Walter Valentini Verso Aldebaran
2000 & NOVECENTO Edizioni d’Arte
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2000 & NOVECENTO Galleria d’Arte
XVIII
WALTER VALENTINI
Marisa Vescovo
Verso Aldebaran 2000 & NOVECENTO Galleria d’Arte Via Emilia S. Pietro, 21 Reggio Emilia 8 aprile - 8 giugno 2006
Mostra a cura di Marisa Vescovo e Gianfranco Rossi Catalogo a cura di Walter Valentini e Erika Rossi
Walter Valentini Organizzazione e coordinamento di Erika Rossi e M. Paule Fournier Rossi Ufficio stampa e pubbliche relazioni Gaëlle Rossi
Verso Aldebaran
Testo di Marisa Vescovo Foto di Andrea Valentini, Milano Traduzioni Joseph Sutch, Canterbury (Regno Unito) Biografia Sandro Parmiggiani, Reggio Emilia
© 2006, 2000 & Novecento - Edizioni d’Arte Stampato nell’aprile 2006 dalla Grafiche Step, Parma
2000 & NOVECENTO Edizioni d’Arte
Walter Valentini....verso Aldebaran Marisa Vescovo
L’uomo che guarda il cielo sarà, talora, irritato nel constatare la sua intangibilità, il suo essere vuoto, la sua esasperante fissità, il suo senso di infinità: la sua non rivelazione. Eppure la percezione immediata può dargli spesso l’illusione di uno spazio relativamente finito. La finitezza è data dalla linea d’orizzonte curva che lo avvicina ad una cupola, una grande cupola che contiene le poche categorie di cose che si vedono nell’azzurro: le nuvole, i fulmini, gli arcobaleni, le aurore boreali, gli uccelli, gli aerei, cioè tutti i fenomeni riconducibili allo stato atmosferico che avvolge la terra e quegli oggetti che solcano lo spazio, e poi gli altri corpi celesti: il sole, la luna, le stelle, e altre innumerevoli presenze siderali. Ma non è proprio in questo modo che Walter Valentini osserva il cielo di notte, esso è un pozzo profondo, di un azzurro così intenso da diventare quasi nero, il fondo buio riduce il senso dell’infinito e della vuotezza, anche se poi la violenza che si accompagna a certi fenomeni meteorologici rivela la potenza presente nel sistema che lega la geosfera all’atmosfera. Ben altra è la percezione uranica del cielo, cioè inteso come contenitore di fenomeni astronomici, dalle stelle alle comete, dal sole alla luna, entità remote inavvicinabili, aggrappate alla profondità del cosmo, a cui l’uomo ha sempre guardato con
smarrimento o, in un “altro” modo, come accadeva soprattutto in passato, per trarre auspici, per cercare di leggere qualche rivelazione rispetto al silenzio che grava sulla sua esistenza. Con questo si perpetua la convinzione propria dei popoli antichi, alimentata dalle loro visioni religiose, secondo le quali un ruolo particolare si doveva riconoscere al cielo, considerato un principio nutritivo dell’essenza maschile, che in congiunzione con la terra, essere femminile, generava gli alberi, gli animali, gli uomini. La luna è più intimamente partecipe delle vicende umane: rischiara la notte liberandola dalle sue angosciose presenze. La luna è amica dell’uomo, tuttavia rimane anch’essa un elemento misterioso, su cui Leopardi si è interrogato con i suoi versi sublimi nei quali la luna solinga nel cielo richiama gli sterminati silenzi della volta stellata. Ma sempre sostanzialmente è la luce, più o meno brillante, del sole che dà splendore al creato, il sole è la luce del giorno che mette in relazione tra loro le cose. Se il sole è il giorno, la luna è la notte. Per gli uomini dei tempi antichi, come delle stesse odierne società primitive, lo sguardo al cielo era fondamentale, e ciò è semplicemente testimoniato, secondo diverse rivelazioni dell’arte rupestre preistorica, dall’assimilazione del cielo 5
ad una mappa nella quale all’ordine delle costellazioni si attribuivano significati particolari. Ancora ad epoche preistoriche, ad esempio, risale la scoperta del ruotare del cielo intorno alla Stella Polare, fenomeno che i primitivi non sapevano spiegare, ma che assegnava alla stella fissa un significato preciso, rivelatore di un ordine divino. Ma anche per Valentini forse nessun altro significante è più carico di contraddittorie e diffuse valenze ideologiche-concettuali che non il mito, e certo nel fervido mondo protocristiano esso, nell’immaginario popolare, era diventato sinonimo di fiaba o leggenda. Comunque nel corso di venticinque secoli il significante mito è stato oggetto di impegnativi e contrastanti approcci, da parte di artisti e studiosi, antropologici e concettuali. Tuttavia il mito – presso quegli orizzonti culturali in cui ha un ruolo trainante – si propone come uno strumento rassicurante, annullando idealmente le incertezze insite in un divenire che si teme di non poter padroneggiare. Valentini con l’uso di una simbologia mitica chiama in causa una storia sacra, indimostrabile in quanto metafisicamente orientata, che non alimenta solo attese di tipo palingenetico, ma da un senso psicologistico a quel disagio e a quelle insoddisfazioni che oggi chiamano in causa strategie e funzioni proprie del mito, e confutano un “reale” che è stato prodotto da un plurisecolare progetto ecumenico-stratificante. È utile evidenziare quanto i fermenti religiosi di fine/inizio millennio si siano fondati su verità mitiche che intendono trascendere la contingenza storica, smentendo un fondamento essenziale dell’identità culturale occidentale. Il simbolo rivela certi aspetti della realtà profonda che sfidano qualsiasi altro mezzo di conoscenza. Immagini e simboli non sono creazioni irresponsabili della psiche, ma rispondono a una necessità, e svolgono una funzione: quella di mettere a nudo le più segrete modalità dell’essere. Possiamo mascherarli, 6
mutilarli, ma non sarà mai possibile estirparli; nel subconscio dell’uomo moderno sopravvive una mitologia sempre crescente che non scompare mai dall’attualità psichica; simboli e miti possono cambiare aspetto ma la loro funzione resta la stessa: si tratta soltanto di togliere le nuove maschere, perché in effetti essi rimangono sempre alla base della mitologia. Prima ancora che l’astrologia apparisse nella civiltà del bacino mediterraneo, gli astri avevano un ruolo fondamentale nella vita psicologica dell’uomo e nella sua realtà concreta. Il linguaggio simbolico degli astri, tracciato dalle mani dei pastori caldei intenti a guardare attoniti i fenomeni del cielo stellato, e poi elaborato sino alle stilizzazioni e codificazioni mitologiche e psicoanalitiche di oggi, si mantiene inalterato nella sua sostanza e nella sua potenza evocativa ed epressiva. Comunque per Valentini alla visione mitica e religiosa del cielo si contrappone la sua rappresentazione concreta come parte, o altra metà, del paesaggio, rintracciabile nelle icone che da sempre usa per la sua ricerca, sia quella primitiva che quella contemporanea. E questo avviene in modo naturale in un momento in cui mai come nel passato l’uomo usa il cielo, lo penetra con la sua tecnica che va dagli aerei ai satelliti, alle sonde, ma anche alle telecomunicazioni incessanti che avvengono attraverso lo spazio. Se prendiamo in considerazione alcune opere presenti in mostra tutto ciò risulterà indubbiamente più chiaro. Carte del cielo (tecnica mista su carta e tavola, 2005), Antares (tecnica mista su tavola, 2005), due lavori su fondo bianco, ci accorgiamo che una complessa e profonda armonia geometrica e aritmetica governa la struttura di queste opere. La ripartizione degli spazi, e il movimento del segno che disegna ellissi e ascisse, si impernia su valori numerici, espressioni rinnovate di un linguaggio esoterico molto coltivato in epoca araba. Sulla superficie bianca e materica
– il fondo è strutturato con sabbia, terra, sassi, che poi viene in parte sgretolato con uno scalpello – l’artista mima un muro diroccato, degradato, su cui dialetticamente posa le sue geometrie auree, i suoi astri radianti che viaggiano circondati da esopianeti (pianeti che non appartengono al sistema solare), che sfiorano con i loro dinamici percorsi le stelle pulsar, stelle ormai collassate, che li investono con fasci di onde radio, o riflettono le luminosità uraniche di vere e proprie palle di gas come Giove e Saturno. In questi spazi troviamo un flusso, talora spiralico (come è proprio di tutte le galassie o dei pianeti in formazione), di segmenti che creano una processualità permanente, di per sé significante come attualizzazione di un’alterità, una successione di immagini generanti che si costituiscono a loro volta in segno, producendo un concatenamento visuale e concettuale che produce “intensità”, ma di cui non è sempre facile articolare le direzioni, perché è impossibile stabilire una demarcazione radicale tra il regime dei segni e quello della materia. Un lavoro come Pegaso III (tecnica mista su tavola, 2006) – il cavallo alato figlio di Poseidone e della Gorgone, è legato all’idea di tempesta e porta il tuono e il fulmine per conto di Zeus, ma è anche definito nube portatrice di acqua feconda, e simbolo dell’ispirazione poetica – nel suo accecante candore mette in scena questa stella (che gli scienziati denominano 51 Pegasi), che orbita attorno a stelle capricciose che magari si chiamano (70) Vergine, o (47) Orsa Maggiore, Tau Botis o Cigno. Queste sono opere che vivono soprattutto di bianco, un colore assoluto che non tollera impurità. Il significato simbolico più caratterizzante di questo colore, è quello di essere il colore della totalità, cromatismo etereo, rarefatto, luminoso, che associa in sé tutti gli altri, e lo rende intrinsecamente partecipe all’immagine del divino e del trascendente. Il bianco è il colore della luce in forza della sua caratteristica fisica di riflettere al meglio le onde 8
luminose, ma l’identità tra bianco e luce non rimane circoscritta alla fisica delle onde, infatti dal punto di vista psicologico-analitico, la luce è il grande, fondamentale, simbolo della coscienza. Queste opere rintracciano miti cosmogonici e i grandiosi scenari sui quali si svolge la vicenda epica del conscio che emerge dall’inconscio. Un colore che è ugualmente e costantemente, disseminato tra le opere a fondo bianco, nero, e talora grigio, è l’oro, quell’oro che gli Egizi ritenevano fosse la materia solare stessa, e la sostanza di tutti gli dei. Questo vincolo ci è largamente testimoniato nelle immagini di divinità auree come Budda in Oriente, Elios in Grecia, Zarathustra in Persia, e di tutte le altre divinità disseminate nel cielo. Ma dai luoghi della sovranità divina, l’oro è emigrato nei luoghi della sovranità umana, diventando colore caratteristico della regalità. Un lavoro come Pegaso V (tecnica mista su tavola, 2006) fa parte di una serie in cui il fondo è bipartito e si presenta in alto come una scabra concrezione ocrata e terrosa – come quella che osserviamo sulla superficie di Marte o Venere, che avendo ormai perduto l’elemento gassoso, hanno acquisito una crosta rocciosa solida, costellata da una miriade di crateri – in cui si evince, come in filigrana, la sagoma del cavallo alato in volo, in questo caso fermato, o frenato, da un pezzo di corona solare ovviamente luminosa e tridimensionalmente metallica. La parte sottostante, di un bruno profondo, evidenzia un’immagine fatta di cerchi concentrici, facile da rintracciare nella cartografia cosmica (si tratta di un simbolo che ci ricorda la mitica Atlantide, fascinoso segno utopico di città perfetta formalmente e concettualmente, che alcuni collocano a Thera nel Mar Egeo, e altri in pieno Atlantico), da cui si dipartono i segni di una geometria (di origine aristotelica e rinascimentale, innestata sui principi di Newton) tridimensionale che ci riporta a concentrarci sull’icona cavallo-stella. L’intero percorso dell’opera di Valentini, a causa di questo continuo rimando all’oro, potrebbe essere letta
come sintesi della trasformazione alchemica del piombo in oro, dove il piombo raccoglie la proiezione degli aspetti oscuri, ombrosi, e inferi della personalità, e l’oro raccoglie la proiezione degli aspetti illuminati, solari e superiori della persona umana. Se osserviamo opere come Altair (tecnica mista su tavola, 2005), Pegaso I e Pegaso (tecniche miste su tavola, 2006), in cui predomina un nero profondo, troviamo che
talora anche blu cobalto, che si forma e ci circonda; un fatto che avviene quando due stelle, casualmente, si avvicinano tra loro e l’una strappa all’altra, con la sua forza di marea, un po’ di materia che poi si condensa in pianeti. I raggi infrarossi ci fanno scoprire dischi di polveri intorno a certe stelle (Vega o Beta Pictoris) che non potremo mai conoscere. Valentini trasforma così un tracciato fisico e
l’esperienza pittorica che nasce dalle tenebre interiori, sfocia inevitabilmente nella luce vivissima di simboliche stelle che mandano simbolici raggi per l’universo. Se la luce è simbolo della coscienza, il buio lo è dell’inconscio, in quanto connesso con il nero, l’ombra, le tenebre, la notte, con la magia che avvolge le cose sprofondate nel mistero. In questi lavori troviamo della materia pietrosa,
pitagorico in un tracciato-intreccio, molto dinamico, di tipo psicologico, indi in una situazione di vita quotidiana in cui la dilatazione, il respiro spezzato, l’energia e la velocità del segno evocano i nostri momenti profondi di “vissuto”, rimasti appesi sulla membrana luminosa della memoria. Gli ultimi lavori di Valentini, presenti in questa mostra, procedono – rispetto ai precedenti, 9
fitti di schemi che ricordano complesse ed arcaiche “macchine del tempo” – verso una sintesi, che indica una nuova necessità di semplicità compositiva, un cammino verso una voglia di poesia che trova il suo luogo genetico in una materia fragile, in via di fondersi con i luminosi percorsi delle galassie, delle vie lattee, o delle nebulose (lontanissime come quella di Andromeda), per generare altri mondi (ricordiamo Urano seduto con in mano un compasso), che forse un giorno ospiteranno la vita. Le opere dedicate a una stella: Aldebaran I, Aldebaran II (tecniche miste su carta e tavola, 2006), sono molto indicative del tracciato creativo dell’artista. Infatti troviamo insieme alle algebriche e dinamiche geometrie che percorrono tutto il suo excursus artistico, anche un nodo di segni, simboli e archetipi, operanti sia nelle strutture della realtà psichica, sia in quello delle figurazioni immaginali e creative. Sappiamo che Aldebaran (chiamata anche Alfa Tauri, o Al Dabaran, ovvero “l’inseguitore”, in riferimento al modo in cui la stella sembra seguire l’ammasso delle Pleiadi nel loro moto notturno), è una stella rossa-arancione gigante, il cui diametro è 40 volte quello del Sole e 150 volte più luminosa; essa si è ormai separata dal nucleo principale della costellazione del Toro (corrisponde perfettamente all’occhio sinistro come vediamo nelle cartografie del cielo), una delle stelle più luminose insieme a Sirio e Orione che invece, forse, è la più bella. Ha una piccola compagna binaria, una debole nana rossa. Aldebaran – e questo Valentini lo evidenzia ponendola su una sorta di scena appositamente studiata – è una delle stelle più facili da trovare in cielo, sia per il suo splendore (i persiani la chiamavano Torcia), che per la sua associazione a uno degli asterismi più evidenti (Costellazione del Toro). Se si traccia una linea che passa tra le stelle della cintura di Orione, da sinistra a destra, o da destra a sinistra, la prima stella luminosissima che si incontra è Aldebaran. Essa, astrologicamente è una stella fortunata, 10
perché portava ricchezza e onori. Questa stella, che ci suggerisce anche l’idea metaforica di un “viaggio” verso i mondi fantastici della creatività, è circondata da un intrico di orbite, costellazione di punti in “divenire”, quasi come dei centri nervosi, collegati con il simbolo Sole, ognuno dei quali è riconducibile, o relazionabile, con qualsiasi altro attraverso una tangenza, e quindi essi si presentano come situazioni “differenti”, in grado di generare una serie di anelli semiotici in cui coesistono problemi linguistici, percettivi, concettuali, psicoanalitici ed espressivi diversi, che si muovono rizomaticamente lungo linee di fuga, che non vogliono demarcare radicalmente un confine tra il “regime dei segni e i loro oggetti”, che determinano il policentrismo dell’opera. Ne consegue che tempo e spazio (che in astrologia possono essere elastici) non si recepiscono mai speculari a se stessi, perché oltre a ribellarsi a una serie di precedenti convenzioni manieristiche, e formalistiche, non rispondono a valenze e codici omogenei: la memoria, l’inconscio, il mito, la metamorfosi, il rapporto illusivo con la realtà, l’uso di svariati materiali, organizzandosi ed intrecciandosi, ricostituiscono un soggetto, una silhouette in movimento. Andare verso Aldebaran, seguire il suo sguardo profetico, significa anche procedere verso un “viaggio” della mente, che predilige il pensiero meditante, e assume su di sé le qualità solari e umane, dinamiche, fascinosissime, del principio della creatività. È il tempo, è lo spazio, è il mondo dell’uomo, è il mondo delle stelle, dell’universo, che troviamo, momento per momento, espressi dalla lunga e preziosa ricerca di Walter Velentini.
Pagina 7 Walter Valentini nel suo studio. Pagina 9 Viaggio, 2004-2005, mosaico, cm. 190 x 1.160, Udine.
Walter Valentini....toward Aldebaran Marisa Vescovo
The man who looks at the sky could get upset about verifying its intangibility, its empty essence, its exasperating fixity, its endless boundaries: its non revelation. Nevertheless, his immediate perception can give him the illusion of a relatively finite space. This finiteness is made up of the curved line of the horizon which brings man closer to a dome, a big dome containing few things you can see in the blue sky: clouds, lightnings, rainbows, northern lights, birds, planes; that is to say, all the phenomena linked to the atmospheric state which wraps the earth and all the objects in the space, as well as the other celestial bodies: the sun, the moon, the stars and all the uncountable sidereal beings. Anyway, this is not what Walter Valentini sees when, at night, he looks at the sky. The sky is a deep dark blue well, it is almost black. Its dark bottom reduces its sense of infiniteness and of emptiness, even though the violence of certain meteorological phenomena reveals the power of the system connected to the geosphere of the atmosphere. The uranic perception is of course different. The sky is conceived as a container of astronomic phenomena: stars, comets, the sun and the moon were all considered unapproachable entities, clung to the deepness of the universe. Man used to look at them with a sort of bewilderment, even
trying to get from them some auspices, or simply a revelation which was in contrast with the deep silence of the sky. All this perpetuates the ancient conception, supported by religious visions, according to which the sky had an important role. It was considered the nourishing principle of the male essence that with the earth, female essence, could create trees, animals, human beings. The moon plays an important role in human events: it lits up the night by clearing of Her anguishing presences. The moon is a man’s friend, but She also is the mysterious element from which Leopardi drew inspiration for his lines. The poet celebrates the solitary moon which recalls the boundless silence of the starry sky. But it is the light of the sun, more or less shining, that gives more brilliance to the universe. The sun is the light of the day which connects things. If the sun represents the day, the moon represents the night. In some prehistoric rock paintings the sky was assimilated to a map in which the constellations order was associated to particular meanings. All this points out the importance of looking at the sky in ancient cultures, as well as in primitive societies. Even the discovery of the sky turning around the Pole Star can be dated back to the prehistoric age. This phenomenon revealed a 11
divine order by giving a precise meaning to the fixed star. However, primitive peoples were not able to explain it. According to Valentini there is no signifier so full of contradictory and ideological conceptual meaning as the one of the myth. In the fervent Proto-Christian world, as well as in the people’s vision, the myth was a synonym standing for fairy tale or legend. Anyway, over the last twenty-five centuries, several artists, experts, anthropologists and conceptualists have approached the myth in contradictory different
ways. In those cultural horizons the myth has a dominant role and is a reassuring mean as it ideally removes any inherent uncertainty about a future that can not be controlled. Valentini involves a holy conception into his vision by using a mythical symbology. The holy conception, that can not be proved because it is metaphysically oriented, not only feeds palingenetic hopes but it also gives a physiological meaning to the uneasiness and dissatisfaction that characterize the functions and the strategies of the myth. These functions and strategies disprove the conception of “reality” that has been produced by 12
a centuries-old ecumenical and stratified project. It is useful to point out that the religious state of unrest, which characterized the end and the beginning of the millennium, was based on mythical truths which aim to surpass the historical contingency by proving wrong the essential basis of the western cultural identity. The symbol discloses some deep aspects of reality which can challenge all the other means of knowledge. Images and symbols are not irresponsible products of our psyche but they aim at disclosing the innermost dynamics of the being. It is possible to conceal or to mutilate them, but it is impossible to get rid of them. In the modern man’s subconscious there is a growing mythology that never disappears from the psychic events. Symbols and myths can change their appearance but their function remains the same: it is just a matter of taking off masks but actually they represent the foundation of mythology. Even before astrology appeared in the Mediterranean civilization, celestial bodies had an important role in man’s psychological life as well as in his real life. The symbolic language of the stars was first drew by the Chaldean shepherds who used to stare at the phenomena of the starry sky. This language has been worked out and it has, nowadays, a mythological and psychoanalytical codification; but it still preserves its evocative and expressive power. Valentini opposes a realistic representation of the landscape, or of a part of it, to the mythical and religious vision of the sky. All this can be seen in the icons he always uses in his research, both the primitive and the modern one, as well as in our present age. As a matter of fact man uses the sky, he crosses it with the modern technology which involves planes, satellites, probes, and all those endless telecommunications that take place through the sky. What we are saying will be more understandable if we consider some of the works of the exhibition. Sky Maps (mixed technique on paper and panel, 2005) and Antares (mixed technique on panel,
2005) are two works on white ground. If we look at them, we can notice the complex geometric and arithmetic balance which predominates the structure of these works. The distribution of the spaces, as well as the movement of the sign which draws ellipse and xaxis, is based on numerical values which remind us of the esoteric language used in the Arab age. The artist casts a ruined wall on a white matter surface, the ground is made up of sand, earth, stones and it has been half crumbled by a chisel. On this wall he dialectically places his golden geometries, his celestial bodies which travel surrounded by exoplanets (planets that do not belong to the solar system). Along their way, they pass by pulsars, collapsed stars, which overcome planets with their radio wave beams. These stars also reflect the uranic luminosity of gas balls, such as Jupiter and Saturn. In these spaces we can notice a flux of segments, a spiraliform flux, (that is typical of the galaxies or of the new formed planets). These segments create a permanent process that finds its deep meaning in the realization of an alterity. A sequence of images forms a sign, by creating a visual and conceptual concatenation that produces “intensity”. Of course, it is not always easy to understand the directions of this visual and conceptual concatenation, as it is impossible to establish a borderline between signs and matter. A work such as Pegasus III (mixed technique on panel, 2006) – the winged horse, Poseidon and Gorgon’s son, is connected to the idea of tempest and it brings thunder and lightning on behalf of Zeus; but it is also defined as a cloud which brings fertile water that symbolizes poetic inspiration – with its shining whiteness, puts on a star (called Pegasi 51) which orbits around whimsical stars, maybe, called (70) Virgo or (47) Ursa Major, Tau Botis or Cygnus. The main colour of these works is white, an absolute colour that does not admit any kind of impurity. This colour, in its symbolic meaning, represents the totality, the ethereal emphasis on
colour. For its rarefied and bright feature, white can be associated to the image of the divine and of the transcendent. White is the colour of the light because it can better reflect the luminous waves. Anyway, the association between white and light is not only in the physics of the waves; as a matter of fact, from a psychological and analytic point of view, light is the main symbol of conscience. These works remind us of cosmogonical myths, as well as, of the magnificent stage on which the epic event of the unconscious upon the conscious takes place.
Gold is another important colour which is always present in works with white, black and gray ground. Gold was considered by Egyptians as the solar matter itself, as the Gods’ essence. This connection is particularly evident in the images of golden divinities such as Buddha in the East, Elios in Greece, Zarathustra in Persia, and all the other divinities scattered in the sky. But gold has changed its symbology. Nowadays it is the symbol of the divine sovereignty as well as of the human one, it is the typical colour of royalty. A work such as Pegasus V (mixed technique on panel, 2006) belongs to a group of 13
works in which the ground is divided into two and it presents an ochre rough earthy concretion on the top, (as the one we can observe on Mars and Venus which, by losing the gas element, have got a solid rock crust full of craters) where it is possible to see, as it was by filigree, the profile of the winged horse that is stopped by a piece of solar corona, tridimensionally luminous and metallic. The dark lower part points out an image made up of concentric circles from which a tridimensional geometry originates. This geometry (whose origin can be dated back to Aristotle and to Renaissance and that it is based on Newton’s principles) draws our attention on the horse-star icon. The same image can also be found in the cosmic cartography; it is a symbol which reminds us of the mythical Atlantis. Atlantis was the fascinated utopic sign of a formally and conceptually perfect city. Someone says that this city was set in Thera in the Aegean Sea, others state that it was in the Atlantic sea. Because of the constant reference to gold, all Valentini’s works can be read as a synthesis of the alchemic transformation of lead into gold. Lead symbolizes the darkest and innermost aspects of human personality; on the contrary gold is the symbol of the most shining and superior aspects of human being. If we look at works such as Altair (mixed technique on panel, 2005), Pegasus I and Pegasus (mixed techniques on panel, 2006) where dark black is the main colour, we can notice that the pictorial experience, which originates from the inner darkness, leads to the bright light of symbolic stars which, on their turn, send symbolic beams to the universe. Light is the symbol of conscious; dark is the symbol of unconscious because it is connected to black shadows, to the darkness of night, as well as to the magic which wraps all the mysterious things. In these works there is a cobalt blue stony matter that forms when two stars accidentally get closer and one of them, thanks to its tide power, tears away a little matter, turning into new planets. The infrared rays let us find out dust discs around some stars (Vega or Beta Pictoris) 14
that otherwise we could never know. Valentini turns a physical and Pythagorean pattern into a sort of psychological pattern. He turns it into a daily event where dilatation, broken breath, energy and signs speed evoke the innermost moments of “our past life” which still live in our bright memory. Last works of Valentini, present in this exhibition, are different from his previous ones. They are so rich in schemes that remind us of complicated archaic time machines. On the contrary, in these works he seems to look for a synthesis that highlights his need of a new compositional simplicity. The artist aims at a kind of poetry which finds its genetic place in a fragile matter that is going to melt with the shining ways of galaxies, with the milky way, with distant nebulae (very distant like the nebulae of Andromeda) in order to create other worlds that will probably be inhabited by other forms of life (we can remember Uranus sitting with a compass in his hands). The works dedicated to a star Aldebaran I, Aldebaran II (mixed techniques on paper and panel, 2006) clearly show his creative way. As a result, apart from the algebraic and dynamic geometries, it is possible to notice a group of signs, symbols and archetypes that work both in the structures of the psychic reality as well as in the imaginary and creative patterns. We know that Aldebaran (also called Alfa Tauri or Al Dabaran, or “the chaser” in reference to the way the star seems to chase the Seven Sisters in their nightly route) is a big red-orange star, whose diameter is 40 times bigger than the sun’s diameter and it is 150 times more shining than it. This star is no more linked to the main nucleus of Taurus constellation (it coincides with the left eye, as we can see in the sky maps) and it is one of the most shining star, together with Sirius and Orion. Even if Orion is maybe the most beautiful. Aldebaran has a binary star, a red dwarf. It is really easy to find it thanks to its brightness (the Persians used to call it Torch) and to its
association to one of the most visible asterisms (Taurus Constellation). Valentini highlights Aldebaran’s position by setting it in a well structured scene. If we draw a line that crosses the stars of the Orion’s belt, from left to right, or from right to left, Aldebaran is the first shining star we meet. It astrologically is a lucky star as it brought wealth and honours. This star (which also brings to our mind the metaphorical idea of a “journey” toward the imaginary worlds of creativity) is surrounded by a node of orbits, constellation of “becoming points”, as they were nerve centres, that are linked to the symbol of the Sun. Each of these points can be connected to another one through a tangency. They appear as “different” situations able to produce a sequence of semiotic rings in which several kind of problems coexist: the linguistic, perceptual, conceptual, psychoanalytical and expressive ones. They move in a rhizomatous way along vanishing lines
which don’t want to mark out the borderline between the “signs regime and their objects”, but rather they determine the work polycentrism. As a result, time and space (which can be flexible in astrology) can never be perceived as speculate for themselves. They not only rebel to a sequence of previous manneristic and formalistic conventions but they also correspond to some values and to homogeneous codes: memory, subconscious, myth, metamorphosis and the deceived relationship with reality as well as the use of different materials, all these things together create a subject, a moving silhouette just by weaving. Going toward Aldebaran, following its prophetic look, means to travel toward the mind. It is a sort of journey that has a preference for a meditative thought and it takes on the fascinating solar human virtues that characterize the creativity principle. In his overrefined research Walter Valentini portrays, step by step, time, space, man’s world, star world, the universe.
Pagina 13 Carta del cielo II, 2006, tecnica mista su carta e tavola, (particolare). Pagina 16 Muro del sole, 2006, tecnica mista su tavola, (particolare). 15
Verso Aldebaran
Antares, 2005 tecnica mista su tavola cm. 60 x 60
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Carte del cielo, 2005 tecnica mista su carta e tavola cm. 60 x 60 Pagina 22 Pegaso V, 2006 tecnica mista su tavola cm. 70 x 50 Pagina 23 Pegaso III, 2006 tecnica mista su tavola cm. 70 x 50 Pagine 24-25 Disegni del cielo, 2005 tecnica mista su tavola cm. 38 x 183,5
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Caelum, 2005 tecnica mista su tavola cm. 88 x 60 Pagina 28 Hamal, 2005 tecnica mista su tavola cm. 88 x 60 Pagina 29 Pegaso IV, 2006 tecnica mista su tavola cm. 70 x 50 Pagine 30-31 Pegaso, 2006 tecnica mista su tavola cm. 100 x 200 Pagine 32-33 Il cielo di Walter Valentini, 2002 mostra antologica Palazzo Ex Pretura Sassoferrato (Ancona)
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Solare, 2005 tecnica mista su tavola cm. 90 x 90 Pagina 36 Aldebaran II, 2006 tecnica mista su carta e tavola cm. 108 x 80 Pagina 37 Aldebaran I, 2006 tecnica mista su carta e tavola cm. 108 x 80
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Carta del cielo II, 2006 tecnica mista su carta e tavola cm. 60 x 60 Pagina 40 Disegni del cielo, 2005 tecnica mista su tavola cm. 60 x 60 Pagina 40 Mizar, 2005 tecnica mista su tavola cm. 40 x 40 Pagina 41 Notte, 2005 tecnica mista su tavola cm. 60 x 60 Pagina 41 Altair, 2005 tecnica mista su tavola cm. 60 x 60
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Disegni del cielo II, 2005 tecnica mista su tavola cm. 90 x 90
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Sothis III, 2006 tecnica mista su tavola cm. 30 x 30 Sothis II, 2006 tecnica mista su tavola cm. 30 x 30 Sothis I, 2006 tecnica mista su tavola cm. 30 x 30 Pagine 46-47 Il cielo di Walter Valentini, 2002 mostra antologica Palazzo Ex Pretura Sassoferrato (Ancona) Pagina 48 Muro del sole, 2006 tecnica mista su tavola cm. 80 x 80 Pagina 49 Il muro del sole II, 2006 tecnica mista su tavola cm. 80 x 80
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Solare, 2005 tecnica mista su tavola cm. 60 x 60 Pagina 52 La luce del cielo, 2002 tecnica mista su tavola cm. 88 x 60 Pagina 53 Pegaso II, 2006 tecnica mista su tavola cm. 70 x 50 Pagine 54-55 Ascesi, 2003 tecnica mista su tavola cm. 150 x 218 Pagina 56 CittĂ del sole, 1986 tecnica mista su tavola cm. 60 x 40 (particolare)
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Biografia
Nato a Pergola (Pesaro) il 22 ottobre 1928, si forma tra Roma - prima sede del Convitto Rinascita, dove è allievo, tra gli altri, di Consagra, Turcato e Cagli -, Milano - seconda sede del Convitto, dove ha come maestri tre grandi protagonisti del razionalismo astratto, Luigi Veronesi, Max Huber e Albe Steiner, che lo influenzeranno profondamente - ed Urbino, dove frequenta la Scuola del Libro dell’Istituto di Belle Arti e si specializza in litografia con Carlo Ceci. Proprio ad Urbino nascono l’interesse e la passione di Valentini per l’incisione, settore in cui si afferma per rigore tecnico e capacità di innovazione del linguaggio, tanto da essere oggi unanimemente considerato un maestro di valore internazionale - sono circa duecento le opere grafiche finora realizzate dall’artista, soprattutto acqueforti e puntesecche. Walter Valentini si stabilisce definitivamente a Milano nel 1955. Per quindici anni svolge l’attività di grafico e di direttore creativo in due importanti agenzie di pubblicità, e continua, segretamente, a dipingere. Negli anni Sessanta partecipa a alcune mostre, dove espone opere del periodo della Scuola del Libro; la sua prima, vera mostra d’esordio è, nel 1974, alla Galleria Vinciana di Milano, presentato in catalogo da Guido Ballo. L’artista lavora, negli ultimi trent’anni, a grandi
cicli di opere (alcune di grandi dimensioni), che esprimono, già nei titoli, l’interesse di Valentini per la rappresentazione “ideale” dello spazio e del tempo: Le stanze del tempo; Il muro del tempo; La città del sole; La città ideale; Lo spazio, il tempo; Costellazione; La porta del cielo; La porta del tempo; La porta della luce; Le misure, il cielo; Sui muri del cielo; Accadimento stellare; Le pieghe del cielo; Solare. Nel curriculum espositivo dell’artista hanno un particolare rilievo le mostre dedicate alla grafica: l’esordio, a Venezia, nel 1955 (1a Biennale dell’Incisione Italiana Contemporanea); le partecipazioni alla Biennale Internazionale di Ibiza e di Listowel nel 1982 (dove ottiene il primo premio), alla Biennale Internazionale di Cracovia nel 1984 (dove gli viene assegnato il Gran Prix) ed alla Biennale Internazionale di Grafica di Lubiana nel 1984 e nel 1989 (con sale personali), la mostra antologica dell’opera grafica (1972-1989) a Rimini nel 1989 (in occasione della quale viene pubblicato il catalogo generale dell’opera grafica dell’artista). Valentini si è cimentato, con risultati di straordinaria suggestione, nell’illustrazione, con opere grafiche, di testi letterari, realizzando splendidi volumi d’artista a tiratura limitata; tra gli altri, si possono ricordare: La città del sole di Tommaso Campanella, I canti di Giacomo 57
Leopardi, Dante anarca e i suoi sei maestri di Giacomo Oreglia, La notte viene col canto di Mario Luzi, Travasare il miele di Basilio Reale, una seconda, diversa edizione de I canti di Leopardi, Sidereus nuncius di Galileo Galilei, Nella volta celeste ora appare una gran mano dispiegata di Oreglia, Api di Mario Luzi. Tra le tante mostre dedicate ai libri di artista di Valentini, si debbono almeno ricordare la partecipazione, nel 1992, a The artist and the book in twentieth-century Italy, al Museum of Modern Art di New York, la personale, nel 1999, al Palazzo Te di Mantova e la mostra itinerante, nel 1999-2000, a Washington, Chicago e Vancouver, intitolata Walter Valentini nei “Canti” di Giacomo Leopardi. Grafica, opere su carta e su tavola non sono, tuttavia, nell’artista, assolutamente disgiunte, ma si alimentano vicendevolmente di sperimentazioni, scoperte, riflessioni. Gli elementi fondanti della poetica di Valentini sono, del resto, da subito evidenti: la cultura artistica del Rinascimento, fatta di armonia e di equilibrio; il senso dello spazio e delle proporzioni proprio dell’architettura; le ricerche astratte dei costruttivisti russi e di grandi maestri dell’astrazione e dello spazialismo italiano e internazionale, a lungo frequentati dall’artista; l’interesse per la musica; l’esigenza di dare rappresentazione al fluire del tempo, al cosmo, alla memoria; la suggestione e la grande sensibilità per gli stessi materiali usati (dalla carta alle superfici di legno, ai muri). Vanno ricordate, a questo proposito, le grandi opere e installazioni, a lui direttamente commissionate, che Valentini realizza per spazi particolari: nel 1988, La città del sole, collocata nell’ingresso della sede ristrutturata della Camera del Lavoro di Reggio Emilia (e nell’occasione la Provincia di Reggio Emilia organizza una sua mostra nei Civici Musei); nello stesso anno, il suggestivo intervento nella grande Sala dei Monaci dell’Abbazia di S. Maria in Castagnola di Chiaravalle (Ancona); nel 1990, due grandi opere 58
per l’edificio della Ashford Properties di Greenwich, Connecticut (USA) e l’installazione per il Museo di Siegburg (Germania); nel 1991, l’installazione Lo spazio, il tempo per la Harris Concert Hall di Aspen, Colorado (USA) e la Città ideale per il Palazzo Montani-Antaldi di Pesaro; nel 1992, l’installazione Il labirinto della memoria alla FreaArte di Milano. Si erano susseguite, intanto, le mostre personali di prestigio, in gallerie e musei: italiani (la grande esposizione antologica dedicatagli dal Comune di Rimini, al Palazzo dell’Arengo, nel 1989, quelle nel natio Comune di Pergola nel 1993 e nel 2000, la mostra antologica al Palazzo Crepadona di Belluno nel 1997) e stranieri (Boston, Stoccolma, Amburgo, Colonia, New York, Aspen, Tokyo, Monaco, Regensburg, Vienna, Istanbul, Ankara; nel 1995-1996 una mostra personale di Valentini viene presentata alla Galleria Dionne di Parigi). Nel 1997 è invitato alla XLVII edizione della Biennale Internazionale di Venezia nella sezione Unimplosive Art, verso la nuova classicità e nel 1999 alla Quadriennale di Roma. Nell’ottobre-dicembre 2001, Palazzo Magnani di Reggio Emilia presenta la mostra Walter Valentini. Sulle tracce dell’infinito, a cura di Sandro Parmiggiani. Nel catalogo Skira, oltre a testi del curatore, di Claudio Cerritelli, di John E. Bowlt, di Enzo Bianchi e di Gianni Vattimo, viene pubblicata un’ampia antologia critica, che testimonia il costante interesse di alcuni dei maggiori critici e storici dell’arte per l’opera di Valentini, del quale vengono pure proposti testi e interviste. Da luglio a settembre del 2002 il Comune di Sassoferrato (AN), nell’ambito della 52ª Rassegna Internazionale d’Arte G.B. Salvi, organizza la mostra antologica Il cielo di Walter Valentini allestita negli ampi spazi del Palazzo Ex Pretura. Nel 2003 si inaugura a Loano (SV), nell’ambito dell’iniziativa patrocinata dal Comune Loano Fontane d’Arte, l’opera Le misure, il cielo, una fontana con scultura in bronzo di cm. 300x190. Nel 2005, sempre a Loano, viene allestita a
Palazzo Doria la mostra antologica La voce silenziosa delle stelle mentre a Piacenza, negli splendidi spazi della Galleria Solaria Arte, inaugura la mostra Le geometrie dell’anima. Da ricordare anche l’esposizione a Palazzo Jacini di Milano Valentini sulla carta alla Neo Geo Arte. Questo è anche l’anno dei premi e dei riconoscimenti ufficiali: vince il Premio Città di Staffolo (AN) ed il 56° Premio Michetti In & Out. Opere e ambiente nella dimensione Glocal a Francavilla al Mare (CH). Nel 2006 verrà installata in Piazza Sant’Ambrogio a Milano la scultura Memoria realizzata in bronzo patinato (cm. 350x82x142) in ricordo dei caduti della Divisione Vicenza durante la campagna di Russia nel 1941-1943. Al PAC - Padiglione d’Arte Contemporanea - di Milano viene presentato il libro d’arte: Mario Luzi, Walter Valentini. Vetrinetta accidentale con l’esposizione delle matrici e dei fogli impressi sui torchi a mano calcografici e tiopografici mentre ad aprile inaugura la mostra Verso Aldebaran, curata da Marisa Vescovo, alla Galleria d’Arte 2000 & NOVECENTO di Reggio Emilia.
Le misure, il cielo, 2002, fusione in bronzo lucido e patinato, base in marmo bianco, cm. 95 x 78 x 46 59
ASSOCIAZIONE NAZIONALE GALLERIE D’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA