ED I TO RI AL E
Gusto itinerante, gusto di stagione, dopo aver ballato in Puglia, ecco l'autunno, stanca stagione che ha già vendemmiato. Come un amore consumato dal tempo, giorno dopo giorno il sole perde calore, nel subappennino dauno e sulla Murgia la brina già ricopre i monumenti di pietra a secco, l'aria mattutina è frizzante, spesso profuma di mosto, i secolari ulivi nel Salento cominciano a donare frutti. Il vento raccoglie le prime foglie, porta dalle campagne l'odore delle prime arature. Nelle masserie le conserve sono ormai pronte, ferme e riposate, quella di ciliegia allieta già le nostre tavole che godono dei primi funghi, delle noci che diventano scure e di uva straordinaria per la sua bellezza e per la sua dolcezza. E' un tempo unico per scoprire odori, sapori, musica di una terra ricca di talenti, ospiti in masseria, inebriati da una campagna capace di stupire. Itinerant taste, taste in season, after dancing in Apulia, here is the autumn, tired season which has already harvested grapes. Day by day the sun is losing its warmth as love consumed by the time. In Daunia subapennine and Murgia the hoarfrost is already covering dry-stone monuments, the morning air is crisp and often smells of crisp, the Salento secular olive trees begin to give fruits. The wind is gathering the first leaves and brings the smell of the first ploughings from the countryside. In the farms the preserves are ready, still and settled, the cherry jam is already cheering our tables which are enjoying the first mushrooms, the nuts that are becoming brown and extraordinary beautiful and sweet grapes. It is an unrivalled period to find out smells, tastes, music of land rich of talents, guests in farm, inebriate with a countryside able to surprise. Gianni Sportelli
SOMMARIO GUSTO DI PUGLIA rivista bimestrale
Registrazione presso il Tribunale di Lecce del 19 dicembre 2006 n° 952 è vietata la riproduzione anche parziale di testi, delle foto e delle illustrazioni se non autorizzata dalla direzione.
EDITORIALE
pag. 1
numero 6 – anno II
SCEGLIERE VINO PROGETTO EDITORIALE
SERGIO D’ORIA DIRETTORE RESPONSABILE
GIANNI SPORTELLI
Aleatico, meditate gente
pag. 4
di Gianni Sportelli
ORIZZONTE VERDE Melagrana, la regina
pag. 12
di Annalisa Bari
REDAZIONE
RITA PERRONE ANGELO SIRSI SEGRETERIA DI REDAZIONE
7TERRE Global Service via Nino di Palma, 112 – 73012 Campi Sal.na (LE) tel./fax 0832/793781 e-mail info@7terre.it
GUST-ARTE Ecco come vestirsi di cibo!
pag. 18
di Monica Maggiore
PUGLIA DA GUSTARE Ciliegie, delizie per il palato
pag. 26
di Federica Sgrazzutti
PUGLIA DA GUSTARE FOTO/ILLUSTRAZIONI
GIANNI ZANNI SILVIO BURSOMANNO SI RINGRAZIA PER LE FOTO CONCESSE
PROFESSIONAL PHOTO VIDEO di S. Spagnolo ALESSANDRO STAJANO AZIENDA VIT. LEONE DE CASTRIS AZIENDA VIT. FRANCESCO CANDIDO s.p.a. PROGETTO E DIREZIONE ARTISTICA
MAURIZIO D’ANNA
Tante storie intorno a un baccello
pag. 34
di Sergio D’Oria
MEDMARE Gamberi rossi di Gallipoli, ricercata prelibatezza di
Sergio D’Oria
pag. 42
INCONTRI DI GUSTO Antonio Romano
pag. 52
di Sergio D’Oria
LE VIE DEL PANE Pane di Laterza, panedd'
pag. 58
di Gianni Sportelli
IMPAGINAZIONE
RITA PERRONE
METE Barsento, da eco-sistema a eco-museo di Alessandro Stajano
pag. 64
STAMPA
EDITRICE SALENTINA - Galatina (Le) PUBBLICITÀ
REGIONE PUGLIA Assessorato alle Risorse Agroalimentari PROVINCIA DI LECCE UNIONCAMERE BARI PROVINCIA DI FOGGIA Assessorato alle Risorse del Territorio ENTE FIERA DEL LEVANTE
METE Orsara di Puglia, dai Calatrava alle zucche di Halloween
di Alessandro Stajano
pag. 70
ORIZZONTI FIORITI Strelitzia, eleganza di forme, armonia di colori di Sabrina Sansonetti
pag. 78
PUGLIA MADRE Turcinieddi, memoria del passato
pag. 84
di Federica Sgrazzutti
SI RINGRAZIA PER LA COLLABORAZIONE
PANIFICIO DI FONZO di Giuseppe di Fonzo e f.lli VINCENZO GIGANTELLI Sindaco Comune di Turi ANTONIO TATEO Ass. alla comun. Comune di Turi INGROSSO CARMELO La Make Carini di Lecce MICHELE BRUNO Presidente Slow Food Puglia ANTONELLO DEL VECCHIO Governatore Slow Food GARDEN FRUTTA 2000 di Pasqualina Pagano
BISBIGLI NEL VENTO
Maltagliati all’Aleatico con ceci e baccalà
pag. 10
I RISTORANTI SONO SEGNALATI DA SLOW FOOD PUGLIA
Ciliegie Ferrovia cotte al Primitivo con gelato alla cannella
pag. 32
Stelline di zucca ripiene di fave in guazzetto di basilico ed aria di pomodorini
pag. 40
Carpaccio di gamberoni rossi di Gallipoli
pag. 50
TRADUZIONI
MARIA RITA MIGNONE
Con Albano, una Puglia da mordere e sorseggiare
di Alessandro Stajano
pag. 90
RICETTE
Aleatico,think about it! Three figs and the gentle Aleatico sweeten your mouth with the sea in the background.
Aleatico wine has strong taste, it knows the ground where its roots deeply sink, warm as the land where it is born: Apulia. Aleatico Doc wine of Apulia is a natural sweet wine and has been producing for many centuries. The homonymous grapes have already been mentioned by Pier de' Crescenzi in 1303, but he don't say anything about their origins. Some people say they come from Greece,
others
Tuscany/Emilia,
think
from
probably
made
through a mutation of the black Muscat wine. Aleatico wine has round and gently sweet taste, with a minimum alcoholic content of 15° and it is produced in two varieties: “Natural Sweet” and “Natural Sweet Liqueur”. In the latter the light withering of the grapes raises the minimum alcoholic rate up to 18°. If it is more than three years old it can be labelled as a “Reserve”. Aleatico Doc from Apulia is a dessert wine that goes well with unleavened pastry cakes such as jam tarts, sweet calzones with ricotta cheese, “mendule turrate” (toasted almonds with sugar) and dry pastries made of almond paste. The best period to drink it is not later than five years from the grape harvest, even if the “Reserve” variety, in its best vintages, can be tasted within ten years. Aleatico Doc must be served in glasses for sweet raisin wines at a temperature of 12-14°C o 1416°C for the “Reserve” variety. Red Aleatico of Apulia is perfect with a cake just taken out of the oven. Sweet, almost smooth, with a fine garnet red, this wine has very old
Aleatico, meditate gente di Gianni Sportelli Tre fichi a far la bocca appena lieta, l'Aleatico, gentile a conforto e sullo sfondo il mare.
L'Aleatico, forte del suo sapore, del suo sapere la terra, cuore sapido del mondo, vite dalla radice profonda, caldo di un luogo che s'invera, la Puglia. L'Aleatico di Puglia Doc è un vino dolce naturale che si produce da molti secoli. L'omonimo vitigno è già citato da Pier de' Crescenzi nel 1303, il quale, però, non fa cenno alle sue origini. Alcuni dicono che sono da ricercare in Grecia, altri ritengono, invece, che la vite sia di provenienza tosco-emiliana, probabilmente ottenuta da una mutazione del Moscato nero. Di sapore rotondo e moderatamente dolce, l'Aleatico ha una gradazione minima di 15 gradi e si produce nella tipologia “Dolce naturale” e “Liquoroso dolce naturale”. In quest'ultima versione, il lieve appassimento delle uve innalza il tasso minimo di alcolicità fino ai 18 gradi. Se supera i tre anni di invecchiamento può portare in etichetta la qualifica di “Riserva”. L'Aleatico di Puglia Doc è un vino da dessert che si accompagna principalmente con preparazioni dolci a pasta non lievitata, come crostate, calzoni dolci con la ricotta, “mendule turrate” (mandorle tostate con zucchero) e pasticceria secca a base di pasta di mandorle. Il periodo ottimale di consumo è entro cinque anni dalla vendemmia, anche se la tipologia Riserva, nelle migliori annate, si può degustare entro i dieci anni. L'Aleatico Doc va servito in calici per vini dolci passiti a una temperatura di 12-14°C o 14-16°C se si tratta della ver-
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origins even if today it is produced only in small quantity. It is made from Aleatico grapes for at least 85%, with Negro Amaro, Malvasia Nera and Primitivo that give the wine its typical red colour with purple nuances and a delicate aroma. Both the “Natural Sweet” and “Natural Sweet Liqueur” versions, Aleatico Doc is garnet red verging on orange when it ages; its smell is intense and very persistent, fruity with plums and cherries aromas and gently spicy. Its taste is sweet, little tannic and full-bodied, robust and balanced. Aleatico Doc is produced in Apulia but Aleatico grapes grow particularly in Bari Low Murgia on dry and sunny grounds and in some Salento areas; this kind of grapes is
sione Riserva. Insomma se vi capita davanti una buona torta appena uscita dal forno e volete abbinarvi un ottimo vino, l'Aleatico Rosso di Puglia è la scelta giusta. Dolce, quasi vellutato, con quel bel colore rosso granato, questo vino ha origini antichissime, oggi, però, non si produce più in grandi quantità. Si ottiene da uve Aleatico per almeno l'85%, con l'aggiunta di Negro Amaro, Malvasia Nera e Primitivo, che conferiscono al vino il suo caratteristico colore rosso con riflessi violacei e un profumo delicato. Sia nella versione “Dolce naturale” che nella versione “Liquoroso”, l'Aleatico Doc si presenta all'esame visivo di colore rosso granata, tendente all'arancio con l'invecchiamento, e all'esame olfattivo intenso e molto persistente, fruttato con sentori di prugne e ciliegie e delicatamente aromatico. Di gusto amabile-dolce, poco tannico e sapido, robusto di corpo ed equilibrato. L'Aleatico Doc viene prodotto in tutta la regione pugliese, ma in special modo le uve Aleatico si producono nella bassa Murgia barese su terreni asciutti ed assolati e in alcune zone del Salento. Questo tipo d'uva non è molto produttivo ed ha una raccolta ritardata ( l'acino deve essere leggermente passito ), perciò è stato per un tempo totalmente abbandonato per vitigni più produttivi, ma oggi è certamente rivalutato con la consapevolezza della sua identità e del suo pregio.
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not very productive and has a delayed harvest (the grape must be lightly overripe), for this reason they have been abandoned for more productive vines but today they have been certainly rediscovered, with the awareness of their identity and value. The famous wines are the result of a constant care in the research of the best balance between land, climate, vine and wine-making techniques. Some of them are really unique thanks to the man's genius. Each wine has its author's signature as a book, a piece, a poem, a movie or a work of art. Each wine gives space to moments of meditation. A meditation wine goes always with something exalting its splendid features: a pleasant conversation, the warmth of a fire, a good book, tasteful confectionery, a good cigar. There are lots of young or mature wines that are able to affect our senses and our mind, but after that they die. Some of them live some decades longer and with their wisdom they can absorb our meditation.
I grandi vini sono il frutto di un impegno costante nella ricerca del miglior equilibrio tra territorio, clima, vitigno e tecniche di vinificazione. Ad alcuni di questi la genialità dell'uomo ha dato quel qualcosa in più che li rende unici. Insieme ad esperti e a testimonianze dirette, girando la Puglia, ne possiamo scoprire i segreti. Ogni vino porta la firma del suo autore come un libro, un pezzo musicale, una poesia, un film o un'opera d'arte. Ognuno di questi lascia un ampio spazio a momenti di meditazione. Un vino da meditazione è sempre accompagnato da quel qualcosa che esalta le sue splendide caratteristiche: una piacevole conversazione, una bella compagnia, il calore di un fuoco, un buon libro, della fine pasticceria, un buon sigaro. Ci sono tanti vini che, in gioventù o in piena maturità, riescono ad emozionare i nostri sensi e la nostra mente, ma poi muoiono. Alcuni di questi vini vivono qualche decennio in più; è allora che con la loro saggezza riescono a coinvolgere la nostra meditazione.
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la ricetta
MALTAGLIATI* WITH ALEATICO WINE, CHICKPEAS AND DRIED SALT COD
MALTAGLIATI ALL'ALEATICO CON CECI E BACCALÀ
Ingredients for 4 people: For maltagliati pasta: 400 gr. durum wheat flour 1 egg salt to taste Aleatico wine to taste
Ingredienti per 4 persone: Per la pasta: 400 gr. di farina di semola di grano duro un uovo intero sale q.b. vino Aleatico q.b.
For the sauce: 300 gr. dried chickpeas soaked for 12 hours 200 gr. fillet of soaked salt cod n. 5/6 red small tomatoes 1 onion, 1 carrot, 1 stalk of celery 1 clove of garlic laurel to taste parsley to taste olive oil to taste fresh paprika pepper
Per il condimento: 300 gr. di ceci secchi 200 gr. di filetto di baccalà già curato n. 5/6 pomodorini rossi 1 cipolla, 1 carota, 1 costa di sedano uno spicchio d' aglio alloro prezzemolo q.b. olio d'oliva q.b. peperoncino fresco pepe nero
Work flour, egg, salt and aleatico wine until the dough becomes not too tough (about 10 minutes) and let it stand for 15 minutes, then roll it out and cut it into maltagliati*. Now let it dry. Wash the chickpeas soaked for 12 hours and boil them with carrot, part of the parsley, onion, tomatoes, salt and very little oil for 2 hours. Fry garlic, laurel, fresh paprika in a large saucepan then add the fillet of cod cut into small cubes and let it cook for 10 minutes on a high flame. Then pour the chickpeas with some of their liquor. Boil the pasta, sauté it in the sauce, add parsley and pepper.
Sistemare la farina a fontana, mettere l'uovo e il sale ed iniziare a impastare, quindi, a poco a poco, aggiungere l'Aleatico fino ad ottenere un impasto non molto duro. Lavorare la pasta per circa 10 minuti e lasciarla poi riposare per 15 minuti. Infine, tirare la sfoglia sottile e ricavarne dei maltagliati. Dopo aver disposto la pasta su un vassoio, lasciarla essiccare. Lavare i ceci, precedentemente tenuti in acqua per 12 ore, e metterli in una casseruola. Una volta raggiunto il bollore, condirli con carota, sedano, parte del prezzemolo, cipolla, pomodorini, sale e pochissimo olio: lasciar cuocere il tutto per 2 ore. In una casseruola capiente, mettere l'olio e, quando è caldo, aggiungere aglio, alloro, peperoncino fresco e far rosolare. Unire il baccalà già tagliato a tocchetti piccoli, lasciare cuocere per 10 minuti a fiamma sostenuta. Dopo, versare i ceci con un mestolo del loro brodo (avendo cura di scartare le verdure). Cuocere la pasta, saltarla nel condimento, aggiungere il prezzemolo, il pepe nero e servire.
* maltagliati means “badly cut,” a reference to the crazy and irregular shapes of rough trapezoids.
Ricetta dello chef Francesca De Pascale del ristorante “Hostaria San Filippo” di Carovigno (Br)
di Annalisa Bari Arils of seduction, draught of health, a spe-
Chicchi di seduzione, sorso di salute, un
cial fruit that has inspired myths and legends
frutto speciale che ha ispirato miti e leggen-
since ancient times.
de sin dall'antichitĂ .
Sung by the poets, painted by the artists, revered by the brides, exhibited on the tables, used in medicine and herbal medicine, in dying and tanning, the pomegranate can be defined as the queen of the fruits and is worthy of the crown of its superb calyx. There are lots of myths and legends about its generous tree: the Egyptians, 4000 years ago, knew the vermifugal properties of its root and fruit, confirmed by the modern analysis for the abundant presence of tannin. In ancient Greece the pomegranate was sacred to Juno, goddess of the married love, to Demeter, goddess of fertility, and to Aphrodite, goddess of love who brought it to the isle of Cyprus. Roman brides were used to plait pomegranate small branches with their hair; in Dalmatian tradition the bridegroom moves the plant from his father-in-law's garden to his; Turkish brides throw the fruit to the ground with force because each scattered aril will be a child. Fertility, abundance, love, passion, martyrdom, charity are the gifts given by this extraordinary plant with shining and coriaceous leaves, the scarlet flowers, the crowned beautiful red-orange berry that, once opened shows its glossy and juicy blood-red arils. “The green pomegranate with the fine vermilion flowers” in “Pianto antico” by Carducci; “Madonnas of the Pomegranate” by Sandro Botticelli, by
Cantata dai poeti, raffigurata dagli artisti, venerata dalle spose, ostentata sulle tavole, utilizzata in medicina e in erboristeria, in tintoria e in conceria, la melagrana si può ben definire la regina dei frutti e per buone ragioni merita la forma di corona del suo superbo picciolo. Infiniti sono miti e leggende fioriti intorno al suo albero generoso, a partire da quelli degli egizi che già quattromila anni fa ne conoscevano le proprietà vermifughe della radice e del frutto, confermate poi dalle analisi moderne per l'abbondante presenza di tannino. Nell'antica Grecia il melograno era sacro a Giunone, dea dell'unione coniugale, a Demetra, dea della fertilità, e ad Afrodite, dea dell'amore, che lo avrebbe portato nell'isola di Cipro. Le spose romane usavano intrecciare tra i capelli rametti di melograno. Nella tradizione della Dalmazia lo sposo ne trasferisce la pianta dal giardino del suocero al suo. Le spose turche lanciano a terra il frutto con forza perché ogni chicco sparso sarà un figlio. Fertilità, abbondanza, amore, passione, martirio, carità sono i doni che si attribuiscono a questa magnifica pianta dalle foglie lucide e coriacee, dai fiori scarlatti, dalla bellissima bacca rosso-arancio coronata che, aperta, mostra lucenti e succosi chicchi sanguigni. Chi può dimenticare “il verde melograno dai bei vermigli fior” nel “Pianto antico” di Carducci e le “Madonne della melagrana” di Sandro Botticelli, di Leonardo da Vinci, di Raffaello, di Jacopo della Quercia. In ognuna di queste opere il frutto tenuto in mano dalla Vergine o dal bambino simboleggia la passione futura del figlio di Dio, mentre nell'Antico Testamento è citata come uno dei frutti della Terra Promessa. Nelle arti figurative, nei tessuti e nelle decorazioni, così come nelle ceramiche (famose quelle di Faenza), la melagrana è presente e s'impone col potere inquietante della sua bellezza e con la forza seducente dei suoi significati allegorici. Punto focale nelle nature morte, tocco raffinato nelle pietanze, trasfusione di brio sulle tavole imbandite, l'ineffabile bacca delle dee non può sfuggire a chi vuole comunicare bellezza e voluttà.
ORIZZONTE VERDE
Leonardo da Vinci, by Raffaello, by Jacopo della Quercia. In each of these works the fruit in the hand of the Virgin or the child, represents the future passion of God's Child, while in the Old Testament it is named as one of the fruits of the Promised Land. In the figurative arts, in the fabrics, in the decorations and in the pottery (the Faenza's ones are the most famous), the pomegranate imposes itself with the disquieting power of its beauty, the charming force of its allegoric meanings. Focal point of the still lives, elegant touch in the dishes, transfusion of vitality on the sumptuously laid tables, the ineffable goddesses' berry cannot avoid who wants to communicate beauty and voluptuousness. It is no accident that the mythical “apple” of discord, that was the cause of the war of Troy, was not an apple but a pomegranate, thrown on the gods' banquet in order to provoke the rivalry among the most beautiful goddesses in the Olympus. Originated in Persia and Afghanistan, the “Punica granatum” grows spontaneously from the south of Caucasus to the Far East, and the Mediterranean region, particularly grown and protected in the Magna Graecia from where it has preserved myths and symbolic meanings. In many south Italy areas it is still named “granato”. In Salento the farmers call it “sita”, maybe alluding to its drought strength and to its high thirst-quenching power in those very hot summer days typical in this land. Here it is eying mischievous with its deep red flowers behind the dry walls in the late spring. Exploding of vitality in the farmers' gardens with its ripe fruits that cracking, half-reveal the juicy beads. Triumphing alone among the plants in the elegant villas at the place of honour. The tuft of pomegranates is a constant and dominant presence on the baroque cornices of Lecce monuments, carved in Salento golden stone, on the festoons and on the capitals. An anonymous manuscript, dated 1902, with meaningful and allusive verses, has been found in the bookcase of a well-known Lecce doctor. Referring to her first amatory experience, a girl whispers: “I want to give you what I have never given anybody. I want to give you my body's nudity; I want to open my shrine's nudity to you. My shrine is between my legs and nobody saw it; there the granato glows red, parted it shows its arils. The parted granato closes, and embraces the rose not bloomed yet.”
Non a caso il mitico pomo della discordia, che fu alla radice della guerra di Troia, non è la mela, come si potrebbe pensare, bensì la melagrana, scagliata sul banchetto degli dei per provocare la rivalità tra le più belle divinità femminili dell'Olimpo. Originario della Persia e dell'Afghanistan, il Punica granatum cresce spontaneo dal sud del Caucaso fino all'Estremo Oriente, oltre che in tutto il bacino del Mediterraneo, particolarmente coltivato e protetto nelle regioni della Magna Grecia che dalla terra madre ha tratto e conservato miti e significati simbolici. Tuttora in molte aree del sud Italia va sotto il nome di granato. Nel Salento i contadini lo chiamano sita, forse alludendo alla sua resistenza alla siccità e all'alto potere dissetante nelle giornate della tarda estate ancora caldissima in questo territorio. Qui lo vediamo occhieggiare malizioso coi suoi fiori purpurei dietro i muretti a secco nella tarda primavera. Esplodere di vitalità negli orti contadini con i frutti maturi che si crepano e lasciano intravedere i grani succulenti. Trionfare solitario tra le altre piante nelle ville signorili cui si destina un posto d'onore. Scolpito nella pietra dorata salentina sui festoni, sui capitelli, sulle cornici barocche dei monumenti leccesi, il cespo di melagrane è una presenza costante e dominante. Significative e allusive alcune righe tratte da un manoscritto autobiografico di autore anonimo, datato 1902 e trovato nella biblioteca di un noto medico leccese. Con riferimento alla prima esperienza amorosa una fanciulla sussurra: “A te voglio dare quello che non ho dato a nessuno. A te voglio dare la nudità del mio corpo; a te voglio aprire la nudità del mio sacrario. Il mio sacrario è tra le gambe, e nessuno lo vide; vi rosseggia il granato, dischiuso che mostra i suoi chicchi. Il granato dischiuso si richiude, ed abbraccia la rosa non ancora sbocciata”.
ORIZZONTE VERDE
di Monica Maggiore
Leaves, vegetables, legumes intertwine in a continuous renewal of shapes, colours and fancy.
Foglie, ortaggi, legumi si intrecciano in un continuo rinnovamento di forme, colori e fantasia.
Flowers, fruits and vegetables reigned supreme in the upper class world some decades ago. They adorned ladies' extravagant hats flaunted at Ascot during the most ancient horse racing in England. We couldn't imagine that artichoke's leaves, dried pulses and aubergines' slices could even become raw materials to make suits! We hadn't seen dresses as sculptures made of vegetables yet. Rosa Maria Francavilla is able to catch the fruits' charm and their invisible beauty that we cannot realize when we do the shopping. Vegetables become “dresses”, immortalized in their inner beauty. Wearing the lightness of a leaf, feeling a golden ear of wheat, covering oneself with the jacket of an artichoke, Nature gives us its dresses in any season, it gives us its colours, tastes and art with perfect shapes. Rich fruits feed body and soul. When we are able to turn taste and food into art, vegetables become splendid dishes, meetings, sharing, nourishment. When we are able to exalt taste's and food's shapes, vegetables can even become very particular dresses. Beans, peas, chickpeas and dried lentils, used as “Svarovski”, create a splendid top to be put on! It takes imagination, taste and art, the same required to pre-
Fiori, frutta e qualche ortaggio dominavano la scena negli ambienti dell'alta borghesia di qualche decennio fa. Venivano, infatti, utilizzati come ornamenti degli stravaganti cappelli sfoggiati ad Ascot da signore e signorine in occasione delle corse di cavalli più antiche d'Inghilterra. Non potevamo nemmeno immaginare che foglie di un carciofo, legumi secchi e fette di melanzane potessero diventare, addirittura, materia prima da utilizzare per confezionare abiti! Nei percorsi dell'arte povera “abitisculture di vegetali” non li avevamo ancora visti. A catturare il fascino dei frutti della terra è Rosa Maria Francavilla, ne coglie, infatti, la loro bellezza più intima, che passa invisibile sotto gli occhi ogni volta che andiamo a fare la spesa, e i vegetali diventano “abiti”. Ecco che vestirsi della leggerezza di una foglia, sentirsi spiga dorata e grano, ricoprirsi all'occorrenza della corazza del carciofo è qualcosa di assolutamente nuovo e affascinante. La natura ci dona i suoi abiti in ogni stagione, ci regala colori, sapori e arte in perfette forme, frutti preziosi che nutrono spirito e corpo. E quando del sapore e del cibo ne sappiamo fare arte, gli ortaggi si trasformano in splendidi piatti, occasioni d'incontri,
GUST-ARTE
pare a good risotto with mushrooms. There is an ancient dialogue between art and food the one that has inspired the greatest artists and painters from the origins of the world till today. The daily experience of drinking and eating can be lived as an authentic aesthetic experience involving the senses: this is just the creative act. Rosa Maria's dresses reflect the rhythm of her daily gesture when she prepares tasty dishes for her friends. Usually she
prefers
see-through
effects for her stories, but her haute couture creations vary in colours and above all in shapes. Her artistic research digs into the leaves of prickly pear, finding out calls of ancient traditions: in fact the ecru filet crocheted by old ladies seems it has always been in nature. Now these weaves, already worked by Mother Nature and emphasized by the desire for research, are waiting new forms in order to leave a mark for further discoveries. They tell of seasons, colours, land and imagination. But how do these rich dresses come out? First of all they come out of the pleasure of cooking, of gathering friends to share food belonging to tradition.
condivisione, nutrimento. Quando del sapore e del cibo ne esaltiamo le forme, allora gli ortaggi possono anche diventare abiti particolarissimi. Fagioli, piselli, ceci e lenticchie secche, usati come “Svarovski”, creano uno splendido corpetto da indossare! Non ci vuole solo fantasia, ma gusto e arte, lo stesso che richiede la cucina per preparare un bel piatto di risotto con i funghi. Arte e cibo è un dialogo antico che ha ispirato, dalle origini del mondo ad oggi, i più grandi artisti e pittori. L'esperienza quotidiana del bere e mangiare può essere vissuta come autentica esperienza estetica che coinvolge i sensi: è proprio questo l'atto creativo. Gli abiti di Rosa Maria riflettono il ritmo del gesto quotidiano che lei compie quando crea pietanze gustose e saporite per ricevere gli amici. Di solito predilige le trasparenze su cui raccontare le storie, ma nello specifico di queste sue creazioni d'altissima moda, varia nei colori e soprattutto nelle forme. La sua ricerca artistica scava nell'interno delle foglie del fico d'India, scoprendo richiami d'antiche tradizioni: un ecru filet, infatti, come il filo lavorato da anziane signore, pare proprio che in natura sia sempre esistito. Ora questi intrecci, già lavorati da Madre Natura e messi alla luce dal desiderio di ricerca, attendono nuove forme per lasciare un altro segno per ulteriori scoperte. Ma come nascono questi pregiati vestiti che raccontano stagioni, colori, territorio e fantasia? Prima di tutto nascono dal gusto di cucinare e riunire gli amici per la condivisione del cibo radicato nel tempo, che fa tradizione. Condivisione, amore e passione per la terra del Salento sono gli ingredienti base per i suoi abiti. Nascono dalla forza della semplicità, dal calore proveniente dalla terra salentina colma d'amore ed entusiasmi, con questi elementi Rosa Maria inizia l'avventura tra cibo e arte. La sensazione, nel vederli, è quella di assaporarne il gusto attraverso la forma, ma anche quella di respirare le distese di grano delle campagne. Proprio con il grano l'artista realizza uno degli abiti più belli, come
GUST-ARTE
Sharing, love and passion for the land of Salento are the basic ingredients of her dresses. They come out of the power of simplicity, of the warmth of Salento full of love and enthusiasms, with these elements Rosa Maria starts her adventure between food and art. While seeing them you are under the impression that you can taste and smell the wheat of our countryside. One of the most beautiful dresses is made just of wheat. It is a wedding dress for a young bride in her first phase of femininity: birth. Maturity is represented by aubergines and courgettes: very nice bodices recalling unexpected rosettes reminiscent of baroque churches. Among elegant black voiles, the dress of fertility and wealth, the third phase, is exalted by the pomegranate with its great number of arils. Creative projects and designs have already allowed these “fashion creations� made of colourful vegetables and food, in Salento and in Italy in 2007. Rosa Maria is worth meeting: she will tell you of her plans, her love for Salento and the fruits it offers. But you can meet her even just for her patience when she sews, leaf by leaf, her dresses, for her care when she glues grain by grain on a splendid bodice made of cereals. Virtues and qualities that turn food, nourishment for the body, into food for the spirit by means of art.
l'abito di una giovane sposa che rappresenta la prima fase della femminilità, quella della nascita. La maturità è, invece, rappresentata dalle melanzane e dalle zucchine, deliziosi corpetti in cui si scoprono perfino insospettabili richiami ai rosoni delle chiese barocche. Tra eleganti veli neri, il melograno esalta l'abito della terza fase, quella della fertilità e della ricchezza, per il notevole numero di grani contenuti all'interno di questo frutto. Percorsi e progetti creativi, nel Salento e in Italia nel 2007, hanno già accolto queste “creazioni moda” di ortaggi e cibi variopinti. Vale la pena conoscere Rosa Maria che vi parlerà dei suoi progetti, dell'amore per la terra del Salento e i frutti che essa ci offre. Ma potrebbe anche bastare conoscerla per la pazienza con cui cuce foglia per foglia i suoi abiti, per la cura con cui incolla chicco dopo chicco uno splendido corpetto di cereali. Virtù e doti che fanno del cibo nutrimento per il corpo e che, attraverso l'arte, diviene condimento e nutrimento dello spirito.
GUST-ARTE
di Federica Sgrazzutti
Joy to look at, pleasure to taste, it's cherries time, coral garments we pick while dreaming.
Gioia per gli occhi, delizia per il palato, è il tempo delle ciliegie, pendenti di corallo, che cogliamo sognando.
Cherry and Apulia go well together: more than 30% of the national production comes from Bari district and mainly from the towns of Turi, Conversano, Putignano, Noci, Alberobello, Sammichele, Casamassima, Monopoli, Castellana and Acquaviva delle Fonti. The undisputed queen of the Apulian cherry growing is the “Ferrovia” (“Railway”) cherry. It represents the leading variety of Terra di Bari and is the most requested by the national and European markets. There are discordant opinions about the origin of this name: somebody tells the story of a particular cherry tree spontaneously grown up near the train tracks and there is who thinks the word ferrovia refers to the means by which these cherries usually travelled in the past and, in spite of the long distances, they had (and still have) the peculiarity of staying intact without losing their deliciousness anyway. The “Ferrovia” cherry is unique: it satisfies people's sight and taste. Its fruit is big (28/30 mm in diameter), heart-shaped, vivid red with compact and juicy pulp and very sweet flavour. It dues its commercial success to its preservation capability, in fact it can be kept in the fridge from 3 and _ days to 7/8 days at a maximum temperature of 1-2°C. Besides cherries are very useful for people's health: they are rich in flavonoids (important
Ciliegia fa rima con Puglia: lo dicono i numeri e lo conferma la qualità. Oltre il 30% della produzione nazionale proviene dalla provincia di Bari e, principalmente, dai comuni di Turi, Conversano, Putignano, Noci, Alberobello, Sammichele, Casamassima, Monopoli, Castellana ed Acquaviva delle Fonti. Regina incontrastata della cerasicoltura pugliese è la ciliegia “Ferrovia” che rappresenta la varietà di punta della Terra di Bari e che, per le sue inconfondibili caratteristiche, è la più richiesta sui mercati nazionali ed europei. Sull'origine del nome di questa ciliegia i pareri sono discordanti: c'è chi ama raccontare la storia di “quel” particolare ciliegio, cresciuto spontaneamente da un nocciolo al margine dei binari del treno, citando un aneddoto con tanto di date, nomi e cognomi, e chi ritiene che la parola “ferrovia” rimandi al mezzo con cui abitualmente, in passato, viaggiavano queste ciliegie, che, nonostante i lunghi tragitti, avevano (ed hanno ancora) la peculiarità di mantenersi comunque integre, senza perdere la loro prelibatezza. La ciliegia “Ferrovia” è inconfondibile: appaga la vista e il palato. Frutto grosso, con calibro tra i 28 e i 30 mm, cuoriforme, di colore rosso brillante, presenta una polpa consistente e succosa e il suo sapore è dolcissimo. La sua fortuna commerciale la deve, tra le altre, alle capacità di conservazione, che le permettono di durare, in frigorifero, per circa tre giorni e mezzo, fino ad arrivare a sette/otto giorni ad una temperatura massima di 12°C. Da non sottovalutare, inoltre, quanto le ciliegie possano essere utili per la
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salute: sono ricche di flavonoidi, sostanze importanti contro i radicali liberi, sono molto dissetanti e sono indicate nella cura di artriti, arteriosclerosi, disturbi renali e gotta; inoltre, contengono buone quantità di fibre, di potassio, calcio, fosforo e vitamine A e C. Vantano, infine, proprietà depurative, energetiche, lassative, disintossicanti e rappresentano un antidolorifico naturale.
compounds against the free radicals) and very thirst-quenching. They are good to cure arthritis, arteriosclerosis, kidneys disorder and gout; moreover they contain good quantities of fibres, potassium, calcium, phosphorus and vitamins A and C. They have also depurative, energy-giving, laxative, detoxicating properties and are even a natural analgesic. The ferrovia belongs to the cultivar of sweet cherry (Prunus avium L.), identifiable for the trees' height (they can reach 20 metres) and for the ovoid-acute leaves finely downy beneath. The Apulian farmers use some rootstocks in order to limit the growth of the cherry trees, making easier the picking that is done rigorously manually. The fruit in fact can be picked only when it is ripe together with its pedicel and then put into the box delicately. The maturation and the picking of the “ferrovias� is in June so marking the beginning of the summer: it is no accident that this fruit is linked to the summertime and joyful feelings. In Turi -where the area planted with cherry trees is more than 3.700 hectares, with an annual production of 150.000 quintals ready for the DOP seal from the Ministry for Agricultural Policies- a cherry-harvest Festival (now in its eighteenth year) is organized in the days of the picking. All the villages of the Terra di Bari where the cherry tree is grown share a system of low-hills, temperate climate and a soil rich in iron oxide and limestone; the tree's ability to adapt has allowed the farmers to plant it even in the poor and superficial soil of the slopes. In springtime the landscape enraptures the eyes of those who go through this part of Apulia: in the flowering time the flowers whiten and perfume the fields, in the picking time the green and thick foliage is dotted with the red berries. The Apulian hinterland has many secrets to be revealed and its cherry trees are surely a show that cannot be missed.
La “Ferrovia” appartiene alle cultivar di ciliegio dolce (Prunus avium L.), identificabili per l'altezza degli alberi, che possono raggiungere i venti metri, e per le foglie ovali dentate, rugose e con una lieve peluria nella parte inferiore. Per superare l'ostacolo dell'altezza, gli agricoltori pugliesi, utilizzano alcuni portainnesti che consentono di limitare la crescita dei ciliegi, facilitando così la manodopera nel momento della raccolta, che avviene rigorosamente manualmente. Il frutto, infatti, può essere staccato dall'albero solo al momento della raggiunta maturità e il contadino deve stare attento a che la ciliegia venga prelevata insieme al peduncolo e riposta nei contenitori con delicatezza. La maturazione e la raccolta delle “Ferrovia” si svolge in giugno e segna così l'inizio dell'estate: non a caso questo frutto è naturalmente associato alla bella stagione e ad emozioni gioiose. Nella città di Turi - che vanta una superficie coltivata a ciliegio di oltre 3.700 ettari, con una produzione annuale di 150.000 quintali e in attesa di ricevere il marchio Dop da parte del Ministero delle Politiche Agricole - all'epoca della raccolta si organizza una Sagra, giunta ormai alla sua diciottesima edizione, dedicata proprio al prodotto principe dell'agricoltura locale. Ad accomunare tutti i paesi della Terra di Bari, dove si coltiva il ciliegio, è un sistema di bassa collina, con clima temperato, caratterizzato da un suolo ricco di ossidi di ferro, ma anche di calcare; la capacità di adattamento della pianta ha permesso agli agricoltori di impiantarla anche nei terreni, poveri e superficiali, dei pendii. Nei mesi pri-
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maverili, il paesaggio che si concede allo sguardo di chi si trovi a passare attraverso questo angolo di Puglia, non può che rapire: durante la fioritura i candidi fiori imbiancano e profumano i campi, al momento della raccolta il verde e folto fogliame appare punteggiato dai rossi frutti. L'entroterra pugliese ha, infatti, molti segreti da svelare e i suoi ciliegi sono certamente uno spettacolo da non perdere.
Ingredients for 10 people 2 kg. “Ferrovia” cherries 1,5 lt Primitivo Dessert wine 350 gr. caster sugar 30 gr. kirsch (cherries distillate) 100 gr. plain chocolate n. 1 cinnamon stick icing sugar Cinnamon ice cream 1 lt milk n. 12 egg-yolks 250 gr. sugar cinnamon to taste 100 gr. cream Stone the “Ferrovia” cherries and cook them with Primitivo Dessert wine, cinnamon stick, sugar, kirsch for 20 minutes then strain them and put them aside. Thicken the boiling liquid until it becomes glossy, add chocolate and join the cherries. Boil milk and cinnamon, stir it with the yolks whisked with sugar over medium-low heat (85°). Set aside to cool. Add the cream, and pour the cooled mixture into an ice cream maker. Heat up cherries with their syrup and pour, serve them in a small bowl with the ice cream and dust with icing sugar.
Ingredienti per 10 persone 2 kg. ciliegie “ferrovia” 1,5 lt primitivo dolce 350 gr. zucchero semolato 30 gr. kirsch (distillato di ciliegie) 100 gr. cioccolato fondente n. 1 bastoncino di cannella zucchero a velo Gelato alla cannella 1 lt latte n. 12 tuorli d'uovo 250 gr. zucchero cannella q.b. 100 gr. panna liquida Procedimento Snocciolare le “Ferrovia”, metterle a cuocere per 20 minuti con il primitivo dolce, il bastoncino di cannella, lo zucchero, il kirsch, scolarle e metterle da parte. Ridurre il fondo di cottura fino a quando diventa lucido, aggiungere il cioccolato e, infine, unire il composto ottenuto alle ciliegie cotte. Bollire il latte con la cannella, unirlo alle uova sbattute con lo zucchero e portare a punto rosa (85°). Far raffreddare la crema, quindi, aggiungere la panna e mantecare in gelatiera. Scaldare le ciliegie con il loro succo e versarle in una piccola ciotola, disporre il gelato alla cannella al centro e spolverare con zucchero a velo.
Ricetta dello chef Maria Cicorella del ristorante “PASHÀ Cafè & restaurant” di Conversano (Ba)
From food for the dead to the highest expression of Mediterranean cuisine.
In ancient Rome, you would have found yourselves under shower of broad beans on the occasion of the celebrations for the goddess Flora, the protectress of the germinating nature. Romans threw them on the crowd as a good omen. But , when the celebrations ended, this delicious product of nature was impure again for many: Jupiter's priest couldn't touch it, the Pontifex Maximus couldn't even name it and Pythagoras forbad his disciples to eat it because of the black spots on its flowers which were the hellish symbol of the departed souls. One of the many prejudices man has lived with since his origin. This is why broad beans have been used during the religious rites as a food for the dead. Beliefs and superstitions were not shared by everyone and someone such as Aristotle sang its praises. In ancient Greece beans were used in voting; a white bean being used to cast
di Sergio D’Oria Da cibo per i defunti a massima espressione della cucina mediterranea.
Nell'antica Roma, in occasione delle feste dedicate alla dea Flora, protettrice della natura che germoglia, vi sareste ritrovati sotto una cascata di fave. I Romani le gettavano, infatti, sulla folla in segno di buon augurio. Ma, finita la festa, questo stupendo prodotto della natura ritornava ad essere, per molti, impuro: il sacerdote di Giove non poteva toccarlo, al Pontefice Massimo era persino vietato nominarlo e il celebre Pitagora proibiva ai propri discepoli di mangiarlo, perchè vedeva, nelle macchie nere presenti nei fiori delle fave, il simbolo infernale della presenza delle anime dei morti. Uno dei tanti pregiudizi che hanno convissuto con l'uomo sin dalla sua origine. Da qui la consuetudine di usare le fave nei riti religiosi come cibo per i defunti. Credenze e superstizioni, però, non sono di tutti e qualcuno, contro corrente, lo trovi sempre, come Aristotele che ne decantava le virtù. In Grecia le fave venivano usate nelle votazioni per confermare un “progetto di legge”: le fave bianche
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indicavano il voto positivo, quelle nere il negativo. A Roma pare che una delle famiglie più importanti, quella dei Fabi, avesse preso il nome
a yes vote, and a black bean for no. It seems that in Rome the name of one of the most important families, the Fabis, came just from the broad bean, “vicia faba�. But its success ended in the sixteenth century, when a product from America took its place. If there had been the modern law about food safety and importations, the bean would have gone bad on the ships of Columbus. But it got on the European tables and the broad beans became the food of the poor. Actually the broad beans have fed whole generations of Apulians, eaten with fresh cheese, or with onion, even with its pod in war times, or dried during winter with or without
proprio dalla fava, “vicia faba”. Ma questo successo finì nel Cinquecento, quando un prodotto arrivato dalle Americhe prese il sopravvento. Ci fossero state le leggi di oggi, da quelle sulla sicurezza alimentare a quelle sulle importazioni, dai controlli doganali alle analisi e via dicendo, il fagiolo sarebbe rimasto a marcire sulle navi di Cristoforo Colombo. Invece non solo arrivò in tutta Europa, ma fece sì che le fave subissero un crollo, finendo come cibo delle classi più povere. Le fave, di fatto, hanno sfamato intere generazioni di Pugliesi, e non solo. Appena colte, mangiate con il formaggio fresco, per chi poteva, oppure con la cipolla, anche con il baccello in tempo di guerra, oppure secche durante l'inverno, sia con il suo tegumento che senza. Questa pianta erbacea produce baccelli di circa 15-25 cm, che si presentano con l'estremità appuntita. Al suo interno, protetti da un bianco strato spugnoso che sembra bambagia, si trovano i semi grossi e piatti, avvolti da un tegumento di colore verde. I frutti, seccati al sole, vengono poi battuti per liberare i semi che finiranno sulle nostre tavole. Si conservano con il guscio o liberate dalla loro buccia, utilizzando uno strano attrezzo molto ingegnoso, in dialetto “lu ‘ngrappafae”. Stando ad una credenza popolare molto diffusa, chi
its integument. This herbaceous plant produces pods of about 15-25 cm long with the pointed end. Inside there are the big and flat seeds protected by a white, spongy, cotton wool-like coat. They are wrapped in a green integument. Its fruits are dried in the sun and beaten in order to push the beans out. They can be kept with their pod or without it. An old legend tells who finds seven seeds into a pod will be very lucky. In our countries the plant of broad beans grows luxuriantly and in spring it heralds the summer by its white with black spots flowers. It is afraid neither of the belated cold of the winter nor of the first warm weather of summer. But there is an inimical plant, a vegetable parasite which attacks its roots and empties its pods causing its death. It is the broomrape (“spurchia”, in dialect) which in those periods when our farmers suffered hunger was used as a food. It is not easy to find it , but if you can, try it boiled, with oil, lemon and some pepper: it is really delicious. But, let's go back to our broad beans... Actually children do not like broad beans very much, and surely, they recall the “older ones” the days of scarcity of food when they were the only food they could have. And yet they contain proteins, phosphorus, potassium, calcium, vitamin A and C. They are rich of fibres and contribute to control the glucose and cholesterol levels in the blood. The whole plant, inclusive of leaves, stalk, pod and unripe seeds, are rich in L-dopa, a substance used medically in the treatment of Parkinson's disease. This legume can bring on a very serious illness called favism or haemolytic anaemia to predisposed organisms. Today “broad beans and chicory” is the most famous Apulian dish out of the region and it is a delicacy served in the best and elegant restaurants. But few people know the broad beans kept the population from starvation! Try the less known “pignata” of broad beans with their skin, “cu lu cappottu”, as our farmers say: you will be surprised by the tastiness of this dish now almost disappeared from our tables. “Broad beans and chicory” is the symbol of a food philosophy, highest expression of Mediterranean cuisine. Prime dish of a cuisine based on raw materials worked as less as possible, able to enhance a poor product like broad beans, without compromises, obtaining a dish with a strong taste but very savoury and wholesome and nourishing at the same time.
trova un baccello contenente sette semi avrà un periodo di grande fortuna. Nelle nostre campagne la pianta di fave cresce rigogliosa e all'inizio della primavera con i suoi fiori bianchi, macchiati di nero, preannuncia l'arrivo della bella stagione. Non teme gli ultimi freddi che i colpi di coda dell'inverno qualche volta ci riserva, nè i calori molto anticipati di una primavera bizzarra. Ma c'è un'altra pianta che è sua nemica, un parassita vegetale, che attacca le sue radici e ne svuota i baccelli, portandola a morte anticipata. E' la “spurchia”, come dicono in dialetto i nostri contadini, “orobanca” in Italiano, che, nei periodi in cui le popolazioni hanno sofferto la fame, veniva anch'essa utilizzata in cucina. Se vi capita, ma non è facile trovarla, assaggiatela, lessa con olio, limone e un po' di pepe: è veramente delicata. Ma ritorniamo alle nostre fave… Sicuramente le fave non sono gradite ai più piccoli, che quando le vedono arrivare a tavola non fanno certo festa. Sicuramente “ai più grandi” fanno ritornare in mente i giorni della scarsezza di cibo e di quell'unico piatto di cui ci si doveva accontentare. Eppure contengono proteine, fosforo, potassio, calcio, vitamine A e C. Sono ricche di fibre e contribuiscono al controllo dei livelli di glucosio e colesterolo nel sangue. L'intera pianta, comprensiva di foglie, gambo, baccello e semi immaturi, contiene levodopa, sostanza chimica utilizzata nei farmaci per il trattamento del morbo di Parkinson. Questo legume, in alcuni soggetti predisposti, però, può far insorgere una malattia molto grave, detta favismo o anemia emolitica. Oggi “fave e cicorie” è il piatto pugliese maggiormente conosciuto fuori dai confini regionali, è una prelibatezza servita nei migliori e raffinati ristoranti. Ma pochi sanno quante bocche ha sfamato, quanta fame ha placato! Provate ad assaggiare anche la meno nota “pignata” di fave con il guscio, “cu lu cappottu”, come dicono i contadini: rimarrete estasiati dalla bontà di questa pietanza, che va perdendosi dalle nostre mense. “Fave e cicorie” è il simbolo di una filosofia alimentare, massima espressione di mediterraneità. Piatto principe di una cucina fondata su materie prime, manipolate il meno possibile, che sa valorizzare un prodotto povero come le fave, senza ricorrere a compromessi, ottenendo un piatto dal gusto marcato, ma anche gustosissimo, per di più sano e nutriente.
Ingredients for 4 people
Ingredienti per 4 persone
1/4 pumpkin
1/4 zucca
200 g broad beans
200 g di fave
2 small bunches of basil
2 mazzetti di basilico
10 small tomatoes al pendolo
10 pomodorini al pendolo
cacioricotta, ricotta cheese
cacioricotta
extra virgin olive oil
olio di extra vergine d'oliva
salt to taste
sale q.b.
pepper to taste
pepe q.b.
1/2 kg. flour
1/2 kg. di farina 00
garlic
aglio
onion
cipolla Procedimento:
Bake the pumpkin for about 10 minutes at 180°, blend it, knead it with some lukewarm water and 1/2 kg of flour and put it in the fridge. Boil the broad beans for half an hour, peel them and then blend them with oil and cacioricotta. Blend basil, add some water enough to make a stew and cook it. Let it boil for 10 minutes with salt and oil. Grill the tomatoes, peel them, take off the seeds and blend them: this will be used to decorate the dish. Roll out the dough with the rolling-pin, divide it into small sheets of pastry and fill them with the mixture of broad beans, giving them the shape of small stars. Cook them in salted water and serve them in a dish with the stew of basil and decorate it with the small tomatoes shake.
Cuocere la zucca in forno per 10 minuti a 180 gradi, frullarla ed impastarla con un po' di acqua tiepida e mezzo chilo di farina; far riposare il composto in frigo per 1/2 ora. Cuocere in abbondante acqua le fave per 1/2 ora, pulirle e frullarle con olio e cacioricotta. Frullare il basilico, aggiungervi acqua quanto basta per fare un guazzetto e mettere sul fuoco. Lasciare bollire per 10 minuti, aggiungendo il sale e l'olio. Grigliare i pomodorini, spellarli, togliere i semini e frullarli; infine, tenere da parte il composto per la decorazione del piatto. Stendere la pasta con il mattarello, suddividerla in piccole sfoglie da riempire con l'impasto delle fave e richiudere dando la forma di stelline. Cuocere le stelline in abbondante acqua salata e servirle in un piatto con il guazzetto di basilico e l'aria di pomodorini.
Ricet t a dello chef Domenico Cilent i del r isto r an te “Rist orant e P ort a di Basso� di P eschici (F g )
di Sergio D’Oria
Small crustaceans, excellent natural resource, paint the blue sea red.
A tingere di rosso l'azzurro del mare piccoli crostacei, pregiatissima risorsa naturale.
A young crawfish thought: “Why do all the ones in my family walk backwards? I do want to start walking forward, as the frogs do, and will my tail fall down if I don't succeed”. This is the beginning of the famous fable “The young crawfish” by Gianni Rodari we read when we were children. We have dreamt about this strange animal and we have always thought this going backwards of its were a calamity, a disgrace it didn't deserve. This going backwards of its has inspired even a famous and amusing musical of 1986 “If the Time were a Crayfish”. In Gallipoli, in its beautiful sea, wonderful red crayfish are fished in plenty. Renowned and in great demand at the same time, they are a delicacy when treated with the due consideration. This name identifies two species: Aristeus antennatus, called Imperial crayfish, and Aristeomorpha foliacea. Its scientific name comes from Aristeus, Greek mythological figure who had no relation to the crayfish but he was honoured as a god because he had taught the beekeeping, the production of the cheese and the sheep-farming to men. Our crayfish seems to be involved out of place: think of the many trattorias, restaurants, pizzerias whose names in Italy are “The Crayfish”, “To the Crayfish”, etc. and many of them have never seen a red crayfish. There is even the hamlet “Madonna del Gambero” (Madonna of the Crayfish), near
Gualdo
Tadino,
in
Umbria. Well so many crayfish but none of the red ones from Gallipoli.
Un giovane gambero pensò: "Perché nella mia famiglia tutti camminano all'indietro? Voglio imparare a camminare in avanti, come le rane, e mi caschi la coda se non ci riesco". Così comincia la famosa favola “Il giovane gambero” di Gianni Rodari, che da bambini abbiamo letto. Intorno a questo strano animale abbiamo fantasticato e abbiamo sempre pensato che questo suo andare a ritroso fosse una iattura, una disgrazia che non meritava. Questo suo andare indietro ha ispirato anche una altrettanto famosa e divertente commedia musicale del 1986 “Se il tempo fosse un gambero”. A Gallipoli, nel suo mare stupendo, si pescano con una certa abbondanza i meravigliosi gamberi rossi. Rinomati e ricercati allo stesso tempo, diventano una prelibatezza se trattati in cucina con la dovuta delicatezza. Con questo nome vengono di solito identificate due specie: l'Aristeus antennatus, detto anche gambero imperiale, e l'Aristeomorpha foliacea. Il nome scientifico deriva da Aristeus (Aristèo), figura mitologica greca che però con i gamberi non aveva nulla a che fare, visto che venne onorato come un dio per aver insegnato agli uomini l'apicoltura, la produzione del formaggio e la pastorizia. Il nostro gambero sembra sia destinato ad essere chiamato in causa a sproposito. Pensate
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And let's go back to our very delicious friends. The distinction between one species and the other is not easy because they are very similar both in the shape and the colour and habits. It is a gregarious species, it lives in numerous and quite sedentary groups, that moves vertically passing from a depth of about 200 metres, where it is present during the night, to deeper depth of about 800 metres, where it lives during the day. The seasonal migrations compel it to stand in less deep waters in the coldest periods. The species is with separate sexes. The females reach their sexual maturity in summer and the larvae are flat with long limb at the opening up. They swim on the surface leading pelagic life, changing many times before becoming adult and moving on the bottom. Our crayfish is a medium size crustacean, its body is laterally flattened and the front has the head continuous with the thorax and the back, the abdomen, is divided into segments. Its body is covered with a strong carapace and has 13 pairs of appendixes that is 2 pairs of
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alle tante, tantissime trattorie, ai ristoranti, alle pizzerie, che in Italia si chiamano “il Gambero”, “al Gambero” e simili. Eppure dei nostri gamberi rossi non hanno visto neanche l'ombra. E non vi meravigli sapere che esiste anche la frazione “Madonna del Gambero”, nel Comune di Gualdo Tadino, in Umbria. Insomma tanti gamberi in giro, ma non di quelli rossi di Gallipoli. E ritorniamo ai nostri prelibatissimi amici. La distinzione tra una specie e l'altra non è semplice, perché molto simili tra di loro sia per forma e colore che per abitudini di vita. E' una specie gregaria, che vive in gruppi numerosi, piuttosto stanziali, che si sposta più in verticale, passando da profondità di circa 200 metri, dove è presente durante la notte, a profondità maggiori, di circa 800 metri, dove soggiorna durante il giorno. Le migrazioni stagionali poi lo spingono a stazionare, nei periodi più freddi, in acque meno profonde. La specie è a sessi separati. Le femmine raggiungono la maturità sessuale in estate e le larve, alla schiusa, sono piatte, con lunghi arti. Nuotano in superficie conducendo vita pelagica, per poi mutare più volte fino a diventare adulte e spostarsi sul fondo. Il nostro Gambero rosso è un crostaceo di taglia media, con il corpo schiacciato lateralmente, con la parte anteriore che vede la testa fusa con il torace, e la parte posteriore, l'addome, segmentata. Il suo corpo è ricoperto di una robusta corazza (carapace) ed è provvisto di 13 paia di appendici, tra cui un paio di antenne, 2 paia di mascelle e 5 paia di arti per la locomozione, quasi fosse una stazione ricetrasmittente. Il carapace è armato da un rostro munito, nella parte superiore, di tre denti. Il rostro presenta un dimorfismo sessuale, cioè è più
antennas, 2 pairs of jaws and 5 pairs of limbs for the locomotion. The carapace is armed with a rostrum provided with three teeth in its upper part. The rostrum presents a sexual dimorphism, that is it is longer in females. This particular allows a simplified identification of sex. Its big eyes, out of the orbits, are situated on a peduncle under the rostrum overlapping the oral apparatus. Well, it is a quite complicate subject this friend of ours. The back region, the one that makes lots of gourmands happy, is tied to head and thorax as a whole. This pulpy part is formed by six articulated, smooth and longitudinally crossed by a fold segments. Its colour goes from bright red to pale red with purple nuances on the upper part of its carapace and along the joints of the abdomen segments. It is no more than 22 cm long but the average goes from 10 to 18 cm. Our crayfish can be taken for the Atlantic red crayfish cause of its colour, but it is not as tasteful as our Gallipoli crayfish. This family, as you know, is quite numerous and even they are very much alike, the difference in taste is remarkable. Try a Gallipoli crayfish and one of those found in any fish market in Italy and you will see the difference! Don't waste Gallipoli crayfish for a risotto or for other dishes where it drowns in sauces. Enjoy them raw or only grilled because they must be not very cooked and season them only with few drops of extra virgin olive oil. Be sure you will never forget the taste of this delicacy. This excellent natural resource is unequalled: lobsters, caviar, oysters cannot be compared to it: the red Gallipoli crayfish are inimitable.
lungo nelle femmine. Particolare, questo, che permette una sommaria identificazione del sesso. I suoi grossi occhi, fuori dalle orbite, sono localizzati su un peduncolo sotto il rostro, che sormonta l'apparato boccale. Insomma, un soggetto molto complicato, il nostro amico. Attaccata alla testa ed al torace, fuso in un unico sistema, vi è la regione posteriore, quella che, per sua sventura, fa felice tanti palati. Questa sua parte carnosa è costituita da 6 segmenti articolati, lisci ed intersecati longitudinalmente da una piega. Il suo colore, dal rosso vivo al rosso rosato, ha sfumature violacee nella parte superiore del carapace e lungo le giunture dei segmenti dell'addome. Al massimo è lungo 22 cm, ma quelli più comuni sono medi, da 10 a 18 cm. Il nostro gambero può essere scambiato per la colorazione anche con il Gambero rosso atlantico, che non è però gustoso come il nostro amico gallipolino. Questa famiglia, come avrete capito, è piuttosto numerosa e pur se tra cugini si somigliano un po' tutti, la differenza poi sotto il palato è notevole. Provate a gustare, per esempio, un gambero di Gallipoli e poi una di quelle “mazzancolle” che trovate in quasi tutti i mercati ittici d'Italia. Vedrete che differenza! Non sprecate i gamberi di Gallipoli per un risotto, né per ricette che lo vedono annegare miseramente in salsa aurora e simili. Gustateli, invece, crudi o al massimo grigliati perché, per gustarli al meglio, bisogna cuocerli poco e condirli solo con un filo di olio extra addosso. Vi assicuro che non dimenticherete facilmente questa prelibatezza, il cui sapore vi rimarrà impresso. Pregiatissima risorsa naturale non teme confronti, non ci sono aragoste né caviale né ostriche che tengano. I gamberi rossi di Gallipoli sono inimitabili.
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CARPACCIO* OF RED PRAWNS FROM GALLIPOLI
CARPACCIO DI GAMBERONI ROSSI GALLIPOLINI
Ingredients for 4 people
Ingredienti per 4 persone:
600 gr. fresh prawns peeled
600 di gamberoni freschi sgusciati e privati dal filo delle interiora
500 gr. slim slices of Matera bread
500 gr di pane tipo Matera tagliato sottile all'affettatrice
the pulp of 30 fresh sea urchins
polpa di 30 ricci freschi
onions, garlic, parsley leaves and 2 small tomatoes
q.b di ristretto ottenuto con le teste dei gamberoni e sedano, carote, cipolle bianche, aglio, qualche foglia di prezzemolo, 2 pomodorini
5oo gr. celery (preferably the yellow central part)
5oo gr di sedano, possibilmente la parte gialla centrale
fumet made with the prawns heads, celery, carrots, white
extra virgin olive oil
olio extra vergine dragoncello
tarragon
Cut in halves lengthways the prawns and put them between two films of acetate and beat them gently with
la ricetta
the meat mallet. Oil the paper-thin slices of bread and lightly toast them in the oven at 140 °C. Mix the sea urchins' pulp with extra virgin olive oil and the fumet previously cooled in the fridge. Cut into batonette the celery and put it in the centre of a large serving plate and season it with oil and salt. Arrange the bread around the plate, spread the slices of prawns on it then pour the sauce of sea urchins. Add tarragon and some drops of extra virgin olive oil.
* raw beef, veal or fillets of raw fish, sometimes thinly sliced or pounded thin, with a dressing.
Tagliare a metà per lungo i gamberoni e ripartirli in maniera uguale su quattro veli di carta acetata. Ricoprire nuovamente con la carta acetata e battere delicatamente con il batticarne. Dare ai gamberoni la forma di un carpaccio aiutandosi con una spatola. Ungere i veli di pane con olio extra vergine e tostarli appena in forno a 140 °C per il tempo necessario. Con le teste dei gamberoni e verdure miste (sedano, carote, cipolle bianche, aglio, qualche foglia di prezzemolo, 2 pomodorini) ottenere un ristretto abbastanza strutturato. Emulsionare la polpa di ricci con olio extra vergine e il ristretto fatto freddare in frigo. Tagliare a batonette il sedano e metterlo al centro del piatto. Condire con un filo di extra vergine, una presa di soffi di sale. Adagiarvi sopra i fogli di pane cercando di dare un senso di rotondità; sovrapporvi il carpaccio di gamberoni, versare la salsa di ricci di mare, aggiungere dragoncello e, per chiudere, un filo di olio extra vergine.
Ricetta dello chef Donato Episcopo del ristorante “Risorgimento Resort” di Lecce
ANTONIO Gusto di Puglia meets Antonio Romano Greying curly hair, nice face, smiling eyes. A lady would say he is a handsome man. You meet him in Maglie and you say him hallo as you had never lost sight of him because he comes here, to his native town, whenever he can. Maybe, at night, he falls asleep with Capece square in his eyes thanks to his imagination. By working with “the marks” he creates a trademark fixing an identity and he has sewn the Salento trademark on himself. He is fifty, he has a degree in architecture and is a Design for Communication professor at La Sapienza University in Rome. When he was only twenty-three he founded his first structure of graphic design: Studio Romano. He has always had the gift of communicating, not by words but by marks and shapes. He started his career in Maglie designing trademarks for some local companies. In 1991 he founds AReA Strategic Design, that soon becomes Italian leader in the field of the corporate brand. Antonio Romano takes up the challenge of the internationalization, first exporting design, then opening new branches. From 2004 his network's name is Inarea and it has eleven branch offices in nine countries. Nowadays Romano is its chairman and coordinates twenty-two partners' activities, point of reference of more than hundred members. He has created the red square of the Cgil, Tim's and Stream's trademarks, the Rai's “butterfly”. He has refashioned the Ferrovie dello Stato's brand and has created Trenitalia's name: a raring “F” going at full speed towards future more than the Italian railways would deserve. He has created Capitalia's and CartaSi's trademarks. He has always worked for foreign trademarks such as the Lacoste's and Renault's, but even for the American Sears & Roebuck and for Aventis Pharma, the first pharmaceutical group in Europe. In 2005 the La Sapienza University in Rome and the provincial council of Rome have organized a biographical exhibition at the Vittoriano complex about Antonio Romano's experience as a brand designer whose title was “25 years of imagination”.
Why have you kept your domicile in Maglie even if you go on travelling the world, dividing your time between Rome and Milan? I've spent my first nineteen years of my life in Maglie, those that give you the imprint to face the rest of your life: for this reason the “domicile” has a symbolic role for me as everything for that matter. It's like fixing an important moment in your heart's memory with the illusion that even the time has stopped there. In other words, I'm afraid of old age and death, too. It's better to think of an endless boyhood! What's there in Maglie that you can't find somewhere else? Places and people are similar: unique and matchless. For this reason, when we love someone or something we're able to love even her/his or its faults. Maglie has nothing special, but it's special for me because it gives me back a love dimension that I can find only here.
ROMANO di Sergio D’Oria
Gusto di Puglia incontra Antonio Romano
INCONTRI DI GUSTO
Capelli ricci brizzolati, viso simpatico, occhi con un sorriso accattivante. Bell'uomo, direbbe di lui una signora. Lo incontri a Maglie e lo saluti come se non lo avessi mai perso di vista, anche perché continua a venire nella sua città natale appena può. Forse lui, che non manca di immaginazione, alla fine della giornata si addormenta con la visione di piazza Capece negli occhi. Lui, che lavorando con “i segni” cerca di ideare un marchio, di fissare un'identità, il marchio di salentino se lo è cucito sulla pelle. Cinquant'anni e una laurea in architettura, docente di Design per la comunicazione all'Università La Sapienza di Roma, ha fondato a soli ventitre anni la sua prima struttura di graphic design, lo Studio Romano. La dote di comunicatore l'ha sempre avuta, non con le parole, però, ma con i segni e le forme. Lo ricordano in molti a Maglie muovere i primi passi nel settore, disegnando marchi per alcune aziende del territorio. Nel 1991 dà vita ad AReA Strategic Design, società che in breve tempo diviene leader
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Which of the trademarks you've created or refashioned has got you more satisfaction? They all are like “children” so I can't find an immediate preference. I can only say that I've infatuations, disclaimers of paternity and reclamations that sometimes surprise even myself. Actually, the logo's reputation often plays an important role: I mean, I'm aware of being grateful to Cgil first and to Rai then, for the fame they've given to me not only in Italy. But the “private” catalogue is full of realizations often not remembered even by my work team, some of them are very valid and have been made just for clients and friends here in Apulia. How do you feel when you see somewhere in the world the logo you have created for a bank, the trademark of a big company that it's actually a creature of yours? Once I felt very proud of it. Now it's a bit different: it's always a pleasure, mainly when the distance from home is far, but my brain's associations change... I think of what I'd have done today, the hypothesis the client has refused, the further develop-
INCONTRI DI GUSTO in Italia nel campo del corporate brand. Antonio Romano accetta da subito la sfida dell'internazionalizzazione, prima esportando design e poi aprendo nuovi uffici. Dal 2004, il network prende il nome di Inarea ed è presente in nove paesi con undici sedi. Oggi Romano ne è il presidente e coordina le attività di ventidue partner, cui fanno riferimento oltre cento collaboratori. Ha immaginato il quadrato rosso della Cgil, i marchi di Tim, Stream, la “farfalla” della Rai. Ha rielaborato il brand delle Ferrovie dello Stato e creato il nome di Trenitalia, dandogli, con quella “effe” scalpitante e lanciata nel futuro, forse più di quanto le ferrovie italiane meriterebbero. Ha creato i marchi Capitalia e CartaSi. Ha lavorato anche su marchi stranieri come Lacoste, Renault, ma anche per l'americana Sears & Roebuck e per il primo gruppo farmaceutico europeo, l'Aventis Pharma. Nel 2005 l'Università La Sapienza di Roma e la Provincia di Roma hanno organizzato, al complesso del Vittoriano, una mostra dal titolo “25 anni di immaginazione”, rassegna biografica sull'esperienza di brand designer di Antonio Romano.
Antonio, tu continui a girare il mondo, ti dividi tra Roma e Milano, perchè alla fine hai conservato la residenza a Maglie? A Maglie ho passato i primi diciannove anni della mia vita, quelli che ti danno l'impronta per affrontare tutti gli altri che ti restano da vivere: la “residenza” ha perciò per me un ruolo simbolico, come tutto del resto. E' come fissare un momento importante nella memoria del cuore e nutrire l'illusione che anche il tempo si sia fermato lì. In parole più semplici, ho paura anch'io della vecchiaia e della morte. Meglio pensare ad una perenne adolescenza! Che cosa trovi a Maglie che non trovi in altri luoghi? I luoghi sono come le persone: unici e irripetibili. Per questo, quando amiamo qualcuno o qualcosa, riusciamo ad amare anche i difetti. Maglie non ha niente di specia-
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ments about that design, etc. Well, we're never satisfied! You would describe him as a measured gourmet. He appreciates the good cuisine but he prefers the Salento one. No vinegar please but peppers and aubergines make him happy and he gratifies you with his smile, half-closing his eyes. His wife Laura, who loves Salento too, does not lose sight of him. She is reassured on his resistance to the food attraction and watches at him with complicity and satisfaction. A very well-tested couple, of those who can find their mutual understanding with a glance, you would say, a couple where none of the partners has been compelled to make any renounce for the other's sake. He shows a great sense of belonging, of identity even through his strong bond to his family and his father, recently dead. If you should create a logo representing the Romanos, your great family, which image would you use? Whenever my society's brand has been questioned I had to ask my team's and my colleagues' opinion. It's difficult to make our own trademark because, as Pirandello said, we are “One, no one and hundred thousand”. I can find instinctively metaphors telling about others but I can't find (and I don't look for) any for me. I “am” my family, in the correct sense of belonging, so of identity but I feel unable to give this idea through a symbolic reference. Besides, as we are incomplete we need the other to put back together our own symbol....
le, ma è speciale per me perché mi restituisce una dimensione affettiva che, appunto, posso trovare solo qui. Quale dei marchi da te ideati o rielaborati ti ha dato maggiori soddisfazioni? Sono un po' tutti “figli” e quindi non riesco a trovare una preferenza immediata. Posso dire che ho infatuazioni, disconoscimenti di paternità e recuperi, che a volte sorprendono anche me. In realtà, spesso è la notorietà di un marchio a giocare un ruolo fondamentale: in questo senso, so di dover essere grato alla Cgil prima e alla Rai poi per la visibilità che mi hanno portato in dote, non solo in Italia. Ma il catalogo “intimo” è ricco di realizzazioni spesso non ricordate neanche all'interno del mio gruppo di lavoro, comprese alcune cose molto valide fatte proprio per clienti e amici, qui in Puglia. Che effetto ti fa girare il mondo e vedere l'insegna di una banca da te ideata, il marchio di una grande azienda che è in sostanza una tua creatura? Un tempo mi procurava un moto d'orgoglio che non riuscivo a contenere. Ora è un po' diverso: mi fa sempre piacere, soprattutto se la distanza da casa è grande, ma cambiano le associazioni che il mio cervello mi propone… penso a cosa avrei fatto ora, all'ipotesi che il cliente ha scartato, agli sviluppi ulteriori su quel progetto ecc. Insomma, non si è mai contenti! Buongustaio contenuto, lo definiresti. Gradisce la buona cucina, ma preferisce quella salentina. L'importante è tenere lontano l'aceto, allora peperoni e melanzane lo fanno felice e ti gratifica con quel suo sorriso che gli fa socchiudere gli occhi. Laura, la sua metà, a cui ha saputo trasmettere lo stesso amore per il Salento, non lo perde di vista e, rassicuratasi sulla sua capacità di resistere ai richiami gastronomici, lo guarda con complicità e soddisfazione. Una coppia super collaudata, di quelle che sanno trovare l'intesa con uno sguardo, una coppia, diresti, dove nessuno dei due partners è stato costretto a fare grandi rinunce per amore dell'altro. Legato fortemente alla sua famiglia, al papà da poco scomparso, dimostra anche in questo un forte senso d'appartenenza, di identità. Se dovessi ideare un marchio per contraddistinguere la famiglia Romano, la tua grande famiglia, a quale immagine faresti ricorso? Ogni volta che si è messo in discussione il “brand” della mia società, ho dovuto fare ricorso all'aiuto dei miei collaboratori e a volte di colleghi esterni, di cui ho stima. E' difficile fare il marchio a se stessi perché, come diceva Pirandello, siamo “Uno, nessuno e centomila”. Riesco istintivamente a trovare metafore che “raccontino” gli altri, ma non ne trovo (e non ne cerco) per me. Io “sono” la mia famiglia, nel senso corretto dell'appartenenza e quindi dell'identità, ma mi sento incapace di restituirne l'idea attraverso un riferimento simbolico. Del resto, proprio perché incompiuti, abbiamo bisogno dell'altro per ricomporre il simbolo di noi stessi....
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LATERZA BREAD, panedd' Pleasant smell of freshly baked bread, loved bread conquering the taste.
The prohibition of baking any kind of bread or pies in people's houses, on pain of paying considerable fines, ruled a restriction system destined to remain till a few years ago. An essentially family productive process was under a rigorous public control that had to be very important since the beginning in fact the chapter about the oven tax was the first in the progressive order among the municipal articles and the toll extent corresponded to one third of the total cost of the bread-making. The first phase of working took place at home where women prepared the dough in the kneading trough, mixing yeast with flour, water and salt skilfully. When rising and kneading were completed, the processing went on in the public ovens where the loaves of leavened bread, wrapped into woollen and/or cotton clothes, were taken on boards. Bakers completed the kneading of the dough giving it the typical final shape: a truncated cone with a cut in the middle, before marking with the owner's initials
PANE DI LATERZA, panedd' di Gianni Sportelli Profumo di pane impastato, lievitato e appena sfornato, un pane amato alla conquista del palato
LE VIE DEL PANE
Il divieto per i cittadini “d'ogni stato e conditione” di cuocere nelle loro abitazioni qualsiasi tipo di pane o focacce in “fornelli” o “sopra le taghelle di ferro o sopra le chianche molegne nelli focarili”, pena il pagamento di rilevanti ammende, sanciva un sistema vincolistico destinato a conservarsi fino ad anni a noi vicini. Si definiva in questo modo un processo produttivo di tipo essenzialmente domestico, ma soggetto a un rigoroso controllo pubblico che, fin dall'inizio, doveva essere di grande rilevanza, se si tiene conto del fatto che il capitolo del dazio del forno era il primo in ordine progressivo tra quelli che componevano gli statuti municipali e che l'entità della gabella era tale da rappresentare un terzo del costo complessivo della panificazione.
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and baking it. In recent times this operation was made by using iron marks kept at the oven, while in the distant past they were produced by the farmers and the shepherds whose ability in carving wood allowed a conspicuous production of utensils: from ladles to the bread marks. They were kept at home, among the personal things, often in the mistress' linen, and traditionally they were left to the sons. The bread marks, with their patterns full of symbolic references, generally recall an agro-pastoral culture in which the holy gesture of making bread has its origins in countryside of Laterza: an articulated land with its ravines, cradle of rupestral civilization. Bread was the barycentre of a solid peasant culture when it marked days and seasons. It was the reward for the men and propitiatory gift on the Saints' days. It is tasty, not insipid. Externally crisp, soft inside, it can be conserved for more than three days. It is not a dream, it really exists and it is the Laterza Bread, in the local dialect “i panedd'“. It is baked in wood-burning ovens according to the old tradition of Laterza. Its peculiarity is that it can keep its friability and softness, the particular taste of its soft part and the golden brown
La prima fase della lavorazione, quindi, avveniva entro le mura domestiche, protagoniste le donne che preparavano l'impasto nella madia, mescolando con grande perizia il lievito con farina, acqua e sale. Ultimati lievitazione e impasto, le operazioni di confezione del pane continuavano nei forni pubblici, dove venivano portate le assi con le forme di pasta lievitata avvolte in panni di cotone e/o di lana. I fornai provvedevano a completare la lavorazione della massa, a cui davano la caratteristica forma finale a tronco di cono con taglio centrale, prima di marchiarla con le iniziali del proprietario e di infornarla. Tale operazione avveniva utilizzando dei marchi che solo in epoca piuttosto recente sono stati realizzati in ferro e custoditi nel forno, mentre in un passato piĂš lontano essi erano tutti prodotti dai contadini e dai pastori, la cui abilitĂ nell'intagliare il legno permetteva una cospicua produzione di utensili casalinghi, dai mestoli ai marchi da pane, appunto. Marchi che erano conservati nelle case tra gli oggetti personali, spesso nella biancheria della padrona di casa, e che erano lasciati per tradizione in ereditĂ ai figli maschi. I marchi da pane, con le loro figurazioni a riferimento simbolico, in genere rimandano ad una cultura agro-pastorale entro la quale trova radici il gesto sacro della produzione del pane in un territorio articolato con le sue gravine, culla della civiltĂ rupestre come l'agro di Laterza. Era il baricentro di una solida cultura di matrice contadina quando scandiva le giornate e le stagioni, veniva offerto come ricompensa agli uomini e come dono propiziatorio ai
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crust given by the baking in wood-burning ovens and the working, the preservation and the seasoning: they start from the day before with the making of the yeast, the day after the durum wheat semolina is kneaded with yeast, water and salt. The dough must be worked slowly but vigorously, then it rises for two hours and a half on wooden tables. Then it is weighed and divided into round pieces of 1,2 kg (panelline), 4 kg (panedd') with respectively a diameter of 25 ,35, 45 cm. it is put on boards (tavelun') to stand at adequate temperature and humidity to grant their rising. After preheating
the
direct-heating
oven with faggots and/or olive tree firewood, when it reaches the temperature of 400째, the bread bakes on a slow heat for two hours on the stone (chianche). Can you smell it? Eating this bread is a real emotion and you must experience it.
Santi. Un pane saporito e non sciapo. Un pane croccante all'esterno e soffice all'interno. Un pane conservabile per più di tre giorni. Non è un sogno, un pane così esiste, è il Pane di Laterza, nel dialetto locale i panedd'. E' un pane cotto in forni a legna, come vuole l'antica tradizione che a Laterza sembra non essere mai passata. La caratteristica saliente è quella di riuscire a conservare la friabilità e la morbidezza, il particolare sapore della mollica e della crosta dal caratteristico colore marrone scuro dorato che è conferito dalla cottura in forni a legna, ma anche dalla lavorazione, conservazione e stagionatura. Fasi che avvengono sin dal giorno prima con la preparazione del lievito, il giorno successivo poi si impasta la farina di semola rimacinata di grano duro, il lievito madre, l'acqua e il sale. Preparato l'impasto, che deve essere lavorato lentamente ma energicamente, lo si ripone per circa due ore e mezzo, affinché avvenga la lievitazione della massa acida, rigorosamente su basi di legno. Successivamente si procede con la pesatura e formatura dei pezzi circolari da 1,2 kg (panelline), 4 kg (panedd') con diametri rispettivamente di 25 ,35, 45 cm. Essi vengono riposti su assi di legno (tavelun') dove riposano ancora per 45 minuti per un' ultima e breve lievitazione che nei forni antichi, di puro spirito artigianale (per forni si intendono sia i laboratori di produzione che il vero e proprio forno per la fase di cottura), deve avvenire al riparo da correnti d'aria e in ambiente caldo, a temperatura e umidità adeguate per garantire la giusta crescita. Si procede poi con il preriscaldamento del forno a riscaldamento diretto con fascine di legna di bosco e/o di ulivo o nocciolino di albicocca o di mandorle, raggiunta la temperatura di 400 gradi, il pane cuoce a fuoco lento per due ore su pietra (chianche). Ecco lo sentite il profumo? Mangiare questo pane è un'emozione da provare.
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Barsento, from eco-system to ecomuseum Strategic site and crossroads of exchange in Longobards' aims, old Barsentum charms even today, immersed in the countryside peace and dry-stone walls, landscapes uncorrupted by the passing of the time.
Large pastures, olive groves and rural settlements are the background of a rich casket of naturalistic treasures and architectonical evidence of remote epochs still untouched by the anthropic phenomenon. In the ideal pentagon contained among the villages of Noci, Putignano, Alberobello, Castellana Grotte and Monopoli, the area named Barsentum, or Barsento (from the toponym of the abbey dominating the surrounding territory) represents a valid example of ecomuseum that welcomes those who visit it surprising everyone. During the Middle Ages this pleasant place had an important role for the subsistence economy of the peasant people. The transhumant sheep-farming, for example, preferred the axis passing through Barsentum that joined Molise to Apulia. As a skilful sculptor the karst phenomenon has created open hollows and underground caves spontaneously. Moreover the peculiarity of this morphologically complex area is made of swamps and dolines (typical ground depressions originated by the continuous solvent effect of the rainwater or by the erosion of an old river on the calcium carbonate of the friable karst rocks. Editor's Note). But the real wealth of this area has always been the abundant water resource, and the numerous water wells for the fields' irrigation are the evidence of it. An impressive constellation of Jazzi scattered all over the country for the cattle's shelter, trulli of different shape and size, and wonderful farms, heritage of an ancient seigniorial power, give the idea of XII and XIII
Barsento, da eco-sistema a eco-museo di Alessandro Stajano Sito strategico e crocevia di scambi nelle mire dei Longobardi, l'antica Barsentum incanta ancora oggi immersa nella quiete di campagne e muretti a secco, paesaggi incorrotti dallo scorrere del tempo. Ampi pascoli, uliveti e insediamenti rurali fanno da sfondo a un prezioso scrigno di tesori naturali-stici e testimonianze architettoniche di epoche remote non ancora compromesse dal fenomeno antropico. Nel pentagono ideale racchiuso tra i territori di Noci, Putignano, Alberobello, Castellana Grotte e Monopoli, l'area conosciuta col nome di Barsentum, o Barsento, dal toponimo della chiesa abbaziale che domina il territorio circostante, rappresenta un valido esempio di eco-museo che accoglie chi lo visita riservando sorprese ad ogni passo. Fino a tutto il Medioevo, quest'amena localitĂ , ha svolto un ruolo cardine attorno al quale s'incentrava l'economia di sussistenza delle genti contadine. La pastorizia transumante, ad esempio, prediligeva proprio l'asse passante da Barsentum e che congiungeva il Molise alla Puglia. Come un abile scultore, il fenomeno carsico ha spontaneamente creato cavitĂ a cielo aperto e grotte sotterranee. Oltre a queste ultime, la peculiaritĂ di questa zona mor-
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centuries lifestyle. Even the strategic aspect of this site was important: it guaranteed an excellent defence from the frequent pirates raids and the perfect visibility of the coasts. Barsentum was the centre of a communication network and it became a lively village of flourishing trade; thanks to a strong religious feeling that contributed to the settling of a monastic congregation. Apulia was continuously under foreign rule so the building of the beautiful abbey was not only the right reply to the growing people's request but a point of reference for the neighbouring communities. It is difficult to date it: the experts think it was built around 1300 or in the early Middle Ages. Anyway, according to the Salento archaeologist Francesco D'Andria, not before 840. Probably these were the reasons why the first Messapic settlers chose this place as the archaeological finds along the crest prove. Barsentum, in fact could derive from the compound word of Messapic origin: barza (high) and entum (that is). According to the local chronicles of XVII century (the bishop of Bisceglie Pompeo Sarnelli's, papers) Barsento's church was built around 591, for pope Gregorio Magno's will, with the purpose of evangelizing the local people in the period of the Longobardic invasions. The abbey was given to the monastic order founded by Sant'Equizio and dedicated to Santa Maria Assunta, called Madonna di Barsento by the natives. Nowadays church and surrounding places attract tourists's and local people's attention after centuries of indifference and neglect. The complex and the farm, that in ancient times was a convent, have been tied up according to the
fologicamente complessa è costituita da lame e doline (caratteristiche depressioni del suolo che si originano per il continuo effetto solvente dell'acqua piovana, o per l'erosione di un antico corso d'acqua, sul carbonato di calcio presente nelle friabili rocce carsiche, ndr). Vera ricchezza del luogo è, però, sempre stata l'abbondante risorsa idrica, testimoniata dai numerosi pozzi d'acqua per l'irrigazione dei campi, ben delimitati da muretti a
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secco. Una spettacolare costellazione di Jazzi, disseminati nella campagna per il ricovero degli animali da pascolo, trulli di differente forma e dimensione e splendide masserie, retaggio di un antico potere signorile, rendono bene l'idea di quale stile di vita si conducesse tra il XII e XIII secolo. Tutto questo senza trascurare, poi, l'aspetto strategico del sito, che garantiva un'eccellente difesa dalle frequenti incursioni piratesche, e l'ottima visibilità della costa. Al centro di una fitta rete di comunicazioni, Barsentum divenne assai presto un borgo vitale di fiorente commercio, anche grazie a un forte sentire religioso che dovette influire non poco sull'insediamento di una congregazione monastica. In una Puglia continuamente nella morsa delle dominazioni straniere, la costruzione della bellissima abbazia divenne non solo la giusta risposta alla crescente richiesta del popolo, ma un punto di riferimento per le comunità vicine. Divide, però, la sua datazione: un vivace dibattito tra gli studiosi la vuole ora risalente al 1300 ora all'alto Medio-evo, comunque non oltre l'840, stando all'archeologo salentino Francesco D'Andria. Queste, verosimilmente, le ragioni che determinarono la scelta di quel luogo da parte dei primi coloni messapici, come dimostrato dai ritrovamenti archeologici lungo il crinale.
legislative decree 490/99. The increased public spirit and the need of improving life quality in a wealthy environment have seen to it that the whole area of 1100 hectares has become a “conservation area� since 1986. The procedure to enact the local government law 19/97, through which this territory could be recognized as a regional nature reserve, is slower. It is not a quirk, considering the landscape beauty with its woods of oaks (quercus trojana) and wild orchids, impressive swallow-holes and the depression of the Canale di Pirro. The latter is a large system of fractures of karst origin, extending among Putignano, Castellana and Fasano, for about 12 kilometres. The bottom of the canal is flat and covered by a very fertile red soil mixed with a thin layer of alluvial soil. Excellent cultivations, such as the grapevine, find in this canal-bed the best place where taking root.
Barsentum, infatti, potrebbe derivare dalla parola composta di derivazione messapica barza (alto) e entum (che è). Secondo le cronache locali del XVII secolo (gli scritti di Pompeo Sarnelli, vescovo di Bisceglie) la chiesa di Barsento fu edificata intorno al 591, per volere di papa Gregorio Magno, con lo scopo di evangelizzare le genti del posto nel periodo delle invasioni “barbariche” da parte dei Longobardi. Affidata così all'ordine monastico fondato da Sant'Equizio, l'abbazia fu dedicata al culto di Santa Maria Assunta, chiamata dagli oriundi Madonna di Barsento. Chiesa e territorio circostanti, oggi, richiamano l'attenzione di turisti e popolazione locale dopo secoli d'indifferenza e abbandono. Il complesso e l'annessa masseria, che anticamente era un convento, sono stati vincolati ai sensi del decreto legislativo 490/99. Il diffondersi di un accresciuto senso civico e della necessità di migliorare la qualità della vita in un ambiente salubre, hanno fatto si che l'intera area sviluppata per 1100 ettari diventasse dal 1986 “Oasi di protezione”. Pare, invece, più lento l'iter della legge regionale 19/97 attraverso cui, inoltre, si vuol ricomprendere questa porzione di territorio tra i futuri parchi naturali regionali. Non un semplice vezzo, vista la bellezza paesaggistica che include tra i boschi di fragno (quercus trojana) e le orchidee selvatiche, anche gli impressionanti inghiottitoi e gli sprofondamenti del Canale di Pirro. Quest'ultimo è un ampio sistema di fratture di origine carsica, che si estende tra Putignano, Castellana e Fasano, per circa 12 chilometri. Il fondo del canale è pianeggiante e coperto da una fertilissima terra rossa mista a un sottile strato di terreno alluvionale. Colture pregiate, come la vite, trovano in quest'alveo il luogo ottimale per l'attecchimento.
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ORSARA DI PUGLIA, dai Calatrava alle zucche di Halloween di Alessandro Stajano Orsara di Puglia lies in a medieval mood where ancient rites mixed with the simple life of its people surprise the visitors with a warm welcome.
Cristallizzata in un'atmosfera medievale in cui riti antichi si mescolano alla vita di una popolazione semplice, Orsara di Puglia punta tutto su una spiccata vocazione all'accoglienza.
Here the time seems to go by with a different rhythm as it were in slow motion. History and culture are parts of this region by the reclamation of ancient traditions, the very good wine and the excellent dishes linked to the country economy. Tastes and Secrets of Orsara Orsara's economy feels the distance from the big towns and its secret is to keep an excellent standard of living: the Productive Activities Councillor Biagio Dedda has told us that Orsara is one of the three Apulian Slow Food towns (the other ones are Cisternino e Trani) chosen among only 60 all over Italy. Thanks to the great effort of the municipal administration that has renewed the old town, the whole road network (still made up by basoli and sampietrini), the enogastronomic performances and some very interesting Consortia of Production. Processes and products mix manufacturing mastery and tradition, carrying out a virtually perfect close cycle chain. The discarded parts of the dairy production are used to enrich the feedstuff for the cattle-breeding. Cattle, swine and sheep (such as the Dauno sub Appenine goat) provide very tasty typical salami and cheese and satisfy the local and tourist request from the Orsara restaurants. The whole local production is prepared according to the tradition and eaten in situ. Moreover Orsara is famous for its “Orsara Jazz” music festival and the “Wine festival” that attract thousands of visitors from all over the nation. Speaking of wines: passing through Orsara di Puglia you cannot miss the body and round
notes
of
the
“Tuccanese”, an excellent red wine coming from an autochthon vine that, by itself, makes the trip worthy. Popular tradition The eve of 15th of August in Orsara di Puglia is the memory day. Since early in the morning a roll of drums beats the slow rhythmic tread of the warrior monks who, on the same day of 1225, went into the Apulian town to take possession of the Diocese under the Sant'Angelo Abbey (for-
Sorprendere il visitatore per la gente di questo paese, a due passi dal confine con la Campania, è la regola. Qui il tempo sembra scorrere con un ritmo differente, come al rallentatore. Un tempo pregno in cui storia e cultura s'intessono nella trama del territorio regionale attraverso il recupero di tradizioni millenarie, ottimo vino ed eccellenti pietanze legate all'economia contadina. Sapori e segreti di Orsara Ad Orsara, dove l'economia risente alquanto della lontananza dai grandi centri urbani, il segreto è mantenere un tenore qualitativo d'eccellenza. Basti considerare, come ci ha illustrato l'assessore comunale alle Attività produttive, Biagio Dedda, che Orsara rappresenta una delle tre città Slow Food della Puglia (le altre sono Cisternino e Trani, ndr) tra le sole 60 scelte in tutt'Italia. Scusate se è poco. Merito del grande sforzo dell'Amministrazione comunale che ha scommesso tutto sul recupero dei caseggiati del borgo antico, dell'intera rete viaria (costituita ancora di basoli e sampietrini), delle manifestazioni enogastronomiche e, cosa di certo interesse, dei Consorzi di produzione. Processi e prodotti coniugano sapienza manifatturiera e tradizione, realizzando una filiera a ciclo chiuso virtualmente perfetta. In buona sostanza i materiali di scarto della lavorazione casearia sono utilizzati per arricchire il mangime per l'allevamento. Bovini, suini e ovini, come la capra del sub Appennino Dauno, pur fornendo salumi e formaggi tipici di gran gusto, soddisfano la richiesta locale e turistica finendo direttamente sulle tavole dei ristoratori orsaresi. Tutto ciò che si produce localmente, insomma, viene preparato secondo tradizione e consumato in situ. Alla faccia della NewEconomy. Orsara, ad ogni buon conto, è nota al pubblico d'appassionati anche per il festival di
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med by the Hamlets of Montecalvelo, Ponte Albaneto e Castelluccio Val Maggiore). Grand Master, Knights and Ladies wearing very rich reconstruction of the costumes parade through the streets in the town centre faking the capture of the “Laure”, that is the farm properties constituted by the Byzantine monks. The simple people of this land commemorate their own origins that go back to the Middle Age when the knights' battles protected Christianity and its outposts from the Muslims' siege. During this commemoration, the historical procession recalls the deeds of the knights of the monastic order of the Calatravas (from Kalaat Rawah: the name of the fortress situated along the Spanish river Sabalan). After the Knights Templar's refusal to perform the duty, they had to protect the Iberian fortress in 1155. In the old town of Orsara, during the commemoration there is the tasting of dishes prepared according to Medieval recipes. In Orsara people use to hollow out the pumpkins giving them the shape of skulls, putting candles into them. The so called “cocce priatorje” are situated on the windowsills or on the stairs of the houses, while big fires light the night. This rite reminds of the American Halloween and maybe it has even inspired it thanks to the great emigration of Orsara people to
musica “Orsara Jazz” che, insieme alla “Festa del vino”, richiama migliaia di visitatori da tutta la nazione. A proposito di vino: passando da Orsara di Puglia non si può evitare di farsi conquistare dalle note rotonde
e
corpose
“Tuccanese”,
un
del
eccellente
vino rosso ottenuto da un vitigno autoctono che, da solo, val bene il viaggio. La tradizione popolare La vigilia di Ferragosto a Orsara di Puglia è il giorno della memoria. Sin dalle prime ore del mattino un rullo di tamburi scandisce il lento passo cadenzato dei monaci guerrieri che, lo stesso giorno del 1225, entrarono nella cittadina pugliese per prendere possesso della Diocesi facente capo all'Abbazia di Sant'Angelo (formata dai Casali di Montecalvelo, Ponte Albaneto e Castelluccio Val Maggiore). Gran Maestro, cavalieri e dame con indosso pregiatissimi rifacimenti dei costumi d'epoca sfilano per le vie del centro simulando la presa delle “Laure”, ovvero i fondi agricoli costituiti dai monaci bizantini. Questa schietta gente del nostro territorio commemora le proprie origini
che
si
perdono
nel
Medioevo dei cavalieri e delle battaglie per la difesa della cristianità e dei suoi avamposti dall'assedio dei Musulmani. Durante la rievocazione storica, con il corteo che attraversa il paese, tornano in scena le gesta dei cavalieri dell'Ordine
monastico
dei
Calatrava (da Kalaat Rawah: il nome della fortezza sita lungo il fiume spagnolo Sabalan). A questi ultimi, dopo il rifiuto dei cavalieri Templari di assolvere al compito, toccò la difesa della fortezza iberica nel 1155. Nel borgo orsarese, naturalmente, durante la manifestazione non mancano le degustazioni di pietanze preparate secondo ricette medievali.
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America at the beginning of the last century. On the night between 1st and 2nd of November, the eternal fight between good and evil comes back among the living exorcizing fears and driving out misfortune. While the still fresh branches of the Spanish brooms cheerfully crackle through the village, the small flames from the pumpkins drive out the penitents' souls from the houses. Attracted by the sparks of the fires rising to the night sky, they find their way to the Purgatory again after a well-deserved refreshment: on the corners of the streets, on the balconies and the rails, along the pavements and the stairs, delicious sweets and brimming of wine jugs are waiting for the sprites before their long journey. Orsara children dressed up as witches, skeletons and ghosts, are waiting nervously the “Fucacoste”, this “religious Carnival”, paying their attention to the thrilling stories told by their grandparents after libations and games, before going to bed.
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A Orsara, inoltre, vige l'usanza di far assumere alle zucche l'aspetto di teschi, svuotandole e mettendo al loro interno delle candele. Le cosiddette “cocce priatorje” vengono poi messe sui davanzali delle finestre o sulle scale delle case, mentre grandi falò illuminano la notte. Un rito che ricorda assai da vicino l'Halloween americana e, forse, lo ha addirittura ispirato, grazie alla forte emigrazione degli Orsaresi oltre oceano, sui primi del secolo scorso. Nella notte tra l'1 e il 2 novembre, l'eterna lotta tra bene e male torna a compiersi tra i vivi esorcizzando le paure e scacciando la malasorte. E mentre i rami ancora freschi delle ginestre scoppiettano di viva allegria per tutto il paese, le fiammelle delle zucche allontanano dalle abitazioni le anime penitenti. Queste ultime, attratte dalle faville dei falò che s'innalzano nel cielo notturno, ritrovano la strada per far ritorno in Purgatorio, non prima, però, di un meritato ristoro. Agli angoli delle strade, su balconi e parapetti, lungo i marciapiedi e le scale di ogni casa, deliziosi dolciumi e boccali traboccanti di vino attendono gli spiritelli prima del lungo viaggio. I bambini di Orsara vestiti da streghe, scheletri e fantasmi attendono con ansia il “Fucacoste”, questo “carnevale religioso”, dedicando tutta la loro attenzione, dopo libagioni e giochi, ad ascoltare le storie da brivido narrate dai propri nonni prima di andare a letto.
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STRELITZIA, eleganza di forme, armonia di colori di Sabrina Sansonetti Its unique and rich flower captures your eyes waking sweet emotions.
Il suo fiore, unico e pregiato, colpisce lo sguardo suscitando dolci emozioni.
What a lot of harmony between shape and colour there is in nature! Any silhouette recalls another one and it happens even in the rich and variegated world of flowers and plants. The Strelitzia is a nature's masterpiece, named “Bird-of-paradise flower�, it is really surprising for its shape similar to a bird. It is incredible how beauty, elegance and harmony combine perfectly in this plant native to South Africa and introduced into Europe by the end of 1700 by Banks, curator of the Royal Botanic Gardens, Kew, in London. Both the genus and the species were named after the King George III's widow, the Queen Charlotte Sofia of Mecklenburg-Strelitz. It is a bush-shaped flower plant belonging to the family of Musaceae, it is an evergreen and perennial plant, usually very long-lived with big fleshy and fascicled roots that, if grown up in the open, develop for 1 metre in depth. It has grey-green large ovate or lanceolate leaves with a very long petiole. Its inflorescence is composed by boat-shaped bracts containing four or five asymmetric flowers with three small and three large petals, two of the latter joined together. The Strelitzia flowers from autumn to spring and in this period it is at its best, decorating parks and gardens. Above all in Apulia, with its favourable climate, this warm-loving plant is silhouetted, superb and proud, against the deep blue sky. The glaring sunbeams of our region exalt the orange, the white, the blue of its flowers and then light and colours magically melt together. The genus Strelitzia comprehends different species such as: the best known Strelitzia Reginae, Strelitzia Alba or Augusta, Strelitzia Juncea and Strelitzia Nicolai, all of them of extraordinary beauty. Its propagation is by seed or simply and quickly by division of the plant. This is made by the
numerous
floricultural
firms that grow it at industrial level, above all in Bari area, in the village of Terlizzi, and in Salento, in the villages of Leverano
and
Taviano.
ORIZZONTI FIORITI
Quante corrispondenze di forme e colori esistono in natura! Ogni cosa per il suo aspetto ne richiama alla mente subito un'altra, accade così anche nel ricco e variegato mondo dei fiori e delle piante. La Strelitzia, capolavoro della natura, chiamata “Fiore del Paradiso” o “Uccello del Paradiso”, sorprende per la sua forma davvero del tutto simile a un volatile. E' incredibile come bellezza, eleganza ed armonia si coniughino perfettamente in questa pianta originaria del Sud Africa e introdotta in Europa alla fine del 1700 da Banks, curatore dell'orto botanico di Kew Gardens di Londra. Essa fu dedicata alla vedova di Re Giorgio III, la regina Carlotta Sofia di Meclemburg-Strelitz da cui deriva sia il nome del genere che della specie. Si tratta di una pianta fiorita di forma cespugliosa, appartenente alla famiglia delle Musaceae, sempreverde e perenne, solitamente molto longeva, con grosse radici carnose e fascicolate che, se coltivata all'aperto, si sviluppano nel terreno per un metro di profondità. Presenta grandi foglie ovate o lanceolate di un colore verde glauco con picciolo molto lungo. Le sue infiorescenze sono composte da brattee a forma di barca che contengono quattro o cinque fiori asimmetrici con tre petali piccoli e tre grandi, due di questi ultimi saldati insieme. La Strelitzia fiorisce dall'autunno fino alla primavera inoltrata ed è in questo periodo che fa bella mostra di sé adornando parchi e giardini. Ed è soprattutto in Puglia,
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Nowadays the Strelitzia is considered very important even in the cut flowers trade, becoming as precious as the Orchid. Since ever its exotic and mysterious charm has made this flower unique and rich, able to create a magic atmosphere, giving flair, elegance and fantasy to the place where it is.
ORIZZONTI FIORITI
grazie al suo clima favorevole, che questa pianta, amante del caldo, si staglia superba e altera contro l'azzurro specchiante e intenso del cielo. Il sole abbagliante della nostra regione esalta con i suoi raggi l'arancio, il bianco, l'azzurro e il blu scuro dei fiori ed è allora che luce e colori si fondono magicamente insieme. Il genere Strelitzia comprende diverse specie tra le quali ricordiamo: la Strelitzia Reginae, sicuramente la più conosciuta, la Strelitzia Alba o Augusta, la Strelitzia Juncea e la Strelitzia Nicolai, accomunate tutte da straordinaria bellezza. La riproduzione può avvenire per seme oppure più semplicemente e velocemente per divisione della pianta, cosa che viene effettuata nelle numerose aziende floricole che la coltivano a livello industriale, soprattutto nel barese, nel comune di Terlizzi, e nel Salento, nei comuni di Leverano e Taviano. La Strelitzia, infatti, ha ormai assunto una posizione di primissimo piano anche nel commercio dei fiori recisi, diventando preziosa quanto le Orchidee. Da sempre il fascino esotico e misterioso ha reso questo fiore unico e pregiato, capace di creare suggestive atmosfere, aggiungendo quel tocco in più di estro, eleganza e fantasia all'ambiente in cui si trova.
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Turcinieddi, past memory From the crackling barbecue to the sumptuously laid table, a typical dish and characteristic of Salento cuisine.
Sheep farming has been very common in Apulia for a long time; the farming of lambs, goats, sheep has certainly influenced the dietary habits of the people. The Apulian recipes made of mutton are still many and most of them come from the past. Not only at Easter but all year round the regional cuisine presents lamb, kidbased dishes. Among the cult recipes undoubtedly there are the turcinieddi that, with their simplicity, evoke the link of Apulia with its humblest country culture. The ingredients of this recipe are the lamb's or kid's intestine, tangible evidence of the will of not to waste any part of these excellent animals. People tell that during the celebrations, while lords banqueted with the noble parts, the servants used the “waste� to prepare unique and tasty roulades. There aren't written historical documents telling of the origin or the development of this dish because the
Turcinieddi, memoria del passato di Federica Sgrazzutti Dalla brace scoppiettante alla tavola imbandita, un piatto antico e caratteristico della cucina salentina.
PUGLIA MADRE
In Puglia, la pastorizia è stata per lungo tempo molto diffusa; l'allevamento di agnelli, capre, pecore ha certamente influenzato le abitudini alimentari della popolazione. Ancora oggi le ricette pugliesi che vedono l'impiego di carne ovina sono moltissime e, in buona parte, restano memoria del passato. Non solo a Pasqua, perciò, ma tutto l'anno la tavola regionale lascia spazio a specialità a base di agnello e capretto. Tra le ricette cult c'è, senza dubbio, quella dei turcinieddi che, nella loro semplicità, evocano il legame della Puglia con la propria cultura contadina più umile.
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oral tradition has handed down it, from generation to generation, from mother to daughter. The Italian word is turcinielli, but in dialect, besides turcinieddi there are numerous versions, according to the area: gnumerieddi, ghiemeriedde or mbojcate. The ingredients are the intestines such as liver, kidney, spleen, heart,
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Gli ingredienti di questa specialità sono le interiora dell'agnello o del capretto da latte, segno tangibile della volontà di non sprecare nessuna parte di un animale tanto pregiato. Si racconta che durante le ricorrenze, mentre i signori banchettavano con le parti nobili, i servitori utilizzavano gli “scarti” per la preparazione di involtini dal gusto e dall'aroma inconfondibili. Non vi sono documenti storici scritti che narrino l'origine o l'evoluzione di questo piatto, ciò perché è stata la tradizione orale a tramandarlo, di generazione in generazione, di madre in figlia. Il termine italiano con il quale identificare questa pietanza è turcinelli, ma in dialetto, oltre a turcinieddi, ci sono moltissime varianti, a seconda della provincia: gnumerieddi, ghiemeriedde o mbojcate. Come detto gli ingredienti sono le interiora, quali fegato, rognone, milza, cuore, polmoni e le budella. Queste devono essere prima “aperte” e lavate accuratamente con acqua e sale grosso, per pulirle e togliere i residui, quindi lasciate a bagno con limone. Rognone e milza richiedono la lessatura e poi, come le altre frattaglie, devono essere tagliati a tocchetti, per procedere alla preparazione di piccoli involtini, ai quali si va ad aggiungere pecorino, prezzemolo, sale e pepe. La forma tipica del turcinieddo (il cui diametro è di 3-4 centimetri e la lunghezza non supera i 12 centimetri) è data dalla membrana peritoneale che racchiude tutti i componenti e dalle budella con le quali viene legato. La cottura ideale degli involtini, che ne esalta il sapore e i profumi, è allo spiedo, sulla brace, con foglie d'alloro, ma ne esiste una versione, all'uso dei pastori della
lungs and entrails. The latter must be “opened” and accurately washed with water and kitchen salt in order to clean them and remove the residues, then soaked with lemon juice. Kidney and spleen must be boiled first and then, as the other offal, must be cut into cubes, in order to prepare small roulades, adding some pecorino cheese, parsley, salt and pepper. The typical shape of the turcinieddi (whose diameter is 3-4 centimetres and the length no over 12 centimetres) is given by the peritoneal membrane containing all the components and the entrails that it tie up. The ideal cooking of the roulades is on the spit, barbecued with laurel leaves, that exalts its taste and smell; but there is another version, from the shepherds of Murgia, according to which the turcinieddi are cooked in an earthenware pan, covered with water and seasoned with celery, winter tomatoes, parsley and onion, and served with grated cheese. There is even a recipe of the gnumerieddi baked with potatoes, perfect even for the marro (somewhere named "cibreo" and in dialect "cazzamarro"), having the roast's size but the same preparation of the smaller turcinieddo. Considering the care and the time it takes, it is more and more uncommon that the turcinielli are home made for this reason all the butchers sell them already made, and their request is quite high: there is no mixed grill in Apulia -at home or at the restaurant- that does not propose the turcinieddi, together with bombettas, roast meet, and spare ribs. It is very common that Apulia people before leaving to other Italian towns or abroad stock up on turcinieddi in order to enjoy them “far from home”, because they are one of the main symbol of the regional gastronomy with the flavour of their own land.
Murgia, secondo la quale i turcinieddi vengono cucinati in una pentola di terracotta, coperti di acqua e conditi con sedano, pomodorini invernali, prezzemolo e cipolla, e infine serviti in brodo con formaggio grattugiato. C'è anche la ricetta degli gnumerieddi al forno con patate, perfetta anche per il marro (chiamato in alcune zone "cibreo" e in dialetto "cazzamarro"), che ha le dimensioni di un arrosto, ma il processo di preparazione è lo stesso del più piccolo turcinieddo. Considerato l'impegno e il tempo richiesto, è sempre più raro che i turcinelli vengano fatti in casa, poiché tutte le macellerie li propongono già pronti, andando incontro ad una richiesta di mercato piuttosto alta: non c'è grigliata in Puglia, tra le mura domestiche o al ristorante, che non preveda, insieme a bombette, arrosticini e costine, anche una porzione di turcinieddi. Ed essendo questa pietanza uno dei principali simboli della gastronomia regionale, molto di frequente i pugliesi in partenza per altre città d'Italia o all'estero non esitano a farne scorta, per una degustazione “fuori porta”, con il sapore della propria terra.
PUGLIA MADRE
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With Albano, Apulia: a land to be bitten and sipped You cannot get to the Tenuta of Albano Carrisi by chance, you must go there intentionally. You do not need to know the way, when you get to Cellino San Marco it's enough to ask somebody where it is and he'll take you there with pleasure. The first impact is amazing. The dazzling glare of the sun hacking the buildings made of calcareous stone against the Ocean of ancient olives and havens of green, gives friendly and meditative peace. He lives in his stone creation, that grows day by day, together with the nature surrounding him. The village is the result of his lively and creative mind and represents a man whose heart beats in order to sing life. Here life goes by timeless and in a place continuously invented; it is as changeable as the olives' bark looking for the sun. In Albano's kingdom Apulia draws long shades between dawn and sunset joining present and past. Scattered about there are signs and symbols of his songs, notes recalling Lecce stone and tufa used to erect the building of his own existence. Albano is there, wherever, like his music. It is enough to listen, it is enough to be amazed in front of this figure whose disarming simplicity, loved and criticized at the same time, represents the magic word to enter the Garden of Eden. An enchanted place that can be just in Cellino San Marco. What does all of this represent for you? Who is the man longing for taking in these places at a glance from the top of a stone tower after every journey in far off lands or just at few steps from home?
Con Albano, una Puglia da mordere e sorseggiare di Alessandro Stajano
BISBIGLI NEL VENTO
Alla Tenuta di Albano Carrisi non si arriva per caso, ci si deve andare di proposito. Non importa conoscere la strada, quando si arriva a Cellino San Marco. Una volta lì è come chiedere a un romano dove si trova San Pietro: qualcuno saprà indicarvi la via o vi ci porterà ben volentieri. Il primo impatto è strabiliante, ma lo sguardo, che subito si perde tra l'abbacinante riverbero del sole che staglia gli edifici di pietra calcarea in un oceano d'ulivi secolari e oasi di verde pregno di vita, dona pace accogliente e meditativa. Lui è tutto proiettato nella sua creazione lapidea, che cresce di giorno in giorno, insieme alla natura che lo circonda. Il villaggio, nato dalla sua mente fervida e creativa, proietta l'essenza di un uomo il cui cuore batte per cantare la vita. Quella che, a casa sua, trascorre lontano dal tempo e in uno spazio inventato di continuo, mutevole come la corteccia degli ulivi che cercano il sole. Nel regno di Albano c'è una Puglia tutta tesa, tra ogni alba e tramonto, a disegnare lunghe ombre che uniscono il presente al passato. Qua e là segni e simboli intessuti nella fitta trama delle sue canzoni, note che rimandano a mattoni di carparo e tufo con cui ha innalzato l'edificio della sua stessa esistenza. Albano è lì, in ogni cosa, come la sua musica. Basta saper ascoltare, basta sapersi stupire di fronte a questo personaggio la cui disarmante semplicità, così visceralmente amata e criticata al tempo stesso, rappresenta la
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Years ago I'd never have thought that once run away from this land- it was just an escape- I'd have been so lucky to rediscover Apulia, Salento. I left my family to follow my exigency of stirring up what I knew was unmoving. Cellino life was like an already seen movie, with the same actors, an already declaimed dialogue, a break made just in that exact moment, a full stop at the end of that endlessly repeated sentence. Even if my house, my family and all the moments I had loved, were deeply in my heart, sudden blazes gave rise to inner fires urging something extraneous to that. I thought I had found somewhere else an ideal dimension where I could escape from the straits and the daily hardship of a poor village, of a stagnating life. Then, in a dark small room in Milan, in a building in Giambellino road where I worked as a carpenter, I realized I felt a tremendous sense of vacuum. I was alone and I had to get by in a town where I didn't know anyone. When, suddenly, you happen to live cultural and material wealth that doesn't belong to you, you realize that you're going in the direction opposite to your origins. My “poverty”, the poverty of a life in a land of country traditions and culture, was my treasure. But I realized this only many years later. That tower dominating the 130 hectares of the Tenuta, represents my experience: it reminds me the sacrifices I made to obtain all of this; because I have always wanted to live among these rows of vines, watching the colours of the land that fed and made me famous. Wherever I am I miss it so, when I'm at home I get on the highest place to watch as far as the eye can see, and to buck up of renewed energy. What kind of change did you notice when you got back? What do you see in the eyes of those people you have left here? I made myself this question many times and I asked myself if it was me to be changed instead of the people who had stayed. Anyway something had happened. Paradoxically, when I attended the school Pietro Siciliano in Lecce I remember the happiness on my teachers' faces on the pay day. They didn't like teaching. Money was more necessary than the concretizing of a project. I was sure that my dream couldn't come true. Those years my people had to leave in order to support their families. We were a people of emigrants compelled to leave the sun, the land to seek our “fortune” in the North. Which fortune? The one I have found is different and has made me aware of who and what I was going to sacrifice. Nowadays I meet those same eyes and they are only more tired but full of stories of life to be taught and remembered together. They are loved people, spontaneous smiles, generous gestures. It is a priceless treasure and, when we were troubled, it has made us to get over all the difficulties making me richer and full of hope. Even under the worst blows. But this is the beauty of my life. In your intense autobiography “E' la mia vita”, for the first time you deal with situations you've kept silent about so far. Why now? Well, it's not easy to open out; mainly to oneself. You suffer something, you chew
parola magica per entrare nel giardino dell'Eden. Un luogo incantato che, perché no, potrebbe trovarsi proprio a Cellino San Marco. Cosa rappresenta tutto questo per te? Chi è l'uomo che dopo ogni viaggio in terre lontane, o a due passi da casa, brama di tornare ad abbracciare con lo sguardo questi luoghi dall'alto di una torre di pietra? Io non avrei mai immaginato, anni fa, che una volta scappato da questa terra, perché proprio di fuga si trattò, avrei avuto la fortuna di riscoprire la Puglia, il Salento. Qui lasciavo la stabilità degli affetti, che non è poca cosa, seguivo la mia esigenza di smuovere ciò che sapevo immobile. La vita a Cellino era come un film già visto, interpretato dagli stessi attori, era un dialogo già declamato, una pausa fatta in quel preciso momento, un punto alla fine di quella frase ripetuta all'infinito. Pur portandomi dietro la fotografia mentale della casa, della mia famiglia, dei momenti che ho amato, improvvise fiammate davano luogo a incendi interiori che reclamavano qualcosa di estraneo a tutto ciò: mi illudevo d'aver trovato altrove una dimensione ideale nella quale rifugiarmi dalle difficoltà economiche e dalla sofferenza quotidiana di un paese povero, di una vita stagnante. Poi, al buio di una stanzetta di Milano, in quello stabile di via Giambellino, in cui il buon Gaber animò il suo Cerruti Gino, dove lavoravo come edile imbiancando pareti, “mamma nostalgia” mi fece rendere conto di provare un tremendo senso di vuoto. Ero solo e dovevo tirare a campare in una città dove non conoscevo nessuno. Quando improvvisamente ti trovi a vivere una ricchezza che non ti appartiene, culturalmente e materialmente, qualcosa dentro di te grida per farti capire che stai andando nella direzione opposta alle tue origini. La mia “povertà”, la povertà del vissuto in una terra di tradizioni e cultura contadine, era la mia ricchezza, ma questo l'ho capito molto tempo dopo. Quella torre, che domina i 130 ettari della Tenuta, simboleggia un po' la mia esperienza: l'ho voluta perché mi ricorda i sacrifici che ho fatto per ottenere tutto questo, perché ho sempre desiderato vivere tra questi filari, osservare i colori della terra che mi ha nutrito e mi ha reso famoso. Ovunque mi trovi ne sento la mancanza e quando sono a casa salgo sul punto più alto per guardare lontano, a perdita d'occhio, e ricaricarmi di nuova energia. Che tipo di cambiamento hai riscontrato al tuo ritorno? Quando guardi negli occhi le persone che hai lasciato qui cosa vedi? E' una domanda che mi sono fatto parecchie volte e, spesso, mi sono chiesto se ero io ad essere cambiato o la gente che era rimasta. Qualcosa, ad ogni modo, era accaduto. Paradossalmente, ricordo, quando frequentavo la scuola Pietro Siciliano di Lecce l'immagi-
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over grief, you metabolize your emotions and then, maybe, everything changes into... music. I couldn't attend great schools; I'm a self-taught person, one who sings what he feels inside. When I do it I open out to my public and I tell them my life. But it's harder through a book. It was a night, there was Roberto Allegri, a dear friend of mine and we were talking just to relax, drinking some good wine together. Then I realized I was telling non-stop about what I had hidden in the deep of me since years as if nothing was the matter. Evidently his company, his sincere friendship have moved a clock that had been stopped since long time. It was the right moment to do it. It was a duty for those who still love me and haven't left me yet (particularly his public, as he says in the dedication on the book, Editor's Note). So, the meeting of a short interview becomes an unexpected invitation to dinner in the country privacy of his kitchen. What with a chat and lots of laughing, the “singer of the people”, the man used to be side by side with the powerful of the world, becomes the friend as ever, the confident, the host anyone would like to meet. And while the carrots crème of the risotto is cooking in the pan and the “impepata” of mussels is puffing airily, a journey in the memory has begun, to find out a lost identity now recovered into a glass of wine, behind a smile
telling
just
“my
friend, you're welcome”. Chatting and tasting the homemade flavours, the time stops and the cicadas' chirp accompanies us. I have known Albano Carrisi for less than one day, but now I'm sitting on his table and I'm having dinner and I'm laughing together with his children and I'm realizing he, the “warrior” (as he likes to name himself), has won the battle against the stupidity, that foolishness that close the imagination's eyes and the truth's ears. Looking into his eyes I see the flame glowing into the convictions of those who are proud of being what they are and welcome you as a brother. Now I am realizing that Albano Carrisi has
always
Apulian.
been
an
ne della felicità che leggevo sul volto dei miei professori era direttamente collegata al giorno di “San Paganino” (il 27 del mese, ndr). Mancava la voglia d'insegnare, di comunicare. I soldi erano una necessità, prima che il concretizzarsi di un progetto. E io avevo raggiunto la convinzione che a Cellino il mio sogno non si sarebbe realizzato. In quegli anni i vicini, i parenti, gli amici dovevano partire per sostenere le proprie famiglie. Eravamo un popolo d'emigranti che abbandonavano il sole e la terra per cercare “fortuna” al Nord. Quale fortuna? Quella che ho trovato io, ad esempio, è di tutt'altra natura. Mi ha fatto ricordare chi e che cosa stavo per sacrificare. Oggi quegli stessi occhi che incontro per strada sono solo più stanchi, ma sono pieni di storie di vita da insegnare, da ricordare insieme. Sono affetti ritrovati, sorrisi sempre spontanei, gesti generosi. E' un tesoro inestimabile che nei momenti di vera difficoltà, mia e della mia famiglia, mi ha fatto superare tutto lasciandomi ogni volta più ricco e pieno di speranza, anche quando le sberle erano così forti da capovolgermi. Ma è il bello della mia vita. Proprio nella tua intensa autobiografia “E' la mia vita” affronti per la prima volta temi che avevi taciuto finora. Perché adesso? Vedi, aprirsi non è cosa facile, soprattutto con se stessi. Si subisce qualcosa, si mastica il dolore, si metabolizzano le emozioni e poi, magari, tutto si trasforma in musica. Io non ho avuto la possibilità di frequentare grandi scuole, sono un autodidatta, uno che canta ciò che sente dentro. Quando lo faccio mi apro al pubblico e gli racconto la mia vita. Con le parole di un libro, però, è mestiere più duro. La decisione una sera, con me c'era un caro amico, Roberto Allegri, con il quale chiacchieravamo per rilassarci e raccontarci le novità bevendo insieme del buon vino. Poi, come se nulla fosse, mi accorsi che avevo preso a parlare senza sosta di ciò che avevo sigillato nel profondo di me, ormai da anni. Evidentemente la sua compagnia, la sincerità della sua amicizia avevano fatto scoccare il primo rintocco di un orologio che era fermo da tanto tempo. Era il momento giusto per farlo. Era un atto dovuto a chi mi ama ancora e non mi ha mai abbandonato (specialmente il pubblico, come egli stesso dichiara nella dedica del libro, ndr). Così capita che l'incontro fissato per una breve intervista si trasformi in un inatteso invito a pranzo, nella rustica intimità della sua cucina. Tra quattro chiacchiere e tante risate il “cantante della gente”, l'uomo abituato a stare al fianco dei potenti del mondo, diventa l'amico di sempre, il confidente, l'ospite che ognuno vorrebbe incontrare. E quando in padella sta sfumando una crema alle carote per condire un risotto dalle reminiscenze iberiche e la terrina con l'impepata di cozze sbuffa allegramente, è già iniziato un viaggio nella memoria, alla ricerca di un'identità perduta e poi ritrovata, sul fondo di un bicchiere di vino, dietro un sorriso che non dice altro se non “benvenuto, amico mio”. Immersi nella conversazione, gustando i sapori di casa nostra il tempo si ferma e il frinire delle cicale ci accompagna sulle note dell'estate che avanza. Conosco Albano Carrisi da meno di una giornata, ma adesso che siedo alla sua tavola, mangio e rido insieme ai suoi figli, mi accorgo di che regalo enorme mi ha fatto. Lui, l'uomo che ama definirsi il “guerriero”, ha vinto la battaglia contro la stupidità, quella follia che chiude gli occhi all'immaginazione e le orecchie alla verità. Guardandolo negli occhi, senza il filtro catodico, scorgo quella fiamma che arde viva nelle convinzioni di chi è fiero d'essere ciò che è, e ti accoglie in casa come un fratello. Ora capisco che Albano Carrisi è stato sempre un pugliese. Quando il sole tornerà, domani, anch'io lo sarò di più.
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