aroundFood Sicily Issue
Sicily issue / febbraio 2018 Direttore responsabile Sofia De Grazia Noemi Garfì Art Director Sofia De Grazia Noemi Garfì Carattere Tipografico Gill Sans Caecilia LT In copertina Foto di Hannah Pemberton Formato 180x230 mm 32 pp. Editore Accademia Belle Arti di Catania via Vanasco, 9 95129 Catania T. +39 095 2180740 F. +39 095 2180709 © Copyright 2018 Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno didattico.
La mappa del gusto
MESSINA
PALERMO
ENNA
TRAPANI
CATANIA AGRIGENTO
CALTANISSETTA
SIRACUSA
RAGUSA
8
10 12 16-17 Attorno alla tavola il racconto della vita «Nel cibo pronto sulla tavola, sia esso un piatto stellato che una semplice frittata con le erbette raccolte nei campi, possiamo scorgere una serie contagiosa di gesti d’amore»
18-19
14 20
La cultura Siciliana si gusta a tavola Incontriamo Claudio e Clara, detti i «Babbaluci», due giovani Palermitani che promuovono l’isola da chef a domicilio
26-27 L’arte del vino
Pane e Panelle I 4 posti migliori dove trovarle
Pasta con le acciughe Ricetta
Frascatula Ricetta, storia e varianti
Ammacco di fave Ricetta, storia e varianti
Pesce stocco a ghiotta Ricetta
22
Cioccolato
24
Torrone
28
Cous Cous
30
Pistacchio
Storia e lavorazione
Il torrone e il Torronificio Geraci
Vini di Sicilia, una terra superba tra terra, cielo e acqua Make cous cous not war
La sagra del pistacchio di Bronte
Cu mancia fa muddichi
Chi mangia fa briciole
L’atto del mangiare oltre alla sua finalità nutritiva ha sempre avuto, nelle diverse culture anche funzioni simboliche, dimostrative, sociali. Anche la preparazione dei cibi è sottomessa a codici culturali: il cibo viene tagliato, sminuzzato, cotto, conservato, mescolato con altri cibi, secondo particolari tecniche. L’idea di Around Food nasce dalle parole “around” e “world”. Lo scopo del magazine è proprio quello di scoprire ogni regione del mondo dal punto di vista culinario, raccontando la storia, le ricette e le curiosità su alcuni piatti, per apprezzare nuovi odori e nuovi sapori. Il magazine potrà essere utilizzato come una sorta di “mappa del gusto”, infatti sarà proprio una mappa che ci permetterà di individuare più facilmente il piatto tipico di ogni città, e che cosa ne verrà raccontato. Per questo primo numero abbiamo deciso di focalizzare la nostra attenzione sulla Sicilia, da sempre crocevia di molte civiltà, può essere considerata la culla del mediterraneo. Un clima mite ed una natura per certi aspetti incontaminata, isole ed isolette meravigliose, le più belle spiagge del Mediterraneo, fondali marini incantevoli, vulcani attivi, monti e pianure, fanno della Sicilia una meta turistica imperdibile. Visitarla significa immergersi nei colori, negli odori, nei sapori dei tanti fast food di strada che preparano fumanti e succulenti cibi cosiddetti «poveri» di antica tradizione. È un tipo di cucina, che oltre a essere gustosa, può essere realizzata in pochi e semplici passaggi con ingredienti economici. Come in tutte le cucine povere è ricorrente consuetudine il piatto unico; le varie pietanze cucinate in modi differenti e valorizzate dai prodotti del posto finiscono col diventare l’intero pasto. Sfogliando il magazine si potrà vedere come di pagina in pagina la varietà di piatti è considerevole di prodotti, profumi e spezie che testimoniano quanto la Sicilia sin dal tempo dell’antichità si sia trovata al centro di attenzioni di popoli di ogni luogo. La gastronomia siciliana è come immaginare una tavolozza di colori, con tonalità forti, insieme a tinte sfumate.
Palermo
Pane e Panelle
Come prima tappa di questo viaggio attraverso i sapori della Sicilia, abbiamo scelto di proporvi Palermo. Quando si pensa a Palermo è impossibile non pensare ad uno dei suoi piatti tipici per eccellenza, ovvero il Pane con le Panelle, un semplice e prelibato panino imbottito che è l’emblema del tipico spuntino del palermitano. Si possono trovare facilmente in ogni angolo di strada, nelle friggitorie. I “panellari”, così vengono chiamati coloro che preparano questo tipico cibo da strada, possono essere considerati i precursori dei fast food e, perché no, anche dello streat food. Ma andiamo a scoprire l’origine di tale alimento e di cosa si tratta. In età romana i ceci erano largamente usati in cucina, soprattutto sotto forma di polenta ma bisogna anche sapere che la preparazione delle panelle non è sempre stata come quella attuale. Difatti le prime panelle si pensa venissero cotte in dei forni verticali in pietra, gli stessi che venivano impiegati per 8
la cottura di pane dalla orma piatta. È solo in epoca tardo-medievale che si cominciarono a friggere le panelle, probabilmente durante il dominio francese della dinastia Angioina della Sicilia. Le panelle vengono tuttora fritte e sono preparate con farina di ceci, acqua e prezzemolo. La farina viene sciolta in acqua salata e viene girata con un mestolo fino a farla diventare una pasta cremosa, poi viene stesa su un piano, tagliata e fritta. Successivamente vengono servite in mezzo alle Mafalde, delle forme di pane ricoperte di semi di sesamo. Oltre al pane con le sole panelle, si può mangiare anche la variante con panelle e “cazzilli”. I cazzilli vengono chiamati dai palermitani così per esprimere in maniera molto grossolana le crocchè (da crocchette) di patate. Quest’accoppiata, gustata ancora fumante , insieme ad un panino, è un formidabile pasto completo ed economico.
I quattro migliori posti dove mangiarle Francu U Vastiddaru Panelle croccanti fuori e morbide dentro, frittura asciutta. Un po’ sapide gustate da sole, ma perfette dentro al panino.
Da Aurelio Usa un panino lungo e non quello tondo. Nelle panelle perfettamente fritte al momento e condite “a vista” con sale e pepe, c’è la menta. La freschezza data dalla menta contrasta egregiamente la frittura.
Antica friggitoria Panini con le panelle dal 1947 in questa friggitoria nei pressi della Stazione centrale. Qui le panelle si gustano in purezza, senza prezzemolo o menta, e sono giustamente fritte al momento.
Antica Panelleria Da Nino Una gastronomia tradizionale che propone panelle semplici, spesse e croccanti. Il pane cede bene al morso, ma rimane piacevolmente tenace e non si sfalda.
9
Siracusa
Pasta con le acciughe 20 minuti 320 gr. di spaghetti 250 gr. di pomodorini 1 cipolla 3 acciughe sottolio 30 gr. di pecorino pangrattato olio extravergine d’oliva
Preparazione
4 persone
Tagliare la cipolla a lamelle sottili e far appassire in due cucchiai di olio. Tagliare i pomodorini in quattro parti ed aggiungere alla cipolla. Regolare di sale e di pepe, aggiungere mezzo bicchiere d’acqua, coprire, abbassare la fiamma e far cuocere per una decina di minuti. In un’altra padella, far rosolare le acciughe in un filo d’olio fino a quando non saranno completamente sciolte, poi aggiungere qualche cucchiaio di pangrattato in modo da ottenere una consistenza umida ma non unta. Tostare per qualche minuto e spegnere il fuoco. Cuocere la pasta in abbondante acqua salata, scolare al dente e saltare in padella con i pomodorini e la cipolla. Aggiungere anche il pangrattato, mischiare bene, spolverare con pecorino grattugiato e servire.
sale e pepe
11
Enna
Frascatula Polenta siciliana, storia e varianti La frascatula, gustoso piatto contadino ideale per queste giornate invernali, è un’antica ricetta tipica di Sperlinga (in provincia di Enna). Si tratta di una polenta a base di farina di cereali, mista qualche volta volte a farina di legumi e cotta nell’acqua nella quale sono state precedentemente lessate differenti verdure, delle quali prenderà gusto e colore. Già ai tempi dell’antica Roma si usava cuocere la farina di grano e di altri cereali, nonché di legumi, insieme a verdure, per preparare una sorta di densa minestra chiamata “puls”. Nata come preparazione povera, di vera sopravvi-
Preparazione
20 minuti 1 mazzo di broccoletti 1 mazzo di bietole 1 mazzo di finocchietto 400 gr. farina di semola di grano duro olio extravergine d’oliva peperoncino macinato sale
12
venza, con il tempo e le migliorate condizioni di vita al frugale piatto antico si aggiunsero salsicce, lardo o pancetta ad arricchirne il gusto. La frascatula alla vecchia maniera, solo verdure e farina, variando però le verdure e sostituendo a volte la semola con farina di timilia e farina di ceci. Le verdure presenti in questa preparazione sono erbe spontanee: cicoria, borragine, bietole, asparagi, finocchietto, amarelli, senape e cavolicelli, ma anche verdure coltivate, come broccoletti, cavolfiori e cime di rapa.
4 persone
Lavare e pulire le verdure eliminando i gambi più duri.Cuocerle in circa 3 litri d’acqua bollente, salata. Nella stessa pentola versare la farina di semola, una manciata alla volta, lentamente e mescolando subito in modo da evitare che si formino grumi. Lasciare cuocere, mescolando di continuo, per una decina di minuti sino ad ottenere la densità desiderata. Appena pronta distribuire nelle scodelle, condire con un filo d’olio e un pizzico di peperoncino macinato e servire ben calda accompagnata da pane abbrustolito.
Agrigento
Ammacco di fave Ricetta, storia e varianti Non so se avete mai sentito parlare del macco di fave. Il macco di fave, tra le più antiche e gustose ricette siciliane, che trae origini dall’antica Grecia, è un autentico piatto della cucina povera contadina. La zuppa, infatti, veniva offerta alla fine del raccolto ai lavoratori del terreno. Si tratta di una crema realizzata con una cottura prolungata di fave secche alle quali viene aggiunta una verdura e servita con il solo condimento di olio extravergine di oliva e viene degustata come minestra o come piatto unico. Il macco di fave, in siciliano “Màccu di favi”, trae origine nella provincia di Agrigento, in particolare nel comune di Raffadali e la sua preparazione è diffusa in tutta la Sicilia. A pasta co’ maccu è la pietanza tipica della festa di San Giu-
20 minuti 500 gr. di fave secche decorticate 20 gr. di spaghetti spezzati 1 carota 1 costa di sedano finocchietto selvatico 4 cucchiai di olio extravergine 1 spicchio di aglio 14
seppe. In genere il macco viene preparato con le fave secche decorticate, ma noi non vogliamo presentarvi la versione con le fave fresche; il procedimento è sostanzialmente uguale: nella versione con le fave secche dovete solo ricordare di mettere le fave a bagno la sera prima, mentre qui dovete perdere un po’ più di tempo a pelare tutte le fave, ma il risultato è squisito. Oggi ci sono molte varianti; tra le più comuni si utilizzano la pasta, il finocchietto, la cipolla, aglio e olio, e naturalmente le fave secche. É un piatto unico molto saporito e la zuppa può risultare più o meno densa a seconda della preparazione. Le fave vanno cotte fino quasi a sciogliersi e danno alla zuppa la tipica consistenza.
Preparazione
4 persone
Sciacquare accuratamente le fave secche e metterle a bagno per 2 ore in acqua fredda. Tagliare a dadini la carota e il sedano, a fettine sottili la cipolla. Soffriggere le verdure e l’aglio in camicia nell’olio extravergine d’oliva, quindi rimuovere l’aglio e unire le fave secche ben scolate, il rosmarino e il finocchietto tritato. Rosolare il tutto e coprire con acqua. A questo punto, dovete solo coprire con un coperchio e fare cuocere a fuoco basso finché le fave non inizieranno a disfarsi: mescolate spesso e aggiungete ogni tanto acqua tiepida. Quando avrete ottenuto una crema densa e profumata, con piccoli pezzi di fave all’interno, aggiustare di sale e unire gli spaghetti. Portare la pasta a cottura, aggiungendo se necessario ancora dell’acqua tiepida, fare riposare 5 minuti la zuppa e servire il macco di fave dopo averlo profumato con un filo di olio extravergine e pepe nero macinato fresco. Servire immediatamente. Il macco è buonissimo anche senza la pasta se preferite con olio,sale e pepe.
16
Attorno alla tavola il racconto di una vita Intorno alla tavola si mangia, si dialoga, si mettono insieme esperienze e differenze. Ogni atto legato al cibo, anche il più semplice e quotidiano, esprime una cultura. E dentro ci passano gusti e sapori, ma anche storie e saperi Elementare e universale. Semplice e complesso. Contemporaneo e tradizionale. Unico e sacro. Dentro al cibo e attorno alla tavola ci sta il mondo. Con tutto il suo caleidoscopio di colori, sfaccettature, narrazioni. A qualsiasi latitudine accada. In qualsiasi posto ci si trovi. In qualsiasi epoca si sia vissuti. A qualsiasi tavola si sia seduti: da quella del refettorio di un antico monastero sino a quella di un pranzo regale; dall’umile desco di una famiglia contadina fino al cibo sigillato delle mense aziendali e scolastiche. Ogni gesto, anche il più povero e quotidiano, porta con sé una storia ed esprime una cultura. Attorno alla tavola si mangia e, al tempo stesso, si dialoga, si mettono insieme esperienze e differenze, si trova un accordo o ci si riconosce nelle reciproche disuguaglianze. Attraverso il cibo passano gusti e sapori, ma anche storie e saperi. Attorno al cibo possiamo scoprire la nostra storia personale e, insieme, quella della collettività. Esso è conoscenza, incontro e, prima di tutto,
condivisione. Nell’antica Grecia il pasto principale era detto logodeipnon, vale a dire banchetto di parole. «Non ci invitiamo l’un l’altro per mangiare e bere semplicemente, ma per mangiare e bere insieme» afferma Plutarco nelle Dispute conviviali. La parola convivio (dal latino, cum-vivere) mette sullo stesso piano il vivere insieme e il mangiare insieme. «A tutti i livelli sociali la partecipazione alla mensa comune è il primo segno di appartenenza al gruppo – scrive Massimo Montanari, storico dell’alimentazione –. Ancora oggi, in varie espressioni dialettali, la casa si identifica con il cibo: “Andiamo in casa”, nel lessico tradizionale romagnolo, vuol dire “entriamo in cucina”». Preparazione, assunzione, condivisione del cibo non sono altro che la grande metafora della vita. Ogni volta inedita. Tutte le volte carica di sorpresa e stupore. Nel cibo pronto sulla tavola, sia esso un piatto stellato che una semplice frittata con le erbette raccolte nei campi, possiamo scorgere una serie contagiosa di gesti d’amore.
17
La cultura siciliana si gusta a tavola con i “babbaluci” Claudio e Clara, due giovani palermitani, promuovono l’Isola da chef a domicilio
Il cibo è cultura, si sa: ma lo chef Claudio Troìa, 28 anni, e la 25enne dottoressa in Diritti umani Clara Montalbano, palermitani doc emigrati a Padova, compagni di vita da 5 anni, da novembre stanno declinando questo assioma in una maniera originale, portando nelle case dei loro clienti la cucina siciliana. Claudio e Clara si sono infatti inventati il mestiere di chef a domicilio e itinerante, con la particolarità che, quando cucinano, spiegano a clienti e ospiti tutto ciò che ruota attorno alle prelibatezze siciliane. E, come le lumache si portano appresso la propria casa, anche i due siciliani - che per questo hanno denominato la loro attività “I Babbaluci” - portano la loro Isola in giro per il mondo.
«Sono arrivata a Padova - racconta Clara Montalbano - 3 anni fa per la laurea magistrale. Claudio, che ha studiato all’Alberghiero, da 10 anni lavora ai fornelli: mi ha seguito a Padova per lavorare nei ristoranti, visto che in Sicilia le condizioni erano molto precarie. A novembre abbiamo avviato questa attività e devo dire che sta andando molto bene». Ma facciamoci spiegare meglio quest’iniziativa attraverso un’intervista più approfondita. In cosa consiste? «Il cliente ci contatta, concordiamo assieme un menù e poi pensiamo a tutto noi: facciamo la spesa, arriviamo a casa del cliente, cuciniamo con le nostre pentole e serviamo. Claudio, che è lo chef principale, spiega l’origine e i nomi dei piatti e tutta la storia che c’è dietro le pietanze». Cosa offrite in più degli altri cuochi? «Il nostro tratto distintivo è quello di esportare la cultura siciliana al di fuori dell’Isola. Abbiamo unito questi due aspetti: gusto e spiegazione. Andiamo a casa delle persone e la gente può anche assistere alla alla preparazione dei piatti, a seconda di quanto richiede il cliente. È interessante perché c’è chi chiede consigli, ricette, suggerimenti. E i piatti sono sempre “conditi” anche dal racconto, dalla spiegazione.»
Quali sono i cibi di tendenza? «Lo street-food per quanto riguarda le feste va alla grande, perché in Veneto è introvabile. E poi il pesce, ma con particolarità siciliane: ad esempio, facciamo la pasta col pesto di pistacchio di Bronte e i gamberi. Comunque, prevalentemente va molto il pesce, la cucina tradizionale come la caponata di melanzane e lo street-food». Avete ricevuto sostegno da parte della burocrazia? «Ovviamente no. Lo Stato italiano non incentiva questo tipo di attività. Non abbiamo potuto aprire una partita Iva, perché la nostra attività non è contemplata tra le professioni. Io consiglierei ai giovani di inventarsi un lavoro e buttarcisi a capofitto, però l’Italia non agevola ciò». Cosa consiglierebbe, allora, ai giovani? «Consiglierei di fare ciò che si ama per avere soddisfazioni. Non è importante il guadagno: queste sono soddisfazioni che non sono paragonabili al lavoro fisso. Noi abbiamo scelto di fare quello che ci piace, che ci dà soddisfazioni».
19
Messina
Pesce stocco a ghiotta 20 minuti un kg di pesce stocco ammollato 600 g di patate 100 g di olive verdi snocciolate un cucchiaio colmo di concentrato di pomodoro 600 g di pomodori freschi pelati 2 cipolle medie sedano 2 foglie di alloro 2 cucchiai di capperi 50 g di uvetta 50 g di pinoli 6-7 cucchiai d’olioextravergine d’oliva
Preparazione
4 persone
Pulisco il pesce stocco dalle spine e dalle pellicine scure interne ma lascio la pelle, poi lo taglio a pezzi grossi. Divido le cipolle a metà, le affetto e trito il sedano (lascio da parte le foglioline). Scaldo l’olio in un tegame largo, unisco sedano e cipolle e faccio appassire molto dolcemente (se necessario unisco un goccio d’acqua in modo che la cipolla si cuocia bene senza prendere colore). Intanto sciacquo bene i capperi e divido le olive a metà. Quando il soffritto è pronto, rialzo la fiamma e sistemo nel tegame lo stoccafisso, ben asciugato, con la pelle in sotto. Dopo un paio di minuti, insaporisco con sale e pepe e aggiungo i pelati e il concentrato diluito in una tazza di acqua calda. Di seguito unisco le foglioline di sedano tritate, le foglie di alloro, i capperi, le olive, l’uvetta sciacquata in acqua tiepida, e i pinoli. Copro e proseguo la cottura a fuoco dolce per circa un’ora, senza mescolare ma muovendo ogni tanto il tegame per evitare attaccature. Nel frattempo sbuccio le patate, le taglio a spicchi e le sciacquo. Le aggiungo allo stoccafisso dopo l’ora, disponendole in uno strato sul pesce. Le salo e proseguo la cottura, sempre a fuoco dolce per circa tre quarti d’ora finché le patate sono tenere e il sugo giustamente addensato e sciropposo. Anche durante la cottura delle patate, non mescolo ma muovo il tegame tenendolo per i manici oppure sposto un po’ i pezzi di pesce con una spatola di legno. Se il sugo si asciuga troppo, unisco un mestolo di acqua calda. Servo la preparazione direttamente nel recipiente di cottura.
sale,pepe
21
Ragusaa
Cioccolato di Modica Unico perché semplice
Per le popolazioni del centro america il cioccolato era molto importante, veniva usato nell’alimentazione perché molto nutriente, era considerato una medicina e un mezzo per comunicare con le loro divinità. Gli Atzechi preparavano una pasta di cacao tostando e schiacciando i semi di cacao sul metate, uno strumento di pietra dalla forma curva su cui lavoravano il cacao con un mattarello. Il metate veniva riscaldato permettendo di lavorare la pasta di cacao e di aromatizzarla con delle spezie, tra le più comuni la cannella e il peperoncino. ll cioccolato una volta indurito veniva consumato in pezzi o sciolto in una bevanda calda, la Xocoatl. I conquistatori spagnoli una volta imparata la tecnica di preparazione introdussero il cioccolato in Spagna e nella Contea di Modica tra il Cinquecento e il Seicento. A Modica, capitale della Contea, la produzione di cioccolato si radicò e resistette al passare dei secoli man-
22
tenendo la lavorazione a freddo che rende questo cioccolato unico. I nobili ne andavano ghiotti. Con il passare del tempo il consumo del cioccolato tipico calò. Negli ultimi anni però la tendenza è cambiata, il cioccolato di Modica è tornato ad essere molto apprezzato anche lontano dai confini modicani.
COM’È FATTO? Solo cacao, zucchero e spezie. La pasta di cacao viene lavorata ad una temperatura che non supera i 35/40 gradi, i cristalli di zucchero non si sciolgono e rimangono evidenti nel prodotto finale insieme alle spezie. Dopo averla accuratamente lavorata, la pasta di cacao viene disposta negli stampi che verranno battuti per disporre il composto omogeneamente.
Caltanissetta
Il torrone Geraci La città siciliana di Caltanissetta è tradizionalmente legata alla produzione di un ottimo torrone, rinomato in tutta Italia. “ U Turruni”, così viene chiamato in dialetto siciliano, ha influenza araba e si distingue per la presenza del pistacchio e delle mandorle, coltura prevalente in questa zona della Sicilia. Da più di un secolo Caltanissetta è considerata luogo di produzione del torrone. Nel periodo ottocentesco esisteva in città una serie di attività legate alla produzione di questo dolce, già allora considerato una tradizione radicata. Seppur si cerchi di mantenere alta la fama della città nella produzione di questo dolce delizioso, adottando dei metodo artigianali ed ingredienti scelti tra la migliore produzione agricola locale, è anche vero che molte realtà produttive di allora non esistono più. Il Torrone tradizionale o ‘bloc’, a pasta dura, è preparato con miele, albume d’uovo, zucchero e sciroppo di glucosio. Le maestranze mescolano gli ingredienti in una caldaia dal fondo di rame, simile alle caldaie utilizzate anticamente e, nella fase finale di una cottura che dura otto ore e avviene a fiamma bassa, aggiungono mandorle di varietà tuono calibrata e pistacchi siciliani. Al termine della cottura, l’impasto è distribuito in ‘telai’, spesse e alte cornici di legno di forma rettangolare. Il torrone è quindi steso e lavorato con mattarelli, anch’essi in legno e il verbo utilizzato per descrivere questa fase è incorporare (‘intularare’, in dialetto). Le maestranze distribuiscono quindi altro pistacchio siciliano di prima scelta, tritato con la macchina raffinatrice, sulla superficie dei blocchi di torrone. I telai contenenti il torrone vengono posti sotto una pressa (anticamente manuale, 24
oggi idraulica) che uniforma la superficie del torrone e ne fissa meglio il pistacchio sulla superficie esterna. Quando il torrone si raffredda, le maestranze lo estraggono dai telai e lo tagliano in pezzature. Quest’ultima fase è resa possibile da una macchina chiamata, in gergo, ‘taglierina’, mentre l’intero ciclo di preparazione del torrone è detto, sempre in gergo, la ‘fatta’. La diffusione sempre più massiccia dei torroni monodose di produzione industriale e a basso costo, sta mettendo seriamente a rischio la sopravvivenza dell’antica ricetta di Caltanissetta che, pertanto, ha ottenuto la tutela della Fondazione Slow Food e della sua Arca del Gusto. Per tenere viva la tradizione legata a questa ricetta in città si celebra la Festa del Torrone Siciliano di Caltanissetta.
DOLCE & GABBANA SCEGLIE IL TORRONIFICIO GERACI Anche quest’anno Dolce & Gabbana ha scelto una città del Sud per presentare le sue nuove creazioni dedicate alle Alte Artigianalità. Dal 6 al 10 luglio, saranno presentate a Palermo le Collezioni Alta Moda, Alta Sartoria e Alta Gioielleria Dolce & Gabbana. Per l’evento conclusivo delle quattro giornate di presentazioni, Dolce & Gabbana sceglie i torroni e le specialità dello storico Torronificio Geraci di Caltanissetta.
L’arte enologica nulla può creare che non sia già presente in natura nelle uve trasformate, ecco la ragione della bontà dei vini siciliani: vitigni che, dall’antichità, si sono integrati nei terreni trovando un habitat naturale unico; l’esperienza e la passione contadina in simbiosi per 365 giorni l’anno con i vigneti che vengono vissuti con la stessa intensità ed attenzione che si dedica ad un bambino appena nato; il silenzio quotidiano interrotto solo dal dolce fruscio del movimento rotatorio delle pale eoliche; un team di agronomi ed enologi di grande esperienza, la cui prima missione è quella di trasferire in bottiglia, intatte, le peculiarità di uve uniche.
L’arte del vino Vini di Sicilia, una terra superba tra terra, cielo e acqua Menfi Nero D’avola Doc
Etna Rosato Doc
Cusumano Merlot
Il Brusio Rosato Doc
la combinazione dei prodotti tipici regionali e di questo vino permettono di creare una gastronomia saporita e gustosa, ed indicata per tutti i gusti.Tanti gli utilizzi in cucina del vino Menfi Nero D’avola Doc in particolare nei seguenti abbinamenti involtini di vitello con prosciutto crudo in tegame, agnello fritto in salsa agrodolce, pollo con peperoni.Va sempre servito in bicchieri ampi, tipo il ballon, per esaltarne gli aromi.
tanti gli utilizzi in cucina del vino Alcamo Merlot Doc specialmente nei seguenti abbinamenti involtini di vitello con provola, pasta al ragu, pollo alla diavola.Da ricordare che il vino Alcamo Merlot Doc, come la maggior parte dei rossi, va servito a temperatura ambiente, dai 12° ai 15° in bottiglia, dai 14° ai 15° nel bicchiere, e che va sempre servito in bicchieri ampi, tipo il ballon, per esaltarne gli aromi.
è abbinabile a infinite piatti che possono andare dall'aperitivo al secondo. Normalmente però per evitare un abbinamento non consono al Etna Rosato Doc ecco alcuni consigli sui piatti che meglio si sposano con questo vino rosato: penne tonno melone e aceto balsamico, fusilli alle acciughe e tonno, cozze gratinate.
è prodotto nelle tenute viticole del comune di Erice. Ha un colore rosato brillante con riflessi corallo, dal profumo delicato con evidenti sentori di fragola e note di lampone maturo. Ha un sapore fresco persistente e fruttato ed è ideale se abbinato a un aperitivo o con zuppe di pesce, verdure grigliate, carni bianche e pesce alla griglia.
Alcamo Bianco Bianco Secco
Passito Di Pantelleria Zibibbo Doc
presenta dei determinati abbinamenti con le ricette della nostra tradizione culinaria, il che significa che in generale si è liberi di servirlo quando e come si vuole ma se vogliamo celebrarlo proprio all'ennesima potenza allora va servito a zuppa di pesce, spaghetti alla bottarga, spiedi di salmone, trota salmonata.
in generale questo tipo di vino riesce a sposarsi bene conbuona parte delle specialità della regione, ma se volete gustarne appieno l'essenza allora vi consigliamo le seguenti ricettecassatelle, torta anacapri alle mandorle, crostata di pasta di mandorle con confettura di albicocche, torta di datteri.
Alcamo Grillo Doc
Malvasia Delle Lipari Doc
in generale questo tipo di vino riesce a sposarsi bene concon quasi tutti i prodotti del territorio, ma se volete gustarne appieno le magnifiche caratteristiche allora vi consigliamo le seguenti ricetterisotto ai frutti di mare, filetto di luccio al vino bianco, scamorza, olive ripiene.
in generale questo tipo di vino riesce a sposarsi bene concon quasi tutti i prodotti del territorio, ma se volete gustarne appieno il gusto allora vi consigliamo le seguenti ricettetorta di marzapane all'ananas, bavarese alla pesca, pasticceria secca.
27
Catania
La sagra di Bronte Per il turista in visita in Sicilia recarsi a Bronte, vuol dire tuffarsi fra i Parchi dell’Etna e dei Nebrodi ricchi di flora e di fauna, incontrare una cucina particolare, scoprire tradizioni che caratterizzano la storia di un popolo che affonda le sue radici nel passato. È denominata la Città del Pistacchio, proprio perché è il pistacchio che la caratterizza e l’ha resa famosa in tutto il mondo. La Sicilia è l’unica regione italiana dove si produce il pistacchio e Bronte, con oltre tremila ettari di coltura, ne rappresenta l’area di coltivazione principale con una produzione dalle caratteristiche uniche che ne fanno un prodotto di nicchia di grande valore. Il pistacchio era già conosciuto dai greci e dai romani, ma è entrato a far parte delle coltivazioni agricole in Sicilia solo grazie agli arabi che hanno scoperto che sul territorio di Bronte la pianta su cui effettuare l’innesto cresceva spontaneamente. Ed è proprio a Bronte che ogni hanno si tiene la tradizionale sagra dell’oro verde di Bronte, il pistacchio. L’Expo del Pistacchio di Bronte promuove lo squisito frutto verde che cresce alle pendici dell’Etna e i prodotti da esso derivati. Il pistacchio di Bronte è particolarmente pregiato e ricercato per il suo sapore aromatico e gradevole in pasticceria, in gelateria e per aromatizzare e insaporire molte vivande. L’olio, estratto dal frutto, trova anche applicazione in dermatologia per le sue alte doti emollienti e ammorbidenti. Ma è chiaramente in cucina che il pistacchio diventa un re. Pistacchio non è solo sinonimo di dolci, ma nutriente condimento per i primi piatti. Durante l’evento viene lasciato spazio non solo ai palati e agli amanti del gusto, ma anche agli
artisti che si incontreranno lungo Corso Umberto e nel centro storico della cittadina. Tutti gli appuntamenti in programma fanno parte di quello che, attraverso la Sagra del Pistacchio, è diventato un vero circuito turistico del gusto, ma anche delle tradizioni e dell’arte. La città di Bronte offre, infatti, non solo l’oro verde che produce, ma anche numerosi monumenti storici che potranno essere visitati dai turisti che raggiungeranno la città nei giorni indicati.
PISTACCHI, BENEFICI Tra le diverse tipologie di frutta secca i pistacchi sono considerati i più utili per tenere a bada il colesterolo alto quando i valori di colesterolo LDL rischiano di superare i livelli di sicurezza. Meglio ricordare di seguire sempre una dieta bilanciata e ricca di cibi vegetali per tenere a bada il colesterolo, che è presente solo nei cibi di origine animale oltre ad essere prodotto dal nostro organismo.
29
Trapani
Cous Cous Fest
Make cous cous, not war In origine, nella società tradizionale del Nord Africa, era una sorta di rito che le donne si riunissero a gruppi per preparare insieme il cous cous, preparazione che richiedeva molta lavorazione e tempo. I granelli di cous cous una volta che venivano formati potevano essere seccati al sole e duravano parecchi mesi. Al giorno d’oggi, quella sorta di rito è andato a perdersi e la produzione del cous cous è in gran parte meccanizzata e tocca il mercato a livello mondiale. Sebbene il cous cous abbia origini Nord Africane e sia definito il “piatto nazionale” dei Berberi, è anche un alimento tipico della regione Siciliana, in particolare del Trapanese e delle zone limitrode come Favignana e San Vito Lo Capo. Il “cuscusu di pesce”, così chiamato in dialetto, è un piatto tipico della cucina trapanese e viene utilizzato quasi quotidianamente. Viene cotto a vapore in una pentola di terracotta smaltata e il condimento, a differenza di quello magrebino, è un brodo di zuppa di pesce, detto Ghiotta. Ed è proprio a Trapani, o per essere più precisi a San Vito Lo Capo, punta di diamante della provincia di Trapani, che ogni anno, dal 1998, i primi di Settembre si tiene il Cous Cous Fest, un evento gastronomico internazionale. E San Vito Lo Capo è la perfetta commistione di quanto c’è di più bello nel Mediterraneo, la sintesi perfetta di colori, profumi, scorci e scenari indimenticabili. Il mare di un turchese cristallino, la spiaggia di sabbia bianca e finissima, il fucsia acceso delle bouganvillee, l’oro del tramonto e del cous cous. Questo evento nasce dalla voglia di mettere attorno ad un semplice piatto della cucina mediterranea, la passione per il cibo, lo scambio culturale, la 30
pace tra i popoli e tanta buona musica. È una festa di sapori e civiltà che celebra ogni anno il cous cous come piatto della pace e dell’integrazione. L’evento dura circa dieci giorni e coinvolge gli chef mondiali e non. È possibile assistere a dei “Cooking show” a cui prendono parte grandi chef, foodblogger e personaggi famosi in cui popongono le loro ricette al pubblico. Sei cuochi italiani,selezionati attraverso un contest nazionale, si sfidano per vincere il titolo di Miglior Chef italiano 2018 e successivamente per rappresentare l’Italia al Campionato del Mondo di Cous Cous, altra gara che si tiene durante l’evento. Il cous cous, vero protagonista della rassegna, è disponibile nelle tradizionali Case del Cous Cous, i punti di degustazione del piatto della pace che mettono a disposizione oltre quaranta ricette di cous cous, tra le versioni più stravaganti e i sapori della tradizione. Al villaggio gastronomico, aperto dalle 12 alle 24, anche i dolci più golosi della tradizione siciliana, abbinati ad etichette selezionate. Di sera San Vito Lo Capo si trasforma in un infinito tappeto di braccia danzanti e la musica vibra e avvolge tutto. Grandi concerti gratuiti in Piazza Santuario o in spiaggia, ma anche spettacolo e approfondimento culturale con giornalisti e ospiti prestigiosi.
discover an island treasure in the heart of the sea