EDITORIALE agosto-settembre 2007
Gusto di Puglia, racconto di un tempo
Istantanee di Puglia. Immagini e parole per narrare “tempi”. Tempo di attesa per vedere sbocciare un fiore o sfornare una frisa. Tempo di ceppi e di vendemmie. Tempo di lunghe passeggiate tra antichi palazzi o lungo la banchina di un intimo porto. Tempo di ascolto di popolari melodie e voci che narrano la pietra della Murgia. Gusto di Puglia è il racconto di un tempo, l'emozione di un istante da rivivere non più da lettore ma visitatore di una terra accogliente e solare. Una rivista che traccia la rotta dei vostri viaggi.
Snapshots of Apulia. Images and words to tell about “time”. Time to watch a flower blossoming or to take a frisa out of the oven. Time of vine stocks and grape harvests. Time of long walks among old palaces or along the wharf of an intimate harbour. Time to listen to popular songs and voices telling of the stone of Murgia. Gusto di Puglia is the tale of the “time”, the emotion of a moment to be lived no more as a reader but as a visitor of a hospitable and sunny land. A magazine leading the route of your journeys.
Gisella Della Monaca
SOMMARIO GUSTO DI PUGLIA rivista bimestrale
Registrazione presso il Tribunale di Lecce del 19 dicembre 2006 n° 952 è vietata la riproduzione anche parziale di testi, delle foto e delle illustrazioni se non autorizzata dalla direzione.
EDITORIALE
numero 2 – anno I
Gusto di Puglia, racconto di un tempo
PROGETTO EDITORIALE
SCEGLIERE VINO
SERGIO D’ORIA
Locorotondo, bianco spumeggiare
di Gisella Della Monaca
di Alba di Palo
pag. 1
pag. 4
DIRETTORE RESPONSABILE
GISELLA DELLA MONACA REDAZIONE
RITA PERRONE ANGELO SIRSI SEGRETERIA DI REDAZIONE
7TERRE Global Service via Nino di Palma, 112 – 73012 Campi Sal.na (LE) tel./fax 0832/793781 e-mail info@7terre.it FOTO/ILLUSTRAZIONI
PHOTOGRAFIKA STUDIO - Lecce
ORIZZONTE VERDE Timo, profumo di coraggio
di Barbara Minafra
pag. 14
GUST-ARTE Cannizzi e panari, intrecci di saggezza
di Barbara Minafra
pag. 18
PUGLIA DA GUSTARE Meloncella, grembo d’estate
di Gisella Della Monaca
pag. 26
PUGLIA DA GUSTARE Sieglinde, la buona novella
di Lia Mintrone
pag. 34
SI RINGRAZIA PER LE FOTO CONCESSE
PROFESSIONAL PHOTO VIDEO di S. Spagnolo ARCHIVIO DI PALAZZO FIZZAROTTI CANTINA SOCIALE DI LOCOROTONDO NUNZIO PACELLA AZIENDA SPERIMENTALE LA NORIA PHOTO JAPIGIA.COM FRANCESCO MINONNE
MEDMARE Sardina, guizzo del mediterraneo
di Alba di Palo
pag. 42
INCONTRI DI GUSTO Paolo De Castro
di Gisella Della Monaca
pag. 50
PROGETTO E DIREZIONE ARTISTICA
MAURIZIO D’ANNA IMPAGINAZIONE
LE VIE DEL PANE Salento, il pane del vento
di Lia Mintrone
pag. 54
RITA PERRONE
METE STAMPA
EDITRICE SALENTINA - Galatina (Le) PUBBLICITÀ
REGIONE PUGLIA Assessorato alle Risorse Agroalimentari APT PROVINCIA DI LECCE TERME DI SANTA CESAREA UNIONCAMERE BARI PROVINCIA DI FOGGIA Assessorato alle Risorse del Territorio
Fizzarotti, mosaico di stile di Federica Sgrazzutti
pag. 62
METE Giovinazzo, intimo porto
di Maurizio Marangelli
pag. 68
ORIZZONTI FIORITI Lilium, a vele spiegate
di Gisella Della Monaca
pag. 76
PUGLIA MADRE SI RINGRAZIA PER LA COLLABORAZIONE
“SLOW FOOD PUGLIA” per la segnalazione dei ristoratori tutti presenti nella prestigiosa “Guida Osteria d'Italia 2007” edita da“Slow Food Editore”. VERA POLI SALVATORE TEMPESTA PANIFICIO VETRUGNO AZIENDA AGRICOLA PERRONE SALVATORE WWW.ORTAGGIPUGLIESI.IT WWW.PROLOCOSALENTO.IT XENIA MISTRAL
Scapece, mollica di mare
di Federica Sgrazzutti
pag. 84
BISBIGLI NEL VENTO Uaragniaun, la voce della roccia
di Daniele Durante
pag. 92
RICETTE Gnumeredde suffuchete
pag. 12
Laganari, pomodorini, barattiere, basilico e scaglie di cacioricotta
pag. 32
TRADUZIONI
Patate, cucuzza e cozze
pag. 40
MARIA RITA MIGNONE
Alici marinate
pag. 48
Locorotondo,
bianco spumeggiare di Alba di Palo
Giro giro tondo‌ canto di vigne nella piana ad abbracciare questo loco ed il suo bianco spumeggiare. Ring-a-ring-a-roses...song of vineyards in the plain to hug this place and its white sparkling.
Sipping a glass of white wine of Locorotondo DOC, means to feel immersed in the multicoloured landscape that leads the tester back into history and to understand the freshness of its nectar which combines Norman strength, who conquered the town, and the Byzantine culture, that marked its birth. A cultural, historical mixture made of traditions that meet in a wine conquering people’s taste with its lightness and liveliness, the same daring strength that brought the Byzantines to Puglia bordering with Arab influences of Siculi. But the White DOC’s vigour, considered by oenologists one of the most representative Italian wines, designed to conquer the international beverage with its taste and liveliness, derives also from the Aragonese and Benedictine contaminations where in Locorotondo, at the far South of Bari, lived in the typical “cummerse”, houses made of white chianca, a very common stone in the area. Since XI century, looking out from the particular and small windows, people dip the precious golden nectar while talking, a sign of an ancient culture that has been able to renew itself without forgetting tradition. Dry and delicate just like a love proposal, the White DOC’s small bubbles recall the sweetness of the hills revealing the heart of its historical, romantic and charming town. The white of the houses is in contrast with the colours of the geraniums adorning the small balconies with a mixture of charming colours and scents; it recalls the dry taste of the eleventh degrees white wine in contrast with the lightness and the liveliness you can enjoy in a
Sorseggiare un bicchiere di bianco di Locorotondo Doc, significa immergersi nel variopinto paesaggio che spinge il degustatore ad un viaggio a ritroso nella storia con il solo scopo di comprendere fino in fondo, la freschezza di un nettare d’uva che coniuga in sé la forza normanna che conquistò la città e la cultura bizantina che ne segnò la nascita. Un incrocio culturale, storico e di tradizioni che si raccolgono nella corposità di un vino che con la sua leggerezza e briosità conquista il gusto con la stessa temeraria forza che spinse i bizantini nella Puglia che confinava con gli influssi arabi dei siculi. Ma la robustezza del Doc bianco, che dagli enologi è considerato uno dei più rappresentativi vini italiani destinato col suo sapore e con la sua vivacità a conquistare il beverage internazionale, deriva anche dalle contaminazioni aragonesi e benedettine che a Locorotondo, all’estremo sud di Bari, vissero nelle tipiche “cummerse” ovvero nelle abitazioni in chianca bianca, una pietra di cui è prospero il sottosuolo. Da lì, affacciati dalle piccole e particolari finestre, si sorseggiava il prezioso nettare d’oro, conversando e riflettendo, già nell’undicesimo secolo, segno di una cultura antica che ha saputo innovarsi, senza mettere in soffitta la tradizione da cui ha tratto le sue origini. Asciutto e delicato proprio come una dichiarazione d’amore, le bollicine del bianco doc ricordano la rotondità dei colli su cui sorge la città, dal cuore storico romantico e suggestivo. Al bianco delle case si contrappongono i colori dei gerani che abbelliscono i balconi in un mix di colori
SCEGLIERE VINO
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simple dip. Kissed by the burning sun, brightened by the warm wind, made unique by the trulli, Locorotondo gives its excellent wine production the signs of a historical and cultural evolution belonging to a rural past culture. Taste, smell and sight mix together in a combination of senses, just like in the rare and precious vineyards’ aroma of the Verdeca wine and the White wine from Alessano. The magic and extemporary fusion of vineyards and olive yards represents the life and soul of these areas. Both liquids of life, oil and wine sum up Locorotondo’s perfection, in fact vineyards and olive yards are arranged in geometrical way, giving an extraordinary vision of precision and balance. The DOC’s aroma, as a sparkling wine, is one and only. At the boundaries of Valle d’Itria, the Verdeca is grown up; it is a vine of light berries that gives intense and fragrant wines, like the Locorotondo White, able to capture even the
e odori che affascinano; così come al secco sapore degli undici gradi di alcolicità fa contrasto la leggerezza che in un semplice sorso è possibile assaporare non rinunciando alla vivacità. Baciata dal rovente sole, ravvivata dal vento caldo che sfiora i colli spuntati come quelli sahariani, e resa quasi unica dai trulli, Locorotondo dona alla sua produzione enologica più prelibata, i segni di un’evoluzione storica e culturale tipica della cultura contadina che racchiude simboli e gesti unici, lontani, di un passato remoto che si è trasformato in un presente attuale e folcloristico capace di smuovere gusto, olfatto e vista che si perdono insieme in un connubio di sensi, nei profumi dei vigneti, pregiati e rari, come quelli della verdeca e del bianco di Alessano dalla cui magica ed estemporanea fusione nasce quel doc la cui culla contrasta con la forza degli uliveti da cui ha vita anche l’olio tipico di questa zona. Entrambi liquidi di vita, il vino e l’olio, sintetizzano la precisione di Locorotondo che dispone olivi e vigne, in modo perfettamente geometrico regalando allo sguardo del curioso, del viaggiatore e dell’amante del bello, uno spettacolo speciale e geometrico, come se la logica muovesse i fili della produzione vinicola e non i tempi indomabili della natura. Unico è il sapore del doc in veste di spumante che indossa la maschera di nettare asprigno e accattivante. Ai confini della valle d’Itria, si coltiva la verdeca, vitigno a bacca chiara che dona vita a vini intensi, aromatici capaci di rapire anche i palati più esigenti, come il bianco locorotondino appunto. La sua è una derivazione
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most demanding wine’s lovers. Of Friulian origins, its grapes grow up in the shade of the green leaves that protect them from the sun. The floral taste of the Locorotondo White allows it to be enjoyed with simple and tasty courses like omelettes or fish. Its delicate small bubbles can be really appreciated at a temperature not over twelve degrees. The DOC matures slowly, without light and at a steady humidity. Its colour is pure, clear with green reflections. The taste is rich in sensorial harmonies that give a sweet impact to people’s lips. Exuberant in the sparkling wine version, the DOC from Locorotondo follows the “charmat” method that considers the rifermentation of the dry wine through a soft add of sugar. This mixture can be compared to an harmonious, persistent and indissoluble marriage. A wine holding a complicity of smells and aromas. This DOC represents the white of the houses, the definite green of the vineyards and of the prosperous and ancient olive trees, in a combination of taste and tradition that only its mother land is able to give it.
SCEGLIERE VINO
friulana, come nordico sembra il caseggiato cittadino. Il suo acino cresce all’ombra delle verdi foglie che, con la loro grandezza, coprono i chicchi rincorsi dai raggi del sole in un gioco di ombre e luci che donano al grappolo una maturazione precoce dai colori chiari e decisi. Le note floreali tipiche del bianco di Locorotondo gli permettono di primeggiare a tavola o nei buffet. Esprime il meglio il suo carattere intenso ogni qualvolta lo si accosta a pietanze semplici e gustose come frittate o piatti a base di pesce. Le sue bollicine delicate e per nulla apprezzabili dalle narici, appena ingoiate, trionfano nei calici a una temperatura mai superiore ai dodici gradi, meglio se “contate” dalle papille gustative dopo due anni dalla vendemmia. La corposità il doc la apprende lentamente, senza luce e a un’umidità costante. Il colore è limpido, chiaro, dai riflessi verdi. Alletta gli occhi, che si immergono in sfumature impressioniste. Il gusto è stimolato dalle armonie sensoriali tralasciate dalla soffice pressatura delle uve che regala un impatto zuccheroso alla bocca. Esuberante nella versione spumante, il doc di Locorotondo completa la sua immersione nei flut con la schiuma tipica della lavorazione delle dorate uve secondo il metodo “charmat” che prevede la rifermentazione del vino secco attraverso una tenera aggiunta di zucchero. Un sodalizio paragonabile ad un matrimonio indissolubile, armonioso e persistente che genera la spuma morbida e conquistatrice. Un vino che racchiude complicità di odori e aromi. Un doc che conserva il bianco delle case, il verde deciso dei vigneti alternati alle distese di olivi prosperi e antichi, in una combinazione di sapore e tradizione che solo il “colle rotondo” delle sue terre madri gli sanno donare.
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GNUMEREDDE SUFFUCHETE Roulades of lamb tripe
GNUMEREDDE SUFFUCHETE Involtini di trippa di agnello
Ingredients:
Ingredienti:
Roulades of tripe
Involtini di trippa
Celery
Sedano
Carrots Little tomato Onion (abundant)
Carote Pomodorino Cipolla (abbondante) Formaggio pecorino da grattugiare
Grated pecorino cheese
Vino bianco Locorotondo
Locorotondo white wine
Sale
Salt
Peperoncino
Chilli Pepper
Alloro
Bay Procedimento:
la ricetta Method:
Mettere in una casseruola, possibilmente di creta, gli Put the roulades with carrots and chopped celery,
involtini con carote e sedano (tagliati a pezzi), qual-
some little tomatoes, salt, chilli pepper and bay in
che pomodorino, sale peperoncino e alloro. Disporre
a casserole (possibly a clay casserole). Cover them with the onion cut into round slices. In the end, sprinkle with abundant white wine. As lid for the
la cipolla tagliata a rondelle, in modo tale che ricopra completamente gli altri ingredienti. In ultimo, irrorare con abbondante vino bianco. Come coperchio del tegame, utilizzare un piatto di creta, riempi-
pan, Use a clay dish filled with water as a lid and
to d'acqua e lasciare cuocere a fuoco lento per alme-
let the roulades cook on a slow flame for at least
no cinque ore. Servire con formaggio pecorino grat-
five hours. Serve with grated pecorino cheese.
tugiato.
Ricetta dello chef Antonella Scatigna del ristorante “La taverna del Duca� di Locorotondo (Ba)
Thime, smell of courage Breath of the soul you will find in the fields. Losened the melancholy,
It was thought to infuse courage and
the courageous essence of sacred Apulia arises.
for this reason, in the past, soldiers toned up their bodies, by washing
them with thyme water. They also drank thyme tisanes and painted it on their shields so that their spirit would get stronger. Girls were used to give it to their heart knight in order to protect him in the battle. But there were not only old popular beliefs about its usage. Even the Egyptian and Arab doctors discovered and used its antiseptic, bactericidal and analgesic properties, to heal cough, breathing disease and arthritic pains. Hippocrates knew its antiseptic and calming virtues: wounds and sores were cured with its blossoms and arthritic pains were relieved by rubbing the skin with its essential oil. Soon, it became the natural antibiotic for everyone. But still in 1600, a mystic and magic conception prevailed: if rubbed or smelled, this plant was believed to make people immune from diseases and to give long life. As a tonic for the nervous system, it was used to comfort melancholy people and in the 4th Century, b.c. it was put in beds to make people sleep more calmly and more peacefully. Roman philosophers, who went down to Brindisi (the most important port for Greece and the East) through the Appian Way, drank thyme teas to stimulate their cerebral activities. According to tradition, human will, spiritual inspiration and love come from a particula point above the heart just where a pink glandule that, in the 2nd Century. a.d., the Greek anatomist Galen called “thyme” because of it reminded him of the purple blossoms of the Athenians mountains. Therefore, the typical Mediterranean shrub became a synonym of “soul breath”, where man’s courage and energy depended on. Though, since Roman and Greek times, it has been used in the preparation of spicy wines, cheese, sauces, fish stuffing, soups vegetables, poultry and fat meat. Some typical Apulian recipes prove it: the Murgia chops with thyme, the mutton cooked over charcoal together almonds nuts rinds and thyme twigs; the lamb “allo squero”, turned over on the spit and stoked by thyme and other aromatic herbs. A cooking system, even for mullets, dentexes and swordfish, that uses wild myrtle and fresh thyme. Thyme is among the most representative shrub in the Apulian vegetation. Very branched, it reaches normally 20 30 centimetres. The slim trunk is brown-greenish and becomes woody in its second year of growth. It belongs to the labiates family, aromatic herbs such as mint, lavender and rosemary. It grows up spontaneously where the climate is mild. From April to July it covers as a carpet the dry, light and drained grounds but it can be also cultivated in a vase. Evergre-
Timo, profumo di coraggio
di Barbara Minafra
Lo si riteneva capace di infondere
Respiro dell’anima troverai tra i campi. Abbandonata malinconia
coraggio. Per questo, nei tempi pas-
risale l’essenza coraggiosa della sacra Puglia.
sati, i soldati tonificavano il corpo lavandolo con acqua di timo, rinvigorivano l’animo bevendone tisane e lo dipingevano sugli scudi. Le fanciulle usavano donarlo al cavaliere del cuore perché ne fosse protetto in battaglia. Ma non c’erano solo credenze popolari nel suo uso. Già i medici egizi e arabi ne scoprirono e usarono le proprietà disinfettanti, battericide e antidolorifiche, utili soprattutto per curare tosse, affezioni respiratorie e reumatismi. Ippocrate ne conosceva le virtù antisettiche e calmanti: con i fiori si guarivano piaghe e ferite, frizionando la pelle con l’olio essenziale si dava sollievo ai dolori artritici. Ben presto divenne per tutti l’antibiotico naturale. Ancora nel 1600 però, prevaleva la concezione mistica e magica: si riteneva che questa pianta, se strofinata o odorata, rendesse immuni dalle malattie e perciò fosse capace di regalare lunga vita. Poiché è un tonico del sistema nervoso veniva usato per consolare i malinconici e già nel IV secolo a.c. lo si infilava nei letti per rendere il sonno più tranquillo e riposante. I filosofi romani invece, che con la via Appia scendevano fino a Brindisi (il più importante porto per la Grecia e l’Orien-
ORIZZONTE VERDE
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en, particularly pretty, it is often used for decorative purposes. It has very little lanceolate and linear leaves. They are very spicy because of its small olipher glandules. The brilliant, golden, but also grey and silver, light green leaves are often downy with folded edges. Flowers are gathered in small spikes and their colours vary from white to crimson passing through nuances of pink and lilac. The essential, volatile oil is mainly contained in the blossomed tops. It attracts bees and for this reason it is planted where their pollinating activity is necessary. In pharmaceutics, it is used for creams for skin affections but it is also a peripheral circulation stimulator and it is used in cosmetics to produce eau de cologne and deodorants for interiors. Its scent is fresh, balsamically strong. Its name comes from the Greek “thymos” whose meaning is just “perfume”. Of Spanish, Southern European and Northern African origin, nowadays it is grown up throughout the world for its culinary usage. In the past, the places where it grew were considered sacred. It is thought that this plant derives its name from the world of IndoEuropean origin meaning “rising in flames”, “rising in a cloud”, because it was burnt as an incense on gods altars. A belief, a practice, which spread in the Ionian Puglia of Magna Grecia as well.
te), bevevano infusi di timo per stimolare le attività cerebrali. Secondo la tradizione, la volontà, l’ispirazione spirituale, il sentimento di amore nascono in un punto preciso sopra il cuore: lì dove c’è la ghiandola rosacea che nel II secolo d.c. l’anatomista greco Galeno aveva chiamato timo, proprio perché gli ricordava i fiorellini purpurei dei monti ateniesi. Pertanto l’arbusto tipicamente mediterraneo divenne sinonimo del “respiro dell’anima” dal quale dipendono l’energia dell’uomo ed il suo coraggio. Con un po’ di superstizione in meno e di gusto in più, fin dai tempi dei Greci e dei Romani è stato impiegato nella preparazione di vini speziati, formaggi, salse e ripieni per il pesce, minestre e verdure. Poiché favorisce la digestione si usa nella cottura di zuppe, pollame o carni grasse. Lo dimostrano alcune tipiche ricette pugliesi: le costolette al timo della Murgia, il castrato alla brace in cui bruciano scorze di mandorle e nocciole con rametti di timo, l’agnello allo squero girato allo spiedo su una fiamma alimentata con timo ed altre erbe odorose, un sistema di cottura usato anche per triglie e dentici, o ancora il pesce spada al mirto selvatico e timo fresco. Il timo è tra gli arbusti più rappresentativi della vegetazione pugliese. Molto ramificato, raggiunge normalmente i 20-30 centimetri. Il sottile fusto è di color bruno verdastro e diventa legnoso dal secondo anno d’impianto. Appartiene alla famiglia delle Labiate, piante aromatiche come la menta, la lavanda e il rosmarino. Cresce spontaneamente dove il clima è mite. Da aprile a luglio ricopre come un tappeto i terreni asciutti, leggeri e drenati, ma può essere coltivato in vaso. Sempreverde, particolarmente grazioso è spesso impiegato a scopo decorativo. Ha piccolissime foglie, lanceolate o lineari, molto aromatiche perché contengono minuscole ghiandole olifere, di colore verde chiaro, brillante o dorato, ma anche grigie o argentee, spesso ricoperte da peluria e con bordi lievemente piegati. I fiori sono raccolti in piccole spighe e hanno colori che variano dal bianco al cremisi passando per le tonalità del rosa e del lilla. L’olio essenziale, volatile, è contenuto soprattutto nelle sommità fiorite. Attrae le api e per questo è piantato dove serve la loro azione impollinatrice. In farmaceutica è sfruttato in creme ed impacchi per le affezioni della pelle ma è anche uno stimolante della circolazione periferica ed è usato in cosmesi per ottenere acque di colonia e deodoranti d’ambiente. Ha un odore fresco, balsamico, forte. Il nome deriva dal greco “thymos” che appunto significa profumo. Originario della Spagna, dell’Europa meridionale e dell’Africa settentrionale oggi è coltivato un po’ in tutto il mondo per il suo uso culinario. In passato, i luoghi dove cresceva il timo erano considerati sacri. Si pensa che la pianta abbia preso questo nome (la parola ha radice indoeuropea e significa “alzarsi in fiamme, sollevarsi in una nuvola”) perché veniva bruciato come incenso sugli altari degli dei. Una credenza e pratica diffusa anche nella Puglia jonica della Magna Grecia.
ORIZZONTE VERDE
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Cannizzi e panari, intrecci di saggezza
di Barbara Minafra
Cries of water of rain and of canals; hands interlacing canes until the sunlight slowly fades.
Richiami d'acqua di pioggia e di canali e mani ad intrecciare canne fino a che la luce si ritira con lentezza.
They make a fine showing in museums of rural cultures, in local craft shops where they are sold more as tourist souvenirs than for the daily usage of the families, in the folkloristic performances about traditional customs, arts and crafts of the “old Apulia” till about fifty years ago. Unusual but not yet extinct, they are found in the more isolated and small towns of Dauno Subapennin and, above all, of Salento. But if we look for them in the shopping centres, there they are, revised and remade: coloured plastic, transparent plexiglas, burnished steel baskets, of refined design, matched with a complete line of very expensive objects to make a fine showing on the credenzas. If they are made of wicker, they are lacquered to stay bright as good as new. But those old “cannizzi”, those rush “panari” there are no more. We are even justified if we miss them a little.
Fanno bella mostra nei musei dedicati alla civiltà contadina, nelle botteghe artigiane dove si vendono più come souvenir dei turisti che per l’uso quotidiano delle nostre famiglie, nelle manifestazioni folcloristiche che ripropongono costumi tradizionali e riproducono arti e mestieri della “Puglia che fu” fino ad una cinquantina di anni fa. Rari ma “specie ancora non estinte”, li troviamo nei paesi del Subappennino dauno e soprattutto del Salento più defilati rispetto alla vita moderna e consumistica e ancora legati alle vecchie abitudini. Ma se li cerchiamo al centro commerciale, eccoli riveduti e corretti: cestini in plastica colorata, plexiglas trasparente, acciaio brunito, ricercati nel design e inseriti in una linea di oggetti coordinati per far bella mostra sulle credenze, oggetti in stile anche piuttosto costosi. Se di vimini sono laccati per rimanere brillanti, come nuovi. Ma quei vecchi “cannizzi”, quei “panari” in giunco non ci sono più. Un po’ di nostalgia è perfino giustificata.
GUST-ARTE
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Today the clever manual art of making baskets and hampers twisting canes and vegetable fibres is considered a dated craft. Ruffano, Botrugno, Salve, Montesano Salentino and Spongano arrange lessons to hand the last cistinari, basket weaver’s techniques down. There, the houses, made of dry stone, whitewashed, waterproofed with clay, are still very common and their only wooden beam ceiling is completely covered of “cannizzi”, tied up canes on which clay roofing-tiles rest. It is fine to discover a wide range of shapes and usages. There are “panari” and “panarieddi”, baskets with only one curved grip, used to carry everything, from fresh food (grapes, olives, figs, eggs) to the agricultural implements. The “cannizzi”, made of cut and twisted canes, where tomatoes, aubergines, peppers and other vegetables are dried in the sun to be preserved for winter. Sometimes mats were wrapped round to preserve the wheat throughout the year. Also, high containers, made of split, flattened and woven canes, were made for this purpose.
Cylinder-shaped
and
without base “cannizzi” were either put in storerooms or in kitchens, on a wooden table “tavulidda” and covered with the “tiluneddu”, a piece of cloth. This system guaranteed the perfect transpiration of the wheat, avoiding it could “gigghiari”, that is sprout, or go mouldy. There were also “panare” or “canistr” for bread, “cofine” e “cofineddhe” (smaller) with two lateral grips, to carry objects, “small baskets”, made of corn stems, “fische” of rush for the fresh ricotta, “giuncate” for the homonymous salt less cheese, “coffe”, obtained twisting dwarf palm leaves, with round base but conic body and lateral grips to bring forage to oxes, and “panierini” of Palm Sunday. It is even more charming, watching them to take shape with precise and quick gestures. The base is made by bounding as a cross some wild olive
Oggi l’abile arte manuale di costruire ceste e panieri intrecciando canne e fibre vegetali è considerata un mestiere del passato. Ruffano, Botrugno, Salve, Montesano Salentino, Spongano organizzano corsi per tramandare le tecniche degli ultimi Cistinari, i cestai. Lì sono ancora diffuse le abitazioni in pietra a secco, dipinte con calce bianca, impermeabilizzate con l’argilla e soffitto a trave unica in legno ricoperto di “cannizzi”, canne legate su cui poggiano le tegole di terracotta. E’ bello poter riscoprire una notevole varietà di forme ed usi. Ci sono “panari” e “panarieddi”, cesti con manico unico e arcuato che servivano a trasportare di tutto, dagli alimenti freschi (uva, olive, fichi, uova) agli attrezzi agricoli. I “cannizzi” fatti con canne tagliate ed intrecciate su cui si seccavano pomodori, peperoni, melanzane e altri ortaggi da conservare per l’inverno. Se le stuoie erano arrotolate, conservavano il frumento dell’annata. In questo caso venivano realizzati alti contenitori di canne aperte in due, appiattite e tessute. A forma cilindrica e senza base i cannizzi venivano posti nei magazzini o in cucina, appoggiati su un piano di legno, la tavulidda, e coperti con il tiluneddu, un pezzo di tela. Il sistema garantiva la perfetta traspirazione del frumento evitando che potesse “gigghiari” cioè germogliare, o ammuffirsi. C’erano poi “panare” o “canistri” per il pane, “cofine” e “cofineddhe” (più piccole) con due manici laterali per il trasporto di oggetti, “cestini” fatti con steli di grano, le “fische” di giunco per la ricotta fresca, le “giuncate” per l’omonimo formaggio non salato, le “coffe” ottenute intrecciando foglie di palma nana, a base circolare ma corpo conico e manici laterali per portare la biada dei buoi, i “panierini” della Domenica delle Palme. Ancora più affascinante vederli prendere forma tra gesti precisi e veloci. Legando a forma di croce alcuni ramoscelli d’ulivo selvatico, l’alivastru,
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tree buds, “alivastru”. Then flexible and strong olive tree withies are placed around in concentric circles and their numbers and length determine the surface of the container. The sides are made of canes, plants with empty and straight stems growing up in swampy grounds or along rain water canals. They are cut in February and dried for no more than five months. The stem is divided into four long and slim parts using the “crucidda”, cross-shaped small branches. If they are well smoothed, they give value to the manufacture. At the end, the still protruding withies are twisted to form the rim and the grip of the basket. The different layers of weaving give a closed structure at the ends; a complete manual work. The only tool they use is the “runceddha” or bill hook, to work branches or canes. Once, they were sold in the village fairs. Among the shouts of the market-place, you could see them full of fruit in the olive yards; in the homes with the smell of freshly baked bread while children playing around, in the seaside centres of Castro, Gallipoli, Otranto, Porto Cesareo where with “nasse” fish and shellfish were fished. Nowadays, the weaving of fibres and stems of local vegetation, the humble but strong objects, as well as the valuable manual skill work in spite of their rough appearance, can be found behind a window in a museum of popular cultures or revised as eclectic chandeliers. It is a pity not to rediscover them by walking among the “baskettery” in the weekly small markets in Castrì, San Donato and Acquarica del Capo or by starting using them again!
si ottiene la base. Poi si fanno scorrere attorno, a forma di cerchi concentrici, vinchi di ulivo flessibili e robusti dal cui numero e lunghezza dipende la superficie del contenitore. Quindi si costruiscono le pareti usando le canne, piante dal fusto diritto e vuoto che crescono nei terreni paludosi o lungo i canali d’acqua piovana. Si tagliano a febbraio e si mettono a seccare per non più di cinque mesi. Il fusto viene diviso in quattro listelli lunghi e sottili servendosi della “crucidda”, rametti a forma di croce. Se ben levigate, conferiscono pregio al manufatto. Alla fine di questa operazione i vinchi ancora sporgenti sono attorcigliati in modo da formare l’orlo del cesto e il manico. I diversi strati di intrecciatura danno così una struttura chiusa alle estremità. Un lavoro tutto manuale. L’unico arnese impiegato è la “runceddha” o roncola per lavorare i rami o le canne. Un tempo si vendevano nelle fiere di paese tra le urla della piazza, li si vedeva negli uliveti carichi di frutti, nelle case che odoravano di pane appena sfornato con i bambini che giocavano attorno, nei centri marinari di Castro, Gallipoli, Otranto, Porto Cesareo dove con le “nasse” si pescavano pesci e crostacei. Ora, quegli intrecci di fibre e steli della vegetazione locale, oggetti umili ma resistenti, opera di pregiata manualità nonostante l’aspetto rustico, capita di trovarli con tanto di didascalia esplicativa dietro la vetrina di un museo di arte popolare o “rielaborati” sotto forma di eclettici lampadari. Che peccato non riscoprirli nella loro autenticità con un itinerario fra la “cestineria” nei mercatini settimanali di Castrì, San Donato e Acquarica del Capo o tornare a usarli!
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Meloncella, summertime wob The meloncella, born in summer, keeps the seed on its inside. Then the sun nurses its rest during the cold winter and, when the spring comes, it appears in the drills of the land, waiting for a new light.
The seed of meloncella you saved yesterday, has dried in the hot sun of August and, in springtime, you sowed it. On a straight line, running to the sea, you dug small holes with a hoe and put three seeds in them. Tired, from line to line, you went on watering them with beads of sweat. You covered the holes and the water, drawn from the well, is the only refreshment in the summer heat wave.
Meloncella, grembo d’estate di Gisella Della Monaca Conserva il seme nel grembo, la meloncella nata d’estate. Poi il sole culla il suo cammino nel freddo inverno e ai primi raggi di primavera tornare nei solchi della terra, aspettando nuova luce.
Ieri hai conservato il semente di una “meloncella”, lo hai lasciato essiccare al caldo sole d’agosto per poi interrarlo a primavera. Su una linea dritta che corre verso il mare con la zappa hai scavato piccole buche, pochi centimetri di profondità, dove hai poggiato tre semi. Stanco, di linea in linea, di retta in retta, hai proseguito inondando la terra con le gocce del tuo sudore. Coperte le buche hai attinto l’acqua dal pozzo, unico refrigerio nella canicola estiva.
PUGLIA DA GUSTARE
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You looked at those lines while preparing other land and, one day, the young small plants appeared. You watched them growing up, now hoeing then trimming them. You saw the yellow flowers turning into small “cocomeri”, bellied “cummarazzi”, green “spurieddhe”. Once ripe, you picked the “meloncelle”. You sold them on the corners of the roads of the small villages of Salento. At home you peeled one, cut in half transversally and, taken away the seeds with a clever twist of the knife, you obtained a glass that, full with water, you gave to your child. He, thirsty like the dry land, enjoyed that freshness before biting the light green pulp.
Con lo sguardo hai osservato quelle “fila” mentre le tue mani preparavano altri terreni. Ed eccole un giorno scoprirsi ai tuoi occhi tenere piantine. Le hai osservate crescere, ora “sarchiando” poi procedendo alla “cimatura”, hai visto i fiori gialli trasformarsi in piccoli “cocomeri”, panciuti “cummarazzi”, verdi “spurieddhe”. Le hai colte, mature, le meloncelle.
Vendute
agli
angoli delle strade tra i piccoli centri salentini. A casa ne hai nettata una, l’hai tagliata a metà trasversalmente, da una con abile giro di coltello hai tolto la semenza, ne hai ricavato un bicchiere che
PUGLIA DA GUSTARE
colmo d’acqua hai donato a tuo figlio che avido, come la terra arida che ogni mattina ingoia il tuo sudore, ne ha assaporato la freschezza prima di mordere la polpa verde chiaro. L’altra metà della meloncella a pezzi in un piatto fondo con pomodori, prezzemolo, peperoncino, cipolla, olio sale e acqua, dove annegare il pane raffermo: la tua cena. Tuo figlio vuole ancora un po’ di “cucumbarazzo”. Ne prendi uno lungo 20 centimetri,
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The remaining half of the meloncella, cut to pieces with tomatoes, parsley, chilli pepper, onion, olive oil, salt and water, where soaking stale bread, can be your supper. If your child wants some more “cucumbrazzo�, take another one (about 20 centimetres long) and cut it in half longitudinally, take away the seeds, and, here is a canoe, for your child’s dreams. A canoe, a boat, the same of your childish dreams when, looking at the sea where the land ends, you thought to sail with brave men under your command. Your land kept you there where you cast anchor. You stopped on that red sun-baked Salentine land. Every day you pick the gifts of your hard work from the land. This morning, with the dawn behind, you are watching at your field: regular rows, the deep green plants in order, large round leaves and the meloncelle lying on the ground. You are watching that lying fruit, it is deep green, lightly hairy, with a lighter part, the one touching the ground; only now you are realizing it is leading the way: from the dry wall to the sea. Today your child is with you, he is picking melons and looking at you: he is waiting for your smile. He has green eyes like yours, like the sea. A whistle, a call, and together you run over the horizon, between the land and the sea.
un taglio netto longitudinalmente, ancora due metà. Una metà sulla tua mano, via il seme, ecco una canoa per i sogni di tuo figlio. Una canoa, una barca la stessa dei tuoi sogni infantili quando guardando il mare, lì dove finisce la tua terra, pensavi di solcarlo al comando di uomini impavidi. La tua terra ti ha trattenuto, lì hai gettato l’ancora. Su quella distesa rossa salentina, arsa dal sole, ti sei fermato. Dalla terra ogni giorno cogli doni strappati alla tua fatica. Questa mattina, l’aurora alle tue spalle, osservi il tuo campo: i filari regolari, le piante ordinate di un verdone intenso, larghe e tonde foglie, e le meloncelle ada-
PUGLIA DA GUSTARE
giate sul terreno. Osservi il frutto disteso, verde scuro lievemente “peloso”, una zona più chiara, quella del contatto con la terra, ti accorgi solo ora che traccia una rotta: dal muretto a secco al mare. Tuo figlio oggi è con te, raccoglie cocomeri e ti guarda aspettando il tuo sorriso. Ha gli occhi verdi come i tuoi. Verdi come il mare. Un fischio un richiamo e correte entrambi oltre l’orizzonte, tra terra e mare.
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la ricetta
LAGANARI, LITTLE TOMATOES, BARATTIERE, BASIL AND FLAKES OF CACIORICOTTA CHEESE
LAGANARI, POMODORINI, BARATTIERE, BASILICO E SCAGLIE DI CACIORICOTTA
Ingredients:
Ingredienti:
Laganari (pasta)
Laganari (pasta)
Olive oil
Olio extra vergine d'oliva
Salt
Sale
Barattiere (a kind of cucumber)
Barattiere
Garlic
Aglio
Small tomatoes
Pomodorini al filo (o “appesi”)
Basil
Basilico
Cacioricotta cheese
Cacioricotta
Fry lightly olive oil, garlic and little tomatoes. Cook
Soffriggere leggermente olio, aglio e pomodorini.
the laganari in abundant not salted water; when they
Cuocere in abbondante acqua non salata i laganari;
are cooked, mix them with the barattiere, (with the
a fine cottura amalgamarli con il barattiere, comple-
skin, cut in the Julienne way) and with the fried olive
to di buccia, tagliato a julienne ed il soffritto di olio,
oil, garlic and little tomatoes. Garnish with leaves of
aglio e pomodorini. Guarnire con foglie di basilico e
basil and flakes of cacioricotta cheese.
con scaglie di cacioricotta.
Barattiere*
Barattiere*
This vegetal belongs to the same family of “meloncella”
Ortaggio appartenente alla stessa famiglia della meloncel-
but it is typical of “barese” area
la, tipico dell’area barese
Ricetta dello chef Donato Giacovelli del ristorante “Masseria di Parco di Castro” di Fasano (Br)
Sieglinde, a fine tale This small tuber tells of the land and of its winter heartbeat. Then, covered with a thin peel, it discovers the spring sun.
It is easy to say potato. Ladies and gentlemen here’s to you Her Majesty the “Sieglinde” potato! With deep yellow skin and pulp, the new potato, commonly known as sieglinde, or also as “slice potato or salad potato”, is produced throughout the Salentine Ionian Arc particularly in the towns of Racale, Alliste, Felline, Taviano, Melissano, Ugento, Matino, Presicce and Galatina. Its originality makes it appear in the National List of traditional agro alimentary products where the most important ones of Italian gastronomic tradition are counted, purposely recorded-catalogued, in order to grant their “survival”. They are long-oval tubers, medium-sized and with strong bright yellow skin. The firm and not mealy texture is compact, suitable for salads, baked, roasted or boiled.
Sieglinde, la buona novella di Lia Mintrone Racconta il cuore della terra, il suo battito invernale sotto la coperta, piccolo tubero. Poi indossa la sottile buccia per scoprire il sole di primavera. Si fa presto a dire patata. Signori, ecco a voi, Sua Maestà, la patata “Sieglinde”! Con epidermide e polpa di colore giallo intenso, la patata novella detta volgarmente sieglinde, nota anche come "la patata da fetta o da insalata", viene prodotta in tutto l'Arco Jonico Salentino ed in particolare nei Comuni di Racale, Alliste-Felline, Taviano, Melissano, Ugento, Matino, Presicce e Galatina. La sua singolarità la fa apparire nell'Elenco Nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali dove sono annoverati quelli più importanti della tradizione gastronomica italiana, appositamente schedati, al fine di garantirne la “sopravvivenza". Si tratta di tuberi di forma lungo-ovale, di calibro medio e con epidermide di colore giallo intenso, brillante. La pasta, soda e non farinosa, è di tipo compatto, adatta per le insalate, al forno, arrosto o lessata. Al passaggio della lama del coltello,
PUGLIA DA GUSTARE
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When the knife blade passes, its slices keep integral their shape without crumbling. This is the sieglinde secret, its success and its unmistakable taste. Among the towns of Ionian Salentine coast where this potato is grown, there is Felline too, a country hamlet of Alliste, a small and pleasant place, where every year in July, thousands of tourists rush to take part in the sieglinde potato festival, with the yellow and firm tuber in all its best performances. They can be cooked in many ways: fried, baked with rosemary, boiled for fresh and delicious summer salads, with the pickled octopus, as a mixture for gnocchi (kind of dumplings of potato and flour) and as vegetables for meat. Of course the wine combination depends on the dish it is going to be prepared. In Salento, when the sieglinde is served boiled, people like best a good local rosĂŠ, made of Negroamaro grapes. Many people add, besides fresh tomatoes and cucumbers, eggs, anchovies and black olives, in the salads. But what is there so extraordinary about this potato? Anyway the period it springs up: in fact it is a new potato, sown in December and February and gathered in March and June. So they are not completely ripened potatoes, whose skin, very thin, can be removed rubbing it. The sieglinde is particularly appreciated on the German markets, the main export current. The Teutonic friends are literally crazy about them and every year, in Hamburg, the “Inter-
le fette mantengono integra la forma senza sbriciolarsi. E’ questo il segreto della sieglinde, il suo successo, e il suo sapore inconfondibile sotto il palato. Tra i comuni della costa ionico-salentina dove si coltiva questo tipo di patata c’è anche Felline, frazione di Alliste, piccola e ridente località, dove ogni anno, nel mese di luglio, migliaia di turisti accorrono per partecipare alla sagra della patata sieglinde, con degustazione del giallo e compatto tubero
PUGLIA DA GUSTARE
in tutte le sue migliori performance. Si possono cucinare in tanti modi: fritte, al forno con rosmarino, lesse per fresche e deliziose insalate estive, con il polpo alla marinara, come impasto per gnocchi e come con-
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nationale Kartoffel-Frühjahrsbörse”, the world potato fair, takes place. Here our sieglinde is among the most demanded and valued. Even an Internet site has been dedicated to this “Lady in Yellow” from Salento: www.patatasieglinde.com. Unfortunately, even it is very valued in Germany and in the North European Countries, such as Sweden, Finland and The Netherlands, it is little used just where it is produced. A real “rape of the potatoes” that when they arrive in the Northern Countries, they cost more than a steak. In order to know and appreciate it, you can visit the tens of festivals dedicated to sieglinde, in summer months, in many Salento countries.
torno per la carne. L’abbinamento con il vino dipende ovviamente dal tipo di piatto che si prepara. Nel Salento, quando la sieglinde si mangia lessa, la si preferisce accompagnare con un buon rosato locale, fatto con uve Negroamaro. Molti, nelle insalate, ci aggiungono, oltre a pomodori freschi e cetrioli, anche uova, acciughe e olive nere. Ma cosa c’è di tanto straordinario in questa patata? Intanto il periodo in cui nasce: è infatti una patata novella, seminata tra dicembre e febbraio e raccolta tra marzo e giugno. Dunque si tratta di patate non giunte a maturazione completa, la cui buccia, sottilissima, può essere asportata per sfregamento. La sieglinde è particolarmente apprezzata sui mercati tedeschi, che alimentano la principale corrente di esportazione. Gli amici teutonici ne vanno letteralmente pazzi. Basti pensare che ogni anno, ad Amburgo, si svolge “l’Internationale Kartoffel-Frühjahrsbörse”, la fiera mondiale della patata, dove la nostra sieglinde è tra le più richieste e valutate. Alla “signora in giallo“ del Salento è stato dedicato anche un sito internet www.patatasieglinde.com. Purtroppo, pur essendo molto apprezzata in Germania e nei Paesi del nord Europa come Svezia, Finlandia e Olanda, è poco utilizzata proprio nel territorio di produzione. Un vero e proprio “ratto delle patate” che quando giungono nei paesi nordici arrivano a costare più di una bistecca. Per conoscerla e apprezzarla basta visitare nei mesi estivi, in molti comuni del Salento, le decine di sagre dedicate alla sieglinde.
PUGLIA DA GUSTARE
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la ricetta
POTATOES, COURGETTES AND MUSSEL
PATATE, CUCUZZA E COZZE
Ingredients for 4 people
Ingredienti per 4 persone
1 Kg mussels from Taranto
1 Kg cozze tarantine
1 Kg potatoes
1 Kg patate
1/2 Kg courgettes
1/2 Kg zucchine
10 fresh tomatoes
10 pomodorini freschi o “appesi”
Olive oil
Olio
Salt
Sale
Pepper
Pepe
Garlic
Aglio
Parsley
Prezzemolo
Lemon
Limone
Peel the potatoes, cut them into round slices, wash
Sbucciare le patate, tagliarle a rondelle, passarle in
them with cold water and dry them. Do the same
acqua fredda e asciugarle. Fare lo stesso con le zuc-
with the courgettes and wash the mussels without
chine e pulire le cozze lasciandole chiuse.
opening them.
Ungere con olio extravergine d'oliva una teglia da
Grease a baking pan (possibly a pottery pan) with
forno, possibilmente di ceramica, e mettere qualche
olive oil and put some garlic cloves. Make a potato-
spicchio d'aglio. Fare uno strato di patate, così da
es coat in order to cover the bottom of the baking
coprire il fondo della teglia, accomodarvi sopra le
pan, put the mussels and cover them with the cour-
cozze e coprirle con le zucchine a rondelle. Prosegui-
gettes. Go on alternating potatoes, mussels and cour-
re alternando patate, cozze e zucchine, sino a riem-
gettes, until the baking pan is full. End with a last
pire la teglia con un ultimo strato di patate, sul quale
coat of potatoes and some fresh tomatoes on the
saranno disposti dei pomodorini freschi o “appesi”. A
top. Apart, prepare a mix of salt, pepper, chopped
parte, preparare uno sbattuto con sale, pepe, aglio a
garlic, few drops of lemon, parsley. Pour half glass
pezzetti, poche gocce di limone, prezzemolo e un
of water into the baking pan and cook into the oven
mestolo d'acqua. Versare nella teglia e passare in
for twenty minutes. Serve it lukewarm.
forno per venti minuti. Servire tiepido.
Ricetta dello chef Filomena Silibello del ristorante “Cibus” di Ceglie Messapica (Br)
Sardine, Mediterranean dart As a thin commander on the waves, it rules the sea and the wind, miming, light and darting, the quick autumn dance.
“Sardina Pilchardus�. It sounds like a title of a nobility. Imagine to go into a large ballroom, deeply immersed in the sea at the most impenetrable depths, and a sea horse, with a baton to be beaten with strength and sweetness on the sand, wearing a brocade
Sardina, guizzo del Mediterraneo di Alba di Palo Sulle onde esile condottiera a dominare leggera e guizzante il suo mare e il vento a mimare nella veloce danza autunnale.
Sardina Pilchardus. A sentirlo nominare sembra un titolo nobiliare. Ăˆ come se entrati in un grande salone delle feste rigorosamente immerso nell’acqua del mare alle piĂš impenetrabili profonditĂ , un cavalluccio marino con tanto di bastone da scaraventare con
MEDMARE
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tailcoat, introducing the “ titled” sardine, a light and darting master of the Mediterranean sea, waving like a sovereign in its kingdom. Simple and slim but not insignificant, it lives happily and better in pleasantly warm water. It is one of the smallest fish, generally considered of little value. The sardine has been able to redeem itself by doing its best and proving to be an excellent panacea for cardiovascular problems. A fish with various aspects that stands out from the others because of its organoleptic qualities and its peculiar appearance. Its pale meat is in contrast with its back reflecting all the colours of Neptune’s kingdom. Green and blue predominate on its little back like the nuances running after each other on the frothy waves. Its white abdomen and sides have the colour of the white froth that dashes on the shore. The sardine is a brave fish and many times, in shoal, ventures as far as low depths. Visible to the naked eye, its maximum length cannot exceed 25 centimetres and this makes it the quickest sovereign of the sea thanks even to its caudal fin that allows it to swim with swirling haste. Its “courage” can be seen when it ends up in the fishers’ nets, darting, struggling trying to get itself free but finally resigning to fate and ending up in the simplest dishes. The sardines “alla pugliese” contain flavours, aromas and traditions of a land, the Heel of Italy,
forza e dolcezza sulla sabbia, con indosso un broccato frac, annunciasse l’ingresso della titolata sardina che domina, leggera e guizzante, le onde del mare Mediterraneo, come una sovrana il suo regno. Semplice ed esile ma non per questo insignificante, vive meglio e felice nelle acque con una temperatura gradevolmente calda. È uno tra i pesci più piccoli, forse dai più considerata quasi privo di valore, ma la sardina ha saputo riscattarsi donando il meglio di sé e dimostrandosi un’ottima panacea per i guai cardiovascolari. La sua è una delle linee più invidiate dalle donne a cui il paragone con il pesce che appartiene ai culpeidi, sembra donar al gentil sesso sorrisi che forse, neppure un diamante riuscirebbe a strappare. Un pesce dai mille volti che sa distinguersi per qualità organolettiche oltre che per quelle di puro spirito visivo. La sua polpa chiara contrasta con il dorso
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that, with the simplicity of its ingredients, is able to express all its culinary sapidity. Sardines, stuffed with pecorino cheese from the Barese Murgia, extra virgin olive oil and a well thick mixture made up of eggs, salt, parsley and bread crumbs, in an indissoluble union in the sign of the taste. The necessary step in the oven makes it a unique and genuine Apulian recipe. Sea and heart experts advise to eat them to prevent heart and vascular disorders. The protein omega three contained in sardines makes them an inexhaustible source of good health. Pharmacologists have recognised to sardines an anti-thrombotic power that reduces the triglycerides levels in blood. This gift crowns the sardine as “The Wellness Queen�. A good plate of fried, grilled or pickled sardines could ease even love problems in particular if accompanied with an Apulian white wine, rich in freshness, lightness and little sparkling.
che rispecchia i colori del regno di Nettuno. Il verde e l’azzurro dominano la sua piccola schiena, così come le stesse sfumature si rincorrono sulle spumose onde che con i riccioli bianchi, come bianchi sono il ventre e i fianchi del piccolo pesce, s’infrangono a riva. La sardina è un essere coraggioso, molte volte in branco si spinge fino a basse profondità. Visibile ad occhio nudo, la sua massima estensione non supera i 25 centimetri che la rendono veloce regina del mare grazie anche alla pinna caudale che la spinge a nuotare con vorticosa fretta. Proprio questo suo “coraggio” ci permette di immaginarla condottiera dei gruppi che veloci si dimenano nelle reti dei pescatori in cui, una volta finite, cercano di liberarsi per poi lasciarsi andare a un destino che le vede trionfare sulle tavole anche con le ricette più semplici. E proprio le sardine alla pugliese, racchiudono i sapori, gli odori e le tradizioni di una terra, quella del Tacco d’Italia, che nella semplicità dei suoi ingredienti riesce a esprimere tutta la sua sapidità culinaria. Ecco dunque le sardine unirsi, come in un’unione indissolubile nel segno del gusto, al formaggio pecorino della Murgia barese e all’olio extravergine d’oliva che con il suo colorito verde richiama il dorso del pesce che accoglie nel suo corpo, come una madre fa con suo figlio, un composto ben compatto fatto di uova, sale, prezzemolo e pangrattato. Il passaggio obbligato in forno per rendere unica una ricetta genuinamente pugliese. Gli esperti del mare come del cuore, consigliano di mangiarne a volontà proprio per prevenire disturbi cardiaci e vascolari. È l’omega tre infatti, la proteina che rende la sardina una fonte inesauribile, nonostante le piccole dimensioni, di buona salute tanto che la farmacologia ha tratto spunto dai valori anti-trombotici che la natura ha donato alla minuta rappresentante della fauna ittica per ridurre i livelli di trigliceridi nel sangue. Un dono quello fatto alla sardina che la incorona regina del benessere. E se proprio la si vuole chiamare “sua maestà della salute del cuore”, non è escluso che una buona scorpacciata di sardine fritte, alla griglia o marinate possa alleviare anche dai problemi affettivi specie se accompagnata da un bianco pugliese ricco di freschezza, leggerezza e poche bollicine.
PICKLED ANCHOVIES
A LIC I MA RIN ATE
Ingredients:
Ingredienti
Fresh anchovies
Alici fresche
Water
Acqua
Salt
Sale
White vinegar
Aceto bianco
Chilli pepper Parsley
Peperoncino Prezzemolo Olio Extravergine d'oliva
Extra virgin olive oil
la ricetta
Lavare e pulire le alici, eliminando la testa e le interiora. Wash the anchovies and remove heads and entrails. Let them pickle with water and salt for about 3 hours. Then
Lasciare marinare in acqua e sale per circa 3 ore. Togliere quindi la lisca e disporre i filetti in una pirofila. Irrorare ogni
remove the fishbones and arrange the fillets in layers in a
strato ottenuto con aceto e abbondante olio extravergine.
pyrex dish. Sprinkle each layer with vinegar and extra vir-
Completare il condimento con una spolverata di peperon-
gin olive oil. End with chopped parsley and chilli pepper.
cino e prezzemolo tritato.
Ricetta dello chef Claudio Filoni del ristorante “La Puritate� di Gallipoli (Le)
Paolo Gusto di Puglia meets Paolo De Castro, Apulian, Minister of Agricolture, Food and Forestry.
From San Pietro Vernotico (Brindisi province) to Rome as a Minister of Agricolture, Food and Forestry. Looking at the future, which challenges will the agricultural sector have to face in Italy and in Apulia? I’d say a future of growth, for the very good capacities we are starting from. The latest, positive Istat data, about the growth of the production sectors, confirm that
De Castro di Gisella Della Monaca
Gusto di Puglia incontra Paolo De Castro, Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali.
Da San Pietro Vernotico in Provincia di Brindisi a Roma alla guida del Ministero delle Politiche Agricole. Guardando il futuro quali sfide dovrĂ affrontare il settore agricolo in Italia e in Puglia. Direi un futuro di crescita, viste le ottime potenzialitĂ dalle quali partiamo. Penso agli ultimi, positivi dati Istat relativi alla crescita dei settori produttivi, dati che hanno con-
INCONTRI DI GUSTO
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our agriculture is a driving sector of our Country’s economy. The difference will be made in the future by our ability to be a team (State, associations, trade unions and productive world). Because, if the quality of certified Italian products is indisputable, often companies haven’t the ability to innovate and plan, so their products don’t reach the international markets. And this is one of the problems of the Apulian agricultural world. The challenge of globalization, in Apulia as elsewhere, can be won only if united. Gusto di Puglia invites you to travel with your memory. Have you got a taste bond to your childhood? The taste of grapes jam made by my grandmother Francesca. I ate it just with a spoon or in the “chimuriddhe”, my childhood sweet. I have never tasted a jam so tasty… Which is your favourite “cuisine” and why? Of course the Italian one: it’s very rich in variety and quality of food, but I must say that I love the Japanese cooking too, the hamaguri yaki, the tempura and the classic sushi and sashimi. I think that the taste of the row fish, even the one of a simple carpaccio of bass, just to stay in Italy, is unequalled. Consistency, smell and taste: a real gift for one’s senses. Better as a cook or as a taster? Better as a taster, definitely. But I must say that I enjoy cooking as well, even if I cannot compete with D’Alema! My speciality is spaghetti with Pachino tomatoes, capers from Pantelleria, extra virgin olive oil and bread crumbs. A wine and an Apulian dish you love. The frisa, soaked in the sea water and flavoured with extra virgin olive oil, tomato and oregano. In this case, the wine can be only a Primitivo. Is there a bond between food and land? There is a sentimental and cultural bond between food and land. It lives on the tiring work and the love of the farmer for the land. Through culture it turns into respect for the land and what it produces. To produce “right food” means respecting the land, its cycles and characteristics. Have you got a memory linked to a dish? Once more time, my grandmother Francesca, in Racale, in her kitchen, rich in flavour of fried and honey, during the days before Christmas, when she prepared “purceddhuzzi” for us grandchildren, relatives, acquaintances, friends. Nobody ran out of them. Which is the Taste of Apulia? The taste of Apulia is the frisa, made by corn and flavoured with oil, tomato and oregano: all excellent products of this land. Simple and wonderful like the landscape of our land.
fermato che l’agricoltura è viva ed è trainante per l’economia del nostro Paese. Sarà la nostra capacità di fare squadra (stato, regioni, mondo delle associazioni, dei sindacati e produttivo) a fare la differenza in futuro. Perchè se la qualità dei prodotti italiani certificati è fuori discussione, spesso a mancare sono le capacità di innovare ed organizzarsi delle imprese che, quindi, non riescono a portare i loro prodotti sugli scaffali internazionali. Questo, ad esempio, è uno dei problemi che riguardano il mondo agricolo pugliese. La sfida della globalizzazione, in Puglia come altrove, si vince soltanto se si è uniti. Gusto di Puglia le propone un viaggio nella memoria. Ha un “sapore” legato all’infanzia? Quello della marmellata di uva che faceva mia nonna materna Francesca. La mangiavo così, a cucchiaiate oppure nelle “chimuriddhe”, il dolce della mia infanzia. Non ho mai più assaggiato una marmellata che avesse tanto sapore... Quale “cucina” preferisce e perché. Dando per scontato che quella italiana, ricchissima per varietà e qualità dei cibi, sia in cima alle mie preferenze, devo dire che amo la cucina giapponese, l’hamaguri yaki,
INCONTRI
la tempura e poi i più classici sushi e sashimi. Il sapore del pesce crudo, anche quel-
DI GUSTO
lo, per restare in Italia, di un semplice carpaccio alla spigola non credo abbia eguali. Consistenza, profumo e sapore: un vero regalo per i sensi. Meglio cuoco o degustatore? Decisamente meglio degustatore. Ma devo ammettere che mi diletto anche come cuoco, anche se non posso certamente competere con D’Alema! La mia specialità sono gli spaghetti con pomodoro pachino, capperi di Pantelleria, olio extravergine d’oliva e pan grattato. Un vino e un piatto pugliese che ama. La frisa, bagnata in acqua di mare e condita con olio extravergine, pomodoro e origano. Il vino, in questo caso, non può che essere un Primitivo. Tra cibo e terra c’è un legame? Quello tra terra e cibo è un legame sentimentale e culturale. Che si nutre del faticoso lavoro e dell’amore che dedica alla terra chi fa il mestiere del contadino e che, attraverso la cultura, si trasforma in rispetto per quella terra e per ciò che essa produce. Produrre un cibo “giusto” significa rispettare la terra, i suoi cicli e le sue caratteristiche. Ha un ricordo legato ad un piatto? Ancora una volta, mia nonna Francesca, a Racale, nella sua cucina, densa di odore di fritto e di miele, nei giorni prima di Natale, quando preparava “purceddhuzzi” per noi nipoti, per tutti i parenti, i conoscenti, gli amici. Nessuno rimaneva mai senza. Qual è il Gusto della Puglia? Il gusto della Puglia è la frisa, che è fatta e condita con prodotti d’eccellenza di questa regione: il grano, l’olio, il pomodoro e l’origano. Semplice e meravigliosa come il paesaggio della nostra terra.
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SALENTO, il pane del vento di Lia Mintrone
Stone first, then fragrant roughness. And fire again. Wet it and it is soft friseddha made of sun, wind and sea.
Prima pietra poi fragrante increspatura. E di nuovo fuoco. Acqua a provare ed è morbida friseddha di sole, di vento, di mare.
Every place is rich in legends and myths, particularly Salento. All this contributes to make this far end of land, lapped by two Seas, the Ionian and the Adriatic, even more charming. In the culinary tradition, myth is wisely blended to flavours and aromas of the local cuisine. It is said that the frisa was taken by Aeneas to Salento. Legend tells that the mythical hero, running away from Troy in flames, landed at Porto Badisco. His arrival at the Salentine coast brought usage and custom from the Greek world as well. In fact, in Greece, the peasants’ common food was, and still is, barley bread with legumes. And it is not a chance that in the Salentine GrecÏa, where grico is still spoken, barley is widely grown, as in Greece and the Ionian Isles. In fact, unlike other areas in Apulia, in Salento frisas are mainly made of barley than corn.
Ogni luogo è ricco di leggende e miti, ed il Salento ne è particolarmente ricco. Tutto ciò contribuisce a rendere ancora più suggestivo questo ultimo lembo di terra lambito dai due mari, l’Adriatico e lo Ionio, dove anche nella tradizione culinaria il mito si mescola sapientemente ai sapori e agli odori della cucina locale. Si dice che fu addirittura Enea a portare la frisa nel Salento. La leggenda narra che il mitico eroe, scappando da Troia in fiamme, sbarcò a Porto Badisco. Il suo approdo nella terra salentina portò anche usi e costumi del mondo greco. Infatti non è un caso che in Grecia il cibo ordinario dei contadini sia stato, e sia ancora, il pane di orzo con i legumi. E non è casuale che nella Grecìa salentina, dove ancora si parla il grico, l’orzo sia molto coltivato come nella Grecia e nelle isole jonie. Infatti, a differenza di altre zone della Puglia, nel Salento le frise sono rigorosamente di orzo più che di grano. Nel tempo le frise diventarono il pasto che i contadini consumavano in campagna. La necessità di consumare un pasto molto energetico nel breve spazio di una pausa, durante il faticosissimo lavoro della terra, imponeva ai contadini di portare delle vivande semplici che si potevano mangiare rapidamente, come fichi e legumi secchi, e ovviamente le frise d’orzo. Quelle di grano, infatti, erano destinate ai signori. Ma cos’è esattamente la frisa? La radice del nome è latina, da fresus, tritato. Si tratta di un pane biscottato, una sorta di ciambella d’orzo a lunghissima conservazione, duro come una pietra, che s’intenerisce dopo essere stato tenuto in acqua per qualche secondo. Si ottengono dalla divisione in due metà, con un filo di ferro, di una ciambella di farina d’orzo cotta nei forni di pietra fino a divenire croccante. Si gusta dopo averla inzuppata per qualche secondo nell’acqua, e condita con olio rigorosamente pugliese ed extravergine d’oliva, pomodoro, sale ed origano.
LE VIE DEL PANE
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In time, frisas became the meal peasants had when they worked in the country. The need to have a very energetic meal in a short time while working, forced the peasants to bring with them simple food that could be eaten very rapidly, such as figs, legumes and, of course, barley frisas. The corn ones, in fact, where intended for rich people. But, what exactly is a frisa? The origin of the name is Latin, from fresus, “chopped�, it is toasted bread, a kind of barley doughnut, hard as rock, and becomes soft after being kept in water for a few seconds. Raw, they are barley flour doughnuts, split in two halves, with an iron wire and cooked in stone ovens till they get crunchy. Soaked for few seconds in water they may be seasoned with rigorously Apulian extra virgin olive oil, tomato, salt and oregano.
In dialetto locale si chiamano “friseddhe cu lu pummitoru”. Le frise si distinguono per le loro proprietà ricche di fibre, ferro, zinco e sali minerali. La ricetta consigliata è quella più semplice, alla San Giovannino: le frise appena inumidite e condite con olio extraergine d’oliva, sale, aglio, origano e pomodorini stagionati. Ma c’è chi ci aggiunge anche ruchetta e capperini.
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In the local dialect they are said “Friseddhe cu lu pummitoru”. Frisas distinguish
themselves
for
their
richness in fibres properties, iron, zinc and mineral salts. The recommended recipe is the simplest, “at San Giovannino”: just wet and seasoned with extra virgin olive oil, garlic, salt, ripe small tomatoes. But somebody adds even capers and rocket. Durum wheat, tomato and olive oil are the strong points of Salentine cuisine, a humble and poor, but rich in flavours and very nourishing cuisine. It is a mirror of so many foreign rules that have taken turns in this land, leaving lasting signs even in the culinary art. Also, in Salento, besides local producers, many families still have an ancient stone oven. When the oven is on, it is always a general festivity and it is the occasion to prepare and bake as much stuff as possible. In fact the frisas, once cooked and crunchy, are put into special containers, (bellied clay pots) called capase, capasuni, capasegge or padali, depending on their size, with two or three handles, where frisas remain integral and crunchy even for a month. Summer is the best period for frisas. They are excellent as appetisers or as aperitifs and have become object of celebration and tasting in dozen of festivals throughout Salento. So, do not miss them!
Il grano duro, il pomodoro e l’olio d’oliva sono i punti di forza della cucina salentina, una cucina umile e povera, ma molto nutriente e ricca di sapori, specchio delle tante dominazioni che si sono avvicendate in questa terra, lasciando tracce indelebili anche nell’arte culinaria. Non va trascurato un altro particolare. Nel Salento, a parte i produttori locali, ci sono anche tantissime famiglie che dispongono di un antico forno in pietra. Quando si accende il forno è sempre una grande festa, oltre che un’occasione per preparare e infornare quanta più roba possibile. Infatti le frise, una volta cucinate e fatte biscottare, vengono messe in apposti contenitori, detti capase, capasuni, capasegge o padali a seconda della grandezza, panciuti recipienti di terracotta, a due o tre manici, dove le frise rimangono integre e croccanti anche per un mese. L’estate è il momento clou per le frise. Ottime come antipasti o aperitivi, diventano oggetto di celebrazione e degustazione in decine di sagre sparse per tutto il Salento. Da non perdere.
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FIZZAROTTI, mosaic of style It enraptures people's eyes by its decorations, one step from the old heart of Bari. Laces and mullioned windows in a mosaic of style. Fizzarotti Palace: calls of sea travellers. Along Corso Vittorio Emanuele, in the heart of Bari, few steps from the old town, the Venetian Neo-Gothic architecture of Fizzarotti Palace, enraptures the sight. Far from the rigour of the adjacent palaces, this charming architectonical work is a complete expression of the artistic movement of Eclecticism. Imposing, with its ground floor and the three upper floors, it arouses curiosity and wonder even with the façade and its decorative elements: the trimmed stone of the balconies, the three-mullioned and two-mullioned windows and the two towers surmounted by domes, lightened by gold leaf mosaic. The four polychrome mosaic medallions of the façade can be considered signs of the owner’s versatile personality: they represent the Fenicia; ancient Bari’s coat of arms, with its mythical founder “Barinon”, Lecce’s and Fizzarotti’s with the evocative words “quamquam fractae vulnerant”, referring to the picture of three broken arrows. Emanuele Fizzarotti, from Lecce, was a skilful businessman with an extraordinary intuition: he became a banker and was reliable person for Rockfeller in Southern Italy and – at the top of his social and economical rise, at the beginning of XX century - obtained the property of that building. In few years it became the evidence of his power and of his liberal vision of life. The plan of the palace is by the architect Corradini and the engineer Bernich, leading representative of the Italian Eclecticism. Crossing the austere front door means to set out on a journey through different historical ages, revised by the XX century men’s ideas, rich in liberal principles. In the hall, a Liberty gate discloses, through the
FIZZAROTTI, mosaico di stile di Federica Sgrazzutti
Sguardo rapito dai suoi fregi, ad un passo dal cuore antico di Bari. Merletti e bifore di un mosaico di stile. Palazzo Fizzarotti, richiami di viandanti del mare. Lungo corso Vittorio Emanuele, nel cuore di Bari, a pochi passi dalla città vecchia, l’architettura neo gotica veneziana di palazzo Fizzarotti rapisce lo sguardo. Lontana dal rigore dei palazzi adiacenti, questa affascinante opera architettonica è compiuta espressione del movimento artistico dell’eclettismo. Imponente, con il suo pianoterra e i tre piani superiori, sin dalla sua facciata incuriosisce e meraviglia l’osservatore per i tanti motivi decorativi, per la pietra merlettata di balconi, trifore e bifore e per quelle due torri sormontate da cupole, illuminate da mosaici a foglia d’oro. I quattro medaglioni, a mosaico policromo, del prospetto già possono considerarsi degli indizi per conoscere la personalità poliedrica del proprietario: rappresentano la Fenicia; l’antico stemma della città di Bari, con il suo mitico fondatore “Barinon”, e quello di Lecce; infine il blasone di Fizzarotti, riportante l’evocativa dicitura “quamquam fractae vulnerant”, riferita al disegno di tre frecce spezzate. Emanuele Fizzarotti, di famiglia leccese, fu uomo d’affari capace e di straordinario intuito; diventò banchiere, fu uomo di fiducia di Rockfeller per il Sud Italia e – all’apice
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back yard, the Neptune’s Fountain;
a
marble
lion
defends the airy stairway, filled with the light filtering through the Murano glass loggias and overlooked by a fresco representing a zodiac on turquoise background. It is an invitation to go upstairs, to visit the main floor in order to enjoy what the intellect and the human bent can express, thanks to the extraordinary skilful (not only
Apulian)
workmen,
artists and craftsmen engaged in building and decorating the Palace. On the floor of the main entrance to the reception rooms facing Corso Vittorio Emanuele, there is a radiant Mercury. This symbol, god of travellers, journeys and commerce, recurs because of the owner’s ideals who owed his fortune to trade and business, so his residence in Bari had to represent his values.
della sua ascesa sociale ed economica, all’inizio del ‘900 –acquisì la proprietà di quell’edificio che, in pochi anni, diventò testimonianza del potere conquistato e della sua visione liberale della vita. Il progetto del palazzo fu affidato all’architetto Corradini e all’ingegnere Bernich, esponente di punta dell’eclettismo italiano. Varcare il severo portone di ingresso significa intraprendere un viaggio nel tempo, un percorso attraverso diverse epoche storiche, rivisitate dalle idee di uomini del XX secolo, intrise di principi liberali. Entrati nell’androne, un’inferriata in stile liberty lascia intravedere, nel cortile retrostante, la fontana di Nettuno; un leone in marmo presidia la scalinata ariosa, inondata dalla luce che filtra da veroni in vetro di Murano e dominata dall’affresco di uno zodiaco su sfondo turchese. Un invito a salire, a visitare il piano nobile, e godere di quanto l’intelletto e l’estro umano possono esprimere, anche grazie alle straordinarie capacità di maestranze, artisti ed artigiani pugliesi e non solo, impiegati nella costruzione e decorazione del palazzo. Sul pavimento dell’ingresso principale ai saloni, che si affacciano su corso Vittorio Emanuele, c’è un solare Mercurio. La raffigurazione di Hermes, dio dei viandanti, dei viaggi e del com-
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For this reason Fizzarotti, with the help of Bernich, devoted a room to the Arts and Crafts; a place representing, in a simple pictorial language, the economic cycle: agricultural production, manufacture, exportation towards Near East, yield and industrial investment. This Economy lesson closes with Art, coming only from a wealthy situation. The eclectic conception of this Palace is represented also by the small drawing-room in Directory style, by the design of the Aubusson carpet of the royal bedroom in Versailles reproduced on the floor of the Rococo hall and, in the end, by the central room in perfect Venetian Gothic style. The light from the two-mullioned windows reveals the huge chandelier in Murano glass and two lateral paintings by Corradini. They represent scenes about Apulia History. The first celebrates the arrival of Isabella di Brienne, second wife of Federico II, in Brindisi; the second describes the relief of Bari from the Saracens in 1002, thanks to the Venetian fleet, leaded by the doge Pietro II Orseolo. The last room, called “the fireplace’s”, is the most mysterious for some symbolic elements; probably here Fizzarotti received the notables of his time and discussed business and culture. Thanks to the inexhaustible restoration and maintenance work made by the present owners, with passion and respect, this wonderful Palace – where events, fashion shows and meetings are held today - mirrors the unsullied charm of a great Apulian man who lived intensely and bravely the spirit of his time.
mercio, ricorre e diversamente non potrebbe essere, considerati gli ideali del proprietario del palazzo, che proprio con gli scambi e gli affari aveva fatto la sua fortuna e che aveva voluto che la sua residenza barese rappresentasse appieno i suoi valori. Perciò non stupisce che il Fizzarotti, coadiuvato dal Bernich, abbia dedicato una sala alle arti e ai mestieri; un luogo che raccontasse, con la semplicità del linguaggio pittorico, il ciclo economico: la produzione agricola, la trasformazione e commercializzazione verso il levante e il vicino oriente, il ritorno della mercatura e gli investimenti nell’industria. Chiude questa lezione di economia, l’arte, che può scaturire solo da una condizione di benessere. A riprova della concezione eclettica di questo edificio sono il salottino in stile Direttorio, la sala rococò con la copia, in battuto veneziano, del disegno del tappeto Aubusson della camera reale di Versailles, ed infine il salone centrale, in perfetto stile gotico veneziano. La luce che entra dalle bifore rivela l’immenso lampadario in vetro di Murano e le due tele laterali, entrambe opera del Corradini. Sono scene tratte dalla storia di Puglia. La prima celebra l’arrivo a Brindisi, nel 1225, di Isabella di Brienne, seconda moglie di Federico II; la seconda descrive la liberazione di Bari dall’assedio dei saraceni, nel 1002, grazie all'intervento della flotta veneziana, guidata dal doge Pietro II Orseolo. L’ultima stanza, detta del “caminetto”, sembra la più misteriosa, poiché sono presenti elementi dalla possibile valenza simbolica; è qui che probabilmente Fizzarotti riceveva i notabili del tempo per discutere di affari e di cultura. Grazie all’inesauribile lavoro di restauro e manutenzione, al quale l’attuale proprietà si dedica, con passione e rispetto, questo meraviglioso palazzo – oggi sede di eventi, sfilate e meeting – rimanda intatto il fascino di un grande uomo pugliese, che visse intensamente e con coraggio lo spirito della sua epoca.
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GIOVINAZZO, intimo porto di Maurizio Marangelli
Giovinazzo and its intimate harbour, a range of
Giovinazzo il suo intimo porto, ventaglio di stagioni
seasons reflected in the sea. Chiancarelle to be
specchiate nel mare. E chiancarelle da seguire.
followed.
Giovinazzo lays on a small peninsula, surrounded by the blue sea. It is a rural, industrial and fishing centre, with more than 21,000 inhabitants, on the Adriatic coast at about 18 kms to the North-West of Bari. It is easy to get there. By car: motorway A14 BolognaTaranto, tollgate Bitonto-Giovinazzo; A road 16 and 16 bis, gate Giovinazzo. By plane: Bari-Palese airport, only 15 kms far, then driving on to Giovinazzo on the A road 16
Disteso su una “penisoletta”, circondato da un mare azzurro: si presenta così Giovinazzo, centro agricolo, industriale e di pesca di oltre 21.000 abitanti, situato sulla costa adriatica a circa 18 chilometri a nord-ovest di Bari. Arrivarci è davvero agevole. In auto: autostrada A14 Bologna-Taranto uscita casello autostradale Bitonto-Giovinazzo; strada statale 16 e 16 bis uscita Giovinazzo. In aereo: aeroporto Bari-Palese distante meno di 15 km, proseguire per Giovinazzo con la strada statale 16 in direzione Foggia. In treno: con le ferrovie dello stato la stazione di Giovinazzo è perfettamente collegata con tutte le grandi città italiane sia sulla linea Lecce-Roma che Lecce-Milano. In autobus tramite i collegamenti delle autolinee Stp. In nave: il porto ben “ridossato” dai venti
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towards Foggia. By train: the Italian State Railways (Ferrovie dello Stato) perfectly connect Giovinazzo with all the most important Italian towns both on the Lecce-Rome line and Lecce-Milan line. By bus: the Stp bus service connections. By ship: the port is in a natural small bay in the lee of the wind and protected by two docks. The entrance to the port has about 5-metre deep soundings and it is marked by two fixed lights. It is possible to moor at the wharf of the western dock usually occupied by small fishing boats. Sailing and motor pleasure boats of modest tonnage can moor at the piers of the Sailing Club (Circolo della Vela). Sun and sea, the green countryside with its dolmen, the farmhouses, the towers, the centuries-old olive trees and, above all, the old town with its mighty walls, the XII century cathedral in Apulian-Romanic style, the ancient palaces are only some of the main Giovinazzo’s beauties. Moreover it is also the starting point to visit the most important monuments and charming routes in the North-barese area.
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del II e III quadrante è costituito da un’insenatura naturale protetta da due moli. L’imboccatura con fondali di circa 5 metri è segnalata di notte da due fanali a luce fissa. E’ possibile l’ormeggio di punta alla banchina del molo di ponente solitamente occupato da piccole imbarcazioni da pesca. Barche da diporto a vela e a motore di modesto tonnellaggio possono ormeggiare ai pontili del Circolo della Vela. Tanto sole, mare e la verde campagna con il dolmen, i casali, le torri ed i secolari ulivi. E soprattutto il centro storico con le possenti mura, la cattedrale del XII secolo di stile romanicopugliese, gli antichi palazzi. Sono solo le principali bellezze di Giovinazzo che geograficamente rappresenta anche un ottimo punto di partenza per visitare la provincia nord-barese con tutti i suoi monumenti più importanti e gli itinerari turistici più suggestivi. Città culla di antiche tradizioni religiose e popolari, Giovinazzo è stata premiata per diversi anni consecutivi dalla Guida Blu del Touring Club e di
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Cradle of ancient religious and popular traditions, Giovinazzo has received the prize (four sails over five) by the Blue Guide of Touring Club and Legambiente in the special results drawn up among all the Italian seaside resorts with the most beautiful sea and the cleanest coasts. The time of its foundation is unsettled and remote. An imaginative legend attributes it to Perseus, Jupiter’s son. According to history, it existed with the name of Natiolum during the Roman Empire, it was fortified by Trajan in 102 AD and provided with churches at the time of Constantine the Great. You cannot miss the visit at the old town. It starts from Piazza Umberto I, the ancient Governor’s Square on the right of the City Hall where you can admire Uva or Sagarriga Palace. On its right, in the Governor’s Palace, there is the office of Pro Loco where archaeological finds of different ages are kept. The visit goes on with the Trajan Arch, the church of the Virgin of Costantinople, the fourteenthcentury Walls of Vico Freddo, the small church of Saint Charles, the eighteenthcentury De Risis Palace, the church of Holy Mary of the Carmen. Then, after a second arch, there is the Cathedral dedicated to Our Lady of the Assumpion, wanted by the Princess Costanza d’Altavilla. By the Cathedral you can admire Fra Marino of the Malatestas’ Palace, Bishop’s Palace and Ducal Palace. But there are many more palaces, churches, towers, courtyards, arches to be visited. We only mention the ancient Monastery of the Benedictine Nuns. Our walk ends along the charming small harbour with the Aragonese Turret Mast (better known as “U Tammurre”, that is the drum cause of its round shape) and the promenade with its cliffs washed by the crystal sea. In the background, the imposing Cathedral, laid down on the ancient Aragonese Walls, mirrors in the limpid sea. The fertility of the sea, the warmth of the Apulian land originate the food tastes, the high quality products that in an inimitable socio-cultural contest make the Apulian cookery wealthy and light.
Legambiente con l’assegnazione delle quattro vele su un massimo di cinque nella speciale classifica stilata tra tutte le località costiere italiane che si sono maggiormente distinte per la bellezza del mare e la pulizia della costa. Incerta e remota l’epoca della sua fondazione che una fantasiosa leggenda attribuisce a Perseo, figlio di Giove. La storia la vuole già esistente con il nome di Natiolum al tempo dell’impero romano, fortificata all’incirca nel 102 DC da Traiano e dotata di chiese all’epoca di Costantino il Grande. Imperdibile la visita del centro storico che inizia da Piazza Umberto I, l’antica piazza del governatore, situata a destra del palazzo di città. Possiamo ammirare il Palazzo Uva o Sagarriga e a destra il Palazzo del Governatore dove ha sede nei locali sottostanti il centro di documentazione della Pro Loco: sono custoditi reperti archeologici di varie epoche. Si prosegue con l’Arco Traiano, la chiesa dedicata alla Madonna di Costantinopoli, le strutture murarie trecentesche di Vico Freddo, la chiesetta di San Carlo, il settecentesco Palazzo De Risis, la chiesa di Santa Maria del Carmine. E poi, attraverso un secondo arco, si arriva alla Cattedrale dedicata a Santa Maria Assunta in Cielo e voluta dalla principessa Costanza d’Altavilla. Nei pressi della Cattedrale possiamo ammirare il Palazzo dei Fra marino dei Malatesta, il Palazzo Vescovile, il Palazzo Ducale. Ma sono numerosi i palazzi, le chiese, le torri, le corti, gli archi, da vedere ancora. Citiamo per tutti l’antico monastero delle suore benedettine. La nostra passeggiata si conclude lungo l’accogliente porticciolo con il Torrione Aragonese (meglio conosciuto con il nome di “U tammurre”, ossia il tamburo per la sua forma tondeggiante) e l’attiguo lungomare con la scogliera bagnata dal mare cristallino. Sullo sfondo la stupenda Cattedrale che maestosa, quasi appollaiata sulle antiche mura aragonesi così ricche di storia, si specchia nel limpido mare. E dalla fertilità del mare, dal calore della terra di Puglia hanno origine i sapori del cibo, i prodotti di alta qualità che in un contesto storico-culturale inimitabile rendono la cucina pugliese sana e leggera.
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Lilium, a vele spiegate di Gisella Della Monaca
A long line of lilies, like sailing boats fleets in the fields, shows colours and smells among the vineyards and the dunes.
Lunga la fila di lilium, come flotte di barche a vela sui campi, a trovare colori e profumi tra le vigne e lĂŹ oltre le dune.
Leverano, in Salento, is an Apulian flower nursery. Here, the mirage of shining sails appears on the glasses of the glasshouses for the glare of the sun in the afternoon heat of July. Entering the fields, the chirring of the cicadas is the background music. The gates of the nurseries open: here are long lines of bulbs in blossom. Colourful lilies: bulbiferum, martagon, auratum, davidii, tigrinum, pyrenaicum. There are different species (eighty), different colours, lengths and thickness, for the different needs of the market. The glasshouse is a surprising show: long lines of bulbs; a cylindrical and rigid stem arises from each bulb, on each stem there are many linear and undulated leaves and big, delicate and bell-shaped flowers. They are very sweet-smelling; white, orange, red, blue clusters of flowers. Along the paths, among the sheds and under the sails warmed by the sun, you can see a rapid succession of varieties: hybrids derived from the selection. Lilies keep the floriculturists of Leverano busy from April to August. Leverano is a small town near Lecce, in the tip of Italy, one step from the Ionian Sea from where lilies leave for their long journeys: as
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Leverano centro salentino e polo florovivaistico di Puglia. In questa cittadina dove in ogni istante si avverte l'odore del mare, il riflesso del sole sui vetri delle serre nella calura pomeridiana di luglio fa apparire il miraggio di lucenti vele le acque solcare. Addentrandosi tra i campi ecco le vele e il frinire delle cicale come sfondo musicale. Si aprono le porte dei vivai: distese di bulbi in fiore. Variopinti lilium: bulbiferum, martagon, auratum, davidii, tigrinum, pyrenaicum. Diverse specie, 80, per le diverse esigenze del mercato, diversi colori, lunghezze, consistenze. Sorprendente spettacolo la serra: lunghe fila di bulbi, da ogni bulbo uno stelo, cilindrico e rigido, ad ogni stelo numerose foglie lineari e ondulate e delicati fiori grandi e campanulati, profumatissimi disposti in grappoli, bianchi,
arancioni,
rossi,
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a bulb towards balconies, terraces, gardens; as a cut flower for farther destinations. “Madonna lily” or simply “white lily”, it appears pure white in the sacred iconography in St. Anthony's or St. Louis' s hands and as a symbol of friendship in colourful floral tributes. The lily is the protagonist of these glasshouses. Whole screenplays are written just for it. Times and places are perfectly arranged in order to let it perform its role from May to September. A restless job from dawn to dusk, love and passion of men and women mucking, treating, cutting, day by day, looking at the miracle of a flower's life. In this corner of the earth between sky and sea, the sail in the wind has the colour of the
ORIZZONTI FIORITI azzurri. Susseguirsi rapido di varietĂ , lungo i viali, tra i capannoni, ibridi derivati dalla selezione sotto le vele scaldate dal sole. Da aprile ad agosto i lilium impegnano i floricoltori di Leverano, piccolo centro in provincia di Lecce nell'estremo lembo d'Italia ad un passo dallo Ionio, ad un passo dal mare. Da qui partono, i lilium, per i loro lunghi viaggi: da bulbi verso balconi, terrazzi, giardini; da fiori recisi per mete piĂš lontane verso vasi da immortalare con pennellate intense di colore. Lilium o volgarmente giglio, bianco puro nell'iconografia sacra tra le mani di Sant'An-
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summertime lilies among the dry green of Leverano countryside. It will not be difficult to see those sails among the better known vineyards and olive yards, among the sandy dunes and along the provincial roads.
tonio o San Luigi, simbolo di amicizia in ogni colore negli omaggi floreali. In queste serre lui, il lilium, è il primo attore. Intere sceneggiature scritte per lui. Tempi e spazi calcolati precisamente affinché lui possa esserci da maggio a settembre, a recitare il suo ruolo. Lavoro duro dall'alba al tramonto, amore passione di uomini e donne a concimare assistere recidere, giorno dopo giorno osservare il miracolo della vita di un fiore. In questo angolo di terra fra il cielo e il mare, la vela spiegata al vento ha il colore dei lilium d'estate nel verde secco delle campagne leveranesi. Tra le più note vigne e gli oliveti, tra le vicine dune sabbiose, lungo le strade provinciali non sarà difficile scorgerle, le vele.
ORIZZONTI FIORITI
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Scapece, mollica di mare di Federica Sgrazzutti
An oak tub containing sun, sea and pupiddhi. Illuminations decorating the festivals and scapece at each stops.
Una caletta di rovere a contenere sole e mare, pupiddhi e mare. Luminarie a parare la festa e Scapece ad ogni sosta.
The smell of the golden fried fish can be smelled even from the road of the hinterland of Salento. No, that is not Gallipoli, but the sea seems to be here in the village of Oronzo, the scapece master. A very old recipe, with the smell and the taste of the festivals, the ones with the illuminations, the patron saint, the band playing in the sound box. The scapece stall, in fact, has its place of honour in the village festivals -sacred and profane ones- in Lecce's province, but even in Brindisi's and Taranto's. The scapece is unmistakable cause to its golden yellow and its pungent smell of sea and vinegar. It is a street food, it is served in a paper cornet and is eaten with one's fingers. Once, the paper was substituted by the fig leaves and women preserved it in clay pots. Very ancient food, in the past it was used to preserve the fish in excess: hold in fresh places it can keep
PUGLIA MADRE Il profumo di pesce dorato e fritto si sente sin dalla strada, questa viuzza assolata dell’entroterra salentino. No, non è Gallipoli, ma sembra che il mare riesca ad arrivare sin questo piccolo paese, dove vive Oronzo, maestro della scapece. Una ricetta antichissima, che ha il profumo e il sapore delle feste, delle sagre di paese, quelle con le luminarie, il santo patrono, la banda che suona nella cassa armonica. La bancarella della scapece, infatti, ha il suo posto d’onore nelle ricorrenze paesane – sacre e profane – in provincia di Lecce, ma anche in quelle di Brindisi e Taranto. Inconfondibile per il suo colore giallo oro e il suo penetrante odore di mare e aceto, la scapece è un cibo di “strada”, che viene servito incartato e si mangia con le mani. Un tempo, la carta era sostituita dalle foglie di fico e le donne le riponevano – con il contenuto - in vasi di terracotta. Pietanza antichissima, in passato veniva utilizzata per conservare il pesce pescato in esubero: tenuta in luoghi freschi, la scapece può durare a lungo ed essere gustata anche dopo un mese. Il mestiere, che in dialetto viene detto dello “scapeciaro”, però, sembra
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well and be enjoyed even after a month. But the job of “scapeciaro� seems to be bound to disappear: nowadays the artisans continuing on this ancient job, can be counted on the fingers of one hand because it needs sacrifice, patience and devotion. Among these there is Mr. Oronzo, who started this job in 1964, when he came back to his native land, from Switzerland, under the direction of his brother-in-law from Gallipoli, who taught him the secrets of a workmanlike scapece. It is more than forty years that Mr. Oronzo has not missed a festival and in summertime, when the work increases, he comes back home
destinato a perdersi: ormai si possono contare sulla dita di una mano gli artigiani che portano avanti questo antico lavoro, che pretende sacrificio, pazienza e dedizione. Tra questi il signor Oronzo, che ha iniziato questa attività nel 1964, al suo rientro al paese natale, dalla Svizzera, sotto la guida del cognato gallipolino, dal quale ha appreso i segreti di una scapece fatta a regola d’arte. Sono oltre quarant’anni che Oronzo non si perde una festa; e in estate, quando il lavoro aumenta, torna a casa alle due di notte per poi subito ripartire alla volta del mare. La scapece “inizia” al porto, al rientro dei pescatori, nel buio del primo mattino. Sulla banchina di Gallipoli, o su quelle di Porto Cesareo o di Tricase Porto, è il momento della scelta: zerri, argentini, zatterini, pupiddhi, vengono accuratamente selezionati, uno a uno. Il pesce viene poi lavato: in questa fase, l’abilità del maestro sta nel suddividere per grandezza i pesci, che poi vengono messi ad asciugare su ampie spaselle di giunco intrecciate a mano. Infarinati e fritti, i pesci sono fatti scolare dell’olio in eccesso e – infine – poggiati delicatamente su carta assorbente dentro cassette di legna, disposti su un unico strato, tutti nello stesso verso, suddivisi per grandez-
at 2 a.m. and immediately he leaves again to the sea. The scapece starts at the port, when the fishermen go back, in the early morning dark. On the wharf in Gallipoli, or in Porto Cesareo or Tricase Porto, that is the moment of the choice: zerri, argentini, zatterini, pupiddhi (small-size fish) are carefully selected one by one. Then they are washed: in this phase the master's skill is subdividing the fish by size. Then they are set to dry on large hand-intertwined rush trays called spaselle. Dipped in flour and fried, drained from the oil in excess, they are put carefully on blotting paper into wooden boxes in layers, all in the same direction and subdivided by size. In the following 24 hours, when the fish cool and dry, the soft part of bread, at least of the day before, is crumbled. The best bread is without yeast in order to avoid further acidity to the scapece that already has got vinegar among its ingredients. And just in vinegar, where saffron is dissolved, the bread crumbs are soaked becoming golden yellow. Once arranged all the ingredients, a skilful manual work starts: the ”arringatura”, that is the arrangement in layers of the fried fish in the “caletta”, an oak tub that keep fresh the content. According to an ancient rituality, the first two fish put on the bottom of the “caletta”, form a cross, the others are then radial arranged, one by one, and sprinkled with bread crumbs soaked in vinegar with saffron. When, even the last lay has been completed, the scapece must rest at least 24 hours: so fish can steep, becoming soft enough to avoid to fillet them. Then it can be tasted, enjoying that precise, unforgettable taste, imprinted in memory, telling about Salento. Oronzo's Salento, the man who devotes himself to his job with passion, still Swiss for the regularity of the steps of his work and the extreme care because the compactness and integrity of fish is preserved. Oronzo, singing when frying in summertime, has sent his scapece even overseas. Oronzo, generous, opens the doors of his laboratory and let us discover that scapece is not only as yellow as gold, bat even as precious as gold.
za. E nelle 24 ore in cui il pesce raffredda e si fa asciutto, la mollica del pane, che deve essere almeno del giorno prima, viene grattuggiata. Il pane ideale è senza lievito, perché non conferisce ulteriore acidità alla scapece, che – tra i suoi ingredienti – ha l’aceto bianco di vino. E proprio nell’aceto, dove viene diluito lo zafferano, viene bagnato il pane grattato, che si tinge così di un vivido color giallo. Una volta predisposti tutti gli ingredienti, inizia un abile lavoro manuale: l’”arringatura”, ossia la sistemazione a strati dei pesci fritti nella “caletta”, una tinozza di rovere che mantiene fresco il suo contenuto. Secondo una ritualità antica, i primi due pesci, disposti sul fondo della “caletta”, formano una croce, gli altri vengono poi posati, uno a uno, a raggiera e cosparsi del pane imbevuto d’aceto e zafferano. Quando anche l’ultimo strato è completato, la scapece deve riposare almeno ventiquattro ore: solo così i pesci hanno il tempo di macerare, ammorbidendosi quanto basta per non doverli diliscare. Poi si può assaggiare, gustarne quel sapore, preciso e indimenticabile, che resta nella memoria e che parla di Salento. Il Salento di Oronzo, che si dedica al suo mestiere con passione, che è rimasto svizzero nell’ordine con cui segue ogni passaggio di lavorazione, che dedica la massima cura perché la consistenza e l’integrità dei pesci sia preservata. Oronzo, che canta quando frigge in piena estate e che ha fatto viaggiare la sua scapece anche oltreoceano. Oronzo che, generoso, apre le porte del suo laboratorio e lascia scoprire che la scapece non è solo gialla, ma anche preziosa come l’oro.
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UARAGNIAUN, the voice of the rock UARAGNIAUN is the ancient name of the Garagnone, a big rock in Alta Murgia. The legend tells it was cut by Orlando's sword and it is the name of a band, born in 1978 in Altamura, that sings the popular songs of Apulian old tradition. Its founders and protagonists are: Maria Moramarco, Luigi Bolognese e Silvio Teot. Maria sings a variety of Southern Italy songs, particularly the ones from the Murgia of Bari and of Apulia, Southern land, bordering on the ancient Mediterranean civilizations. In full voice songs, tarantellas, love songs, tammurriate, labour songs, dances and rhythms of the leading Mediterranean
popular
music
combine tradition and innovation in a new musical dimension. The band elaborates rare musical solutions, bringing out Moramarco's vocal skills. In fact Maria is known as one of the most original voices in Southern Italy. On the pages of the booklet of their first CD, “ualì” you can read: “A reading *Daniele Durante, got a diploma as a guitar player at the Academy of music and then took a degree in philosophy. He's officially interested in folk music since February 1975,when the “Canzoniere Grecanico Salentino” (the most famous folk music group in Puglia) was born. He attended to all the group's arrangements, elaborations and moreover composed their unpublished pieces. He is a permanent state Music teacher and he also is a teacher in the Specialized Course of music and trance of the “Sociology of the religions” course, in the University of Lecce. He promotes the institution of a triennal course of folk music in the Academy of music of Lecce, where he actually teaches “Music of the whole” and “History and aesthetic of folk music”. He's also the author of several publications.
of
memory:
we
repropose and interpret the popular song without snickering at peasants”. Which is the importance of the thirty years UARAGNIAUN's work and, above all, can popular music, with its bands, represent a model to refer to, in this
phase
of
excessive
homologation? Some decades ago, in Apulia, people had their own culture, strictly connected to a rural world and, consequently, a cultural production
UARAGNIAUN, la voce della roccia di Daniele Durante*
BISBIGLI NEL VENTO
UARAGNIAUN è l'antico nome del Garagnone, il roccione dell'Alta Murgia che la leggenda vuole tagliato dallo spadone del “ prode Orlando “. Il gruppo che ripropone criticamente le canzoni popolari della tradizione pugliese nasce ad Altamura nel 1978. Protagonisti e fondatori sono: Maria Moramarco, Luigi Bolognese e Silvio Teot. Una lunga ricerca sul campo spinge Maria ad interpretare e a presentare il vasto repertorio di canti del sud dell'Italia e, in particolare, della Murgia barese e della Puglia, terra meridiana, di confine con le antiche civiltà mediterranee. Canti a distesa, tarantelle, canzoni d'amore, tammurriate, canti di lavoro, balli e ritmi della grande musica popolare Meridionale, trovano una nuova dimensione musicale in un mix che mette insieme tradizione e innovazione. Attraverso il recupero degli strumenti tradizionali, il gruppo elabora soluzioni musicali di grande respiro che valorizzano ulteriormente le straordinarie capacità vocali della Moramarco, ormai riconosciuta come una delle voci più orginali del sud Italia. Sulle pagine interne del libretto allegato al loro primo CD “ualì” si legge: “una chiave di lettura della memoria: riproponiamo e interpretiamo il canto popolare senza fare il verso ai contadini.” Quale valore dare al lavoro svol-
*Daniele Durante, si diploma al Conservatorio in chitarra e si laurea in filosofia. Si interessa ufficialmente di musica popolare con la nascita, nel febbraio del ‘75 del Canzoniere Grecanico Salentino (il più noto gruppo pugliese di musica popolare) firmandone gli arrangiamenti, elaborazioni e componendone i brani inediti. È docente di ruolo di ed. musicale. Tiene il corso monografico sulle musiche e transe per l'insegnamento di “sociologia delle religioni” presso l'università degli studi di Lecce. Promuove l'istituzione del corso triennale di musica popolare presso il conservatorio di Lecce, dove insegna “musica d'insieme” e “storia ed estetica della musica popolare”. È autore di numerose pubblicazioni.
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marked by this evident “identity”. Industrialization and Italian economic boom had created models that, through the media, have become a strong attraction for Apulian people who emigrated. This caused many damages to local economy by breaking up the cultural tissue and its main expressions, creating an evident cultural and economic dependence. These models (industrialization and economic boom, etc.) were a strong appeal for Southern people and were accepted uncritically just because the “cultural identity” was lost or denied. The elements representing a “Cultural Identity” of a local reality are many and it is difficult to separate them: spoken language, music, songs, dances, rites, traditions, ways to express oneself, gestures, human relationships and the place where people live. The specific elements of an area are changeable: they have already changed in the past, they are changing under our very nose and will change again in their peculiarity, once slowly, at present more quickly. Thinking that they cannot change is only a conservative dream: whole communities cannot be reduced to “museums” in an aesthetical vision of a “Rural Civilization”, now obsolete and rejected. The economic change, the rising of new social classes, the new external relationships, the new models of behaviour, the comparison and tension between old and new, provoke significant and irreversible socio-cultural and psychological changes. It is impossible to turn to past and tradition, looking for a lost identity, mythicizing a forgotten culture: so doing, instead of developing an area, we create a reservation. On the contrary, we must find the still vital roots of old cultures, their surviving peculiar traits, in order to understand how they have changed and how they could change again when they meet new cultural expressions. So these cultures can be revitalized and oriented as active components of development. So a community's culture can work out its symbolic role of identification, prerequisite of a not distorted development. In the land of Bari, the UARAGNIAUN's work is an example enriching Apulia and is a reference point as a work of regaining of one's own traditions.
to dagli UARAGNIAUN in quasi un trentennio e, soprattutto, può la musica popolare con i suoi gruppi di riproposta rappresentare un modello di riferimento in questa fase di eccessiva omologazione? In Puglia, qualche decennio fa, la popolazione aveva una propria cultura, strettamente collegata ad un mondo agricolo e di conseguenza una produzione culturale che era caratterizzata da un'evidente “identità”. L'industrializzazione ed il boom economico italiano hanno costituito dei modelli, che veicolati attraverso i media, sono stati un forte richiamo per la popolazione pugliese, che ha avuto un alto tasso migratorio, producendo notevoli danni all'economia locale e soprattutto disgregando il tessuto culturale nelle sue principali espressioni, con una evidente situazione di dipendenza sia economica che culturale. Questi modelli (indu-
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strializzazione, boom economico ecc.) erano un forte richiamo per la popolazione meridionale e spesso erano accettati acriticamente proprio perché si è rifiutato o addirittura perso la propria “identità culturale”. Ma che cosa è “identità culturale” di una realtà locale e quali sono gli elementi che la costituiscono? Molteplici e difficilmente separabili: la lingua parlata, la musica, il canto, i balli, i riti, le tradizioni, i modi di esprimersi, i gesti, i rapporti umani e il posto in cui si vive. Ma attenzione. Gli elementi specifici di un'area - per quanto isolata - non sono immutabili; sono già mutati nei secoli, mutano sotto i nostri occhi e muteranno ancora nella loro specificità, prima più lentamente, oggi più velocemente e niente può arrestare il loro mutamento: illudersi che non cambino è solo un sogno conservatore di chi vuole ridurre intere comunità a musei, in una visione estetizzante della “civiltà contadina”, ormai abbondantemente superata e rifiutata nella vita quotidiana. Il mutamento dell'economia, il sorgere di nuove classi sociali, i nuovi rapporti con l'esterno, i nuovi modelli di comportamento indotti, il confronto e le tensioni tra vecchio e nuovo, hanno prodotto in tempi brevi significativi ed irreversibili mutamenti socio-culturali e psicologici, anche se non ancora definiti o non sufficientemente maturati. Guai a ripiegarsi sul passato e la tradizione, alla ricerca difensiva di un'identità perduta, mitizzando i più dimenticati segni, materiali e simbolici, di una cultura dimenticata: così facendo, invece di sviluppare un'area, ne facciamo una riserva. Bisogna, al contrario, individuare le radici uniche ancora vitali delle vecchie culture, cogliere i tratti essenziali che ne sopravvivono e tener conto di come si sono trasformate e come potrebbero trasformarsi nell'incontro-sintesi con altre espressioni culturali: solo così queste culture si rivitalizzano e si orientano in funzione di componenti attive dello sviluppo. In tal modo un processo formativo metterà in condizione la cultura di una comunità a continuare in modo vitale a svolgere il suo ruolo simbolico di identificazione, presupposto per uno sviluppo non distorto. In terra barese il lavoro svolto dagli UARAGNIAUN è esemplare, impreziosisce la Puglia ed è un punto di riferimento per come dovrebbe essere fatto un lavoro di recupero delle proprie tradizioni.
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