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Oh, come taceva la casa quando il padre scomparve nel buio. Georg Trakl, Sogno e ottenebramento Ogni uomo, a prescindere da quello che è e a prescindere totalmente da quello che fa, viene ricacciato continuamente in se stesso, ogni uomo è un incubo abbandonato soltanto a se stesso. Thomas Bernhard, La cantina
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Tutto sarebbe diverso se riuscissi a reprimere il disgusto, pensai. Fissavo il sole attraverso gli scuri. Si era indebolito e ora, invece di arrostire, sprofondava nelle chiome dell’uliveto che si estendeva fino al terreno ghiaioso di Valdanos, e più lontano ancora fino alle baie di Kruča e Utjeha – piene zeppe di bagnanti determinati a far assorbire ai loro corpi anche l’ultimo di quei raggi cancerogeni; una volta tornati a casa avrebbero impregnato la loro pelle bruciata con imitazioni di profumi costosi e indossato abiti provocanti, si sarebbero precipitati nelle discoteche e sulle terrazze dove si suona folk commerciale, convinti che quella notte si sarebbero sdraiati su un corpo estraneo con ustioni di terzo grado e avrebbero posseduto e poi dimenticato un essere umano non troppo dissimile da loro stessi. Avevo deciso di restare sdraiato ancora un po’, ma poi mi ero dovuto alzare perché la puzza di sudore nella stanza era insopportabile. La stanza è rivolta a ovest, pensai, per questo nel pomeriggio c’è un caldo da fornace. Il sole picchia sui muri per tutto il pomeriggio. Perfino quando tramonta, quel maledetto, il suo calore sgorga dai muri. I muri mi bersagliano di calore per tutta la notte. Da quando ci siamo trasferiti in questa casa, da quando mi sono accomodato in questo letto – sudo. Mi sveglio alle tre di mattina e devo alzarmi subito, perché il cuscino e il lenzuo9
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lo sono impregnati di sudore e puzzano, puzzano tremendamente, insopportabilmente. Mi sveglio nel mezzo della notte e devo alzarmi, perché il mio corpo mi scaccia fuori dal letto. Aver scelto proprio questa stanza come camera da letto si è rivelata una decisione catastrofica. Un giorno ci abbiamo portato il letto, l’armadio e gli scaffali, e già quel giorno, anche se questo l’avremmo capito solo in seguito, il nostro matrimonio era finito. Nulla poteva sopravvivere nemmeno una notte in quella stanza, men che meno una cosa così fragile, così anemica come il nostro matrimonio. Ho sudato e sudato per due anni, mi sono svegliato terrorizzato dal fetore del mio corpo, ho passato ore e ore a bere caffè in terrazza, sonnecchiando sul divano del salotto solo per un’ora o due prima dell’alba. Esausto per l’insonnia e la stanchezza, la salutavo con un abbraccio quando si svegliava. Per due anni ho cercato di capire cosa non andasse, perché tutto fosse andato nel peggiore dei modi, per due anni mi sono spremuto le meningi, prostrato dall’insonnia e dal malcontento che avevano riempito questa casa. In questi due anni non sono riuscito a formulare neanche un pensiero. Due anni così e poi è finito tutto. Se n’è andata. Ha detto non ce la faccio più ed è andata via. Un minuto dopo mi sono buttato sul letto nel quale, solo la notte precedente, ci eravamo detti, seguendo il nostro rituale ipocrita, ti amo. Mi sono addormentato subito, nell’istante in cui cadevo sul letto. Mi sono svegliato sudato, come sempre. Se n’è andata davvero, è stato il mio primo pensiero da sveglio. Lei non c’era più. Il letto continuava a puzzare, impregnato del mio sudore. Mi ero alzato fuggendo da quel letto terribile. Mi ero chiuso la porta alle spalle, niente e nessuno sarebbe più dovuto uscire da quella stanza. Mi ero traNel nome del figlio
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scinato in cucina e avevo messo a bollire l’acqua per il caffè. Poi ero tornato di corsa fino alla stanza e per sicurezza avevo chiuso la porta a doppia mandata. Potrei leggere qualcosa, pensai. Finalmente potrei leggere qualcosa, mi dissi, da due anni non leggo che la cronaca nera sui giornali. Ormai mi interessano solo la cronaca nera e i libri sui serial killer. Mi interessano solo gli scoppi di malvagità pura, pensai, non ho nemmeno più la forza di confrontarmi con l’ermeneutica del male, ormai tutto ciò è alle mie spalle. Non sono più in grado di cercare il male nelle azioni quotidiane delle, come si suol dire, persone comuni. Scelgo invece le manifestazioni volgari del male. Un uomo ha ucciso trenta persone e le ha sepolte sotto casa sua – riesco ancora a confrontarmi con un fatto del genere. Ma col malanimo di tutti i giorni, i desideri repressi e la furbizia da quattro soldi delle persone che incontro e considero alla stregua di pallidi fantasmi, che si rivolgono a me come se parlassero a un cieco, certi di averlo raggirato e convinto della loro buona fede – non voglio più avere a che fare con queste cose. Quel mattino il giornale scriveva: si fa sbranare su sua richiesta. La cronaca nera riportava la divertente storia di Armin Meiwes, il cannibale tedesco. Il cittadino Meiwes aveva aderito a suo tempo, scriveva il giornale, alla comunità dei cannibali di internet. Gli uomini sono esseri socievoli: si incontrano quando vengono al mondo, si ritrovano anche quando arriva il momento di svolgere il servizio militare, in modo da imparare tutti insieme come si uccidono altri uomini, stanno insieme quando vogliono accoppiarsi, e per questo hanno inventato il matrimonio, infine si associano quando viene loro voglia di mangiare i propri simili. Meiwes aveva scoperto il luogo dove si incontravano queste ani10 11
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me gemelle. Voleva mangiare un uomo: lo aveva confessato agli amici della comunità dei cannibali. Pubblicò un avviso. Gli risposero 400 persone che volevano essere mangiate. E così fu: uno di questi se lo mangiò davvero. L’uomo in questione aveva, a quanto pare, delle pretese particolari: prima di essere ucciso, chiedeva di poter preparare insieme al suo benefattore Meiwes un’ultima cena durante la quale avrebbe mangiato il proprio pene. Il benevolo Meiwes voleva accontentarlo ma, dopo l’entusiasmo iniziale, i due erano giunti alla conclusione che quel pranzo era immangiabile. In quel momento il volontario si era sentito male e aveva cominciato a pregare il Padre nei cieli. Meiwes, di cui i dottori hanno constatato la normalità, aveva dichiarato di aver soprasseduto alla preghiera, giacché non sapeva chi fosse suo padre, Dio o il diavolo, perciò non gli era chiaro se dovesse pregare Dio o il diavolo, stava scritto sul giornale. Dopo la preghiera, Meiwes aveva ucciso la sua vittima e l’aveva mangiata filmando il tutto con una telecamera. Presi dallo scaffale La terra desolata di Eliot, un’edizione che ci aveva portato un’amica durante il nostro primo anno in questa casa. Quell’anno il mese di novembre fu decisamente piovoso e le precipitazioni incessanti ci costrinsero fra le quattro mura. A causa della pioggia le nostre passeggiate nell’uliveto non erano praticabili, così in quel novembre cercammo di realizzare un idillio da film di serie B. Ce ne stavamo seduti nelle poltrone del nostro soggiorno, mentre il fuoco crepitava nel nostro caminetto. Ce ne stavamo seduti e leggevamo Eliot. Io leggevo ad alta voce, lei ascoltava. Allora l’amavo, come l’ho sempre amata. Allora non ero già più in grado di opporre resistenza, proprio come non sono mai stato in grado di oppormi oltre un certo limite. Allora deNel nome del figlio
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cisi che dovevo andare avanti comunque, come del resto tutto deve andare avanti. Le cose non vanno mai in rovina per colpa mia, e nemmeno riescono per merito mio. Mi capitano. E io mi adeguo. Durante l’infanzia immaginavo la vita come un deserto nel quale camminavo senza cambiare l’ordine delle cose, senza lasciare tracce. Quando scomparirò, non voglio che rimangano né una mia orma nella sabbia né la cenere del fuoco che ho acceso né lo scheletro dell’animale che ho mangiato, che non rimanga nessuna carovana fra quelle che ho incontrato, nessun albero fra quelli in cui ho inciso il mio nome nella corteccia, nessuna donna accanto alla quale cresca un mio bambino. Ci sarò solo passato, così nessuno mi potrà notare, nessuno potrà dire: lui c’è stato. Allora pensavo così, e anche oggi la penso allo stesso modo. Ma non mi sono comportato di conseguenza. Mi sono sposato. Ho preso moglie e ho continuato a viaggiare senza lasciar traccia. Alla fine lei ha detto non ce la faccio più e se n’è andata, lo ha fatto, anche se anch’io avrei potuto dire la stessa cosa, ma non l’ho fatto, lo ha detto lei, perché è più forte di me. Aprile è il più crudele dei mesi, dice Eliot. Ma lui non era vissuto sul litorale montenegrino e i suoi concittadini non si erano arricchiti affittando camere. Non aveva visto i turisti, al pari delle orde unne, calare sulla sua tranquilla città trasformandola in un gigantesco parco giochi barbarico e non aveva vissuto il restringersi dello spazio vitale alle dimensioni del proprio cortile – ogni volta che uscivo di casa dovevo farmi largo in un formicaio di corpi estranei, brutti, rumorosi e in preda alla spasmodica ricerca di piacere, e ciò mi costringeva a tornare indietro correndo impanicato, continuando a voltarmi, perché il pericolo proveniva da ogni parte, mi costringeva a tornare indietro nel mio mondo delimitato 12 13
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da un’alta cinta che mi separava da quegli invasori sconosciuti e terribili. Agosto, dico io, è il più crudele dei mesi. Mi sembra che sia stato Al Ghazali a dire che il cielo è circondato dalla sofferenza, mentre l’inferno è circondato dai piaceri. Vista dall’alto, dalla cima del colle e dal bosco in cui è situata la mia casa, la città in cui vivo d’estate assomiglia all’inferno. Questo perché il turismo è la vendita del piacere. Infatti in una città turistica l’uomo è davvero circondato dai piaceri. Al Ghazali ha ragione: mi trovo all’inferno perché sono circondato dai piaceri. Ha ragione anche Sartre, quando dice che l’inferno sono gli altri. Il loro piacere è il mio inferno. Suonò il telefono. Era un amico: mi informava che gli era appena arrivato dagli Stati Uniti il dvd del film Cannibal Holocaust. Di cosa si tratta, gli chiesi. Il film racconta la spedizione di una troupe di filmmakers che si imbatte in una tribù di cannibali da qualche parte in Amazzonia. L’inizio è promettente, cosa succede dopo, gli chiesi. Niente di particolare, rispose, per il resto del film vengono mangiati dai cannibali. L’etichetta da cui ho acquistato il film si chiama Grind House ed è specializzata nella vendita dei film più oscuri, scioccanti e ributtanti di tutti i tempi, mi disse l’amico non senza un malcelato entusiasmo. Pensa che cosa ho trovato nel loro catalogo: nella ricca offerta di film in cui vengono presentate le peggiori torture che un uomo possa subire – stupri, mutilazioni, squartamenti, cannibalismo – c’è una sezione particolare: senza violenza sugli animali. Lo capisci cosa ti sto dicendo, urlava nel telefono. Capisco, risposi fra i denti. Ma lo capisci che, continuò urlando, vogliono risparmiare agli amanti del cannibalismo, ma sensibili alla violenza sugli animali, di sentirsi male mentre guardano in Nel nome del figlio
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santa pace viscere umane fatte a pezzi. Temo di sì, dissi al telefono. Dopo questa conversazione non fui più in grado di leggere. Succede sempre qualcosa che all’ultimo momento mi impedisce di mettermi a leggere. Per leggere e, in generale, per qualsiasi arricchimento culturale, è necessario l’ozio. Se non avessi mai provato noia, non avrei mai scritto niente. Continuo ad annoiarmi, come sempre, ma da un po’ di tempo a questa parte non riesco più a ricordare perché dovrebbe essere così importante leggere, o scrivere, insomma, perché dovrei sviluppare il mio spirito. Rinunciai a leggere e accesi il computer. Non riuscii a connettermi a Internet. La connessione non funzionava. La centralina telefonica è sovraccarica, pensai, proprio in questo momento migliaia di turisti originari del Kosovo stanno mandando messaggi alle proprie famiglie emigrate nei paesi occidentali dove hanno guadagnato i pochi soldi che ostentano d’estate durante le due settimane di vacanza, una vacanza la cui unica funzione è quella di far aumentare la frustrazione di tutti quanti. Perché anche se si sono pavoneggiati con delle ragazzine, sedotte dalle catene d’oro e dalle Mercedes vecchie di dieci anni, la puzza dei gabinetti che li aspetta a Monaco di Baviera, Stoccolma o Graz è ancora lì, ristagna nei loro condotti nasali. Ora che sono tornati dalla spiaggia, spinti da una spasmodica necessità di comunicare, mandano un numero infinito di mail, questi analfabeti che pronunciano una parola dopo l’altra con uno sforzo simile a quello del parto. Il mio disprezzo e la mia intolleranza sono senza fine, lo schifo che provo per questi invasori mi è penetrato sotto la pelle al punto che avverto una sensazione di santità; con la differenza che i santi erano pervasi d’amore, pensai. Sentii il bisogno che 14 15
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