Luigi Mainolfi - Dune, paesaggi del corpo

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L U I G I

M A I N O L F I

2000 & NOVECENTO Edizioni d’Arte


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2000 & NOVECENTO Galleria d’Arte

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LUIGI MAINOLFI Dune, paesaggi del corpo 2000 & NOVECENTO Galleria d’Arte Via Emilia San Pietro, 21 Reggio Emilia 8 dicembre 2007 - 10 febbraio 2008

Mostra a cura di Marisa Vescovo e Gianfranco Rossi Catalogo a cura di M. Paule Fournier e Erika Rossi Organizzazione e coordinamento di M. Paule Fournier e Erika Rossi Ufficio stampa e pubbliche relazioni Gaëlle Rossi Testo di Marisa Vescovo Foto di Francesco Alecce, Torino Emilio Bianco, Torino Alessandro Lanciotti, San Benedetto del Tronto (AP) Jò Mainolfi, Torino Daniele Mari, Salerno Paolo Mussat Sartor, Torino Daniele Prandi, Reggio Emilia Luciano Romano, Napoli Studio Sant’Orsola, Torino Paolo Vandrasch, Milano Traduzioni di Interconsul, Parma In copertina, Terra del sole, 2003-2004 (particolare), foto di Studio Sant’Orsola, Torino In patella di copertina foto di Daniele Prandi, Reggio Emilia

© 2007, 2000 & NOVECENTO - Edizioni d’Arte Stampato nel novembre 2007 dalla Grafiche Step, Parma


Marisa Vescovo

Luigi Mainolfi

Dune, paesaggi del corpo

2000 & NOVECENTO Edizioni d’Arte



Dune, paesaggi del corpo Marisa Vescovo

Quando osserviamo sia le terrecotte che i bronzi presenti in questa personale, ci rendiamo conto che il senso del tatto chiama in causa l’intero corpo, nel suo spessore e in superficie; contrariamente agli altri sensi la cui localizzazione è più precisa, il tatto coinvolge la pelle in ogni suo punto. Percepiamo infatti il mondo intorno a noi. Il “sensibile” è anzitutto la qualità tattile delle cose, il contatto con gli altri o con gli oggetti, la sensazione di avere sempre la terra sotto i piedi. Attraverso le sue innumerevoli pelli il mondo ci fa conoscere gli elementi che lo costituiscono: volume, consistenza, contorni, peso, temperatura. Marsilio Ficino, fedele allo spirito del Rinascimento che assimila il tatto alla sessualità, riconosce che si tratta di un “senso universale”, capace di sollecitare uomini e animali. Quando guardiamo le terrecotte a muro di Luigi Mainolfi, sentiamo che la pelle di terra, caratteristica del suo lavoro, è satura di inconscio e di cultura, e disvela quindi la psiche del soggetto, ma anche il ruolo che esso svolge all’interno del legame sociale, la storia che lo impregna di sé, e pure la sua strenua “difesa della natura”, la sua lotta per trattenere le aggressioni oltre una determinata soglia. La natura è cosa viva in quanto respira, ha rapporti di scambio con l’ambiente, traduce gli stati d’animo, mediante la consistenza e il colore che la contraddistinguono, stabilisce il passaggio di stimoli tra il fuori e il dentro, tra piacere e dolore. Nel momento in cui il nostro occhio cade su questi lavori ci accorgiamo che la visione non è un calco del reale, ma selezione e interpretazione. Lo spazio, in tal caso, è un’elaborazione psichica, l’appropriazione visiva del mondo è filtrata da quella che potremmo chiamare una “barriera di contatto”, una frontiera di senso, continuamente rimessa in gioco, uno schermo capace di filtrare i dati del vedere e di interpretarli immediatamente. Al di là di tutto ciò, osservando queste opere, (Terra dell’arlecchino nero, 2007 o Dune luna, 2006) sentiamo immediatamente che la pelle ocra dell’opera è uno specchio - come dice lo scienziato Calligaris - su cui si riflettono mente e anima, oltre a tutto l’invisibile che ci circonda, nonché gli squilibri fisici, emotivi e psicologici delle persone. Essa è capace di armonizzare sentimenti e pensieri, dare informazioni sugli organi interni ad essa collegati, visto che sulla pelle vi sono placche in cui si ritrovano i riflessi delle onde cosmiche. 5


Nella pelle della terra, coperta di frantumi, di fessure, di rotture, vive costantemente un segno, un codice espressivo che sembra volerci comunicare quei saperi che la vita con le sue gioie e i suoi dolori vi hanno impresso, ma anche quelle voci inascoltate, cariche di presagi, che salgono dall’inconscio a rivelare sogni e fantasie. Su queste superfici fratturate spazio e tempo perdono i loro connotati oggettivi per esprimersi con una prossimità-lontananza del corpo che può, nonostante le tante guerre civili e apocalissi planetarie, celebrare il suo stato di grazia. Molte opere sembrano essere popolate di dune aride e desolate, intese anche come paesaggi del corpo e della solitudine, che indicano un deserto ricoperto di piccole colline, che sono un’estensione superficiale sotto la quale va cercata la Realtà, aprendo a una dimensione di evocazione, di allusione, ad un tesoro di immagini, ricordi e desideri, di temperatura prettamente mediterranea. Tutto ciò forse non è altro che l’enigma alchemico di quanto questa realtà occidentale tecnologica vorrebbe oggi azzerare. Nell’esoterismo ismaelita il deserto è l’essere esteriore, il corpo, il mondo, che si percorre ciecamente senza percepire la spiritualità nascosta dietro le apparenze. L’Ulisse odierno deve conoscere la lontananza del mito e dell’esilio della natura, deve essere un esploratore dell’assenza e della lontananza della vita vera. Tuttavia per Mainolfi è il materiale scelto che autogenera le immagini. Le crepe, i frammenti, i solchi, diventano così soffi energetici che intridono il corpo del bassorilievo - ora sempre più pittorico - e mettono in evidenza la fisionomia sensoriale e sensuale della terra, che trattiene sempre una scintilla solare. Talora ci accorgiamo che le tacche che si sollevano dalla superficie in effetti sono dei seni femminili coi loro capezzoli eretti, simbolo di protezione, maternità e dolcezza, sicurezza e fecondità (il latte è il primo e indispensabile nutrimento), rifugio e promessa di rigenerazione. Sappiamo che il seno destro è simbolo del sole e quello sinistro della luna. I lavori dello scultore caudino ci appaiono dunque come “spazi mentali”, interpretati, a volte, come visioni rinnovate del mondo attuale: il ricorso all’immaginazione, anche fabulistica, e il potere evocativo di alcune immagini (Dune Harem, 2007), alimentano un dialogo sottile sulle molte realtà delle cose. Tuttavia al centro di questi lavori non c’è tanto il paesaggio apocalittico della postmodernità quanto l’idea del tempo che oggi ci spinge con forza in avanti. La vista delle rovine che ci circondano - come sostiene Marc Augé - ci fa intendere l’esistenza di un tempo puro che non è quello di cui ci parlano i manuali di storia, o che i restauri cercano di restituirci, bensì un tempo “non databile, assente da questo nostro mondo di immagini, di simulacri e di ricostruzioni, di questo nostro mondo violento le cui macerie non hanno più tempo di diventare rovine”. Anche per Mainolfi la rovina è il risultato del tempo, di cui occorre fare esperienza. Walter Benjamin fa del frammento e del non finito la condizione indispensabile per descrivere l’epoca presente, epoca di rovine e di resurrezioni. Nell’arte contemporanea (e naturalmente includiamo l’architettura) la rovina non indica più l’incerto e problematico rapporto con il passato, bensì quello con il futuro, un futuro non ancora avvenuto. In un momento di vita così angoscioso e difficile, le opere di Mainolfi colgono una dimensione archetipica legata al femminile, ma non solo, che ci avvolge e ci conduce verso una posizione di difesa e riparazione feconda delle emozioni. Si potrebbe dire che davanti a queste terrecotte ocra, rosse, nere e verdi (il colore era comunque già apparso negli anni Ottanta), si sente veramente il profumo del 6



mistero, il mistero e la sacralità di una nascita posta in una cornice di caldissimo sole, dove l’aridità della terra non coincide certo con l’aridità dell’anima, anzi è un’esplosione vitale di rimandi simbolici infiniti e trascendenti. Questo segno futuribile però oggi si annuncia nell’opera di Mainolfi con l’intervento del colore che svaria da frammenti di nero, che sembrano indicare il vuoto che ristagna dietro le superfici come un ingorgo libidico, a un verde smeraldo che ricorda immobili lagune tropicali, colore di misteriose trasparenze e di frigida ed aspra bellezza, che monta fino ai confini del cielo. A questo colore è ispirata una bellissima serie di tavolette (Primi verdi, 2007), dipinte e poi verniciate, con un verde teso e contratto, che sembra voler trattenere l’energia al proprio interno, ma poi, con una sorta di spasmo, esplode all’esterno un capezzolo che suggerisce il nutrimento che ci viene dall’acqua, ovvero la vita pura e semplice. Altre tavolette (Paesaggi, 2007) sono coperte di scaglie serpentine di metallo grigio, una cromia che ci ricorda i luoghi dove l’uomo non arriva, dove l’erba non cresce, dove gli animali non sopravvivono,

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simbolo di regni impenetrabili e inaccessibili, di spazi da inventare, di mondi che sono così da sempre e per sempre, segno di un altrove inaccessibile, refrattario ad ogni impulso trasformativo. Un altro gruppo di opere presenti in mostra allude al Bestiario del sole (2006), una caratteristica della creatività di Mainolfi, che giunge ad un tale grado di identificazione e interscambiabilità con le forme dei suoi lavori a cui chiediamo la fusione corporale tra il mondo umano e quello animale. Di conseguenza le forme e le figure che lo scultore sceglie per comunicare questa visione osmotica del mondo, sono svincolate da ogni legame temporale e fisico, quindi rese fluide, tanto da trapassare le une nelle altre, in una relazione di partecipazione completamente vissuta. Con lo scatenarsi degli scambi tra una sfera e l’altra, noi e la scultura ci sentiamo fusi con il divenire cosmico, perciò ci pare di essere spinti da una medesima forza vitale. Con questo l’artista ci dice che l’identità, mutante, è un nuovo modo di porsi dell’arte. Corpi e identità che vogliono assomigliarsi nelle mutazioni, nelle ibridazioni, nelle opportunità di incontro e di scambio, la trasmigrazione verso altre forme, o espressioni, in cui il genere e la forma non definiscono più l’essere umano e la sua singolarità. Sculture come: Centaura oro, Scossa o Scossole (2006-2007), riflettono perfettamente l’antica dialettica paura/fascino nei confronti delle figure ibride. Il risultato è l’immagine di corpi che sconfinano in altro da sé, un’ibridazione tra umano, animale, vegetale, mitologia, fantascienza, un corpo come con-fusione di generi, organico/inorganico, animale/vegetale. D’altro canto ancora oggi l’idea dei mutanti mitologici, come è avvenuto anche nel Rinascimento, riecheggia simbolicamente nell’arte. E’ evidente che l’arte si confronta con poetiche, linguaggi e generi, ma, anche e soprattutto, con nuove forme di vita e di esistenza: quelle che si ravvisano già oggi e quelle ancora insospettabili. Tutto questo è sottolineato dall’uso che Mainolfi fa del bronzo lucidatissimo, che raccoglie il carattere incontenibile della luce che si irradia, espandendosi come un faro, o un sole, in tutte le direzioni. Anche il Sole alluminio (2006), posto nel cortile, sia lo si consideri simbolicamente come intelligenza del mondo o immagine del bene o ancora vita-morte-rinascita, si anima e partecipa di una “rappresentazione” dove gli elementi emozionali e naturali interagiscono e si scambiano i ruoli energetici. Queste opere non mancano di ricordarci che fuoco, aria, acqua, terra, oltre a riproporre le sorgenti della costellazione fisica e naturale, ci ricordano gli strumenti che l’essere umano possiede per trasformarsi.

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Dune, and body landscapes Marisa Vescovo

Whether we are looking at the terracotta pieces or the bronzes in this one-man show, we are made aware that the sense of touch involves the whole body, from its depths to its surface. In contrast with the other senses whose location is more precise, touch involves every point of the skin. In fact, through it we perceive the world around us. “Sensitivity” is above all the tactile quality of things, the contact with others or with objects, the feeling of always having the ground beneath our feet. Through its countless skins, the world lets us know the elements that make it up: volume, texture, contours, weight and temperature. Marsilio Ficino, who is loyal to the Renaissance spirit that assimilates touch with sexuality, acknowledges that we are dealing with a “universal sense”; one that is capable of rousing both men and animals. When we look at Luigi Mainolfi’s terracotta wall pieces, we feel, as always in his work, that the clay’s very skin is saturated through and through with the subconscious and a sense of discernment, and therefore reveals the psyche of the particular subject, together with its social role, the history that impregnates it, and even the strenuous “defence of its own nature” - its struggle to limit aggression. Its own nature is a living thing in that it breathes, interacts with the environment and translates moods through the very texture and colour that make it stand out. It also establishes the passage of stimuli from outside to inside and from pleasure to pain. From the moment that our gaze first falls on these works, we realise that the piece we are seeing is not just a cast of real life, but a selection and interpretation of it. In this case “space” is an elaboration of the psyche where a visual appropriation of the world has been filtered through what we might call a “contact barrier”, a sense boundary, put to use again and again; a screen capable of filtering the data seen and immediately interpreting it. Beyond all this, in observing these works, (Terra dell’arlecchino nero, 2007 or Dune luna, 2006) we immediately feel that their ochre skin is a mirror – as the scientist Calligaris says – in which mind and soul are reflected, beyond everything invisible that surrounds us, and far beyond people’s physical, emotional and psychological disturbances. This skin is capable of harmonising sentiments and thoughts, and of giving information on the internal organs connected to them, seeing that there are plates on it that reflect cosmic waves. Within the clay’s skin, which is covered in debris, cracks and 13


Paesaggi (flore), 1994 14


breaks, a sign lives on, an expressive code that seems to want to tell us not only of the knowledge that life with its joy and pain has impressed on us, but also of those unheard voices, heavy with omens, that rise from the subconscious to unveil dreams and fantasies. Upon these broken surfaces, space and time lose their objective connotations to end up expressing themselves with a nearness-distancing of the body that still manages to celebrate its state of Grace, in spite of the many civil wars and planetary apocalypses. Many works seem to be populated by arid, desolate dunes, which can be understood as landscapes of the body and of solitude. These may be a desert covered in small hills, which are an extended surface beneath which Reality may be sought, and that open up a dimension of evocation and allusion, a veritable treasure-house of images, memories and desires, with a temperature that can only be Mediterranean. Perhaps all of this is none other than the alchemical enigma that this Western technological reality would like to zero in on today. In Ismaelite exoterism, the desert is the exterior being, the body, and the world, which we blindly cross without perceiving the spirituality hidden behind appearances. Today’s Ulysses must know just how far myth and exile are from Nature, and must be an explorer of both absence and distance from real life. Nonetheless, for Mainolfi it is the material chosen that self-generates the images. The cracks, the fragments and the wrinkles thus become waves of energy that permeate the body of the bas-relief which has become more and more painterly - and highlight the clay’s sensorial and sensual physiognomy, which is always guarding a scintilla of sunshine. Now and again we realise that the nodules that rise from the surface are in fact female breasts with erect nipples as a symbol of protection, maternity and sweetness, safety and fertility (milk is the first indispensable nourishment), as well as a refuge and a promise of regeneration. We know too that the right breast is a symbol of the sun and the left of the moon. The works of the Caudinese sculptor thus appear to us as “mental spaces”, sometimes to be interpreted as fresh visions of today’s world. The recourse to imagination, which is often fable-like, and the evocative power of certain images (Dune Harem, 2007) feed a subtle discourse on the many faces of reality. However at the centre of these works, there is not so much the apocalyptic landscape of Postmodernism as the idea of Time that impels us forward. The vision of the ruins that surround us as Marc Augé affirms - makes us understand the existence of a pure Time, which is not the one the history books talk about, or that restoration tries to give us back, but rather a Time that is “not locatable, absent from our world of images, simulacra and reconstitutions, from our violent world whose debris can no longer afford the time to become ruins”. Also for Mainolfi a ruin is the result of Time, which we must come to experience. In the same way, Walter Benjamin makes a fragment (instead of a finished piece) indispensable to describe the present era; an era of ruins and resurrections. In contemporary art (and of course here we include architecture) the ruin no longer indicates an uncertain and problematic relationship with the past, but with the future; a future that has yet to come. In this angst-ridden and difficult period, the works of Mainolfi embrace an archetypical dimension linked to the feminine (but not only), that envelops us and leads us towards a position of defence and fertile shelter from the emotions. We could say that in front of these ochre, red, black and green terracotta pieces (colour had already appeared in the Eighties, however), we really do smell the scent 15




of mystery, the mystery and sacredness of a birth framed by a scorching sun, but where the aridity of the earth certainly does not coincide with the aridity of the soul, but is instead a vital explosion of symbolic cross-references that are infinite and transcendental. However, this futurable sign announces itself in Mainolfi’s works with the use of colour, which ranges from specks of black that seem to indicate the stagnant emptiness of a blocked libido lurking below the surface, to an emerald green that recalls motionless tropical lagoons, a colour of a mysterious transparency and a frigid, bitter beauty that rises beyond the clouds. This colour has inspired a very beautiful series of panels (Primi verdi, 2007), which have been painted and then varnished with a tense, tight green, that at first seems to guard all its energy, but then suddenly explodes with a sort of spasm into a nipple that suggests the nourishment that water gives, or just Life in its purest and simplest form. Other panels (Paesaggi, 2007) are covered in serpentine scales of grey metal, a chromaticism that recalls the places man never reaches, where the grass never grows and where animals cannot survive; a symbol of impenetrable and inaccessible realms, of spaces still to be invented, of worlds that have always been so and will continue to be so for the rest of time, a sign of an inaccessible elsewhere, refracting every transforming impulse. Another group of works on show alludes to the Bestiario del sole (2006), a trait in Mainolfi’s creativity that reaches a stage of identification and interchange in the works’ forms that makes us demand a corporeal fusion between the human and animal kingdoms. Consequently, the forms and the figures that the sculptor has chosen to communicate this osmotic vision of the world are released from any temporal and physical link, and thus made so fluid that they blend into one another, in full-blown participation. With the unleashing of the interchanges between one sphere and another, we feel both ourselves and the sculpture as one with the cosmic becoming, and thus driven by the same vital force. With this the artist is telling us that changing identity is a new means of expression in art. Bodies and identities that long to be mutations or hybridisations, or simply the chance to meet and interchange, transmigrate towards other forms or expressions in which the genre and the shape no longer define human beings in their singularity. Sculptures such as: Centaura oro, Scossa or Scossole (2006-2007), perfectly mirror the time-worn fear/fascination dialectic when faced with hybrid figures. The result is an image of bodies melting into one another, a cross between human, animal, vegetal, mythological and science-fiction; a body as con-fusion of genres; organic/inorganic and animal/vegetal. On the other hand, as happened during the Renaissance, the idea of mythological mutants still re-echoes symbolically in today’s art. It is clear that art confronts itself with poetics, languages and genres, but also and especially with new forms of life and existence: those which have already been recognised and those which remain unsuspected. All of this is underlined in Mainolfi’s use of highly polished bronze, which gathers a radiating light that expands like a beacon or a sun in all directions. Also the Sole alluminio (2006), to be found in the courtyard, comes to life and takes part in a “representation” where the emotional and natural elements interact and swap energy roles. We might like to consider this as a symbol of the world’s intelligence, an image of good or perhaps even life-death-rebirth. These works do not fail to remind us that fire, air, water and earth, as well as representing the sources of the physical and natural constellation, are also the instruments that human beings possess to transform themselves.

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Dune, 2002 19



Dünen, die Landschaften des Körpers Marisa Vescovo

Wenn wir sowohl die in dieser Einzelausstellung zu sehenden Terrakotten als auch die Bronzen betrachten, werden wir uns bewusst, dass der Tastsinn den gesamten Körper in seiner Tiefe und an der Oberfläche herbeizieht; im Gegensatz zu den anderen Sinnen, deren Lokalisierung genauer ist, bezieht der Tastsinn jede Hautstelle mit ein. Wir nehmen in der Tat die Welt um uns herum wahr. Das “Sensible” ist vor allem die Tastqualität der Dinge, der Kontakt mit den Anderen oder mit den Gegenständen, das Gefühl stets Boden unter den Füßen zu haben. Über die zahlreichen Häute lässt uns die Welt die Elemente kennen lernen, aus denen sie besteht: Volumen Festigkeit, Umrisse, Gewicht, Temperatur. Marsilio Ficino, der dem Geist der Renaissance treu ist, die den Tastsinn der Sexualität gleichstellt, erkennt, dass es sich um einen “Universal-Sinn” handelt, der fähig ist, Menschen und Tiere anzutreiben. Wenn wir die Wandterrakotten von Luigi Mainolfi betrachten, spüren wir, dass die Erdhaut, das Merkmal seiner Arbeit, mit dem Unbewussten und Kultur gesättigt ist und somit die Seele der Person enthüllt, aber auch die Rolle, die sie innerhalb der gesellschaftlichen Bindung spielt, die Geschichte, die an ihr haften bleibt, aber auch ihre unermüdliche “Verteidigung der Natur”, ihren Kampf, um die Aggressionen über einer bestimmten Schwelle zurückzuhalten. Die Natur ist lebendig, da sie atmet, mit der Umwelt Austauschbeziehungen unterhält, die seelischen Zustände überträgt, über die Festigkeit und die Farbe, die sie unterscheiden, bestimmt sie den Reizdurchgang von Außen nach innen, zwischen Gefallen und Schmerz. In dem Augenblick, in dem unser Blick auf diese Arbeiten fällt, bemerken wir, dass die Vision nicht ein Abdruck des Wirklichen, sondern die Auswahl und Interpretation ist. Der Raum ist in diesem Fall eine psychische Erarbeitung, die sichtbare Aneignung der Welt wird von jener gefiltert, die wir eine “Kontaktbarriere” nennen könnten, eine ständig ins Spiel gebrachte Sinnesgrenze, ein Bildschirm, der fähig ist, die Daten des Sehens zu filtern und sie unmittelbar zu interpretieren. Darüber hinaus spüren wir bei der Betrachtung dieser Werke (Terra dell’arlecchino nero, 2007 oder Dune luna, 2006) sofort, dass die ockerfarbene Haut des Werks ein Spiegel ist – wie der Wissenschaftler Calligaris sagt – auf dem sich der Geist und Seele wieder spiegeln, sowie alles Unsichtbare, das uns umgibt, und die physischen, emotionalen und psychologischen Ungleichgewichte der 21


Terra dell’arlecchino nero, 2007 22


Dune Harem, 2007 23



Personen. Sie kann die Gefühle und Gedanken harmonisieren, Informationen über interne mit ihr verbundene Organe erteilen, in Anbetracht dessen, dass es auf der Haut Beläge gibt, in denen sich die Reflexe der kosmischen Wellen wieder finden. In der Haut der Erde, die mit Scherben, Spalten und Brüchen bedeckt ist, lebt ständig ein Zeichen, ein Ausdruckscode, der uns diese Erkenntnisse mitzuteilen scheint, die das Leben mit seinem Freud und seinem Leid dort eingedrückt haben, aber auch jene nicht angehörten Stimmen voller Vorausahnungen, die aus dem Unterbewussten aufsteigen und Träume und Phantasien offenbaren. Auf diesen gebrochenen Oberflächen verlieren Raum und Zeit ihre objektiven Merkmale, um sich in einer Nähe-Ferne des Körpers auszudrücken, die trotz der vielen Bürgerkriege und Katastrophen auf der Erde ihre ausgezeichnete Verfassung feiern kann. Viele Werke sind anscheinend von unfruchtbaren und trostlosen Dünen bevölkert, die auch als Landschaften des Körpers und der Einsamkeit zu verstehen sind und eine von kleinen Hügeln bedeckte Wüste aufzeigen. Diese Hügel sind die oberflächliche Ausdehnung, unter der die Wirklichkeit zu suchen ist, indem eine Dimension der Beschwörung, der Andeutung, ein Schatz der Bilder, Erinnerungen und Wünsche, der typisch mediterranen Temperatur zu öffnen ist. Dies alles ist wahrscheinlich nicht weiter als das alchemische Rätsel, das diese technologische westliche Realität heute annullieren möchte. In der ismaelitischen Esoterik steht die Wüste für das äußere Sein, den Körper, die Welt, die blind durchlaufen wird, ohne die hinter den Erscheinungen versteckte Spiritualität wahrzunehmen. Der moderne Odysseus muss die Ferne des Mythos und das Fernsein der Natur kennen, es muss ein Forscher der Abwesenheit und der Ferne des wirklichen Lebens sein. Für Mainolfi jedoch ist es das gewählte Material, das die Bilder selbst erzeugt. Die Spalten, die Scherben, die Rillen werden so zu energetischen Eingebungen, die den Basreliefkörper – jetzt immer malerischer – durchtränken und den sensoriellen und sinnlichen Charakter der Erde hervorheben, die stets einen Sonnenfunken festhält. Manchmal bemerken wir, dass die Kerben, die sich von der Oberfläche abheben tatsächlich Frauenbrüste mit ihren aufrechten Brustwarzen sind, dem Symbol für Schutz, Mutterschaft und Sanftheit, Sicherheit und Fruchtbarkeit (die Milch ist die erste und unerlässliche Nahrung), Zuflucht und Erneuerungsversprechen. Wir wissen, dass die rechte Brust das Symbol für die Sonne und die linke für den Mond ist. Die Arbeiten des kaudinischen Bildhauers erscheinen uns also wie “geistige Räume”, die manchmal wie erneuerte Visionen der aktuellen Welt interpretiert werden: der Rückgriff auf die auch fabelhafte Vorstellung und die beschwörende Kraft einiger Bilder (Dune Harem, 2007) nähren einen feinen Dialog über die vielen Realitäten der Dinge. Im Mittelpunkt dieser Arbeiten steht jedoch nicht die apokalyptische Landschaft der Postmoderne als vielmehr die Idee der Zeit, die uns heute kräftig vorwärts treibt. Der Anblick der uns umgebenden Ruinen – wie Marc Augé meint – lässt uns die Existenz der reinen Zeit begreifen, die nicht jene ist, von der die Geschichtsbücher erzählen oder die uns die Restaurierungen versuchen zurückzugeben, sondern eine Zeit die “nicht datierbar ist und in unserer Welt der Bilder, der Scheinbilder und der Rekonstruktionen, in unserer gewalttätigen Welt fehlt, deren Trümmer nicht mehr die Zeit haben zu Ruinen zu werden”. Auch für Mainolfi ist die Ruine das Ergebnis der Zeit, von der man Erfahrungen sammeln muss. Walter Benjamin macht das Bruchstück und das Unvollendete zur unerlässlichen 25


Tabacco, 2007 26



Dune notte, 2006 28


Bedingung, um die heutige Epoche zu beschreiben, Epoche der Ruinen und der Wiederauferstehungen. In der zeitgenössischen Kunst (und natürlich schließen wir auch die Architektur mit ein) zeigt die Ruine nicht mehr die ungewisse und problematische Beziehung zu der Vergangenheit an, sondern jene zu der Zukunft, eine noch nicht eingetretene Zukunft. In einem so beängstigenden und schwierigen Lebensmoment erreichen die Werke von Mainolfi eine archetypische mit dem Femininen verbundene Dimension, aber nicht nur, die uns umgibt und uns zu einer Verteidigungsposition und fruchtbaren Reparatur der Emotionen führt. Man könnte sagen, dass man angesichts dieser ockerfarbenen, roten, schwarzen und grünen Terrakotten (die Farbe kam schon in den achtziger Jahren auf) wirklich den Duft des Geheimnisvollen fühlt, das Geheimnis und die Sakralität einer Geburt, die in einen sehr warmen Sonnenrahmen gestellt wird, wo die Unfruchtbarkeit der Erde gewiss nicht mit der Unfruchtbarkeit der Seele übereinstimmt, im Gegenteil eine vitale Explosion der unendlichen und übersinnlichen symbolischen Verweise ist. Dieses futuristische Zeichen kündigt sich heute jedoch im Werk von Mainolfi mit dem Auftreten der Farbe an, die von schwarzen Scherben, welche die Leere, die sich hinter den Oberflächen wie eine unzüchtige Stockung staut, zu zeigen scheinen, bis zu Smaragdgrün reicht, das an unbewegliche Lagunen in den Tropen erinnert, Farbe der geheimnisvollen Transparenzen und die kalter und strenger Schönheit, die bis zu den Himmelsgrenzen aufsteigt. An dieser Farbe hat sich eine wunderschöne Reihe bemalter und anschließend lackierter Tafeln inspiriert (Primi verdi, 2007), mit einem angespannten und verkrampften Grün, das die Energie in seinem Inneren zurückzuhalten scheint, aber dann, in einer Art Krampf, bricht außen eine Brustwarze aus, welche die Nahrung wachruft, die uns das Wasser gibt, das heißt das reine und einfache Leben. Andere Tafeln (Paesaggi, 2007) sind mit schlangenhaften grauen Metallsplitter bedeckt, eine Farbe, die uns an die Orte erinnert, zu denen der Mensch nie gelangt, an denen kein Gras wächst, in denen die Tiere nicht überleben, Symbol für undurchdringliche und unzugängliche Reiche, für zu erfindende Räume, für Welten, die seit je her so sind und stets so bleiben, Zeichen für ein unzugängliches Anderswo, unempfindlich gegen jeden transformativen Impuls. Eine weitere Gruppe von in der Ausstellung zu sehenden Werken spielt auf das Bestiario del sole (2006) an, eine charakteristische Kreativität von Mainolfi, die einen solchen Identifikations- und Austauschbarkeitsgrad mit den Formen seiner Arbeiten erreicht, bei denen wir die körperliche Verschmelzung der Menschen- mit der Tierwelt verlangen. Demzufolge sind die Formen und die Figuren, die der Bildhauer wählt, um diese osmotische Vision der Welt zu kommunizieren, frei von jeder zeitlichen und physischen Bindung, und somit verflüssigt, so dass die Einen in die Anderen in einer komplett gelebten Teilnahmebeziehung übergehen. Mit dem Auslösen des Austausches zwischen den beiden Sphären fühlen wir und die Bildhauerei uns mit dem kosmisch Werden verschmolzen, deshalb scheint es uns, von derselben Lebenskraft geschoben zu werden. Hiermit sagt uns der Künstler, dass die sich wandelnde Identität eine Art ist, sich der Kunst zu stellen. Körper und Identitäten, die sich in den Verwandlungen, den Kreuzungen, den Treff- und Tauschgelegenheiten ähneln möchten, die Wanderung zu anderen Formen, oder Ausdrucksformen, bei denen die Gattung und die Form nicht mehr das menschliche Wesen und seine Einzigartigkeit definieren. Skulpturen wie Centaura oro, Scossa oder Scossole (2006-2007) spiegeln perfekt die antike Dialektik Angst/Faszination gegenüber den hybriden Figuren wieder. Das Ergebnis ist das Bild von 29


Körpern, die von sich in das Andere abweichen, eine Kreuzung zwischen Mensch, Tier, Pflanze, Mythologie, Sciencefiction, ein Körper als Mit-Verschmelzung der Gattungen, organisch/anorganisch, Tier/Pflanze. Andererseits hallt heute die Idee der mythologischen Mutanten, wie schon in der Renaissance, in der Kunst symbolisch wider. Es ist offensichtlich, dass die Kunst sich mit Dichtungslehren, Sprachen und Gattungen, aber auch und vor allem mit neuen Lebens- und Daseinsformen auseinander setzt: jene, die heute schon erkannt werden und jene, die noch ungeahnt sind. All dies wird von der Verwendung unterstrichen, die Mainolfi von der hochglänzenden Bronze macht, die den unbändigen Charakter des 30


Lichts aufnimmt, das ausstrahlt und sich wie ein Leuchtturm oder eine Sonne in alle Richtungen verbreitet. Auch die im Innenhof aufgestellte Sole alluminio (2006), sei es, dass sie symbolisch als die Intelligenz der Welt oder Bild des Guten oder noch als Leben-Tod-Wiedergeburt angesehen wird, belebt sich und nimmt an einer “Aufführung” teil, bei der die emotionalen und natürlichen Elemente interagieren und sich die energetischen Rollen ändern. Diese Werke unterlassen es nicht, uns daran zu erinnern, dass Feuer, Luft, Wasser und Erde neben dem erneuten Vorschlag der physischen und natürlichen Quelle der Konstellation uns an die Instrumente erinnern, die der Mensch für seine Wandlung besitzt. 31



Paesaggi, 1993-1994 33


Terracotta del sole, 2002 34



Terra Marte, 2004 36


Dune rossa, 2005 37


Dune, 2002 38




Terra del sole (tondo), 2005 41


Dune luna, 2006 42


Dune seni, 2006 43


Dune Pacifico, 2007 44


Dune Pacifico (tondo), 2007 45




Prima duna, 2000-2001 48


Terra del sole, 2003-2004 49


Malat, 2004 50



Dune maschio, 2002 52


Dune femmina, 2003 53


Scossa, 2007 54



Terra rossa, 2003 56



Dune vento, 2006 58


Terra della lontananza, 2005 59


Dune infinito, 2006 60




Apparati



Note biografiche

Luigi Mainoilfi è nato nel 1948 a Rotondi Valle Caudina (AV). Dopo gli studi di pittura all’Accademia di Belle Arti di Napoli è attratto dal panorama artistico e culturale torinese che negli anni Settanta rappresenta il centro dell’avanguardia artistica italiana e, nel 1973, vi si trasferisce. I primi lavori, tra il 1972 e il 1976, indagano il corpo e il gesto. Nelle prime esposizioni performances, presenta calchi del proprio corpo in gesso che lascia consumare nell’acqua (Cavriago, 1977) o fa precipitare dall’alto al suolo (La performance, Galleria Civica d’Arte Moderna, Bologna, 1977). Questo è anche il periodo in cui si riappropria dell’aspetto teorico della scultura attraverso una serie di disegni accompagnati da scritti (MDLXIV, 1976). Tra il 1979 e il 1980 completa La Campana (Galleria Tucci Russo, Torino, 1981) e La Sovrana Inattualità (P.A.C., Milano, 1982). Nel decennio che segue si impone con le sue grandi terrecotte, opere contenenti paesaggi e soggetti di ispirazione fiabesca, come Nascita di Orco ed Elefantessa del 1980. Nel 1981 partecipa alla Biennale di San Paolo del Brasile. Con Alle forche Caudine del 1981 partecipa alla XL Biennale di Venezia e a Documenta 7 Kassel nel 1982. Con Le Bbasi del cielo (1981-1982) partecipa alla XII Biennale de Paris del 1982 e con il bronzo Trionfo (Elefantessa) (1982) alla Biennale di Venezia del 1986. Negli anni che seguono si propone con Tufi, 1981-1985 (Ouverture, Rivoli, 1984 e Tour Fromage, Aosta, 1987), Arcipelago, 1983-1985 (acqua, pietra, legno, bronzo), Casel Ivano, Trento, 1987 e Icons of Postmodernism (Holly Solomon Gallery, New York, 1986). Nel 1987 vince il Superior Prix al 5th Henry Moore G.P. in Giappone con il bronzo Città Gigante realizzato nel 1986. Nel 1990 ha una sala personale alla Biennale di Venezia con Sole nero (1988-1989). Negli anni succesivi personali e retrospettive: 1992, Galleria d’Arte Contemporanea, Rimini (in catalogo: F. Gualdoni, Ed. Essegi, Ravenna); 1994, Villa delle Rose, Galleria Civica d’Arte Moderna, Bologna e Galerie Hlavniho Mèsta Prahy, Praga (in catalogo: R. Barilli, P.G. Castagnoli); 1995, Hotel de Galiffet, Paris (in catalogo: F. Poli, Ed. Di Meo); Promotrice di Belle Arti, GAM, Torino (in catalogo: P.G. Castagnoli, R. Fuchs, R. Passoni, A. Pohlen, Rcs Libri) e Grandi Opere, Milano; 1996-1997, Museo Civico di Castelnuovo, Maschio Angioino e Museo Diego Aragona Pignatelli Cortes, Napoli (in catalogo: R. Fuchs, A. Tecce, Umberto Allemandi Editore). Negli anni ’90 continua la ricerca attraverso forme già presenti da tempo nel suo lavoro ma anche nuove come Tamburo del Sole, (1995-1997), Gabbie, (1997), Vestiti e Colonne di Maggio, (1999) che proseguono la sua ricerca sul corpo: la pelle. Nel 2001 l’artista è scelto come rappresentante dell’Italia per uno scambio tra il nostro paese e il Giappone. Approda al Museo d’Arte Contemporanea di Sapporo dove realizza per il parco Colonne di Sapporo. Ancora grandi opere permanenti: nel 2002 Ballerine al parco della Padula a Carrara; nel 2004 Il sole del Buon vento a Benevento; nel 2005 Sole Scarabocchio a Brunico (BZ); nel 2006 Città e Sole a Rovereto. Nel 2007 espone il Sole alluminio alla Stadtische Galerie di Ravensburg in Germania e la città di Carrara gli conferisce il Premio Michelangelo 2007 per la scultura.

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Biographic Notes

Luigi Mainoilfi was born in 1948 at Rotondi Valle Caudina (AV). After studying painting at the Academy of Fine Arts in Naples he found himself attracted by the artistic and cultural panorama of Turin, which in the Seventies was the centre of Italian avant-garde art, and so he moved there in 1973. His first works, done between 1972 and 1976, investigate the body and gestures. In his first Performance pieces, he presented plaster casts of his own body, which he allowed to dissolve in water (Cavriago, 1977) or dropped onto the ground from above (La performance, Galleria Civica d’Arte Moderna, Bologna, 1977). This was the same period when he expropriated the more theoretical aspects of sculpture through a series of drawings accompanied by writings (MDLXIV, 1976). Between 1979 and 1980 he completed La Campana (Galleria Tucci Russo, Torino, 1981) and La Sovrana Inattualità, (P.A.C., Milan, 1982). Over the next ten years, he came out with his large terracotta pieces, works which contained landscapes and subjects inspired by fairy tales, such as the Nascita di Orco and Elefantessa of 1980. In 1981 he took part in the São Paolo Biennial in Brazil. In 1981, with Alle forche Caudine, he took part in the XL Venice Biennial and at Documenta 7 Kassel in 1982. With Le Bbasi del cielo (1981-1982) he participated in the XII Paris Biennial in 1982 and with his bronze Trionfo (Elefantessa) (1982) he showed at the Venice Biennial in 1986. Over the next few years, he came up with Tufi, 1981-1985 (Ouverture, Rivoli, 1984 and Tour Fromage, Aosta, 1987) and Arcipelago, 1983-1985 (water, stone, wood, bronze), Casel Ivano, Trento, 1987 and the exhibition Icons of Postmodernism at the Holly Solomon Gallery, New York, 1986. In 1987 he won the Superior Prix at the 5th Henry Moore Grand Prix in Japan with the bronze, Città Gigante created in 1986. In 1990 he had a room to himself at the Venice Biennial with Sole nero (1988-1989). The following years were filled with one-man shows and retrospectives: 1992, Galleria d’Arte Contemporanea, Rimini (catalogue: F. Gualdoni, Ed. Essegi, Ravenna); 1994, Villa delle Rose, Galleria Civica d’Arte Moderna, Bologna and Galerie Hlavniho Mèsta Prahy, Prague (catalogue: R. Barilli, P.G. Castagnoli); 1995, Hotel de Galiffet, Paris (catalogue: F. Poli, Ed. Di Meo); Promotrice di Belle Arti, GAM, Turin (catalogue: P.G. Castagnoli, R. Fuchs, R. Passoni, A. Pohlen, RCS Libri) and Grandi Opere, Milan; 1996-1997, Museo Civico di Castelnuovo, Maschio Angioino and Museo Diego Aragona Pignatelli Cortes, Naples (catalogue: R. Fuchs, A. Tecce, Umberto Allemandi Editore). In the Nineties he was to continue his research with forms that had existed for some time in his work, but also with new ones such as those of Tamburo del Sole, (1995-1997), Gabbie, (1997), Vestiti and Colonne di Maggio, (1999) which follow on from his researches into the body: the skin. In 2001, the artist was chosen to represent Italy in an exchange with Japan. He showed at the Museum of Contemporary Art in Sapporo, where he created for the park Colonne di Sapporo. Then there were other large-scale permanent works: in 2002 Ballerine for the parco della Padula in Carrara; in 2004 Il sole del Buon vento in Benevento; in 2005 Sole Scarabocchio in Brunico (BZ); and in 2006, Città e Sole in Rovereto. In 2007 he showed the Sole alluminio at Ravensburg’s Stadtische Galerie in Germany, while the city of Carrara was to award him the Premio Michelangelo 2007 for sculpture.

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Biografische notizen

Luigi Mainoilfi wurde 1948 in Rotondi Valle Caudina (AV). Nach dem Kunststudium an der Kunstakademie in Neapel wurde er von der Turiner Kunst- und Kulturszene angezogen, die in den siebziger Jahren den Mittelpunkt der künstlerischen italienischen Avantgarde darstellte und er zieht 1973 dorthin/nach Turin. Die ersten Arbeiten zwischen 1972 und 1976 befassen sich mit dem Körper und der Geste. In den ersten Performance-Ausstellungen stellt er Gipsabdrücke seines Körpers aus, die er im Wasser aufbrauchen (Cavriago, 1977) oder von oben auf den Boden fallen lässt (La performance, Galleria Civica d’Arte Moderna, Bologna, 1977). Dies ist auch die Zeit, in der er sich wieder den theoretischen Aspekt der Bildhauerei über eine Reihe von Zeichnungen, die von Schriften begleitet werden, aneignet (MDLXIV, 1976). Zwischen 1979 und 1980 beendet er La Campana (Galleria Tucci Russo, Turin, 1981) und La Sovrana Inattualità (P.A.C., Mailand, 1982). Im darauf folgenden Jahrzehnt setzt er sich mit seinen großen Terrakotten durch, Werke, die an Märchen inspirierte Landschaften und Gegenstände enthalten, wie die Nascita di Orco und Elefantessa von 1980. 1981 nimmt er an der Biennale von San Paolo in Brasilien teil. Mit Alle forche Caudine von 1981 nimmt er an der 40. Biennale von Venedig und an der Documenta 7 Kassel 1982 teil. Mit dem Werk Le Bbasi del cielo (1981-1982) nimmt er 1982 an der 12. Biennale von Paris teil. Mit der Bronze Trionfo (Elefantessa) (1982) an der Biennale von Venedig von 1986. In den folgenden Jahren stellt er sich mit Tufi, 1981-1985 (Ouverture, Rivoli, 1984 und Tour Fromage, Aosta, 1987) und Arcipelago, 1983-1985 (Wasser, Stein, Holz, Bronze), Casel Ivano, Trient, 1987 und Icons of Postmodernism (Holly Solomon Gallery, New York, 1986) vor. 1987 gewinnt er mit der Bronze Città Gigante, die 1986 realisiert wird, den Superior Prix beim 5. Henry Moore G.P. in Japan. 1990 hat er einen Einzelsaal bei der Biennale von Venedig mit Sole nero (1988-1989). In den folgenden Jahren Einzelausstellungen und Retrospektiven: 1992, Galleria d’Arte Contemporanea, Rimini (im Katalog: F. Gualdoni, Hersg. Essegi, Ravenna); 1994, Villa delle Rose, Galleria Civica d’Arte Moderna, Bologna und Galerie Hlavniho Mèsta Prahy, Prag (im Katalog: R. Barilli, P.G. Castagnoli); 1995, Hotel de Galiffet, Paris (im Katalog: F. Poli, Hersg. Di Meo); Promotrice di Belle Arti, GAM, Turin (im Katalog: P.G. Castagnoli, R. Fuchs, R. Passoni, A. Pohlen, Rcs Libri) und Grandi Opere, Mailand; 1996-1997, Museo Civico di Castelnuovo, Maschio Angioino und Museo Diego Aragona Pignatelli Cortes, Neapel (im Katalog: R. Fuchs, A. Tecce, Umberto Allemandi Editore). In den 90-ziger Jahren setzt er die Suche mittels Formen fort, die schon seit einiger Zeit in seinem Werk zu finden sind, aber auch neue wie Tamburo del Sole, (1995-1997), Gabbie, (1997), Vestiti und Colonne di Maggio, (1999) die seine Suche mittels dem Körper fortsetzen: die Haut. 2001 wird der Künstler auserwählt, Italien bei einem Italienisch-Japanischen Austausch zu vertreten. Er führt ihn in das Museum für zeitgenössische Kunst in Sapporo, wo er für den Park Colonne di Sapporo realisiert. Weitere bleibende Großwerke: 2002 Ballerine im Padula-Park in Carrara; 2004 Il sole del Buon vento in Benevento; 2005 Sole Scarabocchio in Bruneck (BZ); 2006 Città e Sole in Rovereto. 2007 stellt er die Sole alluminio in der Städtischen Galerie in Ravensburg in Deutschland aus und die Stadt Carrara verleiht ihm den Bildhauerpreis Premio Michelangelo 2007. 73




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Primi verdi, 2007 olio e terracotta, cm. 22x15 oil and terracotta Öl und Terrakotta

Bestiario del sole, 2006 gouaches, cm. 33x37,5

Centaura oro, 2006 bronzo, cm. 172x143 bronze Bronze

Città, Sole, 1994-2006 bronzo e terracotta, ambiente bronze and terracotta, space Bronze und Terrakotta, Raum

Foto: Emilio Bianco, Torino

Foto: Luciano Romano, Napoli

Foto: Francesco Alecce, Torino

Foto: Daniele Prandi, Reggio Emilia

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Sole nero, 1988-1989 legno, acqua, cera, ambiente wood, water, vax, space Holz, Wasser, Wachs, Raum

Paesaggi (flore), 1994 ferro, ø cm. 180 iron Eisen

Sole alluminio, 2006 alluminio, ø cm. 280 aluminium Aluminium

Dune, 2002 terracotta, cm. 160x160 terracotta Terrakotta

Foto: Paolo Mussat Sartor, Torino

Foto: Paolo Mussat Sartor, Torino

Foto: Emilio Bianco, Torino

Foto: Studio Sant’Orsola, Torino

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Terra dell’arlecchino nero, 2007 terracotta policroma, cm. 160x160 polychrome terracotta mehrfarbige Terrakotta

Dune Harem, 2007 terracotta policroma, cm. 160x160 polychrome terracotta mehrfarbige Terrakotta

Scosso, 2006 bronzo, cm. 140x137 bronze Bronze

Tabacco, 2007 terracotta, cm. 160x160 terracotta Terrakotta

Foto: Emilio Bianco, Torino

Foto: Emilio Bianco, Torino

Foto: Alessandro Lanciotti, San Benedetto del Tronto (AP)

Foto: Emilio Bianco, Torino

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Dune notte, 2006 terracotta policroma, cm. 160x160 polychrome terracotta mehrfarbige Terrakotta

Paesaggi, 2007 ferro, cm. 22x15 iron Eisen

Paesaggi dorso, 2004-2005 ferro, cm. 49x23x13 iron Eisen

Paesaggi cono e ruota, 1997 ferro, cm. 298x18 - cm. 86x15,5 iron Eisen

Foto: Emilio Bianco, Torino

Foto: Daniele Prandi, Reggio Emilia

Foto: Emilio Bianco, Torino

Foto: Emilio Bianco, Torino

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Paesaggi, 1993-1994 ferro, cm. 180x180 iron Eisen

Terracotta del sole, 2002 terracotta, ambiente terracotta, space Terrakotta, Raum

Terra Marte, 2004 terracotta, cm. 160x160 terracotta Terrakotta

Dune rossa, 2005 terracotta, cm. 160x160 terracotta Terrakotta

Foto: Paolo Mussat Sartor, Torino

Foto: Paolo Vandrasch, Milano

Foto: Emilio Bianco, Torino

Foto: Emilio Bianco, Torino

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Dune, 2002 terracotta, cm. 160x160 terracotta Terrakotta

Centaura, 2006 bronzo, cm. 177x133 bronze Bronze

Terra del sole (tondo), 2005 terracotta, ø cm. 160 terracotta Terrakotta

Dune luna, 2006 terracotta, ø cm. 160 terracotta Terrakotta

Foto: Studio Sant’Orsola, Torino

Foto: Emilio Bianco, Torino

Foto: Emilio Bianco, Torino

Foto: Emilio Bianco, Torino

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Dune seni, 2006 terracotta policroma, cm. 160x160 polychrome terracotta mehrfarbige Terrakotta

Dune Pacifico, 2007 terracotta policroma, cm. 160x160 polychrome terracotta mehrfarbige Terrakotta

Dune Pacifico (tondo), 2007 terracotta policroma, ø cm. 160 polychrome terracotta mehrfarbige Terrakotta

Scossole, 2007 bronzo, cm. 198x220 bronze Bronze

Foto: Emilio Bianco, Torino

Foto: Emilio Bianco, Torino

Foto: Emilio Bianco, Torino

Foto: Emilio Bianco, Torino

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Prima duna, 2000-2001 terracotta, cm. 160x160 terracotta Terrakotta

Terra del sole, 2003-2004 terracotta, cm. 160x160 terracotta Terrakotta

Malat, 2004 bronzo, cm. 106x90 bronze Bronze

Dune maschio, 2002 terracotta, cm. 160x160 terracotta Terrakotta

Foto: Studio Sant’Orsola, Torino

Foto: Studio Sant’Orsola, Torino

Foto: Alessandro Lanciotti, San Benedetto del Tronto (AP)

Foto: Studio Sant’Orsola, Torino

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Dune femmina, 2003 terracotta, cm. 160x160 terracotta Terrakotta

Scossa, 2007 bronzo, cm. 196x127 bronze Bronze

Terra rossa, 2003 terracotta policroma, cm. 160x160 polychrome terracotta mehrfarbige Terrakotta

Dune vento, 2006 terracotta, cm. 160x160 terracotta Terrakotta

Foto: Studio Sant’Orsola, Torino

Foto: Emilio Bianco, Torino

Foto: Studio Sant’Orsola, Torino

Foto: Emilio Bianco, Torino

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Terra della lontananza, 2005 terracotta, cm. 160x160 terracotta Terrakotta

Dune infinito, 2006 terracotta policroma, ø cm. 160 polychrome terracotta mehrfarbige Terrakotta

“Cazziatone”, Salerno, 2005

Luigi Mainolfi, 2007

Foto: Daniele Mari, Salerno

Foto: Alessandro Lanciotti, San Benedetto del Tronto (AP)

Foto: Emilio Bianco, Torino

Foto: Emilio Bianco, Torino

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Bestiario del sole, 2006 gouaches, cm. 33x37,5

Lucy Maffei, 2007, performance, Borgo Storico Seghetti Panichi, Castel di Lama (AP)

Luigi Mainolfi e Gianfranco Rossi, 2007 Borgo Storico Seghetti Panichi, Castel di Lama (AP)

Colonna di Maggio (Arpia), 2005 terracotta, ferro e tessuto, ambiente terracotta, iron and cloth, space Terrakotta, Eisen und Stoff, Raum

Foto: Francesco Alecce, Torino Foto: Alessandro Lanciotti, San Benedetto del Tronto (AP)

Foto: Daniele Prandi, Reggio Emilia

Foto: Daniele Prandi, Reggio Emilia

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patella di copertina

Da sinistra: Erika e Gianfranco Rossi, Imma e Luigi Mainolfi, Marisa Vescovo, Stefania Pignatelli e Jò Mainolfi, 2005, Pechino

Colonne Arpie (Cina), 2005 terracotta, ferro e tessuto, ambiente terracotta, iron and cloth, space Terrakotta, Eisen und Stoff, Raum

Colonna al vento, 2002 ferro, h. cm. 393 iron Eisen

Luigi Mainolfi, 2007 Borgo Storico Seghetti Panichi, Castel di Lama (AP)

Foto: Jò Mainolfi, Torino

Foto: Alessandro Lanciotti, San Benedetto del Tronto (AP)

Foto: Daniele Prandi, Reggio Emilia

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ASSOCIAZIONE NAZIONALE GALLERIE D’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA


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