lontano da loro”, nell’intento di ricominciare tutto da capo. Uno struggente racconto a più voci, in cui ciascuno dei protagonisti – davanti a un gesto che coglie del tutto impreparati e fa crollare ogni certezza – aggiunge le inconfondibili note del proprio dolore a una composizione straordinariamente cadenzata e di rara intensità ritmica.


péter nádas

Boris pahor

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péter nádas (1942) è uno dei più importanti scrittori ungheresi. Romanziere, commediografo, giornalista, fotografo, i suoi libri sono tradotti in tutto il mondo. Alcuni critici hanno collocato il suo monumentale Emlékiratok könyve [Il libro del ricordo], vero e proprio “psicogramma di un’epoca”, tra le grandi opere letterarie del Novecento, accostando il suo nome a quelli di Robert Musil e Thomas Mann. Membro dell’Accademia delle Arti di Berlino, ha ricevuto svariati riconoscimenti internazionali, tra i quali il premio Kafka (2003) e l’Ordine al Merito della Repubblica di Ungheria (2007). In Italia è stato scoperto tardivamente. Le uniche traduzioni sinora disponibili sono La Bibbia (Rizzoli, 2009) e Fine di un romanzo familiare (Baldini Castoldi Dalai, 2009).

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Boris pahor (1913), decano della letteratura slovena, è nato e vive tuttora a Trieste. Vera e propria coscienza critica del Novecento, voce vibrante di una minoranza linguistica perseguitata e ridotta al silenzio, durante la seconda guerra mondiale prese parte alla resistenza antifascista slovena. Tradito da una delazione finì deportato nei lager nazisti tra il 1944 e il 1945, una vicenda tragica – rievocata nel suo capolavoro Necropoli (Fazi, 2008) – che ha dato un’impronta decisiva a tutta l’opera successiva. Più volte segnalato all’Accademia svedese per il Nobel, è stato insignito in Francia della Légion d’honneur (2007) per i meriti in campo letterario. Tra le sue più recenti pubblicazioni in italiano ricordiamo Tre volte no (Rizzoli, 2009) e Piazza Oberdan (Nuova Dimensione, 2010).

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52 Péter Nádas esplora in questi racconti – scritti in una prosa asciutta e al contempo evocativa fino al lirismo – quella superficie interiore nella quale la repressione sociale lascia una profonda scia di violenza, sopraffazione, disorientamento. I protagonisti sono individui in assoluta balìa di un potere esterno: una bambina che vede trasformarsi una festa di compleanno in una lugubre scena di scherno e umiliazione, o un vecchio ebreo, scampato ai lager nazisti, che cade vittima di un pogrom in un quartiere dormitorio alla periferia di Budapest. Con la sua tipica abilità nell’intrecciare piano personale e storico, Nádas racconta di una condizione esistenziale sempre in bilico, di una natura umana incapace di tracciare i propri limiti, alla mercé di un elemento mostruoso che in ogni momento, e in ognuno di noi, può destarsi e trasformarsi in follia distruttiva.

il petalo Giallo Zibelka sveta

Un maturo scrittore sloveno, reduce dai campi di concentramento na‑ zisti, riceve un giorno l’insolita lettera di una sconosciuta, che in modo allusivo paragona il male da lei subito nell’infanzia con gli orrori della de‑ portazione e dello sterminio. Una confessione indecifrabile, un segreto gelosamente custodito per tanti anni. Solo a poco a poco lo scrittore comprenderà quale sia la prova dolorosa e indicibile che ha segnato per sempre la giovane donna e che fatalmente li accomuna: entrambi hanno subito l’estrema violazione del corpo, annientato nei lager o aggredito dalla più nascosta, ma non meno devastante, violenza familiare. E soltanto nella silenziosa profondità dell’amore i loro corpi, esposti a un destino di violazioni e abusi, sapranno ritrovare equilibrio e fiducia, perché la rispo‑ sta alla violenza subita, prima di essere un atto di intelligenza, è un atto d’amore. Un romanzo coraggioso che illumina ‑ con la dolente lucidità di cui Pahor è maestro ‑ il paradosso della ragione umana, insieme fonte di bellezza e di distruzione. Pagine intrise di memoria, individuale e collettiva, che scavano in quelle libertà negate o soffocate da cui sempre riverberano domande irrisolte, esistenze inquiete, conflitti mai pacificati. Boris Pahor (Trieste, 1913) è riconosciuto da tutti come il più grande autore vivente di lingua slovena. Vera e propria coscienza critica del Novecento, voce accorata di una minoranza linguistica spesso perseguitata e ridotta al silenzio, intellettuale “scomodo” per antonomasia, è uno degli scrittori più interessanti della letteratura mitteleuropea contemporanea e al tempo stesso più negletti nel panorama editoriale italiano. Tra i suoi libri tradotti in italiano ricordiamo La villa sul lago (Rovereto, 2002) e Necropoli (Ronchi dei Legionari, 2005).

Traduzione di Andrea Rényi 2010 pp.224/ €16,00 978-88-95538-47-1

Traduzione di Diomira Fabjan Bajc

ISBN 978-88-95538-04-4

€ 13,00

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Boris Pahor Il petalo giallo Il petalo giallo

Minotauros

Boris Pahor

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2007 pp.192/ €13,00 978-88-95538-04-4

Un maturo scrittore sloveno, reduce dai campi di concentramento nazisti, e una giovane psicoterapeuta che vive a Parigi, la cui infanzia è stata funestata da una nascosta, ma non meno devastante, violenza familiare. Tra i due nasce improvvisa e quasi per caso una relazione intima, nutrita di un fitto scambio epistolare e di sporadici quanto intensi incontri, una relazione legata a un mistero che via via si dirada andando a descrivere un tragico percorso comune. E solo nella silenziosa profondità dell’amore i loro corpi, segnati da un destino di violazioni e abusi, sapranno ritrovare equilibrio e fiducia, perché la risposta alla violenza subita, prima di essere un atto di intelligenza, è un atto d’amore.


ipiccolifuochi

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Un bel tipo francese, tale Maxim Palamede Pantà, lionese e capitano dei Dragoni, arriva nella Bassa padana dopo la rotta di Rossbach (1757, guerra dei Sette anni). Stanco di orrori guerreschi, strade polverose e «frastuono di fucileria prussiana», decide di stabilirsi in quella terra, che il seme francese, mescolandosi ora con energiche ora con scialbe bellezze locali, popola di personaggi eccentrici le cui vicende si intrecciano gustosamente con la storia d’Italia fino a culminare nell’eroe eponimo contemporaneo, quell’Ugo Leonello, alias Leon Pantà. Con un linguaggio barocco e ironico, beffardo e artificiosamente dotto nella sua solennità provinciale, Parmeggiani tratteggia una cronaca semiepica e grottesca, e una serie di personaggi intrisi di tutti gli umori, le fissazioni e le piccole follie che promanano da una terra di nebbie e calure.

A concorrere al titolo di “Slovena del 2000”, indetto da una rivista glamour, c’è Lea Kralj, una cantante lirica di successo. A candidarla è un giovane giornalista francese, omosessuale, che negli ultimi anni ha accompagnato la primadonna nelle sue tournée, fra teatri, anonime stanze d’albergo e luoghi d’infanzia. Le piccole tessere del mosaico che il narratore-accompagnatore pazientemente ricompone attraverso dettagli minimi e schegge d’esistenza quotidiana ci restituiscono la storia di Lea, figura ombrosa e inquietante, la cui vita sembra sempre sul punto di incrinarsi, di amori consumati in fretta e volutamente ancillari, fino al sorgere di un insolito, incandescente ménage à trois. Un altro amore, lontano e sfuggente, si intravede sullo sfondo e resiste allo scorrere del tempo: quello per la sua terra d’origine, la Slovenia, una terra a noi così vicina, eppure ancora in buona parte sconosciuta. La scrittura di Brina Svit, sobria e al tempo stesso avvolgente, procede con ritmo sostenuto e dialoghi serrati, che tuttavia non escludono un linguaggio appassionato, a tratti lirico. Il romanzo si nutre di sguardi che, quasi fossero gettati da dietro le quinte, scrutano alcuni segreti frammenti della vita dei protagonisti, ricomponendoli in un insolito, sorprendente viaggio a ritroso.

Brina Svit, , nata in Slovenia negli anni cinquanta, da molto tempo vive e lavora a Parigi. Giornalista, critica letteraria, sceneggiatrice, autrice di cortometraggi, ha all’attivo cinque romanzi, alcuni dei quali tradotti in francese, tedesco e inglese.

€ 14,50

ISBN 978-88-95538-01-3

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la VeRa stoRia Di leon pantÀ

La vera storia di Leon Pantà

Carlo alberto parmeggiani (1949), carpigiano, è approdato alla narrativa dopo aver rincorso pensieri disuguali e raccolto esperienze di lavoro fra le più disparate. E dopo aver viaggiato quanto basta per non farne un motivo d’esistenza e aver messo radici a sufficienza per preferire il viaggio alla fermata, ha vinto un posto di insegnante nelle scuole superiori nella città da cui era partito e dove, nottetempo, aveva incominciato a scrivere romanzi, note di costume e racconti brevi finiti in un cassetto. A fargli riaprire quel cassetto lo hanno costretto gli editori Zandonai e Carte scoperte (A tempo debito, 2006; La malapiega, 2007).

Carlo Alberto Parmeggiani

Carlo alberto parmeggiani

Carlo Alberto Parmeggiani La vera storia di Leon Pantà

2007 pp.136/ €11,00 978-88-95538-02-0

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la meZZa estate

Carlo Alberto Parmeggiani

Dragan Velikić (1953), nato a Belgrado e cresciuto a Pola, è una delle voci più intense e originali della letteratura mitteleuropea contemporanea. Via Pola, il suo primo romanzo tradotto in italiano, gli è valso il premio Miloš Crnjanski e lo ha consacrato come scrittore di talento.

Carlo Alberto Parmeggiani La mezza estate

La mezza estate

«La città delle ombre apre il suo cuore pietroso.» Siamo a Pola, crocevia di popoli e culture differenti, la “Siberia marittima” come ebbe a definirla James Joyce, che la elesse a momentaneo e sofferto esilio, e che appare tra i protagonisti di questo straordinario romanzo. In un caleidoscopio di personaggi illustri e sconosciuti, figure reali e immaginarie, costruttori folli e scrittori visionari, prostitute e psicopatici, si staglia, nella sua allucinata nitidezza, la figura di Bruno Gašparini, neuropsichiatria e memoria storica della città. In un crescendo di sogni e fantasmi, lo vediamo sprofondare nel gorgo di una lenta e inesorabile ossessione necrofila, e nel fascino cupo di una Pola – scrive Claudio Magris nella sua Prefazione - «essenzialmente balcanica, lontanissima da quella della letteratura istriana italiana, in cui l’Adriatico è un soffio di gentilezza veneta».

€ 14,00

2009 pp.160/ €14,00 978-88-95538-42-6

Nel cantiere navale della ditta Giovannino Pera & Soci di Genova si lavora da molti mesi alla riparazione di un mercantile brasiliano. L’ingegnere capo, un arruffato genialoide ormai sulla via del tramonto, si avvale della paziente collaborazione del figlio, un giovane volenteroso con il pallino della meccanica navale. I lavori fanno un passo avanti e molti indietro a causa delle bizze e dei continui, incomprensibili ripensamenti dell’uomo, custode di un segreto che lo condurrà infine a un clamoroso coup de théâtre. Tra tacite complicità e sorde ribellioni assistiamo al progressivo distacco del giovane dalla figura paterna, presa prima a modello, poi abbandonata alle sue ambasce, alle sue guasconerie e a malinconiche passioni extraconiugali. E l’annuncio dell’estate, calda e avvolgente come un primo amore, lascerà in lui un segno indelebile.


susanne scholl

Brina svit

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Brina svit, nata in Slovenia negli anni cinquanta, da molto tempo vive e lavora a Parigi. Giornalista, critica letteraria, sceneggiatrice, autrice di cortometraggi e pièces radiofoniche, è una delle scrittrici slovene più note in Europa. Pubblicati in Francia dalla prestigiosa casa editrice Gallimard, i suoi romanzi hanno avuto immediato successo e sono stati tradotti in inglese, tedesco, greco e spagnolo. Autrice a cavallo tra due lingue, lo sloveno e il francese, ha scritto i suoi ultimi due romanzi direttamente in francese. Morte di una primadonna slovena è il suo esordio letterario in Italia.

susanne scholl (1949), nata a Vienna, ha studiato slavistica a Roma e fin da giovane si è dedicata al giornalismo, iniziando la sua carriera sulle colonne del quotidiano francese “Le Monde”. Dal 1991 al 2009 è stata corrispondente da Mosca per l’emittente austriaca ORF. Nel 2006, a causa delle sue coraggiose cronache dalla Cecenia, ha subìto ripetute minacce, tentativi di censura e infine l’arresto da parte delle autorità russe. È autrice di tre saggi, altrettanti romanzi e un volume di poesie che le sono valsi numerosi riconoscimenti presso istituzioni governative e culturali austriache. Dedalo Russia prosegue il percorso di approfondimento sul mondo russo inaugurato con Ragazze delle guerra (Voland, 2009), romanzo-reportage sulle donne cecene, scritto all’indomani della morte della collega e amica Anna Politkovskaja.

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maggio 2011

DeDalo Russia Russland mit und ohne Seele

Se Dedalo Russia fosse un’opera musicale, le ventuno voci che si avvicendano in queste pagine ne sarebbero senz’altro il coro, diretto dall’autrice con sobria e disincantata armonia. Un coro di valenti ingegneri, insigni diplomatici e figli d’arte, ma anche di operai, disoccupati, alcolizzati. Sulla scena gli ultimi, turbolenti cinquant’anni di storia di un Paese in cui ancora oggi il rispetto dei più elementari diritti civili è disatteso, la libertà di espressione tutt’altro che garantita, la sanità allo sbando, la burocrazia inefficiente e l’autorità perlopiù corrotta. Ma quando il rigore documentario cede alla partecipazione emotiva ci sembra davvero che questo gigante abbia barattato i suoi piedi d’argilla con un paio di – brutti – mocassini. Solo allora è netta la sensazione di essere spettatori di una realissima tragedia.

Pochi giorni dopo la sua morte misteriosa, la cantante lirica Lea Kralj concorre al titolo di “donna slovena del 2000”, indetto dalla rivista “Petronius”: a candidarla è un giovane giornalista francese, omosessuale, che negli ultimi anni ha accompagnato la primadonna nelle sue tournée, fra teatri e anonime stanze d’albergo. Le piccole tessere del mosaico che il narratore-accompagnatore pazientemente ricompone attraverso minimi dettagli e schegge d’esistenza quotidiana ci restituiscono la storia di Lea, figura ombrosa e inquietante, la cui vita sembra sempre sul punto di incrinarsi, e di amori consumati in fretta e volutamente ancillari (tecnici, elettricisti, operatori), fino al sorgere di un insolito, incandescente ménage à trois. Un altro amore, lontano e sfuggente, si intravede sullo sfondo e resiste allo scorrere del tempo: quello per la sua terra d’origine, la Slovenia. Brina Svit, nata in Slovenia negli anni cinquanta, da molto tempo vive e lavora a Parigi. Giornalista, critica letteraria, sceneggiatrice, autrice di cortometraggi, ha all’attivo cinque romanzi, alcuni dei quali tradotti in francese, tedesco e inglese. Mort d’une prima donna slovène, pubblicato in Francia da Gallimard, è stato un grande successo di pubblico e di critica, e ha spinto la prestigiosa casa editrice francese a pubblicare lo scorso anno anche il suo ultimo romanzo, Un cœur de trop, inserendolo nella celebre “Collection Blanche”. Morte di una primadonna slovena è la sua prima opera tradotta in italiano.

Traduzione di Chiara Marmugi pp.192/ €15,00 978-88-95538-82-2

moRte Di una pRimaDonna sloVena Smrt slovenske primadone Brina Svit Morte di una primadonna slovena

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Brina Svit Morte di una primadonna slovena

Traduzione di Sabina Tržan e Simonetta Calaon 2007 pp.200/ €14,50 978-88-95538-01-3

All’apice della sua carriera artistica, la cantante lirica Lea Kralj concorre al titolo di “Slovena dell’anno”, indetto da una rivista glamour. Chiamato a pronunciarsi sulla sua candidatura è un giovane giornalista francese, omosessuale, che negli ultimi anni ha accompagnato la primadonna nelle sue tournée europee, fra teatri, anonime stanze d’albergo e luoghi d’infanzia. La vita di Lea si consuma in amori ambigui o volutamente ancillari, e in un lento processo di autodistruzione. La scrittura di Brina Svit, sobria e al tempo stesso avvolgente, tratteggia un esercizio di annientamento e regressione nutrendosi di sguardi gettati da dietro le quinte che, in un istante, illuminano sparsi frammenti d’esistenza, prima che essi vengano inghiottiti dal buio.


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Queste brillanti short stories narrano di una città e di un Paese alle prese con una travagliata fase di transizione. Veličković presta la propria voce a una comunità lacerata, che vive in bilico tra un «passato che non è mai passato» e un futuro appeso a un filo di incertezza e scetticismo. Acuto interprete degli umori, delle sensazioni e dei sogni nascosti di una città intera, così come del proprio singolare spaesamento, l’autore è un intellettuale che ancora pratica il “conosci te stesso” pur se con laconico disincanto. La medesima disillusione con cui denuncia un regime liberticida e insieme un Occidente libero e democratico che getta bombe “intelligenti” nel cortile di casa sua. Una confessione che è uno sguardo amaro e irresistibilmente ironico gettato sul presente da un luogo che in realtà è un vizio irrinunciabile. Un vizio chiamato Belgrado.

Brillanti e beffarde, colte e irriverenti, queste short stories, veri e propri “racconti dal vivo”, vanno a comporre quasi un romanzo in frantumi, e narrano di un luogo chiamato Belgrado, di un Paese chiamato Serbia alle prese con una travagliata fase di transizione. Veličković presta la propria voce a una comunità lacerata, che vive in biblico tra un «passato che non è mai passato» e dal quale si ereditano conflitti, tragedie e triviali derive nazionalistiche, e un futuro appeso a un filo di incertezza e scetticismo che dovrà sciogliere il dilemma di una colpa collettiva. Acuto interprete degli umori, delle sensazioni e dei sogni nascosti di una città intera, così come del proprio singolare spaesamento, l’autore è un intellettuale che ancora pratica il “conosci te stesso” pur se con laconico disincanto. La medesima disillusione con cui denuncia un regime liberticida che soffoca critica e dissenso, e un Occidente libero e democratico che getta bombe “intelligenti” nel cortile di casa sua. Una confessione che è insieme testimonianza civile e autoterapia, sguardo amaro e irresistibilmente ironico gettato sul presente da un luogo che in realtà è un vizio irrinunciabile. Questo vizio si chiama Belgrado. Duan Veličković (1947), giornalista, scrittore, film maker ed editore, è una delle voci più originali e coraggiose dell’elite intellettuale serba. Negli anni novanta è stato uno strenuo oppositore al regime di Milošević, e a lungo direttore della celebre rivista “NIN”. Attualmente dirige la casa editrice belgradese Alexandria, che lui stesso ha fondato nel 1998. Due suoi racconti sono stati pubblicati nella raccolta Casablanca serba (Feltrinelli, 2003), curata da Nicole Janigro.

€ 13,50

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ISBN 978-88-95538-02-0

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Dusan Veličković Serbia hardcore

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Serbia hardcore

Dušan Veličković (1947), giornalista, scrittore, film maker ed editore, è una delle voci più originali e coraggiose dell’élite intellettuale serba. Negli anni novanta è stato a lungo direttore della celebre rivista “NIN”, di ispirazione liberale e indipendente già dai tempi della Jugoslavia di Tito. A causa della linea editoriale schierata apertamente contro la dittatura di Miloševic e la guerra, Veličković è stato più volte minacciato di morte e dopo varie pressioni rimosso dalla carica di direttore. Attualmente dirige la casa editrice belgradese Alexandria, che lui stesso ha fondato nel 1998. Due suoi racconti sono stati pubblicati nella raccolta Casablanca serba (Feltrinelli, 2003), curata da Nicole Janigro.

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Duan Veličković

Dušan Veličković

Traduzione di Sergej Roić Con una nota di Nicole Janigro 2008 pp.192/ €16,00 978-88-95538-17-4

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novembre 2011

BalKan pin-up Balkan pin-up

Traduzione di Alice Parmeggiani Postfazione di Sergej Roić pp.144/ €14,00 978-88-95538-84-6

La Jugoslavia federale e socialista è stato un grande esperimento politico e sociale, un immenso spazio comune, un’identità plurale costruita su princìpi universali e sull’irresistibile carisma di un leader, sgretolatasi tragicamente sotto il peso delle sue stesse contraddizioni e utopie. Con la consueta, tagliente ironia dei suoi racconti brevi, Veličković ci accompagna in un viaggio a ritroso nella Jugoslavia dai mille volti e dalle mille storie, a vent’anni esatti dal suo sanguinoso tracollo. Da una Sarajevo su cui soffiano i primi venti di guerra fino all’infanzia da pioniere, ci invita a riscoprire un Paese che dietro una rigida facciata di apparati burocratici e inni ufficiali ha saputo coltivare una vivacissima anima pop, e che nell’album di famiglia del socialismo europeo, tra tante maschere austere e azzimate, ha spesso vestito i panni di un’allegra e sbarazzina pin-up.


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«La città delle ombre apre il suo cuore pietroso.» Siamo a Pola, crocevia di popoli e culture differenti, la «Siberia marittima», come ebbe a definirla James Joyce, che la elesse a momentaneo e sofferto esilio, e che appare tra i protagonisti di questo straordinario romanzo. In un vorticare di personaggi illustri e sconosciuti, fra costruttori folli e scrittori visionari, prostitute e psicopatici, si staglia, nella sua allucinata nitidezza, la figura di Bruno Gašparini, neuropsichiatra e memoria storica della città. Mentre ascolta le confessioni dei propri pazienti, lo vediamo via via sprofondare nel gorgo di un’ossessione necrofila, come se il fascino cupo, profondamente balcanico della città lo imprigionasse nella sua ragnatela.

Via Pula

«La città delle ombre apre il suo cuore pietroso.» Siamo a Pola, crocevia di popoli e culture differenti, la “Siberia marittima” come ebbe a definirla James Joyce, che la elesse a momentaneo e sofferto esilio, e che appare tra i protagonisti di questo straordinario romanzo. In un caleidoscopio di personaggi illustri e sconosciuti, figure reali e immaginarie, costruttori folli e scrittori visionari, prostitute e psicopatici, si staglia, nella sua allucinata nitidezza, la figura di Bruno Gašparini, neuropsichiatria e memoria storica della città. In un crescendo di sogni e fantasmi, lo vediamo sprofondare nel gorgo di una lenta e inesorabile ossessione necrofila, e nel fascino cupo di una Pola – scrive Claudio Magris nella sua Prefazione ‑ «essenzialmente balcanica, lontanissima da quella della letteratura istriana italiana, in cui l’Adriatico è un soffio di gentilezza veneta». Dragan Velikić (1953), nato a Belgrado e cresciuto a Pola, è una delle voci più intense e originali della letteratura mitteleuropea contemporanea. Via Pola, il suo primo romanzo tradotto in italiano, gli è valso il premio Miloš Crnjanski e lo ha consacrato come scrittore di talento.

€ 14,00

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Via pola Dragan Velikić Via Pola

Dragan Velikić

Dragan Velikić (1953), nato a Belgrado e cresciuto a Pola, è una delle voci più intense e originali della letteratura mitteleuropea contemporanea. Scrittore, giornalista e critico letterario, ha all’attivo una decina di romanzi, due raccolte di racconti e tre di saggi letterari, ed è uno degli autori serbi più tradotti e pubblicati in Europa. Via Pola, splendido affresco storico della città istriana e suo primo romanzo tradotto in italiano, gli è valso il premio Crnjanski (1991) e lo ha consacrato come scrittore di talento. Con il suo ultimo romanzo La finestra russa si è aggiudicato il prestigioso Mitteleuropa Preis (2008). Dal 2005 al 2009 Velikić è stato ambasciatore della Repubblica di Serbia in Austria.

ipiccolifuochi

Via Pola

Dragan Velikić

Prefazione di Claudio Magris Traduzione di Ljiljana Avirović ISBN 978-88-95538-02-0

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2009 pp.160/ €15,00 978-88-95538-25-9

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gennaio 2011

la FinestRa Russa Ruski prozor

Traduzione di Dunja Badnjević e Manuela Orazi pp.328/ €22,50 978-88-95538-33-4

Rudi Stupar è un giovane che mette in atto continue strategie per restare estraneo a se stesso: intraprende una carriera di attore per la quale non è tagliato, studia una materia che non lo appassiona, infine sceglie l’esilio. Per sottrarsi al servizio militare abbandona Belgrado per Budapest, e da lì fugge inquieto alla volta della Germania, sopravvivendo tra molteplici impieghi, inesauste flânerie e un fitto intrico di relazioni erotiche. Uno straordinario Bildungsroman che ha per protagonista un uomo alla ricerca della propria identità. Un romanzo magmatico e vigoroso in cui Velikić tratteggia, spostandosi con agilità nello spazio e nel tempo, la complessa scoperta di una vocazione, quella per la scrittura, grazie alla quale anche noi veniamo sollevati in un universo dove vorticano voci, echi e destini strappati all’oblio.


Joseph Zoderer Joseph Zoderer (1935) è nato a Merano e ha trascorso la sua infanzia a Graz. È uno dei più grandi scrittori contemporanei di lingua tedesca ed è stato sinora tradotto e pubblicato dalle più importanti case editrici italiane. Negli anni sessanta ha abbandonato la carriera di giornalista per dedicarsi interamente alla scrittura. Ha al suo attivo quattro antologie di poesia, nove romanzi, alcune raccolte di racconti e numerosi riconoscimenti letterari tra cui il premio Catullo di Sirmione (1986), il premio d’Onore della Fondazione Schiller di Weimar (2001) e il prestigioso premio Lenz (2003). Recentemente la celebre rivista letteraria “Text+Kritik” gli ha dedicato un volume monografico. Zoderer è inoltre membro dell’Accademia tedesca per la Lingua e la Poesia di Darmstadt.

l’altRa Collina Der andere Hügel

L’altra collina

Joseph Zoderer L’altra collina

Traduzione di Giovanna Agabio 2007 pp.136/ €14,00 978-88-95538-05-1

David albahari le sanGuisuGhe

Traduzione di Andrea Rényi

Traduzione di Ada Vigliani

Jenny erpenbeck stoRia Della BamBina VeCChia

Traduzione di Elvira Mujcić

Zoran Ferić i BamBini Di patRasso Djeca Patrasa

Un’indomabile e crudele ambivalenza attraversa ogni pagina, quasi ogni riga, di questo romanzo di formazione, un assurdo gioco di seduzione e ripulsa tra due amanti. Zoderer sembra quasi sdoppiarsi in spettatore imparziale dei propri interiori naufragi, dove il passato prende di volta in volta forma nelle pieghe di un corpo e nella rapace intensità di uno sguardo. Con un linguaggio freddo e ossessivo, incalzante e a tratti visionario, l’autore dà voce al fatale intreccio di fantasmi e conflitti, di intenzioni impedite e ripetuti smarrimenti, che si nasconde nei bui recessi del nostro “sottopelle”. L’aspra forza espressiva, tipica del suo stile, riesce ancora una volta a trasformare frammenti di realtà quotidiana in piccoli specchi in cui il mondo onirico può riflettersi e baluginare dinanzi ai nostri occhi.

Prefazione di Claudio Magris Traduzione di Ljiljana Avirović

miljenko Jergović VolGa VolGa

Traduzione di Alice Parmeggiani

lászló Krasznahorkai malinConia Della ResistenZa

Traduzione di Letizia Kostner

Volga Volga

Traduzione di Maria Henger

Az ellenállás melankóliája

Robert perisić il nostRo uomo sul Campo Naš čovjek na terenu

Geschichte vom alten Kind

Traduzione di Ginevra Pugliese

péter nádas amoRe Szerelem

Pijavice

A cura di Ljiljana Avirović

Joseph Zoderer

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Traduzione di Alice Parmeggiani

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leombre

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I libri che compongono la collana sono accomunati da una forte vocazione: parlano all’epoca contemporanea attraverso l’architettura. E tuttavia non aspirano a una semplice “attualità”dei loro contenuti, né si risolvono in essa. Anziché cercare di catturare l’inafferrabile essenza del nostro tempo vorrebbero piuttosto definirne i confini. E dato che essenziali, per una buona collana, sono la qualità delle perle e la resistenza del filo che le lega, non deve stupire se il pregio delle perle finirà per coincidere con il loro stesso “difetto” – l’eccentricità che tutte, ciascuna a suo modo, manifestano – e se la resistenza del filo consisterà piuttosto nel suo sapersi di volta in volta piegare ai multiformi e imprevedibili esiti che nascono proprio dall’unione dei singoli titoli. A cura di GIZMO

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Walter a. Gropius

ernesto n. Rogers

leombre

Walter a. Gropius (1883-1969) è stato uno dei più importanti architetti, designer e urbanisti del Novecento. Il suo contributo all’architettura moderna è determinante sia dal punto di vista della riflessione teorica sia per l’apporto metodologico, secondo cui ogni disciplina architettonica non può prescindere da un aspetto sociale e psicologico. La sua maturazione tecnica, artistica e ideologica si colloca pienamente nel clima culturale della Repubblica di Weimar. Nel 1919 è tra i fondatori della scuola del Bauhaus, di cui è sin dall’inizio direttore, un centro di innovazione che darà impulso allo sviluppo del modernismo in architettura. Costretto a emigrare nel 1937, dapprima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti, insegna per molti anni alla Graduate School of Design di Harvard.

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ernesto nathan Rogers (1909-1969) è tra le figure più significative della cultura architettonica italiana del Novecento. Nel 1932 fonda a Milano lo studio BBPR e firma, tra gli altri importanti progetti, quello della Torre Velasca (1958), edificio-manifesto del proprio pensiero teorico. Esule antifascista in Svizzera negli ultimi due anni di guerra, dal 1947 al 1959 è membro dei CIAM e stringe rapporti con i maggiori rappresentanti del Movimento Moderno. Parallelamente alla pratica professionale e accademica, Rogers conduce un’intensa attività pubblicistica, in particolare come direttore, dal 1953 al 1964, di “Casabella-continuità”. Sui suoi scritti si è formata un’intera generazione di architetti tutt’oggi operanti nei principali atenei italiani.

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W A LT E R G R O P I U S APOLLO NELLA DEMOCRAZIA

APOLLO NELLA DEMOCRAZIA

apollo nella DemoCRaZia

Walter Gropius (1883-1969) è uno dei più importanti esponenti della cultura architettonica del Novecento. Il suo contributo all’architettura moderna è determinante sia dal punto di vista della riflessione teorica sia per il contributo metodologico, secondo cui la disciplina architettonica non può prescindere dagli aspetti sociali e psicologici. La sua maturazione tecnica, artistica e ideologica si colloca pienamente nel clima culturale della Repubblica di Weimar. Nel 1919 contribuisce alla fondazione della scuola del Bauhaus, di cui sin dall’inizio è direttore e della quale – dopo il trasferimento da Weimar a Dessau – nel 1925-26 realizza la sede, uno degli edifici più significativi dell’architettura moderna. Costretto a emigrare dalla Germania nel 1937, dapprima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti, Gropius insegna per molti anni alla Graduate School of Design di Harvard. Nel 1945 fonda il TAC (The Architects Collaborative), il team con cui rielabora e approfondisce alcuni temi fondamentali della sua ricerca e conclude la propria carriera professionale.

Introduzione di Marco Biraghi Traduzione di Cesare De Marchi 2009 pp.208/ €22,50 978-88-95538-27-3 leombre

Pubblicato per la prima volta nel 1967, Apollo nel«Architettura è, concettualmente, sinonimo di vita, la democrazia è l’ultimo libro dieWalter Gropius. Inin noi, ma non solo di quella che sperimentiamo di quella che testimonia il nostro passaggio tra i vivi esso egli affronta uno dei nodi presenti cruciali delrealizzare seconper i vivi futuri: un’architettura è “presentificare” il passato e “infuturare” il presente. do dopoguerra, e non soltantoChiper l’architettura: non intende questi princìpi fondamentali è inutile che faccia l’architetto o insegni ad altri a diventarlo.» quello della produzione di qualità nell’universo Critici e polemici, i testi di Rogers raccolti in questo volume, pubblicato per la prima volta nel 1968, toccano dell’industrializzazione e della temi mercifi cazione. Al di sorprendente attualità. La cultura architettonica in Italia e all’estero, di tema della bellezza nell’età della macchina Gro- la cui Rogers fornisce una lucida interpretazione, denuncia della speculazione edilizia, la necessità del rinnovamento generazionale, i problemi pius affianca quello dell’unità nella diversità, delche affliggono l’Università italiana, il valore della democrazia e il ruolo attivomoderna dell’architettura nellae costruzione ruolo dell’architetto nella società delladella società futura sono solo alcune delle problematiche affrontate da Rogers, che spesso travalicano i confini strettamente perennità delle tradizioni costruttive. Completano disciplinari. Un ideale comune percorre tutti questi testi la raccolta di scritti alcuni “incontri” con rilevanti appassionati e appassionanti: la fede nel valore civile figure dell’architettura e delladell’architettura. cultura moderne (Behrens, Wright, Mies van der Rohe, Le Corbusier, Loos, Stravinskij), e due brevi saggi sull’esperienza con The Architects’ Collaborative, il gruppo con cui Gropius chiude la propria carriera professionale.

ERNESTO N. ROGERS

Angelo Torricelli, architetto, è professore ordinario di Composizione architettonica e dal 2008 preside della facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano. Ha insegnato presso le facoltà di Architettura di Palermo e Venezia, e in diversi Dottorati di ricerca, Master e Seminari internazionali di progettazione. Le sue pubblicazioni vertono principalmente sullo studio della città e dei monumenti, e sull’opera, le teorie e le poetiche di architetti moderni. È autore inoltre di progetti per concorsi e incarichi pubblici. Le sue opere sono apparse su libri e riviste italiane e straniere, e sono state esposte in diverse sedi, tra cui la Triennale di Milano (2003) e la Biennale di Venezia (2006).

EDITORIALI DI ARCHITETTURA

Silvia Micheli è professore a contratto presso la facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano. Nel 2007 ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Storia dell’architettura e dell’urbanistica all’Università IUAV di Venezia. Tra le sue pubblicazioni si ricordano Erik Bryggman 1891-1955. Architettura moderna in Finlandia (Gangemi, 2009) e Lo spettacolo dell’architettura. Profilo dell’archistar © (con Gabriella Lo Ricco; Bruno Mondadori, 2003), oltre a diversi saggi e articoli sulla storia dell’architettura moderna e contemporanea.

€ 26,00

ERNESTO N. ROGERS EDITORIALI DI ARCHITETTURA

WALTER GROPIUS

eDitoRiali Di aRChitettuRa

Ernesto Nathan Rogers (1909-1969) è tra le figure più significative della cultura architettonica italiana del Novecento. Laureatosi nel 1932 presso la facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, nello stesso anno fonda nel capoluogo lombardo lo “Studio architetti BBPR” insieme ai compagni di studi Gian Luigi Banfi, Lodovico Barbiano di Belgiojoso ed Enrico Peressutti. A causa delle sue posizioni antifasciste, tra il 1943 e il 1945 si trasferisce in Svizzera, dove insegna presso lo Champ Universitaire Italien di Losanna e la Haute École d’Architecture di Ginevra, pur mantenendo vivi i suoi contatti con l’Italia. Dal 1947 al 1959 è membro dei CIAM e stringe rapporti con i maggiori rappresentanti del Movimento Moderno, tra cui Walter Gropius, Le Corbusier, Alvar Aalto e Sven Markelius. Dal 1952 è titolare del corso di Caratteri stilistici e costruttivi dei monumenti e dal 1962 insegna Elementi di composizione al Politecnico di Milano. Tiene inoltre conferenze e corsi nelle più prestigiose scuole d’architettura internazionali, tra cui l’Architectural Association School di Londra e l’Harvard University. L’attività di docente, da lui svolta con impegno e passione, è anche l’occasione per riflettere sui problemi dell’insegnamento dell’architettura, sempre improntato a un approccio maieutico. Parallelamente alla pratica professionale e accademica, Rogers conduce un’intensa attività pubblicistica, che lo conferma come intellettuale di riferimento nella cultura architettonica italiana e internazionale. Dopo essere stato redattore, dal 1933 al 1936, della rivista “Quadrante”, e aver diretto, nel 1946-47, il mensile “Domus”, dal 1953 al 1964 è direttore di “Casabella-continuità” e (insieme a Belgiojoso e Peressutti) della collana “Architetti del movimento moderno” per la casa editrice Il Balcone. Tra le edizioni più recenti delle sue opere ricordiamo Esperienza dell’architettura (Skira, 1997) e Gli elementi del fenomeno architettonico (Marinotti, 2006).

Prefazione di Angelo Torricelli

Nota introduttiva di Silvia Micheli A cura di Gabriella Lo Ricco e Mario Viganò 2009 pp.320/ €26,00 978-88-95538-38-9 leombre

Critici e polemici, i testi di Rogers raccolti in questo volume, pubblicato per la prima volta nel 1968, toccano temi di sorprendente attualità. La cultura architettonica in Italia e all’estero, di cui Rogers fornisce una lucida interpretazione, la denuncia della speculazione edilizia, la necessità del rinnovamento generazionale, i problemi che affliggono l’Università italiana, il valore della democrazia e il ruolo attivo dell’architettura nella costruzione della società futura sono solo alcune delle problematiche affrontate da Rogers, che spesso travalicano i confini strettamente disciplinari. Un ideale comune attraversa tutti questi testi appassionati e appassionanti: la fede nel valore civile dell’architettura.


Marco Pozzetto

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Marco Pozzetto (1925-2007) è stato, tra gli storici dell’architettura, una delle figure più autorevoli. Studioso della cultura mitteleuropea, fece conoscere la Scuola di Wagner e la qualità dei suoi più dotati allievi attraverso uno scavo critico delle fonti, la cui accuratezza è rimasta ineguagliata. Il suo saggio La Scuola di Wagner (1979) resta un classico del Modernismo transalpino e le sue monografie su Jože Plečnik e Max Fabiani sono la testimonianza del suo eccellente metodo storiografico. Fondamentali inoltre i suoi studi sul Razionalismo italiano (Sartoris, Aloisio, Cuzzi, Baldessari, Levi Montalcini), indagato secondo quello spirito critico e originalità di pensiero che resta la viva testimonianza del suo insegnamento.

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L’architettura è da sempre un fenomeno complesso. Fin dall’antichità implicazioni sociali, economiche, politiche, tecniche, artistiche hanno costituito il fondamento della sua esistenza. Negli ultimi decenni, tuttavia, il suo sviluppo è stato influenzato in maniera decisiva da elementi di carattere finanziario, dal sistema dei media e da nuove istanze ecologiche. A fronte di questa crescente complessità manca una reale capacità di osservare il fenomeno dell’architettura con uno sguardo che sia assieme critico e storico. Prendendo le mosse dagli anni sessanta – l’ultima epoca in cui la cultura architettonica, in particolare quella italiana, ha dato risultati davvero fecondi – questa raccolta di saggi vuole essere un osservatorio critico sull’architettura attuale, ma anche uno specchio della varietà, frammentarietà e contraddittorietà del panorama architettonico contemporaneo.

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A cura di GIZMO 2010 pp.304/ €26,00 978-88-95538-56-3

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FIGURE DELLA MITTELEUROPA

Prefazione di Damjan Prelovšek A cura di Maurizio Giufrè 2008 pp.452/ €45,00 978-88-95538-03-7

Vengono qui raccolti per la prima volta gli scritti di Marco Pozzetto, da tempo ormai introvabili perché sparsi tra riviste, cataloghi e pubblicazioni di settore. Storico e critico dell’architettura fra i più importanti d’Europa, Pozzetto ha profondamente influenzato la nostra comprensione dello spazio architettonico e artistico della Mitteleuropa. Il volume si articola in tre principali filoni di ricerca: Vienna e gli architetti della Scuola di Wagner, il Razionalismo e l’architettura tra le due guerre in Italia, Trieste e la regione del Friuli-Venezia Giulia. Emerge in tutta la sua originalità l’appassionata indagine di Pozzetto sul significato civile dell’architettura nelle opere dei grandi ideatori che, tra la fine dell’Ottocento e lungo tutto il Novecento, hanno configurato, grazie ai loro progetti urbanistici, il paesaggio e il territorio circostanti.

Anthony Vidler STORIE DELL’IMMEDIATO PRESENTE

Prefazione di Peter Eisenman Traduzione di Barbara Del Mercato pp.272/ €24,00 978-88-95538-55-6

Qual è l’apporto che la storia e la critica dell’architettura forniscono al lavoro degli architetti e quindi all’architettura stessa? A questa e a molte altre domande risponde Anthony Vidler, uno dei più autorevoli storici e critici dell’architettura contemporanea, attraverso l’analisi delle ricerche di Emil Kaufmann, Colin Rowe, Reyner Banham e Manfredo Tafuri, e di alcuni tra i progetti e opere architettoniche che hanno segnato la storia degli ultimi decenni. Tra le ultime opere di Vidler pubblicate in Italia ricordiamo Il perturbante dell’architettura. Saggi sul disagio nell’età contemporanea (Einaudi, 2006) e La deformazione dello spazio. Arte, architettura e disagio nella cultura moderna (Postmedia, 2009).


COMITATO EDITORIALE

RELAZIONI ESTERNE E UFFICIO STAMPA

Giusi Drago Giuliano Geri Emanuela Zandonai Marina Bignotti m.bignotti@zandonaieditore.it +39 339 5765340

SEGRETERIA DI REDAZIONE PROMOZIONE DISTRIBUZIONE

Simone Rizzo PEA PDE

PROGETTO GRAFICO Premio nazionale per la Traduzione 2009 Ministero della Cultura / Centro per il Libro e la Lettura “Premio speciale” a Zandonai Editore Premio Dositej Obradović 2010 Ministero della Cultura della Repubblica di Serbia

via del Garda, 32 38068 Rovereto TN T: +39 0464 430330 F: +39 0464 458938 www.zandonaieditore.it info@zandonaieditore.it zandonaieditore



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