Atlante Parco Nazionale dello Stelvio

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)DEAZIONE E PROGETTO ,UCA 0EDROTTI 0ARCO .AZIONALE DELLO 3TELVIO 0ROGETTO GRAl CO ELABORAZIONE CARTOGRAl A E GRAl CI -ONICA #ARRO )STITUTO /IKOS %LABORAZIONE TESTI E DATI -ONICA #ARRO )STITUTO /IKOS E ,UCA 0EDROTTI 0ARCO .AZIONALE DELLO 3TELVIO 2EVISIONE COMPLETA ,OREDANA $RESTI E ,UCA 0EDROTTI 0ARCO .AZIONALE DELLO 3TELVIO

&OTO DI COPERTINA (ARMUT %CKSTEIN 'IANFRANCO 3CHIEGHI 3ERGIO 0EROCESCHI $IMITRI 0OZZI 2ENATO 'RASSI 'IACOMO -ENEGHELLO


3I RINGRAZIANO %NRICO "ASSI $ANIELE "ETTINI .ATALIA "RAGALANTI %NRICO "RUSEGHINI )VAN #ALLOVI &AUSTO #ESCHI &RANCESCA $IANA 0ARCO .AZIONALE 3VIZZERO PER AVER FORNITO LO STRATO INFORMATIVO RELATIVO AI CONlNI DEL 0ARCO STESSO ,OREDANA $RESTI -ASSIMO &AVARON !LESSANDRO 'UGIATTI (ANSPETER 'àNSCH ,UKAS (OFER $ORINO -ORESCHINI 7OLFGANG 0LATTER 0ATRIZIA 0RADELLA $ANIELA 0RAOLINI $ARIO 2INI !NDREA :ANOLI 0ARCO .AZIONALE DELLO 3TELVIO PER IL SUPPORTO NELLA 2EGIONE ,OMBARDIA n )NFRASTRUTTURA )NFORMAZIONE 4ERRITORIALE 0ROVINCIA !UTONOMA DI 4RENTO n 3ERVIZIO 5RBANISTICA E 4UTELA RACCOLTA E NELL ORGANIZZAZIONE DEI DATI RACCOLTI E PRESENTATI E PER LA RILETTURA CRITICA DI PARTE DEI TESTI DEL 0AESAGGIO E 3ERVIZIO &ORESTE E &AUNA 0ROVINCIA !UTONOMA DI "OLZANO n 2IPARTIZIONE 5RBANISTICA PER AVER FORNITO LE COPERTURE DIGITALI DEI PROPRI TERRITORI DI COMPETENZA !DRIANO -ARTINOLI E $AMIANO ' 0REATONI 5NIVERSITÌ DEGLI 3TUDI DELL )NSUBRIA PER IL SUPPORTO ALLA REALIZZAZIONE DELLA CARTOGRAlA DEI GRAlCI E DEL CAPITOLO SULLA FAUNA 2EGIONE ,OMBARDIA n 3TATISTICA E /SSERVATORI 0ROVINCIA !UTONOMA DI 4RENTO n 3ERVIZIO 3TATISTICA 0ROVINCIA !UTONOMA DI "OLZANO n )STITUTO 0ROVINCIALE DI 3TATISTICA PER AVERE FORNITO LE INFORMAZIONI RELATIVE ALLA POPOLAZIONE ED ALLE ATTIVITÌ %LISA -ASSERONI ED %UGENIO #ARLINI )STITUTO /IKOS PER IL SUPPORTO ALLA REALIZZAZIONE DELLA CARTOGRAlA SUI GALLIFORMI TURISTICHE &ABIO "ONESCHI PER LA COLLABORAZIONE ALLLA GRAlCA E ALL IMPAGINAZIONE

0ROVINCIA !UTONOMA DI 4RENTO n 3ERVIZIO &ORESTE E &AUNA 0ROVINCIA !UTONOMA DI "OLZANO n 5FlCIO #ACCIA E 0ESCA 0ROVINCIA DI 3ONDRIO n 5FlCIO #ACCIA 0ROVINCIA DI "RESCIA n 5FlCIO #ACCIA PER AVER FORNITO I DATI E LE INFORMAZIONI 'LI !GENTI &ORESTALI DEL #OORDINAMENTO 4ERRITORIALE PER L !MBIENTE DI "ORMIO DEL #ORPO &ORESTALE DELLO 3TATO E GLI !GENTI FAUNISTICHE RELATIVE AI PROPRI TERRITORI DI COMPETENZA DEL #ORPO &ORESTALE 0ROVINCIALE DI 4RENTO E DEL #ORPO &ORESTALE 0ROVINCIALE DI "OLZANO PER L AIUTO NEL LAVORO DI CAMPO INERENTE LA RACCOLTA DELLE OSSERVAZIONI FAUNISTICHE NON SISTEMATICHE E LE ATTIVITÌ DI CENSIMENTO ANNUALMENTE REALIZZATE PER 0ROVINCIA !UTONOMA DI "OLZANO n !LTO !DIGE 2IPARTIZIONE &ORESTE PER AVER FORNITO LE COPERTURE DIGITALI DEI PIANI DI GLI UNGULATI GALLIFORMI E GRANDI RAPACI ASSESTAMENTO FORESTALE -OLTI DEI TESTI SONO STATI ELABORATI A PARTIRE DA DOCUMENTI REALIZZATI PER IL 0ARCO IN PARTICOLARE SI RINGRAZIANO PER IL PREZIOSO -INISTERO DELL !MBIENTE E DELLA 4UTELA DEL 4ERRITORIO E DEL -ARE LAVORO #OMUNITÌ -ONTANA !LTA 6ALTELLINA PER AVER FORNITO LE COPERTURE DIGITALI DEI PIANI DI ASSESTAMENTO FORESTALE #AGNOLARO , #ORTINI # $ !MICO # -OLTONI % /RSOMANDO % 0ATELLA , 6 0EDROTTI & 0ERARI 2 0RATESI & 2ANZI 3 2ONCHETTI ' 4OMASI ' 4ONZIG 3 6ITTORI ! AUTORI DEGLI h 3TUDI PER LA VALORIZZAZIONE NATURALISTICA DEL 0ARCO .AZIONALE DELLO 5FlCIO PIANIlCAZIONE E 2ILEVAZIONI )DRICHE DELLA 0ROVINCIA !UTONOMA DI 4RENTO PER AVERE CORTESEMENTE FORNITO I DATI 3TELVIO v IDROMETEOROLOGICI 0IROVANO # -ORICONI , "ARCELLA - "OSI 2 "ONARDI , 'ALLUCCIO ! AUTORI DELLA 2ELAZIONE SULLO 3TATO DELL !MBIENTE #OOPERATIVA !RCHITETTI E )NGEGNERI DI 2EGGIO %MILIA #!)2% E 4RIFOLIUM 0ROGETTO !GENDA LOCALE NEL 0ARCO .AZIONALE DELLO 3TELVIO DA CUI SONO STATI TRATTI I CONTENUTI PER LA REALIZZAZIONE DI ALCUNI CAPITOLI &RANCO 0EDROTTI 5NIVERSITÌ DI #AMERINO 3CHERINI ' # AUTORE DE h) 'ALLIFORMI ALPINI NEL SETTORE LOMBARDO DEL 0ARCO .AZIONALE DELLO 3TELVIOv #ARMIGNOLA ' PER AVER CURATO LA PUBBLICAZIONE h)L CERVO NEL 0ARCO .AZIONALE DELLO 3TELVIO ANALISI DELL IMPATTO SUL BOSCO IN RELAZIONE ALLE RISORSE AMBIENTALI E AGLI INDICI DI PRESENZAv 2ÏSEAU !LPIN DES %SPACES 0ROTÏGÏS PER AVER FORNITO GLI STRATI INFORMATIVI UTILIZZATI NELLA REALIZZAZIONE DELLA CARTA RELATIVA 3I PREGA DI CITARE IL SEGUENTE VOLUME COME SEGUE ALLE AREE PROTETTE DELL ARCO ALPINO #ARRO - 0EDROTTI , A CURA DI !TLANTE DEL 0ARCO .AZIONALE DELLO 3TELVIO


Parco Nazionale dello Stelvio

1. Le aree protette in Italia

Il 3 dicembre 1922 nasce ufficialmente in Italia il primo parco nazionale: il Parco Nazionle del Gran Paradiso. In anni difficili per il nostro Paese quello fu il primo passo verso un lungo e faticoso cammino che porterà l’Italia a proteggere una parte consistente del proprio patrimonio naturale, pari circa al 10% del territorio nazionale. Questo successo insperato è stato ottenuto attraverso processi faticosi e il merito va riconosciuto ai governi, alle associazioni e ai cittadini che sempre più sembrano recepire i messaggi legati alle politiche di uno sviluppo sostenibile. Una tappa importante per questo processo è stata la legge quadro per le aree protette, n. 394, varata nel dicembre 1991 dal Parlamento italiano. Si tratta ancora oggi di una legge fondamentale che definisce la classificazione delle aree naturali protette e istituisce l’Elenco ufficiale delle aree protette (nel 2003 è stato pubblicato il quinto aggiornamento). Attualmente nell’Elenco ufficiale delle aree protette rientrano le seguenti categorie: Parchi Nazionali Sono costituiti da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono uno o più ecosistemi intatti o anche parzialmente alterati da interventi antropici, una o più formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche, biologiche, di rilievo internazionale o nazionale per valori naturalistici, scientifici, estetici, culturali, educativi e ricreativi tali da richiedere l’intervento dello Stato ai fini della loro conservazione per le generazioni presenti e future. Parchi naturali regionali e interregionali Sono costituiti da aree terrestri, fluviali, lacuali ed eventualmente da tratti di mare prospicienti la costa, di valore naturalistico e ambientale, che costituiscono, nell’ambito di una o più regioni limitrofe, un sistema omogeneo, individuato dagli assetti naturalistici dei luoghi, dai valori paesaggistici e artistici e dalle tradizioni culturali delle popolazioni locali. Riserve naturali Sono costituite da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono una o più specie naturalisticamente rilevanti della flora e della fauna, ovvero presentano uno o più ecosistemi importanti per la diversità biologica o per la conservazione delle risorse genetiche. Le riserve naturali possono essere statali o regionali in base alla rilevanza degli elementi naturalistici in esse rappresentati.

Zone umide di interesse internazionale Sono costituite da aree acquitrinose, paludi, torbiere oppure zone naturali o artificiali d’acqua, permanenti o transitorie, comprese zone di acqua marina la cui profondità, in caso di bassa marea, non superi i sei metri che, per le loro caratteristiche, possono essere considerate di importanza internazionale ai sensi della convenzione di Ramsar. Altre aree naturali protette Sono aree (oasi di tutela ambientale e/o venatoria, parchi suburbani, ecc.) che non rientrano nelle precedenti classi. Si dividono in aree di gestione pubblica, istituite cioè con leggi regionali o provvedimenti equivalenti, e aree a gestione privata, istituite con provvedimenti formali pubblici o con atti contrattuali quali concessioni o forme equivalenti. Il primo Elenco ufficiale è stato approvato nel 1993 e da allora ha avuto luogo un continuo aumento del territorio nazionale protetto. Inoltre si è avuta una tendenza evolutiva del sistema delle aree protette regionali e un aumento sensibile delle aree protette locali classificate come “altre aree protette”. Tali realtà sono distribuite in modo assai capillare e rappresentano un’importante rete di informazione sul territorio nazionale. Il numero dei parchi nazionali è aumentato in seguito all’approvazione delle leggi n. 344 del 1997 e n. 426 del 1998 che hanno individuato sei nuovi parchi, tutti oramai istituiti: Asinara, Sila, Cinque Terre, Appennino Tosco-Emiliano, Alta Murgia e Val d’Agri e Lagonegrese. Un’importante novità nel sistema delle aree protette italiane riguarda l’introduzione del concetto di sistemi territoriali, secondo il quale il territorio nazionale viene suddiviso in grandi bioregioni ambientali, articolate nei sistemi alpino, appenninico, delle isole minori e delle aree marine protette. In questa nuova visione sistemica del territorio le aree protette diventano nodi importanti di una rete ambientale all’interno della quale i parchi possono assumere un ruolo di esempio e sperimentazione per lo sviluppo sostenibile, promuovendo esperienze che possono in futuro essere applicate in aree esterne. Tale ruolo, riconosciuto ai parchi già dalla legge quadro per le aree protette, è ancora più importante se si considera che i parchi ricadono sia in aree spopolate sia in aree densamente abitate (si pensi, per esempio, al Parco Nazionale delle Cinque Terre o al Parco Nazionale del Vesuvio) e pertanto possono rappresentare modelli diversificati

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per le problematiche legate allo sviluppo sostenibile. In questo contesto sono state avviate sperimentazioni per applicare Sistemi di Gestione Ambientale alle aree protette, ossia di strumenti per controllare il sistema organizzativo in modo da ridurre l’impatto dei propri processi sulle risorse ambientali e di ridurre gli sprechi ai fini di un continuo miglioramento dell’ambiente. A quasi un ventennio dall’entrata in vigore della legge quadro sulle aree protette, se ne possono apprezzare i risultati positivi come l’istituzione di nuovi parchi ma, soprattutto, l’aver fornito un quadro normativo e organizzativo unitario ai parchi nazionali. Secondo l’ultimo Elenco ufficiale delle aree protette del 2003 erano presenti 22 Parchi Nazionali, 20 Aree Naturali Marine Protette, 481 Riserve Statali e Regionali e 105 Parchi Naturali Regionali. Nel frattempo sono state istituite nuove nuove aree protette tra cui 2 Parchi Nazionali (Alta Murgia e Appennino Lucano - Val d’Agri – Lagonegrese). Purtroppo la legge è stata applicata troppo e lentamente portando ad un indebolimento dell’operatività degli Enti parco tanto che allo stato attuale ci sono parchi nazionali ancora privi dei fondamentali strumenti di gestione quali Regolamento, Piano e Piano Pluriennale per lo sviluppo socio-economico delle comunità locali. A livello delle aree naturali protette di interesse regionale la legge quadro ha fissato dei principi volti al coinvolgimento delle autorità locali da parte delle regioni nell’istituzione e gestione di tali aree anche se in taluni casi non si è ancora arrivati ad una completa attuazione. Nonostante i risultati positivi raggiunti nell’ambito della protezione della natura in Italia negli ultimi anni, non si può fare a meno di sottolineare che molta strada deve essere ancora percorsa affinché le potenzialità dei parchi quali strumenti di protezione, educazione e sviluppo socioeconomico possano essere sfruttate pienamente. Affinché non venga vanificato il lungo e difficile percorso che ha portato l’Italia alla protezione di una vasta porzione del proprio territorio, bisogna tuttavia riportare l’attenzione sugli obiettivi prioritari del modello di sviluppo sostenibile, che vede nella realizzazione, a livello nazionale, di una rete fitta ed estesa di aree protette uno dei suoi principali strumenti attuativi.


NOME

PRINCIPALI NORME DI RIFERIMENTO

REGIONE

SUPERFICIE A TERRA A MARE (ha) (ha)

Parco nazionale della Maiella

ABRUZZO

L. 394, 06.12.91 - D.P.R. 05.06.95

74.095

Parco nazionale dell’Abruzzo, Lazio e Molise

ABRUZZO, LAZIO, MOLISE

R.D.L. 257, 11.01.23 - D.P.C.M. 26.11.93 - D.P.R. 24.01.00

50.319

Parco nazionale del Pollino

BASILICATA, CALABRIA

L. 67, 11.03.88 - L. 305, 28.08.89 - D.P.R. 15.11.93 - D.P.R. 02.12.97

192.565

Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga

ABRUZZO, MARCHE, LAZIO

L. 394, 06.12.91 - D.P.R. 05.06.95

141.341

Parco nazionale dell’Aspromonte

CALABRIA

L. 305, 28.08.89 - D.P.R. 14.01.94

76.647

Parco nazionale della Sila

CALABRIA

L. 344, 08.10.97 - D.P.R. 14.11.02

73.695

Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano

CAMPANIA

L. 394, 06.12.91 - D.P.R. 05.06.95

178.300

Parco nazionale del Vesuvio

CAMPANIA

L. 394, 06.12.91 - D.P.R. 05.06.95

8.482

Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna

EMILIA ROMAGNA, TOSCANA

L. 305, 28.08.89 - D.P.R. 12.07.93

36.843

Parco nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano

EMILIA ROMAGNA, TOSCANA

D.P.R. 19.05.01

22.726 25.351*

Parco nazionale del Circeo

LAZIO

R.D.L. 285, 25.01.34 L. 179, 31.07.02

8.440

Parco nazionale delle Cinque Terre

LIGURIA

L. 344, 08.10.97 - D.P.R. 06.10.99

3.867

Parco nazionale dei Monti Sibillini

MARCHE, UMBRIA

L. 67, 11.03.88 - L. 305, 28.08.89 - D.P.R. 06.08.93

69.722

Parco nazionale della Val Grande

PIEMONTE

L. 394, 06.12.91 - D.P.R. 23.11.93 - D.P.R. 24.06.98

14.598

Parco nazionale del Gran Paradiso

PIEMONTE, VALLE D’AOSTA

R.D.L. 1584, 03.12.22 - D.P.R. 05.08.47 D.P.R. 27.05.09

71.044

Parco nazionale del Gargano

PUGLIA

L. 394, 06.12.91 - D.P.R. 05.06.95

128.118

Parco nazionale dell’Arcipelago di La Maddalena

SARDEGNA

L. 10, 04.01.94 - D.P.R. 17.05.96

5.134

Parco nazionale del Golfo di Orosei e del Gennargentu

SARDEGNA

D.P.R. 30.03.98 - D.P.R. 10.11.98 - D.P.R. 22.07.99

73.935

Parco nazionale dell’ Asinara

SARDEGNA

L. 344, 08.10.97 - D.P.R. 03.10.02

5.200

10.840

Parco nazionale dell’ Arcipelago Toscano

TOSCANA

L. 305, 28.08.89 - D.P.R. 22.07.96 - DM 19.12.97

17.694

61.474

Parco nazionale dello Stelvio

TRENTINO ALTO ADIGE, LOMBARDIA

L. 740, 24.04.35 - D.P.C.M 26.11.93 - D.P.R. 07.07.06

130.728

Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi

VENETO

L. 67, 11.03.88 - L. 305, 28.08.89 - D.P.R. 12.07.93 - D.P.R. 09.01.08

31.033

Parco nazionale dell’ Appennino Lucano - Val d’Agri - Lagonegrese

BASILICATA

D.P.R 08.12.07

68.996

Parco nazionale dell’Alta Murgia

PUGLIA

D.P.R 10.03.04

68.077

4.591

13.000

* Nuova perimetrazione in attesa di Decreto Presidenziale

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Parco Nazionale dello Stelvio

2. Le aree protette delle Alpi

Nel 1995 nasce la Rete delle Aree Protette Alpine (ALPARC). Tale Rete si sviluppa nell’ambito delle attività della Convenzione delle Alpi. Essa raggruppa gli amministratori e i gestori delle aree protette esistenti nel panorama alpino (parchi nazionali, parchi naturali, riserve naturali, parchi regionali e riserve della biosfera) e raccoglie oggi l’adesione di più di 300 aree protette di maggior importanza all’interno degli 8 Paesi della Convenzione delle Alpi per una superficie protetta pari al 15% dell’intero territorio alpino. ALPARC si pone come obiettivo prioritario la concreta applicazione del protocollo “Protezione della natura e tutela del paesaggio” della Convenzione delle Alpi. La Rete è stata riconosciuta dai Ministri dell’Ambiente dei Paesi della Convenzione delle Alpi nel 2000, come strumento per l’applicazione della Convenzione stessa. Il Segretariato Permanente della Convenzione delle Alpi ha fatto appello ad ALPARC affinché continui le proprie attività ed inviti le parti contraenti e firmatarie ad incitare le aree protette a partecipare alla collaborazione nell'ambito della Rete. Per questo la Task Force Aree Protette (l’unità di coordinamento della Rete), che ha sede presso il Parco Nazionale degli Ecrins (Francia), promuove una collaborazione più attiva tra le aree protette dei vari paesi alpini per la realizzazione di progetti comuni e workshop. La Rete ha il fine di rafforzare la collaborazione internazionale attraverso un sistema che promuova gli scambi di personale e favorisca lo sviluppo di progetti fra aree protette, lavorando inoltre per l’integrazione e la responsabilizzazione delle popolazioni locali nella gestione delle aree protette; l’obiettivo di questo importante sforzo è la promozione di una maggiore accettazione sociale per uno sviluppo sostenibile a livello locale e regionale. Nell’ ottica di un “continuum ecologico” sull’arco alpino, ALPARC propone attivamente una riflessione sulle diverse aree delle Alpi attraverso un continuo confronto e contribuisce all’attuazione della Rete Natura 2000.

b) creare una rete ecologica delle Aree Protette Alpine e della Convenzione delle Alpi (rete ecologica); c) sensibilizzare e di informare il pubblico e la popolazione locale sull’importanza del patrimonio naturale e culturale delle Alpi e sulla necessità di conservarlo (rete di comunicazione). La comunicazione e lo scambio di informazioni sono aspetti fondamentali per la Rete (bollettino di ALPARC, sito internet, pubblicazioni, lettere d'informazione), perseguiti anche attraverso la creazione e valorizzazione di banche dati da mettere a disposizione di tutte le aree protette, il coordinamento di diversi progetti e l’organizzazione di incontri, conferenze e workshop. Estremamente importante è anche il lavoro svolto dalla Rete a livello linguistico per facilitare gli scambi. I temi prioritari della Rete sono i seguenti : - protezione e gestione degli habitat e delle specie dell'arco alpino; - sviluppo di un turismo compatibile con la conservazione del patrimonio culturale, ambientale e sociale; - sostegno di un'agricoltura di montagna compatibile con il mantenimento della biodiversità; Importanti gruppi di lavoro vengono organizzati dalla Rete su temi comuni quali: il gipeto barbuto, l’aquila reale, gli ungulati, il ritorno dei grandi predatori, la flora alpina, gli habitat delle aree protette, la cultura alpina e il turismo. La Rete Alpina lavora in stretto contatto con Europarc (la Federazione dei Parchi Nazionali e Naturali europei) e promuove scambi tecnici con le aree protette di montagna presenti al di là delle Alpi.

La Rete delle Aree Protette Alpine ha lo scopo di condividere le conoscenze, le tecniche e le metodologie tra i gestori delle aree protette alpine, secondo tre assi principali, al fine di: a) favorire e sostenere gli scambi di esperienze e di conoscenze su tutte le tematiche comuni (rete tematica);

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La Convenzione delle Alpi La Convenzione delle Alpi è un accordo di diritto internazionale inteso a realizzare la protezione e lo sviluppo sostenibile dell'arco alpino. Sottoscritta il 7 novembre 1991 da Austria, Francia, Germania, Italia, Svizzera, Liechtenstein e Unione Europea, la convenzione entra in vigore il 6 marzo 1995, dopo essere stata firmata anche da Slovenia e Principato di Monaco. Le parti contraenti, "in ottemperanza ai principi della prevenzione, della cooperazione e della responsabilità di chi causa danni ambientali, si impegnano nella Convenzione in una politica globale per la conservazione e la protezione delle Alpi, utilizzando le risorse in maniera responsabile e durevole”. Esse hanno inoltre convenuto di intensificare la cooperazione transfrontaliera nella regione alpina, nonché di ampliarla sul piano geografico e tematico. Con la stipula della Convenzione, tutto il territorio alpino è divenuto una sorta di area pilota in cui sperimentare la cooperazione su un territorio estremamente vario, fragile e ricco di biodiversità, superando barriere linguistiche e culturali per affermare i principi dello sviluppo sostenibile. Alla CIPRA (Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi), all’atto della sua fondazione, è stato affidato il compito di elaborare una convenzione internazionale per le Alpi e di impegnarsi per la sua approvazione da parte dei paesi coinvolti. Essa ha dapprima svolto un lungo lavoro di persuasione dei paesi membri e successivamente ha partecipato in misura determinante alla stesura della Convezione stessa ed ha ricoperto ufficialmente il ruolo di osservatore. La Convenzione si compone di un accordo quadro e di vari protocolli settoriali: Pianificazione territoriale e sviluppo sostenibile, Protezione della natura e tutela del paesaggio, Agricoltura di montagna, Foreste montane, Turismo, Difesa del suolo, Energia, Trasporti e Composizione delle controversie. Inoltre la Convenzione prevede altri protocolli dedicati a Popolazione e cultura, Tutela dell'aria, Idroeconomia ed Economia dei rifiuti.


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Parco Nazionale dello Stelvio

3. Il Parco Nazionale dello Stelvio nelle Alpi Centrali

Il Parco Nazionale dello Stelvio ha un’estensione di 130.728 ettari e comprende quasi interamente il gruppo dell’OrtlesCevedale. Orograficamente si tratta di una struttura di creste ben definita ed assimilabile ad una “Y” che si articola attorno alla cima del Monte Cevedale (3.769 m); dalle creste principali si staccano diramazioni secondarie che complessivamente creano una struttura a ventaglio coperta in parte da estesi ghiacciai e che delimita numerose valli poste radialmente attorno al massiccio dell’Ortles-Cevedale. L’immenso patrimonio glaciologico costituisce il serbatoio di un fitta rete idrografica che alimenta i bacini dell’Adda, del Noce, dell’Adige, dell’Inn e dell’Oglio. Il territorio del Parco interessa porzioni più o meno estese dell’Alta Valtellina e della Valle di Livigno, dell’Alta Valcamonica, della Val di Sole e della Val Venosta. Le valli principali il cui territorio ricade, totalmente o parzialmente, entro i confini del Parco sono le seguenti: - nel settore valtellinese: Valfurva, Valle del Gavia, Valle dei Forni, Val Zebrù, Valle del Braulio, Valle della Forcola, Valle di Fraele, Valle Alpisella, Val Vezzola, Val di Rezzalo, Valdidentro (afferenti al bacino idrografico dell’Adda), Valle dello Spöl, Val Saliente, Valle del Gallo (afferenti al bacino idrografico dell’Inn-Danubio); - nel settore camuno: Val Grande, Val Canè, Valle delle Messi e Valle di Viso (afferenti al bacino idrografico dell’Oglio); - nel settore trentino: Val di Peio, Val de la Mare, Val del Monte, Val di Rabbi, Val di Cercen, Val di Saent (afferenti al bacino idrografico del Noce); - nel settore altoatesino: Val d’Ultimo, Val Martello, Valle di Lasa, Val di Trafoi, Valle di Solda e Val Monastero (afferenti al bacino idrografico dell’Adige). Non è possibile assimilare completamente il territorio del Parco Nazionale dello Stelvio al gruppo dell’Ortles-Cevedale, in quanto la linea di confine segue ora i displuvi, ora gli impluvi, e in alcuni casi taglia intere porzioni di valle escludendo in tale modo vasti territori; al contrario fanno parte del Parco alcuni territori esterni al massiccio, basti pensare alla Valle di Livigno e a quella di Cancano, il cui territorio è stato annesso al Parco solo in un secondo tempo per collegarlo al vicino Parco Nazionale Svizzero e poter costituire così un’area protetta continua. Il territorio del Parco dello Stelvio si colloca in buona parte al di sopra dei 2.000 metri: si tratta quindi di un parco d’alta montagna con circa 150 ghiacciai, il più grande dei quali è quello dei Forni, alla testata dell’omonima valle, con un’estensione di oltre 1.200 ettari. Accanto alle enormi risorse idriche, sfruttate anche

abbondantemente per la produzione di energia idroelettrica, il Parco è ricco di foreste e di praterie alpine che si estendono sin oltre i 2.000 metri di quota. I centri abitati principali si trovano lungo i fondivalle, mentre centri minori si trovano anche sui i pendii meglio esposti. Il paesaggio antropico è ancora fortemente influenzato dalle tradizionali attività agro-silvopastorali di montagna, soprattutto nelle valli in cui tali attività rappresentano la principale voce economica, mentre in altre aree tale paesaggio è stato pesantemente modificato da uno sviluppo turistico incontrollato e poco attento alle realtà del territorio. Il Parco Nazionale dello Stelvio al centro di un importante sistema territoriale Il territorio del Parco Nazionale dello Stelvio, dominato dalla maestosità di possenti cime, coperto dal silenzio dei ghiacciai e delle foreste, si apre verso l’esterno attraverso importanti arterie che da secoli hanno permesso la comunicazione tra le genti alpine. Oggi la principale via è rappresentata dal corridoio autostradale e ferroviario del Brennero, ma altrettanto rilevanti, anche se più disagiate, sono le connessioni che passano per la Valtellina (con il bacino metropolitano milanese e con la Svizzera), le connessioni con la Svizzera attraverso la Val Monastero (Passo del Forno), la Val Poschiavo (con la strada e ferrovia del Passo del Bernina) e la Valle di Livigno. Di grande importanza, ma solo stagionalmente, sono anche il Passo dello Stelvio, che mette in comunicazione l’Alta Valtellina con la Val Venosta e la svizzera Val Monastero, attraverso il Passo di S. Maria, e il Passo del Gavia che collega l’Alta Valtellina con la Valcamonica. Per la sua immensa ricchezza naturalistica e per la sua apertura verso l’esterno attraverso i numerosi corridoi che permettono il contatto fra le genti, il territorio del Parco Nazionale dello Stelvio è rappresentativo di una moderna visione dell’ambiente alpino come scrigno di un patrimonio ambientale e naturalistico da trasmettere alle generazioni future, ma anche come punto d’incontro fra genti e culture differenti. È in questo contesto che sempre più si rafforza l’idea di uno spazio alpino al di sopra di frontiere nazionali e locali, che ha nella Convenzione delle Alpi la sua sanzione istituzionale e in cui i parchi possono e devono giocare un ruolo fondamentale, a livello di cooperazione, sia transfrontaliera sia nazionale. I parchi, sulla base di una profonda cultura scientifica e dell’esperienza nel management ambientale, devono porsi quali punti di riferimento per una

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gestione sostenibile delle risorse, che garantisca nel contempo sviluppo e benessere alle popolazioni. Sempre più si fa strada l’idea di una rete di cooperazione fra parchi e comunità locali, che porti a benefici sul piano della conservazione e dello sviluppo e che si imponga con maggior peso nelle scelte decisionali a livello regionale, nazionale e comunitario. Nelle Alpi Centrali esiste un mosaico di aree protette tale da poter favorire lo sviluppo di una rete locale di cooperazione estremamente importante nel panorama alpino; questo sistema territoriale è caratterizzato infatti da enormi ricchezze ambientali, importanti relazioni storico-culturali, collocazione privilegiata e dall’importanza economica delle regioni interessate. Di questo panorama fanno parte il Parco Nazionale Svizzero, che confina a nord-ovest con il Parco Nazionale dello Stelvio, il Parco Naturale Adamello Brenta e il Parco dell’Adamello, posti rispettivamente a sud-est e a sud del Parco Nazionale dello Stelvio. Il Parco Nazionale Svizzero si sviluppa all’estremità orientale della Svizzera, nel Canton Grigioni, e, con una superficie di 170,20 Km2 è la più estesa area protetta svizzera e l’unico Parco Nazionale. Secondo l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (UICN) l’area appartiene alla categoria II (Parchi Nazionali - aree protette gestite principalmente per la protezione degli ecosistemi e a fini ricreativi). La fondazione del Parco Nazionale Svizzero, avvenuta nel 1914, fu una pietra miliare nella storia della protezione della natura: fu infatti il primo Parco Nazionale delle Alpi e dell’Europa Centrale. Si tratta di un parco di alta montagna il cui territorio viene classificato principalmente nelle categorie di bosco, prateria alpina e terreno improduttivo; la natura viene lasciata completamente alla sua evoluzione, l’uomo rimane in sottofondo, si muove solo lungo sentieri prestabiliti ed è testimone dei processi dinamici che danno a questo paesaggio il suo carattere inconfondibile. Nel Parco viene svolta un’intensa attività di ricerca in varie discipline, sia da parte dello stesso Parco, ma anche da università ed istituti esterni, sotto la supervisione dalla Commissione di Ricerca, organo dell’Accademia Svizzera di Scienze Naturali. Il Parco è un Ente Federale, i massimi poteri decisionali sono nella mani della CCPN (la Commissione Confederata del Parco Nazionale) composta da 9 membri scelti dal Consiglio Federale e che fanno parte delle seguenti organizzazioni: Confederazione Svizzera, Pro Natura Lega Svizzera della protezione della natura, Accademia svizzera delle scienze naturali SANW, Canton Grigioni, Comuni del Parco.

Il Parco Naturale Adamello Brenta è un ente funzionale della Provincia Autonoma di Trento e si sviluppa su una superficie di 620,51 Km2, tra il massiccio dolomitico del Brenta e quello granitico dell’Adamello, separati dalla Val Rendena. L’ambiente è molto vario passando dai 400 m ai 3.500 m della Cima Presanella. Le valli sono fra le più belle delle Alpi, ricche di ghiacciai e di acque e ospitano una fauna molto varia che comprende tutte le specie alpine. Della protezione di quest’area si cominciò a parlare già nel 1919, ma fu creato solo nel 1967 dalla Provincia Autonoma di Trento come primo parco naturale in Italia insieme a quello di Paneveggio Pale di S. Martino; il suo territorio è stato ampliato nel 1987 raggiungendo le dimensioni attuali. La politica del Parco punta al consolidamento del millenario equilibrio esistente fra le popolazioni e il territorio in cui risiedono; la disciplina territoriale e urbanistica del Parco, la tutela e la valorizzazione delle sue peculiarità naturalistico-ambientali sono affidate allo strumento del Piano del Parco cui si affianca uno specifico Piano Faunistico. A partire dalla seconda metà degli anni ’90 il Parco è stato il principale artefice del programma di reintroduzione dell’orso bruno sulle Alpi Centrali che ha portato alla creazione di una popolazione che sta rapidamente crescendo. Il Parco dell’Adamello comprende tutto il versante lombardo del gruppo dell’Adamello. Ubicato nella posizione più orientale della provincia di Brescia, in Valcamonica, si estende per 510 Km2 dal Passo del Tonale a quello di Crocedomini. Già nel 1919 si cominciò a pensare di proteggere questa zona delle Alpi Retiche. Seguirono iniziative che non portarono però a nulla fino al 1973 quando la commissione lombarda per i parchi inserì la zona fra le aree da tutelare. Istituito nel 1983, è gestito dalla Comunità Montana di Valle Camonica. L’ambiente naturale del Parco si distingue per l’eccezionale ricchezza floristica e vegetazionale che comprende specie rare ed endemiche e per il patrimonio idrogeologico e glaciologico. La sua importanza è accresciuta dal fatto di rappresentare un ponte fra il Parco Nazionale dello Stelvio e il Parco Naturale Adamello Brenta.


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Parco Nazionale dello Stelvio

4. Il Parco Nazionale dello Stelvio e la protezione dell’ambiente Il Piano del Parco Nazionale dello Stelvio ha finalità di tutela e promozione della protezione della natura, dell’integrità degli ecosistemi, della conservazione delle specie animali, vegetali e degli habitat, del paesaggio come testimonianza dell’interazione tra le attività tradizionali dell’uomo e gli ecosistemi, degli interessi culturali, archeologici, storici, socio-economici delle popolazioni residenti, dell’informazione ed educazione ambientale, della ricerca scientifica e dell’utilizzo turistico-sociale, compatibilmente con le finalità prioritarie del Parco stesso. Il documento di Piano è stato recentemente adottato dal Parco e deve ora essere approvato dal Ministero dell’Ambiente d’intesa con la Regione Lombardia e con le Province Autonome di Bolzano e di Trento. Il Piano prevede la zonazione del territorio del Parco in aree a diverso grado di protezione. La zonazione dei parchi nazionali viene prescritta dalla legge quadro sulle aree protette (legge n. 394/91) alla luce di un’idea moderna di tutela che vede parchi nazionali e altre aree protette non come ‘’isole’’ in cui perseguire obiettivi puramente conservativi, ma anche come occasione di sviluppo sostenibile per le popolazioni locali. La necessità di una zonazione è particolarmente evidente in un parco di vaste dimensioni come il Parco Nazionale dello Stelvio, in cui convivono realtà a vario grado di naturalità e diverse forme di utilizzo del territorio che necessitano di regolamentazioni diversificate per risolvere i conflitti esistenti tra sviluppo dell’uomo e conservazione della natura. Zonazione del territorio In conformità a quanto prescritto dalla legge quadro sulle aree protette sono state individuate all’interno del perimetro del Parco quattro diverse categorie di zone: Zone A: riserve integrali Zone B: riserve generali orientate Zone C: aree di protezione Zone D: aree di promozione economica e sociale. Le zone A di riserva integrale comprendono le aree di maggiore naturalità del Parco, che presentano la più bassa influenza antropica e che possono essere anche caratterizzate da ambienti già in passato modificati, nei quali favorire uno sviluppo naturale (superficie di 48.904 ha pari al 37% del totale del Parco). Le zone B di riserva generale orientata comprendono ecosistemi caratterizzati da elevati valori di naturalità. In tali aree sono esercitate attività agro-silvo-pastorali estensive, con limitati insediamenti umani caratterizzati da utilizzi prevalentemente stagionali (superficie di 58.153 ha pari al 44% del totale del Parco). Le zone C - Aree di Protezione - comprendono i paesaggi culturali antropizzati, caratterizzati da un utilizzo sostenibile delle risorse agro-silvo-pastorali e dalla presenza di forme sostenibili di ospitalità e fruizione in ambiente rurale (superficie di 19.426 ha, pari al 15% del totale del Parco). Le zone D di promozione economica e sociale sono distinte nelle tipologie che seguono: D1, aree urbane e nuclei rurali; D2,

zone delle infrastrutture e degli impianti (impianti di risalita e di innevamento, piste da sci, opere idroelettriche, cave, miniere). Le zone D1 comprendono le aree in cui, in relazione al maggior livello di antropizzazione ed ai minori gradi di sensibilità in esse presenti, è possibile prevedere interventi di consolidamento e sviluppo sostenibile degli insediamenti e promozione e sviluppo delle attività socio-economiche delle comunità locali (superficie di 1.433 ha, pari al 1% del totale del Parco). Le zone D2 comprendono aree a diverso grado di sensibilità destinate in generale ad attività economiche sostenibili, connesse all’utilizzo delle risorse ambientali quali la produzione di energia idroelettrica, l’esercizio dello sci, le attività del tempo libero e le attività estrattive (superficie di 2.812 ha, pari al 2 % del totale del Parco).

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Nelle aree del Parco caratterizzate da particolari condizioni di qualità ambientale o da rilevante interesse scientifico, nonché per particolari ambiti o singoli siti, possono essere individuate riserve speciali finalizzate allo studio, controllo e tutela dei processi di spontanea e naturale evoluzione dei sistemi ecologici e territoriali o all’individuazione di ecosistemi o di parti di ecosistema da lasciar evolvere esclusivamente in modo naturale. Attualmente sono state individuate 4 riserve con finalità di conservazione della foresta ed altre 2 per la conservazione delle zone umide. La delimitazione delle varie zone è stata proposta sulla base di un’analisi del grado di naturalità dei diversi habitat, nonché sulla base dell’analisi del paesaggio, tenendo conto degli usi del territorio e delle strutture presenti. La cartografia di Piano è stata redatta a scala 1:10000.

La revisione dei confini Con d.p.r. del 7 luglio 2006 concernente “Nuova perimetrazione del Parco Nazionale dello Stelvio” sono stati ridefiniti i confini del Parco. Il decreto ha risolto la particolare criticità di quel tratto della Val Venosta fino a quel momento rientrante nei confino del Parco, dove sono presenti nel fondovalle coltivazioni intensive ed aree industriali All’interno di tali aree, ora esterne ai confini del Parco, ci sono tuttavia habitat preziosi come l’Ontaneto di Cengles e la Prader Sand, che rappresenta il più grande e il meglio conservato delta fluviale del Sudtirolo. Il primo è oggi tutelato attraverso l’istituzione del SIC “Ontaneto di Cengles” (IT3110004) mentre il secondo è tutelato, in parte, come biotopo provinciale.


La rete europea Natura 2000 La creazione di una rete ecologica europea di zone di protezione, denominata Rete Natura 2000, è il principale obiettivo della direttiva “Habitat”, ovvero della ‘’Direttiva relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche’’ (92/43/CEE), che ha lo scopo di ‘’contribuire a salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche (…)’’. Una volta completata, la rete Natura 2000 sarà formata dalle seguenti zone: Zone di Protezione Speciale (ZPS, ingl. SPA: Special Protected Area), ovvero aree designate in base alle Direttiva ‘’Uccelli’’ (79/ 409/CEE), volte alla protezione di 181 specie di uccelli e relative sottospecie, individuate dall’allegato I della direttiva, nonché alla protezione delle specie migratorie. Zone Speciali di Conservazione (ZSC, ingl. SAC: Special Area of Conservation ), ovvero aree destinate alla tutela dei tipi di habitat e delle specie animali e vegetali elencati negli allegati I e II della Direttiva ‘’Habitat”. La creazione della rete Natura 2000 riassume in sé gli obiettivi delle due principali direttive comunitarie in materia di conservazione della natura: la ‘’Direttiva concernente la conservazione degli uccelli selvatici’’ (Direttiva ‘’Uccelli’’ 79/409/CEE) e la Direttiva ‘’Habitat’’ appunto. Gli obiettivi della Direttiva ‘’Uccelli’’ sono la protezione a lungo termine, la conservazione e anche lo sfruttamento degli uccelli selvatici sul territorio degli Stati membri dell’UE. La Direttiva individua, accanto agli elementi classici di conservazione (divieto di uccisione, di cattura, etc.), misure per la conservazione degli habitat delle specie di uccelli riportate nell’allegato I. Gli stati membri sono tenuti a istituire sul proprio territorio zone di protezione per le specie di uccelli (le ZPS appunto) e ad elaborare programmi per la loro protezione e per il ripristino degli habitat distrutti. Nell’allegato I della direttiva sono incluse 181 specie e sottospecie di uccelli. Di queste, 39 sono presenti nel Parco dello Stelvio, che ne ospita altre 90 ricomprese negli ulteriori allegati della Direttiva Uccelli. L’obiettivo della Direttiva ‘’Habitat’’ è la creazione dei presupposti per la conservazione della biodiversità (habitat e specie) in Europa, attraverso la creazione della rete Natura 2000. La Direttiva ha due approcci: uno volto alla protezione delle specie minacciate ed uno volto alla tutela degli habitat, indipendentemente dalle specie che li popolano. L’allegato I individua 198 habitat naturali e seminaturali che rappresentano componenti caratteristiche dello spazio naturale e del paesaggio europeo. Gli allegati II e IV riportano invece la lista delle specie animali (221) e vegetali (360), per le quali si devono adottare particolari misure di conservazione o i cui habitat vanno sottoposti a tutela. Nei 14 SIC e nelle 5 ZPS presenti all’interno del Parco dello Stelvio sono compresi 39 habitat da tutelare inseriti nell’allegato I della Direttiva Habitat, 12 specie animali (più altre 52 specie animali inserite negli allegati IV e V) e 2 specie vegetali. La Direttiva ‘’Habitat’’ è strettamente legata alla Direttiva ‘’Uccelli’’ e ne rappresenta un’integrazione, in quanto estende la tutela a specie e habitat che non erano state considerate. Inoltre le Zone di Protezione Speciale individuate dalla Direttiva ‘’Uccelli” vengono inserite direttamente nella Rete Natura 2000. La predisposizione della Rete Natura 2000 si articola attraverso un programma che comprende una prima fase di predisposizione dell’elenco dei Siti di Importanza Comunitaria proposti (pSIC) da parte degli Stati membri, una seconda fase di selezione dei Siti di Importanza Comunitaria (SIC) da parte della Commissione Europea, e una terza fase di designazione delle Zone Speciali di Conservazione in cui gli Stati membri adottano misure che garantiscano alle specie e agli habitat inclusi negli allegati I e II uno sviluppo sostenibile ai sensi della direttiva. Le prime due fasi si sono ormai concluse con la presentazione dei dati relativi alla localizzazione, agli habitat e alle

specie dei pSIC e con la valutazione e l’individuazione dei siti da parte della Commissione Europea. Entro la fine del 2010 i SIC della regione biogeografica alpina verranno designati quali Zone Speciali di Conservazione. In Italia la Rete Natura 2000 consta di 2.283 SIC, che appartengono a tre (alpina, continentale e mediterranea) delle sei regioni biogeografiche individuate dalla Direttiva ‘’Habitat’’, e di 589 ZPS. I siti coprono il 19% del territorio nazionale, un risultato molto positivo che rispetta gli obiettivi europei. La realizzazione della Rete Natura 2000 in Italia presenta criticità legate alle misure di gestione dei siti, spesso inadeguate e inefficaci, e alle numerose violazioni delle Direttive Comunitarie 92/43 e 79/49, legate soprattutto alle procedure di Valutazione di Incidenza.

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Parco Nazionale dello Stelvio

5. Aspetti amministrativi e storia del Parco Nazionale dello Stelvio

Istituito nel 1935, dopo i Parchi Nazionali del Gran Paradiso, d’Abruzzo e del Circeo, il Parco Nazionale dello Stelvio è il più grande dei parchi nazionali storici e uno fra i più grandi in Italia e dell’intero arco alpino. Nato dall’impegno di appassionati naturalisti aderenti al CAI e al Touring Club Italiano, ha avuto nel corso dei decenni una vita alquanto difficile e travagliata e i tanti eventi storici e politici hanno concorso a rendere la sua storia particolarmente articolata determinando anche un generale ritardo nella sua organizzazione interna e nella gestione. Il Parco Nazionale dello Stelvio, per la sua particolare collocazione a cavallo di quattro province (Bolzano, Brescia, Sondrio e Trento) e due regioni (Lombardia e Trentino Alto Adige), ha vissuto più di ogni altro parco gli effetti dei conflitti fra Stato, Regioni e Province Autonome sulle competenze in materia di legislazione ambientale. Oggi siamo lontani dagli anni di fuoco di questi conflitti e la legge quadro sulle aree protette (legge n. 394/91) ha ridato nuova vita al Parco, portando di fatto all’attuale sistema organizzativo basato sul Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio. Obiettivo primario di tale organizzazione è la gestione unitaria del Parco senza dimenticare le differenze culturali e sociali esistenti al suo interno, ma lasciando ampio spazio alle autonomie locali. Organizzazione del Consorzio Gli organi principali del Consorzio sono il presidente (nominato con decreto del Ministro dell’Ambiente d’intesa con i presidenti della Regione Lombardia e delle Province Autonome di Trento e di Bolzano), il Consiglio Direttivo (formato dal presidente e da rappresentanti dello Stato, della Regione Lombardia e delle Province Autonome di Trento e di Bolzano, delle associazioni ambientaliste e delle istituzioni scientifiche), i Comitati di Gestione per la Regione Lombardia e per le Province Autonome di Trento e di Bolzano, i cui presidenti fanno parte del Consiglio Direttivo, e il Collegio dei Revisori dei Conti. I Comitati di Gestione sono composti da rappresentanti dei comuni del Parco, da rappresentanti regionali e provinciali, delle associazioni ambientaliste, delle associazioni agricole, delle associazioni turistico-ricreative e del mondo scientifico. Nominano al loro interno i rispettivi presidenti. Ai Comitati di Gestione spettano – attuate dai rispettivi Uffici Periferici – la gestione ordinaria e straordinaria del territorio di competenza sulla base delle direttive impartite dal Consiglio Direttivo. Oltre agli Uffici Periferici è operativo

l’Ufficio Centrale di Amministrazione con sede a Bormio, dove lavorano direttore, a cui spetta la sovrintendenza ed il coordinamento delle attività dell’ente, coordinatore scientifico, collaboratori amministrativi, contabili, tecnici e di segreteria. Anche presso gli Uffici Periferici di Bormio per il settore lombardo, Cogolo di Peio per il settore trentino e Glorenza per il settore altoatesino operano equipes composte dal dirigente periferico e collaboratori amministrativi, contabili, tecnici, di segreteria e per la didattica e la comunicazione e per la conservazione dell’ambiente. Il personale di ruolo impegnato nel Consorzio del Parco, afferente agli uffici centrali e periferici, consta di 39 unità, ai quali si affiancano collaboratori a progetto. Ci sono inoltre 24 operai forestali a tempo indeterminato

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dislocati nelle varie sedi (a cui si aggiunge un numero variabile di personale stagionale) impegnati nella realizzazione delle opere di manutenzione e di interventi sul territorio. Le attività di sorveglianza e di monitoraggio ambientale all’interno del Parco sono affidate al Corpo Forestale. In particolare, nel settore lombardo la competenza è del Corpo Forestale dello Stato attraverso il Coordinamento Territoriale per l’Ambiente di Bormio. In esso operano 40 agenti forestali che coprono le 5 stazioni forestali di Livigno, Sondalo, Temù, Valdidentro e Valfurva. Nel settore altoatesino la competenza è del Corpo Forestale Provinciale. I 15 agenti dislocati nelle 4 stazioni di Lasa, Martello, Stelvio e Ultimo sono alle dipendenze funzionali del dirigente dell’Ufficio Periferico di Glorenza. Analogamente la

competenza nel settore trentino è del Corpo Forestale Provinciale e nelle 2 stazioni di Peio e Rabbi sono presenti 8 agenti forestali. Le comunità locali Il territorio del Parco interessa 23 comuni, 10 nel settore lombardo, 3 nel settore trentino e 10 nel settore altoatesino. Solo i comuni di Martello e Stelvio ricadono interamente entro i confini del Parco, mentre per gli altri la porzione di territorio interessata dall’area protetta varia tra il 2% di Malles Venosta e il 97% di Valfurva. Oltre alle amministrazioni comunali sono presenti la Comunità Montana dell’Alta Valtellina e la Comunità Montana di Valle Camonica, il Comprensorio della Valle di Sole e le due Comunità Comprensoriali della Val Venosta e del Burgraviato.


La storia del Parco 1935 Con la legge n. 740 del 24 aprile viene istituito il Parco Nazionale dello Stelvio. 1948 La legge costituzionale n. 5 del 26 febbraio “Statuto speciale per il Trentino - Alto Adige” istituisce la Regione Autonoma Trentino - Alto Adige e attribuisce ad essa poteri legislativi e amministrativi in molte materie, tra cui: cave, miniere, torbiere, agricoltura e foreste, apicoltura, parchi per la protezione della flora e della fauna, caccia e pesca, utilizzo delle acque pubbliche, opere di bonifica. Le Province Autonome ricevono poteri in materia di urbanistica, tutela del paesaggio, disciplina degli usi civili. Le competenze sul Parco Nazionale dello Stelvio rimarranno però riservate allo Stato. 1951 Il 30 giugno viene pubblicato con d.p.r. n. 1178 il regolamento di applicazione della legge istitutiva affidando all’amministrazione statale ampi poteri autorizzativi su gran parte delle attività economiche e sociali esistenti o possibili all’interno del Parco. Il regolamento va ad incidere su attività che avevano continuato a svolgersi anche dopo l’istituzione del Parco e apre il conflitto latente tra popolazioni locali e istituzioni. Negli anni successivi (fine anni ’60/inizio anni ’70) vengono emanate dalla Regione Trentino Alto Adige prima, e dalle Province Autonome poi, una serie di norme di settore in parziale contrasto con il regolamento del 1951. 1971 Viene introdotto il c.d. “pacchetto” per il Trentino Alto Adige con, tra le altre, la legge costituzionale n. 1 del 10 novembre “Modificazioni ed integrazioni dello Statuto Speciale per il Trentino Alto Adige” con cui vengono trasferite alle Province Autonome sia la maggior parte delle vecchie competenze regionali del 1948 che molte altre, e tra queste spiccano numerose competenze in materia di gestione dell’ambiente. 1974 Con l’art. 3 del d.p.r. 22 marzo 1974 n. 279, “Norme di attuazione dello Statuto speciale per la regione Trentino – Alto Adige in materia di minime proprietà colturali, caccia, pesca, agricoltura e foreste” vengono regolamentati gli interessi istituzionalmente più rilevanti del Parco e viene prefigurata la nascita di un Consorzio del Parco tra lo Stato e le Province Autonome di Trento e Bolzano. Viene anche confermato il regolamento del 1951 fino alla fine del periodo transitorio. 1977 Con d.p.r. del 23 aprile il territorio del Parco viene esteso alle zone di Cancano e di Livigno, nonché ai monti Sobretta, Gavia e Serottini nei territori sulle province di Sondrio e di Brescia. L’ampliamento di 39.260 ettari porta il territorio dell’area protetta da 95.360 a 134.620 ettari.

Nello stesso anno il d.p.r. del 24 luglio 1977 n. 616 trasferisce alle regioni le funzioni concernenti gli interventi per la protezione della natura, le riserve ed i parchi naturali (anche nazionali) rinviando ad una futura legge la ripartizione dei compiti in materia di parchi nazionali e riserve naturali statali. 1991 Viene emanata la legge quadro sulle aree protette n. 394 del 6 dicembre che conferma per il Parco Nazionale dello Stelvio il regime consorziale di gestione integrando anche la Regione Lombardia; 1992 Con l’accordo di Lucca del 27 marzo il Ministero dell’Ambiente, le Province Autonome di Trento e di Bolzano e la Regione Lombardia raggiungono l’intesa per la costituzione del Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio. 1993 Con d.p.c.m. del 26 novembre viene istituito il Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio e vengono fissate le regole per la formazione degli organi istituzionali e direttivi. Nello stesso anno le Province Autonome di Trento e di Bolzano costituiscono con legge provinciale il Consorzio per la gestione del Parco Nazionale dello Stelvio. 1995 Con decreto del Ministro dell’Ambiente SCN/124 del 30 marzo il Prof. Annibale Mottana è nominato commissario del Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio in attesa del perfezionamento dell’ iter procedurale per la nomina del Presidente e del Consiglio Direttivo, che vengono nominati con decreto ministeriale nel corso dello stesso anno. Il Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio subentra nella gestione del Parco all’ex Azienda di Stato per le Foreste Demaniali. 1996 Approvazione della legge della Regione Lombardia n. 12 del 10 giugno “Norme per la costituzione del Consorzio di gestione del Parco Nazionale dello Stelvio”. 1998 Con decreto del Ministro dell’Ambiente SCN/544 del 15 gennaio viene adottato lo statuto del Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio. 2005 Con delibera del Consiglio Direttivo n. 22 del 28 luglio viene adottato il Piano del Parco. 2006 Con d.p.r. del 7 luglio viene definita la nuova perimetrazione del Parco che esclude alcuni territori posti sul fondovalle della Val Venosta. 2007 Con delibera del Consiglio Direttivo del 4 maggio vengono adottate le Norme di Attuazione del Piano del Parco. 2008 Con delibera del Consiglio Direttivo n. 23 del 30 settembre viene adottato il Regolamento del Parco Nazionale dello Stelvio.

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Parco Nazionale dello Stelvio

6. Le infrastrutture del Parco

Dalla seconda metà degli anni Novanta sono attivi sul territorio del Parco i Comitati di Gestione lombardo, trentino e altoatesino, che attraverso i rispettivi Uffici Periferici lavorano e si occupano della gestione ordinaria e straordinaria del territorio di competenza affinché vengano perseguite le finalità e gli obiettivi del Parco definiti a livello centrale dal Consiglio Direttivo del Consorzio. Hanno il compito di salvaguardare le risorse ambientali e l’integrità degli ecosistemi, la bellezza del paesaggio, gli interessi culturali e socio-economici e di promuovere l’informazione, l’educazione ambientale e lo sviluppo turistico ecocompatibile così come fissato dall’art. 1 della legge istitutiva del Parco Nazionale dello Stelvio e dallo stesso articolo delle Norme di Attuazione del Piano per il Parco. Da un lato quindi il Parco si pone a salvaguardia dell’immenso patrimonio ambientale, che si concretizza con azioni di conservazione e gestione della fauna e degli habitat e con l’avvio di progetti di ricerca, in una visione sempre più moderna di area protetta. Dall’altro lato si pone come promotore del turismo: da sempre infatti i parchi richiamano l’attenzione di viaggiatori attratti dalle bellezze del paesaggio, dalla possibilità di osservare animali selvatici, di approfondire le proprie conoscenze sulle tematiche naturalistiche e sulle specificità della cultura delle genti che vi abitano da secoli. Sempre più sono i turisti consapevoli ed informati, ma molti sono anche quelli che si imbattono nella realtà dei parchi attratti da una vaga idea di purezza e di ambienti incontaminati: soprattutto su costoro le aree protette svolgono un’importante azione di informazione ed educazione attraverso le proprie strutture ed attività. Il territorio del Parco Nazionale dello Stelvio è oggetto di un importante flusso turistico che si cerca di gestire in modo alternativo e sostenibile potenziando il più possibile, come già detto, la funzione educativa. Gi uffici lavorano per incanalare e gestire tale flusso, fornendo informazioni sulle caratteristiche del Parco e sulle offerte fornite dall’Ente per le visite, all’interno di un sistema composto dalle strutture di accoglienza – centri visitatori, aree faunistiche e giardini botanici – e dai punti informativi, dalla rete dei sentieri, dalle aree di sosta attrezzate cercando di fare del visitatore un ospite sempre più consapevole, discreto e attento a non alterare le bellezze dell’area protetta. Inoltre queste strutture sono il punto di riferimento per le attività educative e didattiche che si svolgono con le scuole con l’intento di promuovere una cultura ambientale volta a migliorare gli impatti determinati dalle scelte di ogni cittadino al fine di rispettare e stimolare comportamenti in equilibrio con la natura.

Le strutture nei tre settori Settore lombardo Nell’area valtellinese sono presenti un punto informativo nel centro di Bormio e un centro visitatori nella frazione di Sant’Antonio in comune di Valfurva. Qui come nelle altre strutture di accoglienza il turista può ricevere informazioni sul Parco, sulle escursioni organizzate e sulla vasta rete di sentieri, stradelle e mulattiere, nonché acquistare pubblicazioni e gadgets. In più il centro visitatori offre un percorso didattico-informativo sugli aspetti naturalistici, ambientali e culturali dell’area protetta. Nei sobborghi di Bormio, alle pendici del monte Reit, è visitabile anche il giardino botanico alpino “Rezia”. E’ stato costruito agli fine degli anni Ottanta utilizzando una vecchia cava di sabbia dismessa, di quasi un ettaro e mezzo, in cui sono state ricavate circa duemila aiuole, predisposte con terra presa in particolari aree del Parco, al fine di assicurare la permanenza e la riproduzione delle specie floristiche. Considerati gli scopi prevalentemente didattici ed educativi le aiuole di uno dei quattro settori in cui è suddiviso il giardino sono state predisposte secondo il criterio espositivo degli ambienti fitogeografici più rappresentativi del territorio del Parco. In altri due settori sono state messe a dimora, rispettivamente, le specie più rappresentative della flora delle catene montuose europee ed extraeuropee e alcune collezioni di varietà di specie note ed interessanti. Nell’ultima sezione è stato allestito un arboreto con le specie ad alto fusto della catena alpina. La struttura presenta anche una zona adibita a laboratorio e aree per la sosta. Un nuovo centro faunistico sorgerà tra breve in valle di Viso, nel versante bresciano, dove il visitatore potrà osservare da vicino le specie di ungularti che popolano il Parco quali il cervo, il capriolo, il camoscio e lo stambecco. Il centro sarà anche area di ricovero e recupero per animali in difficoltà e ospiterà animali feriti e cuccioli (per lo più cervi e caprioli) per il periodo necessario alla loro riabilitazione. Nel settore lombardo ci sono anche tre foresterie a disposizione di studenti, ricercatori e gruppi di visitatori organizzati situate a Fumero, in Val di Rezzalo, a Pravasivo, presso Bormio e a S. Caterina in Valfurva. Nell’area bresciana sono stati aperti due punti informativi: uno a Ponte di Legno ed uno a Cortebona in Val Canè, che ha caratteristiche prettamente stagionali. In località Cortebona è presente anche una foresteria in corso di ristrutturazione.

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Settore trentino In Val di Rabbi, a Rabbi Fonti è presente un centro visitatori con un piccolo museo dedicato alle caratteristiche naturali e culturali del Parco. E’ dotato di una sala di proiezione e di un punto informativo dove è possibile acquistare pubblicazioni, cartografia e gadgets. In Val di Peio sono stati realizzati altri tre centri visitatori: uno a Cogolo di Peio, attiguo alla sede dell’Ufficio Periferico, il secondo presso l’area faunistica “Runcal”, situata tra Peio Fonti e Peio Paese, e dedicato alle problematiche e agli adattamenti della fauna alla stagione invernale, e il terzo, dedicato ai galliformi, in Val de la Mare presso la malga Talè, recentemente ristrutturata e posta al centro dell’areale del gallo cedrone. L’area faunistica “Runcal” ospita ungulati (soprattutto cervi e caprioli, ma anche camosci in transito) trovati feriti o cuccioli oltre ad animali nati in cattività. In Val di Rabbi si trovano anche il Casel di Somrabbi, un caseificio tradizionale ristrutturato e aperto al pubblico durante le visite guidate, con un museo sul tema della lavorazione del latte, e le segherie veneziane ad acqua, ristrutturate dal Parco per testimoniare l’importante funzione del bosco nell’economia tradizionale della valle. Sempre in Val di Rabbi si trova l’area ludico-didattica ”Il gioco del Parco” che offre ai visitatori più piccoli l’opportunità di conoscere meglio l’area protetta attraverso l’uso dei cinque sensi e calandosi nelle vesti degli animali che vi abitano. Nello stesso edificio che ospita il centro visitatori a Rabbi Fonti è presente infine una foresteria a Rabbi Fonti, aperta tutto l’anno. Settore altoatesino Oltre all’area faunistica di Fraches, che ospita al momento cervi e caprioli, il Parco Nazionale dello Stelvio dispone di cinque centri di informazione, dove mediante mostre temporanee e permanenti vengono presentati temi relativi ad aspetti naturali e culturali del Parco. La percezione della natura attraverso i sensi e l’esperienza interattiva costituiscono il filo conduttore di questi centri visitatori. Scopo di questi luoghi è scatenare le emozioni ed offrire informazioni affinché i visitatori siano sollecitati ad un rapporto responsabile con la natura. Ad aquaprad, a Prato allo Stelvio, tutto ruota intorno all’acqua. In acquari che riproducono condizioni naturali sono presentate 35 diverse specie di pesci e numerosi anfibi e rettili degli habitat dei torrenti di montagna, dei laghi freddi delle alte quote, del fiume, dei laghi più caldi di fondovalle, dei fossi e delle paludi. Culturamartell presenta invece il paesaggio culturale della Val

Martello. Pascoli e campi arati su terrazzamenti con muretti a secco costituiscono le superfici utili del maso di montagna e sono il risultato di secoli di lavoro. Oltre a ciò il centro mostra la vita del maso come oasi di autosufficienza a partire dal primo pianto del bimbo appena nato in casa fino all’ultimo respiro del vecchio. Si racconta del lavoro di tutta una vita, gravoso e pieno di privazioni, dell’emigrazione ma anche dei momenti felici. Naturatrafoi a Trafoi lungo la strada che conduce al Passo dello Stelvio focalizza la vita al limite. Con lo sguardo rivolto a re Ortles, di cui si illustra la geologia, si mettono in rilievo i molteplici adattamenti e le strategie di sopravvivenza di piante e animali che vivono in condizioni climatiche estreme di alta montagna. Negli edifici di un’antica segheria veneziana ad acqua, sapientemente restaurata e perfettamente funzionante, è stato realizzato invece il centro visitatori Lahnersäge di Santa Gertrude, in Val d’Ultimo, Descrive l’ambiente del bosco e le sue funzioni di protezione ed utilizzo. Anche in questo caso la scelta del tema non è casuale. La Val d’Ultimo presenta estese foreste ed il legno è la principale materia prima impiegata nella costruzione di case, stalle e fienili. Accanto alla segheria è stato restaurato anche un vecchio mulino, dove si può assistere alla trasformazione del grano in farina. Nell’isola pedonale di Silandro è stato aperto avimundus. Accanto alle informazioni di carattere generale sul Parco Nazionale dello Stelvio, avimundus offre uno spaccato del mondo degli uccelli: il volo come conquista dello spazio aereo nell’evoluzione degli esseri viventi sulla terra, la presentazione dei diversi uccelli nei vari habitat, dai boschi ripariali alle aride steppe, il significato delle loro voci e dei suoni, gli adattamenti e le “specializzazioni”.


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Parco Nazionale dello Stelvio Andamento delle temperature e delle precipitazioni medie mensili Peio (1200 m)

Bormio (1225 m)

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Il massiccio dell’Ortles-Cevedale, con le sue numerose cime che superano i 3.000 m, determina una situazione climatica difficilmente descrivibile in termini generali. Come per la maggior parte dei rilievi montuosi delle medie latitudini, non valgono i principi di massima della dinamica climatica che regolano la formazione delle grandi zone bariche e dei fronti. La complessa morfologia del gruppo e il grande sviluppo verticale del massiccio danno origine infatti a numerosi “climi locali” con caratteristiche termo-igrometriche anche molto diverse. Questa pluralità di climi è estremamente importante in quanto determina le possibili attività agro-silvo-pastorali e ha rilevanti ripercussioni sul popolamento delle valli. In generale il fattore altitudinale è dominante ed in base a esso è possibile identificare quattro tipi climatici fondamentali cui corrispondono altrettante fasce altitudinali: 1. Clima pre-alpino – al di sotto dei 1.000 m di quota. Caratteristiche climatiche: semestre estivo caldo e asciutto e primavera precoce. Interesse economico: comprende i principali fondivalle con i principali insediamenti umani e le più intense attività agricole basate su colture legnose specializzate (vite e melo). 2. Clima sub-alpino – fra 1.000 e 1.750-1.850 m di quota. Caratteristiche climatiche: estate piovosa e primavera tardiva. Interesse economico: comprende ancora ambienti con insediamenti permanenti basati su un’economia silvo-pastorale; il paesaggio è caratterizzato dall’allevamento di fondovalle e di mezza-costa. 3. Clima alpino – fino ai 2.550 – 2.600 m di quota. Caratteristiche climatiche: fattore altitudinale preponderante, inverni rigidi. Interesse economico: è la zona dei pascoli alpini estivi; il limite superiore orografico o climatico è dato dal limite delle nevi perenni. 4. Clima artico-alpino. Caratteristiche climatiche: quasi totale assenza di mesi temperati, è la zona al di sopra del limite delle nevi perenni. Interesse economico: nessuno, salvo quello turistico legato alla pratica alpinistica nei mesi estivi. Rilevante per la determinazione del clima del territorio del Parco

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è, oltre al fattore altitudinale, la posizione centrale del massiccio lungo l’arco alpino: le incursioni cicloniche infatti hanno effetto solo quando interessano tutte le Alpi. Di grande influenza sono inoltre l’andamento parallelo delle valli principali che lo circondano (Val Venosta, Valtellina, Val di Sole) e la presenza di altri importanti gruppi montuosi che le riparano. Precipitazioni In generale tutto il massiccio è caratterizzato da scarse precipitazioni, l’inverno è poco piovoso mentre le maggiori precipitazioni si registrano in estate. Il settore trentino è contraddistinto dalle maggiori precipitazioni perché meno protetto dagli afflussi occidentali e meridionali che possono incanalarsi lungo la Val Camonica e superare il Passo del Tonale, oppure risalire le Valli Giudicarie, la Val Rendena, la Val Meledrio e la Val di Non. La Val di Rabbi è meno piovosa della Val di Peio, perché la risalita delle correnti umide è ostacolata dalla strozzatura della valle sotto S. Bernardo. Nel settore altoatesino la situazione è molto diversificata e sarebbe difficile una generalizzazione per tutte le valli. La Val d’Ultimo è la più piovosa di tutto il versante; in Val Martello si registrano precipitazioni inferiori, che raggiungono i valori minimi in Val Venosta, dove il fattore altimetrico gioca un ruolo irrilevante sulle precipitazioni. Il fattore principale che determina questa scarsa piovosità è di sicuro l’andamento parallelo della valle con le elevate catene montuose che la delimitano sia a nord sia a sud. Il fondovalle della Val Venosta da Laces a Glorenza rappresenta un’isola climatica contraddistinta da precipitazioni estremamente scarse (da 400 a 700 mm all’anno). Un’eccezione nel settore altoatesino è rappresentata dalla zona di Trafoi, che registra precipitazioni elevate dovute sia agli afflussi di aria provenienti dal Passo Resia, che si incanalano nella Valle di Trafoi e nel tratto terminale della Val Solda, sia alle correnti con direzione occidentale della zona del Passo dello Stelvio, che scaricano la loro umidità residua quando incontrano le pareti dell’Ortles. Sul versante valtellinese l’unica stazione “storica” è quella di Bormio, che registra precipitazioni scarse se messe in relazione alla quota. Ciò è dovuto alle elevate catene montuose che la proteggono a nord e al fatto che le correnti occidentali che giungono qui hanno ormai perso gran parte del carico di umidità. A completare il quadro della zona concorrono, negli ultimi anni, le stazioni installate in Alta Valtellina a seguito degli eventi calamitosi del 1997. Da questi dati si evince che spostandosi

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Temperatura media (° C)

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7. Il clima

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dalla conca di Bormio verso sud e verso ovest le precipitazioni tendono ad aumentare. Temperatura Fattori fondamentali per delineare il regime termico della zona del Parco Nazionale dello Stelvio sono, oltre alla quota, la posizione e l’esposizione. I dati a disposizione e forniti dalle poche stazioni termiche con serie storiche all’interno del Parco e dalle nuove stazioni installate nel settore valtellinese dopo il 1997 sono comunque pochi per delineare il regime termico del territorio del Parco, ma è stato possibile interpolare questi dati, insieme ad altri derivanti da stazioni di misurazione poste nelle valli laterali del gruppo Ortles-Cevedale, per avere un quadro generale dell’andamento termico in questo territorio. Le temperature medie annue più basse riguardano il Livignese, aumentando gradualmente spostandosi da ovest verso est con un’inversione di tendenza che si registra nella conca di Bormio, dove vengono registrate temperature medie annue maggiori dovute a diversi fattori: ottime condizioni di irraggiamento, correnti d’aria deumidificata che, scendendo dai passi principali, si riscaldano e contribuiscono a mitigare il clima, e infine scarsi afflussi d’aria dalla Valtellina, rallentati dalle varie strozzature della valle. Dall’elaborazione dei dati, le temperature medie annue maggiori interesserebbero i settori più orientali che comprendono la Val di Rabbi, la Val d’Ultimo, la Val Martello e la Val Venosta. Venti Non essendo presenti stazioni anemometriche nel Parco Nazionale dello Stelvio, risulta impossibile descrivere le peculiarità della circolazione atmosferica. La circolazione generale ha scarsa influenza in questo territorio montuoso: i venti non giungono o giungono con caratteristiche diverse rispetto alla partenza; la morfologia della zona influenza la velocità e l’intensità degli scambi d’aria e agisce sulla formazione di venti locali tipo brezza, attivi però solo in estate, mentre in inverno il flusso diurno verso l’alto è in genere molto limitato. Le situazioni bariche più caratteristiche sono le seguenti: 1. Anticiclone sull’Europa centrale (soprattutto in inverno): il tempo è generalmente buono e i venti spirano da nord. 2. Depressione a sud, sul Mediterraneo settentrionale, in movimento verso nord-est (soprattutto in inverno): venti spirano da sud-est e sud-sud-est e si generano

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venti di caduta tipo föhn nelle valli settentrionali; tempo instabile con forti precipitazioni, soprattutto nel settore trentino, ma solo in presenza di un fronte in avanzamento da nord. 3. Anticiclone sulla penisola iberica (soprattutto nelle stagioni intermedie): determina venti da sud-ovest e ovest-sud-ovest che incanalandosi nelle valli longitudinali aumentano di velocità determinando forti perturbazioni e precipitazioni, soprattutto a carattere nevoso su tutto il territorio. 4. Depressione a nord, sull’altopiano svevo-bavarese in movimento verso est (soprattutto in estate): si generano venti meridionali che attraversano le valli da sud a nord portando precipitazioni sulle cime e venti tipo föhn in basso. 5. Anticiclone sull’Atlantico nord-orientale (nelle stagioni intermedie): si generano venti occidentali che portano aria fresca umida sulle cime. I venti di tipo föhn derivano da afflussi di aria sia da nord sia da sud: nel primo caso sono più frequenti e originati da situazioni bariche che si ripetono con le stesse caratteristiche, nel secondo caso sono meno frequenti e dipendono da situazioni bariche locali facilmente variabili. Questi venti sono molto importanti in quanto determinano i climi e i microclimi locali: l’effetto più evidente che si registra è dato dall’anticipo della primavera.


Le precipitazioni nevose nell’ultimo ventennio L’analisi delle serie storiche di 40 stazioni sul versante sud delle Alpi ha evidenziato una generale diminuzione delle precipitazioni nevose sul versante meridionale delle Alpi nel periodo recente (1985–2004) Il numero di giorni nevosi mostra un trend assolutamente negativo e questo dato è proporzionalmente maggiore di quello che si osserva per i valori della neve fresca. Il numero di giorni con permanenza della neve al suolo mostra oscillazioni proporzionalmente maggiori di quelle relative ai parametri neve fresca e nevosità, con diminuzioni percentualmente maggiori alle quote più elevate: è lecito ipotizzare pertanto un legame con il comprovato aumento delle temperature medie, in particolare di quelle primaverili sul settore alpino centro-orientale. Il fenomeno è più evidente intorno ai 2.000 metri. E’ importante sottolineare che esiste una relazione di tipo inversa tra quota e neve fresca, ovverosia le stazioni più elevate presentano un calo percentualmente maggiore rispetto a quelle collinari. La tendenza alla riduzione delle precipitazioni nevose è evidente in particolar modo nei settori centrale ed orientale delle Alpi. Gli effetti di questa tendenza sono ben evidenti sullo stato dei ghiacciai, soprattutto su quelli di piccole dimensioni che rispondono prontamente alle variazioni climatiche.

L’andamento delle precipitazioni nell’ultimo trentennio

e

delle

temperature

Come viene evidenziato dal grafico le temperature massime estive e invernali mostrano un chiaro trend positivo, i climatologi hanno osservato che negli ultimi trent’anni le temperature sulle Alpi sono aumentate maggiormente rispetto al resto del globo. Se la situazione non cambierà gli ecosistemi alpini verranno stravolti e il ritiro dei ghiacciai rischia di avere effetti disastrosi sui bilanci idrici di gran parte dell’Europa. Le precipitazioni mostrano invece un andamento meno marcato, con forti fluttuazioni attorno ai valori medi.

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Parco Nazionale dello Stelvio

Modelli digitali del terreno Un modello digitale del terreno (noto anche come DEM, dall’inglese digital elevation model) è una successione ordinata di punti che rappresenta la distribuzione spaziale delle quote in un dato territorio. Esistono varie strutture dati utilizzate per rappresentare un DEM, ciascuna con i propri vantaggi e svantaggi; non esiste una struttura che soddisfa ogni requisito, ma la scelta dipende essenzialmente dalle necessità. Le strutture fondamentali sono il modello lineare, il Triangulated Irregular Network (TIN) e il grid network. Il modello lineare descrive la quota di una superficie attraverso curve di livello. In un TIN la superficie viene suddivisa in elementi triangolari e campionata attraverso punti significativi che rappresentano le caratteristiche del terreno e che costituiscono i nodi del network; tre nodi rappresentano i punti di riferimento per i triangoli irregolari e la densità dei triangoli dipende dalla variabilità spaziale della superficie. All’interno di ogni triangolo la quota può variare mentre, secondo questo modello, la pendenza e l’esposizione sono assunte costanti. Il TIN è una struttura dati vettoriale perché le coordinate dei nodi, ossia dei vertici dei triangoli, sono archiviate esplicitamente. In un DEM basato su una struttura a griglia regolare (grid network) l’elemento base è rappresentato dalla cella quadrata le cui dimensioni dovrebbero essere scelte in base alle porzioni della superficie che presentano la maggiore irregolarità. Il principale vantaggio del modello a griglia regolare è dato dalla semplicità dell’archiviazione dati: una sequenza di coordinate z (che descrivono la quota) poste lungo l’asse x con uno specifico punto di partenza e

8. Le forme del rilievo

Il Parco Nazionale dello Stelvio si sviluppa orograficamente intorno al massiccio dell’Ortles-Cevedale; il centro del massiccio può essere individuato attorno al Monte Cevedale, da cui si diramano le creste principali con numerose cime al di sopra dei 3.000 m, interrotte da estesi ghiacciai. In linea generale, il gruppo è costituito da una grande varietà di affioramenti metamorfici e cristallini, con inclusioni diverse da luogo a luogo; l’unico grande affioramento estraneo alla formazione cristallina si identifica con le cime più imponenti del gruppo dell’Ortles-Cevedale collocate lungo una cresta dolomitica che si diparte in direzione nord-ovest dal Monte Cevedale (3.769 m): tra queste spiccano il Gran Zebrù (3.851 m), il Monte Zebrù (3.735 m) e l’Ortles (3.905 m), che comprendono le cime più alte del massiccio. Dal Gran Zebrù si biforca una giogaia comprendente Cima di Trafoi, Punta Thurwieser, Punta del Cristallo, Monte Cristallo fino alla Cresta di Reit, che incombe sulla conca di Bormio. Sempre dal Gran Zebrù si dirama una cresta secondaria che costituisce lo spartiacque tra la Valfurva e la Val Zebrù, che termina con il Monte Confinale: a differenza delle precedenti, impostate su substrato dolomitico, questo ramo è costituito prevalentemente da rocce metamorfiche. In direzione sud parte verso il Monte Vioz un’altra giogaia, che passa per il Monte Cevedale e il Palon de la Mare, interrotta dalle più enormi masse glacializzate del gruppo, che poi piega a sud-ovest, culminando in Punta Taviela, Punta S. Matteo e, rispettivamente, Pizzo Tresero verso nord e Corno dei Tre Signori verso sud. Sul versante settentrionale di questo tratto si trova il maggiore ghiacciaio delle Alpi Retiche meridionali: il Ghiacciaio dei Forni. Dal Monte Cevedale, in direzione nordest, parte una cresta caratterizzata da cime meno alte separate da numerose selle: Cima Venezia, Cima Rossa di Saènt, Cima Rabbi, Gioveretto, Orecchia di Lepre. Da Cima Rossa di Saènt si diramano due creste: una verso sud con le cime Pontevecchio, Cavaiòn, Verdignana, fino a Cima Vegaia per continuare verso ovest con Cima Mezzana e Cima Tremenesca, e una seconda in direzione sud-est con le cime Sternai, Collecchio, Trenta e Vedretta Alta. In direzione nord, dal Monte Cevedale si sviluppa una grande catena montuosa che comprende Corno di Solda, Cima Madriccio, Punta dello Scudo, le tre Punte di Peder, Punta Livi, Punta di Sluder e Punta di Lasa. Da quest’ultima si dirama infine una cresta secondaria che delimita la Vedretta di Lasa con Cima Vertana, L’Angelo, L’Angelo Piccolo e la Croda di Cengles.

Per quanto riguarda lo sviluppo dei piani altitudinali, solo il 27% del territorio del Parco si trova sotto i 2.000 metri di quota; il 63% è compreso tra i 2.000 e i 3.000 metri e una considerevole parte di esso, il 10%, si trova sopra i 3.000 metri di quota. Le valli del Parco Nazionale dello Stelvio sono tutte modellate dai processi glaciali su cui, successivamente, si è impostata l’azione erosiva di acqua e torrenti. Ogni valle presenta però caratteristiche proprie dovute alle specifiche formazioni geologiche e alla tettonica. In linea generale, nelle valli è possibile individuare forme geomorfologiche diverse più o meno idonee ai fini dell’insediamento umano e delle attività economiche: l’uomo nelle valli del Parco si è da sempre insediato prevalentemente nei fondivalle alluvionati, sui terrazzi fluvio-glaciali e sui conoidi alluvionali; i versanti, caratterizzati dalla doccia più o meno scoscesa a seconda dell’esposizione, della giacitura degli strati e della litologia, possono ospitare terrazzi e quindi insediamenti permanenti o temporanei. Più a monte l’ambiente è caratterizzato da valloni glaciali coperti da materiale morenico e da circhi, che ospitano talvolta conche lacustri. A quote superiori si osservano strutture tabulari ricoperte dai bacini dei ghiacciai attuali. La morfologia delle valli è uno dei fattori più importanti che hanno influenzato le attività e gli insediamenti umani nei territori del Parco; gli insediamenti permanenti si hanno solo alle quote inferiori e in condizioni di esposizione favorevole. L’azione antropica risulta assai marcata nei fondivalle e sui terrazzi dei versanti esposti a solatio, mentre a quote più elevate, in corrispondenza della spalla dei versanti, si trovano le ampie radure con le malghe. Vengono di seguito presentate alcune delle valli del Parco Nazionale dello Stelvio rappresentative dei tre settori. Valle del Braulio Si apre a nord della conca di Bormio con versanti molto scoscesi, quasi come una forra; alla testata della valle vi è il Passo dello Stelvio (2.758 m) che presenta ancora piccole vedrette, testimoni delle più imponenti masse glaciali che fluivano in direzione nordovest e scolmavano in corrispondenza del giogo. Delimitata da creste calcaree, l’aspra morfologia della valle non ha favorito l’insediamento umano. Valfurva Percorsa dal torrente Frodolfo, la Valfurva corre da sud-est a nordovest per 18 chilometri, è delimitata dai gruppi Ortles-Cevedale

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a est e Gavia-Sobretta a sud-ovest, con creste interrotte da circhi che ospitano grandi ghiacciai favoriti dalla particolare esposizione. Nel tratto mediano della valle, tra gli abitati di S. Caterina e S. Antonio il fondovalle si presenta colmato da depositi morenici in cui il Frodolfo ha scavato il suo letto: i centri abitati si trovano solo in questo tratto, mentre nel resto della valle prevale l’insediamento temporaneo. Il bacino imbrifero del Frodolfo comprende, oltre alla Valfurva, le valli Zebrù, Cedèc, dei Forni e Gavia, valloni glaciali che si raccordano alla valle principale con gradini più o meno accentuati e in cui gli unici insediamenti sono riconducibili alle pratiche stagionali dell’allevamento. Valli camune Le valli camune, collocate sulla destra orografica del fiume Oglio, presentano una morfologia di spiccata origine glaciale con profilo trasversale a U e versanti asimmetrici: la Valle di Viso, la Valle delle Messi e la Val Canè si snodano per circa 5 chilometri, solo la Val Grande ha uno sviluppo maggiore con i suoi 12 chilometri. Le valli non presentano insediamenti permanenti, ma i fondivalle, caratterizzati spesso da ampie spianate, originatesi dal riempimento di antichi bacini lacustri, ospitano spesso sedi temporanee. Alle quote maggiori sono presenti numerosi circhi glaciali che spesso accolgono laghetti alpini come i Laghi Seroti in Val Bighera e il Lago Nero in Valle delle Messi. Val de la Mare, Val del Monte e Val di Peio La Val di Peio ha origine dalla confluenza della Val del Monte e della Val de La Mare; alla testata della Val de la Mare e sul versante occidentale sono presenti vasti ghiacciai e vedrette da cui emerge una cresta discontinua con cime spesso superiori ai 3.000 m. La Val de la Mare è piuttosto stretta, con versanti ripidi e asimmetrici che hanno condizionato la distribuzione degli insediamenti. La Val del Monte è, dal punto di vista morfologico, varia e asimmetrica per le diverse formazioni e intercalazioni presenti e per l’esposizione. La sua morfologia e l’esposizione sfavorevoli sono la causa degli scarsi insediamenti. La Val di Peio si presenta invece più aperta, con un fondovalle ricoperto da detriti morenici e numerosi conoidi che hanno favorito l’insediamento dell’uomo. Essa deriva dalla cattura regressiva del torrente che scorre in Val del Monte ed è stata successivamente modellata da processi glaciali e fluviali. Val di Rabbi La valle è evidentemente modellata dai processi glaciali, la testata è occupata da un grande circo e la completa mancanza di ghiacciai, ad eccezione della piccola Vedretta Sternai, è dovuta

a intervalli stabiliti dalla dimensione della cella. Il modo più comune di generare un DEM è anche quello meno accurato basato sulla digitalizzazione di curve di livello da una carta topografica e sulla successiva interpolazione; l’accuratezza può essere aumentata dall’aggiunta di punti quotati e linee di drenaggio. Un TIN può essere derivato da punti e linee che descrivono la superficie topografica, la cui densità deve variare in funzione della complessità topografica oppure da curve di livello digitali da cui vengono campionati i punti per generare il TIN. La qualità di un DEM e dei suoi derivati dipende essenzialmente dalla qualità dei dati di input, più che dal tipo di struttura dati utilizzata e dall’algoritmo di interpolazione. Da un DEM, indipendentemente dalla struttura dati, possono essere generate, attraverso l’applicazione di filtri, carte che descrivono la pendenza, l’esposizione e l’ombreggiatura.

alla netta esposizione a sud. Nella parte alta sono presenti diverse cascate che evidenziano i gradini che interrompono la doccia e il fondovalle. La linea di cresta che fa da spartiacque fra la Val d’Ultimo e la Val di Bresimo non è sempre facilmente individuabile perché le originarie forme glaciali risultano spesso smantellate dalla successiva erosione. La valle è stretta e sulla distribuzione degli insediamenti ha agito prevalentemente l’esposizione: si osservano numerose sedi sul versante sinistro, esposto a solatio, mentre pochi sono quelli sul versante rovescio. Sulla spalla si notano molte sedi temporanee, evidenza dell’intensa attività pastorale. Val d’Ultimo Valle molto lunga, precorsa dal Rio Valsura: solo il primo tratto, fino all’abitato di S. Gertrude, rientra nel Parco. La linea di cresta, non sempre netta perché smantellata, ospita vedrette di piccole dimensioni. La valle nel primo tratto si presenta asimmetrica per le diverse formazioni presenti e per l’esposizione. I centri abitati si concentrano nel fondovalle e nelle vicinanze e sono nettamente condizionati dall’esposizione. Val Martello Si sviluppa per 27 chilometri in direzione sud-ovest nord-est ed è percorsa dal Rio Plima, originato da numerosi torrenti glaciali e sbarrato a formare il bacino di Gioveretto. La testata della valle è occupata da numerose vedrette e la cresta comprende diverse cime sopra i 3.000 m, i circhi sono numerosi e racchiudono vallette e valloni glaciali con piccoli laghi. Gli insediamenti sono distribuiti sui versanti esposti a solatio, anche a quote elevate; nel fondovalle si concentrano nel tratto centrale, dove si apre una conca; numerosi conoidi ospitano case isolate. Valli di Solda e Trafoi Scendono da sud a nord per unirsi all’altezza di Gomagoi; le testate sono occupate da imponenti ghiacciai esposti a nord, mentre la parte più alta del versante destro della Val Solda è interessata da vedrette più piccole. Ampie zone delle due valli sono ricoperte da detriti morenici quaternari e attuali e da detriti di falda. La Valle di Trafoi è più stretta di quella di Solda, che presenta all’altezza delle frazioni di Solda di Dentro e S. Gertrude una vasta piana colmata da alluvioni quaternarie. Per la morfologia e l’esposizione l’insediamento umano è rimasto limitato e solo recentemente il turismo ha dato una spinta in tal senso; i centri abitati sorgono sul fondovalle e sono presenti numerosi masi sparsi, mentre sedi temporanee sono osservabili solo sulla spalla dei versanti di destra che spesso corrisponde al fondo di circhi.


Ripartizione della superficie del Parco per classi altitudinali 25000

Classi altitudinali (metri) meno di 500 500 - 1000 1000 - 1500 1500 - 2000 2000 - 2500 2500 - 3000 3000 - 3500 pi첫 di 3500

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Parco Nazionale dello Stelvio

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Ripartizione della superficie del Parco per classe di pendenza 12000 Classi di pendenza (gradi) 0 - 0,5 0,5 - 10 10 - 20 20 - 25 25 - 30 30 - 35 35 - 40 40 - 45 pi첫 di 45

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Parco Nazionale dello Stelvio

9. La geologia

V. Mair, 2001

Il territorio del Parco Nazionale dello Stelvio è estremamente interessante dal punto di vista geologico per la varietà delle rocce presenti, i ritrovamenti mineralogici e le evidenze geologiche e geomorfologiche. Schematicamente si possono individuare due formazioni principali che individuano altrettanti settori ben definiti: La porzione nord-occidentale comprendente la zona di Livigno, la Valdidentro, la Valle di Fraele, la cresta di Reit, l’orografica destra della Val Zebrù e, a nord di questa, il massiccio dell’OrtlesCevedale e le alte Valli di Trafoi e di Solda, è costituita da rocce sedimentarie stratificate di origine calcareo-dolomitica (dolomie, calcari dolomitici e calcari marnosi). Tali rocce costituiscono la parte sommitale delle principali cime del Parco. Queste formazioni hanno dato origine a suoli superficiali, generalmente aridi e di scarsa fertilità. L’ampio settore sud-orientale, che occupa circa quattro quinti del Parco, è invece costituito da rocce metamorfiche scistose, prevalentemente filladi quarzifere, paragneiss, gneiss e micascisti. Da queste formazioni si sono sviluppati suoli con buone caratteristiche pedologiche, mediamente profondi, adatti allo sviluppo della vegetazione forestale. Oltre a queste due categorie principali sono presenti in varie zone filoni e intrusioni di età terziaria. In un contesto geotettonico la zona è classificabile all’interno dell’unità austroungarica delle Alpi, a nord della linea insubrica. La zona della Valtellina e della Val di Rezzalo è caratterizzata anche dalla presenza di rocce magmatiche intrusive (formazioni granitiche). Caratteristico è il plutone di Sondalo - S. Antonio Morignone, costituito prevalentemente da gabbri. Formazioni di marmo, intercalate alle rocce metamorfiche, sono presenti localmente nei gruppi del Monte Sobretta e del Monte Confinale e lungo la dorsale che congiunge la Valle di Lasa alla Val Martello, zona da cui viene estratto il noto marmo bianco di Lasa. Le formazioni Da un punto di vista composizionale le metamorfiti presenti all’interno del Parco Nazionale dello Stelvio sono piuttosto omogenee, l’origine è “sedimentogena per derivazione da formazioni flyshoidi non carbonatiche probabilmente da serie

di argilloscisti alternati a grovacche”. In altri casi si tratta di metamorfiti derivanti da magmatiche acide o basiche, oppure da calcari. 1. Formazione a paragneiss-micasciti di Lasa Il litotipo base è costituito da paragneiss e micascisti biotici, per lo più con muscovite e spesso con staurolite e granati, spesso con intercalazioni di quarziti micacee. Numerose intercalazioni di anfiboliti, marmi e ortogneis. 2. Formazione a paragneiss-micasciti di Peio Il litotipo base più diffuso è costituito da un micascisto o un paragneiss a due miche di meso-epizoma con frequenti intercalazioni di quarziti micacee, ortogneiss e rari anfiboliti. Tale formazione interessa la porzione sud-orientale del Parco. Estremamente interessante è la “linea di Peio” che separa questa formazione da quella dei “paragneiss e micascisti di catazona”, descritta più avanti; si tratta di un’importante dislocazione che si estende lungo il versante destro della Val del Monte, attraversa quindi la Val di Peio fino al passo Cèrcen, prosegue in Val di Rabbi per arrivare alla Val d’Ultimo interessando il versante destro della Valle di Montechiesa. Lungo questa linea l’intenso scorrimento ha provocato la formazione di grandi chiazze detritiche di rocce milonitizzate. 3. Formazione filladica del Cevedale È la formazione più diffusa nel territorio del Parco e dal punto di vista stratigrafico è posta sopra le formazioni di Peio e di Lasa. Non appare omogenea dal punto di vista litologico presentando diversi tipi di filladi in associazione a paragneiss minuti e quarziti micacee. Spesso le filladi sono intercalate da ortogneiss, anfiboliti, prasiniti, calcari saccaroidi, pegmatiti ed eccezionalmente da serpentino e gesso. Dal punto di vista mineralogico la formazione è costituita dall’associazione quarzo – muscovite - clorite, spesso in associazione a biotite e componenti minori. 4. Serie metamorfiche minori Si tratta di formazioni che interessano zone limitate del territorio del Parco, la prima serie è rappresentata dalla formazione dei paragneiss e micascisti di catazona che si differenzia dalle precedenti per il più elevato grado di metamorfismo, per la presenza di litotipi particolari come le oliviniti e per una tettonica diversa dalle precedenti, di tipo sin-tettonico “a vortici”. I litotipi principali sono costituiti da paragneiss e micascisti con plagioclasi a due miche molto cristallini, presenti spesso potenti intercalazioni di ortogneiss, minori sono quelle di anfiboliti e limitate quelle di marmi e oliviniti. Interessa un’area limitata

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nell’estrema porzione sud-orientale del Parco. La seconda serie interessa la zona nord-occidentale del Parco, cioè la catena di Cavallaccio: qui si può osservare un’intercalazione meccanica di porzioni sedimentarie permotriassiche e di metamorfiti dovuta all’intensa tettonizzazione. Il litotipo base è rappresentato da micascisti e paragneiss con serie potenti di ortogneiss e anfiboliti e, limitatamente, di marmi. 5. Pegmatiti della Val Martello Si ipotizza che queste intrusioni siano successive al metamorfismo regionale e che si collochino ancora nell’evento orogenico ercinico. Sicuramente sono antecedenti alle intrusioni alpine, come dimostrano i locali attraversamenti di diorite. 6. Serie sedimentarie Anche se interessano una porzione più limitata del territorio, sono di estrema importanza, perché comprendono alcune delle cime più importanti del massiccio Ortles-Cevedale come l’Ortles e il Gran Zebrù e perché sono fondamentali per la comprensione dei processi della tettonica alpina. Non si tratta di serie stratigraficamente complete, ma di sovrapposizioni meccaniche di serie diverse per effetto tettonico. La formazione principale è quella che è stata classificata come appartenente al verrucano, data da insiemi di conglomerati poligenici di scisti anageniticoseritici, di scisti sericitico-quarziferi, scisti filladici neri, arenarie rosse, cataclasiti e miloniti. La formazione è ricoperta in varie zone da dolomie cariate o calcare cavernoso con gessi del trias medio, abbastanza frequenti nella catena del Cavallaccio, alla base dell’Ortles, del Gran Zebrù e della catena Cristallo-Reit. In altre zone, più a ovest, alle dolomie cariate si sostituiscono le dolomie grigie, nerastre o brune. 7. Filoni e piccole intrusioni In tutto il Parco sono presenti piccoli corpi intrusivi dioritici di forma diversa e filoni di porfiriti e porfidi: interessano soprattutto la formazione filladica del Cevedale e in misura minore la formazione di Peio e le serie sedimentarie dell’Ortles–Gran Zebrù, ne sono privi invece la formazione di Lasa e la catena di Cavallaccio. La tettonica La tettonica della regione del Parco è molto complessa ed è stata adeguatamente ricostruita solo nella parte occidentale dove affiorano le serie sedimentarie, le sole che permettono una completa ricostruzione degli eventi tettonici. Solo la tettonica alpina, avendo interessato tutte le formazioni, ad esclusione

delle sole intrusioni terziarie, può essere studiata con dettaglio; la precedente tettonica ercinica invece, avendo interessato solo le formazioni metamorfiche, è di più difficile ricostruzione. Questo è dovuto al fatto che per le serie sedimentarie permo-triassiche si hanno complete conoscenze della stratigrafia che consentono la ricostruzione degli eventi, fatto impossibile per le serie metamorfiche, anche perché tali formazioni hanno subito due successive metamorfosi: quella ercinica prima e quella alpina dopo, che hanno complicato ancora di più il quadro degli eventi. La tettonica delle formazioni metamorfiche appare prevalentemente a pieghe poco strette ad assi sub-orizzontali o poco inclinati; pieghe coricate interessano le intercalazioni dei marmi di Lasa, mentre una tettonica “a vortici” si ritrova nella formazione catazonale del settore sud-orientale del Parco e nella formazione che interessa la catena di Cavallaccio. Nei settori interessati dall’affioramento di serie sedimentarie è stato possibile ricostruire la tettonica con maggior dettaglio: si tratta di sistemi di scaglie, scivolamenti e falde caratterizzate da movimenti sub-orizzontali che hanno portato a sovrapposizioni delle une sulle altre. Sono stati riconosciuti tre sistemi tettonici, tutti appartenenti all’austroalpino superiore che di seguito vengono elencati nell’ordine di sovrapposizione: sistema Scarl - Umbrail, sistema Ortles - Quatervals e sistema di Languard. Sulle suddette formazioni hanno successivamente agito i processi geomorfologici glaciali che, insieme all’erosione normale, hanno contribuito al modellamento delle forme attuali del paesaggio e alla messa in posto di notevoli quantità di detriti. Una vasta coltre di detriti morenici si estende lungo i pendii, specialmente in prossimità della spalla glaciale, le valli più vistosamente interessate a tale proposito sono le valli Cedèc, Valfurva, Solda, Peio, Trafoi e la Val Martello. Sul fondo delle valli si sono accumulati importanti depositi alluvionali e fluvio-glaciali mentre in prossimità delle creste si accumulano abbondati detriti di falda dovuti all’azione crioclastica.


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Parco Nazionale dello Stelvio

10. La geomorfologia

Il territorio del Parco Nazionale dello Stelvio presenta le caratteristiche di un tipico ambiente di montagna che ha subito nel tempo dinamiche riferibili a processi glaciali, di versante e fluviali che, in diversa misura a seconda della zona, hanno modellato il paesaggio producendo le forme che osserviamo oggi. L’ultima glaciazione I ghiacciai, di oggi e del passato, con la loro dinamica sono i principali responsabili del modellamento del paesaggio alpino del Parco. Dopo l’orogenesi terziaria, che ha portato all’innalzamento della catena alpina, i rilievi sono stati modellati a varie riprese dall’azione dei ghiacciai che durante l’era glaciale plio-quaternaria occupavano tutto l’arco alpino. Le variazioni climatiche portarono infatti ad una lunga era glaciale a cavallo tra il Pliocene e l’Olocene in cui si contano circa 13 fasi di avanzata glaciale; circa 20.000 anni fa una gigantesca calotta glaciale, spessa migliaia di metri e centrata sulla penisola scandinava e sulla Scozia, occupava tutto il Nord Europa e i massicci montuosi erano anch’essi ricoperti di ghiacci. La deglaciazione, esauritasi tra 7.000 e 10.000 anni fa, liberò vasti territori, tra cui la maggior parte del territorio alpino, dalla morsa dei ghiacci e il paesaggio modellato dai processi glaciali fu quindi esposto a dinamiche successive legate a processi diversi. Studi climatici basati su tecniche scientifiche e ricerche storiche hanno permesso di definire in modo dettagliato il clima degli ultimi 2.000 anni. Appare così evidente che un’ultima fase di avanzata glaciale, nota come Piccola Età Glaciale, si è avuta tra il 1400 e il 1850, portando le calotte polari e i ghiacciai, nello specifico quelli alpini, alla loro maggiore espansione postglaciale. L’azione dei ghiacciai I ghiacciai sono estese masse di ghiaccio formatesi sulla terraferma che, per azione della gravità, sono (o furono) dotate di movimento; si formano al di sopra del limite delle nevi perenni, quota che varia in funzione della latitudine e delle precipitazioni, ed essendo dotati di movimento possono scendere anche a quote inferiori a tale limite. Sulle Alpi i ghiacciai si presentano nelle forme di ghiacciai vallivi che scorrono fra pareti rocciose sul fondo di valli montane, fortemente influenzati dalla topografia e ghiacciai di circo che, relativamente piccoli, occupano depressioni topografiche e sono privi di lingua.

Altre masse glaciali minori sono rappresentate dai ghiacciai di pendio, ghiacciai di canalone e ghiacciai sospesi. L’azione di modellamento della superficie terrestre da parte dei ghiacciai si esplica attraverso processi di erosione e deposizione che originano svariate forme di ogni dimensione. La capacità erosiva di un ghiacciaio è dovuta al proprio carico di detriti (che possono provenire dalle pareti rocciose circostanti o essere stati “strappati” dal fondo sottostante) e all’azione meccanica e chimica dell’acqua corrente sottoglaciale. I detriti hanno capacità erosiva quando raggiungono il fondo del ghiacciaio dove le acque correnti sottoglaciali producono canali e marmitte, forme simili a quelle dei normali fiumi subaerei. A grande scala le forme di erosione glaciale caratterizzano il paesaggio attraverso valli a U e circhi, cioè nicchie scavate nei fianchi montuosi e occupati, attualmente o in passato, da ghiacciai di circo o parti iniziali di ghiacciai vallivi. Il profilo longitudinale delle valli modellate dai ghiacciai mostra solitamente una pendenza che diminuisce passando dalla testata ripida verso la fronte. I versanti che delimitano i ghiacciai vallivi sono ripidi e diritti per lo scalzamento alla base e la rimozione dei detriti operata dai ghiacciai; l’allargamento delle valli tende a troncare gli speroni e a dar luogo a valli laterali sospese in corrispondenza delle quali i corsi d’acqua generano cascate. Evidenti forme dei processi glaciali sono anche le creste affilate e seghettate che separano i ghiacciai e i picchi isolati, detti horns. A scala inferiore le forme di erosione glaciale sono rappresentate da dossi, come le rocce montonate e le depressioni. Spesso il substrato roccioso eroso presenta strie, scanalature e solchi e le cosiddette intaccature semilunate. I ghiacciai modellano il paesaggio non solo attraverso l’erosione ma anche per deposizione di detriti. Un detrito trasportato e successivamente deposto da un ghiacciaio, con nulla o scarsa selezione dell’acqua, viene detto “till”. I sedimenti glaciali vengono messi in posto attraverso meccanismi diversi e le forme di accumulo che ne derivano vengono dette morene. Le morene mediane sopraglaciali sono formate da detriti che riemergono nella zona di ablazione dopo essere stati inglobati nel ghiacciaio o che sono sempre rimasti in superficie; le morene marginali sono invece forme create per deposizione di till ai margini di un ghiacciaio attivo. Le dimensioni degli accumuli di

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till riflettono il tempo di permanenza di un ghiacciaio nella stessa posizione; alla formazione di tali accumuli contribuiscono anche apporti di versante e detriti basali. Al ritiro di un ghiacciaio si generano morene marginali deposte, sia laterali sia terminali, che producono rispettivamente cordoni e argini morenici. Altre forme hanno origine da processi misti che originano depositi fluviali o lacustri a contatto con depositi glaciali, si parla in tal caso di depositi di contatto glaciale. I depositi di versante Il territorio alpino è interessato non soltanto da depositi glaciali, ma anche dai depositi di versante quaternari di varia natura. Il colluvio è un deposito fine con clasti sparsi, massivo, che interessa la parte più superficiale dei versanti. Deriva da ambienti periglaciali del passato, inoltre in tempi recenti l’azione dell’uomo ha provocato in vari casi la formazione di un colluvio “antropico” dovuto ad intensa pastorizia, agricoltura, incendi o disboscamento. Il detrito di falda costituisce un mantello di detriti di spessore variabile che ricopre il pendio alla base di versanti ripidi e pareti verticali. Il crioclastismo (che può essere associato alla dissoluzione chimica) e la gravità sono i principali responsabili dell’accumulo di tali detriti. In montagna, ai piedi delle pareti questi detriti sono ancora attivi, essendo i processi di gelo -disgelo efficaci. I detriti di falda sono costituiti da frammenti grossolani a spigoli vivi e non sono gradati, ma al più presentano una concentrazione verso il basso dei blocchi più voluminosi. Se i detriti formano una fascia continua alla base della parete si parla di falda detritica, se invece si depositano allo sbocco di un canalone si parla di cono detritico. I grèzes litèes, ossia falde detritiche stratificate, sono un tipo particolare di deposito di versante particolarmente frequente nelle Alpi, ma anche negli Appennini. Sono costituiti da clasti a spigoli vivi mescolati ad elementi fini e si presentano come successioni ordinate di letti fini, detti letti grassi e letti grossolani, o letti magri. La maggior parte di questi depositi si osserva su substrati calcarei; secondo il modello più accreditato la formazione del materiale avviene per crioclastismo, mentre la frazione fine proviene da apporti eolici e paleosuoli su versante. Nelle Alpi i grèzes litèes sono situati talora al piede dei versanti, ma più spesso rivestono interamente i pendii meno ripidi oppure riempiono il fondo concavo di vallette e valloni.

L’azione fluviale Nelle valli il paesaggio è modellato dalle dinamiche fluviali sia attraverso processi erosivi sia deposizionali; l’erosione delle rocce compatte interessa per lo più i tratti montani di un corso d’acqua ed è il risultato dell’abrasione operata dai granuli di sabbia e dai ciottoli trasportati che producono spesso cavità dette marmitte. Altri fattori che concorrono all’erosione fluviale sono la soluzione e la cavitazione. A grande scala l’erosione fluviale di rocce compatte genera spesso valli a ripidi versanti (canyon, gole, forre), l’attività erosiva può essere accentuata da un abbassamento del livello del corpo idrico in cui sfocia il corso d’acqua (lago o mare), detto livello di base, dovuto a cambiamenti climatici. I depositi fluviali generano la piana alluvionale; essa è sede di importanti falde acquifere e pertanto riveste grande importanza economica. Laddove un corso d’acqua di una valle ripida laterale si immette in un valle più ampia e pianeggiante i detriti in carico vengono depositati per diminuzione della velocità della corrente e ne deriva l’importante forma del cono (o conoide) di deiezione (o alluvionale). I coni delle grandi vallate alpine sono spesso sede di insediamenti umani e di colture. Un’importante forma legata ai processi di erosione fluviale sui detriti è rappresentata dai terrazzi fluviali, superfici pianeggianti delimitate da scarpate; il processo può essere legato a variazioni climatiche che diminuiscono la produzione di detriti oppure all’aumento della portata dei fiumi. I dissesti idrogeologici In ambiente alpino il territorio è spesso interessato da fenomeni di dissesto idrogeologico che possono alterare completamente il paesaggio di un tratto di valle. In senso generale si possono considerare i dissesti idrogeologici come rotture di equilibri che determinano situazioni di instabilità che riguardano tanto il suolo che il sottosuolo e nelle quali l’acqua è diretta parte in causa o ha quasi sempre un ruolo preponderante, pur essendo coinvolti altri agenti. Quando si parla di dissesti idrogeologici ci si riferisce a inondazioni, frane, colate detritiche, valanghe e erosione superficiale, in molti casi l’ uomo con la sua attività può predisporre o determinare tali eventi.


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I Laghi del Parco Nazionale dello Stelvio

Parco Nazionale dello Stelvio

50 42

40 Origine naturale Origine artificiale Origine ignota

Settore

11. La risorsa idrologica

I ghiacciai del Parco Nazionale dello Stelvio Media Media N. Sup. Volume tot. quote max quote min ghiacciai (ha) (m3) (m.s.l.m.) (m.s.l.m.)

Volume tot. equiv. acqua (m3)

Lombardo

66

3.221

2.897

3.600

1.383.391.707

1.258.886.456

Altoatesino

57

3.590

2.536

4.761

1.476.905.559

1.343.984.061

Trentino

26

3.530

2.650

2.650

466.456.371

424.475.296

Il Parco Nazionale dello Stelvio è sede di una fitta rete di torrenti e sono numerosi i laghi alpini, moltissimi dei quali si trovano ancora in condizioni di elevata naturalità. Questa ricchezza di acque è importante dal punto di vista naturalistico per la peculiarità delle biocenosi che tali ambienti estremi d’alta quota ospitano; essa costituisce inoltre una risorsa economica non trascurabile per l’indotto legato al turismo e alla pesca sportiva oltre che, nel caso dei bacini artificiali, per la produzione di energia elettrica. Il reticolo idrografico del Parco dello Stelvio può essere suddiviso in 5 bacini principali: bacino del Fiume Adda, bacino del Torrente Spöl, bacino del Fiume Oglio, bacino del Fiume Noce e bacino del Fiume Adige. Bacino dell’Adda L’Adda scorre lungo tutta la Valtellina e le sue sorgenti sono comprese nel territorio del Parco dello Stelvio (Laghi Alpisella, 2.237 m). Nel suo tratto iniziale si presenta a carattere torrentizio e il regime idrologico è tipicamente alpino. Numerose derivazioni a scopo idroelettrico hanno ormai compromesso il suo regime idraulico e l’alveo si presenta spesso arginato e canalizzato. I corsi d’acqua tributari dell’Adda e appartenenti almeno in parte al territorio del Parco sono il torrente Frodolfo, tipico torrente alpino che nasce dai ghiacciai dell’Ortles-Cevedale, il torrente Braulio, che scende dal Passo dello Stelvio, e il torrente Rezzalasco, inserito nel territorio del Parco solo dopo l’ampliamento del 1977. Appartengono a questo bacino le acque che alimentano le stazioni termali di Bormio e Valdidentro. Numerosi sono i laghi alpini morenici: Lago Bianco, Lago della Manzina, Lago Nero di Trela, Lago delle Scale, Lago del Confinale, Lago delle Rosole e Laghetti d’Alpisella. Di fondamentale importanza sono i grandi bacini artificiali di San Giacomo e di Cancano, in Valdidentro, e quello di Livigno, realizzati a partire dagli anni Trenta: erano preesistenti al momento dell’istituzione del Parco e sono ormai una componente consolidata del paesaggio. La loro presenza contribuisce in modo significativo a determinare il quadro ambientale, ecologico e antropico. Bacino dello Spöl Il Torrente Spöl appartiene al bacino idrografico del Danubio e le sue acque sfociano nel Mar Nero. Le acque del Torrente Spöl, incontaminate nei primi 3 Km, sono interessate, a monte del Lago di Livigno, da derivazioni che ne alterano la portata

e dall’apporto di inquinanti. Oltre il Passo di Fraele nascono le acque del Gallo, che si buttano nel ramo destro del bacino di Livigno. Bacino dell’Oglio L’Oglio ha origine dalla confluenza del Torrente Frigidolfo e del Torrente Arcanello che scorrono parzialmente nel territorio del Parco. Il fiume ha un regime idrologico tipicamente alpino, ma la sua portata risulta alterata dalle numerose derivazioni a scopo idroelettrico presenti lungo il suo percorso - esterne tuttavia al perimetro dell’area protetta - che hanno ripercussioni anche sulle caratteristiche chimico-fisiche delle acque. Le sponde del fiume lungo il suo percorso in Valcamonica si presentano in parte naturali e in parte regimate. Oltre ai già menzionati torrenti Frigidolfo e Arcanello, che scorrono rispettivamente nella Valle delle Messi e in Val di Viso, i corsi d’acqua del bacino che scendono almeno parzialmente all’interno dei confini del Parco sono il Rio Fumeclo in Val Canè e il Rio Val Grande nell’omonima valle. Tutti questi corsi d’acqua sono di origine sorgiva, presentano un regime naturale condizionato dalle precipitazioni meteoriche e habitat naturali senza interventi su rive e in alveo, a esclusione di pochi tratti rinforzati o con briglie. Compresi nel bacino del Fiume Oglio ci sono numerosi laghi alpini fra cui gli 8 laghetti dell’altopiano di Ercavallo e i 13 Laghi Seroti colonizzati in parte da una rara vegetazione palustre che offre a sua volta rifugio ad una variegata microfauna di insetti, anfibi, rettili e pesci. Bacino del Noce Il Torrente Noce ha origine dalla confluenza del Torrente Noce Bianco della Val de la Mare con il Torrente Noce della Val del Monte e si getta nell’Adige dopo un percorso di 67 Km. La zona di interesse per il Parco dello Stelvio corrisponde alle Valli di Peio e Rabbi. La Val di Peio sfrutta abbondantemente le acque del Torrente Noce a scopi idroelettrici sia in Val del Monte, con il bacino artificiale di Pian Palù, sia in Val de la Mare dove si trova il bacino del Careser. In Val di Rabbi scorrono, in parte all’interno del Parco, il torrente Rabbies e il torrente Ragaiolo. Le acque delle due valli non rappresentano unicamente una risorsa economica legata alla produzione idroelettrica. Le acque termali di Peio e Rabbi, le cui proprietà terapeutiche sono conosciute sin dal XVII secolo, richiamano infatti ogni anno migliaia di turisti. Numerosi i laghi alpini presenti alle alte quote in depressioni morfologiche o conche glaciali, fra i quali il Lago di Covel, delle

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n. laghi

30

20

16 12

10 3

0

Marmotte, il Lago Lungo, il Lago Nero, i Laghi di Sternai, il Lago Corvo e il Lago del Soprasasso. Bacino dell’Adige L’Adige nasce presso il Passo Resia, al confine con l’Austria, e scorre poi lungo tutta la Val Venosta dove riceve le acque di numerosi torrenti di origine glaciale a regime alpino compresi almeno in parte nel territorio del Parco, fra cui il Torrente Solda, il Rio Plima e il Torrente Valsura. Il Torrente Solda, che scende lungo la Valle di Trafoi, viene influenzato fortemente dai ghiacciai, scorre in un territorio poco sfruttato dall’agricoltura. E’ interessato da derivazioni elettriche, le cui principali si trovano a monte di Prato allo Stelvio. Notevole è lo sfruttamento delle acque per fini idroelettrici nella Val Martello, con il bacino artificiale di Gioveretto, e in Val d’Ultimo, dove sono presenti laghi artificiali, fra cui il Lago di Fontana Bianca e il Lago Verde, che alimentano cinque centrali idroelettriche. La Val Monastero è percorsa dal Rio Ram, che nasce nel tratto svizzero della valle e si riversa nell’Adige nei pressi di Glorenza. Numerosi sono i laghi naturali d’alta quota, fra cui i Laghetti di Flim, il Lago Verde, il Lago Giallo, il Lago di Covelano, il Lago Nero, il Lago d’Oro. La conoscenza dei laghi alpini Si definiscono laghi alpini d’alta quota quegli ambienti che si trovano al di sopra del limite altitudinale della vegetazione arborea. In generale, le caratteristiche ecologiche che contraddistinguono questi laghi da quelli di bassa quota sono: la presenza di copertura ghiacciata per 6-8 mesi l’anno, superfici ridotte, comunità biologiche semplificate, caratterizzate da brevi stagioni di crescita, e basso livello di nutrienti, imputabili principalmente alle limitate dimensioni del bacino imbrifero e alla scarsa influenza antropica. I laghi alpini possono essere suddivisi in tre tipologie differenti: • laghi alpini naturali, quando la loro esistenza si deve a fenomeni naturali come l’escavazione glaciale. • laghi alpini artificiali, nati ex-novo in seguito alla costruzione di una diga. • laghi alpini naturali ampliati, quando un preesistente lago naturale è stato artificialmente ingrandito con la costruzione di una diga. All’interno del Parco dello Stelvio sono stati identificati oltre 90 laghi; tali corpi idrici sono da considerarsi tutti laghi alpini

5

Altoatesino

11

3

2

Lombardo Settore

Trentino

1

in quanto sono localizzati ad altitudini superiori ai 1.800 m., raggiungendo anche i 3.000 m quota. Dal punto di vista della naturalità della loro origine, non per tutti i laghi individuati all’interno del Parco dello Stelvio è stato possibile definirne lo stato; si tratta per lo più di laghi di piccole dimensioni, per la maggior parte dei quali non sono mai stati effettuati studi di caratterizzazione limnologica di base. Sono invece 8 i grandi bacini artificiali creati a fini idroelettrici e presenti all’interno del Parco. I ghiacciai I ghiacciai del gruppo Ortles-Cevedale caratterizzano notevolmente il territorio del Parco e sono un’enorme riserva d’acqua: una risorsa di estrema importanza sia dal punto di vista quantitativo sia qualitativo. Nella stagione di ablazione i ghiacciai alimentano in maniera preponderante e talvolta esclusiva sorgenti, torrenti e piccoli laghi contribuendo significativamente al bilancio idrico locale; inoltre l’apporto idrico derivante dalle masse glaciali si avverte anche in pianura e nei periodi estivi risulta particolarmente significativo perché garantisce apporti di falda e portate minime fluviali. Le acque di fusione glaciale rappresentano una risorsa vitale per l’economia di molte aree del Parco, come quella dell’Alta Valtellina e ancor più quella della Val Venosta, che sono tra le regioni più secche dell’arco alpino. Le acque di fusione glaciale dello Stelvio sono state sfruttate per fini idroelettrici già a partire dall’inizio del XX secolo e oggi nei territori del Parco quasi tutti i ghiacciai alimentano le centrali idroelettriche attraverso i grandi laghi artificiali. Con l’esaurirsi della lunga fase di espansione nota come Piccola Età Glaciale in tutto il territorio del Parco la tendenza climatica sfavorevole ha portato ad una forte riduzione dei ghiacciai negli ultimi 150 anni. In questo periodo si sono intervallate anche fasi positive, la più importante tra la metà degli anni ’60 e la metà degli anni ’80, ma il trend generale rileva una contrazione areale dei ghiacciai, una perdita di massa e una risalita delle quote minime. Nel Parco, nonostante questa tendenza negativa, il patrimonio glaciale resta imponente, con circa 150 apparati glaciali di piccole e grandi dimensioni per una estensione totale superiore a 10.000 ettari.


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Parco Nazionale dello Stelvio

12. La vegetazione

La vegetazione è di fondamentale importanza per la struttura e la funzionalità degli ecosistemi, innanzitutto perché a livello energetico le piante rappresentano i produttori primari alla base delle reti alimentari, ma anche per numerose altre funzioni che esse ricoprono. La struttura della vegetazione crea microambienti che costituiscono rifugio e nutrimento per la fauna e sui versanti riveste una funzione di protezione idrogeologica e dal rischio di valanghe. A livello pedologico la vegetazione costituisce uno dei fattori pedogenetici in quanto la biomassa prodotta fornisce al suolo gli elementi organici necessari alla sua formazione e consente la produzione di humus. La vegetazione, con particolare riferimento al bosco, è importante anche dal punto di vista economico, fornendo prodotti legnosi di valore elevato, e da quello socio-culturale, in quanto caratterizza il paesaggio di un territorio ed assolve ad una funzione turisticoricreativa. I piani altitudinali I piani altitudinali del Parco Nazionale dello Stelvio sono compresi tra il punto più basso a quota 720 m, nei pressi di Covelano, lungo il fondovalle della Val Venosta, e le vette del gruppo Ortles-Cevedale. Si possono individuare i seguenti piani altitudinali: il piano basale (o collinare), il piano montano, il piano subalpino e il piano alpino. Il piano basale interessa solo i versanti meglio esposti delle valli marginali del gruppo Ortles-Cevedale (Val di Sole, Val Venosta e parte della Valtellina nei pressi di Sondalo), il territorio del Parco ne è interessato solo per un piccolo frammento in Val Martello con una boscaglia termofila a orniello e roverella. Il piano montano si sviluppa dal fondovalle fino a 1.350-1.400 m e nel territorio del Parco dello Stelvio comprende solo l’orizzonte superiore della pecceta montana e l’abetina (ormai frammentaria), mentre manca completamente l’orizzonte inferiore con la formazione vegetale della faggeta. Il piano subalpino è costituito da un orizzonte superiore, rappresentato da arbusti contorti e alberi isolati, e da un orizzonte subalpino inferiore rappresentato dalla pecceta subalpina, che si sviluppa dai 1.350-1.400 m fino ai 2.100 m del versante trentino e ai 2.250 m del versante venostano. Il piano alpino si sviluppa oltre i 2.300-2.400 m e comprende un orizzonte nivale, o a tallofite, e la vegetazione pioniera, un orizzonte alto-alpino con i pascoli alti del Curvuletum e un orizzonte alpino con i pascoli del Festucetum halleri.

Il limite superiore della foresta corrisponde al limite dell’orizzonte subalpino inferiore con la pecceta subalpina e, come già detto, nel territorio del Parco varia tra 2.100 e 2.250 m. Altri limiti altimetrici fondamentali sono quello degli alberi isolati (cembro e larice a quote più elevate rispetto all’abete rosso) e il limite degli arbusti contorti che segna lo spartiacque tra la vegetazione arbustiva (nanofanerofite e camefite) e la vegetazione erbacea, costituita prevalentemente da emicriptofite. Tale limite segna il passaggio dall’orizzonte subalpino degli arbusti contorti (rododendro e ginepro) a quello alpino del pascolo. Il limite superiore dei pascoli alpini è delimitato dall’associazione del Curvuletum e del Seslerio-Semperviretum. Sopra tale limite si possono ancora avere lembi di pascolo, ma più spesso si passa ad una vegetazione aperta a tallofite (muschi e licheni) e fanerogame pioniere a cuscinetto. Il limite climatico delle nevi nel gruppo Ortles-Cevedale è situato a quota 3.060 m. Il paesaggio vegetale Il paesaggio vegetale dipende da fattori di tipo climatico, dal suolo e dall’azione dell’uomo. Si possono distinguere sinteticamente 4 grandi categorie: i paesaggi antropici, la foresta, i pascoli alpini e il deserto nivale e i ghiacciai. I paesaggi antropici corrispondono alle zone di fondovalle, dove da secoli è stato effettuato il disboscamento e dove trovano posto le sedi delle attività umane; si trova al di sotto del limite inferiore (artificiale) del bosco e si compone di prati falciabili ed eventualmente frutteti, campi con colture e piante e arbusti infestanti, aree dei villaggi con vegetazione nitrofila e siepi a Berberis e rose e macchie a nocciolo e pioppo tremolo. Fanno parte dei paesaggi antropici anche le radure a mezza costa in corrispondenza dei masi e delle baite. Tali aree hanno valore ai fini del mantenimento del paesaggio tipico di fondovalle e garantiscono la conservazione della biodiversità legata alle quote inferiori e alla tipica struttura del paesaggio agricolo. La fascia della foresta inizia a ridosso dei paesaggi antropici per spingersi fino al limite superiore del bosco e comprende le seguenti associazioni: pineta xerica, pecceta montana, abetina, pecceta subalpina, larici-cembreta, mugheta e lariceto puro e secondario di origini antropiche. La vasta fascia dei pascoli alpini si estende al di sopra della fascia della foresta. Sinteticamente si possono distinguere pascoli su substrati silicatici (curvuleti e festuceti) e pascoli su

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substrati cartonatici (seslerieti e varieti), che si sviluppano solo nel settore nord-occidentale del Parco. Le fasce della foresta e del pascolo hanno un elevato valore ai fini della conservazione della tipica biodiversità degli orizzonti alpini. Nella fascia superiore del deserto nivale e dei ghiacciai la vegetazione ha ormai quasi totalmente perso significato nel paesaggio vegetale, essendo presente solo a chiazze con qualche ciuffo di erba, fanerogame e muschi e licheni sulle rocce; questa fascia ha grande interesse ai fini della conservazione naturalistica e scarso valore ai fini della conservazione biologica. Gli habitat prioritari e di interesse comunitario La direttiva “Habitat” ha individuato 164 tipologie di habitat naturali, definiti “habitat di interesse comunitario”, la cui conservazione richiede la designazione di specifiche aree. Tra questi sono inoltre identificati gli “habitat prioritari” definiti come “tipi di habitat naturali che rischiano di scomparire”. Nel Parco dello Stelvio sono presenti 42 habitat riconosciuti dalla Direttiva, di cui 9 sono considerati habitat prioritari; di questi 3 sono altamente localizzati e 2 sono da ritenere a immediato rischio di scomparsa. Questi ultimi 2 sono rappresentati dai boschi alluvionali della Val Venosta, ultimi residui di vegetazione spontanea della piana alluvionale, e dai prati aridi di tipo continentale, sui bassi versanti dei monti venostani, che ospitano una flora costituita da elementi molto rari. Altri habitat prioritari sono rappresentati dagli arbusteti di pino mugo, diffusi nella parte calcarea del Parco, e dai nardeti, tipo di pascolo secondario caratteristico nell’orizzonte subalpino e nella parte inferiore dell’orizzonte alpino e presenti in un’ampia parte del territorio del Parco. Complessivamente, la maggior parte delle superfici vegetali presenti è coperta da 18 principali tipologie di habitat di interesse comunitario. Le pressioni sulla vegetazione La vegetazione del Parco è esposta a diverse pressioni, soprattutto da parte dell’uomo. A partire da 6.000 anni fa il limite superiore del bosco è stato abbassato artificialmente per le necessità antropiche di ottenere spazi più ampi da dedicare al pascolo; dopo la seconda guerra mondiale si è assistito invece ad una progressiva tendenza alla risalita naturale delle foreste, collegata ad una diminuzione della pressione del pascolo e ai cambiamenti climatici. Ancora oggi però gli

ecosistemi boschivi, che in origine costituivano una fascia ininterrotta sui versanti montani, si presentano frammentati per il disboscamento effettuato in passato per ricavare prati e pascoli. Gli sport invernali rappresentano una delle attività a maggior impatto sulla vegetazione, soprattutto sulle piste da discesa che si presentano denudate e possono ospitare specie infestanti nitrofile; in alcuni casi si osservano inerbimenti artificiali con graminacee estranee al contesto floristico locale. L’apertura di nuove piste richiede spesso pesanti disboscamenti, come è avvenuto recentemente a S. Caterina Valfurva, in vista dei mondiali di sci del 2005. Anche il pascolo, effettuato come attività tradizionale all’interno del Parco, esercita una pressione sulla vegetazione in funzione delle quote raggiunte dal bestiame domestico; pure gli ungulati selvatici costituiscono un fattore di pressione sia nel piano alpino, durante l’estate, sia nei boschi. Nonostante ciò, un’attività di pascolo opportunamente pianificata nella quantità, durata e localizzazione, ha effetti benefici sulla biodiversità vegetale e floristica. Il territorio del Parco non è particolarmente sensibile al pericolo di incendio, perché durante la stagione di maggior rischio, che coincide sulle Alpi con l’inverno, l’innevamento costituisce una buona protezione naturale. Il pericolo aumenta invece in corrispondenza di inverni poco nevosi. In letteratura esistono segnalazioni di incendi in Val Venosta. Un caso studiato all’interno di un progetto LIFE è quello dell’incendio che nel 1983 interessò la mugheta delle pendici del Monte Reit nel Bormiese e dove il processo di rinnovamento della vegetazione è particolarmente lento per il substrato ghiaioso e ciottoloso con suolo sottile e per il fatto che le conifere si riproducono esclusivamente per seme e non sono in grado di emettere polloni.


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Parco Nazionale dello Stelvio

13. Il bosco Nel Parco la copertura forestale si estende nella fascia altitudinale più bassa dove occupa circa 35.000 ettari pari al 26% della superficie complessiva dell’area protetta. La composizione e la struttura dei boschi sono condizionate dalle caratteristiche topografiche, geologiche e climatiche del territorio. Le formazioni di abete rosso sono le più diffuse nel territorio del Parco. Con uno sviluppo di circa 17.000 ettari rivestono circa la metà della superficie boscata, rappresentando uno stadio di climax del piano montano e subalpino. La pecceta ha un importante valore economico legato alla produzione di legname nelle aree più fertili, mentre sui pendii più ripidi è predominante la funzione protettiva. Nel piano montano l’abete rosso si trova in associazione con il pino silvestre, sui suoli xerici delle zone più aride e di bassa quota della Val Venosta, e in associazione con l’abete bianco nelle zone a microclima più fresco delle fasce più basse. Nel piano subalpino invece l’abete rosso forma spesso popolamenti misti in associazione con il pino cembro e soprattutto con il larice. I lariceti nel Parco sono presenti anche per l’azione dell’uomo che nel passato ha modificato il bosco per assicurarsi oltre che produzione di legna, anche spazi da destinare al pascolo del bestiame. La rinnovazione di questo tipo di bosco dipende dalle condizioni climatiche: nelle aree più aride il cotico erboso infeltrito inibisce il rinnovamento naturale, mentre nelle zone più umide in condizioni di scarsa pressione del pascolo viene favorito il rinnovamento dell’abete rosso sotto la copertura dei larici. Il rinnovamento del lariceto è spesso ostacolato dalla pressione rappresentata dal brucamento selettivo della fauna ungulata per la buona offerta alimentare rappresentata da questa formazione. Alle quote più alte, nel piano subalpino, i lariceti sono invece espressione naturale del climax vegetazionale e si presentano spesso in associazione con il pino cembro, con sottobosco di rododendro e mirtillo o ginepro. Complessivamente i lariceti si sviluppano su circa 4.000 ettari, che rappresentano l’11% della superficie boscata del Parco. Formazioni pure di pino cembro sono presenti solo localmente mentre più spesso si trovano in associazione con il larice. Tali formazioni svolgono un’importante funzione protettiva contro le valanghe e a difesa del limite superiore del bosco; la rinnovazione si insedia con facilità ed è favorita dalla dispersione del seme da parte della nocciolaia. Complessivamente le laricicembrete si sviluppano su circa 5.500 ettari, che rappresentano il 16% della superficie boscata del Parco. Il pino mugo si insedia sui substrati calcarei dei territori nord-orientali del Parco (su circa 4.600 ettari), in associazione all’erica nelle zone più aride e al rododendro in quelle più umide; svolge un’importante funzione protettiva contro l’erosione del suolo ed è scarsamente interessato dalla pressione della fauna anche perché le varietà a portamento prostrato rimangono spesso coperte dalla coltre nevosa. Il pino silvestre riveste scarsa importanza nella copertura forestale del Parco, interessa solo alcune zone a bassa quota

della media Venosta in associazione con latifoglie del piano collinare e, in misura minore, in associazione con l’abete rosso e il larice (circa 700 ha). Alcune interessanti formazioni a pino silvestre si trovano tuttavia nelle aree a substrato calcareo di Boscopiano e su terreni silicatici all’imbocco della Val di Rezzalo nel settore valtellinese. Le associazioni di latifoglie presenti nel Parco sono: • formazioni a ontano verde, presenti nel piano subalpino in zone fresche, umide, in ombra e a lungo innevate; • formazioni di betulla, vegetazione pioniera tipica di aree soggette ad erosione o interessate un tempo da incendi; • formazioni termofile del piano montano, costituite da roverella e orniello; interessano per lo più terreni rocciosi e

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accidentati in zone calde e assolate; • formazioni di nocciolo e pioppo tremolo, interessano il piano montano in zone di pascoli e prati abbandonati; • formazioni igrofile riparali, rappresentate soprattutto da ontano bianco lungo l’alveo dei torrenti e dei fiumi; solo in Val Venosta sono rimasti lembi residui di ontano nero. I boschi di latifoglie presenti nel Parco hanno scarso valore economico in quanto vengono utilizzati solo localmente per la produzione di legna da ardere, il loro valore è da ricollegare prevalentemente al fatto di costituire una risorsa alimentare per la fauna e di aumentare il grado di diversità ecologica delle biocenosi forestali. L’espansione del bosco, di pari passo con la perdita di superficie agricola utilizzata, è un fenomeno che

viene registrato in generale su tutto l’arco alpino. L’utilizzazione dei boschi nel Parco dello Stelvio è proseguito fino ad oggi e l’istituzione dell’area protetta non ne ha sostanzialmente modificato la gestione economica, ormai da tempo basata sui principi della selvicoltura naturalistica che asseconda le tendenze di evoluzione naturale delle foreste favorendo la biodiversità e la ricchezza specifica e strutturale. Il bosco all’interno del Parco è quasi totalmente di proprietà pubblica, con qualche eccezione. In virtù delle migliori condizioni stazionali, il settore altoatesino è quello in cui la produzione di legname riveste la maggiore importanza, con un taglio annuo medio autorizzato pari a 22.556 m3, a fronte dei 5.041 m3 nel settore trentino e dei 3.369 m3 in quello lombardo.


Nel settore altoatesino il bosco rappresenta il 52% della proprietà silvo-pastorale del territorio del Parco, il 24% è di protezione, il 24% di produzione. Il 95% della superficie forestale è assestata ed è gestita da 26 Piani di Assestamento Forestale. I boschi sono quasi interamente di proprietà pubblica. La gestione è delegata ad antiche strutture socio-economiche tutt’ora attive nel governo del territorio, le Associazioni Separate Beni Usi Civici (ASBUC). Nel settore valtellinese i boschi sono quasi interamente

di proprietà comunale e sono gestiti da un consorzio di cui fanno parte i 6 comuni del Parco. Sono poco sfruttati da un punto di vista economico e spesso le segherie locali lavorano legno di provenienza estera. Il bosco rappresenta il 23% della proprietà silvo-pastorale, di questo il 7% è di produzione e il 15% è di protezione; oltre il 90% è assestato. Nel settore camuno il 33% della proprietà silvo-pastorale è rappresentata da boschi, di cui il 17% è costituito da fustaia di produzione e il 16% da fustaia di protezione e boschi cedui. L’86% della superficie boscata è assestata e la sua gestione è affidata ad un consorzio forestale che riunisce i comuni dell’Alta Valle Camonica ad esclusione di Edolo. Nel settore trentino il bosco rappresenta il 50% della proprietà

silvo-pastorale del Parco; si tratta per il 31% di fustaia di produzione, per il 17,5% di fustaia di protezione e per l’1,5% di ceduo. In Valle di Peio i boschi, di proprietà pubblica, sono gestiti da enti autonomi, le Amministrazioni Separate Usi Civici (ASUC). A Rabbi sono invece presenti le Consortele, associazioni di diritto pubblico, istituite fin dai primi insediamenti di popolazione. A loro è affidata le gestione della superficie boscata. Tutta la superficie boscata è assestata, l’economia legata al legno è fiorente: sia a Peio sia a Rabbi esistono segherie e falegnamerie, alcune delle quali lavorano legno locale.

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Parco Nazionale dello Stelvio

14. L’uso del suolo

Il Programma CORINE Varato dal Consiglio delle Comunità Europee nel 1985, il programma CORINE (COoRdination de l’Information sur l’Environnement) è finalizzato allo studio dinamico dello stato dell’ambiente nell’area comunitaria, per orientare le politiche comuni, controllarne gli effetti e proporre correttivi. Secondariamente il programma si pone l’obiettivo di definire e diffondere metodologie e standard comuni per facilitare gli scambi e i contatti internazionali. All’interno del programma CORINE si pone il progetto CORINE -Land Cover, finalizzato al rilevamento e monitoraggio delle caratteristiche del territorio, con particolare attenzione alle esigenze di tutela, che prevede la realizzazione di una cartografia della copertura del suolo a scala 1:100.000. Il progetto è stato avviato nel 1986 con uno studio pilota condotto sul Portogallo che ha permesso di definire le esigenze strumentali e le metodologie. Il progetto CORINE-Land Cover è stato completato nell’ambito dell’Unione Europea e si è esteso anche ad altre nazioni dell’Est europeo recentemente entrate a far parte dell’UE e del bacino del Mediterraneo. L’unità minima cartografabile è stata definita pari a 25 ettari e corrisponde, alla scala prescelta, ad un quadrato di 5 mm di lato o ad un cerchio di 2,8 mm di raggio: questa scelta soddisfa tre esigenze fondamentali di realizzazione in quanto: • garantisce la leggibilità della cartografia prodotta e agevola il processo di fotointerpretazione; • permette di rappresentare gli elementi del territorio essenziali per le esigenze tematiche del progetto; • permette di rispettare le disponibilità finanziarie del progetto.

Schematicamente la produzione della cartografia si è articolata nelle seguenti fasi: • lavori preliminari; • preparazione delle immagini satellitari (di norma Landsat D-TM e Spot-HRV) in falso colore; • fotointerpretazione assistita da calcolatore e validazione dell’interpretazione; apporto di dati ancillari disponibili (cartografia tematica, dati statistici, riprese aeree fotogrammetriche); • digitalizzazione; • validazione della banca dati; La carta numerica della copertura del suolo CORINE costituisce la base di riferimento geografica e tematica del Sistema Informativo CORINE. La realizzazione del progetto CORINE-Land Cover in Italia In Italia la realizzazione della cartografia CORINE si è conclusa nel 1990 per 5 regioni (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Molise, Puglia), mentre nel 1996 è stato completato il progetto per le restanti regioni. Il materiale prodotto viene attualmente distribuito, su richiesta, dalle regioni e province autonome e dal Centro Interregionale e la messa a disposizione è gratuita. La carta di copertura del suolo CORINE rappresenta l’unica cartografia omogenea a scala 1:100.000 che ricopre tutto il territorio nazionale.

La legenda delle mappe è strutturata su 3 livelli. Il primo livello comprende 5 voci che definiscono categorie generali di copertura del pianeta: territori modellati artificialmente, territori agricoli, territori boscati e ambienti semi-naturali, zone umide, corpi idrici. Il secondo livello comprende 15 voci adatte a una rappresentazione a scale di 1:500.000/1.000.000, e il terzo 44 voci più dettagliate, adatte ad una scala di 1:100.000. La legenda è immutabile per garantire l’omogeneità a livello europeo, ma può essere integrata da successivi livelli di approfondimento.

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Parco Nazionale dello Stelvio

15. La biodiversità degli habitat alpini

La regione alpina è caratterizzata da una grande diversità in termini di patrimonio naturale e culturale; allo stesso tempo le Alpi rappresentano una regione biogeografica europea omogenea e sono sottoposte a politiche transnazionali come la Convenzione delle Alpi o la Direttiva Habitat. In questo contesto appare evidente l’importanza dello sviluppo di applicazioni gestionali transfrontaliere basate su dati geografici comparabili e che utilizzino un sistema di riferimento alpino comune. Le aree protette alpine hanno il compito di preservare molti habitat naturali e semi-naturali delle Alpi e rappresentano un porzione consistente della rete Natura 2000. L’adeguata protezione di questi habitat spesso richiede una visione a scala alpina che integri diversi approcci nazionali e locali che si basa sull’utilizzo di basi cartografiche confrontabili. Inoltre l’esigenza di monitorare gli habitat nel tempo rende necessaria la disponibilità di serie temporali confrontabili che possono essere ottenute solo grazie all’impiego di una metodologia riproducibile basata su standard condivisi. In questo contesto si inserisce il progetto Alpine Habitat Diversity – HABITALP, con lo scopo di perseguire gli obiettivi sopra esposti attraverso lo sviluppo di una metodologia comune per l’acquisizione e l’analisi quantitativa di dati relativi all’habitat e al paesaggio, all’interno di aree protette delle Alpi, sulla base di foto aeree infrarosso a falsi colori (Ingl. colour infrared - CIR – images). Il progetto HABITALP è stato finanziato dall’Unione Europea attraverso il Programma Spazio Alpino dell’iniziativa INTERREG III B. Vi hanno preso parte 11 aree protette dell’arco alpino, distribuite in 5 Paesi: Austria (1), Francia (3), Germania (1) e Italia (5) e Svizzera (1). Capofila del progetto è stato il Parco Nazionale di Berchtesgaden e il Parco Nazionale dello Stelvio è stato uno dei partners italiani. Il progetto Habitalp si è sviluppato negli ambiti tematici di seguito descritti. Acquisizione delle foto aeree La foto aeree infrarosso a falsi colori sono ottenute utilizzando un tipo particolare di pellicola che prevede lo spostamento del filtro del giallo al di sopra dei tre strati sensibili al colore e la sostituzione dello strato del blu con uno sensibile all’infrarosso. L’effetto che si ottiene è di aver uno spostamento dei colori risultanti dallo sviluppo della pellicola con colore rosso per le

immagini raccolte dal primo strato, blu per quelle del secondo e verde per il terzo. La risultante così ottenuta è un’immagine detta “infrarosso a falsi colori” in cui la porzione di lunghezza d’onda dell’infrarosso, non visibile all’occhio umano, rende rossa l’immagine per tutti quegli oggetti che la irradiano, come ad esempio la vegetazione. L’uso delle fotografie aeree infrarosso a falso colore è largamente utilizzato nell’ambito dell’individuazione e della localizzazione degli habitat. L’acquisizione delle foto aeree, punto di inizio di tutte le successive attività tecniche, è stata una fase particolarmente ambiziosa e importante del progetto. In territorio alpino non è facile ottenere immagini comparabili per un’area così vasta e alla risoluzione richiesta dal progetto, a causa delle condizioni di

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illuminazione variabile dovuta alle ombre di origine topografica e del periodo vegetativo limitato. La finestra temporale ottimale per le riprese aeree si colloca infatti tra la minima copertura nevosa e la massima copertura vegetazionale. A causa delle avverse condizioni atmosferiche, le riprese aeree sono state eseguite lungo un arco di tempo più lungo del previsto, ma il risultato finale è stato comunque estremamente positivo. Oggi, grazie al progetto, i partners coinvolti hanno a disposizione una base informativa comparabile essenziale per ulteriori indagini ed interventi transnazionali. Nel progetto HABITALP molto importante è stata l’acquisizione di immagini comparabili e per questo sono state utilizzate macchine fotografiche simili (Leica RC 30 o Zeiss RMK TOP 30), lo stesso tipo di pellicola (Kodak IR 2443) e scale simili per le immagini (1:10.000 – 1:17.000).

In Italia i lavori sono stati affidati ad un consorzio diretto dalla AVT ZT GmbH di Imst (A). Complessivamente le foto aeree dell’intero progetto sono 97.100 e coprono una superficie di 173.000 ettari. Metodo di interpretazione Uno degli obiettivi del progetto è stata la messa a punto di una chiave di interpretazione standardizzata delle foto aeree, da applicare alle 11 aree protette (HABITALP Interpretation KeyHIK). La base di partenza era costituita dalla codifica utilizzata nella cartografia dell’uso del suolo, dei biotopi naturali e delle tipologie strutturali dal Parco Nazionale di Berchtesgaden, partendo proprio da fotointepretazione di immagini CIR.


Tale codifica era basata sulla classificazione degli habitat della Germania pubblicata dal German Bundesamt für Naturschutz. Nell’ambito del progetto HABITALP questa codifica è stata integrata in modo da includere tutti gli habitat delle aree alpine coinvolte ed il metodo è stato esteso a scala alpina. Nonostante le grandi difficoltà linguistiche è stata realizzata una chiave di interpretazione plurilingue comune ed una guida per la delimitazione e l’interpretazione delle fotografie aeree di montagna.

e validati in termini di utilità pratica in stretta cooperazione con i partners. Per il trasferimento del know-how è stato sviluppato un software che permette di calcolare indici di paesaggio indipendentemente dalla tipologia di software GIS utilizzato localmente. La grande mole di dati realizzata nell’ambito di HABITALP è stata strutturata all’interno di un database relazionale di pubblico accesso. Le componenti del database sono: • ortofoto;

Fotointerpretazione L’interpretazione delle fotografie aeree è stata eseguita separatamente nelle aree dei singoli partners. Per assicurare l’utilizzo di una metodologia comune i fotointerpreti hanno utilizzato la chiave di interpretazione e la guida per la delimitazione e interpretazione degli habitat sviluppate all’interno del progetto. Sono stati organizzati corsi di formazione che hanno interessato un totale di 30 persone che erano incaricate della fotointerpretazione. Il lavoro cartografico ha previsto l’osservazione stereoscopica dei fotogrammi e la digitalizzazione in un Sistema Informativo Territoriale e ha portato alla produzione di una banca dati geografica con la delimitazione geografica delle aree e la descrizione degli habitat secondo la chiave comune di interpretazione. Grazie a questo lavoro le aree protette coinvolte dispongono di un inventario degli habitat estremamente dettagliato. Per alcuni parchi la fotointerpretazione è stata prevista sull’intero territorio, per altri solo su parte di esso; per il Parco Nazionale dello Stelvio il lavoro di interpretazione ha interessato tre aree diverse poste in ciascuno dei tre settori.

• chiavi di interpretazione; • strati informativi degli habitat classificati; • algoritmi di corrispondenza tra diverse versioni delle chiavi di interpretazione; • tavole di corrispondenza tra le classi HABITALP e le classi NATURA 2000; • modelli digitali del terreno; • metadati. La consultazione pubblica del database è resa possibile attraverso un sistema WebGIS e attraverso servizi di mappa web accessibili attraverso il proprio sistema informativo territoriale. Nel prossimo futuro sarà necessario un forte impegno a livello di gestione delle aree protette, di ricerca e di pubbliche relazioni per valorizzare al massimo i risultati del progetto HABITALP.

Il progetto HABITALP si è articolato inoltre in ulteriori work packages finalizzati a • definire la relazione tra le tipologie di habitat di HABITALP e gli habitat della rete NATURA 2000 per poter cartografare la distribuzione potenziale delle aree NATURA 2000 all’interno delle aree alpine analizzate; • calcolare la diversità degli ecosistemi sulla base di analisi della diversità degli habitat e del paesaggio, mettendo in evidenza le potenzialità di HABITALP. Il primo punto ha portato alla definizione di un database relazionale fra le categorie HABITALP e gli habitat NATURA 2000 e i risultati dimostrano che alle classi HIK corrispondono varie possibili unità NATURA 2000. L’approccio proposto permette di individuare, a partire dai poligoni HABITALP, un numero ridotto di unità NATURA 2000, tuttavia la cartografia degli habitat NATURA 2000 a partire dalle foto aeree non può sostituire quella terrestre. Il metodo può servire però ad individuare delle aree che potrebbero contenere habitat NATURA 2000 per poi svolgere operazioni più efficaci sul terreno. Il secondo si è focalizzato sull’applicazione sperimentale delle metriche di paesaggio. La diversità dei rilievi e degli habitat è stata scelta come parametro per ricavare la diversità paesaggistica. Tutti i passaggi metodologici sono stati discussi

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Parco Nazionale dello Stelvio 79/409 CEE All. I: per le specie elencate nell’allegato I sono previste misure speciali di conservazione per quanto riguarda l’habitat, per garantire la sopravvivenza e la riproduzione di dette specie nella loro area di distribuzione.

Numero di specie per classi di vertebrati osservate nel Parco Nazionale dello Stelvio e inclusione nella direttive comunitarie N. specie Gruppo

16. La fauna

79/409 CEE “Uccelli”

Parco

Settore altoatesino

Settore lombardo

Settore trentino

Pesci

8

5

5

6

Anfibi

5

3

4

Rettili

9

8

Uccelli

178(5) 59

Mammiferi

All. I

All. II

All. III

92/43 CEE “Habitat” All. II

All. IV

All. V

2

2

1

9

7

2

124

172(4)

119(1)

55

57

55

2

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26

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attività di censimento standardizzato su aree campione dedicate ai Galliformi. Per quanto riguarda i Mammiferi, vengono annualmente eseguiti censimenti standardizzati esaustivi di cervo, camoscio e stambecco e vengono raccolte negli appositi database tutte le osservazioni non sistematiche effettuate dagli agenti forestali e dal personale coinvolto nelle indagini di campo. Anche in questo caso si aggiungono studi specifici su specie di particolare rilevanza conservazionistica. La raccolta e sistematizzazione di tutte le informazioni in appositi database geografici ha permesso la produzione di mappe di distribuzione delle varie specie (si vedano le tavole delle pagine successive) e l’aggiornamento delle checklist di presenza delle specie di Vertebrati all’interno dell’area protetta. Attualmente è accertata la presenza di 8 specie di Pesci di cui 2 alloctone di provenienza americana e 3 frutto comunque di immissioni operate dall’uomo. Nel Parco sono attualmente verificate presenti 5 specie di Anfibi e 9 di Rettili. Il loro numero è relativamente basso in relazione alle caratteristiche tipicamente alpine e alto-alpine dell’area protetta che ne limita l’idoneità per le specie a sangue freddo. Non è un caso che il numero maggiore di specie sia presente nel settore lombardo del Parco che dispone delle quote più basse e poste nei settori meridionali dell’area protetta. Per quanto riguarda l’ornitofauna è stata verificata la presenza di 178 specie di Uccelli (per cinque di esse la presenza è probabile ma non ancora accertata con sicurezza). Le specie di Mammiferi accertate sono 59 (comprese quelle la cui presenza deve ancora considerarsi occasionale come l’orso o la lince). Di queste, 20 appartengono all’ordine dei Chirotteri che assumono particolare valore conservazionistico anche ai sensi della Direttiva europea Habitat. In realtà al momento le conoscenze sui Chirotteri sono molto scarse e le informazioni relative alla checklist sono state completate in base a considerazioni di carattere biogeografico ed ecologico. La fauna invertebrata Osservazioni analitiche risultanti dalle ricerche del 1969 hanno evidenziato per quanto riguarda la fauna epigea la presenza di specie la cui distribuzione gravita sull’Europa centrale, nelle aree prossime alle attività umane la fauna è risultata rilevante ma spesso banalizzata mentre la struttura faunistica è ancora ben equilibrata lontano dai centri abitati. L’importanza del Parco

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79/409 CEE All. III: per le specie elencate sono ammesse o possono essere ammesse negli Stati membri: la vendita, il trasporto per la vendita, la detenzione per la vendita, l’offerta in vendita degli uccelli vivi e degli uccelli morti e di qualsiasi arte o prodotto ottenuto dall‘uccello, facilmente riconoscibili. Gli uccelli però devono essere stati in modo lecito uccisi o catturati o altrimenti legittimamente acquistati. 92/43 CEE All. II: specie animali e vegetali di interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione. 92/43 CEE All. IV: specie animali e vegetali di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa.

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Il numero tra parentesi indica il numero di specie verosimilmenti di cui non si dispongono segnalazioni

Le conoscenze sulla fauna e sulla biodiversità del Parco non sono omogenee per tutte le specie presenti. L’ultimo studio sistematico e con indagini di campo risale al 1969 (Cagnolaro et al., 1969). Un successivo buon aggiornamento della situazione risale al 2003, con il Rapporto sullo Stato dell’Ambiente del Parco (Pirovano C. et al., 2003). Successivamente il Parco ha iniziato un’attività di raccolta e sistematizzazione di tutti i rilievi faunistici effettuati nell’ultimo decennio ed ha promosso e direttamente realizzato rilievi specifici su alcuni raggruppamenti faunistici. Per gli Invertebrati esiste il già citato studio condotto nel 1969 (Ranzi in Cagnolaro et al., 1969). Successivamente non è stato più prodotto alcun monitoraggio sistematico di vasta scala. Esistono tuttavia due lavori specifici decisamente importanti. Il primo è relativo alla caratterizzazione ecologica del bacino di Val de la Mare (Peio, TN), in cui si da particolare rilievo anche ai monitoraggi sistematici della fauna invertebrata acquatica (Lencioni V. & B. Maiolini, 2002). Il secondo è un importante lavoro di cattura e monitoraggio degli Insetti ditteri effettuato nel settore altoatesino e lombardo del Parco (Ziegler J. (Ed), 2008). Un ulteriore lavoro di monitoraggio dell’Entomofauna è stato recentemente avviato nel settore trentino del Parco, al fine di valutare le variazioni di biodiversità in relazione agli habitat, alla presenza dell’uomo e della fauna vertebrata (Lencioni & Gobbi, 2009). Per i diversi gruppi di Vertebrati la situazione conoscitiva non è al momento omogenea. Per quanto riguarda l’erpetofauna è disponibile uno studio sulla presenza e distribuzione di Anfibi e Rettili nel Parco realizzato da Pozzi (1980). Più recentemente è stata realizzata una nuova indagine conoscitiva, con particolare riferimento alle zone umide del settore lombardo del Parco (Gentili et al., 2007) e dal 2005 nell’apposito database del Parco confluiscono tutti i dati delle osservazioni che vengono effettuate. Per l’ornitofauna, ricerche mirate effettuate mediante transetti sistematici e punti d’ascolto vengono effettuate a partire dal 2006 con l’obiettivo di coprire nel tempo tutti i settori dell’area protetta. A questi si aggiungono le informazioni pregresse e tutti i dati raccolti nel tempo dagli agenti forestali (dal 1985 al 1993 come Corpo Forestale dello Stato e, successivamente, dal CTA di Bormio e dai Corpi Forestali delle Province di Trento e Bolzano). Recentemente sono stati avviati anche studi specifici su specie di particolare rilevanza citati successivamente e

79/409 CEE All. II: le specie elencate possono essere oggetto di atti di caccia nel quadro della legislazione nazionale in funzione del loro livello di popolazione, della distribuzione geografica e del tasso di riproduzione in tutta la Comunità. Gli Stati membri faranno in modo che la caccia di queste specie non pregiudichi le azioni di conservazione intraprese nella loro area di distribuzione.

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4

92/43 CEE All. V: specie animali e vegetali di interesse comunitario il cui prelievo nella natura e il cui sfruttamento potrebbero formare oggetto di misure di gestione.

per la conservazione della fauna invertebrata è da riferire soprattutto all’interesse zoogeografico in quanto in questa zona si sovrappongono areali di specie centroeuropee, mediterranee ed orientali. La fauna vertebrata Pesci. La fauna ittica di maggior interesse naturalistico è quella autoctona rappresentata da popolazioni di trota fario, trota marmorata e salmerino alpino; sono anche presenti in alcune acque la trota iridea, il temolo e il salmerino di fonte, specie alloctone introdotte soprattutto nei grandi laghi (Lago di Livigno, Lago di Pian Palù), nonché scazzone e sanguinerola. Anfibi. La rana rossa è ampiamente distribuita in tutto il Parco; il tritone alpestre ha una distribuzione estremamente localizzata ad alcune aree del settore lombardo del Parco. La presenza della salamandra pezzata e del rospo comune è invece limitata alle aree poste alle quote inferiori. Rettili. Lucertola vivipara e marasso sono le due specie di Rettili maggiormente diffuse in relazione alle loro caratteristiche ecologiche e alla distribuzione altitudinale del Parco. Più frammentata e meno conosciuta è la distribuzione dell’orbettino, del colubro liscio, della vipera comune e della natrice dal collare. Limitata alle quote inferiori e relativamente rara è la presenza di ramarro, biacco e lucertola muraiola. Uccelli. Le informazioni storiche in possesso del Parco, i dati degli avvistamenti non sistematici raccolti dal 1985 da parte del personale di vigilanza del Parco e quelli raccolti nell’ambito di studi specifici, hanno permesso di individuare 178 specie di Uccelli presenti nei tre settori del Parco. Complessivamente è stata verificata la presenza di 54 specie sedentarie nel territorio del Parco, 51 specie migratrici nidificanti, 61 specie migratrici esclusive e 12 specie occasionali e accidentali. Mammiferi. Gli Ungulati possono essere considerati i più importanti grossi Mammiferi presenti nel territorio del Parco, la presenza e la consistenza delle diverse specie varia da zona a zona e verranno trattate nello specifico nelle tavole ad essi dedicate. Attualmente è accertata la presenza di 8 specie di Carnivori, 21 specie di Chirotteri, 8 specie di Insettivori, 2 specie di Lagomorfi e 17 specie di Micro mammiferi. La presenza dei grandi carnivori è per ora occasionale e non stabile all’interno dell’area protetta. Recenti sono le segnalazioni di una lince in dispersione e relativamente frequenti, nell’ultimo quinquennio, le osservazioni di giovani orsi maschi anch’essi in dispersione.

Le attività di studio e conservazione della fauna Il Parco si adopera per la conservazione del proprio patrimonio faunistico mediante la regolamentazione delle attività antropiche (Piano Parco e Regolamento) e attraverso la promozione delle attività di monitoraggio e ricerca. Cervo, camoscio e stambecco vengo censiti annualmente, suddividendo il territorio a tale scopo in parcelle di osservazione: i dati raccolti sono la base per analisi sulla consistenza e sull’evoluzione delle popolazioni. Il cervo è particolarmente studiato e la sua gestione si presenta attualmente molto delicata per i danni arrecati alla rinnovazione forestale e per gli effetti negativi su altre componenti della biodiversità del Parco. Il Parco ha recentemente terminato uno studio volto a determinare lo status delle popolazioni di capriolo nel settore trentino e nell’ultimo decennio è attivo in operazioni di cattura di cervo, camoscio e stambecco a fini di marcaggio e di cessioni ad altri enti per operazioni di reintroduzione. Il Parco dello Stelvio è partner di un importante progetto internazionale per la conservazione del gipeto che ha come finalità principali la creazione di una rete di osservatori e il monitoraggio delle nuove coppie e delle attività riproduttive e la promozione di azione per garantire la crescita e la conservazione della specie. Un progetto avviato di recente ha lo scopo di valutare i rischi di saturnismo (avvelenamento da piombo) per i grandi rapaci, connessi all’attività venatoria. Anche l’aquila reale è oggetto di un progetto di ricerca sullo studio della territorialità, del successo riproduttivo e delle relazioni genetiche di parentela tra le coppie territoriali. All’interno del Parco vengono svolte ricerche, coordinate dall’Università degli Studi dell’Insubria di Varese, nell’ambito del progetto ASPER (Alpine Squirrel Population Ecology Research), finalizzato ad approfondire le conoscenze sul ruolo dello scoiattolo comune nell’ecosistema alpino e nell’ambito del progetto Mo.Ha.Re. (Mountain Hare Research) con la finalità di approfondire le conoscenze sull’ecologia della lepre bianca (Lepus timidus varronis) in ambiente alpino. Nel 2008 è stato avviato un progetto triennale di monitoraggio dei Tetraonidi e Galliformi nei tre settori del Parco, volto a definire lo status delle cinque specie presenti e migliorarne le strategie di conservazione. A partire dal 2008 sono state attivate anche campagne di monitoraggio di Insettivori, Roditori e carabidofauna per aggiornare le conoscenze su tali gruppi faunistici.


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Parco Nazionale dello Stelvio

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Parco Nazionale dello Stelvio L’aquila reale (Aquila chrysaetos) L’aquila reale (Aquila chrysaetos, ordine Falconiformi, famiglia Accipitridi) è l’unico superpredatore rimasto sempre presente sulle Alpi nonostante la persecuzione umana operata in passato. L’aquila reale è per dimensione il terzo rapace nidificante in Italia, superata solo dal gipeto (Gypaetus barbatus) e dal grifone (Gyps fulvus). La lunghezza totale del corpo è di 75-88 cm, con coda di 26-33 cm, apertura alare di 204-220 cm e peso di 3.7-5 Kg. La femmina, rispetto al maschio, ha dimensioni maggiori del 10% e il suo peso può superare fino al 20% quello del maschio. La distinzione in classi di età è basata sul cambiamento del piumaggio nel tempo. In generale si può affermare che, considerando ciascun individuo, l’estensione delle macchie bianche su ali e coda diminuisce con l’età fino al raggiungimento dell’età adulta. L’aquila reale è una specie adattabile a diversi habitat ma generalmente predilige aree montane con presenza di ampie pareti rocciose per la nidificazione e praterie per la caccia. Sulle Alpi nidifica generalmente a partire dai 760 m s.l.m. di quota fino a un massimo di 2350 m s.l.m. In casi più rari la specie nidifica ad altimetrie più elevate, fino alla quota di 2550 m. I nidi, costituiti da grossi ammassi di rami, sono posti per la maggior parte dei casi su pareti rocciose e più raramente su albero. I nidi raggiungono spesso grandi dimensioni superando talvolta il metro di spessore e i due metri di diametro. L’aquila reale è una specie monogama, che difende per numerose stagioni lo stesso territorio di nidificazione. La sua popolazione è costituita da coppie di individui territoriali (generalmente adulti) e da individui non territoriali (giovani, immaturi e subadulti) detti floaters, che possono compiere spostamenti anche di grande portata. Nelle Alpi italiane si ipotizza che circa il 30% della popolazione sia composto da aquile non territoriali. Dal quinto mese di vita, i giovani si allontanano progressivamente dal nido, a distanze che variano a seconda del sesso e delle caratteristiche dell’habitat. Sulle Alpi le copule avvengono fra febbraio e aprile mentre la deposizione delle uova tra la metà di marzo e quella di aprile. Le uova vengono covate da entrambi i membri della coppia per 42-45 giorni, la schiusa è asincrona e nelle Alpi avviene a maggio. Dopo 65-85 giorni avviene l’involo dei giovani: nella maggior parte dei casi si invola un solo giovane, più raramente due. Nell’aquila reale, come in almeno 27 specie del genere Aquila e in molti altri grandi rapaci (tra cui il gipeto) è comune il fenomeno del cainismo: il primogenito si appropria di tutto il cibo portato al nido dai genitori lasciando così morire il secondogenito. L’aquila reale si nutre principalmente di mammiferi e uccelli con un peso tra 0.5 e 5 kg. Prevalgono le prede vive, che caccia attivamente durante tutto l’anno ma, in inverno, si nutre anche di carcasse. In generale la dieta è composta da una o due specie preda dominanti, con notevoli differenze all’interno dell’areale. ll Parco Nazionale dello Stelvio ospita una popolazione di aquila reale fra le più consistenti dell’arco alpino. Attualmente sono presenti almeno 26 coppie territoriali, di cui 14 nidificano nel settore lombardo, 4 in quello trentino e 8 nel settore altoatesino. Per i 18 territori di aquila reale presenti nei settori lombardo e trentino del Parco, sono stati definiti con precisione i loro homerange e individuati 100 siti di nidificazione di cui 72 nel settore lombardo (Alta Valtellina e Val Camonica) e 28 nel settore trentino (Valli di Peio e Rabbi). Inoltre, nel settore altoatesino, sono noti 32 nidi e 5 in Engadina per un totale di 137 nidi con una media di 5.27 nidi/coppia (min 4 - max 8 per coppia). L’ampiezza media dei 18 territori presenti nel settore lombardo e trentino è pari a 67.7 Km2. Complessivamente l’altitudine media di 121

nidi noti è risultata pari a 1992 m ± 428, tra le più alte d’Europa. Il successo riproduttivo delle coppie di aquila reale, controllate nel periodo 2004-2009, risulta in media di 0.50 giovani involati/ coppie controllate. Il rapporto dei giovani sul numero di coppie di successo è risultato pari a 1.12 valore, questo, assolutamente in media con quelli riscontrati in Europa. In questi 6 anni, la percentuale di coppie di successo sul numero di coppie totali è stata pari al 44.7%; questo valore è caratteristico di popolazioni di aquila reale prossime alla saturazione, contraddistinte da elevate densità, in accordo con quanto mediamente registrato in 24 studi svolti in diversi settori delle Alpi europee. Anche gli altri parametri riproduttivi sono nella media registrata per le Alpi. La dimensione dei territori nel Parco Nazionale dello Stelvio è in linea con quella stimata in altre località dell’arco alpino caratterizzate da elevate densità di aquila reale, indice di un’ampia disponibilità di prede e di siti adatti per la nidificazione. Status di tutela: specie inclusa nell’allegato III della Convenzione di Berna e nell’allegato I della Direttiva Uccelli. In Italia è considerata specie vulnerabile, secondo la classificazione proposta dal Libro Rosso degli Animali d’Italia, non è cacciabile dal 1977 in quanto considerata specie particolarmente protetta secondo la legge quadro per la protezione della fauna e per il prelievo venatorio. Nel Parco lo status è favorevole.

Produttività dell’aquila reale nel Parco 2004

2005

2006

2007

2008

2009

Coppie controllate

10

10

11

11

11

11

64

Coppie con deposizione

8

8

9

9

6

5

45

Coppie di successo

7

5

5

6

3

4

30

Coppie con 1 juv

7

4

5

5

2

4

27

Coppie con 2 juv

0

1

0

1

1

0

3

Juv involati

7

6

5

7

4

4

33 0,52

S.R.

Totale

0,7

0,6

0,45

0,64

0,37

0,37

J/CPS

1

1,2

1

1,17

1,33

1

1,1

CPS/CPT (%)

70

50

45,5

54,5

27,3

36,4

46,9

CPS/CPD (%)

87,5

62,5

55,6

66,7

50

80

66,7

CPS=coppie di successo CPT=coppie territoriali CPD=Coppie con deposizione

40


Il gipeto (Gypaetus barbatus)

alta quota. Per il gipeto, come nell’aquila reale, un’altra causa di mortalità è il saturnismo (intossicazione da piombo) che si verifica generalmente nel corso della stagione di caccia o nelle settimane successive.

Scomparso dal territorio alpino all’inizio del secolo scorso, a causa della persecuzione operata dall’uomo, il gipeto (Gypaetus barbatus) oggi è tornato a volare nei cieli alpini grazie a un progetto internazionale di reintroduzione ed è oggi uno dei principali simboli delle azioni di conservazione della fauna selvatica a livello europeo. Il gipeto è per dimensione il primo rapace nidificante in Italia, seguito dal grifone (Gyps fulvus) e dall’aquila reale (Aquila chrysaetos). La lunghezza del corpo è di 110-150 cm, l’apertura alare di 250-280 cm e il peso di 5-7 Kg. La femmina generalmente è più grande del maschio ma questa differenza non è sempre apprezzabile in natura. Nell’adulto il capo è bianco chiaro e interamente piumato ma, in natura, si presenta rossastro così come il torace e l’addome a causa degli ossidi di ferro che vengono fissati durante i ripetuti bagni di fango. La reale motivazione di questo comportamento non è a tutt’oggi ancora del tutto spiegata ma potrebbe avere significato comportamentale o funzionale. Al contrario i giovani si presentano più scuri degli adulti e con una silhouette meno slanciata. Il gipeto è un necrofago che mostra una predilezione per le ossa poiché è in grado di assimilare, come elemento chiave per la sua nutrizione, il midollo.

Il progetto di reintroduzione Il progetto di reintroduzione del gipeto sulle Alpi, coordinato dalla Foundation for the Conservation of the Bearded Vulture (FCBV), prevede il rilascio di giovani nati in cattività (ad oggi sono stati rilasciati oltre 130 individui) finalizzata alla costituzione di una popolazione selvatica vitale in grado di automantenersi. I giovani non ancora in grado di volare vengono deposti all’età di tre mesi in falsi nidi su roccia, simili per caratteristiche esterne ai nidi naturali, e qui vengono nutriti artificialmente senza che l’uomo entri in contatto visivo con loro in modo da non generare dipendenza. Dopo l’involo i giovani vagano per diversi anni fino all’occupazione di un nuovo territorio e l’individuazione di un partner riproduttivo. Gli individui rilasciati vengono marcati mediante anelli colorati sulle zampe, una radio satellitare fissata sulle timoniere della coda e alcune penne decolorate che ne permettono il successivo riconoscimento visivo. Dal 2000 è stato avviato un progetto di monitoraggio (International Bearded Vulture Monitoring-IBM) che ha permesso di quantificare in 120-140 il numero di individui presenti sull’arco alpino. Attualmente le coppie formatesi in natura sono 17, di cui 10 in grado di riprodursi. Il progetto sta ottenedo importanti risultati ma la popolazione non può ancora ritenersi del tutto stabile. I rilasci si concluderanno solo quando il numero degli involi di giovani selvatici avrà raggiunto il numero annuo degli individui rilasciati, in media pari a 8-9. Sulle Alpi la produttività varia tra 0 in Austria e 0.75 in Italia (nel Parco Nazionale dello Stelvio, unico sito riproduttivo nazionale) con una media di 0.55.

Nella ricerca di carcasse, gli individui spendono circa l’80% della giornata; è stato calcolato che il gipeto riesca a percorrere 150 Km in poco più di tre ore e che giornalmente possa percorrere anche 700 Km. L’habitat di questo avvoltoio corrisponde a zone montuose aspre, caratterizzate dalla presenza di dirupi, canyon e imponenti sistemi rocciosi dove costruisce il nido e aree con abbondanti popolazioni di ungulati selvatici e domestici. Il territorio di una coppia di gipeto si attesta in media tra i 120 e i 250 Km2. La popolazione di gipeto è costituita da adulti territoriali e da individui non territoriali (giovani, immaturi e subadulti) detti floaters, che possono compiere spostamenti di grande portata (entro aree di 9.000 - 13.000 Km²). Generalmente il gipeto è monogamo; l’incubazione inizia con la deposizione del primo uovo e il secondo uovo viene deposto 3-5 giorni più tardi. Solo uno dei due pulcini nati riuscirà a sopravvivere e si involerà nel mese di luglio. Il periodo di svezzamento del pullo corrisponde al momento di maggiore disponibilità alimentare (marzo-maggio) quando, grazie al disgelo della neve, riaffiorano le carcasse di ungulati morti nella stagione invernale. Il tasso riproduttivo del gipeto è molto basso, così come la speranza di vita dei giovani fino a quattro anni di età; l’adulto invece ha un tasso di sopravvivenza è molto elevato (20-25 anni). Possibili predatori delle uova e dei giovani sono il corvo imperiale, il gufo reale e la volpe. Particolarmente impattanti per la conservazione della specie sono le diverse infrastrutture antropiche quali gli elettrodotti, i cavi di teleferiche e impianti sciistici, gli impianti eolici e la massiccia presenza umana in

Il Parco Nazionale dello Stelvio rappresenta un habitat idoneo all’insediamento del gipeto per la presenza di vasti territori aperti situati oltre il limite della vegetazione e per la notevole disponibilità alimentare dovuta alle consistenti popolazioni di ungulati. Nel Parco i primi avvistamenti di gipeto risalgono al 1997; dal 1991, 24 individui marcati sono stati osservati all’interno del Parco e 5 nei territori limitrofi. In quest’area si sono stabilite quattro coppie riproduttive: la coppia Bormio (1998), la coppia Livigno (1999), la coppia Valfurva (2002) e la coppia Ofenpass. Dall’anno di costituzione della prima coppia, sono 27 i gipeti nati all’interno dell’area protetta, un dato che rappresenta il 47% dei giovani involati su tutto l’arco alpino. Un sito di rilascio era presente fino al 2008 all’interno del territorio del Parco, in Val Martello, dove i rilasci sono iniziati a partire dal 2000. Status di tutela: specie inclusa nell’allegato III della Convenzione di Berna e nell’allegato I della Direttiva Uccelli; in Italia è considerata specie minacciata secondo la classificazione proposta dal Libro Rosso degli Animali d’Italia ed è specie particolarmente protetta secondo la legge quadro per la protezione della fauna e per il prelievo venatorio. Nel Parco lo status è favorevole.

Produttività delle coppie di gipeto nel Parco 1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

Totale

Coppie controllate

1

2

2

2

3

3

3

3

4

4

4

4

35

Coppie che hanno deposto

1

2

2

2

3

3

3

3

3

4

4

4

34

Coppie con piccolo involato

1

0

2

1

3

1

3

3

3

4

3

3

27

% Coppie di successo

100

0

100

50

100

33,3

100

100

75

100

75

75

75,7

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Parco Nazionale dello Stelvio I galliformi

formazione di piccoli gruppi invernali e in seguito delle coppie.

I galliformi alpini comprendono specie appartenenti alle due famiglie dei Tetraonidi e dei Fasianidi e “sono compresi tra le specie più rappresentative e qualificanti di tutta la fauna alpina” (Scherini, 2001). Oggi si assiste ad un generale regresso delle popolazioni di galliformi alpini dovuto principalmente ai cambiamenti che si sono verificati negli ambienti montani causati da variazioni d’uso delle risorse, da un generale “abbandono” dell’agricoltura di montagna rispetto al secolo scorso, da differenti modalità di gestione del bosco e, infine dal quadro di cambiamento climatico cui stiamo assistendo negli ultimi decenni. Il generale abbandono delle attività tradizionali silvo-pastorali, insieme ad un crescente impatto per gli utilizzi legati al turismo, ha portato sicuramente a squilibri che hanno modificato molti biotopi utilizzati dai galliformi. Anche l’aumento delle consistenze delle popolazioni di ungulati, soprattutto il cervo, rappresenta un fattore negativo per la conservazione dei Tetraonidi alpini maggiormente legati agli ambienti forestali, soprattutto per l’azione di modifica e progressiva distruzione del sottobosco. Attualmente nel Parco Nazionale dello Stelvio sono in corso progetti volti alla protezione degli habitat importanti per le specie; in tale contesto si inseriscono le azioni di miglioramento ambientale a favore del gallo forcello, che incidono sul limite bosco-prateria in modo da aumentare la diversità ambientale e rallentare il progressivo aumento degli arbusti, sia in termini di specie presenti sia di struttura tridimensionale dell’ecosistema. I galliformi di montagna sono caratterizzati da un corpo tozzo e robusto con ali corte e arrotondate; giovani e femmine hanno un piumaggio di colorazione simile mentre nei maschi può essere notevolmente diverso se la specie è poligama, come nel caso di gallo cedrone e gallo forcello. Hanno tutti una dieta prevalentemente vegetale, ma i piccoli, nei loro primi mesi di vita, si nutrono di insetti. Tra i loro predatori c’è l’aquila reale, ma anche altri rapaci tipici degli ambienti forestali, che possono predare le uova e i piccoli. Tra i Mammiferi, martora, volpe e faina rappresentano il principale pericolo, anche per gli adulti.

Gallo forcello (Tetrao tetrix). Distribuito in tutta Europa, sull’arco alpino è presente in maniera continua occupando anche le aree prealpine. In ambito alpino è presente in una fascia compresa tra i 1.700 e i 2.300 m, ma l’ambiente più caratteristico per questa specie è quello che si trova al limite della foresta quindi tra i 1.900 e i 2.200 metri dove le conifere ormai rade, lasciano il posto a rododendro, mirtillo, ontano e betulla. Specie sociale, ha un sistema riproduttivo poliginico in cui pochi maschi si affrontano in primavera all’interno di luoghi tradizionali (arene di canto – lek) per avere accesso alla riproduzione con le femmine. La riproduzione avviene in radure scelte in zone favorevoli, occupate per più anni e solitamente poste a quota 1800 m, qui si ritrovano diversi individui, sia maschi sia femmine e ha luogo la difesa dei territori da parte dei maschi; gli accoppiamenti riguardano solo 2 o 3 maschi.

Francolino di monte (Bonasa bonasia). Presente dalle Alpi orientali a quelle centrali fino alla Val d’Ossola a quote comprese fra gli 800 e i 1.800 m, il francolino di monte frequenta soprattutto le foreste fitte e ricche di sottobosco. Preferibilmente si insedia nel bosco misto di latifoglie e conifere; vive bene su terreno di qualsiasi pendenza. È il più piccolo fra i Tetraonidi e ha un aspetto mimetico; si muove agilmente, sia nel sottobosco sia sugli alberi; solitamente passa la notte sugli alberi, ma in inverno può anche pernottare sul terreno in luoghi aperti, quali radure, scavando un buca nella neve. Non è un animale sociale, ma vive la maggior parte del tempo all’interno della coppia e solo per tre mesi all’interno di un gruppo familiare; non tollera l’intrusione di estranei nel proprio territorio. Pernice bianca (Lagopus mutus). Sull’arco alpino è distribuita dalla Liguria al Friuli, manca solo nella provincia di Varese e in parte della provincia di Como dove scarseggiano habitat idonei. È una specie tipica di tutti gli orizzonti del piano alpino, occupando una fascia compresa tra i 2.200 e i 2.700 m di quota. La caratteristica principale dell’aspetto della pernice bianca è la muta che la porta ad assumere tre diverse livree nel corso delle stagioni: quella invernale, quella nuziale e quella internuziale. Pur avendo attitudine al volo, vive sempre a terra tranne in situazioni di pericolo in cui, per sottrarsi ad un uccello predatore, può volare per tragitti relativamente lunghi. Passa la notte in piccoli ripari o all’interno di buche scavate nella neve. È un animale estremamente sociale, anche se monogamo; in autunno, nel mese di novembre si formano gruppi numerosi in zone caratteristiche, il cui significato non è del tutto chiaro, ma che porta sicuramente alla

Gallo cedrone (Tetrao urogallus). Ampiamente diffuso in Europa, sull’arco alpino è presente nei settori orientale e centrale; le quote maggiormente frequentate sembrano quelle comprese fra gli 800 e i 1.800 m, sempre più spesso però nella fascia superiore di questo intervallo. Si tratta di foreste umide e fresche ove sono presenti vecchie conifere. Nel Parco Nazionale dello Stelvio è presente nel settore altoatesino e trentino, mentre gli avvistamenti nel settore lombardo non sono tali da ritenere la presenza di una popolazione stabile. Il periodo riproduttivo è caratterizzato da parate nelle zone di canto, dette “arene”, che precedono l’accoppiamento. Passa la maggior parte del tempo al suolo, mentre di notte si appollaia sugli alberi, così come durante l’inverno anche se non ha difficoltà a muoversi sulla neve. È un animale schivo che si allontana dalle aree disturbate dalla presenza dell`uomo. Coturnice (Alectoris graeca). È diffusa in tutta l’Eurasia con molte sottospecie, sull’arco alpino è presente la sottospecie A. g. saxatilis. Si tratta di una specie di origine mediterranea, per la quale l’ambiente alpino rappresenta un habitat al limite delle proprie capacità di adattamento; la si trova sempre sui versanti esposti a sud, a quote variabili, in luoghi caratterizzati da suoli secchi, caldi ed assolati, con rocce, pietraie, piante rade o assenti. In inverno è poco frequente incontrare coturnici oltre i 1.800 m di quota. Si muove solitamente sul terreno e normalmente effettua voli corti; è un animale sociale che spesso forma gruppi numerosi; la territorialità è limitata al periodo riproduttivo. Per ripararsi dal freddo non è raro che utilizzi edifici quali malghe e fienili. I censimenti Dal 2008 vengono effettuati censimenti dei Galliformi in tutti i settori del Parco (nei settori trentino e lombardo già dal 2002 e dal 2003). I censimenti vengono effettuati in aree campione caratterizzate da habitat idoneo e sono finalizzati alla definizione della distribuzione, del successo riproduttivo e della consistenza delle popolazioni. Per il francolino di monte vengono effettuati censimenti campionari dei maschi territoriali e/o delle coppie mediante richiamo acustico in primavera e censimenti campionari di adulti e giovani nel periodo tardo-estivo, sempre mediante richiamo acustico. Per la pernice bianca vengono svolti conteggi di maschi e/o coppie territoriali nel periodo primaverile e conteggio delle nidiate mediante impiego di cani da ferma nel periodo tardo estivo. Per il gallo forcello e il gallo cedrone vengono effettuati conteggi sulle arene/punti di canto in primavera e conteggi delle nidiate con l’ausilio di cani da ferma nel periodo tardo-estivo. Per la coturnice vengono effettuati censimenti primaverili mediante playback su aree campione e conteggi tardo-estivi delle nidiate mediante ausilio di cani da ferma. La cartografia presentata è stata prodotta sulla base dei dati raccolti durante i censimenti sistematici del 2008 e 2009 e sulla base delle segnalazioni raccolte dal 1985.

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Parco Nazionale dello Stelvio

Il camoscio (Rupicapra rupicapra) Il camoscio può essere considerato uno dei simboli del Parco; esso è infatti presente nell’area protetta sin dalla sua istituzione. Il suo status si è evoluto positivamente a partire da nuclei localizzati in aree specifiche del territorio (tra la Val Martello e la Val di Rabbi e in Val Zebrù). Nel 1968 veniva stimata una popolazione di circa 450 camosci, di cui 300 in Trentino, 110 a Bolzano e solo 40 nel settore lombardo. Tra le aree annesse successivamente al Parco, i comuni di Livigno e Valdidentro erano abbondantemente frequentati da camosci provenienti dal confinante Parco Nazionale Svizzero mentre le valli bresciane sono state ricolonizzate soltanto dopo l’annessione al Parco Nazionale dello Stelvio. Serie storiche di censimento continue sono disponibili a partire dal 1973 e sono basate su stime derivate dalle osservazioni compiute dal personale di vigilanza. Dal 1999 (1993 per il settore trentino) vengono effettuati censimenti standardizzati nei mesi di luglio-settembre. Attualmente il camoscio ha occupato tutto il territorio del Parco a lui idoneo e in molte aree si trova in equilibrio con le risorse alimentari disponibili tanto che le popolazioni appaiono numericamente stabili. Negli ultimi anni si stima la presenza di circa 4.350 individui che si distribuiscono su una superficie idonea di 650 Km², per una densità media di popolazione di 6,7 camosci per Km². Negli ultimi 13 anni, la popolazione del settore trentino ha subito una fase di riduzione dovuta a fenomeni di autoregolazione in dipendenza delle elevate densità e di una serie di inverni particolarmente nevosi, su cui si è più recentemente innestato un effetto di competizione intraspecifica da parte del cervo che, durante l’estate, occupa con frequenza sempre maggiore le praterie d’alta quota. Status di tutela della specie: inclusa nell’allegato III della Convenzione di Berna e nell’allegato V della Direttiva Habitat. Status favorevole nel Parco.

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Lo stambecco (Capra ibex) L’attuale presenza e distribuzione dello stambecco sull’arco alpino è dovuta a operazioni di reintroduzione. A causa della caccia sconsiderata cui fu sottoposto, all’inizio del XIX secolo lo stambecco era praticamente scomparso e solo un piccolo nucleo di 50-60 animali sopravviveva nel gruppo del Gran Paradiso. Con l’istituzione della Riserva Reale di Caccia dei Savoia, nel 1836, e successivamente del Parco Nazionale del Gran Paradiso, nel 1923, in breve tempo la popolazione aumentò crescendo fino alle attuali 2.700 unità. Da quel piccolo nucleo residuo hanno avuto origine tutte le attuali colonie di stambecco delle Alpi. Le testimonianze della presenza storica dello stambecco nel Parco dello Stelvio si fermano al 1830. Il suo ritorno è dovuto principalmente alle reintroduzioni effettuate in Val Zebrù, nel settore lombardo, negli anni 1967 e 1968. Tuttavia tra il 1915 e il 1920 lo stambecco cominciò a colonizzare l’area del Livignese a partire dall’area svizzera del Piz Albris, anche se tale area diventerà parco nazionale solo nel 1977. Tra il 1967 e il 1994 il Parco ha realizzato un prolungato programma di reintroduzione dello stambecco, con catture e immissioni, per velocizzare un processo di colonizzazione spontanea già in atto. La prima reintroduzione avvenne in Val Zebrù nel 1967-68 con animali provenienti dal Piz Albris (CH, 25) e dal Parco Nazionale del Gran Paradiso (4). I rilasci ebbero esito positivo per l’idoneità dell’habitat. Nel 1973 veniva stimata una popolazione di 80 stambecchi, che nel 1984 raggiunse i 220 individui e che attorno al 2000 si stabilizzò attorno ai 700 capi. Con individui catturati da questa colonia vennero effettuate le successive reintroduzioni organizzate direttamente dal Parco. Nel 1984 e 1993 10 stambecchi furono rilasciati a Cortebona – Val Canè (BS). Tra il 1992 e il 1994 furono fondate altre tre nuove colonie: a Passo del Gavia – Valle delle Messi (7 stambecchi), a Prà Grata – Valle del Gallo (15 stambecchi), e in Valle dell’Alpe – Val di Rezzalo (20 stambecchi), che successivamente si unirà alla colonia di Val Cané. Un primo tentativo di reintroduzione era già stato effettuato nel settore altoatesino nel 1941 in Val Martello ma non aveva avuto successo, soprattutto a causa delle ripetute azioni di bracconaggio e degli errori nell’attuazione dei reinserimenti. Attualmente lo stambecco è presente soprattutto nel settore lombardo del Parco, una piccola colonia è presente nel settore sudtirolese, a cavallo con la Svizzera ed un’altra si è recentemente formata in Val di Peio, ai confini dell’area protetta. Complessivamente si possono individuare 6 differenti colonie tra loro ancora separate, anche se gli avvistamenti sporadici al di fuori di esse si fanno sempre più frequenti: a) Livigno: ospita stambecchi che compiono migrazioni transfontaliere in Svizzera ed è formata da 200 individui che salgono a circa 400 se si considera tutta l’area del Livignese; b) Valdidentro – Fraele con 75 stambecchi; c) Zebrù – Braulio con circa 680 stambecchi; d) Canè – Dombastone - Rezzalo; origina da immissioni fatte in luoghi diversi ed è composta da circa 110 individui; e) Gavia – Viso - Redival; è ancora divisa in due parti e comprende 95 stambecchi, di cui 30 in Trentino; f) Cavallaccio; è parte della colonia svizzera del Monte Umbrail, una ventina di animali frequenta il versante compreso tra i pendii che sovrastano l’abitato di Stelvio e l’omonimo passo. Nel settore lombardo vengono effettuati dal 2001 nel mese di giugno censimenti standardizzati con il metodo del block-count: i dati sinora raccolti evidenziano una specie tuttora in espansione all’interno del Parco, con l’eccezione della colonia storica di Val Zebrù – Valle del Braulio che ha probabilmente raggiunto la sua capacità portante. Nel Parco è attualmente presente una popolazione complessiva di circa 1150 stambecchi. Le densità più alte superiori ai 15 stambecchi per Km², si hanno nelle colonie storiche di Livigno e Zebrù – Braulio. Le migrazioni di stambecchi dal settore lombardo al settore

Reintroduzioni di stambecco nel Parco Anno 1967-68

N° capi reintrodotti

Località di reintroduzione

Provenienza dei capi

19 (14M 15F)

Val Zebrù

Parco Nazionale Gran Paradiso e Albris

1984

7 (4M 3F)

Val Canè

Val Zebrù

1992

7 (2M 5F)

Passo Gavia

Val Zebrù

1992

15 (6M 9F)

Val del Gallo

Val Zebrù

1993

3 (1M 2F)

Val Canè

Val Zebrù

1993

9 (1M 8F)

Val di Rezzalo

Val Zebrù

1994

5 (1M 4F)

Val di Rezzalo

Val Zebrù

altoatesino del Parco sono sempre state modeste. Pur essendo presente nel settore altoatesino, seppure in modo sporadico, già da lungo tempo, lo stambecco non si è ancora insediato stabilmente in esso. I ripetuti atti di bracconaggio hanno sicuramente avuto al riguardo un peso notevole. Analogamente, nel corso degli anni ‘80, anche nel settore trentino i capi immigrati spontaneamente dal settore lombardo sono scomparsi a causa di atti di bracconaggio. Tuttavia, negli ultimi anni le osservazioni si fanno sempre più frequenti in Val del Monte (Peio). Status di tutela della specie: inclusa nell’allegato III della Convenzione di Berna e nell’allegato V della Direttiva Habitat, a basso rischio di estinzione secondo la classificazione proposta dal Libro Rosso degli Animali d’Italia, specie protetta dalla legge quadro per la protezione della fauna e per il prelievo venatorio. Nel Parco lo status è favorevole.

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Parco Nazionale dello Stelvio

Il Cervo (Cervus elaphus) Il territorio del Parco Nazionale dello Stelvio e le aree limitrofe hanno svolto un ruolo estremamente importante per il ritorno del cervo sulle Alpi italiane e sono tuttora fondamentali per lo sviluppo e la conservazione delle sue popolazioni. Da sempre presente sulle Alpi, il cervo scomparve dai territori attualmente occupati dal Parco attorno alla metĂ dell‘800, soprattutto per la pressione esercitata dall’uomo. Ai fini della conservazione del cervo nelle Alpi Centrali giocò un ruolo fondamentale l’istituzione del Parco Nazionale Svizzero dell’Engadina (1914), che divenne centro di diffusione per la colonizzazione dei territori confinanti. Nell’Alta Val Venosta il cervo scomparve nel 1860 e nei primi anni del ‘900 iniziarono i primi avvistamenti di soggetti in dispersione dalla Svizzera nei pressi di Glorenza, le densitĂ rimasero tuttavia basse, solo a partire dagli anni ’50 e ancor piĂš con gli anni ’60 il numero incrementò notevolmente. Nel settore trentino il cervo ricomparve nei primi decenni del ‘900, mentre in quello lombardo negli anni ’30-’40 del secolo scorso, con individui in dispersione dall’Engadina. Nelle valli bresciane erano presenti, al momento dell’annessione al Parco, popolazioni con un esiguo numero di individui che colonizzarono l’area negli anni ’60 provenendo dalla Val di Sole trentina.

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Nel 1967 i prelievi venatori del cervo furono vietati nel settore lombardo del Parco e nel 1983 il divieto fu esteso a tutto il Parco. Dal 1973 sono state effettuate, ad opera del personale di vigilanza, stime quantitative della presenza del cervo nei tre settori del Parco. Tali dati, pur non rappresentando una base scientificamente validata, hanno tuttavia permesso di delineare un quadro dell’evoluzione numerica delle popolazioni. Dal 1998 vengono svolti censimenti standardizzati, con tre conte ripetute nel periodo metà aprile - inizio maggio.

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Con una popolazione primaverile che negli ultimi cinque anni oscilla tra i 6.000 e i 7.000 individui (oltre 10.000 se consideriamo anche le zone limitrofe e con densità medie stimate trai 5 e i 25 cervi ogni Km², a seconda dell’area considerata, il cervo del Parco dello Stelvio rappresenta una delle realtà faunistiche più importanti - e a volte ingombranti - di tutto l’arco alpino e un patrimonio da conservare scrupolosamente e da gestire con oculatezza. Esso occupa ormai in estate tutto l’habitat potenziale disponibile, mentre durante l’inverno tende ad aggregarsi in zone favorevoli, caratterizzate in primo luogo da una buona esposizione al sole, che facilita il minor perdurare della neve al suolo e la maggiore probabilità di reperire cibo e da una buona copertura forestale. Per questo motivo il cervo effettua notevoli spostamenti per ricercare le condizioni alimentari e di tranquillità più idonee per lo svernamento e l’estivazione. Il territorio del Parco, suddiviso dalle cime più alte, fornisce in alcuni casi solo aree idonee all’estivazione. Per questo è necessario basare le azioni di conservazione e gestione su aree più vaste del Parco (Unità di Gestione) che comprendono intere popolazioni di cervo e i loro areali estivi e invernali. Il cervo ha raggiunto oggi elevate densità in molti settori, innescando anche conflitti con gli interessi antropici sui territori del Parco. Una presenza così massiccia sta comportando un notevole impatto sulle giovani piante presenti nei boschi e sulle residue attività agricole faticosamente sostenibili nel difficile ambiente montano. Per questo il Parco ha dato avvio ad un progetto pluriennale (progetto “Cervo”), volto a valutare i possibili effetti di una così massiccia presenza di cervo sulle restanti componenti dell’ecosistema e a individuare soluzioni che mirino alla conservazione della biodiversità nel suo complesso. A partire dal 1997 abbattimenti selettivi di cervo vengono effettuati in alcune parti del settore altoatesino e in futuro tale azione verrà attivata anche negli altri settori. I danni alla vegetazione In particolar modo per il cervo e il capriolo il bosco rappresenta un rifugio e nel contempo un’importante fonte alimentare, soprattutto in inverno quando la coltre nevosa copre le radure impedendone lo sfruttamento da parte degli ungulati. In inverno anche i giovani alberelli, fondamentali per la rinnovazione del bosco, costituiscono quindi un’importante fonte alimentare. Le elevate concentrazioni invernali di cervo comportano quindi, in alcune zone del Parco, notevoli danni alla rinnovazione forestale per una pesante azione di brucatura. Nelle aree di maggiore densità, tale azione porta anche ad una notevole modifica e diminuzione dello strato di sottobosco, essenziale per specie quali il gallo cedrone, che utilizzano gli ambienti più diversificati e ricchi di insetti per l’allevamento della prole. Numerose ricerche riferiscono come in zone caratterizzate da elevate densità di cervo, le popolazioni di capriolo siano fortemente limitate, a causa della competizione spaziale e alimentare che si instaura tra le due specie. Nello Stelvio tale problematica si sta recentemente instaurando anche nei confronti del camoscio, a causa di una sempre più netta sovrapposizione degli habitat utilizzati durante l’estate. Le elevate densità di cervo hanno inoltre innescato una sorta di autoregolazione della crescita delle popolazioni, attraverso una diminuzione delle nascite ed episodi di elevatissime mortalità invernali.

i principali fattori che hanno acuito tale problematica sono la scomparsa dei predatori, che un tempo regolavano le densità in modo naturale, e l’occupazione del territorio da parte dell’uomo. Un tempo gli ungulati utilizzavano aree di svernamento poste sui fondivalle, oggi invece queste aree sono occupate dalle attività antropiche di vario tipo e spesso la presenza di barriere condiziona le migrazioni stagionali: tutto ciò causa squilibri nell’occupazione del territorio e conseguentemente la concentrazione delle popolazioni in alcune aree ristrette. Il dibattito sulla necessità di gestione della popolazione di cervo all’interno del Parco si focalizza inoltre sulle possibilità di stabilire quale sia il livello di autoregolazione naturale delle popolazioni. In molte aree protette le decisioni sull’opportunità di eventuali interventi diretti devono essere prese prima di aver raggiunto una sufficiente comprensione scientifica del funzionamento degli ecosistemi presenti. Nel caso specifico dello Stelvio il livello di autoregolazione della popolazione di cervi sembra essersi assestato su valori di densità che comunque creano un notevole impatto all’ecosistema. Questo significa che la definizione di chiari obiettivi e motivazioni dovrà tenere in debito conto anche gli aspetti socio-politici ed economici. Allo stato attuale il problema dell’elevato squilibrio tra interno ed esterno del Parco può essere risolto attivando delle azioni di controllo mediante prelievo nell’area protetta e garantendo, nel contempo, sufficiente tranquillità in alcune aree della Val di Sole, in modo da favorire nel cervo un ritorno ad un comportamento di tipo migratorio. Il controllo numerico prevede ogni anno l’abbattimento di un certo numero di individui in modo da mantenere costante nel tempo il numero di animali e la densità della popolazione e ridurre i possibili impatti negativi. Nel territorio del Parco dello Stelvio è stato condotto uno studio volto a quantificare gli effetti del danno da morso sul bosco. I risultati hanno evidenziato che all’interno del Parco la percentuale media di brucamento è superiore a quella di altre aree dell’arco alpino. Il brucamento avviene soprattutto ad opera del cervo e infatti i danni maggiori si sono registrati nelle aree dove l’ungulato è presente con maggiori densità durante l’inverno Diversi sono i danni provocati dagli ungulati selvatici alla vegetazione e ciò in funzione delle diverse funzioni fisiologiche. Brucamento: gli ungulati, cibandosi delle gemme e dei germogli degli alberi ne causano un ritardo nello sviluppo in altezza; gli effetti negativi sulla rinnovazione del bosco si hanno qualora il brucamento si verifichi intensamente e per lunghi periodi. Soffregamento: si tratta dello sfregamento dei nuovi palchi su giovani alberelli ad opera di cervi e caprioli per rimuoverne il velluto: le piante soffregate sono destinate a morire nel corso della stagione. Scortecciamento: i cervi tendono a rosicchiare la sottile corteccia di alberi di giovane età durante la stagione invernale per integrare la dieta. Il danno che le piante subiscono è da mettere in relazione all’infiltrazione di agenti patogeni nel fusto dell’albero. Status di tutela della specie: inclusa nell’allegato III della Convenzione di Berna e nell’allegato IV della Direttiva Habitat. Nel Parco lo status è favorevole.

I danni provocati dalla fauna selvatica al bosco non rappresentano un problema per gli ecosistemi non alterati dall’uomo, in cui l’equilibrio fra vegetali, erbivori e predatori è regolato da dinamiche naturali. Laddove l’uomo ha invece alterato questi equilibri agendo su una o più componenti, gli effetti negativi si manifestano e possono avere importanza per gli interessi umani in un determinato territorio. In territorio alpino

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Parco Nazionale dello Stelvio

17. La popolazione

Il territorio alpino non è complessivamente in fase di spopolamento come si potrebbe pensare: le Alpi Centrali mostrano ad esempio un’evoluzione positiva negli ultimi cento anni al contrario delle Alpi Occidentali. Negli anni 1870 – 1990 la maggior parte dei comuni del Parco ha registrato una crescita demografica (Alta Valtellina e la maggior parte della Val Venosta); cinque hanno evidenziato una stasi demografica (Martello, Stelvio, Temù, Ponte di Legno e Peio) mentre solo tre (Rabbi, Vione e Vezza d’Oglio) hanno registrato un decremento. Rispetto alla popolazione complessiva è stata registrata una crescita del 35% in 130 anni, ma questo aumento riflette soprattutto la situazione del settore venostano, mentre nei settori trentino e lombardo è stata invece evidenziata una flessione negli ultimi 10 anni. I comuni interessati in vario modo dai confini del Parco ospitano una popolazione totale di quasi 64.000 abitanti residenti, suddivisi equamente tra popolazione maschile e femminile. Il comune con il maggior numero di abitanti è Silandro, seguito da Livigno e da Laces, mentre il comune meno abitato è Vione. La densità di popolazione è massima a Bormio e Glorenza, minima a Martello, Stelvio e Rabbi. Con riferimento ai comuni dell’area del Parco, la popolazione presente in modo permanente entro i suoi confini rappresenta il 19% circa dell’intera popolazione; si stima una popolazione totale di 12.132 abitanti a cui occorre aggiungere gli abitanti che fruiscono del territorio stagionalmente per la pratica dell’alpeggio. Nella maggior parte delle frazioni considerate è stato osservato un aumento della popolazione dal 1991 al 2002; gli aumenti più considerevoli hanno riguardato i settori trentino e altoatesino. La popolazione del settore lombardo è la meno interessata dai confini del Parco: solo il 9,6% della popolazione comunale vive entro i suoi confini, ma questo dato medio nasconde situazioni molto differenziate passando dal comune di Valfurva, con l’81,8% della popolazione all’interno del Parco, ad altri comuni che non hanno abitanti direttamente interessati dal Parco (comuni del settore camuno, Sondalo, Livigno e Valdidentro). Nel settore trentino, all’interno del Parco, vive il 50% della popolazione dei due comuni di Peio e Rabbi, mentre nel settore altoatesino il Parco interessa il 24,4% della popolazione dei relativi comuni. Nel settore altoatesino è stato evidenziato un saldo demografico

attivo in tutti i comuni: la struttura della popolazione evidenzia valori maggiori nella fascia di popolazione compresa tra i 14 e i 44 anni (in media circa il 47% della popolazione totale), segue quindi la fascia di età 45-64 anni (20%), quella 0-13 anni e infine quella della popolazione con più di 65 anni. Da oltre vent’anni la popolazione residente nel settore valtellinese è in costante aumento, ma questo dato medio riflette soprattutto la situazione del Livignese e va messo in relazione alla vitalità delle attività economiche in quel territorio. Nonostante il generale fenomeno dell’invecchiamento, si osserva una presenza più accentuata della fascia giovanile rispetto alla media provinciale (soprattutto a Livigno). Diversa è la situazione nel territorio camuno, che presenta la situazione demografica più critica di tutta la provincia di Brescia. Da una ricerca della Confcommercio e di Legambiente è emerso che, tra i comuni italiani a rischio di estinzione, ben nove appartengono al territorio della Valcamonica e tra questi Vione è interessato dai confini del Parco. Ad eccezione di Vezza d’Oglio, anche nei restanti tre comuni si registra un decremento demografico. I comuni del settore trentino presentano densità di popolazione molto basse e particolarmente significativo è il crollo registrato a Rabbi nel periodo 1921-2001, con una diminuzione della popolazione del 50%. Nel settore altoatesino è evidente la molteplicità linguistica e culturale: qui la popolazione di lingua italiana non supera il 3,5% mentre quella di lingua tedesca raggiunge il 97,5%. Esiste anche una minoranza di lingua ladina, massima a Silandro, dove comunque non supera lo 0,2%.

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Parco Nazionale dello Stelvio

Superficie agricola totale e superficie agricola utilizzata (SAU) delle aziende agricole nei settori del Parco 90000

Superficie totale SAU

80000

Superficie (ha)

70000

18. Le attività agricole

60000 50000 40000 30000 20000 10000 0

L’agricoltura nel Parco Nei comuni del Parco nel 2000, sono state censite 3.600 aziende agricole che operano su superfici molto frammentate, come spesso accade per le zone montane; la maggior parte delle aziende è dedita all’allevamento (soprattutto bovino), dato facilmente intuibile dal fatto che la SAU (Superficie Agricola Utilizzata) è rappresentata per il 98% da prati e pascoli. I seminativi occupano ormai una porzione minima della SAU e sono concentrati in Val Venosta, così come la maggior parte delle coltivazioni ortofrutticole e degli orti familiari. Nel settore altoatesino l’agricoltura è ancora fiorente e dal 1970 al 2000 la SAU (41.013 ettari in totale) ha subito solo un leggero calo (-3,8%). L’attività agricola è orientata prevalentemente all’allevamento, in particolare bovino; importanti sono anche le coltivazioni legnose agrarie, soprattutto meleti e albicocchi, che hanno registrato dal 1971 un incremento del 56%. Dalla Val Venosta proviene il 10% della produzione europea di mele; con le recenti modifiche dei confini del Parco, a seguito di una loro revisione per escludere le superfici già agricole, solo pochi terreni coltivati intensamente a meleto ricadono ancora entro il perimetro del Parco. Nel 2000, precedentemente alla modifica dei confini del Parco, erano state censite 2.700 aziende totali, per lo più di dimensioni ridotte e a conduzione familiare. Secondo le stime, più del 40% (1.100 aziende in totale) ricadono nel territorio del Parco. In questo settore un aspetto particolarmente critico è dato dall’aridità del clima che interessa storicamente la zona e da sempre ha costretto gli agricoltori a irrigare le colture (anche in quota) non soltanto nella stagione estiva: d’altro canto però proprio questa condizione climatica (più mite rispetto ad altre zone delle Alpi) è il fattore che consente la produzione di mele di buona qualità. Nel settore lombardo l’agricoltura presenta la situazione più critica di abbandono, e questo va messo soprattutto in relazione al fatto che il turismo, presente già nell’800, ha rapidamente soppiantato l’attività agricola. Nonostante ciò, nell’area valtellinese i dati ISTAT mostrano un aumento della SAU pari al 17% negli ultimi trent’anni, situazione particolarmente accentuata a Valdidentro. Il 99% della SAU è rappresentato da prati permanenti e pascoli, e infatti la maggior parte delle aziende si dedica all’allevamento, soprattutto bovino,

ma fiorente è pure l’allevamento caprino (nel settore valtellinese si registra il maggior numero di capre allevate complessivamente nel Parco). I seminativi sono in calo; un tempo venivano coltivati soprattutto segale e grano saraceno, che rappresentano anche gli ingredienti di prodotti tipici locali, oggi importati dall’estero (la scomparsa di queste colture ha interessato tutte le Alpi). A fronte di un aumento della SAU, negli ultimi trent’anni si è avuta una diminuzione del numero di aziende e nel 2000 se ne contavano 694. Nel settore camuno l’agricoltura sta attraversando un periodo di profonda crisi, comprovata da una diminuzione della SAU pari al 41,87% in trent’anni, a carico soprattutto di prati e pascoli. Di pari passo anche le aziende agricole sono diminuite (-75%) e nel 2000 se ne contavano 99 di cui circa la metà localizzate nel comune di Vezza d’Oglio; si tratta quasi sempre di piccole aziende dedite all’allevamento e a conduzione familiare. Nel settore trentino del Parco l’agricoltura, essenzialmente legata all’allevamento, è ancora significativa nonostante la generale crisi (occupati in agricoltura dimezzati in trent’anni), e si pone in una situazione intermedia tra il settore altoatesino e quello lombardo. La gestione dei pascoli e dei boschi è affidata in questo settore a strutture socio-economiche storiche: le ASUC a Peio e le Consortele a Rabbi. La SAU è rappresentata per il 99,9% da prati e pascoli mentre i seminativi sono minimi e presenti soprattutto a Peio (colture

Altoatesino

orticole di fragole, radicchio e patate). Le aziende agricole censite nel 2000 sono 204 e si sono praticamente dimezzate in trent’anni; la SAU è invece aumentata evidenziando una tendenza all’ampliamento delle dimensioni aziendali. Il sostegno all’agricoltura di montagna L’agricoltura è un’attività economica strettamente legata al territorio e come tale la pratica agricola in montagna ha effetti notevoli sul paesaggio alpino: il sostegno dell’agricoltura di montagna è quindi basilare sia per garantire la pluralità delle attività economiche sul territorio, sia per preservare la tipicità del paesaggio tradizionale. Esistono vari strumenti legislativi che prevedono sostegni all’agricoltura di montagna, applicati sia a livello regionale sia provinciale. La Provincia Autonoma di Bolzano prevede indennità compensative e contributi specifici per la conservazione del paesaggio tradizionale, destinati alle piccole aziende. Nel settore lombardo hanno competenza in materia le Comunità Montane: la Comunità Montana Alta Valtellina concede contributi per lo sfalcio dei prati e finanziamenti per la ristrutturazione delle malghe, per l’allevamento e la promozione di iniziative cooperative. Nel settore camuno invece opera la Comunità Montana Valle Camonica con una serie di misure per lo sviluppo delle attività agro-silvo-pastorali e vengono concessi contributi per la manutenzione della viabilità agro-silvo-pastorale, per il miglioramento delle aziende e indennità compensative. Alcuni

Addetti per settore di attività economica nei comuni del Parco Settore altotesino

Settore camuno

Settore valtellinese

Settore trentino

Addetti industria

3883

2365

580

328

Addetti commercio

1223

1646

391

117

Addetti altri servizi

3179

4172

1043

446

Addetti istituzioni

3422

2860

311

103

50

Camuno

Settore

Trentino

Valtellinese

contributi sono invece concessi dalla Provincia di Brescia e dai Comuni. La Provincia di Trento prevede diverse tipologie di incentivi: indennità compensative, contributi per infrastrutture e restauri sugli alpeggi e per lo sfalcio dei prati: vengono erogati su richiesta degli allevatori e agricoltori. Dal canto suo il Parco liquida i danni arrecati dalla fauna selvatica a prati, pascoli e colture. L’agricoltura biologica L’agricoltura biologica opera nel pieno rispetto dell’ambiente e sarebbe quindi auspicabile una sua diffusione all’interno del Parco. Nel Parco dello Stelvio la percentuale di SAU coltivata ad agricoltura biologica risulta ancora minoritaria, sebbene la crescita recente di aziende che operano in tal senso faccia sperare in una maggiore diffusione nei prossimi anni. Le aziende che operano secondo i metodi dell’agricoltura biologica sono in totale 70, di cui 20 a Laces, 17 a Silandro e 12 a Bormio: le colture riguardano prevalentemente gli ortivi e parte della frutticoltura in Val Venosta, dove la varietà principale di mela, la “Golden” è prodotta per il 2-3% con agricoltura biologica, e per il restante 97-98% con agricoltura integrata. Sono inoltre presenti 38 aziende zootecniche biologiche, di cui 19 a Silandro, 9 a Bormio e 5 a Ultimo. I prodotti tipici Nel settore altoatesino si contano numerosi prodotti tipici che conferiscono identità al territorio; fra cui i formaggi semigrasso Burgeis e Stelvio DOP, lo speck Alto Adige IGP. Vi sono poi prodotti tipici da forno a base di segale e dolci tradizionali. Nel settore lombardo si contano 19 prodotti tipici, di cui 2 DOP (i formaggi Bitto e Casera) e uno IGP (bresaola). Nel settore trentino sono presenti 8 prodotti tipici tra cui il formaggio Casolet e il Grana Trentino DOP.


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Parco Nazionale dello Stelvio

19. L’allevamento

L’allevamento è sicuramente l’attività che maggiormente caratterizza le aziende agricole del territorio del Parco dello Stelvio: viene praticato per lo più l’allevamento di bovini e le aziende sono solitamente di piccole dimensioni. La pratica dell’alpeggio, tipica delle zone montane, oggi è in diminuzione in generale in tutti i paesi alpini, e ciò va ricollegato ai bassi prezzi del latte e della carne, che non ricompensano le fatiche di questa attività tradizionale. Il mantenimento degli alpeggi è però essenziale per tutelare la diversità paesaggistica e ambientale delle regioni alpine, nonché l’identità culturale, e si pone pertanto come primario obiettivo politico-sociale. Nel settore altoatesino l’allevamento si presenta fiorente: il numero dei bovini è aumentato di 289 capi rispetto al 1970, anche se negli ultimi 10 anni si è registrata una flessione; in totale sono stati censiti nel 2000 (V censimento agricoltura ISTAT) 16.805 bovini, 10.351 ovini (pari al 32% dei domestici, esclusi avicoli e conigli), 3.346 suini (pari al 10%), 1.510 caprini (pari al 4,7%) e 282 equini di razza locale Avelignese, che rappresentano più della metà degli equini presenti in tutti i comuni del Parco. Gli ovini sono in aumento dal 1982, dato che va ricollegato probabilmente al programma “Leader” per la promozione e la commercializzazione dell’agnello. Il bestiame viene allevato quasi totalmente con mangimi di origine locale, con una piccola quota di origine estera che varia annualmente in funzione della produzione di fieno. Il latte prodotto viene in gran parte conferito a Bolzano; una parte continua però ad essere venduta localmente grazie alla presenza di malghe dotate di caseificio per la lavorazione del latte e del formaggio; esistono inoltre piccoli caseifici consorziali. Gli alpeggi, quasi sempre di proprietà tavolare pubblica, vengono concessi alle “Interessenze”, strutture sociali storiche di gestione delle malghe, che si fanno carico della raccolta del latte e della trasformazione in formaggio; quest’ultimo viene poi ripartito fra gli agricoltori associati, in ragione del latte conferito da ognuno. Le capacità di carico degli alpeggi sono controllate annualmente dall’Ispettorato Forestale. All’interno del settore lombardo sia l’area valtellinese che quella camuna presentano situazioni critiche anche se di grado diverso.

Nel settore valtellinese nel 2000 sono stati censiti 3.519 bovini, 2.190 ovini e 2.097 caprini: quest’ultimo dato è sicuramente quello più interessante, evidenziando una presenza di caprini nei comuni di questo settore notevolmente superiore agli altri. Nel territorio dell’Alta Valtellina si contano 9 piccole latterie sociali, che hanno però grosse difficoltà economiche: rispetto ad altri settori del Parco, qui la scarsa collaborazione fra gli allevatori è un fattore di forte limitazione al potenziamento dell’attività. Nel settore camuno la crisi è ancora più grave, con un forte continuo calo del bestiame allevato da metà ‘800 ad oggi. Il latte prodotto viene prevalentemente conferito al Caseificio di Capo di Ponte, in parte viene venduto a industrie casearie fuori valle e

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infine una parte viene trasformata e venduta localmente. In tutto il settore lombardo il 58% dei pascoli è gestito in modo controllato, mentre la parte restante è di tipo vagante; circa la metà degli alpeggi è di proprietà individuale, mentre la restante è gestita da affittuari. In una trentina di alpeggi il latte prodotto viene in parte o totalmente venduto con modalità diretta nelle rispettive malghe. Nel settore trentino nel 2000 sono stati censiti 1.576 bovini, 237 ovini e 90 caprini; vi è stata un diminuzione dal 1970 al 1982, seguita poi da una ripresa. La pratica dell’alpeggio è ancora vitale: quasi tutti i capi vengono caricati in alpeggio; in Val di Peio si contano 7 malghe attive, in Val di Rabbi una decina, utilizzate

come casera o stalla e di proprietà delle Consortele o di comuni, anche esterni alla valle.


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Parco Nazionale dello Stelvio

Evoluzione delle presenze turistiche totali nei settori del Parco 2000000

Settore altoatesino Settore valtellinese Settore camuno Settore trentino

Presenze (n.persone)

1500000

20. Il turismo

1000000

500000

0 1987

1992

1997

2002

Anno

L’impatto del turismo e il turismo sostenibile Il turismo ha interessato il territorio del Parco dello Stelvio sin dal Seicento ed oggi è diventato un fenomeno di massa. Tale territorio è individuato come il nucleo forte del turismo montano lombardo e una meta mediamente importante del Trentino-Alto Adige. Il turismo rientra tra le finalità istitutive dell’area protetta, ma è fondamentale sottolineare che oggi il turismo, proprio perchè fenomeno di massa, è insieme importante risorsa economica per la popolazione locale, che contribuisce ad evitare lo spopolamento delle montagne, ma anche fonte di notevoli impatti ambientali, legati alla permanenza di persone su territori fragili, agli spostamenti e ai cambiamenti indotti sull’area. Inoltre una gestione incontrollata dell’attività turistica, soprattutto se monotematica e se rappresenta l’unica realtà economica, può portare all’impoverimento della realtà culturale di una regione. In un territorio alpino come quello del Parco un’offerta turistica articolata che miri a diversificare e potenziare le realtà territoriali è la base di un turismo sostenibile. Sarebbe anche auspicabile una maggiore distribuzione dei flussi turistici lungo l’intero corso dell’anno. Ciò consentirebbe da un lato la diminuzione degli impatti legati al traffico stradale e dall’altro la riduzione della pressione territoriale che, nei periodi di picco estivi e invernali, comporta, in generale, carichi notevoli sugli ecosistemi dovuti ad una eccessiva frequentazione di alcune aree, ad un aumento di rifiuti, reflui e consumi idrici e dell’inquinamento acustico e atmosferico. Allo stato attuale il turismo nel Parco presenta un’elevata bistagionalità (inverno ed estate), meno marcata nel settore altoatesino, dove è maggiore la presenza di turisti di provenienza germanica, più abituati degli italiani a distribuire le vacanze durante tutto l’anno. Il turismo è soprattutto di tipo estivo in quasi tutti i comuni del Parco, mentre la stagione invernale è legata alla pratica dello sci alpino. Anche in questo il settore altoatesino risulta meno legato a questa frequentazione. La pratica dello sci alpino, asse portante del turismo invernale, ha anche molti risvolti negativi osservabili soprattutto dove essa rappresenta la principale risorsa economica del territorio. All’interno del Parco i bacini sciistici si trovano a Valfurva, in Val di Peio, al Passo dello Stelvio, a Solda e Trafoi, mentre nelle aree limitrofe si trovano altre stazioni sciistiche di rilevante importanza quali quelle di Livigno, Bormio, Tonale/Ponte di Legno/Temù, Valdidentro, Val d’Ultimo e Tarres-Laces. In occasione dei Mondiali di sci del 2005 sono stati ampliati gli impianti di S. Caterina Valfurva con pesanti ripercussioni su

habitat importanti per la conservazione della fauna alpina. L’intensa edificazione è un altro degli aspetti negativi di uno sviluppo turistico incontrollato: questo fenomeno ha interessato soprattutto l’Alta Valtellina e l’Alta Valcamonica a seguito della costruzione degli impianti per la pratica dello sci. L’adozione del Piano e del Regolamento dovrebbero garantire una maggiore tutela del territorio del Parco contro i rischi di cementificazione nei centri del turismo invernale e nel contempo fornire soluzioni e strumenti per lo sviluppo socio-economico locale. Sono state invece preservate da un’intensa urbanizzazione la Val di Rabbi nell’area trentina, dove prevale l’offerta naturalistica e, in generale, tutto il settore altoatesino, dove molto importante è stato lo sviluppo di aziende agrituristiche basato sulla ristrutturazione di abitazioni rurali e sulla conservazione delle tradizionali attività di agricoltura di montagna. Un’offerta turistica rispettosa dell’ambiente deve infine garantire bassi consumi energetici, produzione di rifiuti ridotta e il contenimento delle emissioni in atmosfera e nei corpi idrici. Le certificazioni sulla qualità ambientale degli esercizi (ISO 14001) non sono ancora presenti sul territorio del Parco, con l’eccezione del rifugio Vioz nel settore trentino. La ricettività e il movimento turistico È necessario fare una distinzione fra la ricettività alberghiera e quella extralberghiera: mentre i dati relativi alla prima sono attendibili, è probabile che il secondo tipo di offerta venga sottostimato soprattutto per effetto delle seconde case e degli appartamenti in affitto. Secondo i dati degli uffici turistici, l’offerta alberghiera è elevata, soprattutto nel settore altoatesino, e fornisce il maggior numero di posti letto, mentre l’offerta extralberghiera (campeggi, agriturismi, rifugi, seconde case, appartamenti, affittacamere, etc.) è preponderante nei settori trentino e lombardo. Nei comuni del Parco sono presenti campeggi permanenti a carattere sia annuale sia stagionale e qualche campeggio temporaneo; sempre più numerosi sono gli agriturismi, mentre una trentina sono i rifugi. Dal numero di case non occupate rilevate nell’ultimo censimento ISTAT del 2001 è stato possibile stimare il numero di seconde case, e quindi il numero di posti letto che si aggiungerebbe all’offerta extralberghiera ufficiale: 64.000 posti letto che si sommerebbero ai circa 22.425 ufficiali, per un totale di 86.425 posti letto in strutture extraberghiere. La capacità ricettiva totale dei comuni del Parco ammonterebbe quindi a

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circa 111.000 posti letto totali. Il fenomeno delle seconde case è particolarmente forte nel settore lombardo e va considerato negativamente sia in funzione della pressione territoriale indotta da un aumento della ricettività, sia in funzione dell’impatto territoriale dell’espansione turistica. Nei comuni del Parco le presenze alberghiere sono diminuite del 4% negli ultimi 10 anni nel settore altoatesino e aumentate del 30% nel settore trentino e del 5% in quello lombardo. La maggior parte dei turisti del Parco alloggia però in seconde case. Molti escursionisti visitano il Parco in giornata senza alloggiare. Oggi il turista predilige soggiorni brevi, di durata settimanale o meno, sia in estate sia in inverno. Terme Fra le risorse del Parco le acque termali ed il turismo ad esse collegato rappresentano una tipologia di fruizione maggiormente compatibile con l’esistenza dell’area protetta. Importanti strutture termali sorgono a Bormio, Rabbi e Peio. Le acque termali di Bormio sono classificate come solfatoalcaline-terrose minerali radioattive ed hanno una temperatura compresa fra 36 e 42 C°. Le prime testimonianze sulle terme di Bormio risalirebbero ad una frase di Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia (23-79). La prima documentazione storica indubbia è però del VI secolo. Con l’apertura della strada dello Stelvio nel 1825 vennero progettati e realizzati i Bagni Nuovi. Chiusi nel 1977, sono stati riaperti solo tra il 2003 ed il 2004 dopo un lungo restauro conservativo, che ha interessato anche i Bagni Vecchi. Nel 1920 iniziò lo sfruttamento delle acque termali anche nel centro di Bormio. Il primo stabilimento termale venne demolito e ricostruito negli anni Sessanta. Tra il 2002 ed il 2006 il complesso è stato oggetto di una importante riqualificazione. L’acqua di Rabbi appartiene al gruppo delle acque minerali, bicarbonato-alcaline, ferruginose. E’ ricca di acido carbonico libero. La prima notizia storica sulla natura e sulle proprietà di quest’acqua minerale risale al 1668. I primi edifici termali sono della fine del 1700, mentre è della metà del 1800 il vero e proprio stabilimento termale con docce, bagno russo, fanghi. Sopravvissute nei secoli, le fonti di Rabbi, di recente restaurate, e la sua “acqua forta” sono arrivate fino ai giorni nostri, mantenendo inalterata la composizione chimica e facendosi sempre più conoscere per la cura di molte patologie. I primi riferimenti storici alle particolari proprietà delle acque termali di Peio risalgono al 1500. Nel corso dei secoli successivi

cresce e si afferma, in particolar modo nell’Impero AustroUngarico, la fama delle proprietà curative delle fonti e della stazione termale, che diventa meta di vacanza. L’attuale struttura è stata realizzata a metà degli anni Novanta per venire incontro alle rinnovate esigenze della clientela. Tre sono le sorgenti utilizzate con diversa composizione chimica. Vale la pena di ricordare due storiche fonti termali presenti nel territorio del Parco. In Valfurva, la frazione di Santa Caterina è stata celebre per quasi tre secoli per la sua acqua ferruginosa, che portò alla creazione di una vera a propria stazione termale meta di un turismo d’elite. Nel 1985 la fonte è stata definitivamente sacrificata alle esigenze dello sci e delle competizioni mondiali. La seconda fonte storica si trova a Sant’Apollonia, in Valle delle Messi, a nord dell’abitato di Ponte di Legno. Si tratta di un’acqua fredda, minerale, bicarbonato-ferruginosa. Escursionismo Il Parco dello Stelvio è percorso da una fitta rete di sentieri che permettono al visitatore di coglierne le bellezze naturalistiche e paesaggistiche. I sentieri sono numerati e ben documentati sulle pubblicazioni dedicate e sulla cartografia. I settori lombardo e trentino hanno recentemente effettuato dei rilievi della rete dei sentieri che hanno permesso di realizzare delle carte aggiornate per l’escursionismo a scala 1:50.000. L’ escursionista può contare anche sulla presenza capillare di rifugi e bivacchi che permettono di effettuare itinerari di più giorni nel territorio del Parco. Lo sci alpino Data la posizione geografica del territorio, la neve ha da sempre contraddistinto l’offerta turistica dell’area dell’Ortles-Cevedale. L’offerta delle stazioni invernali presenti sul territorio si basa soprattutto sullo sci da discesa. Tale scelta ha comportato una forte infrastrutturazione che si è spinta anche alle alte quote, in zone fragili, arrivando a offrire la possibilità di sciare anche sui ghiacciai. Il Parco si trova a dover fronteggiare continue richieste di ampliamento e di costruzione di nuove piste, dovendo peraltro convivere con le altre già esistenti. Gli impatti derivanti dall’attività sciistica riguardano, tra gli altri, la frammentazione degli habitat, la trasformazione paesaggistica, la congestione turistica durante i periodi di apertura degli impianti, il disturbo antropico agli ecosistemi e alla fauna in alta quota e sui ghiacciai, il compattamento del suolo, il necessario innevamento artificiale che implica il prelievo idrico.


Comuni (localitĂ ) e ambiti

N. piste sci alpino

N. impianti risalita

Lunghezza piste sci di fondo (Km)

Livigno*

61

30

40

Valfurva

16

10

15

Valdisotto* (Bormio 2000 e S. Colombano)

25

17

7

Bormio (Passo Stelvio)

6

6

12

Valdidentro*

6

7

25

Ponte di Legno - Tonale -TemĂš*

40

30

20

Peio

12

7

10

Rabbi

--

--

5

Stelvio (Solda e Trafoi)

25

4

11

Laces* - Martello

2

4

15

Ultimo*

10

6

25

* Aree sciistiche esterne al perimetro del Parco

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Parco Nazionale dello Stelvio

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21. Le particelle catastali Il catasto italiano nasce con una legge del 1886 con cui vengono istituiti il Nuovo Catasto Terreni (N.C.T.), che sostituisce i vecchi catasti preunitari, e il Catasto Edilizio Urbano (C.E.U.). Con l'istituzione del nuovo catasto italiano viene creato un catasto unico per tutto il territorio nazionale e vengono in tal modo eliminate le disomogeneità precedenti: al momento dell'unità d'Italia erano infatti in vigore tutti i catasti dei territori acquisiti, ripartiti in nove compartimenti catastali. Alla vigilia della prima guerra mondiale risulta accatastato al N.C.T. il 43% del territorio nazionale. Con la fine della prima guerra mondiale e l'annessione al Regno d'Italia della Venezia Tridentina e della Venezia Giulia viene ereditato il catasto austriaco che è mantenuto in vigore parallelamente al catasto italiano. Negli anni il catasto italiano subisce diverse revisioni e ha continuato la sua evoluzione, secondo quattro linee principali di sviluppo: 1) meccanizzazione e automazione del catasto; 2) istituzione del Catasto dei Fabbricati (C.d.F.); 3) apertura al libero professionista della gestione del catasto; 4) decentramento del catasto agli enti locali. In territorio montano i terreni privati dei fondivalle hanno subito un fortissimo frazionamento fino a ridurre le proprietà a sottilissimi lembi di terra che non permettono il sostentamento agricolo delle famiglie. Questo fenomeno all'interno del Parco è più evidente del settore lombardo mentre nel settore altoatesino la struttura economica e sociale ha evitato il frazionamento delle proprietà tramite l'istituzione del “maso chiuso”. Il termine “maso” - in tedesco Hof - identifica una residenza contadina composta dalla casa e dai relativi mezzi di lavoro e sostentamento quali i terreni agricoli e i fabbricati rurali. La storia del maso chiuso risale al XV-XVI secolo quando furono emanate norme tendenti ad impedire il frazionamento rurale. Fu l’Imperatore Massimiliano I d’Asburgo, Duca del Tirolo, a definire nel 1502 le linee legislative per garantire ad un unico erede l’intero terreno agricolo assegnato. Ma la normativa del maso chiuso trova la sua più completa definizione giuridica nel 1775 nel complesso di leggi emanate da Maria Teresa d’Asburgo e la contemporanea creazione del libro fondiario e del catasto. Quattro i punti fondamentali delle norme teresiane: • istituzione del maso chiuso, come azienda agricola indivisibile; • possibilità di costituzione solo qualora i fabbricati civili, rurali ed i campi agricoli permettano il mantenimento di una famiglia di almeno cinque persone; • spettanza del patrimonio per eredità ad uno dei figli maschi, solitamente il primogenito, ed indennizzo degli altri figli; • iscrizione della proprietà – classificata come maso chiuso – nel libro f ondiario. Queste norme vennero abolite dopo l’annessione dell’Alto Adige al Regno d’Italia nel 1918, ma rimasero nell’uso comune del diritto consuetudinario tirolese. Dopo la seconda guerra mondiale, le leggi relative al maso chiuso vennero ripristinate mantenendo inalterate nella sostanza le norme di Maria Teresa.

Successivamente le nuove norme del diritto di famiglia e l’evoluzione della società portarono alla necessità di aggiornare anche la legge sul “maso chiuso” e all’introduzione di alcune modifiche alla precedente normativa, in particolare l’uguaglianza tra uomo e donna nonché la salvaguardia dei diritti dei singoli eredi e del coniuge superstite. Ad oggi i masi chiusi in Alto Adige sono circa 12.300. Negli ultimi 10 anni la media è stata di 67 nuovi masi dichiarati chiusi per anno, contro i 22 che sono stati dichiarati aperti e quindi svincolati dalla normativa specifica, a testimonianza della modernità di questa istituzione. Considerato da alcuni un residuo medievale, il “maso chiuso” mantiene tuttavia la sua importanza garantendo ad un nucleo familiare la possibilità di un reddito proveniente in

gran parte dall’attività agricola e da quelle connesse. La proprietà collettiva Nel territorio del Parco boschi, pascoli e sorgenti sono spesso di proprietà collettiva. Le proprietà collettive costituiscono un ordinamento che è caratterizzato dall'esistenza di una collettività che esercita godimenti su terreni per lo più boschivi e pascolivi. La collettività a volte coincide con gli abitanti di un comune amministrativo, mentre altre volte è distinta e di carattere privato. In un'economia tradizionalmente rurale, questo tipo di ordinamento stabiliva e stabilisce ancora oggi diritti collettivi di godere e di gestire il territorio di montagna. Le terre in uso civico non possono essere vendute né sono soggette a mutamenti di

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destinazione in quanto rappresentano un patrimonio naturale, culturale ed economico in comproprietà. Spesso la proprietà comune comprendeva anche strumenti di lavoro. Questa realtà è ancora molto sentita nelle valli del settore trentino dove le proprietà collettive sono una realtà viva e dinamica anche nella società contemporanea, con importanti aspetti economici, sociali e ambientali. Non è un caso che questo ordinamento sia ancora molto forte nelle valli che hanno mantenuto un saldo legame con il territorio, dove l'agricoltura di montagna e la selvicoltura sono ancora fiorenti. Laddove invece l'economia rurale è stata affiancata dal turismo legato agli sport invernali, l'interesse ad un utilizzo collettivo del territorio montano è progressivamente diminuito.


Parco Nazionale dello Stelvio

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Stelviana.

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