Il Gazzettone n.2

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GIOVEDI 14 GENNAIO 2010 • L’ECO DELLA RIVIERA

ATTUALITÀ

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EQUILIBRISMI

Dall’archivio Rubino Antonio - Sanremo

Tutti i numeri Gazzettone erano caratterizzate dalla presenza in prima pagina di un disegno di Antonio Rubino. Con il suo tratto inconfondibile e la sua ironia affrontava di volta in volta i temi d’attualità della politica cittadina. Nel numero del 21 febbraio del 1950, Rubino ha affrontato il tema del delicato rapporto della città con il Casinò ed i precari equilibrismi politici. Su gentile concessione dell’archivio Rubino in copertina di questo numero pubblichiamo il disegno dal titolo “Equilibrismi” che era seguito da una breve poesia:

Castellinaria! Castellinaria! Capolavoro dell’arte varia!

In esso agiscono due giocolieri

Tenendo in bilico palazzi interi

E con un simile giuoco azzardato Facendo al pubblico mancare il fiato.

Rulla il tamburo … tremano i cuori “Basta” ripeton gli spettatori.

A distanza di 60 anni, è ancora di grande attualità: il Sindaco è alla ricerca di un punto di equilibrio con il Casinò e nei panni di un improbabile Indiana Jones “alla ricerca della stabilità perduta”. ( a pagina 2 la spasmi comica di Giarevel). Sotto l’influenza dei risultati delle elezioni regionali e provinciali sono arrivati numerosi contributi per questo numero. Ve ne proponiamo una selezione, non semplice perché tutti i materiali erano interessanti e intriganti. Abbiamo adottato il criterio della vignetta a chilometro zero, come le pizze di pagina 7, privilegiando quelle che trattano temi del territorio e cercando di dare un pochino di spazio a tutti. Ci scusiamo con gli esclusi, ma non arrendetevi e continuate a mandarci i vostri disegni o scritti. Il numero zero del Nuovo Gazzettone ci ha regalato infatti un discreto numero di nuovi collaboratori, alcuni messaggi di incitamento, una lettera di richiamo, un paio di pacche sulle spalle di incoraggiamento, due richieste di abbonamento e nessuna denuncia. Un bilancio positivo. Buona lettura. Claudio Porchia


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ALLA RICERCA DELLA STABILITA’ PERDUTA Finchè durò il patto, gli dei concessero che in città tutto fosse stabile, in equilibrio assoluto. Il sole e le nuvole s’alternavano in cielo senza alluvioni o siccità. Treni e autobus erano puntuali e la gente cedeva volentieri il posto ad anziani e donne incinte. Le auto che circolavano per strada non erano più dei posteggi disponibili e si trovava posto ovunque in pochi minuti. C’era sì, qualche cantiere, ma gli operai lo chiudevano in fretta, suturando l’asfalto come chirurghi estetici. All’ospedale le liste d’attesa erano più corte delle buste paga dei primari e, comunque, questi erano così bravi che spedivano i loro pazienti a casa meglio di come erano arrivati. Chi era disoccupato, non aveva nemmeno il tempo di cercare lavoro che lo trovava subito e a tempo indeterminato. La locale bocciofila galleggiava più o meno a metà classifica, senza infamia e senza lode: perdeva sempre in trasferta, ma vinceva puntualmente in casa, soddisfando gli ultrà. Durante le elezioni i candidati si sfidavano in modo intelligente seguendo l’educazione prima che le regole, senza sovrapporre voci o manifesti, senza attacchi verbali, senza luoghi comuni, per facilitare il lavoro dei loro elettori. E i verdetti, nei tribunali, venivano accettati senza mettere in discussione chi li aveva emessi. Chi abbia violato il patto non è dato saperlo. Nessuno se ne senta del resto responsabile. Più che la nostra hybris,

può essere stata una bizza, un capriccio degli dei. Più volte c’han dimostrato d’esser permalosi. Ma da allora la vita in città è quasi impossibile, con le conseguenze che tutti conosciamo: enormi SUV scorrazzano per le vie del centro, quando piove l’acqua inonda i negozi e le cantine, le strade sono martoriate di buche e siamo ovunque in zona retrocessione. Pochi e inutili sono stati i rimedi finora trovati per ritrovare la stabilità. Il sindaco, convocata una riunione straordinaria ha preso alcuni provvedimenti autoritari: una task force di vigili urbani ha multato ogni locale, pizzeria o ristorante in cui fosse stata riscontrata la presenza di tavoli e sedie che locciavano. Per chi ne avesse qualcuna in casa c’è un numero verde: una squadra di volonta-

ri della protezione civile arriverà in pochi minuti a mettere una zeppa di carta o un feltrino. Fino a nuovo ordine è assolutamente vietato pedalare sulla pista ciclabile senza le apposite rotelline: la cosa stranamente ha interessato molti abitanti che vi si sono riversati in massa su tricili da bambini. Grandi code invece alle iscrizioni dei corsi di funambolismo: vista l’affluenza è stata allestita una nuova teleferica che dalle banche in centro porta direttamente al vicino monte con le antenne. E le massaie che proprio volessero preparare la maionese, dovranno farlo sotto stretta supervisione dei carabinieri. Ma, ci chiediamo, quanto durerà così? Ritroveremo la stabilità perduta? Forse, un giorno, gli dei ci torneranno favorevoli e stringeremo con loro un nuovo patto di stabilità. Abbiamo consultato gli oracoli. La soluzione è sempre la stressa: il solito altare e il solito sacrificio. Giaravel


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BASTA CON LA SOLITA PIZZA... Basta con la solita pizza, arrivano anche ad Imperia le pizze a chilometri zero della Coldiretti. La “Pizzeria dal Principe” di Seborga è stata la prima a ribellarsi alla solita “4 stagioni” per offrire ai suoi clienti solo pizze che cambiano secondo il periodo e preparate utilizzando prodotti del territorio. In questi tempi di elezioni, la pizza più gettonata è la “luigina”, dedicata al nuovo principe, ed a base di gelatine di mimosa, pastorizzate seguendo una antica ricetta dei templari. In tempi antichissimi veniva utilizzata per le selezione del principe. Veniva data da mangiare ai candidati e veniva eletto l’unico che rimaneva ancora in vita. Da evitare la pizza “morgia” che il principe Luigino primo aveva ideato in onore della zia Lucrezia e che dava da mangiare ai suoi peggiori nemici. Dopo il successo della pizzeria seborghina anche le pizzerie della costa si sono adeguate alla nuova filosofia ed hanno preparato inserito nei loro menù delle nuove pizze. Il nostro inviato le ha cercate e mangiate per voi e, grazie al suo terribile sacrificio, ve le presentiamo in questo numero. Ricordiamo che la pizza per ottenere il bollino “chilometro zero” deve essere farcita con ingredienti rigorosamente nostrani.

LA PORTICCIUOLA Specialità tipica, introvabile altrove, soprattutto nei paesi costieri ancora frequentati da cetacei. Elaborata a cura di un famoso studio d’architettura è una vera e propria suite per il palato: le sue volumetrie consentono di ospitare circa 380 posti-cozza e un centinaio di cabine- vongole, mentre squisiti gamberetti, cannolicchi e moscardini saranno alloggiati in uno straordinario hotel de charme posto su un piano soprelevato accessibile con ascensore. Un po’ laboriosa, vi farà aspettare. Per portarla a termine è spesso necessario un lungo iter burocratico, ma una volta servita promette di essere un incredibile volano economico di cui voi non vedrete una lira.

LA PIZZIMBUONA Per la sua natura misteriosa (gli ingredienti, infatti, sono segreti), ha favorito la nascita di numerose dicerie e leggende metropolitane, come, ad esempio, quella che sia costituita dai ritagli avanzati dalle altre pizze, tenuti insieme da un saporito percolato di gorgonzola affumicato. Ma della sua bontà sono la prova i numerosi VIP che da tutta Italia vengono in Riviera per assaggiarla: da Barbara D’Urso a Gabriella Carlucci, da Marcello Dell’Utri all’avvocato Taormina. A fine pizza è possibile chiedere una ulteriore proroga e averne un’altra.

LA GENDUSA Capace di soddisfare diversi tipi di palati, molti non riescono a finirla per l’eterogeneità dei suoi ingredienti e ne vorrebbero una più classica o addirittura optano per la solita minestra riscaldata. Impossibile capire se cominciarla da destra o da sinistra. Forse il modo migliore è cominciare dal centro se si riesce però a superare l’enigma che vi compare: ma la politica è una pizza o le pizze servono per far politica?

LA PISSETTE La preferita dei croupier del Casinò di Sanremo, un po’ meno dai nostri camerieri. Particolarissimo il sistema in cui si ordina: non esiste à la carte, ma va fatta intuire scegliendo magari una banale margherita e spostando il dito sul menù dopo l’ordinazione. La direzione si riserva di registrare le ordinazioni con un sistema di microcamere a circuito chiuso per tutelarsi da questo tipo di truffe.

LA GOMORRA La pizza più famosa, quella che vanta numerosi tentativi di intimidazione, è arrivata anche da noi: vi verrà proposta quando meno ve lo aspettate, con un’offerta che non potrete rifiutare. E’ cotta in forni a legna, ma anche a benzina, gas, o alimentati ad automobili o stabilimenti balneari. Vi piacerà così tanto che il giorno dopo non ne parlerete con nessuno, per paura che la scoprano anche i vostri vicini e ve la portino via. Ah, è l’unica da asporto: a casa, in ufficio, in negozio, al bar. Vi raggiungerà ovunque voi siate.

LA BOSCAJOLA Amatissima in tutto il Ponente ligure, forse per il suo misto mare-monti che riesce sempre a mettere tutti d’accordo in qualsiasi tavolo, consiglio o seduta, evitando ogni possibile discussione sulle alternative nel menu. Pur restando costante la ricetta, riserva spesso grandi sorprese creative come, ultimamente, l’aggiunta di funghetti atomici a fine cottura. LA ZONA FRANCA Attesa da anni nell’estremo ponente, ognuno ne dà una versione diversa: tante piccole pizzette a macchia di leopardo, oppure una di circonferenza enorme ma tutta crosta, o ancora venduta a trance di chilometro quadro. Di sicuro c’è che qualcuno ha già cominciato a mangiarla...

LA MASSONA Straordinaria pizza triangolare, disegnata con squadra e compasso, crea sempre stupore e un po’ d’invidia tra i vicini che vorrebbero assaggiarla e non sanno come fare. Per conoscerne gli ingredienti e ordinarla occorre infatti essere sottoposti ad un rito di iniziazione nel sottoscala. Successivamente, è possibile accomodarsi nella comoda loggia dehor, posta sul grande lato orientale del locale e leggere il menù proposto dal nostro venerabile chef Licio.


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LE PAGELLE DI VIPERELLA

Ringraziando il cielo è finita. Mentre aspetto il secondo round di rigurgiti, ripescaggi, accordi e compromessi, ho sviluppato una sana allergia verso santini, manifesti, point e comunicati stampa. In questa campagna elettorale mi sono sorbita di tutto, promesse e ritrattazioni, litigi e rappacificazioni e soprattutto volente e nolente gli aperitivi. Non è colpa mia, lo giuro..è che passavo di lì o di là e siccome la carne è debole, mi lanciavo su pizzette e panini. Per cui sono ingrassata di due chili e mi sento acida. Acida e pervasa da malvagia gioiosità.

GIANNI GIULIANO è quello che comunque mi ha più solleticato. Povero Giuliano. Eppure la sua campagna elettorale era veramente mirata a sollevare lo spirito. A partire dal suo meraviglioso santino in cui, travestito da prete in borghese guardava in alto ispirato, aspettando l’Approvazione Celeste dopo averla avuta già da due Papi. (Benedetto XIV e Giovanni Paolo II). Dicono che abbia affisso manifesti elettorali anche a Genova, dove non poteva essere votato e, considerata l’età, in effetti, ha perso un pò di sprint. Che farà? Non preoccupiamoci. Dio l’ha temporaneamente abbandonato, ma come Lui sarà comunque onnipresente. VOTO 8 (promosso con riserva) MARCO SCAJOLA, bello e impossibile, ha invece il dono dell’ubiquità. Durante questa campagna elettorale è stato avvistato ogni giorno in più pranzi, cene, aperitivi e pause caffè contemporaneamente. Si vocifera che abbia un sosia. Se lo vedete allo stesso tempo in Regione, a mangiare una pizza o a casa sua, non è lui. E’ caduto tuttavia clamorosamente sulla foto da mulino bianco del suo sito. Potevamo accettare la famiglia bella, sorridente e bionda, ma i covoni no. VOTO 4 (bocciato)

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CRISTINA BARABINO è stata perfetta. Il sorriso plasticato, il caschetto perfettamente à plomb, la camicia sempre intonsa, non ha mangiato, non ha bevuto, non ha dormito. Non ha avuto il turbamento della calza smagliata, l’imbarazzo dell’alone sotto l’ascella. Sicuramente, a risultato elettorale, ha arrossito lievemente esprimendo il disappunto con un “ohibò”. Qual è il suo segreto? E’ bionica. La sera il marito se la porta a casa, la disattiva e la ripone nello stanzino. Lì, lei aspetta il ripescaggio delle quote rosa. VOTO 10 (assolutamente)

Scajolandia arringavano la folla contro le moschee a Sanremo, a Genova e in tutto il mondo conosciuto, lui è apparso invece su un trenino carico di palloncini e preceduto da un frastuono assordante. Temevo il collasso e qualche vena scoppiata del collo. Per fortuna, a placare la folla inferocita, hanno fatto scudo i body guard. “E’ dei nostri!”- hanno urlato. E lui, nel frattempo, era già fuggito. VOTO non classificato.

RICCARDO GIORDANO è stato un gran volontario volonteroso. Lo è ancora. Si è arrampicato su per le valli da bravo escursionista, pervaso da uno spirito indomito donchisciottiano. Ma il vento non è cambiato e lui deve stare all’opposizione. D’altra parte, ama l’azzurro e va a caccia. Per la prima, vabbè, nessuno è perfetto, ma per la seconda avremmo fatto meglio domandare a “Sinistra ecologica libertà”. VOTO 6% (per la buona volontà)

ELEZIONI REGIONALI LIGURIA

GIOVANNA BALDASSARRE è una grande donna. Ha alzato la voce per dare spazio alle donne. Come Augusto, ha alzato l’indice per fare sentire che ci siamo e che vogliamo fare la differenza. Brava. Peccato che noi donne elettrici non l’abbiamo apprezzato. Siamo un popolo di confuse e abbiamo sbagliato dito. VOTO 10 con lode EUGENIO NOCITA è stato proprio un copione. Copione con errori ortografici ( Dottore! “vi fu” non vuole l’accento!) E poi, rovinare così una poesia di Cardarelli per il suo slogan!. Quando l’ho letto mi è venuto in mente anche un motivetto di qualche anno fa sulla pubblicità di un caffè. Parlava di una certa Carmensita. Anche quella faceva rima con Nocita. VOTO 5 (rimandato a settembre) E per concludere posso lasciare fuori MARCO LUPI? Mentre lupescamente attende il suo destino, non posso non ricordarmi della sera in cui mentre Biasotti e

Viperella

UDC AGO DELLA BILANCIA

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PALLA AL CENTRO

Le elezioni del 2010 saranno le ultime tradizionali? Diciamolo: votare non va più di moda. E allora, almeno su questo, i partiti politici sono d’accordo: bisogna ripensare alle forme di partecipazione dei cittadini alla vita politica. L’intellettuale francese Alain Gerard Slama parla di crisi della democrazia e dice che servirebbe investire in politiche culturali; il collega ponentino Mario Guglielmi scherza su facebook e propone che passi l’introduzione del televoto. L’intellettuale del Bar Sport di Ciuccalucco Giobatta sogna l’uso della forca e impreca ‘porcu belin’. Decisamente troppo: ma in effetti servirebbero più

candidati palestrati e tatuati, per rispecchiare fedelmente il Paese; le veline ci sono già. La proposta che facciamo è diversa. Basta interrogarsi su ‘cosa siamo’, basta con i parlamentarismi tanto sgraditi; ma basta anche con la logica televisiva, che nello specifico pone problemi, viste le recenti minzoliniate (ma Minzolini ci è o ci fa?) e santorate. Si dia il là ad un campionato calcistico. Le squadre già ci sono. Agli italiani il calcio (tirato dove?) piace. Il Pdl propone lo schema uno-unouno: Berlusconi, l’allenatore, opta per Berlusconi in difesa, Berlusconi a centrocampo e Berlusconi in attacco. Aboliti gli arbitri perché comunisti. Bondi massaggiatore, Carfagna e Prestigiacomo cheerleader. Il Pd non sa bene che schema adottare; ma c’è indecisione anche sulla formazione da portare in campo, la bandiera e sulla maglia ufficiale: bianca? Rosa? Verde? No, quella è della Lega, che vuole celebrare i 150 anni dalla nascita della Padania. Allenatore del Pd: non pervenuto. La Binetti non c’è più, Bersani invece giocherà: “cercheremo di evitare difensivismi e attacchismi per il bene del Paese.” Eccioè?? Di sicuro resistenza, ma con R minuscola e fuori dai programmi scolastici. E’ così: “una vita da mediano…” Servirebbe un Obama, dice qualcuno, ma come si fa con i cori razzisti? Gli altri? L’Udc sta cercando di organizzare la squadra, ma non ha abbastanza giocatori. Idem per le sinistre radicali – ci sono più team che calciatori; Italia dei Valori e Lega hanno solo l’attacco, i grillini sono calciatori giovani formatisi con il web 2.0 ma sono pochi anche loro. Fini? E’ rimasto fuori dallo stadio, per ora, dove pascolano i non ammessi: Api,Fn e altri non meglio identificati o identificati dalla Digos. Napolitano si desta, firma e accende la televisione: Berlusconi sogna la telecronaca a reti unificate, ma Rai Tre, la7 e Sky non obbediscono. Secondo i bookmakers, comunque, vinceranno tutti. L’importante è costruire uno stadio di proprietà, magari con un porto attaccato, che il mattone, dice Saviano, è il motore del sistema.

E il Paese? Finché ci sono i comici di Zelig non ci sono proble- m i : basta vedere il bicchiere mezzo pieno (di cosa?) e tirare la carretta. Palla al centro. Vinco anch’io, no tu no. Il ventriloquo


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A questo numero hanno collaborato:

I “Cinicini” sono speciali cioccolatini preparati dallo chef Sergio Sartor del ristorante Il Melograno. All’interno messaggi cinici ma simpatici. Ogni settimana un assaggio per voi.

Il “Nuovo Gazzettone”, è un quindicinale di satira pubblicato come supplemento del settimanale L’Eco della Riviera. I testi e le immagini sono disponibili anche sul sito

www.ilgazzettone.it Scrivendo a info@ilgazzettone.it potrete iscrivervi alla newsletter che, a cadenza regolare, vi informerà sulle novità e segnalerà notizie e appuntamenti. Proposte di collaborazione, testi, immagini, caricature e disegni possono essere mandate all’indirizzo: redazione@ilgazzettone.it

Andrea Bersani, Fabio Bono (il grillino), Barbara Bottini (Le Pulci), Fabrizio Canciani, Giulio Cardone, Antonella Giacummo, Giulio Laurenzi, Diego Lupano, Malu, Alessandro Prevosto (Palex), Giacomo Revelli (Giarevel), Sergio Sartor (I cinicini), Uber (uber), Valerio Venturi (il ventriloquo), Viperella


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PIOMBO SUL JUKE BOX STORIE DELLA CANZONE ITALIANA ATTRAVERSO DELITTI, MISFATTI, MINACCE, REATI, PENE, OSCURE VICENDE LEGATE AL MONDO DELLE SETTE NOTE. TEMA:ISTIGAZIONE A DELINQUERE

Seconda parte

…………… Tornando a Emozioni l’incipit dice di “seguir con gli occhi un airone lungo il fiume e poi ritrovarsi a volare”, è il caso tipico di cacciatore di frodo che viene beccato dal guardacaccia e si ritrova a scappare, correre, volare. Del resto non era forse Mogol che era andato a caccia in Jugoslavia raccontando le sue imprese ne La luce dell’est? “Scusa se non parlo ancora slavo” con la nebbia che si dirada e dall’altra parte cominciano a rispondere al fuoco. È così che è iniziata la guerra dei Balcani. E non è sempre lui che va nella brughiera di mattina “dove non si vede un passo e ritrovar sé stesso”, o meglio, è sempre il guardacaccia che lo ritrova, e lui lì a “stringere le mani per fermare qualcosa che…” che cosa? Qualcosa che se ne svolazza via? Un airone? Oppure stringeva le mani alle guardie venatorie per cercare di fermare il verbale inevitabile. E poi perché se ne stava a “parlare del più e del meno con un pescatore per ore e ore, e non scoprir che dentro qualcosa muore”. Dentro al cestino dei pesci qualcosa stava morendo, ovviamente i pesci. E questo povero pescatore chissà che stress, ore e ore a parlare con il pesce che cominciava a puzzare. Insomma, mi chiedo se Lucio Battisti si rendesse conto di cosa andava

di Fabrizio Canciani

cantando. A parte i pesci di Mogol, il maltrattamento di animali, però, affonda le sue radici nel remoto Maramao perché sei morto dove ci si chiede, un po’ stupiti, come mai il gatto Maramao sia morto in quanto: “pane e vin non ti mancavan, l’insalata era nell’orto e una casa avevi tu”. Ora, va bene la casa, passi pure il pane, in un periodo in cui non esistevano i croccantini Kitekat, ma il vino e l’insalata? E si chiedono perché questo povero gatto sia morto, gli davano da mangiare insalata, pane e vino, un gatto alcolizzato, morto presumibilmente di cirrosi. Povera bestia, che brutta fine, peggio dei pesci dell’amico di Mogol con lui che stava lì a chiacchierare e loro morivano nella cesta. Del resto non è forse Il pescatore di De Andrè che racconto di un assassinio? Il cerchio si chiude intorno a una canna (da pesca, visti gli argomenti precedenti). Su questa strada si potrebbe continuare all’infinito, non si ravvisa forse il reato di corruzione in “motocicletta 10 HP, tutta cromata è tua se dici sì”? Oppure: intercettazioni telefoniche illegali in “se telefonando io potessi…”, minacce di omicidio in “Vincenzo io t’ammazzerò”. Immigrazione clandestina in “qui, io mi fermo qui”, atti osceni in luogo pubblico in “ritornerò, in ginocchio da te!”. Ubriachezza molesta in “ogni notte ritornar, per cercarla in qualche bar”, manipolazioni genetiche in “io rinascerò, come cervo a primavera”. Travestitismo in “ma c’è di buono che al momento giusto tu sai diventare un

altro”, tratta delle ragazze dell’est in “com’è bello far l’amore da Trieste in giù”. “All’uscita di scuola i ragazzi vendevano i libri”, si percepisce un commercio illegale, “questo soffitto viola no non esiste più, io vedo il cielo…” fa invece pensare a lavori edili abusivi. “O mare nero, mare nero mare ne…” disastro ecologico; “e la cantina buia dove noi respiravamo piano” sequestro di persona. “Scendiamo per le strade e mettiamoci a cantare perché lei odia il silenzio…”, disturbo alla quiete pubblica; “amore fai presto, non resisto” imbrattamento suolo pubblico. Diverso è il discorso di Onda su Onda di Paolo Conte che è la storia di un tentato omicidio, basterebbe aggiungere un’H alle parole ed ecco un incidente stradale tra due moto Honda su Honda. Viene allora da pensare a “Quel gran genio del mio amico con un cacciavite in mano fa miracoli” che tratta evidentemente di taroccamento di motori, così “come bello andare in giro per i colli bolognesi con una vespa…” (taroccata) oppure la classica Maledetta primavera (intesa come vespa primavera 125 che presumibilmente ha lasciato Loretta Goggi a piedi). E chissà quanti motociclisti sono finiti in acqua affrontando Una rotonda sul mare, sarebbe stato meglio un semaforo sulla terraferma.


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DOVE VA LA SATIRA: INTERVISTA A SERGIO STAINO

di Antonella Giacummo e Giulio Laurenzi (prima parte)

L’inserto satirico “M”, che usciva ogni settimana insieme al quotidiano “L’Unità”, è stata l’ultima creatura di Sergio Staino. Quando un giornale chiude non è mai positivo, ma quando a spegnersi è una voce che, “attraverso lo sberleffo aiuta la gente a riflettere”, allora la situazione è ancor meno bella. Ad un anno dalla chiusura di Emme abbiamo intervistato il suo ideatore, una voce importante per l’intera informazione in questo Paese. Quella che segue è la prima parte dell’intervista a Sergio Staino. D: Partiamo dalla fine. Come mai M ha chiuso? R. «La chiusura di “M” è stata motivata con ragioni di ordine economico-finanziario. C’è una crisi generale dell’editoria. L’Unità è un giornale che già di per sè ha una struttura abbastanza delicata dal punto di vista economico, ha accumulato debiti elevati, ha perdite molto grosse. L’elemento scatenante, quindi, è questo qui. C’è poi, al momento, una gestione fiduciaria di tutto il consiglio di amministrazione. Soru, che è il rappresentante di maggioranza, ha dato tutto in mano a un fiduciario, non si interessa più della cosa per motivi politici. E quel fiduciario, per statuto, non può pensare a nessun tipo di investimento, nè può affrontare quelli che sono i rischi aziendali. E’ tenuto a contenere le perdite sotto tutti i punti di vista e quindi ha fatto una scelta: c’erano dei rami da tagliare e M è entrato in questo calcolo». D: Ma perché proprio la satira viene considerata un ramo secco? R:«La cosa è strana, anche perché il nuovo direttore, Concita De Gregorio, si era spesa molto non solo con dichiarazioni in varie occasioni pubbliche, ma anche con l’impegno

coerente. All’inizio noi avevamo, per esempio, il problema dell’eccessivo costo causato dalla nuova grafica di un supplemento che era staccato dal resto del giornale. Allora lei ha tentato di risolvere il problema portando “M” all’interno del giornale e dimezzando le Questo pagine. di consentiva abbassare notevolmente i costi. Questo però ci ha portato a togliere quell’euro in più che si pagava il lunedì e con cui “M” si ampiamenpagava te. Il fatto è che “L’Unità” preferiva tendere ad aumentare le copie vendute e, siccome il lunedì il giornale costava due euro, c’era una flessione. leggera una parte di lettori Però c’era (che stava crescendo) che, invece, comprava il giornale solo il lunedì. Erano tutte questioni a mio avviso valutabili. Ma la proprietà non ha voluto valutarle e, siccome aveva immediato bisogno di fare dei tagli, noi siamo stati il primo. C’è nel retro di questa decisione una visione abbastanza piatta, per usare un eufemismo, non si è crede possibile che la satira possa aiutare a lanciare il quotidiano. Mi fa piacere che, invece, a livello di direzione e di staff più in generale, questo fatto è dispiaciuto moltissimo. Tutti i redattori si sono resi conto che, con la chiusura di “M”, un pezzetto bello di immagine si perde». D: Siamo partiti dalla chiusura, ma come era nato “M”? R: «Era nato per diameesigenze tralmente opposte a quelle per cui è stato chiuso. C’era una grande dei attenzione lettori per la satira de “L’Unità”, inchieste nelle sulle vendite le eravignette no sempre tra le prime cose che uscivano in quanto a gradimento, qualche iniziativa di calendari satirici o di raccolta di mie vignette era andata molto

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bene. Allora la provecchia prietà mi aveva specificatamente richiesto qualcosa che da un lato ampliasse presenza la della satira, dall’altro aiutasse anche a vendere più giornali. Quindi io pensai a questo “M”, dando una certa sostanza: 16 pagine settimanali che potevano essere giustificate con l’aumento di un euro. La cosa piacque moltissimo. Dopo qualche tentativo il giornale prese vita

nella primavera del 2007. Vedemmo subito che non c’era quel crollo delle vendite che qualcuno profetizzava (sempre a causa di quell’euro in più). Invece le perdite si contennero nell’ordine di un 10-15% in meno. Che però cominciarono a essere riempite da persone che di solito non compravano il giornale. Quindi c’era chi, proprio per quel supplemento, comprava “L’Unità” solo il lunedì. A quel punto lì ho vissuto un anno e mezzo molto gratificato dalla proprietà, perché gli ho portato qualcosa come un milione di euro netti nelle casse de “L’Unità”, comprensivo delle spese. Sono stato portato su un palmo di mano. Appena arrivata la nuova proprietà con Soru, le cose sono cambiate. L’ho capito subito che non c’era più interesse. Non c’è stato mai nessun interesse nell’incontrarmi, nel parlarmi. Nessuno della proprietà mi ha chiesto, per esempio, cosa si poteva fare di questo giornale. La cosa è stata completamente delegata alla direttrice, che ha cercato di salvare il salvabile. Ha cercato di conciliare le esigenze dei lettori con i conti. Ma c’era una posizione quantomeno di indifferenza della proprietà nei confronti della satira. Mi dispiace perché la direttrice ci è rimasta male quanto me. E così, in poche settimane, è stata decisa la morte di “M”». fine prima parte In collaborazione con il quotidiano della satira


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