A Buon Intenditor...

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Introduzione Questo volumetto nasce dalla collaborazione fra due persone all’apparenza molto diverse, indubbiamente lontane per scelte di vita: il magistrato in prima linea nel delicato lavoro quotidiano, sempre pronto a condurre battaglie civili con forza e sensibilità, e l’artista-giardiniere, come egli stesso ama definirsi, che vive in campagna nella sua casa-atelier, quasi soffocata dal verde e dai fiori, immerso nel mondo della fantasia e della creazione. Ad unire profondamente i due autori, Fiorenza Giorgi, a cui si deve la parte letteraria di questo delizioso libro, e Dino Gambetta, maestro di colori ed immagini, è la Liguria, l’amore fortissimo ma non cieco, e per questo più autentico, per la propria terra, in particolare per Savona, che diventa fonte di ispirazione. E poi, cosa non secondaria, anzi fondamentale, entrambi si esprimono correntemente in dialetto, fatto purtroppo ormai sempre più raro. Dal loro incontro nasce un lavoro che è un garbato invito, in un’epoca di massificazione,a non perdere le radici di una cultura popolare, ricca di saggezza, pervasa di ironia, di umorismo talvolta caustico ed irriverente. Questa bella avventura nasce dai primi volumetti dedicati ai detti popolari savonesi, realizzati da Fiorenza Giorgi: inevitabile che Gambetta, avendoli fra le mani, fosse preso dal sacro fuoco della creazione. Il suo lavoro, infatti, da sempre è ispirato e trova linfa nella sua, nostra Liguria, nei personaggi , nelle storie che si tramandano di padre in figlio, rendendo speciali e magici luoghi e case, persone e animali. Non poteva esserci dunque interprete migliore per dar vita, sulla carta e con la tecnica dell’acquarello, a lui particolarmente cara, alle espressioni dialettali che l’autrice ha richiamato alla sua eccezionale memoria, nel desiderio, come lei stessa scrive, “di divertire i lettori, ma anche di evocare la


mia fanciullezza felice e fare emergere dalle nebbie del passato coloro che ho amato e perduto”. Per l’artista la scelta, non facile, tra tanti gustosi proverbi, credo sia stata ispirata dalla possibilità di meglio esprimere con la propria particolare sensibilità alcuni di questi detti così coloriti. Lo stile immediato e senza fronzoli, l’incisività nel cogliere e trasmettere i particolari salienti, gli hanno permesso di narrare visivamente, con la consueta simpatia e attingendo al repertorio iconografico della sua pittura, tante espressioni colorite. A fare da cornice ai personaggi alle prese con situazioni a volte surreali, come l’uomo-bambino, che esce dall’uovo di cioccolato di “U po’ sciurtiu da l’eouvu de Pasqua”,”sembra uscito dall’uovo di Pasqua”, ci sono i paesaggi marini con l’isoletta di Bergeggi, che sembrano fondersi, come accade in Liguria, con le immagini bucoliche di verdi colline a pan di zucchero e casette arroccate sui loro cucuzzoli. Non mancano gli animali, altra costante nel lavoro di Gambetta, i pesci guizzanti e curiosi, i pennuti spavaldi come il gallo, i bianchi gabbiani che, quasi sempre in coppia, solcano l’azzurro del cielo, i cani e i gatti, fedeli amici di sempre. Oltre al richiamo costante alla terra ligure, c’è nella rappresentazione, nella lettura che l’artista fa di questi proverbi, l’ironia, la capacità di scherzare su sé stessi oltre che sugli altri, propria ai liguri e ai savonesi, malgrado la loro apparenza stundaia. Per questo i suoi personaggi un po’ stralunati, alle prese con situazioni non sempre gradevoli, a volte al limite del politically correct, ispirano simpatia ed invitano al sorriso. E’ certo che il materiale, raccolto da Fiorenza Giorgi nel suo appassionato, infaticabile lavoro “di memoria”, è ricco e stuzzicante, per i mille spunti di riflessione e di piacevole divertimento da esso forniti. Ad arricchire la teoria di detti ed espressioni popolari, di per sé molto gustosi, a dare loro uno straordinario valore aggiunto, sono però le note, alcune brevi e quasi icastiche, altre paragonabili a piccoli saggi o


fulminanti racconti. Scrittrice arguta, dall’enciclopedica cultura, l’autrice coinvolge il lettore innanzitutto con la profonda padronanza della lingua savonese, per la quale nutre un amore indubbiamente legato alle sue radici famigliari, allo stretto, coinvolgente rapporto in particolare con la figura paterna. Se stupisce la sua eccezionale memoria, in grado di ripescare dal profondo parole dimenticate e cadute in disuso, fanno sorridere, ma anche riflettere, i commenti che accompagnano, insieme alla traduzione in lingua italiana, tutti i modi di dire. Tali divagazioni all’apparenza leggere e sempre godibili, sono espressione dell’acutezza e dell’arguzia del suo carattere, dell’assoluto anticonformismo e della sincerità del modo di essere di una donna che non ha mai avuto paura di mettersi in gioco e di esprimere fino in fondo le sue più profonde, laiche convinzioni. Fiera di appartenere ad una terra aspra e vulnerabile, di meravigliosa ma fragile bellezza, Fiorenza Giorgi si fa paladina della sua cultura popolare con leggerezza ed intelligenza, con amore e gratitudine. Claudia Sugliano



Prefazione L’idea di raccogliere in un libro alcuni modi di dire dialettali è nata dal mio desiderio di condividere con gli amici foresti (vale a dire, non savonesi) qualche sprazzo di cultura della mia città natale. L’iniziativa ha avuto un successo insperato, e così ho ripetuto l’esperienza, confortata anche dai contributi di diversi lettori (savonesi e non) i quali mi hanno segnalato alcuni detti che non conoscevo o ricordavo e che ringrazio di cuore. Il lettore noterà che alcune delle frasi sono allegramente volgari ed altre politicamente scorrette, ma tutte – a mio parere - valgono a ben individuare il carattere mordace di noi che siamo nati nella città della Torretta. Ho voluto proporre anche due facili ricette ed aggiungere qualche piccola nota storica nonché alcune curiosità: i lettori non me ne vogliano, ma sono cose che, prima che agli altri, amo ricordare a me stessa. Un grazie affettuoso all’impagabile amico, Maestro Dino Gambetta, al quale devo la traduzione di alcuni modi di dire in gesto grafico e nei cui confronti sono debitrice, oltre che delle deliziose illustrazioni, della diffusione della mia modesta fatica letteraria. L’autrice Ottobre 2014


A San Miché e strasse san d’ame-e A San Michele, i vestiti pesanti sanno di miele (cioè si godono)

La festa di San Michele cade il 29 settembre, quando inizia l’autunno e si cominciano a godere gli indumenti più pesanti. È interessante notare come, sia in questo caso che in quello precedente, ci si riferisca non alle date bensì alle festività religiose.


L’atoiu u fa l’elemosgina a-a gescia L’oratorio fa l’elemosina alla chiesa

L’oratorio era quasi sempre affiancato alla chiesa, dalla quale dipendeva: è un modo per indicare i casi nei quali una persona abbiente chiede ed ottiene aiuto da un’altra meno provvista di beni.

Sta brovu, che te portu a fo’ in giu in sa-a Checca Stai buono, e ti prometto che ti porto a fare un giro sulla Checca

Quando mia madre era bambina, al Prolungamento a mare di Savona c’era una piccola carrozza chiusa trainata da un equino di incerta razza, di nome “Checca”: pare che mia nonna, per indurre la figlia (cioè la mia mamma) all’obbedienza, le promettesse sempre che l’avrebbe portata a fare un giro su quella carrozza, salvo rimangiarsi la promessa con scuse varie. Chi scrive non crede esista un Paradiso per gli esseri umani (che non lo meritano), ma è convinta che vi sia un luogo dove tutti gli animali che hanno passato la vita soggiogati dalla nostra razza abbiano la possibilità di vivere felici: la “Checca” ne sarà senz’altro uno dei più begli ornamenti.

Quellu lì u l’è leggnu de figu Quello lì è intagliato nel legno di fico

Il fico ha un legno fragile, contorto, difficile la lavorare e che brucia male: per traslato, indica una persona di poco e nessun valore.

Unde andei? Andemmu a pigio-o u perdun Dove andate? Andiamo a prendere il perdono

Accadeva che un gruppo di uomini che si stava recando all’osteria incontrasse qualche conoscente il quale si informava su quale fosse la loro destinazione: la risposta, scherzosa, era che andavano a confessarsi.



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