H E R B E R T
H A M A K
2000 & NOVECENTO Edizioni d’Arte
2000 & NOVECENTO Galleria d’Arte
XXIV
HERBERT HAMAK Anima ed esattezza 2000 & NOVECENTO Galleria d’Arte Via Emilia San Pietro, 21 Reggio Emilia 14 marzo - 14 maggio 2009
Mostra a cura di Hélène de Franchis e Gianfranco Rossi Catalogo a cura di M. Paule Fournier e Erika Rossi Organizzazione e coordinamento di M. Paule Fournier e Erika Rossi Ufficio stampa e pubbliche relazioni Gaëlle Rossi Testo di Marisa Vescovo Foto di Daniele Prandi, Reggio Emilia Michele Alberto Sereni, Pesaro Studio la Città, Verona Carlo Vannini, Reggio Emilia Traduzioni di Michael Haggerty, Verona In copertina, Senza titolo H949N, 2006 (particolare), foto di Carlo Vannini, Reggio Emilia In patella di copertina (particolare), foto di Studio la Città, Verona Si ringrazia
lungadige galtarossa, 21 verona
© 2009, 2000 & NOVECENTO - Edizioni d’Arte Stampato nel marzo 2009 dalla Grafiche Step, Parma
Marisa Vescovo
Herbert Hamak
Anima ed esattezza
2000 & NOVECENTO Edizioni d’Arte
Anima ed esattezza Marisa Vescovo
È indubbio che Herbert Hamak rivendica a gran voce la qualità del fare estetico del suo lavoro, ma il fine non è mai l’oggetto in se stesso, ma sempre un rapporto, un campo di relazioni dinamiche e interagenti tra realtà formali e situazioni mentali originate dalla percezione visiva, di cui l’opera realizzata rende comunque ragione. Ben oltre la geo-metria – ancora misurazione di oggetti visibili, terrestri – Hamak, in analogia col multiverso aperto e reversibile della “nuova scienza”, lavora sull’intuizione di uno spazio senza gerarchie, senza direzioni privilegiate, uno spazio di pura energia. L’origine di questo lavoro spiega come la spazialità espressa dai rapporti tra forma e forma, zona e zona di colore, la trasparenza dei piani coloristici, sovrapposti al fondo di tela, non sia una spazialità di proiezione ma di costruzione: la dimensione è infatti determinata dalla possibilità di espansione visiva dell’immagine colorata, che è insieme superficie e profondità, limite e non limite. La dimensione dell’ambiente, che è poi la dimensione dell’esistenza, risulta non soltanto metricamente definita ma anche fisicamente permeata dalla sostanza densa e reale della resina e dei pigmenti. Questo non limita assolutamente la qualità e l’autonomia dell’opera, la quale nasce e si sviluppa come una “pittura”, che offre all’architettura un nuovo materiale da costruzione: il colore, non inteso come tinteggiatura, o policromia, ma come complemento della forma. Potremmo vedere questi lavori tridimensionali di Hamak, come delle piccole architetture, che costruiscono un contesto astratto ed immateriale. In generale le forme geometriche che l’artista usa sono il quadrato o il rettangolo. Il primo è il simbolo della terra, dell’universo creato, rappresenta un’idea di stabilizzazione nella perfezione, come nella Gerusalemme Celeste, figura di base dello spazio e del cosmo, espressione dinamica del quattro e materializzazione delle idee e dei quattro elementi. Il secondo è figura che ha un ruolo particolarmente importante nel mondo simbolico e viene definito anche “quadrato lungo”, ovvero la perfezione delle relazioni stabilite fra la terra e il cielo. Infatti nei lavori di Hamak si sente che egli vuole creare strutture, ma le sue strutture non sono semplicemente piani geometrici, bensì organismi plastici, masse che hanno una superficie, ed è questa che ha un rapporto, non solo e non tanto tra spazio interno ed esterno, quanto tra 5
spazio esteso e spazio profondo, spazio naturale e spazio strutturale. Dunque attraverso la superficie si sente la profondità, la densità, la forza anche portante della massa, il motivo che implica un fecondo e reciproco scambio di esperienze. Le sculture non sono solo il corpo di un’immagine, infatti questo corpo contiene il suo spirito. Ogni lavoro si presenta sostenuto da un’astrazione netta, pulita, tanto che le figure geometriche si compongono con un certo ordine sulla superficie del muro, tessendo tra loro una trama misteriosa e segreta, la quale, come un racconto, ci guida nei territori dell’immaginazione e del ricordo, ma pure diventa rigetto della rappresentazione. Osservando le opere: Senza titolo H439N, 2001, e Dioxazin Violet H443N, 2002, due elementi da porre sul muro a “coltello”, vediamo che i parallelepipedi colorati si giustappongono direttamente alla superficie di base, così l’autonomia cromatica è definita al loro manifestarsi all’occhio di chi guarda. La consistenza del pigmento e della resina si insinua nell’interiorità degli spazi, diventa architettura, e sembra quasi che la solidità del colore sostenga metaforicamente e concretamente gli ambienti espositivi. Inoltre lo splendore cutaneo della superficie intrisa della densità voluttuosa della polvere cromatica rende quasi afisico ogni dato visivo. Lo sguardo si posa sui due parallelepipedi, ma scivola sulla superficie liscia e quieta del colore viola – colore di tenerezza, flessibilità, passione, e talora sofferenza, ricerca di armonia e di espressione estetizzante – o rosso fragola – energia deflagrante vitale e sessuale – che rende il lavoro senza peso. L’insieme mostra dunque un tipo di matericità di qualità cosmica, suggerisce un’impressione sensoriale, magari anche un po’ elusiva, quasi che la semplicità e la sobrietà della forma e del colore rimandino, con la loro quiete simbolica, alla contemplazione interiore. In questo senso le “pitture tridimensionali” di Hamak fanno ricorso al colore come strumento dell’“altrove”, ovvero uno strumento che crea l’intimità grazie all’estensione delle sue vibrazioni. In molte opere la promessa di “profondo” è suggerita inoltre dalla tenuità cromatica: i colori scelti non sono né opachi né riverberanti, mantengono un irraggiamento latente, suggeriscono un peso arioso, ma rimangono teneri e soffusi come certi cieli di Carpaccio, del Lotto, come le vesti delle donne veleggianti di Pontormo. Se guardiamo un lavoro delicato e immateriale come Senza titolo H863N del 2005, ci rendiamo conto che l’artista cerca sulla superficie galassie di punti luce che affiorano da materie, permeabili e dense al tempo stesso, in cui l’occhio si perde seguendo le zone nebulose sotto pelle, addentrandosi poi nei fori stellari, che non lasciano intravedere i loro segreti nascosti. In un universo ipertrofico, obeso di immagini e di cromatismi, in opere come: Senza titolo H913N, 2006, e Senza titolo H942N, 2006, sembra strano trovare un colore tenero e leggero (verdi lagunari e bruni rosati come cioccolato al latte), che riguarda insieme la superficie dell’oggetto e la sua profondità sognata. Sono lavori che procedono verso una dimensione di 8
calma e di intensità. Tutto è unificato dal ritmo psicologico e spirituale, in cui ogni cosa si ordina, infatti in questo caso la superficie dei singoli pezzi chiama a sé la sostanza cromatica dolce e distesa. Abbiamo l’impressione – guardando anche Marienglas, 2008, lavoro di un verde intenso e aspro che trattiene energia – di un colore che si pensa come luogo stesso da cui sorgono le forme, si immagina una latenza diventata presenza, un colore che mima l’invisibile e l’impalpabile di una certa pittura, con l’accumulazione del chiarore e della luminosità. È come se le forme si gonfiassero sensualmente e, con l’ispessimento della materia, dessero vita e origine a forme elementari che volano lentamente nelle stanze della galleria. Hamak con queste sue opere riesce a condensare nello spazio la luce dei colori, quasi a densificare l’impalpabile. L’immagine del colore gustato nella sua essenza immediata, senza giustificazioni morali e ideologiche, richiama allora la nozione di ordine sensuale del colore, che si lascia andare ad un vero e proprio acquatico languore. Per alcuni millenni, prima che la chimica moderna mettesse in mano agli artisti (e non solo a loro) materiali e coloranti efficaci, il problema è stato quello di produrre colori artificiali che potessero gareggiare con quelli della natura. Lo studio della cromatologia si è evoluto decisamente sotto l’influsso del Bauhaus di Gropius, e degli straordinari maestri che lo hanno vissuto, amato, e si sono occupati di questi problemi: Kandinsky, Klee, Itten, Albers, legati all’esperienza goethiana. La simbologia del colore conserva tuttavia tutto il suo valore tradizionale, infatti il primo carattere della simbologia dei colori è la sua universalità, non soltanto geografica, essa è presente in tutti i livelli dell’essere e della conoscenza, le interpretazioni possono variare, ma i colori restano, sempre e ovunque, i supporti del pensiero simbolico. L’artista sa bene che nella pratica artistica c’è sempre qualcosa di stocastico, casuale, imprevedibile, che è in fondo il senso stesso del colore, continuamente sotto i nostri occhi, che tuttavia fatichiamo ad afferrare e a dominare. Hamak sottolinea la verticalità di opere come: Senza titolo H958N, 2006, e Senza titolo H961N, 2006, di un verde paludoso (punto di equilibrio cromatico tra blu e giallo, e simbolo di equilibrata composizione dei contrasti interni), lavorando la resina e i pigmenti in modo da formare strisce verticali molto liquide, che sfumano l’una nell’altra, e si muovono con ritmi ora lenti e diradati, ora fitti e sincopati. Tali variazioni lasciano spazio a libere composizioni, in cui la larghezza delle bande colorate ed il loro intersecarsi mutano continuamente, con una libertà senza eguali. La superficie dell’opera vibra e si espande, pulsa e si illumina, lasciando che le profondità emozionali e spirituali del lavoro emergano con tutta la loro forza. Un’altra tipologia di lavoro ci viene consegnata da Krapplack Rot Dunkel H1043NH, 2008, in cui l’artista appoggia su tela una bassa piramide di resina bruna, a pianta quadrata e di dimensioni più ridotte rispetto alla base. La figura che quindi si vede risulta incisa nella materia for9
mando quattro triangoli che esprimono luci, di intensità diversa, che modellano la scultura. Quest’opera si distingue anche per un’altra caratteristica, comune ad altre sculture di Hamak: creare una sorta di cornice, o “recinto sacro”, che oltre ad essere un raccordo tra lo spazio figurato e lo spazio vuoto ambientale – molte opere dell’artista sono delle plastiche cornici che racchiudono al centro il “vuoto”, generando un vago sapore zen – alza una barriera, che materializza un intervallo, tra la realtà e la virtualità dell’opera. In una direzione diversa vanno le opere con una forma a L rovesciata (di piccole dimensioni), che mettono in scacco la logica della somiglianza con un oggetto reale, infatti la loro “identità” si confronta soprattutto con una struttura ideale (in questo senso ci ricorda certi lavori di grandi dimensioni di Robert Morris), che possiede un’essenza interna invisibile che dialoga con la nostra psiche. Le sculture di Hamak si danno a noi per differenza, infatti, rispetto a quelle elementari minimaliste, esse fanno notare delle “improprietà”. L’evidenza del supporto della tela che fa da base, la dimensione da parete, la forma a squadra si rovescia cancellando il suo significato letterale, e interviene prepotentemente il colore: un azzurro intenso, colore d’immenso e d’infinito, di intuizione metafisica, che sposta i significati verso evocazioni percettive cosmiche. Pertanto la banalità voluta della struttura è sublimata dall’intervento cromatico molto forte e decisivo. Se i minimalisti avevano l’ambizione di situare all’esterno l’origine del significato dell’opera, Hamak lo riporta all’interno ponendolo sul piano prettamente simbolico. Molto interessante è la scultura blu posta nel cortile antistante la galleria, infatti essa, mettendo da parte le geometrie euclidee, crea una struttura che gioca tra la “sensazione concava” e la “sensazione convessa”, un vero connubio di pathos e matematica, anima ed esattezza. Ma questa idea di un rapporto dialogico, di una correlazione costitutiva e fondante tra materia-colore e numero, luce e opacità, governa e percorre tutto il lavoro dell’artista tedesco. Importante, anche in questo caso, l’uso del colore blu (sempre trascolorante in varie tonalità), simbolo di quiete e di profondità meditativa, voglia di perdersi nell’infinito e nel cosmo. In fondo una contraddizione tra eccitazione emotiva e pace, immersione nel mare e nel cielo, attività diurna e silenzio del paesaggio. Come ha detto Michel Pastoureau oggi il blu è anche: “...l’immagine dello spazio cibernetico e dei suoi abitanti”. Non c’è dubbio che queste sculture sono per Hamak un “mondo” dove le icone si coagulano, i fluidi cromatici si solidificano, e le luci che provengono dall’interno si ispessiscono, senza escludere e senza diminuire gli altri aspetti del loro essere materia opaca, calda, ma assoluta. Il nostro artista sa bene che esistere come artista vuol dire creare una tensione tra la permanenza e il rinnovamento, tra l’irreversibile e la ripetizione. Si tratta della situazione difficile di un essere che si riconquista e si evolve continuando, nel presente, ad aprirsi all’oltre, è, in altre parole, legge che ritorna nel cambiamento, necessità libera, possibilità. 10
Spirit and Precision Marisa Vescovo
There can be no doubt that Herbert Hamak clearly demonstrates the quality of the aesthetic aims of his work. However, the scope is never the object in itself but always a relationship, a field of dynamic and interacting links between formal situations and the mental ones originating in visual perception which, though, the completed work vindicates. Going far beyond the measured geometry of visible, earthly objects, Hamak – like the open and reversible multi-universe of “new science” – acts on a sense of space without hierarchies, without privileged aims: a purely energetic space. The origins of this work explains how the spatiality expressed by the relationships between form and form, area and area of colours, and the transparency of planes of colour layered over the canvas base, does not result from planning but from construction: the dimension, in fact, is determined by the possibilities of the visual expansion of the coloured image which is both surface and depth, limit and limitlessness. The dimension of the setting – which is, after all, the dimension of existence – is, as a result, not only metrically defined, but also physically permeated by the dense and real substance of the resin and pigments. This in no way limits the quality and autonomy of the work, which is born and develops as “painting”, something which gives architecture a new constructive material: colour. Not colour understood as hue or polychrome, but as a complement to form. We can consider these threedimensional works by Hamak as small architectural elements which construct an abstract and immaterial context. Usually the geometrical forms that the artist uses are squares and rectangles. The former is the symbol of earth, the created universe, and represents an idea of stabilisation through perfection, as with the Heavenly Jerusalem: it is the basic figure of space and the cosmos, the dynamic expression of the number four, and the materialisation of ideas and the four elements. The latter is a figure that has a particular importance for the world of symbols and is also defined as the “long square”: in other words, the perfection of the relationship established between heaven and earth. In fact, in Hamak’s work we sense that he wants to create structures, but that his structures are not simple geometric plans but, rather, plastic organisms, masses that have a surface, and it is this that has a relationship, not just and not so much with internal and external space, as with extended or deep space, natural and structured space. So by way of the surface we feel the depth, the density, and even the load-bearing force of the mass, a motif that implies a fecund and reciprocal exchange of experiences. 14
The sculptures are not only the image’s body, but also a body that contains its spirit. Each work reveals itself as supported by clear and clean abstraction, so much so that the geometric figures are composed in a certain order on the wall and weave between themselves a mysterious and secret plot which, like a story, guides us through the territories of imagination or memory but which also becomes a rejection of representation. When observing the works Untitled H439N, 2001, and Dioxazin Violet H443N, 2002, consisting of two elements to be placed “knife-like” on the wall, we see that the coloured rectangles are juxtaposed on the basic surface and the chromatic autonomy is defined by their manifestation to the eye of the viewer. The consistency of the pigment and resin insinuates itself within the spaces to become architecture, and it seems almost as though the solidity of the colour supports the exhibition setting both metaphorically and concretely. Furthermore the splendour of the surface saturated by the voluptuous density of the chromatic powder makes the visual data seem almost a-physical. The eye rests on the two rectangles but slides down over the smooth and calm violet surfaces – the colour of tenderness, flexibility, passion and, at times, suffering and the search for harmony and aesthetic expression – which make the work seem weightless. So the overall impression is that of a type of materiality with a cosmic quality; of a sensuality that is perhaps even slightly elusive, almost as though the simplicity and sobriety of the form and colour alludes to their symbolic calm and interior contemplation. In this sense the “threedimensional” paintings of Herbert Hamak use colour as an instrument for arriving “elsewhere” or, in other words, an instrument that creates tranquillity as a result of the extension of its vibrations. In many works the promise of “depth” is further suggested by their tenuous colour: the colours chosen are neither opaque nor reverberant; they maintain a latent iridescence and suggest an airy lightness, but they remain as tender and suffused as certain series by Carpaccio or Lotto or as the robes of the floating women painted by Pontormo. If we look at a delicate and immaterial work such as Untitled H863N, 2005, we become aware that the artist is searching the surface for galaxies of points of light which are both permeable and dense and in which the gaze loses itself as it follows nebulous areas beneath the skin and enters the stellar perforations which do not permit us to glimpse their hidden secrets. In a hypertrophied universe of images, dripping with images and colours, it seems strange to find in such works as Untitled H913N, 2006, and Untitled H942N, 2006, a tenuous and light colour (lake greens and rosy browns like milk chocolate) that involves both the surface of the object and its dreamed-of depths. These are works that shift towards a calm and intense dimension. Everything is united by a psychological and spiritual rhythm in which everything is ordered; in fact in these cases the surface of the individual pieces gathers into itself a sweet and distended chromatic substance. We have the impression – as also when looking at 15
Marienglas, 2008, a work of an intense and energy-capturing bitter green – of a colour that we consider the place from which forms arise and that we imagine to be an absence that becomes a presence, a colour that imitates the invisibility and impalpability of a certain kind of painting with its accumulation of brightness and luminosity. It is as though the forms swell sensuously and, with the thickening of the material, give life and origin to elementary forms which slowly float in the gallery rooms. With these works Hamak manages to condense the light of his colours in space, almost as though condensing what is impalpable. The image of colour enjoyed in its immediate essence, without moral or ideological justifications, thus alludes to a notion of a sensual order of colour which allows itself to drift into a real aquatic languor. For some millennia, before modern chemistry placed in the hands of artists (and not only them) efficient colours and materials, the problem was one of producing artificial colours that might rival those of nature. The study of colour markedly evolved under the influence of Gropius’s Bauhaus and the exhibitions of those who experienced, loved, or were concerned with these problems: Kandinsky, Klee, Itten, and Albers, all influenced by Goethe. The symbolism of colour, however, conserves all its traditional value; in fact the first character of colour symbolism is its universality, not only geographically speaking: it is present at all levels of being and of consciousness; interpretations might vary, but the colours remain, always and everywhere, the basis for symbolic thought. Artists know well that in the practice of art there is always something stochastic, casual, unpredictable, which impresses the very sense of colour: it is always under our eyes and yet we have trouble in grasping and dominating it. Hamak underlines the verticality of such works as Untitled H958N, 2006, and Untitled H961N, 2006, (all a watery green, the point of equilibrium between blue and yellow, and the symbol of a balanced composition of internal contrasts) by working the resin and the pigments in such a way as to form extremely liquid vertical stripes which blend one into the other and move with rhythms which are at times slow and scattered, at others thick and syncopated. Such variations allow space for free compositions in which the width of the coloured bands and their intersection continually change with an unequalled freedom. The work’s surface vibrates and expands, pulsates and lights up, allowing the emotional and spiritual depths of the work to emerge with all their force. Another kind of work is to be seen with Krapplack Rot Dunkel H1043NH, 2008, in which the artist places on the canvas a low square-shaped pyramid of brown resin more or less smaller than the base. So the figure we see is incised on the material and forms four triangles exuding light of various intensities which models the sculpture. This work is also notable for another 17
characteristic, common to other works by Hamak: the creation of a kind of frame or “sacred precinct” which, besides being a link between the figured space and that of the empty environmental space – many of the artist’s works are resin frames that enclose an “empty” centre generating a vague Zen feeling – raise a barrier that materialises an interval between the reality and the virtuality of the work. The L-shaped (small) works move in a different direction and keep in check the logic of resemblances to real objects; in fact their “identity” deals above all with an ideal structure (in this sense they remind us of the large-scale works by Robert Morris) that possesses an invisible internal essence dialoguing with our psyche. Hamak’s sculptures reveal to us their difference from elementary Minimalist ones: they show us “inaccuracies”. The evidence of the supporting canvas base, the dimensions of the wall, and the squared-off forms, is shattered and cancels their literal meaning while colour imperiously enters: intense light blue, the colour of immensity and infinity, of metaphysical intuition, and which shifts the meaning towards perceptive cosmic evocations. So the willed banality of the structure is sublimated by the strong and decided colour intervention. If the Minimalists had the aim of placing the origin of the work’s meaning externally, Hamak has brought it back inside and has placed it on an openly symbolic level. The blue sculpture placed in the gallery’s forecourt is extremely interesting; in fact, by setting aside Euclidean geometry, it creates a structure that plays with “concave sensation” and “convex sensation”, a genuine cohabitation of pathos and mathematics, soul and exactness. But this idea of a dialoguing relationship, of a constitutive and blending correlation between colourmatter and number, light and opacity, runs through and governs the whole of the German artist’s work. In this case the use of the colour blue (always shading through various hues) is highly important: it is the symbol of meditative calmness and depth, of the will to posit itself in infinity and the cosmos. Deep down it is a contradiction between emotional excitement and peace, immersion in the sea or the heavens, the daily and silent activity of landscape. As Michel Pastoureau has said, blue is also “...the image of cybernetic space and its inhabitants”. There can be no doubt that these sculptures are for Hamak a “world” in which icons coagulate, chromatic fluids solidify, and the light emanating from within thickens, though without excluding or diminishing the other aspects of their material being: opaque, warm, but absolute. Our artist knows very well that being an artist means creating a tension between permanence and innovation, between the irreversible and repetition. This is the difficult question of a being who makes gains and evolves by continuing, in the present, his openness to “otherness”; it is, in other words, a law that returns as a result of change, free necessity, and possibility.
18
19
21
23
25
26
27
29
32
34
35
37
39
41
Apparati
Note biografiche/Biographical note
Herbert Hamak nasce nel 1952 a Unterfranken. Vive e lavora a Hammelburg. Herbert Hamak was born in 1952 in Unterfranken. He lives and works in Hammelburg.
Mostre personali/Solo shows 2009
Anima ed esattezza, 2000 & NOVECENTO Galleria d’Arte, Reggio Emilia, catalogo con testo di /catalogue with essay by M. Vescovo
2008
Studio la Città, Verona, catalogo con testo di /catalogue with essay by A. Madesani Sebastian Guinnes Gallery, Dublino Archiginnasio, Bologna Gli spazi del talento, installazione nel nuovo edificio dell’Università Bocconi, Milano
2007
Oltre, Galleria Civica G. Segantini, Arco, Trento Museo di Castelvecchio, Verona
2006
Galerie Christian Roellin, St. Gallen Geukens & De Vil Contemporary Art, Knokke-Zoute Peggy Guggenheim Collection, Venezia
2005
Galerie Xippas, Paris Studio Visconti, Milano Kunsthalle Mannheim, Mannheim Kenji Taki Gallery, Tokyo and Nagoya
2003
Studio Visconti, Milano Installazione sulla facciata della Cattedrale di Atri, Teramo Studio la Città, Verona, catalogo con testo di /catalogue with essay by L.M. Barbero Christopher Grimes Gallery, Los Angeles
2002
Christopher Grimes Gallery, Los Angeles Kenji Taki Gallery, Tokyo and Nagoya
2001
Studio la Città, Verona, catalogo con testo di /catalogue with essay by M. Haggerty Windows, Galerie Tanit, Bruxelles
2000
Kenji Taki Gallery, Tokyo and Nagoya Christopher Grimes Gallery, Santa Monica Galerie Sfeir-Semler, Hamburg
1999
Galleria Blu, Milano Galerie Tanit, München Galerie Art & Public, Genève Christopher Grimes Gallery, Santa Monica Galerie Grimm, Palma de Mallorca Galerie Springer und Winckler, Berlin
1998
Galerie Sfeir-Semler, Hamburg Galerie Van Damme, Bruxelles Kenji Taki Gallery, Tokyo and Nagoya
45
1997
Studio la Città, Verona Kenji Taki Gallery, Nagoya Galerie Xippas, Paris
1997/96 Wurtembergischer Kunstverein, Stuttgart De Beyerd Centrum voor Beeldende Kunst, Breda 1996
Sergio Tossi, Prato Studio Trisorio, Napoli Galerie Hollenbach, Stuttgart Galerie Tanya Rumpff, Haarlem Museum Moderne Kunst, Frankfurt am Main
1995
Galerie Xippas, Paris Galerie Tanit, München
1994
Galerie Tanja Rumpft, Haarlem Galerie Rolf Ricke, Köln Studio la Città, Verona, catalogo con testo di /catalogue with essay by V. Coen
1993
Museum für Moderne Kunst, Frankfurt am Main, catalogo con testo di /catalogue with essay by R. Lauter Galerie van Damme, Antwerpen Galerie Art & Public, Genève
1992
Portikus, Frankfurt am Main, catalogo con testo di /catalogue with essay by J. Siegel Galerie Tanja Rumpft, Haarlem Galerie Luis Campana, Frankfurt am Main
1991
Galerie Ryszard Varisella, Frankfurt am Main Karmeliterkloster, Frankfurt am Main, organizzato da MoMA, Frankfurt Galerie Albert Baronian, Bruxelles Galerie Tanit, München
1990
Galerie Ryszard Varisella, Frankfurt am Main Galerie Daniel Newburg, New York
1986
Galerie Ryszard Varisella, Nuremberg
1984
Im Klapperhof 33, Köln
1981
Galerie Erhard Klein, Bonn
Mostre collettive/Group shows 2007
... e ricomincio da tre, Studio la Città, Verona Il Settimo Splendore, la modernità della malinconia, Palazzo della Ragione, Verona Herbert Hamak and Max Jansons, Christopher Grimes Gallery, Los Angeles
2006
Full House - Gesichte einer Sammlung, Kunsthalle Mannheim, Mannheim
2005
The Dazzling Show, Galerie Roellin/Duerr, St. Gallen Je ne regrette rien, Studio la Città, Verona Utopie réalisée, présentation L’Espace de l’Art Concret, Mouans-Sartoux
2004
25th Anniversary, The L.A. Years, Christofer Grimes Gallery, Santa Monica Die Neue Kunsthalle III, Städtische Kunsthalle, Mannheim Lucidamente, Fortezza del Mare, Isola Palmaria, Porto Venere
46
Postimpact, Portalakis Collection, Athens Artseasons, Cas Pellers, Binissalem, Mallorca Wege zur Abstraction III, Kunstverein Schloss Plon Nouvelle Simplicitè, Espace de l’Art Concrete, Chateau de Mouans, Mouans-Sartoux Farbe e Licht, Schloss Pluschow, Mecklenburg/Vorpommern Storie di colore, Palazzo Libera, Villa Lagarina Reflex the Brain Closer Then the Eye, Gallery Nicolas Von Bartha, London 2003
Blanc de Blanc, Galerie Xippas, Paris and Athens Perpetuum Mobile, Galerie Ricke, Köln
2002
Präsentation von Malerei im KMW, Krefelder Kunstmuseen/Kaiser Wilhelm Museum, Krefeld Intermezzo, Studio la Città, Verona
2001
Materia-Niente, Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia Between You and Me, Galerie Tanja Rumpff, Haarlem Figure Astratte, Palazzo Pallavicini Rospigliosi, Roma, catalogo con testo di /catalogue with essay by G.M. Accame, M. Bertoni, C. Cerritelli, F. Tedeschi
2000
Carte blanche à Hélène de Franchis, Galerie Alain Le Gaillard, Paris Von Albers bis Paik, Stiftung für konstruktive und konkrete Kunst, Daimler-Crysler Collection, Zürich Exhibition Espace Gantner, Multimedia Cultural Center, Bourgogne
1999
Think Colour, Laure Genillard Gallery, London Special Offer, Malerei Kunstverein Kassel, Kassel Galerie Tanya Rumpff, Haarlem Geometrie als Gestalt, Neue Nationalgalerie, Berlin Galerie Hilger, Wien
1998
Musée d’Art Moderne et Contemporain, Genève Object Obscure, Todd Gallery, London Galerie Lendl, Graz Horizontal-Vertikal, Museum für Moderne Kunst, Frankfurt
1997
Museum Morsbroich, Leverkusen Galerie Tanit, München Green on Red Gallery, Dublin Radicaal-beeld, Stedelijkmuseum, Schiedam Musée d’Art Moderne et Contemporain, Genève Galerie Ausstellungsraum Hübner, Frankfurt
1996
E la chiamano pittura, Studio la Città, Verona Szenenwechsel X, MoMA, Frankfurt Polymere, Musée d’Art Contemporain, Nice Stark Gallery, New York
1995
The Mutated Painting, Galerie Martina Detterer, Frankfurt am Main Pittura Immedia, Neue Galerie am Landes - Museum Joanneum Und Kunstlerhaus, Graz Das Abenteuer der Malerei, Wurttembergischer Kunstverein, Stuttgart Kunstverein für die Rheinlande u. Westfalen, Düsseldorf Am Rande der Malerei, Kunsthalle, Bern Kunstpreis der Bottcherstrasse Bremen, Kunsthalle, Bremen
47
pagina 4 Senza titolo/Untitled H968N, 2006 Pigmenti e resina su tela, cm. 18x18x24 Pigment and resin on canvas Foto: Carlo Vannini, Reggio Emilia
pagine 6-7 Gli spazi del talento, 2008 Opera in comodato permanente all’Università Bocconi di Milano On permanent loan to the Bocconi University, Milan Misure ambiente Room size
pagina 11 Senza titolo/Untitled H641N, 2002 Pigmenti e resina su tela, cm. 18,5x18,5x23,5 Pigment and resin on canvas Foto: Carlo Vannini, Reggio Emilia
Foto: Michele Alberto Sereni, Pesaro
pagine 12-13 Allestimento/Installation Studio la Città Verona, 2003
pagina 16 Senza titolo/Untitled H961N, 2006 Pigmenti e resina su tela, cm. 30x8x25 Pigment and resin on canvas
Foto: Studio la Città, Verona
Foto: Carlo Vannini, Reggio Emilia
pagina 19 Dalla serie Atri From the series Atri, 2005 Terme di Saturnia (GR) Pigmenti e resina su tela, cm. 97x10x30 Pigment and resin on canvas Foto: Studio la Città, Verona
pagina 21 (particolare pag. 20) Dioxazin Violet H443N, 2002 Pigmenti e resina su tela, cm. 19x19x48 Pigment and resin on canvas
pagina 23 Senza titolo/Untitled H958N, 2006 Pigmenti e resina su tela, cm. 30x8,5x25,5 Pigment and resin on canvas
Foto: Carlo Vannini, Reggio Emilia
Foto: Carlo Vannini, Reggio Emilia
pagina 25 (particolare pag. 24) Senza titolo/Untitled H949N, 2006 Pigmenti e resina su tela, cm. 30,5x30,5x12 Pigment and resin on canvas Foto: Carlo Vannini, Reggio Emilia
48
pagina 26 Mostra personale/Solo show Studio la CittĂ Verona, 2008
pagina 27 Marienglas, 2008 Pigmenti e resina su tela, cm. 110x110x24 Pigment and resin on canvas
pagina 29 Krapplack Rot Dunkel H1043NH, 2008 Pigmenti e resina su tela, cm. 85x85x30 Pigment and resin on canvas
Foto: Michele Alberto Sereni, Pesaro
Foto: Michele Alberto Sereni, Pesaro
Foto: Michele Alberto Sereni, Pesaro
pagine 30-31 Allestimento/Installation Studio la CittĂ Verona, 2008
pagine 32-33 Senza titolo/Untitled H946N, 2006 Pigmenti e resina su tela, cm. 31x42x7 Pigment and resin on canvas
pagina 34 Senza titolo/Untitled H913N, 2006 Pigmenti e resina su tela, cm. 31x42x7,5 Pigment and resin on canvas
Foto: Daniele Prandi, Reggio Emilia
Foto: Carlo Vannini, Reggio Emilia
Foto: Carlo Vannini, Reggio Emilia
pagina 35 Senza titolo/Untitled H942N, 2006 Pigmenti e resina su tela, cm. 31x42x7,5 Pigment and resin on canvas
pagina 37 (particolare pag. 36) Senza titolo/Untitled H439N, 2001 Pigmenti e resina su tela, cm. 19x19x48 Pigment and resin on canvas
pagina 39 Senza titolo/Untitled, 2008 Pigmenti e resina su tela, cm. 40x40x21,5 Pigment and resin on canvas
Foto: Carlo Vannini, Reggio Emilia
Foto: Carlo Vannini, Reggio Emilia
Foto: Carlo Vannini, Reggio Emilia
49
pagina 41 (particolare pag. 40) Senza titolo/Untitled H863N, 2005 Pigmenti e resina su tela, cm. 30,7x30,7x12 Pigment and resin on canvas
pagine 42-43 (particolare) Senza titolo/Untitled H1021NH, 2008 Pigmenti e resina su tela, cm. 40x40x21,5 Pigment and resin on canvas Foto: Daniele Prandi, Reggio Emilia
Foto: Carlo Vannini, Reggio Emilia
pagina 44 Colonna, 2007 Resina su base d’acciaio, cm. 340x21x21 Resin on steel base Collezione privata, Milano Private collection, Milan Foto: Studio la Città, Verona
pagina 51 Allestimento/Installation 2000 & NOVECENTO Galleria d’Arte Reggio Emilia, 2009 Foto: Daniele Prandi, Reggio Emilia
50
ASSOCIAZIONE NAZIONALE GALLERIE D’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA