ACCADEMIA DEL FITNESS

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L’Accademia del Fitness Wellness & Anti-aging Magazine

n.02



numero 02 / 2011

Editoriale

ACCADEMIA DEL FITNESS Galleria Crocetta 10/A 43126 PARMA Tel. 0521.941319 Fax 0521.294971 info@accademiadelfitness.com www.accademiadelfitness.com Direttore: Massimo Spattini In redazione: Silvia Iorio Cristiana Pedrazzini Cinzia Ruggeri Hanno collaborato a questo numero: Leone Arsenio Gianfranco Beltrami Enrico Bevacqua Daniela Buonocore Daniele Cozzini Alessandro Gelli Giampaolo Lavagetto Mauro Mario Mariani Fulvio Marzatico Giovanni Montagna Massimo Negro Filippo Ongaro Adolfo Panfili Sara Rucci Massimo Spattini Foto: Alex Ardenti Cinzia Ruggeri Editore: Mattioli 1885 S.p.A. Str. della Lodesana, 649 sx Loc. Vaio 43036 Fidenza (PR) tel. 0524 892111 www.mattioli1885.com

Dopo la pubblicazione del primo numero della rivista L’Accademia del Fitness Wellness & Antiaging Magazine abbiamo avuto molteplici feedback positivi. Tra le tante e-mail ricevute voglio riportarne una, quella di Claudio Copetti della palestra The Top Gym di Malonno, che credo le possa rappresentare tutte: “…..devo fare i complimenti a tutto lo staff: rivista semplice, ricca di contenuti e notizie alternative, redatta da persone altamente specializzate e molte argomentazioni curate ed informazioni che si distinguono dalle solite banalità e luoghi comuni”. Ebbene proprio questo era il nostro obiettivo: contenuti reali ed informazioni utili. Progetto supportato da aziende che hanno una base scientifica e che non fondano il loro marketing su frasi ridondanti e immagini forti ma che credono nell’importanza della comunicazione. Proprio di comunicazione e di come farla si è parlato in un tavolo tecnico tenutosi al Campidoglio il 13 maggio organizzato dal Prof. Adolfo Panfili (delegato del sindaco di Roma per le ASL e per i Rapporti con gli Enti Istituzionali Sanitari) dove si sono incontrati e confrontati alcuni dei maggiori esponenti a livello nazionale della varie discipline legate alla tutela della salute: medicina sociale, medicina del lavoro, oncologia, psicologia, urologia, genetica, medicina funzionale, disturbi del comportamento alimentare, farmacia; io ero presente come rappresentante del mondo del Fitness e dell’Anti-aging. Ciò che è emerso da questo incontro, molto proficuo, è stata appunto la necessità di istituire nuovi canali di informazione e comunicazione per il cittadino per promuovere stili di vita corretti ed affrontare così una reale prevenzione sulla base delle mo-

derne conoscenze scientifiche. Personalmente ho proposto di coinvolgere l’ambiente delle palestre, gli istruttori, i personal trainers come naturale strumento di comunicazione di messaggi rivolti al benessere e agli stili di vita. Se è vero che i frequentatori delle palestre sono già predisposti all’attività fisica non è così scontato che lo siano verso altre misure preventive quali corretta alimentazione, screening diagnostici etc… L’istruttore può realmente diventare il comunicatore ed il motivatore facendo da tramite con le istituzioni sanitarie. Ovverosia il mondo del fitness deve essere visto dalle istituzioni sanitarie come una preziosa risorsa da sfruttare e non come qualcosa al di fuori dagli schemi. Ovviamente tutto questo va fatto con strutture ed istruttori accreditati e qualificati. Durante questo tavolo tecnico è stata presentata inoltre la nostra rivista che ha riscontrato ampi consensi anche a quei livelli. Direi quindi un consenso trasversale e longitudinale, dalla base ai vertici, che non puo’ che stimolarci a continuare su questa strada e, possibilmente, a migliorarci ancora. Questo numero è interamente dedicato alle relazioni del convegno “Alimentazione Antiaging” del 4 giugno a Parma. Abbiamo pensato di fare cosa gradita consegnandola ai partecipanti del convegno in maniera che rimanga un testo cartaceo di consultazione e, coloro che invece non saranno potuti intervenire, avranno la possibilità di attingere dalla rivista buona parte delle argomentazioni in esso trattate. Ricordate: “Conoscere è potere” Massimo Spattini

Presidente dell’Accademia del Fitness

Registrazione n. 12/2004 Tribunale di Parma

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L’Accademia del Fitness

Sommario Editoriale

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di Massimo Spattini

DIETA ED EVOLUZIONE

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Epigenetica: come il cibo influenza l’espressione genica

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di Leone Arsenio

di Filippo Ongaro

La Nutrigenomica

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I CIBI ANTIOSSIDANTI

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di Enrico Bevacqua

di Gianfranco Beltrami

IMPIEGO PRATICO E SINERGICO DI MOLECOLE E FITO ESTRATTI PER CONTRASTARE CONCRETAMENTE L’INVECCHIAMENTO PSICO-FISIOLOGICO 17 di Alessandro Gelli

Carenza di ossigeno, acidosi tissutale e stress ossidativo, “una catena da spezzare”? 19 di Mauro Mario Mariani

I PRINCIPI DELL’ALIMENTAZIONE “ENERGETICA” NELLA MEDICINA tRADIZIONALE CINESE 21 di Daniele Cozzini

La sintesi proteica nel processo di invecchiamento

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di Massimo Negro, Sara Rucci, Daniela Buonocore, Fulvio Marzatico

LA DIETA pH

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DIETA E CORTISOLO

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ALIMENTAZIONE E METABOLISMO OSSEO

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La dieta Anti-age: un punto d’incontro tra dieta a zona, mediterranea e antI-infiammatoria

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di Adolfo Panfili

di Massimo Spattini

di Giampaolo Lavagetto

di Giovanni Montagna 4


DIETA

L’ANGOLO

numero 02 / 2011

DEL LIBRO

ED EVOLUZIONE

Il cibo, con i suoi nutrienti, in particolare proteine, omega 3 e colesterolo, ha contribuito alle variazioni del genoma e quindi alla selezione naturale, modificando la struttura corporea degli ominidi, rispetto ai Primati, fino alla comparsa dell’Homo sapiens: in particolare hanno contribuito all’andatura verticale (bipedismo) e all’aumento di volume del cervello. E’ impressionante verificare come le principali tappe della storia dell’uomo siano, in qualche modo, collegate alle condizioni ambientali. L’ultima glaciazione è finita circa 12-13mila anni fa e si è instaurato, tra 7500 e 4500 anni fa, il clima attuale, con le familiari quattro stagioni, anche se sono continuate periodiche e contenute oscillazioni termiche. L’uomo ha abbandonato il foraggiamento tradizionale (caccia e raccolta di vege-

tali spontanei), a causa della rarefazione degli animali da cacciare, ed è passato alla fase agricola (coltivazione dei campi e allevamento degli animali) più conveniente nella resa energetica. Gli uomini consumavano come base nutrizionale i cereali, ma li integravano sempre in modelli alimentari più completi (“pacchetti alimentari” secondo Diamond): in Europa cereali, legumi e bestiame, in America mais, fagioli e cucurbitacee. E’ aumentata la quantità, ma è peggiorata la qualità del cibo e sono comparse nuove malattie da carenza nutrizionale e da infezioni, anche per la convivenza e la promiscuità con altri uomini e animali; la statura si è abbassata. Dall’Ottocento, grazie alla scoperta del vapore, è iniziata l’era industriale, con un forte incremento della disponibilità di cibo per il miglioramento delle tecniche di coltivazione, conservazione e trasporto,

L’uomo è l’unico essere vivente che mangia abitualmente vegetali e animali e non fa parte di catene alimentari naturali.

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L’Accademia del Fitness

La competizione per il cibo imponeva di spostarsi rapidamente per avere maggiori opportunità di sostentamento, precedendo i naturali competitori. Nelle lunghe distanze, la velocità dell’uomo è sorprendentemente comparabile a quella dei mammiferi, come cani e cavalli.

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superando l’economia su base locale. La moderna agricoltura, figlia delle scoperte scientifiche del Novecento, nasce dall’uso coordinato della chimica, dalla selezione genetica di nuove varietà e dalla meccanizzazione. Tutto questo determina inevitabilmente vantaggi e svantaggi, quali: da un lato aumento straordinario delle rese, diminuzione dei prezzi al consumo dei prodotti agricoli, diminuzione della manodopera nelle campagne, diminuzione della superficie agricola coltivata; dall’altro, conseguenze negative sono: inquinamento dell’aria e dell’acqua (aumento dei nitriti nei vegetali, dei metalli pesanti nell’acqua di irrigazione e nei concimi, l’uso di pesticidi), le interminabili catene alimentari, le lunghe conservazioni, l’abuso di sostanze conservanti e la presenza di contaminanti ed infine la perdita di colture tradizionali, con il fenomeno dell’erosione genetica e riduzione della biodiversità. Due secoli sono un periodo troppo breve per variazioni del genoma, per cui l’impronta genetica dell’uomo moderno rimane, comunque, quella dei nostri antichi antenati: il nostro metabolismo funziona ancora per favorire il risparmio energetico (“fenotipo risparmiatore”). Tutte le principali patologie degenerative, dal diabete all’ipercolesterolemia, dall’ipertensione alle malattie cardiovascolari, dalle malattie reumatiche ai tumori, dalle malattie dentali alle demenze, ma prima di tutto l’obesità, drammatica “epidemia” della nostra società, trovano le loro radici nel contrasto tra l’alimentazione ricca ed abbondante di oggi rispetto al mangiare poco e “magro” del passato. Una serie di dati legati sia a ritrovamenti archeologici sia ad osservazioni biologiche permettono, comunque, di concludere che l’uomo rimane un animale onnivoro, in quanto è provvisto di caratteristiche tipiche degli erbivori, quali la dentatura posteriore, il secondo tratto dell’apparato digerente, mentre la dentatura anteriore (incisivi e canini) e il primo tratto dell’apparato digerente presentano caratteristiche proprie dei carnivori. Nella vista la preferenza è per i colori più che per il movimento, come negli erbivori. Anche la distribuzione e gli orari dei pasti differiscono notevolmente rispetto a quelli dei carnivori e degli erbivori: l’uomo non è, infatti, un “mangiatore occasionale”, come i grandi felini, e neanche un “mangiatore continuo”, come ad esempio gli equini o i bovini o gli ovini, ma al contrario consuma regolarmente dei pasti, che, con il passare degli anni, diventano meno numerosi e più distanziati nell’arco della giornata. L’uomo è l’unico essere vivente che mangia abitualmente sia vegetali, sia animali erbivori, sia animali carnivori, e non fa parte di catene alimentari naturali. Non deve meravigliare se, fin dall’antichità, l’uomo si è posto il problema di una corretta ed adeguata alimentazione, in quanto i riflessi del cibo sulle capacità e sulle potenzialità dell’individuo sono stati sempre considerati determinanti, tanto da poter condizionare l’evoluzione della specie umana. Recentemente è stato ipotizzato che anche la corsa abbia svolto un ruolo importante nel processo evolutivo dell’uomo (BRAMBLE DM, LIEBERMAN DE: Endurance running and the evolution of homo. Nature, vol 432, 2004, 345-352). In precedenza era stata sottolineata l’importanza della marcia,


numero 02 / 2011 che ha permesso agli ominidi divenuti bipedi di compiere giornalmente percorsi molto prolungati fra i cespugli della savana, mantenendo un ottimale angolo di visuale grazie alla stazione eretta. La mancanza di attenzione verso la corsa era influenzata dall’osservazione che l’uomo è un mediocre velocista, in confronto alle prestazioni di altri mammiferi. In particolare gli sprinter d’elite umani sono lenti, capaci di sostenere velocità massime di soli 10,2 ms-1 per meno di 15 secondi, mentre i mammiferi, come cavalli, antilopi, ecc., possono mantenere velocità al galoppo fino a 15-20 ms-1 per vari minuti. Il costo energetico per la corsa, inoltre, è maggiore nell’uomo rispetto ai mammiferi quadrupedi. Nonostante che l’uomo sia un mediocre velocista, le sue capacità di corsa protratta, di lunga durata, a metabolismo aerobio (endurance) sono in realtà notevolmente migliori. La velocità ottimale per il cammino è di circa 1,3 ms-1, in rapporto alla lunghezza degli arti inferiori, ed è osservazione comune che l’aumento di velocità oltre 2,3-2,5 ms-1 spinge istintivamente gli uomini a passare dalla marcia alla corsa. La corsa segue regole completamente differenti rispetto alla marcia, che è legata ad un meccanismo a pendolo degli arti inferiori. D’altronde è ipotizzabile che negli spostamenti i cacciatori-raccoglitori avessero necessità di alternare marcia e corsa in rapporto a variabili necessità sia cacciare sia di non diventare preda. La competizione per il cibo inoltre imponeva di spostarsi rapidamente per avere maggiori opportunità di sostentamento, precedendo i naturali competitori. In realtà, nelle lunghe distanze, la velocità dell’uomo è sorprendentemente comparabile a quella dei mammiferi, come cani e cavalli. Gli sportivi amatoriali sono abitualmente in grado di correre per 10 e più km ogni giorno e i maratoneti riescono a sostenere una corsa di 42,2 km, prestazioni considerate impossibili per i pri-

mati e non molto lontane da quelle dei mammiferi galoppatori nel loro habitat naturale. I meccanismi che permettono all’uomo di avere prestazioni di endurance nettamente migliori rispetto ai primati sono molteplici. L’uomo, rispetto ai primati, ha apparati muscolo-tendinei più allungati, come ad esempio il tendine d’Achille; ha un valido arco plantare del piede, che si comporta da struttura elastica che assorbe l’energia d’urto generata dal contatto con il suolo e in parte la restituisce; ha sostanzialmente più larghe superfici articolari assorbenti l’onda d’urto proveniente dal terreno, come lo stesso arco plantare, la testa del femore, il ginocchio, un largo bacino; ha bilanciamento e stabilizzazione nella corsa migliori. L’uomo, infatti, riesce a stabilizzare il tronco e la testa nella corsa mediante i movimenti coordinati delle braccia, il maggiore sviluppo dei muscoli dorsali e glutei e del legamento nucale. Durante la corsa prolungata, inoltre, si sviluppa molto calore endogeno che l’uomo riesce a termodisperdere meglio mediante il sudore, facilitato dalla mancanza del pelo (la “scimmia nuda”). Infine l’uomo è in grado di passare dalla respirazione nasale a quella orofaringea, che permette d’aumentare il volume dell’aria inspirata, di ridurre la resistenza al passaggio della stessa aria e di favorire la termodispersione. Dottor Leone Arsenio Laurea in Medicina e Chirurgia, Specializzazione in Endocrinologia e malattie del ricambio, in Medicina Interna, Biochimica e chimica clinica. Professore a contratto presso le scuole di specializzazione di Medicina interna e in Endocrinologia e malattie del ricambio dell’Università di Parma.

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Epigenetica:

L’ANGOLO

L’Accademia del Fitness

DEL LIBRO

come il cibo influenza l’espressione genica

Se da un lato è evidente che l’evoluzione tecnologica dell’uomo ha portato innumerevoli vantaggi è altrettanto vero che le profonde trasformazioni dell’ambiente in cui viviamo hanno molti risvolti negativi sulla nostra salute. In particolare l’introduzione dell’agricoltura ed il passaggio da una vita da nomadi e cacciatori a quella di contadini stanziali, si è tradotta in un cambiamento radicale delle abitudini alimentari che hanno assunto nel tempo e soprattutto dopo la rivoluzione industriale, caratteristiche assolutamente incompatibili con la nostra realtà biologica. Il nostro genoma ed il nostro metabolismo si adattano infatti in tempi estremamente lunghi e i 10.000 anni intercorsi dalla nascita dell’agricoltura ad oggi e soprattutto le poche decadi che ci separano dall’inizio della rivoluzione industriale, non sono stati sufficienti ad indurre reali adattamenti metabolici. Questo significa in parole semplici che il nostro corpo è ancora adattato ad un’alimentazione primordiale mentre da 10.000 anni a questa parte mangiamo in modo sempre più raffinato, cibi sempre più lavorati con sempre più calorie e sempre meno nutrienti. Queste trasformazioni assieme ad altri cambiamenti profondi nel nostro stile di vita, hanno dato vita ad un fenomeno di discordanza evolutiva, una condizione in cui l’ambiente cambia a velocità superiore rispetto alle capacità di adattamento dell’essere vivente. L’aumento drastico di patologie metaboliche tra cui obesità e diabete è da attribuire completamente a fenomeni ambientali visto che nulla è cambiato nel nostro genoma che ci possa fare ipotizzare cause genomiche per questa epidemia. Alcuni studi molto interessanti condotti separatamente da Cordain, Lindenberg e Ames e pubblicati su prestigiose riviste internazionali, hanno messo in evidenza in tutta la sua drammaticità l’inadeguatezza dell’alimentazione moderna e purtroppo anche dell’approccio della medicina classica al problema nutrizione. La chiave per un’alimentazione sana e perfino terapeutica è la comprensione che il cibo non rappresenta solo calorie ma piuttosto informazione che, entrando nell’organismo, ha la capacità

Un’alimentazione sana ha la capacità di regolare o sregolare le funzioni cellulari e l’espressione genica

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di regolare o sregolare le funzioni cellulari e l’espressione genica. In una vita media di 80 anni si ingeriscono circa 50 tonnellate di alimenti e l’informazione molecolare che essi veicolano possono avere l’effetto benefico di modulare positivamente i processi cellulari oppure quello dannoso di sovvertirli. I difetti fondamentali dell’alimentazione odierna si possono riassumere in 7 punti:

1. Eccessivo carico glicemico: l’eccessivo consumo di carboidrati raffinati (non integrali) e di zuccheri semplici è legato a molte patologie tra cui obesità, diabete, iperinsulinemia e resistenza insulinica, sindrome metabolica, ipertensione, malattie cardiovascolari, dislipidemie, sindrome dell’ovaio policistico, acne, gotta ed alcune forme di tumore (colon, seno, prostata). Il consumo annuale di zucchero nel Regno Unito è aumentato da 6.8Kg pro-capite nel 1815 a 54.5Kg nel 1970. Negli USA il consumo di zucchero nel 2000 è arrivato a 69.1Kg all’anno. Il problema non è solo l’assunzione consapevole di zucchero ma anche quella che avviene all’insaputa del consumatore. Lo zucchero è infatti aggiunto in moltissimi prodotti confezionati tra cui bibite, merendine, caramelle, condimenti e perfino nel salmone affumicato e nella senape. Eliminare il consumo di zucchero e sostituire i carboidrati raffinati con quelli integrali è un passo decisivo per migliorare la nostra salute. 2. Errata assunzione di acidi grassi: la demonizzazione spesso eccessiva dei grassi ha comportato un ridotto consumo anche di grassi sani e uno spostamento verso cibi a basso contenuto di grassi ma con zuccheri aggiunti. Un bilanciato consumo di acidi grassi è invece essenziale per la salute umana garantita in particolare dall’assunzione di acidi grassi omega 3 con proprietà anti-infiammatorie, neuro e cardio-protettive e da acidi grassi monoinsaturi come l’acido oleico dell’olio d’oliva ricco per altro di polifenolli e antiossidanti. Molte della patologie cronico-degenerative e infiammatorie sembrano essere associate ad uno squilibrio tra omega 3 ed omega 6 con ecces-


numero 02 / 2011

SEMINARIO DEL 23-24-25 SETTEMBRE 2011 Psicologia clinica

SEMINARIO DEL 17-18-19-20 NOVEMBRE 2011 Alimentazione e attività fisica

Venerdì 23/09 9.00-13.00: Immagine corporea: aspetti generali (Dott.ssa A. Pellegrino) 14.00-17.00: Pratica con Tutor: valutazione dello stress (Dott.ssa L. Bicchieri) 17.00-19.00: Strumenti di assessment: misure percettive e cognitivo-comportamentali (Dott.ssa A. Pellegrino) Sabato 24/09 9.00-13.00: Immagine corporea e interventi estetici (Dott.ssa L. Bicchieri) 14.00-17.00: Pratica con Tutor: comunicazione col paziente e invio dallo Specialista (Dott.ssa A. Pellegrino) 17.00-19.00: Strumenti di assessment: il colloquio (Dott.ssa L. Bicchieri) Domenica 25/09 9.00-13.00: Disturbi da dismorfismo corporeo (Prof. D. Dèttore)

Giovedì 17/11 14.00-19.00: Pratica con Tutor: elaborazione di piani dietetici e monitoraggio dei risultati ottenuti (Dott. F. Cioni, Dott. I. Bonazzi) Venerdì 18/11 9.00-11.00: Esercizio fisico e controllo dell’assetto ponderale (Prof. A. Bonetti) 11.00-13-00: Aspetti di fisiologia dello sport: l’adattamento cardiovascolare allo sforzo (Dott. R. Ballini) 14.00-17.00: Alimentazione, evoluzione e sport (Prof. L. Arsenio) 17.00-19.00: Aspetti di fisiologia dello sport: l’adattamento respiratorio allo sforzo (Dott. A. Fiorina) Sabato 19/11 9.00-11.00: L’attività fisica come farmaco (Dott. L. Brambilla) 11.00-13.00: Integratori e nutraceutici (Dott.ssa C. Vignali) 14.00-19.00: Protocolli personalizzati di allenamento (Dott. G. Lavagetto) Domenica 20/11 9.00-13.00: Pratica con Tutor: Attività fisica sul campo (Dott. G. Lavagetto)

SEMINARIO DEL 20-21-22-23 OTTOBRE 2011 Scienza dell’alimentazione Giovedì 20/10 14.00-19.00: Pratica con Tutor: l’assessment psicodiagnostico (Dott.ssa L. Bicchieri e Dott.ssa A. Pellegrino) Venerdì 21/10 9.00-11.00: Alimentazione e cute (Dott. F. Antonaccio) 11.00-13.00: Obesità: Adipociti e ormoni (Dott.ssa M. Giordano) 14.00-17.00: Obesità: Una visione di insieme (Prof.ssa E. Dall’Aglio) Sabato 22/10 9.00-11.00: Allergie alimentari (Prof. P.P. Dall’Aglio) 11.00-13.00: Intolleranze alimentari (Dott.ssa E. Accogli) 14.00-19.00: Trattamenti dietetici a confronto (Dott. F. Cioni, Dott. M. Spattini) Domenica 23/10 9.00-11.00: Visita medica dietologica (Dott. F. Cioni) 11.00-13.00: Monitoraggio dello stato di nutrizione (Dott. E. Corradi)

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L’Accademia del Fitness insolubile, che si trova prevalentemente nei cereali integrali serve ad ottimizzare il transito gastrointestinale e l’alvo. 6. Errato equilibrio acido-base: tutti i cibi dopo essere stati digeriti e metabolizzati rilasciano sostanze alcaline o acide nella circolazione sistemica. Oggi la maggior parte dei cibi alcalinizzanti o neutri (legumi, vedure, frutta, noci, semi, tuberi) sono spariti dalla nostra alimentazione per lasciare spazio a cibi acidificanti (carne, uova, latte, formaggi, sale). Questo comporta che molti di noi sono in uno stato di acidosi cronica che è incide sulla perdita di tessuto muscolare, sull’osteoporosi, sui calcoli renali, sull’ipertensione e sull’ insufficienza renale.

siva assunzione di questi ultimi. L’altro problema che riguarda i grassi è la massiccia introduzione nei cibi industriali di grassi idrogenati che non vengono metabolizzati dal corpo umano e hanno effetti davvero devastanti sul metabolismo. 3. Errata distribuzione dei macronutrienti: la ridotta assunzione di verdure, legumi e proteine a discapito dei carboidrati ha variato la ripartizione dei macronutrienti.. Le raccomandazioni internazionali suggeriscono di limitare l’introito di grassi al 30%, mantenere le proteine al 15% ed aumentare i carboidrati al 55-60%. Questi valori, comprese le raccomandazioni, non hanno nessun fondamento evolutivo in quanto si discostano molto dai valori osservati nelle diete primordiali nelle quali le proteine coprono il 19-35% delle calorie totali, i carboidrati solo il 22-40% e il rimanente viene fornito dai grassi con alto contenuto di omega 3. Inoltre va sottolineato che le percentuali sono meno importanti delle caratteristiche dei macronutrienti. C’è una bella differenza tra il 45% di carboidrati forniti da zuccheri semplici o da verdure e carboidrati complessi integrali. 4. Scarso contenuto di micronutrienti: la raffinazione e produzione industriale dei cibi li rende sostanzialmente privi dei micronutrienti necessari a garantire la salute e la corretta regolazione dei processi metabolici. Nella preparazione dei carboidrati raffinati per esempio vengono eliminate quasi tutte le vitamine e i minerali. Secondo molti autori tra cui Bruce Ames, nel mondo occidentale viviamo in una condizione di carenza cronica di vitamine e minerali, carenza che non è sufficiente a dare una vera e propria avitaminosi ma che incide negativamente sulla funzionalità enzimatica e sull’espressione genica. 5. Scarso contenuti di fibra: ai cibi raffinati viene ovviamente tolta la fibra che però ha un ruolo importante nella fisiologia dell’apparato gastrointestinale. La fibra solubile, di cui sono ricche frutta e verdura funge da tampone per l’assorbimento di zuccheri e grassi, riduce le LDL e aumenta le HDL mentre la fibra

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7. Errato equilibrio sodio-potassio: la dieta occidentale ha un contenuto di sodio molto più elevato del contenuto di potassio. Anche in questo caso la causa è la progressiva sostituzione di cibi ricchi di potassio con cibi poveri come i carboidrati raffinati, il latte e formaggi e ovviamente l’introduzione del sale da tavola. Complessivamente queste nuove abitudini hanno causato una riduzione del 400% del consumo di potassio e un pari aumento del sodio. Questa inversione dell’equilibrio sodio-potassio è stata correlata ad ipertensione, ictus, calcoli renali, osteoporosi, tumori gastrointestinali, asma e insonnia. Le ricerche in ambito epigenetico e nutrigenomico confermano che per garantire la nostra salute nel futuro dobbiamo impossessarci nuovamente del nostro passato magari con l’ausilio di nutraceutici e fitonutrienti concentrati e nuovi strumenti diagnostici. Dr. Filippo Ongaro Direttore Sanitario Istituto di Medicina Rigenerativa e Anti-Aging s.r.l. (Ismerian) Vice-Presidente Associazione Medici Italiani Anti-Aging (AMIA) Board Certified Anti-Aging & Regenerative Medicine (ABAARM) Diplomate Functional Medicine (AFMCP) Certified Practioner International School of Gynecological Endocrinology (ISGE)


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L’Accademia del Fitness

La Nutrigenomica

Fin dai tempi più remoti l’alimentazione era considerata in grado di influenzare il benessere dell’organismo. Gli studi più recenti, hanno confermato l’importanza degli alimenti per l’organismo ma ancora meglio evidenziato l’individualità genetica verso gli alimenti. Questo, ha permesso di approfondire come un tipo particolare di dieta possa influenzare l’espressione genica e condizionare conseguentemente la suscettibilità dell’organismo nei confronti di svariati disturbi nonché patologie. Per comprendere questo, occorre spiegare cosa è il DNA e in particolare i polimorfismi genetici cioè gli SNPs. Il DNA, ovvero l’acido desossiribonucleico, costituisce la parte chimica del nucleo delle cellule e contiene le istruzioni genetiche per far vivere l’organismo. Pur essendo ognuno di noi geneticamente diverso, il DNA è per circa il 99,9% uguale in ogni individuo. Le differenze cruciali alloggiano nell’ultimo 0,1% e sono chiamate SNPs (polimorfismo a singolo nucleotide). Il DNA può essere raffigurato come filamento composto da sequenze di nucleotidi chiamate con le lettere A, G, C e T (tre miliardi di filamenti legati tra di loro). Ogni SNP rappresenta una variazione a livello di una sequenza di acidi nucleici. Grazie allo studio degli SNPs, si è potuto comprendere come le sostanze nutritive influenzano l’equilibrio tra salute e malattia, modificando l’espressione genetica, parliamo allora di Nutragenomica. I nutrienti sono visti come segnali che dicono all’organismo come comportarsi. Le cellule di quest’ultimo rispondono a questi segnali, modificando l’espressione dei geni, che condiziona una differente sintesi proteica e quindi lo stesso metabolismo. Le sostanze chimiche dietetiche possono influenzare l’espressione genica direttamente o indirettamente. A livello cellulare i nutrienti possono: agire come ligandi per recettori di fattori di trascrizione, essere metabolizzati da vie metaboliche primarie o secondarie e perciò alterare la concentrazione di substrati o intermedi, influenzare positivamente o negativamen-

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Grazie allo studio degli SNPs, si è compreso che le sostanze nutritive influenzano l’equilibrio tra salute e malattia, modificando l’espressione genetica, parliamo allora di Nutragenomica


NUTRIZIONE E BENESSERE

Migliora il tuo benessere scegliendo la giusta alimentazione

Una alimentazione corretta è importantissima per il benessere dell’organismo. Sappiamo tutti però che persone diverse possono rispondere in modo diverso alla stessa alimentazione o stile di vita. Questa apparente contraddizione è dovuta alle differenze che esistono tra i loro geni. E’ quindi importante conoscere le proprie caratteristiche genetiche per poter scegliere una alimentazione ed uno stile di vita più corretti.

NGB I GENETICS® si occupa di prevenzione e antiaging fornendo servizi innovativi basati sull’analisi del DNA nei seguenti ambiti: NUTRIZIONE: Personalizzazione della dieta dimagrante (GENODIET® SLIM) Indicazioni personalizzate per una alimentazione equilibrata (GENODIET® WELLNESS) Intolleranze genetiche (GENODIET® SENSOR). SALUTE: Prevenzione patologie e invecchiamento: Osteoporosi, Paradontite, Malattie cardiovascolari, Malattie neurodegenerative, Capacità antiossidante ed anti-infiammatoria. FITNESS: Miglioramento della performance sportiva (GENOfit®).

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te le vie di trasduzione di segnali cellulari. Parliamo Nutragenetica, invece, quando vogliamo comprendere la variabilità della risposta individuale agli alimenti ai costituenti di questo, relativamente a caratteristiche genetiche personali e familiari. Un corretto regime alimentare non sottende più solo l’obiettivo di perdere peso, ma contempla la finalità di mantenere il proprio benessere e prevenire numerose sindromi attraverso l’assunzione o l’eliminazione di determinati alimenti. I geni più comunemente esaminati sono quelli riguardanti la gestione degli zuccheri (glicazione e insulino resistenza), la leptino e grelina resistenza, l’intolleranza verso lattosio e glutine, il metabolismo e assimilazione del calcio e il metabolismo delle proteine e dei grassi.

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La suscettibilità individuale verso alcuni alimenti o verso la gestione di questi, non deve essere però considerata come la presenza di un fattore immodificabile presente nel DNA. Infatti il fenotipo che caratterizza ciascun individuo è dato non solo dal suo genotipo (DNA), ma dalla interazione tra quest’ultimo è l’ambiente; la scienza che studia questa questa interazione e l’epigenetica. A questi concetti deve poi essere aggiunto quello di nutraceutico. Un nutraceutico è un “alimento-farmaco” ovvero un estratto attivo di derivazione alimentare che ha mostrato effetti salutari. La possibilità di apportare all’organismo i principi attivi originariamente presenti nei cibi, può condizionare l’espressione genica e/o proteggere l’organismo dalle conseguenze negative legate alla sua suscettibilità verso i fattori di rischio delle principali malattie cronico-degenerative. Si tratta di prodotti in grado di interagire con la struttura del DNA, sulla lettura delle informazioni in esso depositate e sulla biosintesi proteica, da assumere giornalmente a cicli, sotto forma di capsule o bustine. Il nutraceutico, insieme ad una alimentazione personalizzata dedotta dal test nutragenomico, di facile esecuzione e a costi sempre più accessibili, permettono di favorire il benessere dell’organismo. Il senso di benessere è, dunque, visto come un’entità dinamica, un processo dove l’individuo diventa il responsabile primario della sua stessa salute semplicemente curando la sua alimentazione a misura di DNA. Dottor Enrico Bevacqua Laurea in Medicina e Chirurgia Iscritto all’Associazione Medici Italiani Anti-Aging alla Società Italiana Medicina funzionale


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I CIBI ANTIOSSIDANTI Le ossidazioni cellulari sono reazioni chimiche che avvengono nell’organismo milioni di volte in milioni di cellule e rappresentano il prodotto finale di una degradazione che porta alla formazione di radicali liberi, prodotti di scarto che si formano all’interno delle cellule quando l’ossigeno viene utilizzato nei processi metabolici e che hanno la capacità di danneggiare le strutture cellulari accelerando i processi di invecchiamento, deprimendo il sistema immunitario e favorendo l’insorgenza di numerose malattie. I radicali liberi sono molecole instabili in quanto posseggono un solo elettrone invece di due e una volta formatosi essi possono essere inattivati dagli antiossidanti che fornendo l’elettrone mancante permettono agli enzimi cellulari di tamponare la loro azione dannosa. Il nostro organismo riesce a tenere sotto controllo l’attività dei radicali liberi attraverso sostanze antiossidanti endogene fra cui enzimi come il glutatione la superossidodismutasi e la catalasi, sostanze non enzimatiche come alcune vitamine (C, A ed E) i polifenoli e le antocianine, ma anche attraverso l’azione protettiva svolta da alcuni alimenti, soprattutto di origine vegetale che contengono centinaia di sostanze con attività antiossidante

piu o meno marcata fra cui le vitamine A C ed E ,minerali come il selenio il rame e lo zinco. Al fine di determinare il potere antiossidante degli alimenti il dipartimento dell’agricoltura americano ha elaborato la scala ORAC basata sulla capacità di assorbimento del radicale ossigeno. Seguendo questa scala cinque porzioni al giorno di frutta e verdura apporterebbero un quantitativo di antiossidanti piu’ che sufficiente per proteggerci dai radicali liberi stimato in 5000 unita ORAC. Secondo questa scala una tazza di spinaci cotti apporterebbe circa 2000 unità, un arancia 900 unità, un cavolo verde cotto 2000 unità, un kiwi 458 unita’ ecc. Importante quindi mangiare verdura e frutta ogni giorno in almeno sei porzioni di 250 grammi per le verdure e 100-150 grammi per la frutta. Le verdure piu’ antiossidanti sono le piu’ verdi, le piu’ colorate, quelle piccanti. Va benissimo anche la salsa di pomodoro cruda. Aglio, cipolla, porro e scalogno fanno eccezione alla regola che vuole le verdure colorate, esse hanno un alto potere antiossidante ma lo perdono con la cottura. Anche i cereali integrali sono ricchi di vitamina E, selenio, zinco ,rame e altri oligominerali in grado di distruggere i radicali liberi, cosi’ pure i legumi la cui buccia è ricca di saponine, fitati e polifenoli antiossidanti. Fra i condimenti andranno privilegiati gli oli vegetali crudi soprattutto l’olio di oliva che e’ pero’ molto sensibile alla luce e va quindi conservato al buio o in bottiglie di vetro scuro. Fra i cibi proteici meglio il pesce della carne ricco di omega 3 EPA e DHA. Fra le bevande meglio il vino rosso, che contiene rosveratrolo, del bianco mentre il te verde, grazie alle catechine, è piu’ antiossidante del te nero. Anche il caffe’ e il cacao contengono antiossidanti. Da aggiungere ai condimenti anche spezie ed erbe aromatiche soprattutto zenzero, salvia, rosmarino curcuma e origano sono ottimi antiossidanti. Risulta estremamente importante per una corretta alimentazione un regime dietetico che risulti antiossidante nel suo complesso, che sia in grado di bilanciare, almeno in parte, le tante insidie che sono presenti ogni giorno sulla nostra tavola per la presenza di cibi ricchi di ossidanti naturali o artificiali, conservanti e additivi, ormoni e pesticidi che rendono la nostra alimentazione un fattore di rischio e una causa importante nell’insorgenza di moltissime patologie.

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Gli alimenti più ricchi di antiossidanti secondo la scala ORAC pubblicata da Uniti contro la multinazionale del CANCRO il giorno sabato 30 aprile 2011 alle ore 23.03 Molti cibi, soprattutto quelli di origine vegetale, contengono centinaia di sostanze con attività antiossidante più o meno marcata. Tra le più conosciute spiccano alcune vitamine (A, C ed E) insieme a minerali come il selenio, il rame e lo zinco. Per cercare di quantificare il potere antiossidante degli alimenti il dipartimento dell’agricoltura americano ha elaborato una scala ORAC, basata sulla capacità di assorbimento del radicale ossigeno. Cinque porzioni al giorno di frutta e verdura apportano grossomodo 5000 unità ORAC, un quantitativo più che sufficiente per proteggersi dai radicali liberi. Gli alimenti più ricchi di antiossidanti secondo la scala ORAC sono: • • • • • • • •

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Succo di uva nera 1 bicchiere = 5216 unità Mirtilli 1 tazza = 3480 unità Cavolo verde cotto 1 tazza = 2048 unità Spinaci cotti 1 tazza = 2042 unità Barbabietola cotta 1 tazza = 1782 unità More 1 tazza = 1466 unità Prugne nere 3 = 1454 unità Cavoli di Bruxelles cotti 1 tazza = 1384 unità

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Succo di pompelmo 1 bicchiere = 1274 unità Pompelmo rosa 1 = 1188 unità Fragole una tazza = 1170 unità Succo di arancia 1 bicchiere = 1142 unità Arancia 1 = 983 unità Susina 1 = 626 unità Patata arrosto 1 = 575 unità Avocado 1 = 571 unità Uva nera un grappolino = 569 unità Peperone 1 = 529 unità Kiwi 1 = 458 unità Patata americana 1 = 433 unità Fagiolini cotti una tazza = 404 unità Cavolfiore cotto una tazza = 400 unità Uvetta nera 1 cucchiaio = 396 unità Cipolla 1 = 360 unità Uva bianca 1 grappolo = 357 unità Melanzana 1 = 326 unità Mela 1 = 301 unità Pesca 1 = 248 unità Banana 1 = 223 unità Pera 1 = 222 unità Melone tre fette = 197 unità Spinaci crudi 1 piatto = 182 unità Albicocche 3 = 172 unità Pomodori 1 = 116unità Cetrioli 1 = 36 unità Prof. Gianfranco Beltrami Specializzazione in Medicina dello Sport Presidente Commissione Medica IBAF e FIBS Docente a contratto di Medicina Antiaging Corso di Laurea in Scienze Motorie Universita’ di Parma


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IMPIEGO PRATICO E SINERGICO DI MOLECOLE E FITO ESTRATTI PER CONTRASTARE CONCRETAMENTE L’INVECCHIAMENTO PSICO-FISIOLOGICO L’invecchiamento psico-fisiologico è un processo naturale ed inevitabile per ogni essere vivente. Con l’estensione dell’aspettativa di vita, si rende necessario per molte persone, il prolungamento dell’età della giovinezza e della buona salute, nonché il ritardare il più possibile i fenomeni degenerativi che con il passare del tempo colpiscono la sfera psichica e fisica. Molte molecole farmacologiche, di sintesi e naturali, sulla scia di mode e del business vengono spesso proposte come l’elisir di lunga vita, ma cosa c’è di vero in tutto questo? Quali sono realmente le molecole efficaci per contrastare l’invecchiamento? È indubbio che una sola molecola non rappresenti di per se la soluzione a tutti i mali, ma che una sinergia fra più nutrienti, molecole di sintesi e/o naturali possa in pratica rallentare i processi di invecchiamento e qualora già presenti ritardarne l’evoluzione. Le strategie anti-AGING comprendono anche la modifica dello stile di vita e l’abbandono di abitudini voluttuarie dannose per la salute, come il fumo, la sedentarietà, una dieta ricca di grassi e comunque tutti gli eccessi alimentari. L’antiaging moderno è personalizzato sul bio-tipo morfologico, tiene conto dei fattori di rischio cardiovascolari e metabolici, nonché delle patologie in atto e delle malattie sub-cliniche. L’approccio è ultra specialistico e messo a punto sul singolo soggetto in modo altamente personalizzato. Molteplici sono le molecole di cui in sinergia ci possiamo avvalere per i nostri intenti, alcune di queste sono state eccessivamente decantate come miracolose, ma in realtà sono di ausilio e funzionano meglio in accoppiata con altre. L’uomo

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L’Accademia del Fitness moderno, sotto continuo stress lavorativo, familiare, ambientale, climatico, necessita di un esercito anti-age al suo servizio e le prime file di questo esercito sono occupate dalle vitamine. Le più utili ed efficaci nella lotta contro il tempo sono le comunissime vitamine A, C ed E, talmente note da ritrovarsi in trio in moltissimi preparati commerciali anche se a dosaggi davvero bassi, hanno una funzione antiossidante e rinnovatrice del tessuto cutaneo e delle mucose. L’acido pantotenico, la vitamina B5, noto “rinnova pelle”, che aiuta contro l’invecchiamento cutaneo e quindi impiegato contro la lotta alle rughe e al rilassamento cutaneo e aiuta nell’incremento dell’energia vitale, le vitamine B1 e B6 importanti per il funzionamento corretto della conduzione nervosa e del metabolismo dei carboidrati, nonchè il mantenimento e funzionamento della massa muscolare (col passare del tempo tutti vanno incontro al fenomeno della sarcopenia). L’acido lipoico è un potentissimo antiossidante, riduce i radicali liberi, protegge il cervello dallo stress ossidativo, favorisce la formazione del glutatione, ha effetto sul metabolismo glucidico con una funzione insulin-like, trova impiego anche in patologie come il diabete mellito per la riduzione della formazione degli AGEs. In sinergia con l’acido lipoico, è efficace l’ubichinone, noto protettore cardiaco tanto da essere somministrato nel postinfarto,potente antiossidante, la cui concentrazione endogena diminuisce con l’assunzione delle statine. Il glutatione, composto da tre amminoacidi, è invece appartenente ad una famiglia di enzimi, chiamati glutatione perossidasi, che possedendo una spiccata capacità di ossidarsi e ridursi, è un ottimo anti radicali liberi. L’n-acetil cisteina facilita la biodisponibilità del glutatione e anch’essa è un agente anti ossidante. Il resveratrolo, decantato per molti anni come elisir di lunga vita, rappresenta una delle molecole più pubblicizzate come miracolose. È contenuto negli acini d’uva, specialmente quella rossa, ed è stata dimostrata la sua efficacia nella riduzione dell’aterogenicità. Il problema maggiore riguardo a questa peculiarità, è rappresentato dalle dosi massicce di vino che ogni individuo dovrebbe ingerire quotidianamente per ottenere un effetto anti aterogeno. Si parla di quantità come 5 litri di vino rosso e 27 litri di vino bianco al di per poter ingerire 50 mg di resveratrolo, quantitativo che conduce alla cirrosi epatica e all’alcolismo. Estratti erboristici come il ginseng hanno goduto per anni della fama di anti invecchiamento, in realtà si tratta di tonici del sistema nervoso non scevri di effetti collaterali sulla pressione sanguigna, l’ansia, nervosismo e assuefazione. Un estratto erboristico efficace come modulatore dei livelli di serotonina

(5HT) e come dimagrante a livello del grasso addominale e viscerale, è la rhodiola rosea titolata in rosavin, poiché attiva le lipasi. L’urtica dioica, il tribulus terrestris, la suma, la maca, in sinergia con lo zinco, sono note invece per il miglioramento della performance maschile e alcune di esse per la salute della prostata. Per ottimizzare una globale strategia anti aging, è necessaria una profonda conoscenza del soggetto e di tutti quei presidi che in sinergia permettono un miglioramento e un prolungamento della qualità della vita.

Il resveratrolo è contenuto negli acini d’uva, specialmente quella rossa, ed è stata dimostrata la sua efficacia nella riduzione dell’aterogenicità

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Dott. Alessandro Gelli Studi e ricerche per l’incremento della performance psico-fisica Vitaminologo Centro Internazionale di Vitaminologia-Fondazione Prof.Alberto Fidanza Docente corso master specializzazione post-laurea in Erboristeria organizzato dall’Istituto Superiore di Sanità -Prof Giuseppe Salvatore


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Carenza di ossigeno, acidosi tissutale e stress ossidativo, “una catena da spezzare”? Il Solfato di deuterio nel processo di invecchiamento cellulare – novità dalla ricerca.

E’ stato dimostrato che in seguito ad un intenso programma di esercizio fisico c’è un notevole incremento della produzione di radicali liberi. Ciò ha fatto convertire il medico americano Kenneth H. Cooper, padre dell’aerobica, ad una visione molto più soft dell’attività fisica. L’aumento dei radicali liberi (stress ossidativo) é stato ormai identificato dalla scienza come fattore decisivo nella genesi delle malattie degenerative e nell’invecchiamento. Sono delle molecole estremamente reattive che, se prodotte in grande quantità e soprattutto se non bilanciate da sistemi antiossidanti, endogeni ed esogeni, possono produrre danni significativi al nostro organismo. Si è visto che la presenza di radicali liberi nei muscoli e nel fegato di animali «sotto allenamento fisico» è tripla del normale. Quindi per coloro i quali praticano attività sportiva agonistica è indispensabile “proteggersi” in maniera efficace con antiossidanti. Gli antiossidanti ­possono avere un ruolo nell’aumentare il recupero dopo l’esercizio e mantenere una risposta immunitaria a livelli ottimali. Lo Stress ossidativo causa ipossia, condizione in cui si trova una cellula che non ha un adeguato apporto di ossigeno. L’Ipossia è una situazione indotta dall’esercizio fisico intenso. In tali condizioni, così come in caso di ischemia e tumore le cellule si adattano alle condizioni di deficit di ossigeno attivando un programma di variazioni dell’espressione genica iniziata dall’HIF-1 (fattore di trascrizione indotto da ipossia). Nuovi studi rivelano come l’adattamento all’ipossia dipenda dall’attivazione di un processo che serve a inibire la respirazione ed ad impedire l’utilizzazione del piruvato, il precursore del lattato, da parte dei mitocondri. In essi, infatti, le molecole derivate dai nutrienti sono convertite in energia utilizzabile attraverso la respirazione. Si tratta, di un meccanismo molto

elegante in cui le cellule, per difesa, cessano di inviare combustibile ai mitocondri. Tutto ciò induce infiammazione a livello della matrice extra cellulare con conseguente acidosi. Acidosi che invece di essere tamponata e rimediata dal cibo che mangiamo e l’ossigeno che respiriamo viene aggravata dai processi di trasformazione di questi in nutrimento ed energia: l’organismo produce scorie metaboliche acide che debbono essere eliminate attraverso urine, feci e sudore. Quando le quantità di scorie metaboliche acide superano quelle che il nostro organismo è in grado di eliminare, insorge quindi l’acidosi, ovvero il sovraccarico di sostanze acide in tessuti di essere smaltiti. In questo modo gli organi interessati allo smaltimento delle scorie metaboliche acide in eccesso si sottopongono a continui stress organici che, a lungo andare, li deteriorano. Ecco, dunque, che risulta sempre più importante avere una corretta alimentazione basata su cibi tendenzialmente alcalini come la frutta e la verdura: ”cinque pasti al giorno basati su i vegetali colorati”. Ricerche condotte negli USA confermano che un abbondante consumo di frutta e verdura può rallentare il danno da stress ossidativo e conseguente acidosi. Una nuova tecnica di analisi basata sul potere antiossidante denominata ORAC (Oxygen Radical Absorbance Capacity) - ha dimostrato che attraverso il consumo di elevate quantità di frutta e verdura ad alto contenuto di punteggio ORAC, si possa rallentare il processo d’invecchiamento del corpo e della mente perché considerati parametri relativi alla valenza salutistica del prodotto (Wang, H., Cao, G., Prior, R.L., “Total Antioxidant Capacity of Fruits,” Journal of Agriculture and Food Chemistry, 44, 1996, 701-705). L’ORAC esprime l’efficienza della miscela di antiossidanti nel proteggere contro l’ossidazione indotta da radicali liberi. Il test

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L’Accademia del Fitness ORAC è impiegato proprio per individuare le proprietà antiossidanti di frutta e verdura. Gli antiossidanti costituiscono una vasta gamma di composti che interagisce con i danni dovuti alle sostanze reattive dell’ossigeno. Sono già stati identificati gli apporti in Unità Orac tra i frutti: mirtillo, fragola, lampone, arancia, uva rossa, ciliegia, e tra le verdure: spinaci, cavoletti di Bruxelles, sedano e pomodoro per citarne solo alcune. Si tratta di un metodo molto sensibile attraverso il quale si può “misurare” la protezione che le sostanze antiossidanti forniscono all’organismo contro idrossidi e perossidi reattivi e, al momento, è ritenuto l’unico saggio in grado di misurare l’inibizione di un antiossidante sui radicali liberi. A fianco del cibo necessita un’integrazione efficace, naturale ed ottimale che fornisca allo stesso tempo antiossidanti ed ossigeno. Tra gli integratori antiossidanti disponibili il Deutrosulfazyme (CELLFOOD®) Formula Everett Storey riesce ad avere una particolare efficacia per le sue esclusive caratteristiche di fornire una fonte di Ossigeno Nascente e un sistema di trasporto nutrizionale a tutte le cellule, pulendo e tonificando i sistemi del nostro corpo. Un recente studio svolto dal Dipartimento di Scienze Biomolecolari dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” ha mostrato come Deutrosulfazyme (CELLFOOD®) Formula Everett Storey sia utile nel ritardare l’invecchiamento cellulare e nel prevenire le malattie cronico-degenerative legate ai fenomeni di ossidazione e nel ridurre in maniera dose-dipendente lo stress ossidativo intracellulare indotto dalle Sostanze Reattive dell’Ossigeno (Perossido di Idrogeno, Perossiradicali e Acido Ipocloroso). Prof. Mauro Mario Mariani Medico chirurgo - Specialista in Angiologia Ascoli Piceno Professore a contratto di Nutrizione Biologica Università di Bologna – Università della Calabria

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I PRINCIPI DELL’ALIMENTAZIONE “ENERGETICA” NELLA

MEDICINA TRADIZIONALE CINESE

Nell’ambito della Medicina Tradizionale Cinese, l’alimentazione risale agli albori della storia dell’uomo, basata su sapienti miscele empiriche di odori e di sapori, ha un ruolo importantissimo ed è detta Yin Yang Xue o Yao Shi. La Dietologia cinese studia la sottile impalpabile energia che è emanata dal cibo. L’energia è invisibile, ma si percepiscono gli effetti della sua potenza. Colori, aromi e sapori sono emanazioni dell’energia dei cibi. L’energia contenuta negli alimenti viene trasmessa all’uomo quando se ne ciba. Il cibo è il rifornimento di energie acquisite dall’ambiente terrestre che all’interno del corpo si miscelano con le energie celesti (ossigeno dell’aria). All’interno del corpo questa unione energetica si differenzia ulteriormente in varie forme di energie che percorrono il nostro corpo in canali che un tempo erano definiti meridiani. In Occidente distinguiamo i nutrienti in lipidi, protidi, glucidi, vitamine e oligoelementi, ossia li consideriamo maggiormente

sotto il punto di vista chimico-quantitativo (materiale – Yin). I sapori sono le essenze dei cibi, le loro qualità dinamiche. I cinque sapori seguendo la legge dei cinque elementi si diffondono e modificano il terreno, l’ambiente, la radice, cioè l’uomo nella sua costituzione. Sono il sapore Acido (Suan) collegato con l’elemento Legno e organo Fegato/Vescicola Biliare; il sapore Amaro (Ku) collegato con l’elemento Fuoco e organo Cuore/Intestino Tenue; il sapore Dolce (Gan) collegato con l’elemento Terra e con l’organo Milza-Pancreas/Stomaco; il sapore Piccante (Xin) collegato con l’elemento Metallo e con l’organo Polmone/ Intestino Crasso; il sapore Salato (Xian) collegato con l’elemento Acqua e con l’organo Rene/Vescica. Attraverso lo studio dei Ciclo dei Cinque Elementi si può applicare una alimentazione che diventa non solo nutritiva ma anche curativa. Si narra che l’imperatore della Cina avesse un medico che dopo aver preso il polso, guardato la lingua e le feci programmava la dieta giornaliera. Il sapore dei cibi è un aspetto importante nella dietetica cinese, in quanto i diversi sapori hanno dei corrispondenti effetti sugli organi interni. Gli alimenti che hanno un sapore piccante possono agire sui polmoni e sull’intestino crasso; quelli dolci sullo stomaco e la milza; i cibi acidi sul fegato e la cistifellea, quelli amari sul cuore e sull’intestino tenue; gli alimenti salati, infine, agiscono sui reni. Per energia degli alimenti s’intende la loro capacità di provocare delle sensazioni (caldo o freddo) nel corpo umano. L’energia contenuta negli alimenti può essere di cinque tipi: fredda, calda, tiepida, fresca e neutra. Ma questi aggettivi non si riferiscono allo stato “attuale” degli alimenti, un tè è di natura fredda anche se consumato caldo, poiché il calore acquisito temporaneamente si disperde, ed emerge poi l’energia contenuta nell’alimento che va ad agire sul nostro metabolismo. Un peperoncino anche se mangiato appena tolto dal frigorifero, dopo poco sviluppa calore. Bisogna conoscere la natura degli alimenti, perché le varie energie agiscono sull’organismo umano in modi differenti e questo è di grande importanza per la salute umana. Gli alimenti tendono a muoversi in direzioni diverse all’interno dell’organismo. Alcuni cibi si muovono verso l’esterno, altri verso l’interno; alcuni alimenti tendono a muoversi verso l’alto, altri verso il basso.

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L’Accademia del Fitness In generale le foglie e i fiori hanno tendenza a muoversi verso l’alto, le radici e i semi e i frutti verso il basso. I movimenti degli alimenti cambiano a seconda di come vengono cucinati. Il fuoco normalmente in natura sale verso l’alto. Anche i movimenti sono in relazione con i sapori e le energie degli alimenti. Generalmente, i cibi tiepidi e caldi con sapore dolce piccante tendono a muoversi verso l’alto o verso l’esterno, i cibi freddi e freschi con sapore salato o amaro tendono verso il basso oppure verso l’interno. I movimenti dei cibi dipendono anche dalle quattro stagioni. Gli alimenti che si muovono verso l’alto sono indicati in primavera, la stagione in cui gli esseri viventi incominciano a crescere, cioè a muoversi verso l’alto. Gli alimenti che si muovono verso l’esterno vanno bene soprattutto durante l’estate, quando tutto tende verso l’esterno, (come la traspirazione e la dilatazione) I cibi che tendono

Gli alimenti tendono a muoversi in direzioni diverse all’interno dell’organismo. Alcuni cibi si muovono verso l’esterno, altri verso l’interno; alcuni alimenti tendono a muoversi verso l’alto, altri verso il basso.

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verso il basso si addicono soprattutto all’autunno, quando le foglie cadono e ogni cosa si ripiega su se stessa. Gli alimenti con tendenza a muoversi verso l’interno vanno assunti preferibilmente d’inverno, quando tutto si rifugia verso l’interno. Parlando di dieta bilanciata possiamo considerare, in primo luogo, che occorre mangiare alimenti con sapore, natura ed effetti organici diversi, in secondo luogo che i cibi vengono scelti secondo le esigenze e il tipo di costituzione di chi li mangia, il tutto considerando il clima, l’attività fisica e, perché no, lo stato mentale (ma questo è un altro argomento….) Dottor Daniele Cozzini Laurea in Medicina e Chirurgia, Specializzazione in Medicina dello Sport, Diploma presso la scuola di Medicina Cinese Gruppo di Studio “Società e Salute”



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La sintesi proteica nel processo di invecchiamento Gli aspetti che maggiormente caratterizzano il declino neuro-motorio dell’organismo nel corso dell’invecchiamento sono la perdita della massa muscolare e della forza: un quadro multifattoriale che prende il nome di sarcopenia. La sarcopenia inizia a comparire intorno alla quarta decade di vita, portando ad una perdita di massa muscolare del 3-5% entro i 50 anni1 e successivamente del 1-2% ogni anno2 Metabolismo proteico e nutrizione Diversi studi hanno riportato come la sintesi proteica mu-

scolare nei soggetti anziani sia ridotta del 30% rispetto ai giovani3 ed il catabolismo sia notevolmente aumentato4, soprattutto a causa della mancanza di attività fisica. Questo conduce in tempi più o meno lunghi ad una diminuzione della massa muscolare, sia per la perdita numerica delle fibre, sia per la riduzione della sezione delle fibre rimanenti5. Il fenomeno interessa prevalentemente le fibre di tipo II, responsabili dell’attività contrattile ad elevata produzione di forza. Inoltre, con l’età diminuisce anche il numero delle cellule satelliti, responsabili della rigenerazione post-traumatica delle fibre muscolari, e questo contribu-

Figura 1 13 Sintesi Proteica Prima della supplementazione di EAA + Leu Dopo la supplementazione di EAA + Leu

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numero 02 / 2011 isce ulteriormente alla perdita di massa muscolare e di forza7. Spesso gli anziani presentano quadri di malnutrizione che possono incidere pesantemente sull’evoluzione della sarcopenia. Un indagine condotta dal dipartimento americano dell’agricoltura (United States Department of Agricolture – USDA) ha mostrato che circa il 25% delle donne sopra i 65 anni non ha un adeguato apporto giornaliero di proteine7. Viene inoltre segnalato che l’RDA per le proteine, fissato a 0,8 g/Kg/ die, nei soggetti anziani non sembra adeguato e dovrebbe essere rivisto8. Tessuto adiposo e sarcopenia. Con l’avanzare dell’età, il tessuto adiposo bianco (White Adipose Tissue - WAT) contribuisce ad elevare il tasso ematico di alcune citochine, in particolare TNF-α e IL-6, i cui livelli circolanti possono aumentare da 2 a 4 volte nel corso dell’invecchiamento9. Questo porta l’organismo di un soggetto anziano verso una situazione d’infiammazione cronica che oltre ad agire negativamente sul metabolismo di vari distretti (sistema vascolare, immunitario, ormonale e osseo), inibisce la sintesi proteica muscolare favorendo lo sviluppo della sarcopenia9,10. Lo scenario descritto assume maggiore gravità in condizioni di obesità o sovrappeso, in cui l’eccesso del WAT aumenta ulteriormente la produzione di TNF-α e IL-6 favorendo ancor più le alterazioni a carico del muscolo scheletrico 8,9,10.

Integratori e supplementi Prodotti dietetici a base di proteine sono stati valutati negli anziani per sfruttarne gli effetti positivi sullo sviluppo della massa muscolare e della forza. In tal senso si è dimostrata efficace l’assunzione di proteine in polvere immediatamente al termine di un allenamento con esercizi essenzialmente di forza, piuttosto che in tempi successivi (2 ore dopo)11. Rispetto all’utilizzo di proteine, effetti superiori sullo stimolo della sintesi proteica sembrano essere ottenibili con supplementi a base di aminoacidi essenziali (Essential Amino Acids - EAA), anche in assenza di esercizio fisico4. Si stanno, inoltre, valutando miscele di EAA arricchite di leucina: un aminoacido che stimola la sintesi proteica agendo direttamente sui meccanismi biomolecolari di regolazione12. Diversamente dai giovani, infatti, nei soggetti anziani la presenza di una maggiore concentrazione di leucina in un supplemento a base di EAA (41% contro il 26% normalmente presente in questi aminoacidi) sembra essere fondamentale per avere maggiori risposte di stimolo sulla sintesi proteica muscolare (figura 1)13. Massimo Negro, Sara Rucci, Daniela Buonocore, Fulvio Marzatico Laboratorio di Farmacobiochimica Nutrizione e Nutriceutica del Benessere Università di Pavia

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LA DIETA

DEL LIBRO

pH Fin dal 1990 ho cominciato a parlare di Dieta pH e mi rallegro che oggi ad appena vent’anni di distanza se ne parli come di una realtà scientificamente evidente. In termini scientifici pH significa potenziale di idrogeno o se vogliamo essere ancora più scientificamente realisti potremo definirlo come il logaritmo negativo della concentrazione degli ioni idrogeno. L’organismo è costituito da settantacinque trilioni di cellule connesse tra di loro da un tessuto denominato connettivo. Tale tessuto svolge un ruolo fondamentale di mantenimento dell’equilibrio interno. Il connettivo è un vero e proprio teatro delle patologie infiammatorie e degenerative, con l’ulteriore finalità di regolazione degli scambi nutrizionali. L’infiammazione assume di conseguenza il cruciale significato d’intensificata reazione biologica, mirata all’eliminazione delle tossine, fenomeno quest’ultimo che tende a sviluppare nel focolaio dell’infiammazione stessa un maggior tasso di acidità, ovvero una diminuzione del pH. Uno dei primi risultati dell’infiammazione è quello di isolare dagli altri tessuti la zona colpita dall’agente lesivo. Tale effetto di isolamento ritarda la diffusione dei batteri e dei prodotti tossici. L’intensità del processo infiammatorio è di solito proporzionale all’entità del danno arrecato al tessuto dagli stressors che vengono identificati e catalogati come omotossi-

ne. Quando affermiamo che lo stress uccide stiamo parlando di questi microscopici killer denominati omotossine.Queste omotossine si depositano nel colloide mesenchimale, una sorta di sostanza fondamentale nel quale sono immerse le varie cellule, che passa dalla fase gel alla fase solubile (sol) nel tentativo di eliminare le tossine attraverso l’unica via di uscita possibile: il sistema linfatico. Così ogni volta che il deflusso linfatico viene ostacolato potremo avere come conseguenza malattie croniche e degenerative con danno finale del sistema immunitario. Quando il mezzo interno è in salute le cellule, gli organi, i vari sistemi ed apparati e ciò che più importa finalmente voi siete sani. Il corpo è alcalino come progetto ma può in certe situazioni funzionare anche in ambiente acido. I fluidi interni sono stati concepiti per funzionare in ambiente estremamente alcalino ed ancora quando le cellule sono al lavoro, che svolgono 24 ore al giorno, producono degli acidi interni e questo è parte del metabolismo per il quale sono state disegnate; infatti l’organismo è stato concepito per eliminare agilmente questi acidi. D’altro canto alcuni cibi come la carne, il pollame, il pesce, le graminacee, le noci e le nocciole possono produrre una quantità di sostanze acide che non vengono altrettanto facilmente

Solamente una dieta contenente l’80% di vegetali e frutta può portare quella quantità di minerali che il corpo può utilizzare per eliminare gli acidi forti contenuti nella carne, nel pollame, nel pesce e nelle graminacee.

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numero 02 / 2011 eliminate. Pertanto quando si accumulano troppi radicali acidi nell’organismo si ipotizza una sorta di inquinamento e organi e sistemi cedono e non possono lavorare al meglio delle loro potenzialità semplicemente perché l’essere umano non è stato predestinato a metabolizzare enormi quantità di sostanze acide. Solamente una dieta contenente l’80% di vegetali e frutta può portare quella quantità di minerali che il corpo può utilizzare per eliminare gli acidi forti contenuti nella carne, nel pollame, nel pesce e nelle graminacee. Questi minerali sono un elemento vitale e determinante per il programma di sopravvivenza. L’organismo è progettato per sopravvivere a problemi immediati ed è in grado di farlo a qualsiasi costo fintanto che organi e sistemi diventino esausti e possano comparire dei sintomi. Tali sintomi sono comunemente conosciuti come: osteoporosi, sclerosi multipla, morbo di Parkinson, attacchi cardio vascolari, ictus ecc. Questo non significa che per stare bene occorre diventare vegetariani al 100%, oppure non mangiare mai più carne, ma piuttosto una esortazione a trovare un giusto equilibrio. Vi accorgerete che il vostro organismo può maneggiare questi cibi acidificanti purché consumati eccezionalmente. Vi accorgerete che l’organismo può reagire all’introduzione di alimenti acidificanti ed attraverso vegetali e frutta cercare di neutralizzarli facendo insomma del suo meglio per ritrovare il paradiso perduto. Mangiare sano non significa mangiare male. Salute felicità e

successo sono le conseguenze di alcune decisioni personali, e la conseguenza di scelte opportune riguardo a ciò che mangiamo, beviamo, dell’esercizio fisico che svolgiamo, del riposo, di ciò che respiriamo e di ciò che pensiamo. E’ possibile affermare che l’alcalinità dell’organismo umano allorché conseguenza di un’alimentazione a bassa percentuale di proteine si accompagna ad un generale aumento dell’attività funzionale con un notevole senso di benessere ed un miglioramento dell’efficienza mentale e fisica dell’individuo. Non dimenticate che un pensiero talora può essere più tossico di un alimento. Salute significa prendere delle decisioni al momento giusto e continuativamente. Tornando al pH la scala del pH varia da 0 a 14 ; 0 indica la completa ed assoluta acidità, mentre l’altro capo della scala, il 14 indica invece la completa alcalinità nel mezzo. Il pH 7 indica il giusto mezzo e che pertanto la sostanza considerata non è ne acida ne alcalina ed è pertanto neutrale. Pochissime sostanze sono realmente neutre in natura. Il pH dell’environement interno esprime il potenziale di salute dei fluidi che sono all’interno e all’esterno delle cellule. In altre parole più il pH è inferiore a 7 più l’acidità è grande e quindi si avrà una concentrazione di ioni idrogeno (H+) sempre crescente. Inversamente, maggiore è l’alcalinità, e più bassa progressivamente sarà la concentrazione degli ioni idrogeno (H+). Seguendo la scala del pH qui di seguito è possibile visualizzare meglio questo concetto.

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L’Accademia del Fitness SCALA PH NEUTRALITA’ ( Ph 7 )

ACIDITA’

ALCALINITA’

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 re a uno stato di esaurimento, di acidosi e successivamente a dolore, e disturbi e a tutte quelle situazioni che non vogliamo che si verifichino La finalità della Dieta pH è quella di controllare il pH delle urine per valutare quanto la riserva alcalina riesca a resistere e se il tampone ammonio debba essere utilizzato come estrema ratio per neutralizzare l’eccesso di acidi. Infatti la velocità delle reazioni biochimiche che consentono la vita sono intimamente correlate al pH. Ogni enzima per funzionare correttamente e concorrere a quell’effetto collaterale della vita definito salute, richiede un particolare pH ambientale. Qualora tale equilibrio non fosse garantito si verificheranno inevitabilmente delle variazioni capaci di modificare l’attività di catalisi (depurazione) o addirittura d’inibirla completamente. Essendo il sistema del pH basato sui logaritmi anche la semplice variazione di una unità sulla scala indica un enorme aumento della concentrazione degli ioni idrogeno ben differente da quella del sistema aritmetico. Lungo questa scala si svolge la vita i cui limiti estremi sono compresi tra 7,1 e 7,8 di pH., qualora i valori dovessero scendere a 6,95 sarebbero guai seri e sopraggiungerebbero coma, infarto, arresto cardiaco ed altre amenità facilmente immaginabili, mentre con un pH di 7,7 potrebbero verificarsi convulsioni, irritabilità ed addirittura delle crisi tetaniche. Come al solito la soluzione è nel giusto mezzo e ben si confà l’antico aforisma latino derivato da Orazio ( Odi, II, 10, 5 ): ”Auream quisquis mediocritatem diligit: aurea mediocritas” che premia chiunque prediliga, anche per il pH, l’aurea mediocrità. Noi siamo quello che mangiamo soteneva il famoso aforisma della Scuola Salernitana. I cibi che introduciamo con la dieta contribuiscono ad influenzare il microambiente nel quale le cellule vivono, la dieta, l’idratazione possono cambiare profondamente la microecologia cellulare e di conseguenza gli organi e i sistemi ad esso correlati. Come un’automobile, le cellule dell’organismo quando vivono in un’atmosfera ideale lavorano meglio e più a lungo e riescono ad eliminare lo stress quotidiano senza danneggiare le proprie strutture funzionali. Quando il microambiente cellulare è inquinato, cellule e sistemi lavorano più intensamente per drenare l’eccesso di tossine che impedisce al corpo di sopravvivere secondo i criteri per i quali è stato progettato. Tutto ciò richiede un super lavoro all’organismo che può porta-

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A cura del Prof. Dott. Adolfo Panfili Medico-Chirurgo Specialista in Ortopedia e Traumatologia dell’Apparato Locomotore Centro di Chirurgia Mininvasiva, Colonna, Spalla, Ginocchio, Mano e Piede Università Sapienza di Roma Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro Presidente Onorario Associazione Internazionale di Medicina Ortomoleocolare Membro dell’EFSA (European Food Security Authority) Delegato del Sindaco di Roma per le ASL e per i Rapporti con gli Enti Istituzionali Sanitari

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L’Accademia del Fitness

DIETA

E CORTISOLO Il cortisolo per me è sempre stato “il cattivo”. Essendo io stato uno sportivo a livello agonistico, ha sempre rappresentato lo spettro del “superallenamento”, il fautore del catabolismo, il nemico numero uno del testosterone e degli altri ormoni anabolici. La validità di una strutturazione di metodo di allenamento era condizionata al corretto rapporto tra testosterone e cortisolo. Ma se la quantità, intensità, frequenza d’allenamento incide senza dubbio sulla produzione di cortisolo può quest’ultimo essere influenzato dall’alimentazione? Innanzitutto dobbiamo parlare un attimo della funzione del cortisolo: ebbene la funzione che in questo caso ci interessa di più è quella di attivare la neoglucogenesi cioè di trasformare le proteine, catabolizzandole, in glucosio per dare energia immediata. In effetti il cortisolo è un ormone coinvolto nella reazione di stress e, nelle situazioni di emergenza, è importante avere energia di pronto utilizzo (zuccheri) a disposizione per “attaccare o scappare”. Il cortisolo ha inoltre un ritmo circadiano, cioè durante il giorno, dove è più alto al mattino e scende progressivamente verso sera. Questo ritmo risponde ad un’esigenza fisiologica in quanto l’uomo primitivo, quando si svegliava al mattino, essendo a digiuno, aveva bisogno di energia procuratagli dalla neoglucogenesi indotta dal cortisolo per procurarsi il cibo andando a caccia o a raccoglierlo (cacciatore-raccoglitore). Ebbene se il cortisolo serve ad alzare la glicemia è ovvio che l’assunzione

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di carboidrati tende a smorzare la sua produzione, per questo è importante assumere dei carboi-


numero 02 / 2011 drati nella prima colazione del mattino ma, attenzione, questi carboidrati devono essere a basso indice glicemico cioè ricchi di fibre perché un repentino ed eccessivo innalzamento della glicemia tende a causare successivamente un’ipoglicemia reattiva, dovuta all’eccessiva stimolazione dell’insulina che dà inizio ad una nuova produzione di cortisolo. Viceversa vari studi indicano che un pasto proteico stimola la produzione di cortisolo (Increased salivary cortisol reliably induced by a protein-rich midday meal E. Leigh Gibson et al.). Il livello di cortisolo salivare è stato misurato in individui sani dopo un pasto ricco di proteine (32%) ed un pasto povero di proteine (5%). L’aumento della secrezione di cortisolo è risultata essere correlata alla proporzione di proteine del pasto. La misurazione del cortisolo salivare è una tecnica attendibile in quanto è esente da stress e può essere ripetuta frequentemente. Il risultato di questo e altri studi suggeriscono che più è alto l’apporto di proteine maggiore è la secrezione di cortisolo. Questo può essere spiegato in relazione alla fase di un meccanismo omeostatico in risposta ad un’alta concentrazione di aminoacidi. L’abilità del cortisolo di aumentare la gluconeogenesi e ridurre l’uptake di glucosio dovrebbe contribuire a rimuovere gli aminoacidi dal torrente circolatorio. In questo caso non c’è conflitto nel conosciuto effetto controregolatorio del cortisolo. Sebbene l’insulina sia aumentata dopo ognuno di questi pasti la produzione di cortisolo non è inevitabilmente associata in maniera inversa all’insulina. Anderson et al. hanno dimostrato che i livelli di cortisolo erano più alti in uomini che seguivano una dieta alta in proteine e bassa in carboidrati per dieci giorni rispetto ad una dieta povera di proteine e alta in carboidrati. Comunque è stato osservato che la dieta iperproteica in questo studio aveva anche innalzato il CBG (cortisol-binding globulin - proteina legante il cortisolo) e di conseguenza forse i livelli di cortisolo libero non variavano in maniera significativa. La risposta della secrezione di cortisolo è molto variabile ed è correlata in maniera negativa (cioè minor produzione di cortisolo) nei soggetti che seguono abitualmente una dieta iperproteica con relativo adattamento degli enzimi epatici richiesti per il metabolismo aminoacidico e quindi una minor necessità di una risposta omeostatica da parte del cortisolo; viceversa una maggior produzione di cortisolo, soprattutto nella donna, può riflettere uno scarso adattamento alla dieta iperproteica con effetto negativo sulla sensazione di benessere psicologico. Alcune evidenze scientifiche dimostrano come mantenere una dieta iperproteica possa stimolare cronicamente l’asse HPA (ipotalamo-ipofisi-surreni) e un aumento degli ormoni vasocostrittori. L’aumento della stimolazione dell’asse HPA e del cortisolo sono senza dubbio legati all’aumentato rischio di insulino resistenza, trigliceridemia, ipercolesterolemia. Inoltre la riduzione del rapporto carboidrati/proteine in maniera cronica è associata ad un peggioramento dell’umore sebbene sia stato osservato che questa dieta può influenzare negativamente l’umore attraverso la scarsa accettazione dei cibi da parte dei soggetti. Una dieta a bassi carboidrati altera il metabolismo del cortisolo indipendentemente dalla perdita di peso. In uomini obesi aumenta la rigenerazione del cortisolo tramite l’11B – HSD1 e riduce l’inattivazione del cortisolo tramite l’A-anellori-

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L’Accademia del Fitness duttasi nel fegato senza alterare l’11B-HSD1 adipocitaria. Durante i periodi di stress cronico, come quando si segue una dieta stretta, il cortisolo si alza e manda il segnale alle cellule adipose facendo loro accumulare più grasso possibile. È una sorta di adattamento finalizzato a conservare il grasso per garantire la sopravvivenza. Questo avviene anche tramite l’inibizione della produzione di ormoni che stimolano la riduzione del grasso come l’ormone della crescita ed il testosterone che normalmente contrastano gli effetti del cortisolo. Mentre un bilancio energetico negativo e la perdita di peso portano ad una diminuzione del cortisolo, la dieta “yo-yo” cioè l’incapacità a mantenere il controllo alimentare aumenta il livello di stress al quale corrisponde un aumento del cortisolo. La distinzione tra riduzione calorica e dieta yo-yo è fondamentale in quanto è stato dimostrato che la restrizione calorica che porta alla perdita di peso e al suo mantenimento è associata alla diminuzione della mortalità in tutte le sue cause (National Heart Lung and Blood Institute) ma lo stress e l’elevazione del cortisolo può impedire il calo di peso e favorire il grasso a livello addominale aumentando il rischio cardiovascolare e la resistenza insulinica. L’insulino resistenza contrasta la perdita di grasso ed il cortisolo alto riduce la leptina aumentando l’appetito e rendendo ancora più difficile rispettare la dieta. Se diete iperproteiche e comportamenti alimentari troppo restrittivi possono aumentare i livelli di cortisolo è altresì vero che anche una dieta ricca di carboidrati raffinati ad alto indice glicemico ha un effetto di iperstimolazione dell’insulina che porta al sovrappeso e alla resistenza insulinica. Nell’obesità la produzione di cortisolo è selettivamente incrementata all’interno del tessuto adiposo. L’enzima 11HSD1 rigenera il cortisolo del cortisone all’interno del tessuto adiposo e del fegato. L’insulina inibisce l’11HSD1 in quanto normalmente i carboidrati inibiscono la produzione di cortisolo ma le persone sovrappeso diventano spesso insulino resistenti cioè diventano progressivamente immuni all’effetto dell’insulina. Di conseguenza l’aumento della produzione di cortisolo nelle persone sovrappeso è la conseguenza di questa insulino resistenza che impedisce l’inibizione dell’11HSD1. Ma allora quale può essere l’alimentazione più idonea per prevenire l’aumento di peso e l’aumento del cortisolo? In uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine del Dr. David Jenkins e colleghi dell’Università di Toronto, sono stati monitorati due gruppi di persone alle quali è stata data la stessa quantità e tipo di cibo però in un gruppo diviso in tre pasti e nell’altro gruppo diviso in diciassette (si ben diciassette) cioè quella che i ricercatori chiamano la dieta dello “smangiucchiatore”. Ebbene dopo solo due settimane nel gruppo degli smangiucchiatori il colesterolo era sceso più del 15%, i livelli di cortisolo erano più bassi del 17%, i livelli di insulina erano calati quasi del 28%. Quindi mangiare poco e spesso, soprattutto cibi a basso indice glicemico, può essere la soluzione. Se abbiamo parlato dei problemi causati dal cortisolo alto bisogna però specificare che, come per tutti gli ormoni, il cortisolo non deve avere essere né troppo alto né troppo basso. A volte nell’adulto più o meno anziano, soprattutto a causa di stress cronici ripetuti e protratti nel tempo, si può avere la co-

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siddetta sindrome da esaurimento surrenalico o il cosiddetto “burn out”, come lo definiscono gli americani, con livelli di cortisolo cronicamente bassi. A volte gli anziani, anche per problemi masticatori e di alterata secrezione gastrica, tendono a limitare i cibi proteici e questo quindi può contribuire ad un’ulteriore diminuzione del cortisolo. Ci sono molte sostanze naturali che agiscono modulando il cortisolo ma in questo articolo, per motivi di spazio, mi limiterò a citarle solamente riservandomi di trattarle in modo più approfondito in un successivo articolo: fosfatidilserina, vitamina C, omega3, rhodiola rosea, ging seng, ginco biloba, teanina, estratto di radice di withania sonnifera, kava-kava, estratto della corteccia di magnolia, betasitosterolo, acetil carnitina, tirosina, BCAA e altre. Viceversa la caffeina e gli altri stimolatori del sistema nervoso centrale aumentano la produzione di cortisolo, anche la curcuma ha un effetto di modulazione del cortisolo aumentandone l’efficacia. Dottor Massimo Spattini Laurea in Medicina e Chirurgia Specializzazione in Medicina dello Sport Specializzazione in Scienza dell’Alimentazione Board Certificate in Anti-Aging & Regenerative Medicine (ABAARM-USA) Presidente dell’Accademia del Fitness


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ALIMENTAZIONE

E METABOLISMO OSSEO Con metabolismo osseo si intende l’insieme dei processi biochimici responsabili della continua demolizione e rigenerazione ossea. Visto che l’osso è composto da ca. 1/3 di proteine e 2/3 di minerali, si parla di metabolismo proteico e metabolismo minerale. Il tessuto mineralizzato è per lo più composto di calcio e fosforo, di cui il 60% di calcio. La quantità di calcio, nel corpo umano, è di ca. 1.5% del peso corporeo. Gli osteoclasti, al giorno, scompongono ca. 1/2 grammo di calcio. Questo significa che lo scheletro, in un periodo di 5 - 6 anni, viene completamente demolito e ricostruito. Tutto ciò richiede evidentemente notevoli sforzi metabolici. Tutto questo è dovuto al fatto è che il corpo necessità di Calcio per il funzionamento nervoso e muscolare e Fosforo per il funzionamento energetico. Tutte e due variano a dipendenza dell’attività fisica. La concentrazione di calcio nel sangue ( come fornitore e smaltitore di sostanze) è regolata entro stretti limiti (calcemia 2.25 - 2.6 mmol/l). Lo scheletro funge, oltre alle sue funzioni di sostenimento, anche come magazzino tampone per calcio e fosforo. Se la calcemia si abbassa, gli osteoclasti intensificano il loro lavoro di scomposizione. Se invece la calcemia aumenta, gli osteoblasti producono

più fibrille sulle quali si può depositare l’idrossilapatite. Per il fosforo, le condizioni sono simili. Nell’ infanzia e in gioventù, gli osteoblasti lavorano più degli osteoclasti per cui il tessuto osseo cresce. Intorno ai 30 anni, la maggior massa ossea è stata raggiunta e man mano prendono il sopravvento gli osteoclasti con la loro funzione di scomposizione. In senescenza lavorano nettamente di più gli osteoclasti e la massa ossea diminuisce. Non si tratta di una malattia, ma di un normale processo biologico. Nella regolazione del metabolismo osseo importanti sono il Paratormone, la Calcitonina e la Vitamina D. Il paratormone (PTH) è prodotto dalle cellule principali delle paratiroidi. La secrezione del PTH avviene in risposta a bassi livelli di calcemia e determina ipercalcemia, ipofosforemia, ipercalciuria e iperfosfaturia. La calcitonina viene prodotta dalle cellule parafollicolari, o cellule C, della tiroide. La sua secrezione è provocata in risposta ad alti livelli di calcemia, determinando ipocalcemia e ipercalciuria. La vitamina D è una vitamina liposolubile. Nell’uomo le fonti di vitamina D sono l’esposizione alla luce solare, la dieta e l’uso di supplementi. Vi sono poi altri fattori che possono condizionare

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L’Accademia del Fitness fortemente la sintesi di vitamina D3: l’età (a parità di esposizione solare il soggetto anziano produce il 30% in meno di vitamina D3), l’entità della superficie esposta al sole, il tempo di irradiazione, l’uso di creme protettive (che possono ridurre del 97% la sintesi cutanea di vitamina D3), lo spessore della pelle e del tessuto adiposo sottocutaneo. La vitamina D3 è fortemente lipofila pertanto viene immagazzinata soprattutto nel tessuto adiposo (anche per alcuni mesi) e rimane solo brevemente in circolo. Per questa ragione i livelli sierici di vitamina D3 sono molto ridotti (1-2 ng/ml) e non riflettono il livello dei depositi. Una volta depositata nel tessuto adiposo la vitamina D può restare immagazzinata anche per molti mesi. Il colecalciferolo viene trasportato a livello epatico tramite una specifica proteina di trasporto (DBP o vitamin D-binding protein) ed ivi convertito in 25-idrossicolecalciferolo ad opera dell’enzima 25-idrossilasi. La conversione in 1,25 (OH)2 vit. D3 (o calcitriolo) si verifica a livello dei tubuli prossimali renali e richiede la presenza di ormone paratiroideo (PTH).

L’emivita plasmatica dei metaboliti diidrossilati è brevissima e non esiste alcuna possibilità di stoccaggio. La vitamina D e il paratormone (PTH) sono i principali fattori che nell’uomo regolano l’omeostasi calcica. La vitamina D3 (la vitamina D sintetizzata nell’uomo) per poter esplicare le sue funzioni metaboliche deve essere trasformata in una forma attiva: l’1,25-diidrossicolecalciferolo (o 1,25 (OH)2 vit. D3). Il livello sierico ottimale di 25(OH)D3 deve essere superiore ai 30 ng/ml oppure 80 nmol/l. Nonostante la latitudine del nostro Paese, che sembrerebbe favorirlo in termini di sintesi cutanea della vitamina D da esposizione solare, è stato riportato che la popolazione italiana è tra quelle con i più bassi livelli sierici di 25-idrossivitamina D [25(OH)D] in Europa espressione di uno stato vitaminico D carente. La carenza riguarda tutta la popolazione (donne e uomini, giovani e anziani) ma particolare gli anziani (riduzione sintesi età>65 aa), gli obesi (minore biodisponibilità) e le persone di pelle scura (richiede un esposizione da 6 a 10 volte maggiore. La conseguenza principale della carenza di Vit. D nell’adulto è l’osteoporosi con aumento di rischio di fratture ossee. La forma preferibile di vitamina D da utilizzare è la D3 da somministrare per os. Negli anziani sono necessarie almeno 800-1000 UI/die di vitamina D e sono auspicabili livelli sierici di 25(OH)D superiori a 75 nmol/l . In condizioni di carenza di vitamina D è opportuno iniziare il trattamento con un bolo. La fisiologia ci insegna che la somministrazione di vitamina D è del tutto sicura, dato che solo la quantità necessaria all’organismo momento per momento (rigidamente regolata secondo i livelli di paratormone, calcemia e fosforemia) viene idrossilata e quindi trasformata nell’ormone attivo (calcitriolo). Pertanto, anche se la vitamina D tende ad accumularsi nel tessuto adiposo, e di conseguenza la sua emivita biologica è molto più lunga di quella del calcitriolo, il rischio di ipercalcemia con l’uso di vitamina D è bassissimo e descritto raramente, solo in presenza di grossolani errori posologici. La vitamina D, quindi, sino a 2000 UI/die può essere prescritta senza la necessità di controllare i livelli sierici di 25(OH)D o la calcemia.

La conseguenza principale della carenza di Vitamina D nell’adulto è l’osteoporosi con aumento di rischio di fratture ossee.

Dott. Giampaolo Lavagetto Specialista in Medicina Interna Direttore Responsabile Centro di Medicina Preventiva e Rigenerativa Spa & Medicine

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La dieta Anti-age:

L’ANGOLO

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DEL LIBRO

un punto d’incontro tra dieta a zona, mediterranea e antI-infiammatoria Ormai è stato ampiamente dimostrato come uno stile di vita non curato sia associato ad un non ottimale invecchiamento con probabilità di sviluppare un’alta incidenza di malattie infiammatorie croniche legate all’età. Una modificazione non enzimatica delle proteine (quindi non fisiologica)​ che reagiscono con gli zuccheri nel sangue (un processo che è noto anche come reazione di Maillard accelerata da un basso pH sanguineo) porta alla formazione di prodotti finali della glicazione avanzata (advanced glycation end-products-AGEs) in vivo. Gli AGE inducono il legame irreversibile delle molecole tra di loro e alterano in tal modo le loro proprietà fisico-chimiche e biologiche. Questi prodotti della glicosilazione (o glicazione) si accumulano e sono responsabili di molte modificazioni fisiopatologiche. Le conseguenze possono essere rigidità e perdita di elasticità dei tessuti ma anche all’ispessimento delle pareti capillari, nell’opacizzazione del cristallino nella cataratta. La glicazione degli acidi nucleici può essere all’origine delle mutazioni del DNA perché altera le sue capacità di replicazione e di trascrizione. La formazione degli AGE sui lipidi prova inoltre la loro ossidazione, e favorisce lo sviluppo di lesioni vascolari. Gli AGE sono in grado di rendere viscose le molecole plasmatiche a rinnovamento rapido, che si tratti di albumina, di anticorpi o di colesterolo LDL. A lungo andare possono provocare aterosclerosi, patologie renali, vascolari e neurologiche soprattutto in persone

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più a rischio (come diabetici ed anziani). Infine, esiste purtroppo una sinergia tra il processo di formazione dei radicali liberi e quello dei prodotti della glicazione: la generazione di questi prodotti tossici aumenta considerevolmente con l’età, producendo un’aggressione congiunta delle macromolecole da parte dei processi ossidativi, e il processo di glicazione. Questo doppio meccanismo è noto come glicossidazione. La generazione di radicali liberi aumenta con l’invecchiamento man mano che si deteriora la funzione mitocondriale, e anche se la produzione di energia è la maggiore responsabile della generazione di queste forme attivate dell’ossigeno, altre attività metaboliche producono radicali liberi nell’organismo: per esempio, la sollecitazione dei diversi sistemi di disintossicazione dalle sostanze che ingeriamo, e la stimolazione dei globuli bianchi ad opera di processi infiammatori o infettivi si accompagnano a una produzione importante di radicali liberi derivati dall’ossigeno. Ed ecco che ricompare la parola “infiammazione”. L’invecchiamento è caratterizzato da uno stato proinfiammatorio che contribuisce all’insorgenza delle principali malattie età correlate (osteoartrite, osteoporosi, aterosclerosi, diabete, Alzheimer, Parkinson….) tanto da fare coniare un nuovo termine “Inflamm-aging”. L’invecchiamento è caratterizzato da uno



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stato di infiammazione cronica lieve che è legato sia alla genetica che alla storia antigenica di ogni individuo. Questo tipo di processo infiammatorio può condurre, alla lunga, alla compromissione di organi e apparati quindi alla riduzione della longevità, incrementando la sensibilità ad alcuni fattori rischio. Questi dati aggiungono un altro pezzo nel complesso puzzle dei fattori ambientali e genetici coinvolti nel controllo della longevità nell’uomo. Per limitare lo stato di glicazione, di ossidazione e di infiammazione del corpo (e quindi approntare una strategia anti age) è di fondamentale importanza controllare l’indice glicemico dei carboidrati, evitare una diminuzione del pH ematico, evitare cibi infiammatori, apportare antiossidanti alimentari e ridurre il tenore di grasso corporeo e nel particolare il grasso viscerale. Dieta mediterranea Basata su un consumo di cereali (meglio se non raffinati), verdura e frutta, moderato consumo di proteine di natura sia vegetale, sia animale (soprattutto maggior consumo di pesce e meno carne) e moderato consumo di grassi (soprattutto pochi grassi animali) a favore del consumo di olio di oliva, e di grassi poliinsaturi quali gli omega 3 del pesce selvatico (però non di allevamento, causa il probabile effetto contrario a quello voluto per la presenza di omega 6), potrebbe avere un ruolo protettivo su questi fenomeni. Il rapporto dei macronutrienti sulla quota calorica giornaliera è del 55-60% dei carboidrati, il 25% dei grassi ed il 10-15% dalle proteine (anche se valutando le ricerche scientifiche non ci sono sempre ne percentuali concordanti ne distribuzione tra i vari gruppi alimentari, soprattutto se si fa riferimento alla prima “vera” dieta mediterranea scoperta dal dott. Angel Keys) Dieta a zona Secondo l’inventore della dieta a zona, il rapporto ideale tra proteine e carboidrati (P/C) dovrebbe essere di 0,75 (cioè 3 gr di proteine ogni 4 gr di carboidrati) per beneficiare al massimo della zona. In ogni caso, siccome geneticamente abbiamo risposte diverse alla secrezione di insulina, l’intervallo di accettabilità per P/C è di 0,5-1 e non deve essere sforato per non provoca-

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re un’ipersecrezione di particolari sostanze (gli eicosanoidi) che in alcuni casi possono essere dannose all’organismo. Il metodo si basa su un controllo degli equilibri ormonali dell’organismo attraverso le scelte alimentari. In particolare sul controllo dei picchi insulinici attraverso l’eliminazione dei cibi con indice glicemico troppo elevato (cioè in grado di fare salire la glicemia rapidamente), e sul controllo degli aspetti infiammatori generali attraverso un’integrazione con acidi grassi insaturi della serie omega 3. Alla base del metodo vi è l’indicazione quantitativa precisa di consumare cinque pasti al giorno, mantenendo il rapporto tra le calorie apportate da carboidrati, proteine e grassi nella percentuale inizialmente del 40-30-30 ed è tendenzialmente ipocalorica. Quali alimenti? Verdura, frutta fresca, fonti proteiche magre, olio extra vergine di oliva e frutta secca a guscio fornitrice di acidi grassi monoinsaturi lasciando pane, pasta e cereali in genere in piccole quantità. Il “Punto d’incontro” Per concludere, il punto d’incontro delle due alimentazioni precedenti non è altro che il regime antinfiammatorio ed anti age che dovremmo ricercare per limitare gli effetti dell’invecchiamento: L’effetto protettivo anti-infiammatorio è, probabilmente, da attribuire alla riduzione dello stress ossidativo per l’elevata assunzione di anti-ossidanti naturali, quali quelli fenolici presenti nell’olio extra vergine d’oliva, nella frutta e nella frutta secca ed all’aumentata assunzione di omega-3 derivato dal pesce e/o dall’integrazione di omega 3 ad elevata purezza. Diversi nutrienti e biofattori (vitamina C, Vitamina E, carotenoidi, polifenoli, zinco, selenio, vitamina D, ecc) possono limitare la concentrazione di sostanze ossidanti fornendo un effetto protettivo contro lo stress ossidativo. L’assunzione di carboidrati a basso indice glicemico (ma soprattutto il controllo del carico glicemico) come verdura, frutta, cereali integrali in moderate quantità, limiterà la produzione di insulina, che se cronicamente in eccesso crea anch’essa infiammazione corporea ed invecchiamento precoce. Il tutto verrà “condito” dalla riduzione calorica (ricordiamoci: riduzione calorica senza malnutrizione) ormai accertata possedere effetto antiinvecchiamento. Dott. Giovanni Montagna Laurea in Dietista presso la facoltà di Medicina e Chirurgia di Pavia Master post universitario in “alimentazione, farmacologia e doping” presso l’università di Camerino Docente di alimentazione al corso per allenatori Coni e per L’Accademia del Fitness Parma




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