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L’icona intramontabile che fa sognare il mondo
editoriale Ogni giorno incontriamo immagini, marchi, brand, segnali; osserviamo continuamente stimoli provenienti dalla città in cui abitiamo. Il design è intorno a noi ma non tutti hanno questa consapevolezza. “MEETDESIGN” è un magazine che analizza il mondo del design con l’obiettivo specifico di sensibilizzare coloro che sconoscono questo curioso e variegato ambito. Ci interessa arrivare alla consapevolezza che dietro quel che vediamo il più delle volte, si nascondono una complessa progettazione e dei grandi protagonisti che hanno fatto la storia del progetto grafico e non solo. Elena Pirrone, Giuseppe Parisi.
Direttori responsabili Elena Pirrone Giuseppe Parisi pirronelena@gmail.com g_parisi@icloud.com Direttore editoriale Marco Lo Curzio Ufficio Grafico Elena Pirrone Giuseppe Parisi Redazione Elena Pirrone Giuseppe Parisi Ufficio Stampa press@meetdesign.com Stampa Officina della Stampa Via Gabriele D’Annunzio, 42-44, 95128 Catania CT 095/509341 www.officinadellastampa.com Prima edizione Febbraio 2018
indice
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news
EUGENIO
«Potevamo affidarci ad un carattere già esistente, abbiamo preferito invece commissionarne uno ad hoc. Lo studio a cui ci siamo rivolti è lo stesso che ha disegnato il font del Guardian». La Repubblica
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a Repubblica esordisce nelle edicole del Belpaese nel 1976, su iniziativa editoriale di Eugenio Scalfari, già direttore del settimanale L’Espresso.
Bodoni dalle origini Il font con cui il quotidiano è sempre stato presentato è il Bodoni, un carattere con grazie disegnato dal tipografo italiano Giovanni Battista Bodoni nel XVIII secolo. La particolarità del font è l’enfasi posta sui tratti verticali dei caratteri, che donano un aspetto pulito ed elegante, anche se con qualche problema di leggibilità dovuto alla continua alternanza di linee spesse e sottili nella riga di lettura.
Eugenio figlio del Bodoni D al Bodoni trova la sua origine il nuovo font di Repubblica, l’Eugenio, creato su commissione della testata dallo studio newyorkese Commercial Type di Paul Barnes e Christian Schwartz. Il progetto grafico, pensato da Angelo Rinaldi e da Francesco Franchi vuole reinterpretare l’originario carattere in modo innovativo e contemporaneo. I designer hanno riadattato il font Bodoni per renderlo ancora più leggibile, creando tre famiglie: il serif, usato per la prima parte delle news, il sans serif, utilizzato per spezzare la lettura nel passaggio alla sezione Cultura e Spettacoli, indicando visivamente un cambio di ritmo e introducendo il lettore a una lettura più rilassata. Infine il text, approntato per i testi degli articoli, e pensato in particolare per la stampa dei quotidiani cartacei. L’Eugenio, prende il nome direttamente dal fondatore di Repubblica.
Uso del bodoni su Repubblica La Repubblica ha sempre utilizzato Bodoni nei più svariati modi: il classico serif era ampiamente utilizzato per le notizie e la cronaca e il sans senza grazie appariva in tutta la sua semplice eleganza pulita e lineare nella sezione Cultura e Spettacoli, segnalando così anche visivamente un cambio di ritmo, di argomenti e trasportando verso una lettura più leggera.
Non è solo un omaggio ma un tornare alle origini, al quotidiano che rivoluzionò il modo di fare giornalismo. Eugenio Scalfari, direttore di Repubblica
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@ Gianluca Carotenuto
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A DAY WITH...
di Elena Pirrone
interview
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ggi ci troviamo in compagnia di Marco Lo Curzio, docente di grafica presso l’Accademia di Belle Arti di Catania dal 2006. Laureatosi in Architettura, si specializza in Interface Design e Comunicazione interattiva presso la Domus Academy. Parteciperà alla Biennale di Giovani Artisti del Mediterraneo a Torino nel 1997 e due anni dopo dirigerà Sciara srl, una società di media design e produzione cinematografica. Dal 2000 si occuperà di comunicazione per enti pubblici e privati con particolare riferimento ai campi dell’editoria indipendente, del brand design e della grafica informativa. Conosciamolo meglio! Quale metodo di concentrazione adotta e trova più utile? Non credo esistano vere formule per trovare la concentrazione a comando. Credo però nei metodi che ti permettono di raggiungere buoni risultati anche con poca concentrazione; il problema è infatti che spesso, in progettazione, si lavora in situazioni dove è necessario dare risposte rapide a problemi precisi senza potere aspettare un particolare stato di grazia. È importante costruirsi delle proprie personali procedure, tra il tecnico e il rituale, che permettono di controllare i problemi, analizzarli e avviarli alla soluzione anche senza una speciale lucidità. Personalmente credo molto nella cosiddetta teoria del “tempo di avvio”, che sostiene che la nostra attenzione raggiunge un picco dopo un certo tempo in cui divaga; pare che ognuno abbia il suo tempo di “riscaldamento” mentale, che si raggiunge svolgendo attività diverse, spesso manuali o meccaniche, paradossalmente lontane dal problema stesso. Insomma, a volte se ti inchiodi alla sedia non concludi niente, se lavi l’insalata si.
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Quante ore in media dedica al suo lavoro? Se contiamo i tempi di avvio che dicevo prima, in realtà le giornate spesso non sono veramente così separabili tra dentro e fuori il lavoro, almeno nel nostro settore; insomma a volte si comincia già a colazione a ragionare e magari si finisce prima dell’orario reale che ci si è prefissati. Il problema è convincere i clienti che a volte quando fai colazione dovresti essere pagato… Secondo lei, chi è il creativo? E a tal proposito si sente un progettista, un creativo o entrambi? Creatività è una bella parola spesso scambiata per “talento”. Non è così, sono più di scuola munariana: la creatività è una forma di concentrazione, dunque un’attitudine che tutti abbiamo ma che bisogna esplorare, coltivare, educare e soprattutto orientare dentro un processo progettuale. Che invece è un’attività concreta, determinante per la nostra evoluzione. Se potesse vivere la vita di un creativo per un giorno. Chi sceglierebbe e perché? Non ho particolari mitologie, penso che i veri “creativi” possano essere ovunque; piuttosto tendo ad infatuarmi di manifestazioni creative inaspettate. Avevo un meccanico straordinariamente capace nel suo mestiere, che la sera andava a ballare il tango, e vinceva anche parecchi premi. Ecco, un giorno della sua vita credo mi sarebbe piaciuto viverla. Qual è il suo rapporto con l’estetica nella quotidianità: i colori, l’ordine, le lettere, lo spazio? Leggo e discuto (con me stesso) il design di ogni etichetta, dallo yogurt alla carta igienica. È una specie di mania, credo patologica, ci perdo davvero molto tempo, se sapete come uscirne ditemelo, vi prego.
interview
Ha un’ossessione grafica particolare? Ho una certa predilezione per i puntini, ma generalmente sono passioni passeggere. Penso comunque che delle ossessioni “sane” siano necessarie, Sagmeister dice: le ossessioni rendono la mia vita peggiore ma il mio lavoro migliore. Quali sono, secondo lei, le caratteristiche di un “buon design”? Coerenza tra intenzioni e risultati. È sempre stata questa l’ispirazione ed il mestiere che sognavate fare? No, alla maturità alla domanda – cosa farai dopo? – risposi, molto sicuro, scienze biologiche. Poi, coerentemente, mi iscrissi in architettura, e fu grande passione, per la gestione dello spazio in generale. Progettare una casa non è molto diverso da progettare un libro, è per lo più una questione di scala, poi si tratta in entrambi i casi di organizzare un’esperienza sensibile. Cosa consiglierebbe ai giovani designer emergenti? Per consigliare a giovani designer dovrei essere un vecchio designer… Una volta ad una conferenza di un architetto molto famoso, un ragazzo fece una domanda simile, e l’architetto rispose, dopo un lungo silenzio: – Fate ginnastica. Mi è sempre sembrata una risposta fantastica. Qual è il motto di vita che le andrebbe di condividere? Non amo motti o formule, l’avete capito ormai; però adoro “Festina lente”, il motto di Aldo Manuzio, “affrettarsi con lentezza”, mi sembra un bell’augurio di vita.
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LA VESPA L’icona intramontabile che fa sognare il mondo di Elena Pirrone
Il vento che ti accarezza il viso, la strada che va, il senso di libertà che ti scorre nelle vene ad ogni metro. Chi non si è mai sentito così guidando la mitica Vespa? Ti sei mai chiesto perché tantissimi turisti decidono di noleggiare una Vespa per visitare il nostro paese? La famosa due ruote è un simbolo intramontabile del design italiano, è un’icona di stile conosciuta ovunque! Un’azienda longeva Nel 1945 conclusa la guerra, Enrico Piaggio si trova di fronte alla pesante eredità di un grande complesso industriale da ricostruire. A Pontedera, nello stabilimento Toscano, la produzione era cessata prima della fine del conflitto. Le truppe tedesche, avevano trasportato macchinari e attrezzature distruggendo quello che rimase della fabbrica e degli impianti. Enrico Piaggio nell’analizzare il paese si accorse che mancava di tutto; dalle strade e dalle comunicazioni, ai mezzi di trasporto. Nascevano nuovi bisogni, uno tra i quali era quello di possedere un veicolo che fosse utilitario, di pratico impiego con un costo limitato e di minimo consumo che permettesse ad un gran numero di persone di raggiungere con facilità il luogo di lavoro. Gli ingegneri della Piaggio furono incaricati dall’azienda, che originariamente costruiva motori d’aereo, nel progetto di un veicolo a due ruote che rispondesse alle esigenze dell’epoca. La Vespa della Piaggio fu brevettata il 23 aprile del 1946 negli stabilimenti di Pontedera, frutto dell’unione fra l’abilità di un imprenditore, Enrico Piaggio, e l’ingegno di un progettista come Corradino D’Ascanio, abile ingegnere.
icon I primissimi modelli Vespa MP5 - 1943 Il Prototipo MP5, è stato creato dall’ingegner Renzo Spotti. Questo esemplare non era piaciuto ad Enrico Piaggio perché troppo legato al concetto di motocicletta. La Vespa, invece, aveva un proposito diverso, quello di rimettere in moto l’economia. Vespa MP6 – 1945 Corradino D’Ascanio presenta ad Enrico Piaggio il prototipo MP6 e viene subito apprezzato per l’ampia parte centrale a disposizione del guidatore. E’ un mezzo innovativo che sfrutta molte soluzioni di derivazione aeronautica come la scocca portante, il cambio sul manubrio, il leveraggio della sospensione anteriore per una facile sostituzione della ruota, il freno posteriore a pedale, la leva per la messa in moto ed il motore sotto la sella; tratti che contraddistingueranno la futura Vespa. D’Ascanio veniva dal mondo dell’ingegneria aeronautica, per questo riuscì ad applicare un concetto diverso alla Vespa. L’ingegnere non amava le moto: le reputava scomode, ingombranti, con gomme difficili da cambiare in caso di foratura; evento non certo raro con le strade dell’epoca disastrate dai bombardamenti. La seduta del suo modello, infatti, risultava diversa da quella del modello precedente e riusciva ad offrire il comfort necessario che Piaggio ricercava.
Gregory Peck e Audrey Hepburn, Vacanze Romane, 1953
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Identità e stile La Vespa ha mantenuto nel corso degli anni una sua identità, sapendo intercettare i sogni di libertà, benessere, scoperta, progresso dopo il lungo periodo bellico e interpretando le dinamiche di libertà giovanili, tipiche degli anni Settanta. Oggi, in tempi di congestione del traffico e di ingorghi urbani, la Vespa è sinonimo non solo di stile, ma anche di agilità e di autonomia. Grandi attori e personaggi famosi continuano ad usarla come segno distintivo. Il marchio Il primo marchio Piaggio del 1946 raffigurava uno scudo diviso trasversalmente in due campi: sul blu compariva la lettera “P” e sull’azzurro il logotipo Piaggio composto con diversi caratteri, sia bastoni, sia graziati. Nel 1966 si adottò il marchio con un esagono al cui interno vi era una picca bianca su fondo azzurro; era possibile leggere due lettere “P” speculari o anche la stilizzazione di un insetto con ali spiegate le cui forme venivano attribuite ad una “vespa” o ad una “ape” e l’esagono richiamava la cella di un alveare. Nel 1993 è stato effettuato da Giovanni Brunazzi il redesign del marchio e la ridefinizione dell’immagine aziendale; è stata preservata l’identità precedente e si è lavorato sull’alleggerimento dei pesi e cornici per giungere ad un risultato di maggiore leggibilità anche nelle piccole dimensioni. La scritta Piaggio è “uscita” dal marchio rendendo così il simbolo ed il logotipo legati da un rapporto più moderno e funzionale. Nel 1999 il marchio è stato chiaroscurato ed abbinato ad un lettering più moderno e senza grazie. Nel 2015 un altro restyling, fatto da Interbrand, rende più evidente la cornice esagonale, il carattere utilizzato possiede le aste con lo stesso spessore.
Logotipo Vespa, 1952
icon Il mito della vespa L’abbiamo vista sul grande schermo nelle indimenticabili scene di Vacanze Romane, in cui Audrey Hepburn gira per Roma in Vespa. Anche Nicole Kidman si muove nelle strade di New York con una Vespa, nel film The Interpreter. La Vespa, dunque, è un inno all’ingegno italiano, alla capacità di produrre oggetti indimenticabili, capaci di rimanere nell’immaginario collettivo nazionale e internazionale. Dal momento della sua nascita ad oggi, la Vespa ha definito non solo la storia del motociclo, ma anche e soprattutto quella della comunicazione e della pubblicità.
Primo marchio piaggio, 1946
Restyling del marchio, 1966
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designer
BOB NOORDA Il padre del marchio italiano di Elena Pirrone
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ercorri velocemente la strada ed in lontananza scorgi la F rossa. «Ci vediamo alla Feltrinelli alle 16!» ti raccomandò ieri. Mancava un quarto alle 17 ma fortunatamente l’amico era ancora lì ad attenderti scocciato. Era seduto a sorseggiare un caffè in una tazzina Moak davanti ad uno dei suoi soliti romanzi Mondadori. Riconosciuto subito tra i mille tavoli della libreria. Sei uscito da appena 20 minuti ed hai notato inconsapevolmente tre grandi marchi della storia italiana. Forse 4 visto che nella fretta ti sei accorto di dover fare benzina al distributore Eni vicino casa. Ti sei appena ricordato che prima di rincasare dovrai comprare i croccantini a Kenya e, l’immagine verbale nell’istante in cui l’hai pensato era quella del marchio Coop, il supermercato di fronte al distributore, a pochi metri da casa tua. «Ma mi ascolti o pensi ai fatti tuoi?» «Ho un po’ di marchi in testa» «Cosa?» «Niente!». Bob Noorda è uno dei pochi ad esser riuscito a fare in modo che dei luoghi fisici diventassero immagini nella tua mente. Ebbene sì, quando Riccardo ti ha dato appuntamento alla Feltrinelli, hai pensato al marchio con la F rossa.
pensiero che volesse eliminare il superfluo per cercare di pensare in modo semplice ed agire di conseguenza. «Quando arrivai in Italia gli industriali affidavano ancora la pubblicità ad illustratori e pittori. Siamo stati tra coloro che hanno introdotto la grafica moderna, l’immagine coordinata aziendale, che è un misto di architettura, di interni, di design e di pubblicità.» Noorda di creatività ne sa qualcosa: «Non si può raccontare come vengono le idee. Posso solo dire che è un processo lento, solitario, di creazione e decantazione per trovare la sintesi assoluta. Questo è il difficile. Questo cerco di insegnare ai miei allievi che sono impetuosi, buttano giù subito un’idea e pensano di aver trovato la soluzione». La comunicazione che funziona non si cambia, insegnava. «Un buon progetto di design non deve essere influenzato dalle mode ma deve durare il più possibile». Era un uomo d’altri tempi, che cercò di educare al buon gusto i suoi ragazzi perché un vero designer fa di tutto per curare ogni città dall’inquinamento visivo e per insegnare a farlo nel modo giusto.
La sua matita ha dato un’identità all’immagine dell’industria italiana del dopoguerra. Chi era Bob Noorda Pochi sanno chi sia ma tutti conoscono quello che ha fatto. Nasce ad Amsterdam nel 1927 ed approda a Milano nel 1957 con un diploma dell’Istituto IVKNO. I suoi insegnanti erano tutti professori del Bauhaus ed è per questo che reputava il suo istituto come una scuola di
Marchio Coop, Bob Noorda, 1973
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GESTALT La psicologia della forma di Elena Pirrone
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utti conosciamo le lucine degli alberi di Natale. Quando esse si accendono una dietro l’altra, il nostro cervello non percepisce l’accensione e lo spegnimento di ogni singola lampadina in sequenza, piuttosto percepisce una sola luce che sembra passare da una lampadina all’altra. Questa è la Gestalt! Una forma non è la semplice somma dei suoi singoli elementi perché se viene modificato anche lievemente uno di questi, cambia l’intera percezione della forma stessa. Cos’è la Gestalt Gestalt è una parola tedesca che in italiano assume il significato sia di “forma” che di “rappresentazione“. La teoria della Gestalt, nasce in Germania agli inizi del Novecento e ci aiuta a comprendere come alcune forme vengono percepite più o meno armoniose ed equilibrate di altre. Il nostro rapporto con la realtà è mediato dagli organi di senso i quali si limitano a trasmettere al cervello gli stimoli che hanno colto; è il cervello il vero responsabile di quella che chiamiamo “percezione della realtà”. La realtà è determinata dalle nostre strutture cerebrali e dall’elaborazione che queste fanno delle informazioni sensoriali per trasformarle in forme, suoni ed odori.
mo sguardo di qualcosa per intravedere solo in un secondo momento i dettagli di quella cosa. Uno degli interrogativi più comuni del designer, dunque, è come il pubblico interpreterà certe immagini o forme. E cos’è lo studio della Gestalt se non il miglior modo per rispondersi? I principi della Gestalt applicati Ma quali sono i processi grazie ai quali la mente riesce ad unificare i singoli elementi (forme, caratteri, colori) ed interpretarli come un unico messaggio? I principi Gestaltici sono sei ma prenderemo in considerazione quello di vicinanza e di chiusura. Pensate al marchio dell’IBM! Notate che è composto da semplici linee orizzontali di diversa dimensione e vicine tra loro? Vicinanza: elementi vicini tra loro sono percepiti come più collegati di quanto lo siano quelli sparsi. Il concetto alla base della vicinanza è il gruppo. Adesso guardate il panda del WWF! Non è di certo una forma definita piuttosto sono macchie nere di diversa dimensione su uno sfondo bianco. Chiusura: l’occhio umano tende a completare e quindi a “chiudere” gli spazi aperti soprattutto quando le forme vanno ad abbozzare qualcosa a noi familiare.
L’importante non è il singolo elemento ma come questo si rapporta a ciò che lo circonda. La Gestalt per i designer Un designer deve davvero “entrare” nella mente della società per essere in grado di progettare qualcosa che possa rimanere impresso ed attirare la maggior parte delle persone. Molti di noi, infatti, non sono “addestrati” alla percezione del dettaglio ma vengono influenzati dal pri-
Leggi della Gestalt applicate ai marchi IBM (Paul Rand,1962) e WWF (Sir Peter Scott, 1986).
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IL COLORE L’influenza nella vita quotidiana di Elena Pirrone
«Il colore è un mezzo per esercitare un influsso diretto sull’anima. Il colore è il tasto. L’occhio è il martelletto. L’anima è un pianoforte con molte corde» Vasilij Kandinskij
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erché quando incontriamo una persona vestita tutta di nero con un trucco molto scuro immediatamente siamo invasi da una sensazione negativa e se invece ci imbattiamo in una persona con i vestiti color pastello e con un trucco naturale e tenue ci sentiremo più rassicurati? Perché la maggior parte delle auto sono nere, bianche o grigie? E perché le pillole che tolgono l’appetito normalmente sono blu? Perché nei supermercati vi è una netta preva-
Vasilij Kandinskij, Giallo, rosso, blu, 1925
lenza di rosso, arancione e giallo? Niente è lasciato al caso! Il marketing sceglie dei colori intenzionalmente ed in relazione a studi continui sull’uomo e sui consumatori nello specifico, proprio perché il colore ha un effetto incredibile sulle persone, sull’umore, sulla percezione, sulle scelte quotidiane e, ahimè, anche nell’approccio con le persone, ritornando al primo nostro interrogativo!
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La psicologia del colore Come la scienza ci insegna, il colore è una sensazione creata e percepita dal cervello e che ha effetti sul nostro organismo e soprattutto sul nostro atteggiamento psicologico. Parlare di psicologia del colore significa parlare di emozioni, di un linguaggio capace di evocare piacere, benessere, vitalità o anche nervosismo, tristezza, fastidio. Da cosa dipende? Sicuramente dai concetti emozionali che associamo inconsciamente ad ognuno ma anche e soprattutto dal contesto culturale in cui viviamo che ci influenza più o meno direttamente. Infatti sono gli stimoli culturali ad aver giocato un ruolo assoluto nell’influenzare sia negli uomini che nelle donne la “percezione di conformità” di un colore rispetto ad un altro. Per esempio, la famosa differenziazione tra donna-rosa e uomo-azzurro è nata da un articolo del Times del 1928 che pubblicò un grafico che mostrava i colori adatti al sesso femminile e maschile secondo i principali negozi statunitensi. Prima di allora l’associazione comune era quella contraria, infatti nel 1918 la rivista Earnshaw’s Infants Department scrisse che la regola comune era quella del rosa per i ragazzi perché più deciso e più forte e del blu per la ragazza perché più delicato e carino.
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Modifica e rinnovamento del design e del look di un prodotto o di un marchio, di un prodotto, al fine di migliorare l’estetica senza cambiamenti sostanziali di funzionalità.
È la parte simbolica di un marchio, l’emblema non leggibile che rimanda all’impresa. Il pittogramma riproduce graficamente l’oggetto rappresentato, e può essere costituito da segni astratti, che non hanno alcun richiamo alla realtà o iconografici, che rimandano ad oggetti, aspetti o azioni reali. (esempio: la mela dell’Apple).
È l’unione del logotipo con un pittogramma. Il marchio identifica un’azienda ed è composto da quattro elementi fondamentali: Il nome, il logotìpo, i colori e il simbolo. (esempio: la mela + la parola)
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Insieme di simboli tipografici, che identificano un’azienda o un prodotto in modo esclusivo. È costituito da un lettering specifico, da una font. È la parte leggibile di un marchio. (esempio: la parola Apple).
Serie completa di caratteri dello stesso tipo, distinti per stile e corpo ma strutturati in modo coerente tra loro. Le due principali categorie di font sono i serif ed i sans serif, ovvero graziati (i primi) e non graziati o bastoni (i secondi). Le grazie sono quegli allungamenti solitamente ortogonali alle estremità del carattere utilizzate per rendere il carattere più elegante
Comprende non solo il marchio di un’azienda ma anche tutto ciò che l’azienda stessa evoca: i valori, le sensazioni, la sua anima, la sua personalità, tutto ciò che non è tangibile e che grazie al quale una persona s’identificherà e si legherà o meno ad un prodotto o ad un’azienda. Questo concetto viene spesso descritto con la definzione di marca.
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Il Salone del Mobile di Milano, giunto alla 57esima edizione, si conferma come l’appuntamento più importante del mondo dell’arredo e del design per aziende, operatori e appassionati del settore. Il quartiere fieristico milanese si trasforma nel polo internazionale del design con tante novità e appuntamenti. Oltre duemila espositori con progetti di valore capaci di intrecciare design, tecnologia, flessibilità, sostenibilità e soluzioni per un abitare contemporaneo che guarda al futuro.
Una delle fiere di design più interessanti al mondo dedicata alle tendenze e alle novità nel settore della casa e dell’arredamento di qualità. Il Salone è una delle più importanti fiere internazionali che da sempre indica agli appassionati la direzione che prenderà il mercato del design e dell’arredamento di qualità. Un panorama di aziende completo e strutturato che affolla gli 11 padiglioni della fiera trasformandoli per una settimana in un grande showroom dedicato all’interior design contemporaneo, unendo grandi brand e giovani designer.
design events
Un’interessante mostra sui libri-multimodiali in occasione dei 50 anni dell’Accademia di Belle Arti di Catania. Gli studenti del biennio di graphic design-editoria hanno progettato dei libri, cercando di trasmettere la cultura del progetto grafico e la passione per questa stimolante disciplina. I libri-multimodali vogliono creare un’interazione fra l’oggetto e il lettore, affinché lo strumento libro diventi un messaggio di cultura.
Londra, Inghilterra, un evento situato nel cuore creativo della East London, riunisce 550 espositori provenienti da 36 paesi in dodicimila metri quadri, raccoglie designer indipendenti, marchi affermati, padiglioni e mostre internazionali. Oltre 28 mila visitatori tra i quali architetti, interior designer partecipano per venire a conoscenza delle ultime novità di materiali, illuminazioni, tessuti, mobili, ecc.
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documentary reviews Grand Designs è una serie televisiva britannica del 1999 e prodotta da Boundless Productions trasmessa su Channel 4 o su Netflix che presenta progetti di edilizia abitativa architettonica insoliti e complessi. Il programma è costituito da 160 episodi di 50 minuti circa divisi in 17 serie. Kevin McCloud racconta storie di edilizia residenziale, seguendo ogni fase della costruzione, dagli ambiziosi progetti fino alla realizzazione finale. Le proprietà presenti in Grand Designs sono estremamente diverse per stile e design, l’unico fattore comune è che sono tutte stravaganti.
Grand Designs, Boundless Productions 1999
Abstract è una docu-serie Netflix nata nel febbraio del 2017. La serie è stata creata da Scott Dadich; è divisa in 8 puntate che mettono in evidenza l’attività di 8 tra i migliori designer del mondo, da illustratori a graphic designer a fotografi, mettendo al centro della propria narrazione il significato profondo di che cosa vuol dire occuparsi di forme d’arte che in modo più o meno pragmatico hanno una ricaduta sulle persone e sul loro modo di vivere. È questa la sfida che viene dichiarata da tutti i designer: tenere insieme la tecnica e l’arte, l’emozione e l’utilità, costruendo manufatti che resistano al passare del tempo.
Abstract, Scott Dadich, Netflix 2017
Helvetica è un docu-film che parla di tipografica e grafica. Tutto gravita intorno al carattere omonimo più utilizzato nel mondo. Diretto da Gary Hustwit, è stato pubblicato nel 2007 in coincidenza con il 50 ° anniversario dell’introduzione del carattere. Il suo contenuto consiste in una storia del carattere tipografico intervallata da interviste con i principali grafici e designer di caratteri. Il film si propone di mostrare la funzionalità di Helvetica e di mettere in mostra le personalità dietro i grandi caratteri tipografici.
Helvetica, Gary Hustwit 2007
book reviews Il libro ripercorre la storia del design, spiega il mestiere del designer e colloca una lente d’ingrandimento sul design italiano. Il design è diventato un elemento imprescindibile per la riconoscibilità di un marchio di fabbrica e di un brand. In esso convergono ideazione, produzione e complessi processi per dar forma e significato a ciò che utilizziamo ogni giorno. L’autore pone in risalto le sfide del design e offre un ottimo punto di partenza per farsi un’idea chiara sull’argomento.
Design, Alberto Bassi, il Mulino 2013
Il libro scritto da Bruno Munari, pittore e designer, tenta di far scoprire che saper progettare non è una dote esclusiva. C’è in ognuno di noi una creatività che Munari aiuta a sviluppare. Un designer non ha una spiccata genialità, spiega Munari, ma un metodo di progettazione che lo guida durante le fasi della creazione di un oggetto di design. Nella prima sezione Munari illustra i passaggi utili alla risoluzione di un problema e l’importanza della semplificazione e della coerenza formale; nella seconda ripercorre dei progetti a cui ha preso parte, scomponendo ogni lavoro nelle sue parti progettuali.
Da cosa nasce cosa, Bruno Munari, Editori Laterza 1981
Le leggi della semplicità è un libro scritto da John Maeda, insegnante del MIT e designer, che espone il suo approccio alla tecnologia e alla vita, mostrando come un determinato modo di approcciarsi alla complessità possa aiutare a stare meglio e a fare innovazione. Semplicità è buon senso, è equilibrio. Il libro concepito secondo lo stesso criterio di semplicità, illustra le dieci leggi fondamentali di questo concetto dalla più semplice alla più complessa.
Le leggi della semplicità, John Maeda, Mondadori 2006
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