ACCADEMIA DEL FITNESS N. 03

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L’Accademia del Fitness Wellness & Anti-aging Magazine

n.03



numero 03 / 2011

ACCADEMIA DEL FITNESS Galleria Crocetta 10/A 43126 PARMA

Editoriale

Tel. 0521.941319 Fax 0521.294971 info@accademiadelfitness.com www.accademiadelfitness.com Direttore: Massimo Spattini In redazione: Claudia Bonini Silvia Iorio Cristiana Pedrazzini Cinzia Ruggeri Comitato scientifico: Professor Mariano Franzini Professor Fulvio Marzatico Dottor Filippo Ongaro Professor Adolfo Panfili Professor Mario Passeri Hanno collaborato a questo numero: Franco Canestrari Marco Tullio Cau Ciro di Cristino Gianfranco Emanuele Cormaci Rocco Di Michele Marianno Franzini Diana Graham Silvia Iorio Claudio Lombardo Serena Missori Giovanni Montagna Adolfo Panfili Massimo Spattini Copertina: foto Alex Ardenti modella Heather Green Foto: Alex Ardenti Cinzia Ruggeri Cristiana Pedrazzini Editore: Mattioli 1885 S.p.A. Str. della Lodesana, 649 sx Loc. Vaio 43036 Fidenza (PR) tel. 0524 892111 www.mattioli1885.com Registrazione n. 12/2004

Ippocrate ne “Il Regime” affermava che “non si può mantenersi in forma basandosi soltanto sul tipo di alimentazione ma a questa bisogna affiancare anche degli esercizi fisici” e questo è sostanzialmente ancora oggi il fondamento della medicina anti-aging, una medicina della prevenzione e del benessere, volta a migliorare la qualità della nostra esistenza, un approccio alla vita fatto di abitudini sane che permettono un avanzare degli anni in salute, con un aspetto sano, una buona sessualità ed una vita relazionale vivace e piena. Mantenersi in forma cercando sempre motivazioni e stimoli adeguati per affrontare nel migliore dei modi la lunga vita che la medicina ci promette è alla base di una lungimirante previsione di contrasto alle malattie degenerative e alle cronicità che comportano onerosi costi socio-sanitari. Proprio in quest’ottica è stato organizzato il convegno “Alimentazione Anti-Aging” che si è tenuto a Parma il 4 giugno 2011 e che ha ottenuto un grande successo di partecipazione e consensi. Il convegno ha inoltre reso possibile l’incontro di alcune delle personalità più importanti nel campo della medicina del benessere e dell’attività fisica. In maniera specifica, nell’occasione è nato un progetto che scaturisce dalla mia amicizia con il Prof. Panfili con il quale condivido un destino quasi parallelo. Più o meno coetanei, entrambi con un passato di agonisti ed un presente di sportivi. Lo sport e l’attenzione all’alimentazione ci hanno sempre guidato e, come medici, siamo sempre stati i primi in Italia ad abbracciare le novità che riguardano l’alimentazione e l’attività fisica, soprattutto made in U.S.A. È proprio in U.S.A. quest’anno che ci siamo ritrovati a Los Angeles per prendere contatti con medici e preparatori americani, abbiamo tracciato le direttive di un progetto unico al mondo che inizia a portare il fitness e gli stili di vita al centro delle metodologie rivolte al benessere e all’anti-aging.

Se qualcuno poteva traghettare il mondo del fitness nel mondo della medicina questo potevamo farlo solo noi con le nostre esperienze personali. Prima pietra di questo progetto sarà l’organizzazione presso l’università La Sapienza di Roma sotto l’egida dell’Istituto di Medicina del Lavoro diretto dal Prof. Francesco Tomei di un corso di formazione base universitario: “Anti-aging, benessere e stili di vita” che è già stato approvato e che necessita solo della delibera ufficiale (forse in questo momento già arrivata). Il corso partirà all’inizio del 2012 e tratterà tutti gli argomenti inerenti al fitness e al benessere. È una grandissima opportunità per gli operatori del settore che possono così ottenere un’ulteriore qualificazione per il loro lavoro in un’area che sta diventando di sempre più grande interesse. Il corso verrà presentato in occasione del Convegno “Anti-aging: benessere e stili di vita” che si terrà a Roma il 03 dicembre 2011. Rimanete sintonizzati sul sito www.accademiadelfitness.com per avere le ultime notizie. Prima di lasciarvi volevo raccontarvi un piccolo aneddoto: ho scritto quest’editoriale durante la mia vacanza a Los Angeles nel corso della quale sono andato a fare visita, nella sua residenza di San Diego, a Frank Zane, grande guru della cultura fisica, ora sessantanovenne, che mi ispirò agli inizi della mia carriera sportiva. Secondo Zane i fondamenti ugualmente importanti per stare in forma sono: 1) alimentazione ed integrazione 2) esercizio fisico 3) stress management e recupero 4) motivazione e quando gli chiesi quanto tempo bisogna dedicare a tutto ciò lui mi rispose: “every second of your life”. Massimo Spattini Presidente dell’Accademia del Fitness

Tribunale di Parma

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Sommario Editoriale

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di Massimo Spattini

BENESSERE PRODUTTIVO

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di Silvia Iorio

la sindrome metabolica

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di Serena Missori

ossigeno-ozono terapia

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di Marianno Franzini

ANTI-AGE E CELLULE STAMINALI VEGETALI

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di Diana Graham

La gestione dell’infortunio muscolo-scheletrico

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di Giovanni Montagna

razionale cellfood

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di Franco Canestrari

i disturbi del comportamento alimentare

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di Marco Tullio Cau

Programmarsi alla longevità

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di Claudio Lombardo

Variabilità cardiaca e stress

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di Rocco Di Michele

INTEGRATORI E CORTISOLO

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di Massimo Spattini

posturologia

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di Ciro di Cristino

integrazione alimentare e performances cerebrali

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di Gianfranco Emanuele Cormaci

BASTA CON IL MAL DI SCHIENA CON L’EPIDUROSCOPIA di Adolfo Panfili

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L’Accademia del Fitness

BENESSERE PRODUTTIVO

Il tema “benessere” ha subito senza dubbio un’importante evoluzione se si pensa che solo fino a poco tempo fa lo si relegava ad uno o più momenti nell’arco della giornata, o dell’anno, assolutamente avulsi da contesti quali quello lavorativo. Il grande passo avanti è stato proprio dettato dalla consapevolezza che dividere concettualmente il momento lavorativo da quello del benessere non è né sensato né produttivo. Si parla infatti di “benessere produttivo” dove la produttività è conseguenza del benessere. Sono molti i fattori che rendono una struttura lavorativa più o meno piacevole, a partire dall’ambiente nella sua impostazione logistica, passando per il fattore economico per arrivare al sistema relazionale. Naturalmente poter trascorrere le proprie giornate lavorative in un ufficio con vista su un parco, farsi comprare una sedia ergonomica, scrivania e monitor di ultima generazione possono essere elementi che aiutano, avere a disposizione mezzi volti all’ insegnamento di corretti programmi alimentari, strumenti per la gestione dello stress o luoghi preposti all’esercizio fisico sono punti fondamentali ma ciò da cui tutto nasce e prende la forma che determina la vita lavorativa di una persona è la relazione. Il sistema relazionale all’interno di un’azienda non è dato da schemi e le gerarchie, peraltro necessarie, servono anche perché chi si trova al comando dell’azienda abbia gli strumenti per poter valorizzare le peculiarità di ognuno e per creare un’atmosfera il più possibile piacevole nel rispetto del proprio ruolo professionale. Lo scambio relazionale, quindi, è inteso sia in senso trasversale che verticale, “il leader è colui che ha seguaci, senza seguaci non vi è alcun leader” afferma Peter Drucker. L’avanzare dello sviluppo economico ha portato con sé uno stato di benessere basato sulla competitività, sulla rapidità e sulla produttività che si è rivelato, a lungo termine, deleterio. Le continue pressioni dettate dal mercato, spesso, generano ambienti

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Sono molti i fattori che rendono una struttura lavorativa più o meno piacevole, a partire dall’ambiente nella sua impostazione logistica, passando per il fattore economico per arrivare al sistema relazionale.


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lavorativi difficili e le conseguenze ricadono, paradossalmente, su quella produttività in ragione della quale è stato costruito tutto il sistema lavorativo: i disturbi psicosomatici aumentano e le assenze dal lavoro si moltiplicano, ansia e depressione costano il 3% del Pil in Europa. In aggiunta a tutto questo, l’enorme disponibilità di cibo (spesso non salutare), la sedentarietà e la mancanza di informazione causano sempre crescenti disturbi di tipo degenerativo che compromettono la vita del singolo e ricadono inevitabilmente sull’insieme lavorativo e sociale. Queste sono, sostanzialmente, le ragioni per le quali enti pubblici ed aziende private hanno deciso di aderire ad attività di promozione del benessere e di stili di vita sani dei dipendenti tramite seminari, incontri e programmi aziendali sull’introduzione di un corretto regime alimentare, con programmi di riduzione del peso, di stop al fumo e di promozione dell’esercizio fisico e gestione dello stress. L’INAIL ha reso noti modelli europei di buona pratica per la promozione della salute nel luogo di lavoro con descrizione delle iniziative di promozione, modalità, incentivi e risultati in molti paesi europei e relative aziende come Belgio (Durecell), Danimarca (COD Co-op), Grecia(Ethel), Finlandia (Helsingin Mylly Oy), Francia (ELF Equitaine), Germania (EVM), Irlanda (Aer Rianta). I dati, estratti dalla banca dati dell’ISPESL creata in seguito allo svolgimento di tre indagini che il Network “European Network for Workplace Health Promotion” ha condotto in collaborazione con ISPESL, evidenziano cali dei congedi per malattia, diminuzione di infortuni, riduzione del tasso di obesità, calo del tabagismo in tutte le aziende che hanno aderito a tutte o parte delle iniziative (L’intera banca dati è consultabile all’indirizzo www.ispesl.it). Lo slogan dice: “Work. In tune with life” ovvero “Lavora. In sintonia con la vita” e lo scopo è quello di spingere le aziende ad investire sulle necessità dei dipendenti promuovendo la salute fisica e mentale al lavoro.

Le continue pressioni dettate dal mercato, spesso, generano ambienti lavorativi difficili e le conseguenze ricadono, paradossalmente, su quella produttività in ragione della quale è stato costruito tutto il sistema lavorativo

di Silvia Iorio silvia@accademiadelfitness.com

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la sindrome metabolica La sindrome metabolica è stata variamente definita nel corso degli anni, suscitando polemiche nonché speculazioni. Un primo tentativo nel definirla, è stato compiuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che ha indicato come criterio diagnostico la presenza di intolleranza ai carboidrati (impaired fasting glucose, IGT) o diabete e/o insulino-resistenza valutata mediante clamp iperinsulinemico euglicemico più almeno due tra ipertensione arteriosa, ipertrigliceridemia e/o basso HDL-colesterolo, obesità centrale e microalbuminuria. I criteri proposti dall’OMS sono facilmente applicabili nei soggetti che presentino alterazioni del metabolismo glucidico, non così in loro assenza, per l’impossibilità di rilevare la presenza di insulino-resistenza nella pratica clinica comune. Al fine di identificare la presenza di sindrome metabolica indipendentemente dalle alterazioni del metabolismo glucidico, l’Adult Treatment Panel III (ATPIII) del National Cholesterol Education Program (NCEP) ha proposto criteri diagnostici che prescindono dalla necessità di misurare l’insulino-resistenza. Secondo questi criteri, la sindrome metabolica può essere diagnosticata in presenza di almeno tre tra ipertensione arteriosa, ipertrigliceridemia, basso HDL-colesterolo, obesità centrale e alterata iperglicemia a digiuno (impaired fasting glucose, IFG). Questi criteri, sono stati modificati prima congiuntamente dall’American Heart Association e dal National Heart, Lung, and Blood Institute e recentemente dall’International Diabetes Federation (IDF) . La definizione dell’IDF ha come fulcro

è stato appurato che la Sindrome

Metabolica predispone ad un maggior rischio cardiovascolare, con

maggiore incidenza di infarto del miocardio, ictus, diabete mellito

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con complicanze.

l’OBESITÀ CENTRALE, definita in base alla circonferenza vita, i cui limiti di normalità sono stati stabiliti in maniera diversa a seconda dell’etnia (≥94 cm nei maschi e 80 cm nelle femmine, per quanto riguarda gli europei). Ad essa va aggiunta la presenza di almeno due tra le seguenti condizioni: • ipertrigliceridemia (>150 mg/dl o 1.70 mmol/L) o trattamento specifico; • basso HDL-colesterolo (< 40 mg/ dl o 1.03 mmol/L nell’uomo; < 50 mg/dl o 1.29 mmol/L nella donna) o trattamento farmacologico specifico; • ipertensione arteriosa (>130/85 mmHg) o trattamento farmacologico specifico; • IFG (> 100 mg/dl o 5.6 mmol/L) o diabete mellito di tipo 2 noto. Ancora più di recente, il Professional Practice Committee dell’American Diabetes Association (ADA) e un comitato ad hoc dell’European Association for the Study of Diabetes (EASD) ha tuttavia sottoposto la definizione ed il significato di sindrome metabolica ad un’appofondita revisione critica . La prima conclusione cui il comitato congiunto ADA/EASD è giunto è che, a tutt’oggi, non esiste una chiara definizione di tale sindrome, né è identificabile un meccanismo patogenetico comune alle varie componenti della sindrome stessa.


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Ma la discussione è ancora aperta e controversa e numerosi sono i tentativi che vengono fatti per attribuire una completa ed esaustiva definizione a tale sindrome. Quale è la situazione in Italia? Anche nella popolazione italiana, la prevalenza della sindrome metabolica è risultata significativa, fornendo però molte percentuali variabili in rapporto al sesso e all’età; ad esempio 18% in uno studio, 15%, nei maschi e del 18% nelle femmine in un altro, con un incremento dal 3%, nella classe di età dai 20 ai 29 anni, 25% nei soggetti con più di 70 anni. Bene! Ed ora cosa come possiamo utilizzare in modo pratico questi numeri? Numeri che seppur indispensabili, ci dicono poco o nulla sulle strategie attuabili per contrastare tali alterazioni. In molti studi è stato appurato che la Sindrome Metabolica predispone ad un maggior rischio cardiovascolare, con maggiore incidenza di infarto del miocardio, ictus, diabete mellito con complicanze, ecc... Quindi cosa possiamo fare concretamente per aiutare chi ne è affetto a ridurre e/o ritardare l’insorgenza di complicanze? Ogni bravo medico sa che la prima indicazione terapeutica che va fornita ai propri utenti, è quella della modifica dello stile di vita. Giustissimo! Ma cosa significa modificare lo stile di vita? Generalmente con questo termine ci si riferisce a: fare attività fisica, mangiare in modo adeguato, astenersi dal fumo e dall’alcool. Spesso gli utenti, però, tornano a casa scontenti e demotivati dopo una visita specialistica, poiché di fatto non è stato spiegato loro in modo pratico e fattivamente realizzabile, come modificare il proprio stile di vita, se non con indicazioni superficiali e generiche. Questo problema riflette spesso, un’incapacità dei sanitari nel suggerire soluzioni reali e personalizzate, adattate al singolo

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soggetto. Faccio alcuni esempi: come si può consigliare ad un grave obeso di iscriversi in palestra e seguire un programma di allenamento aspecifico, uguale per tutti? Sicuramente il grande obeso in questione, avrà un rifiuto psichico nonché fisico nell’approcciare ad un programma di attività fisica così generico, che non tenga conto delle sue problematiche. Un utente obeso ed iperteso invece non potrà eseguire un tipo di attività fisica che fa aumentare in modo incontrollato i livelli pressori, poiché in tal modo un’attività fisica non adeguata e personalizzata, diventa un rischio per la salute e non più un mezzo terapeutico. Un atteggiamento simile, conduce al sicuro fallimento. Per cui se il primo farmaco che viene prescritto all’utente è l’attività fisica, è ovvio che deve essere prescritta la giusta, corretta e personalizzata, supervisionata, attività fisica. E questo fondamentale concetto apre un altro dilemma. Ovvero: a chi spetta il compito di guidare gli utenti con Sindrome Metabolica in questo percorso terapeutico, fatto della giusta, personalizzata e supervisionata attività fisica? Spetta a due figure fondamentali! Il medico specialista e il trainer che ha studiato mediante appositi corsi la problematica. Queste due figure, sono indispensabili e inscindibili, nonché i cardini del successo del programma terapeutico basato sul cambiamento dello stile stile di vita nella Sindrome Metabolica. A tale scopo ho partecipato in qualità di medico e di trainer, allo studio IDES (Italian Diabetes Study Group) che si è prefisso ed ha raggiunto lo scopo, di dimostrare che l’attività fisica, strutturata, personalizzata, di tipo misto (aerobico e di potenziamento muscolare), supervisionata, riduce i fattori di rischio cardiovascolari e smussa le differenze fra gli affetti e i non affetti da Sindrome Metabolica. In qualità di medico-trainer ho potuto constatare e verificare sul



L’Accademia del Fitness campo, quali siano le difficoltà a cui possono andare incontro gli utenti e gli stessi personal trainer. Gli utenti che sono stati arruolati nello studio e che sono stati un campione rappresentativo della popolazione affetta da SM (Sindrome Metabolica), sono enormemente diversi dagli utenti a cui sono abituati i trainer nelle palestre. Questa è la prima sostanziale differenza: gli utenti con SM sono poco inclini all’attività fisica, appesantiti e lenti nei movimenti, hanno difficoltà a respirare nel modo corretto, hanno la necessità di controllare i valori pressori e glicemici prima, durante e dopo l’allenamento; possono aver difficoltà ad eseguire alcuni esercizi a causa di limitazioni funzionali secondarie al Diabete, ecc.... per cui un trainer che non ha una specializzazione in fitness metabolico avrà serie difficoltà ad approcciare a questo tipo di utenti. Personalmente ho potuto ovviare a queste difficoltà oggettivamente riscontrate applicando un metodo di allenamento, personalizzato, biotipizzato, acquisito in anni di studio ed apprendimento guidata da Dott. Alessandro Gelli. Un’altro scoglio tipicamente riscontrato, è la reticenza degli utenti, e a volte anche dei trainer, nel suggerire ed insegnare un allenamento con carico, ovvero con i pesi, mentre di fatto è ormai dimostrato che il lavoro muscolare di questo tipo favorisce la riduzione dell’insulino resistenza e migliora lo smaltimento dell’adipe in eccesso. Dunque, perché suggerire di fare un’attività fisica di tipo misto a chi è affetto da SM? Come sopra esposto, i criteri diagnostici della Sindrome, hanno come fulcro l’obesità centrale a cui è strettamente correlata l’insulino resistenza, ovvero un’aberrata produzione di insulina ed un’anomala risposta biologica ai suoi livelli ematici. L’insulina, la cui funzione è indispensabile per il nostro metabolismo glucidico, ha però una doppia faccia, ovvero prodotta in eccesso è un ormone “ingrassogeno”. Fa aumentare lo stoccaggio di grasso a livello addominale e soprattutto

viscerale, innescando così un ciclo perpetuo che alimenta l’obesità centrale. Per ridurre l’insulino resistenza, e quindi per limitarne la produzione, abbiamo a disposizione diverse strategie: l’attività fisica, l’alimentazione, i farmaci insulino sensibilizzanti. Spesso però, a causa di un’aspecifica prescrizione, l’attività fisica fallisce così come la dieta per una scarsa compliance dell’utente. E questo è davvero deludente, poiché l’attività fisica e la corretta alimentazione, si sono rivelati essere alleati formidabili nel controllo della Sindrome. Per cui l’invito è quello di favorire la diffusione dei corsi specialistici di fitness metabolico per creare operatori del settore efficienti ed in grado di occuparsi di tale utenza, e sensibilizzare il personale sanitario nei confronti di queste formidabili “armi” terapeutiche. La Sindrome Metabolica sottostà a molte patologie, ma non manifestandosi con evidenti sintomi oggettivi, le persone tendono a trascurarne la progressione. Elevati valori di trigliceridi o bassi valori di LDL, non generano sintomi cronici che le persone possono accusare e quindi ritenuti un campanello d’allarme, così come un’alterata glicemia a digiuno senza diabete mellito manifesto. Per cui senza patologie conclamate come l’ipertensione arteriosa ed un obesità importante che limiti le normali attività quotidiane, le persone non comprendono l’importanza della prevenzione e del ritardo della progressione delle malattie. Oramai molteplici studi hanno dimostrato che la Sindrome metabolica in assenza di Diabete mellito, sia il preludio allo sviluppo dello stesso. Per cui si rende indispensabile da parte del medico una maggiore sensibilizzazione dell’utente e soprattutto una maggiore preparazione del sanitario nel motivare in modo oggettivo lo stesso ad intraprendere in modo corretto il cambio nello stile di vita. Dott. Serena Missori Specialista in Endocrinologia e Malattie del Ricambio

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ossigeno-ozono terapia:

un’arma efficace contro l’invecchiamento Da sempre l’uomo cerca di “fermare” il tempo, ricorrendo ad ogni stratagemma per mantenersi in forma sia esteticamente che fisicamente. Tantissime sono le attenzioni e quindi tanti i progressi scientifici e chirurgici in ambito estetico ma purtroppo ci rendiamo conto che ciò non basta. A cosa serve avere un viso senza rughe, ma essere stanchi, impotenti e con acciacchi vari? È come avere un’automobile con una bella carrozzeria ma con un pessimo

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A cosa serve avere un viso senza rughe, ma essere stanchi, impotenti e con acciacchi vari?

motore. Questo non è fermare il tempo e neppure godersi appieno il tempo della vita che abbiamo a disposizione, ma è solo un illusorio, lento e doloroso trascinarsi. Vita significa essere in salute ed avere un corpo sano. Il mondo scientifico, compresa questa vera necessità, si è mosso in questa direzione, non solo per tamponare e curare le malattie, ma prevenendole e curandole in modo assolutamente naturale. Una risposta importante ed efficace è l’ossigeno-ozono terapia.


numero 03 / 2011 Nella tabella qui pubblicata, analizziamo le cause di invecchiamento. A queste cause la risposta dell’ossigeno-ozono come vedremo è praticamente globale: partendo dalla constatazione che l’ozono (ossigeno arricchito) è con l’acqua il principale costituente del nostro corpo ed è il carburante dei nostri sistemi metabolici. Prima della cura cominciamo a pensare alla prevenzione e cioè a non ammalarci o invecchiare precocemente, ricordando che l’invecchiamento inizia secondo una tesi estremista già dal primo anno di vita, ma considerando con equilibrio il problema, possiamo dire che l’invecchiamento inzia fra i 35-40 anni. 1) l’ossigeno-ozono terapia è un grande apportatore di ossigeno dal cervello fino alle punta dei piedi. Questo vuol dire avere un ottimo microcircolo apportatore di tutte quelle sostanze nutritive necessarie alle cellule. Un microcircolo sempre aperto e funzionante, un aumento quindi della resistenza allo sforzo, un miglioramento della memoria, un miglioramento dei processi metabolici: minor colesterolo, meno trigliceridi, meno glucidi, disintossicazione da fumo, migliorata la respirazione; 2 – 3 ) al miglioramento degli apporti sopra descritti corrisponde un miglior funzionamento delle cellule, che mantengono il loro equilibrio elettrico ed idrico, così da poter lavorare e rispondere alle necessità al meglio senza accumulo di tossine; 4) ne deriva anche un marcato miglioramento del nostro sistema immunitario e quindi una nostra maggior forza a rispondere alle aggressioni batteriche o virali provenienti dall’esterno; 5) bere acqua arricchita con ossigeno-ozono vuol dire migliorare le funzioni intestinali, avere la bocca in ordine, ricordandoci che dalla bocca entrano oltre l’80% dei bat-

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teri che ci assalgono, vuol dire anche riequilibrare tutto il nostro sistema gastroenterico; bisogna anche programmare una corretta non eccessiva ma quotidiana attività fisica per rompere la sedentarietà che va prima di tutto ad indebolire il nostro sistema muscolo scheletrico.

Non va trascurata, tra l’altro, l’attività marcatamente antidolorifica dell’ossigeno-ozono in quanto va ad inibire le sostanze algogene e come nel caso dell’ernia discale (quando non operabile a giudizio dello specialista) riesce ad ottenere non solo l’effetto antalgico senza effetti collaterali ma anche una vera e propria diminuzione con arretramento della protrusione e dell’ernia presente. Perché l’ossigeno-ozono può avere tante funzioni? Perché l’ossigeno-ozono ha un’azione batteriostatica, virustatica, fungicida, antinfiammatoria riattivante del microcircolo, ed una grande quantità di patologie ha un comune denominatore proprio in una di queste funzioni alterate. L’ossigeno-ozono in modo naturale senza avere effetti collaterali, senza provocare allergie e tossicosi va a dare una risposta fortemente efficace. È fantascienza? No, queste sono le indicazioni della ricerca scientifica degli ultimi 20 anni, la quale ha prodotto oltre 1930 lavori pubblicati a livello internazionale. Questi lavori scientifici fanno dell’ossigeno-ozono terapia una delle molecole più studiate in assoluto avvalorandone la grande efficacia. Prof. Marianno Franzini Doc. Ossigeno Ozono Università degli Studi di Pavia tel. 035.300903 www.ossigenoozono.it

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ANTI-AGE

E CELLULE STAMINALI VEGETALI

L'invecchiamento è un processo naturale ed irreversibile che comporta modificazioni biologiche, morfologiche e psicologiche. Durante l’invecchiamento si verifica una riduzione delle abilità psicofisiche e una progressiva involuzione morfologica e strutturale che manifesta i suoi primi segni a livello della cute con inestetismi (rughe) con conseguente disagio nella vita di relazione. Infatti l’invecchiamento cutaneo è un processo che comincia già verso i 30 anni ed è dovuto all’invecchiamento cronologico (che colpisce tutti gli organi del corpo umano) cui si aggiunge anche l’invecchiamento fotoindotto, provocato dall’esposizione solare e dagli effetti dei raggi ultravioletti. L’invecchiamento cronologico è causato da fattori genetici e processi metabolici, a cui si accompagnano variazioni ormonali che compaiono con il passare del tempo e che portano a una progressiva atrofia del derma, dell’ipoderma e delle strutture di sostegno su cui agisce il continuo logorio della forza di gravità. L’invecchiamento fotoindotto è causato dalle radiazioni ultraviolette, che provocano uno stress ossidativo cronico cumulativo, ma vi contribuiscono anche altri fattori ambientali, come l’inquinamento e il fumo, anch’essi all’origine di un’eccessiva produzione di radicali liberi. Le conseguenze, in entrambi i casi, sono molteplici e si possono riassumere in una minore attività delle fibre del derma (collagene ed elastina), una minore produzione di sebo e di lipidi intracellulari e una minore quantità d’acqua. Foto-invecchiamento e crono-invecchiamento si manifestano in modo diverso: nel primo, la pelle appare ispessita, ruvida, rilassata, solcata diffusamente da rughe sottili, con rottura di capillari e colorito gial-

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L’invecchiamento fotoindotto è causato dalle radiazioni ultraviolette, ma vi contribuiscono anche fattori ambientali, come l’inquinamento e il fumo.


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L’Accademia del Fitness lognolo; nel secondo, la pelle è sottile, atrofica, pallida, rilassata. Altro segno dell’invecchiamento cutaneo è la presenza di discromie, per effetto di una degenerazione cutanea che porta la melanina a distribuirsi in modo non uniforme e ad accumularsi formando macchie (lentigo senilis). A contrastare ed a porre rimedio al processo dell’invecchiamento è la medicina anti-aging che, attraverso un approccio globale e multidisciplinare comprendente la genetica, la nutrizione, la neuroendocrinologia, la psicologia, l’attività fisica, la medicina estetica e la dermocosmesi previene e rallenta i processi cronici degenerativi responsabili dell’invecchiamento. È la dermocosmesi in particolar modo che, unendo armoniosamente e sapientemente natura e scienza, si pone come obiettivo di trattare l’invecchiamento della pelle mirando a ristabilire il corretto tenore d’idratazione e di lipidi, di impedire l’azione dei radicali liberi con antiossidanti, di inibire l’azione degli enzimi degradanti le fibre del derma, di accelerare il turn over cellulare (rigenerazione) e di stimolare la produzione di collagene ed elastina da parte dei fibroblasti. Risultato di tale obiettivo e frutto della ricerca scientifica più avanzata e delle tecnologie innovative, sono le cellule staminali vegetali, dette anche meristematiche, provenienti dal germoglio apicale e dalla radice apicale e che, diversamente dagli esseri umani, sono totipotenti e quindi capaci di rigenerare l’intera pianta. Un estratto di queste cellule staminali vegetali (di mela varietà Uttwiler Spätlauber) è stato testato in una serie di studi in vitro ed in vivo, per valutarne l’efficacia anti-aging sulla pelle. Le cellule staminali sono le cellule più importanti nella pelle in quanto sono fonte per le continue rigenerazioni dell’epidermide. La vitalità ridotta e l’invecchiamento prematuro o apopotosi delle cellule staminali sono le cause principali dell’invecchiamento dei tessuti cutanei. I risultati presentati hanno dimostrato che un estratto di cellule staminali vegetali di mela influenza positivamente la vitalità e la resistenza nei confronti di senescenza ed apopotosi di cellule staminali umane. L’estratto di cellule staminali vegetali promuove la rigenerazione della pelle e dei capelli e ritarda la comparsa dei segni dell’invecchiamento. In uno studio clinico il trattamento con questo nuovo ingrediente per 4 settimane su 20 soggetti ha significativamente ridotto le rughe nell’area intorno agli occhi (zampe di gallina). Inoltre le cellule staminali vegetali (di bacche d’uva acerbe) sono state studiate, coltivate e stimolate per un nuovo concetto di anti-age che agisce sui radicali liberi velocemente grazie ai principi attivi altamente biodisponibili da loro sintetizzati. È un valido aiuto per il contrasto delle dannose specie radicaliche

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sviluppate a causa di fattori endogeni (stress, fumo, cattiva alimentazione ecc.) ed esogeni (inquinamento, radiazioni UV ecc.). Durante la crescita queste cellule staminali vegetali possono essere stimolate a sintetizzare principi attivi estremamente interessanti come polifenoli o stilbeni sia in forma libera che in forma glicosilata e quindi maggiormente stabili e biodisponibili. A seconda del tipo di stimolazione alla quale si ricorre la cellula meristematica è in grado di sintetizzare diversi principi attivi. Test di laboratorio dimostrano che abbattono efficacemente e velocemente le specie radicaliche. L’esatto meccanismo d’azione non è ancora del tutto noto, tuttavia le cellule staminali vegetali (di mela varietà Uttwiler Spätlauber e di bacche d’uva acerbe), potrebbero contenere cellule sostanze funzionali con uno speciale profilo epigenetico. Sembra che questi fattori epigenetici abbiano un effetto positivo sulle cellule staminali umane. Le cellule staminali vegetali mantengono la loro efficacia all’interno delle formulazioni dermocosmetiche conferendo una comprovata efficacia anti-age. La ricerca sulle cellule staminali è certamente un argomento affascinante, di grande interesse scientifico e rappresenta l’attuale frontiera della medicina estetica anti-age cui potrà aprire nuovi orizzonti di applicazioni e trattamenti dermocosmetici. Dott. Diana Graham Specialista in Dermatologia



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La gestione dell’infortunio muscolo-scheletrico Gli infortuni sono una parte spiacevole ma a volte inevitabile di chi pratica sport soprattutto a livello agonistico. Infortuni derivanti da attività fisica possono portare a deficit e si ripercuotono sulla massa muscolare, la forza e la funzionalità muscolare, impedendo così l’allenamento ottimale e l’ottenimento di una forma fisica competitiva da parte dell’atleta. Migliorare il recupero da traumi sportivi è fondamentale per gli atleti agonisti e non solo. Esistono varie pratiche per recuperare e rimediare ad un infortunio: • riposo, ghiaccio, ecc, sono comunemente utilizzati da atleti infortunati nel tentativo di favorire il recupero da un infortunio. Un aspetto del recupero che viene spesso trascurato è la nutrizione e la supplementazione. Spesso si scrive come particolari alimenti migliorino o meno il danno muscolare… ma è provato tutto scientificamente?? Vediamo un po’ cosa dice la scienza riguardo a ciò che mangiamo e le problematiche legate ad un piccolo infortunio fino a quelle che portano all’immobilizzazione dell’arto.

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Cosa succede dopo infortunio (injury) da attività fisica: Alterazione della massa muscolare: • Anatomia • Funzionalità • Metabolismo Alterazione della composizione corporea: • Variazione del rapporto massa magra/massa grassa • Dipendenza dal tempo di inattività Alterazione della forza e della propriocettività Alterazione della funzionalità Le fasi dell’Injury: Lesioni indotte da esercizio fisico, possono procedere nelle seguenti due fasi: 1) Immobilizzazione/atrofia Il tipo e la gravità del danno determina la durata per l’immobilizzazione che dura da un paio di giorni fino a diversi mesi. I cambiamenti metabolici portano ad una diminuzione di forza e funzione. 2) Ritorno alla mobilità Riabilitazione ed aumento dell’attività fisica con conseguente ipertrofia e ritorno alla funzionalità. Purtroppo, è molto chiaro che il recupero completo di forza e funzionalità a seguito di infortunio-immobilizzazione richiede molto più tempo rispetto a quello per perderle (Jones et al. 2004) L’alimentazione e la supplementazione potranno venirci in aiuto in entrambe le fasi, soprattutto per: • Modulare i processi infiammatori • Prevenire la perdita di massa muscolare • Prevenire l’aumento di grasso corporeo • Accelerare il recupero • Recuperare la massa muscolare e la funzionalità persa In questo articolo, ci soffermeremo sul primo aspetto dell’injury, ossia l’immobilizzazione ed atrofia da trauma. Immediatamente dopo un’importante lesione si scatena un’infiammazione che tendenzialmente è positiva in quanto è utile per il processo di guarigione. L’infiammazione deve essere tenuta sotto controllo per evitare la cronicizzazione che diventerebbe dannosa. Ormai è risaputo che anche la sola attività fisica può causare un danno muscolare con infiammazione ma che differenza c’è tra l’infiammazione da esercizio fisico e quello da “injury”? La principale differenza è nella secrezione del Tumor necrosis factor (TNF).



L’Accademia del Fitness Il TNF-alfa ha un ruolo importante sia in modelli sperimentali di cachessia sia in pazienti neoplastici, dimostrando che, almeno sotto alcuni aspetti, queste due situazioni sono sovrapponibili. Uno dei suoi ruoli è quello di attivare il catabolismo proteico muscolare. È il TNF alfa che inibisce la cascata per la sintesi proteica attivata dall’insulina (crea un’insulino resistenza). Due studi indicano che elevati livelli di TNF alfa non sono secondari alle condizioni patologiche associate all’insulino resistenza, ma che il TNF alfa svolge un ruolo negativo diretto nel metabolismo del glucosio (Exp Clin Endocrinol Diabetes. 1999;107(2):119-25). Sembra che il TNF provochi il collegamento diretto molecolare tra il basso grado di infiammazione sistemica e l’insulino-resistenza (Physiol Rev 88: 1379–1406, 2008) È importante anche notare che nell’insulino-resistenza vi sono bassi livelli di adiponectina (elevato grado di correlazione con l’insulino resistenza). L’adiponectina è una sostanza antiinfiammatoria e livelli adeguati migliorano l’insulino resistenza stessa. Le citochine infiammatorie TNFa and IL-6 riducono l’espressione per l’adiponectina mentre, al contrario, l’adiponectina ha un effetto antinfiammatorio, inibendo l’attivazione di NFkB da TNFa (J. Nutr. 138: 2293–2296, 2008). Come si può agire per aumentare i livelli di adiponectina? Sembrerebbe che una dieta bassa in carboidrati e leggermente ipocalorica, l’aggiunta di uova nell’alimentazione (Luteina e zeaxantina nelle uova potrebbero ridurre l’espressione delle citochine infiammatorie che inibiscono l’espressione dell’adiponectina) e gli acidi grassi della serie omega 3 acido eicosapentaenoico e acido docosaesaenoico riescano ad aumentare l’espressione dell’adiponectina (per via diretta sul PPARg). A causa di questa elevata espressione del TNF con le conseguenze prima descritte, nella fase di immobilizzazione si verifica quella situazione conosciuta come “Resistenza Anabolica”. Nell’immobilizzazione del muscolo nell’uomo in vivo, la prima causa di perdita di massa muscolare è la diminuzione della sintesi proteica sia nella fase post-assorbitiva che post-prandiale. La proteolisi non sembrerebbe però accelerata. (J Appl Physiol 107: 645-654, 2009). Un importante e dannoso cambiamento causato dall’immobilizzazione è che il muscolo non risponde più agli stimoli anabolici indotti dall’alimentazione. Spesso la prima contromisura per contrastare la perdita di massa muscolare è aumentare l’intake proteico. Purtroppo, se un aumento dell’intake proteico dopo esercizio ed a riposo è efficace nella sintesi proteica, non lo è durante l’immobilizzazione da trauma. Un recente studio canadese ha dimostrato che l’immobilità diminuisce la capacità delle proteine miofibrillari di rispondere all’intake di aminoacidi (Glover et al., 2008).

Questo sembrerebbe dimostrare come nell’immobilizzazione l’assunzione proteica non ha lo stesso effetto che nel muscolo sano. A questo punto ci può venire in aiuto un aminoacido particolare: la Leucina. La leucina da sola riesce ad aumentare la sintesi proteica muscolare; in ratti in stato catabolico riporta la sintesi proteica a valori normali ma non sopra la normalità; In anziani (già resistenti di per sé allo stimolo anabolico) si è visto aumentare la sintesi proteica superando questa resistenza anabolica (Katsanos et al., 2006). L’assunzione di una soluzione con aminoacidi essenziali (EAA) contenente 2.8g leu, aumenta la sintesi proteica muscolare (aumento dell’MPS del 60% in adulti (Am J Physiol Endocrinol Metab. 2004 Mar;286(3):E321-8).). Una soluzione contenente 4,4 gr e 8,3 gr di Leu stimolano l’MPS similmente (aumento del 50-70% rispettivamente) in adulti (Am J Physiol. 1999 Apr;276(4 Pt 1):E628-34). Quindi ~3-4g leucina (~0.045-0.06 g/kg) potrebbero massimizzare l’MPS se assunti ad ogni pasto (contenuti in alimenti e/o come integrazione). Recentemente si è visto che una porzione moderata di proteine alimentari (113 gr di carne magra) contengono una quota di aminoacidi (30 g totali; 10 g di EAA di cui 2,73gr di Leucina) capace di aumentare la sintesi proteica del 50% sia in giovani che anziani uomini e donne (Am J Clin Nutr 2007;86:451–6 ). Ma assieme alla “carne” che buttiamo nel piatto per riparare il danno cellulare? Una bella ciotola di spinaci… Partiamo col dire che la guarigione della ferita muscolare avviene in tre fasi che si susseguono: (1) degenerazione e infiammazione, (2) la rigenerazione muscolare e (3) fibrosi. Contemporaneamente alla ferita c’è infiltrazione cellulare dei neutrofili e macrofagi. Quando il muscolo scheletrico è allungato o ferito, le cellule satellite muscolari sono attivate per entrare nel ciclo cellulare, si dividono, si differenziano e si fondono con le fibre muscolari per riparare le zone danneggiate e per attivare l’ipertrofia delle fibre muscolari. Questo processo dipende dalla produzione di ossido nitrico (NO), metalloproteinasi (MMP) l’attivazione e il rilascio del fattore di crescita degli epatociti (HGF) dalla matrice extracellulare. Quindi, la rigenerazione del muscolo dipende dal tipo e dalla gravità del danno, dall’appropriata risposta infiammatoria e dall’equilibrio tra i processi di rimodellamento e fibrosi. Sembra che in tutte queste fasi l’NO esercita un ruolo significativo (Nitric Oxide. 2009 Nov-Dec;21(3-4):157-63. Epub 2009 Aug 12). E allora perchè gli spinaci (o comunque le verdure a foglia verde)? Uno studio pubblicato su Cell Metabolism ha spiegato che non è il ferro, ma i nitrati inorganici contenuti negli spinaci a

Ma se assieme alla

carne che buttiamo nel piatto, per riparare il danno cellulare

aggiungiamo una bella ciotola di spinaci?

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numero 03 / 2011 migliorare le prestazioni e a rendere più efficienti i muscoli. Gli esperimenti sono stati condotti su uomini e donne volontari. Per tre giorni i soggetti in questione hanno preso piccole dosi di nitrati inorganici e poi si sono messi a pedalare su una cyclette. Grazie a loro, il consumo di ossigeno per lo sforzo è stato minimo. L’autore dello studio ha spiegato che i mitocondri di norma non sono pienamente efficienti, come del resto nessuna ‘macchina’ biologica lo è, però i nitrati, e soprattutto l’ossido nitrico che da essi si forma nel nostro organismo (anche grazie alla presenza della vitamina C contenuta nella verdura), sembrano in grado di ridurre i livelli di proteine che frenano il lavoro del mitocondrio”. E non solo spinaci, ma tutta la verdura a foglia verde ottiene lo stesso risultato. Questa scoperta ha dimostrato che i nitrati contenuti in frutta e verdura vengono trasformati in ossido nitrico. Le dosi efficaci per migliorare l’efficienza cellulare e le prestazioni muscolari sono analoghe a quelle che si trovano in una normale porzione di spinaci o in due, tre barbabietole (February 2011,Cell Metabolism,13(2) pp.149 -159) Un’altra problematica dell’immobilizzazione da trauma muscolare (anche di un solo arto) è la perdita di massa muscolare durante immobilità. Durante l’immobilità, il risultato più evidente è una perdita di massa muscolare che porta alla ridotta funzionalità muscolare. Il disuso causa una rapida perdita di muscolo (JAMA 2007;297:1772-1774. J Clin Endocrinol Metab 2006;91:48364841.) Il fattore metabolico principale che porta alla perdita di massa muscolare è una diminuzione del tasso di sintesi delle proteine muscolari, in particolare le proteine miofibrillari (Ferrando et al., 1996).

La perdita di massa muscolare può avvenire durante l’invecchiamento (sarcopenia), malattia (cachessia), o inattività (atrofia). Ognuna di queste condizioni ha un adattamento metabolico aumentando la degradazione proteica (cachessia), diminuendo la velocità di sintesi proteica (inattività) o un’alterazione di entrambe (sarcopenia). Le conseguenze cliniche dell’allettamento, potrebbero mimare quelle della cachessia (Am J Clin Nutr 2010 91: 1123S-1127S): rapida perdita di massa muscolare, insulino resistenza (Insulin Resistance Accelerates Muscle Protein Degradation. Endocrinology Vol. 147, No. 9;4160-4168) debolezza. La profilassi per l’atrofia indotta da “bedrest” include il supporto nutrizionale con enfasi per le proteine di altà qualità. In uno studio (J Gerontol A Biol Sci Med Sci (2008) 63(10): 10761081) un gruppo di anziani uomini e donne sane (n = 11, 67 ± 5 years old) sono rimasti a letto per 10 giorni con un’alimentazione normocalorica con quantità proteiche secondo le RDA. Risultati: In anziani (old adult) sani, 10 giorni di riposo a letto provocano una sostanziale perdita di forza degli arti inferiori, della potenza e della capacità aerobica, e una riduzione performance fisica. Gli interventi nutrizionali dovrebbero concentrarsi per minimizzare la riduzione della sintesi delle proteine muscolari in modo che i periodi di bilancio negativo delle proteine muscolari siano ridotti al minimo.

Dott. Giovanni Montagna Dietista +39 399 67076 giannidiet@tiscali.it

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razionale cellfood

La riduzione della lisi ossidativa eritrocitaria da parte di CellFood può essere importante negli atleti che, a causa dell’elevato consumo di ossigeno per la produzione di energia, possono ritrovarsi in condizione di stress ossidativo con conseguente anemia.

L’ossigeno è essenziale per la vita degli organismi aerobi e circa l’1% di quello da noi consumato è convertito in specie reattive dell’ossi geno (ROS). A questa aliquota cosiddetta fisiologica di ROS si deve aggiungere quella derivante da esposizioni esogene ambientali o dovuta a trattamenti quali la radio e chemioterapia nel caso di patologie cronico-degenerative. Per evitare l’estinzione gli organismi hanno sviluppato meccanismi complessi per far fronte ai ROS e agli xenobiotici come i sistemi di difesa antiossidante. Trattandosi di sistemi che lavorano a livello cellulare in concentrazioni molto basse, gli antiossidanti seguono una logica ormetica e cioè ad uno stimolo radicalico la cellula risponde con segnali in grado di potenziare la difesa antiossidante e quindi sostanzialmente tutto ciò ricade nella teoria evolutiva. In presenza di un disequilibrio del sistema proossidante/antiossidante a favore del primo la risposta adattativa non è più sufficiente e quindi si possono sviluppare patologie interessanti la cellula, i tessuti e gli organi ed in questo caso parleremo di patologie sistemiche. Poichè tutte le molecole biologiche possono interagire chimicamente con i radicali liberi e venire danneggiate qualora i livelli di antiossidanti endogeni risultino insufficienti, si sono sviluppati metodi analitici per valutare la situazione anche a livello ematico, comparto organico facilmente accessibile. Conoscere il problema permette altresì di predisporre i rimedi adatti e in tale ambito abbiamo condotto una sperimentazione su un integratore nutrizionale antiossidante: CELLFOOD che si può ritenere un vero “ modulatore fisiologico” poichè risponde a due logiche fondamentali per la prevenzione e per la cura, è infatti in grado di liberare ossigeno e fornire elementi micronutrizionali essenziali. Al fine di meglio comprenderne i meccanismi d’azione abbiamo indagato in vitro le proprietà antiossidanti di CF valutando l’effetto protettivo di CF nei confronti sia di biomolecole (glutatione e DNA) sia di cellule ematiche circolanti (quali eritrociti e linfociti) sottoposte a danno ossidativo. I risultati ottenuti evidenziano come CF sia ampiamente efficace nel proteggere le biomolecole e le cellule dall’ossidazione; in particolare, negli eritrociti CF riduce l’emolisi cellulare da parte degli ossidanti preservando contemporaneamente le difese antiossidanti dell’eritrocita. La riduzione della lisi ossidativa eritrocitaria da parte di CF può essere particolarmente importante negli atleti che, a causa dell’elevato consumo di ossigeno per la produzione di energia, possono ritrovarsi in condizione di stress ossidativo con conseguente anemia. Anche nei linfociti CF si è dimostrato efficace nel ridurre lo stress ossidativo intracellulare, confermando l’azione protettiva diretta di CF contro i comuni ossidanti fisiologici, responsabili del danno ossidativo alle biomolecole quali lipidi, proteine e acidi nucleici. Prof. Franco Canestrari Associato di Biochimica clinica e Biologia molecolare clinica Università di Urbino

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i disturbi del comportamento alimentare Parte I Il DSM IV-TR (Diagnostic and Statistical Manual of MentalDisorders), l’ultima edizione del manuale diagnostico più utilizzato dagli specialisti del settore “mentale”, inquadra i DCA definendoli disturbi specifici delle abitudini alimentari o del comportamento relativo al controllo del peso, che sfociano in un deterioramento clinicamente significativo della salute fisica. Le condotte di controllo del peso possono essere tali da causare una grave alterazione sia a livello fisiologico che in ambito psicosociale, tale da rendere i DCA patologie di primaria importanza in ambito psichiatrico e nutrizionale. Mi preme sottolineare come i criteri classificatori del DSM siano stati sviluppati per permettere una corretta e omogenea valutazione delle malattie mentali in tutto il mondo: il loro utilizzo è prevalentemente statistico e modificativo, e l’attuale classificazione non è del tutto soddisfacente, dato che, secondo alcune stime, circa la metà dei casi viene incanalata nella generica categoria dei disturbi atipici del comportamento. In ogni caso il DSM IV-TR suddivide i DCA come segue: • Anoressia nervosa • Bulimia nervosa • Disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificati (DCAnas) Criteri Diagnostici per l’Anoressia Nervosa (dal greco ανορεξία anorexía, comp. di an- priv. e órexis ‘appetito’), è la mancanza o riduzione dell’appetito. A. Rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o al peso minimo normale per l’età e la statura (<85% peso ritenuto normale); Body Mass Index <17.5 B. Intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi, anche quando si è sottopeso. C. Dismorfismo corporeo: eccessiva influenza del peso e della forma corporea sull’autostima, alterazione dell’immagine di sè, rifiuto di ammettere la gravità della situazione di sottopeso. D. Amenorrea nelle femmine postpuberali (assenza di almeno 3 cicli mestruali consecutivi). Inoltre si distinguono due sottotipi differenti: Con Restrizioni: il soggetto presenta una forte restrizione calorica ma non presenta regolarmente abbuffate o condotte

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I disturbi delle abitudini alimentari o del comportamento relativo al controllo del peso, sfociano in un deterioramento significativo della salute fisica.


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di eliminazione (vomito autoindotto, uso eccessivo di lassativi, diuretici o enteroclismi). Con Abbuffate/Condotte di Eliminazione: nell’episodio attuale di Anoressia Nervosa il soggetto ha presentato regolarmente abbuffate o condotte di eliminazione (vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi, esagerata attività fisica) È importante sottolineare che questa classificazione non deve essere rigida: ogni tipologia ha diverse varianti ed i pazienti sono portati ad oscillare da un sottotipo ad un altro. Criteri Diagnostici per Bulimia Nervosa (dal greco βουλιμία, composto di βους”bue” e λιμός “fame”; fame da bue A. Ricorrenti episodi di iperalimentazione compulsiva con perdita di controllo: 1) mangiare in un definito periodo di tempo (ad es. un periodo di due ore) una quantità di cibo significativamente maggiore di quello che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso tempo ed in circostanze simili; 2) sensazione di perdere il controllo durante l’episodio (ad es. sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o a controllare cosa e quanto si sta ingurgitando). B. Ricorrenti ed inappropriate condotte compensatorie per prevenire l’aumento di peso, come vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici, enteroclismi o altri farmaci, digiuno o esercizio fisico eccessivo. C. Le abbuffate e le condotte compensatorie si verificano entrambe in media almeno due volte alla settimana, per tre mesi. D. I livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e dal peso corporei. E. L’alterazione non si manifesta esclusivamente nel corso di

episodi di Anoressia Nervosa. Anche in questa patologia possiamo distinguere due sottotipi: Con Condotte di Eliminazione: nell’episodio attuale di Bulimia Nervosa il soggetto ha presentato regolarmente vomito autoindotto o uso inappropriato di purganti, diuretici o enteroclismi. Senza Condotte di Eliminazione: nell’episodio attuale il soggetto ha utilizzato regolarmente comportamenti compensatori inappropriati, quali il digiuno o l’esercizio fisico eccessivo, ma non si dedica regolarmente al vomito autoindotto o all’uso inappropriato di purganti, diuretici o enteroclismi Criteri Diagnostici per i Disturbi dell’Alimentazione Non Altrimenti Specificati La categoria “Disturbi della Alimentazione Non Altrimenti Specificati” comprende quei disturbi dell’alimentazione che non soddisfano i criteri dell’ Anoressia della Bulimia. Gli esempi includono: A. Per il sesso femminile, tutti i criteri dell’Anoressia Nervosa in presenza di un ciclo mestruale regolare. B. Tutti i criteri dell’Anoressia Nervosa sono soddisfatti e, malgrado la significativa perdita di peso, il peso attuale risulta nei limiti della norma. C. Tutti i criteri della Bulimia Nervosa risultano soddisfatti, tranne il fatto che le abbuffate e le condotte compensatorie hanno una frequenza inferiore a 2 episodi per settimana per 3 mesi. D. Un soggetto di peso normale che si dedica regolarmente ad inappropriate condotte compensatorie dopo aver ingerito piccole quantità di cibo (es. induzione del vomito dopo aver mangiato due biscotti).

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L’Accademia del Fitness E. Il soggetto ripetutamente mastica e sputa, senza deglutirle, grandi quantità di cibo. F. Disturbo da Alimentazione Incontrollata, ricorrenti episodi di abbuffate in assenza delle regolari condotte compensatorie inappropriate tipiche della Bulimia Nervosa. Quest’ultimo disturbo (BED, BingeEatingSyndrome) è un disturbo che si sta tendendo a classificare come entità a sé stante; una prerogativa delle persone che soffrono questo disagio è quella di mangiare, per un periodo definito, una quantità di cibo più abbondante di quella che mangerebbero normalmente. Il vissuto caratterizzante quest’affezione è la perdita di controllo sul consumo del cibo, sia qualitativamente che quantitativamente ed il soggetto è portato a mangiare grandi quantitativi di alimenti, più rapidamente del normale, fino a sentirsi spiacevolmente pieno, anche se non si sente affamato e, generalmente, tende a mangiare da solo a causa dell’imbarazzo per quanto sta ingurgitando; il senso di colpa ed un diffuso sentore di disagio sono altri elementi distintivi del BED. Alcuni soggetti inoltre presentano problemi appartenenti sia alla sfera dei disturbi del sonno che a quella della condotta alimentare e sono i casi che rientrano nel Sleep Eating Disorder o nella Night EatingSyndrome. Il SED è un disturbo del sonno caratterizzato da episodi ricorrenti di sonnambulismo durante i quali i soggetti fanno abbuffate consistenti per lo più in grandi quantità di cibo ad alto contenuto di zucchero o grassi. Tali pazienti spesso non ricordano questi episodi e questo costituisce un alto rischio di autolesionismo non intenzionale. Il NES è un disturbo in cui i soggetti rifiutano il cibo nella giornata , in genere saltando la colazione e non mangiando fino a mezzogiorno, mentre la sera o la notte fanno un consumo eccessivo di cibo. Tale comportamento rende fallimentare tutti i tentativi di perdere peso, aumenta lo stress e l’ansia influenzando sia la fase di addormentamento (difficoltà ad addormentarsi) che

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quella del sonno vero e proprio (incubi o risvegli frequenti), nonché - a lungo andare - ad avere problemi a stare svegli durante il giorno o ad addormentarsi nelle situazioni meno indicate. Ortoressia Un’altra patologia “minore” è l’ortoressia (dal greco orthos– corretto/orexis-appetito), una forma di attenzione abnorme per le regole alimentari e per la scelta e le caratteristiche del cibo. È stata descritta per la prima volta da Steve Bratman nel 1997, dietologo ex-ortoressico che ha anche formulato un questionario allo scopo di identificare questa psicopatologia: la psicologia odierna tende a dare sempre più peso a questa forma di mania per le regole eccessive, che coinvolge maggiormente il sesso femminile. L’ortoressia è altresì un problema sociale, dato che ostacola i rapporti con l’esterno e con il partner, creando un meccanismo circolare di insoddisfazione: l’ortoressico cambia lentamente stile di vita, e si isola in un modus vivendi standardizzato, dettato esclusivamente da regole precise e irrinunciabili, allontanandosi da chi non condivida in toto le sue idee. Dismorfia Muscolare La dismorfia è una preoccupazione per un difetto estetico del proprio corpo, in realtà inesistente o irrilevante; la preoccupazione è così intensa da provocare sofferenza e difficoltà relazionali. La dismorfia muscolare o bigorexia è un disordine nel quale una persona diviene ossessionata dal pensiero di non essere muscoloso abbastanza: chi ne soffre si vede sempre mingherlino anche se in realtà possiede un fisico muscoloso ben oltre la norma. Il seguire una dieta molto stretta per aumentare la massa muscolare e rimanere al contempo “asciutti” può predisporre alcuni atleti ad incappare nella bulimia o in un BED. Dottor Marco Tullio Cau Laurea Specialistica in Psicologia indirizzo Clinico e Laurea Specialistica in Scienze della Comunicazione



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Programmarsi alla

longevità Per comprendere appieno i meccanismi legati all’allungamento della vita è necessario affrontare l’argomento attraverso una prospettiva multidimensionale. Si tratta, infatti, da un lato, di dare conto dei cambiamenti che avvengono con l’età a livello cerebrale e cognitivo, di personalità, nonché sotto il profilo emotivo-affettivo e socio-ambientale, dall’altro di identificare i tipi di intervento attuabili per migliorare la qualità di vita, prevenendo i processi degenerativi. Ogni processo degenerativo provoca delle modifiche nel Dna. Nelle nostre cellule vi è un elemento fondamentale, costituente essenziale per la vita, il ribosio, presente all’interno dell’RNA (acido ribonucleico), il quale ha il compito di trasportare l’informazione necessaria alla sintesi delle proteine dalla sede dei cromosomi (DNA), in cui si forma, fino alla sede ribosomica in cui si effettua tale sintesi. Ogni gene ha un enzima e l’enzima è correlato con l’RNA. La velocità di riparazione del DNA gioca un ruolo vitale, a livello cellulare, nelle malattie (non infettive), nell’invecchiamento e, per quanto concerne le popolazioni, anche sotto il profilo dell’evoluzione.

Quando interviene un fattore di squilibrio, come l’immissione di “veleni”, la cellula colpita blocca innanzitutto gli enzimi e, di conseguenza, tale effetto si ripercuote sul RNA che ne risulta alterato. L’informazione genetica resta così alterata e la degenerazione cellulare può presentarsi in qualsiasi momento. Occorre tuttavia fornire una definizione più precisa del termine “veleni” (ossia tutti quegli elementi dannosi che provocano squilibri all’interno della cellula: radiazioni ultraviolette, ormoni, farmaci, tossine, mutageni chimici, ecc.) per poter comprendere la reale minaccia e, conseguentemente, contrastarla. La riparazione del DNA è un processo che opera costantemente nelle cellule. Ma da cosa dipende quest’ultima? Nella membrana cellulare di ogni cellula del nostro organismo troviamo dei recettori (proteine integrali di membrana con funzione di recettore/effettore), responsabili della percezione di determinati elementi. Quest’ultimi, nella medicina convenzionale, sono descritti come elementi di natura fisica (ormoni, farmaci, fattori di crescita, ecc.) mentre nella medicina quantistica assumono la forma di onde vibrazionali. Quando i recettori della membrana cellulare permettono il pas-

L’età biologica è

data da tutte quelle sostanze fisiche

che nel corso della

nostra vita hanno

prodotto dei processi degenerativi nelle

cellule dell’organismo.

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numero 03 / 2011 saggio di determinate sostanze tossiche nella cellula (addotti del DNA), le proteine si comportano come degli ingranaggi che attraverso una serie di segnali intra-citoplasmatici permettono alla sostanza di interagire con il proprio DNA, una volta entrato nel nucleo della cellula. Nella medicina quantistica avviene esattamente la stessa cosa, con l’unica differenza che invece di un elemento fisico troviamo un segnale astratto, un’onda vibrazionale, che influenza anch’essa in maniera determinante l’espressione genica. Sulla base di tali meccanismi si è soliti individuare almeno tre tipi di vecchiaia: età biologica, psicologica e sociale (Birren 1959). L’età biologica è data da tutte quelle sostanze fisiche che nel corso della nostra vita hanno prodotto dei processi degenerativi nelle cellule dell’organismo. L’età psicologica si riferisce alle capacità adattative di una persona che provengono dal suo comportamento, ma può anche riferirsi alle relazioni soggettive o all’autoconsapevolezza che si possiede della propria età. Essa è collegata sia all’età cronologica che a quella biologica, ma non è pienamente desumibile dalla loro combinazione. Nel nostro organismo normalmente avvengono fenomeni di natura elettrica e di natura atomica (elettrochimica), sia negli interscambi fra cellula e cellula che all’interno della cellula stessa. L’età psicologica, alla luce alle scoperte effettuate dalla fisica quantistica, può essere pertanto definita come il risultato di tutti quei fattori che, tramite gli input cerebrali, alterano le vibrazioni cellulari, positivamente o negativamente, compartecipando con il passare del tempo alla creazione della propria autoimmagine. L’insieme delle vibrazioni crea il “campo” che può essere costruttivo (apportando miglioramenti nella biologia della cellula) o distruttivo (stimolandone i processi degenerativi). Nel nostro organismo le cellule staminali sono cellule che posseggono delle proprietà particolari, tra cui la capacità di compiere un numero illimitato di cicli replicativi mantenendo il medesimo stadio differenziativo (autorinnovamento). E allora perché invecchiamo? Il cervello vede solo le cose che gli sembrano possibili. La possibilità dell’attualizzazione degli eventi viene incamerata durante la nostra vita avvalendosi di specifici programmi mentali. Uno dei motivi principali dell’invecchiamento è dato proprio dalla convinzione di dover invecchiare, rappresentata sia da un’influenza visiva, ossia dalla suggestione di dover invecchiare dopo una certa età, sia da tutti quei modi di dire e credenze/ valori che costituiscono la società in cui si risiede. Frasi come: “Beh! il tempo passa anche per te; sei stressato; hai le rughe; stai perdendo i capelli” e via

dicendo, funzionano come un vero e proprio effetto nocebo. Nel momento in cui un individuo crea nella sua mente delle immagini depotenzianti influenza negativamente il proprio campo e quindi la propria biologia. Una delle caratteristiche più strane dell’uomo odierno, è che egli vuole apparire meglio di quello che realmente è. In una società basata sull’immagine la tipologia di eventi legati al decadimento fisico rappresenta una vera e propria problematica e, quindi, una tematica su cui confrontarsi e riflettere continuamente. Il cervello crea verità a seconda di quante volte entra in contatto e si confronta con una data informazione, incamerandola nel proprio inconscio sotto forma di programma. I programmi installati nel nostro software cerebrale hanno la funzione di creare la nostra realtà (profezia autoavverante). Da ciò ne consegue che i programmi negativi (inerenti la percezione del proprio corpo) generano un’interferenza distruttiva che le onde vibrazionali creano, accelerando in tal modo i processi dell’invecchiamento. Riassumendo: l’input cerebrale proveniente dal programma negativo altera le onde vibrazionali, creando un’interferenza distruttiva che influisce sull’espressione genica. Il risultato è un’accelerazione dei processi degenerativi nelle cellule dell’organismo. Dott. Claudio Lombardo www.claudiolombardo-pnlsport.com Sport Coach – Diet Coach Laurea in Scienze Organizzative e Gestionali

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Variabilità cardiaca e stress Il termine variabilità della frequenza cardiaca, spesso abbreviato come variabilità cardiaca (VC), identifica il particolare fenomeno di oscillazione continua del battito cardiaco. In una persona sana infatti, anche in condizioni di rilassamento, il tempo che intercorre tra un singolo battito e il successivo non è mai costante ma presenta delle piccole variazioni fisiologiche (nell’ordine di centesimi o decimi di secondo) legate all’attività del sistema nervoso autonomo (SNA). Il SNA è il sistema responsabile dell’adattamento della frequenza cardiaca alle condizioni esterne ma anche a fenomeni fisiologici inerenti l’organismo stesso, come ad esempio la respirazione. È infatti possibile notare come il battito acceleri nella fase inspiratoria e rallenti nella fase espiratoria. L’adattamento del battito al ritmo della respirazione, regolato dal sistema vagale (che rappresenta una parte del SNA), è proprio una delle principali cause del manifestarsi della VC. La misurazione della VC può essere effettuata attraverso un elettrocardiogramma, ma oggigiorno è possibile anche utilizzando cardiofrequenzimetri di ultima generazione che garantiscono una maggiore flessibilità e praticità di utilizzo. Come avviene una misurazione della VC? La VC viene in genere registrata al mattino, subito dopo il risveglio, per un periodo di 5-10 minuti, con il soggetto in posizione supina e con respirazione naturale. Tuttavia, sono utilizzati anche protocolli più complessi che prevedono la registrazione durante l’intera notte o addirittura nell’arco delle 24 ore. Dopo la misurazione, è necessario analizzare i dati ottenuti attraverso appositi software. Quindi, grazie a calcoli matematici, si ottengono i valori di alcuni indicatori che descrivono aspetti specifici relativi alla VC. Quali indicazioni può fornire una valutazione della VC? In campo clinico, la VC è tradizionalmente usata a fini diagnostici perché particolarmente influenzata dalla presenza di alcune patologie. Esiste comunque un utilizzo specifico della VC in persone praticanti attività motoria e sportiva. Uno degli indici matematici

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più importanti che si può ottenere dall’elaborazione di un tracciato di VC è quello che descrive l’ampiezza delle oscillazioni nella durata del battito cardiaco legate alla sincronizzazione tra il respiro e il battito stesso. Questo indicatore può essere considerato una stima del livello di attivazione del sistema vagale. In altre parole, confrontando più misurazioni di un soggetto effettuate in giorni diversi, maggiori sono le oscillazioni del battito legate alla respirazione e maggiore è la regolazione esercitata dal sistema vagale in quel soggetto. Quindi, l’analisi della VC permette di avere indicazioni sull’attività del SNA senza dover fare ricorso a sistemi di misurazione costosi ed invasivi. Per quale motivo è importante conoscere l’attività del SNA? In generale, tale attività è particolarmente influenzata dall’alterazione dell’equilibrio interno dell’organismo, che può derivare dal normale effetto di carichi di allenamento o da fattori stressanti legati alle attività della vita quotidiana. In particolare, il livello di attivazione del sistema vagale tende a diminuire in condizioni di stress rispetto ai valori che si avrebbero, nello stesso soggetto, in condizioni di rilassamento o recupero ottimale dall’allenamento. Monitorare sistematicamente in una persona il livello di attivazione del SNA può quindi essere uno strumento molto importante per valutare se tale individuo ha recuperato o meno dagli allenamenti dei giorni precedenti o se si trova in un periodo particolare di stress. Grazie a questa indicazione, è quindi possibile proporre le opportune correzioni al programma di allenamento, in particolare per quanto riguarda la durata del recupero tra sedute di allenamento particolarmente impegnative. In conclusione, la valutazione della VC può essere un ottimo strumento di lavoro per il personal trainer al fine di ottimizzare i carichi di lavoro, proponendo allenamenti non predefiniti e standardizzati ma adattati alle specifiche risposte fisiche individuali. Rocco Di Michele Firstbeat Technologies Dottore di Ricerca in Discipline delle Attività Motorie



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INTEGRATORI E CORTISOLO

Sappiamo che una dieta iperproteica stimola la produzione di cortisolo e viceversa i carboidrati, tramite la stimolazione dell’insulina, che inibisce l’enzima 11HSD1 che rigenera il cortisolo dal cortisone nel tessuto adiposo e nel fegato, riducono i livelli di cortisolo. Di conseguenza se si vogliono tenere più sotto controllo i livelli di cortisolo durante l’allenamento è buona cosa consumare prima e durante l’allenamento dei carboidrati. Miscele di carboidrati a base di maltodestrine, glucosio, fruttosio possono assolvere allo scopo. Se è vero che le proteine stimolano la produzione di cortisolo è però altrettanto vero che le proteine sono importantissime per rimediare al catabolismo proteico indotto da elevati livelli di cortisolo e quindi dopo allenamenti intensi è fondamentale assumere proteine ad assorbimento veloce insieme a carboidrati per stimolare la sintesi proteica. Inoltre se si vuole tenere a bada il cortisolo durante l’allenamento può non essere una buona idea assumere dei termogenici a base di caffeina prima dell’allenamento. Uno studio condotto dalla Duke University ha concluso che gli effetti del caffè al mattino possono potenziare le risposte nell’organismo allo stress e innalzare i livelli di cortisolo per tutto il giorno fino a sera inoltrata. Esistono comunque degli integratori che hanno dimostrato la capacità di diminuire la produzione di cortisolo durante l’allenamento. L’acido gamma-aminobutirrico (GABA) riduce lo stress e i livelli di cortisolo. Alcuni ricercatori giap-

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ponesi hanno combinato 28 mg di GABA con la caffeina e i soggetti che hanno ricevuto questa combinazione rispetto alla semplice somministrazione di caffeina hanno sperimentato lo stesso livello di energia ma associato ad un maggior stato di calma. In uno studio con placebo e doppio cieco 10 soggetti hanno assunto fosfatidilserina per 10 giorni. Sono stati successivamente presi dei campioni di sangue a riposo, dopo 15 minuti di moderato-intenso esercizio su cicloergometro che consisteva di 5 fasi di 3 minuti ad incremento progressivo partendo dal 65% e finendo all’85% del VO2max e dopo un recupero passivo di 65 minuti. I livelli di cortisolo sono risultati significativamente più bassi nei soggetti che avevano assunto la fosfatidilserina suggerendo che la PS possa essere un integratore efficace per contrastare lo stress indotto dall’allenamento.(The effects of phospathidylserine on endocrine response to moderate intensity exercise). Un altro integratore di cui ci sono vari studi che mettono in risalto la sua efficacia nelle situazioni di stress e la RHODIOLA ROSEA. Questa pianta possiede proprietà adattogene ed è stato dimostrato che è particolarmente efficace negli gli atleti per abbreviare i tempi di recupero dopo un lungo e intenso allenamento. I benefici ergogeni di questa pianta si verificano grazie alla sua capacità di aumentare i livelli di Beta-endorfina e diminuire il fattore di rilascio della corticotropina(CRF), conosciuto come corticoliberina che è un ormone polipeptidico e un neurotrasmettitore coinvolto nella risposta dell’organismo allo stress contribuendo così alla prevenzione delle condizioni di stress causato dall’aumento del cortisolo.


numero 03 / 2011 La Vitamina C riduce i livelli degli ormoni dello stress potenziando al contempo il sistema immunitario. Uno studio, ha appurato che i livelli di pressione arteriosa e cortisolo vengono ripristinati alla normalità più velocemente in caso di assunzione di 3.000 mg di vitamina C prima di un evento stressante. La corteccia di Magnolia ottenuta dalla Magnolia Officinalis, è dotata di attività ansiolitica simile alle benzodiazepine, interagisce con il recettore GABA e controlla i livelli di cortisolo. DOSAGGIO:275-750 mg/die Il BETA SITOSTEROLO (derivato dall’olio di germe di grano) equilibra il rapporto cortisolo e DHEA (uno degli ormoni sessuali prodotti dalle surrenali) soprattutto in seguito allo stress indotto da esercizio fisico. DOSAGGIO:100-300 mg I BCAA contrastano gli effetti negativi del cortisolo. I BCAA funzionano sia incrementando la sintesi della glutamina nei muscoli, che prevenendo il suo rilascio sotto l’influenza del cortisolo. La TEANINA, presente soprattutto nel Tè Verde, stimola un relax non sonnolento stimolando la produzione del neurotrasmettitore GABA nel cervello, contrastando gli effetti stimolanti della caffeina. Il BASILICO SACRO è una delle principali erbe usate in India per ridurre gli effetti negativi dello stress, abbassando la produzione di cortisolo. È usato nella medicina tradizionale Ayurvedica per promuovere la chiarezza della concentrazione. LA WITHANIA SOMNIFERA anche ASHWAGANDA o GINSENG INDIANO è una pianta adattogena in grado di supportare il sistema immunitario, utile negli stati di ansia e insonnia ed in grado di controllare la produzione del cortisolo. Il 7-cheto DHEA, che è venduto come integratore da banco in U.S.A., è importante per la riduzione del cortisolo. Secondo i ricercatori il 7-cheto DHEA ridurrebbe l’attività dell’enzima che converte i glucocorticoidi inattivi, nella loro forma attiva. In uno studio collegato uscito su Physiological Research, gli uomini che hanno assunto 25 mg di 7-cheto DHEA attraverso un cerotto transdermico per 5 giorni hanno sperimentato una riduzione del cortisolo del 7,4%. Per quanto riguarda la dose, studi indicano che 25-200mg al giorno danno buoni risultati. Alcuni ricercatori consigliano di assumere il 7-cheto DHEA la mattina, quando i livelli ormonali di cortisolo sono più alti. Bisogna però anche considerare che in realtà il corti-

solo non ha solo effetti negativi e nelle giuste quantità è necessario per favorire il recupero e per esercitare il necessario effetto antiinfiammatorio post-work-out. A me è capitato varie volte di prescrivere la fosfatidilserina a dei miei pazienti che sostenevano allenamenti particolarmente intensi nell’ottica di moderare la produzione di cortisolo, ebbene in alcuni casi con la somministrazione della PS si verificava un aumento del dolore a livello articolare (ginocchio-gomito) che in realtà rendeva più difficile l’allenamento. Alla sospensione della fosfatidilserina i sintomi regredivano. Quindi non sempre è utile abbassare i livelli di cortisolo che a volte anzi in condizioni di stress cronici prolungati possono essere particolarmente bassi. La modulazione per i recettori per il cortisolo è probabilmente la ragione per cui la curcuma esercita un effetto antidolorifico. In effetti la CURCUMA è stata studiata a fondo per le sue spiccate proprietà antinfiammatorie. Migliora la sensibilità dei recettori al cortisolo. L’uso prolungato aumenta il cortisolo ematico. La curcuma inverte gli effetti dello stress cronico sul comportamento e sull’asse HPA. In animali sottoposti a stress cronico per 20 giorni si è registrato un aumento dello spessore della corteccia ed una diminuzione dei recettori del cortisolo. L’uso della curcuma ha invertito il processo (Dosaggio 5-10 mg x Kg) (Dipartimento di farmacologia Facoltà discipline mediche di base Università di Pechino). Anche il ribes nero, che agisce particolarmente sulla ghiandola surrenale stimolando la corteccia al rilascio di cortisolo, è dotato di attività antiinfiammatoria. L’Acido glicirrizico contenuto nella liquirizia è un potente inibitore dell’enzima 11B idrossisteroido deidrogenasi che inattiva il cortisolo e di conseguenza aiuta a mantenere adeguati livelli di cortisolo esercitando un effetto antinfiammatorio. Come per tutte le cose anche per il cortisolo bisogna tenere presente il concetto dell’equilibrio: né troppo né troppo poco e questo equilibrio si deve ottenere soprattutto con il giusto rapporto tra alimentazione, allenamento, recupero. Ma anche gli integratori, se usati correttamente, possono giocare un ruolo importante in questo equilibrio.

Anche per il cortisolo bisogna tenere

presente il concetto dell’equilibrio: né

troppo né troppo poco e si deve ottenere

soprattutto con il giusto rapporto

tra alimentazione,

allenamento, recupero.

Dottor Massimo Spattini Specializzazione in Medicina dello Sport Specializzazione in Scienza dell’Alimentazione Board Certificate in Anti-Aging & Regenerative Medicine (ABAARM-USA)

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posturologia Ognuno di noi, per vari motivi, ad un certo punto della vita, decide di approfondire un argomento. Io ho scelto la postura. Forse perché ho avuto qualche problema di schiena, o forse perché mi affascina l’immagine del gesto e tutto ciò che ruota intorno ad esso. Per poter conoscere avevo bisogno di un origine ed è per questo che ho ritenuto utile partire dallo studio dell’evoluzione della nostra specie. Solo lo studio degli adattamenti che l’uomo ha dovuto affrontare può spiegare cosa realmente è accaduto, perché oggi siamo così, cosa si può prevenire e cosa correggere, qualora avessimo la presunzione di poterlo fare. Sarebbe come dire di poter controllare la natura.... Diciamo comunque che possiamo fare meglio il nostro lavoro. Il termine “postura” deriva dal latino “positura” che significa “posizione, atteggiamento”. Limitare a tale significato questa parola sarebbe errato, poiché essa include diversi concetti basati su diverse componenti interagenti, di natura biomeccanica, chinesiologica, neurofisiologica e psicomotoria, di cui bisogna essere al corrente, affinché possa essere garantita una più corretta programmazione di lavoro individuale ed individualizzato. “Postura” è un termine che racchiude tanti processi di adattamento che l’uomo ha dovuto affrontare e man mano conquistare per presentare un prodotto finale sempre più apprezzabile e, secondo alcuni studi, questo processo non è ancora concluso, in termini di economia e funzionalità. I motivi per cui l’uomo si è trovato ad affrontare il problema della Postura, secondo alcuni studiosi, è da attribuire a : “lo scotto che l’uomo paga alla stazione eretta”. Per spiegare questo, dobbiamo risalire alle nostre origini e cioè al passaggio dalla posizione quadrupedica a quella bipede. I paleoantropologi affermano, attraverso i loro studi basati sui ritrovamenti, che il processo di ominazione ha avuto inizio circa 20 milioni di anni fa, attraverso 800.000 generazioni e sembra che il processo di speciazione non sia ancora terminato. In

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Lo scheletro più completo mai rinvenuto di “Australopithecus Afarensis” e che risale a circa 3 milioni di anni fa, è di sesso femminile; la chiamarono “Lucy”, prendendo spunto dalla canzone dei Beatles “Lucy in sky with daimonds”.

termini di stazione eretta, ciò significa che la nostra postura varia con il trascorrere del tempo e quindi non può essere considerato un valore definitivo quello attuale. L’antropologa Mary Leakey ha studiato le impronte lasciate da alcuni ominidi nella cenere vulcanica di Laetoli, nella Tanzania. Risalenti ad oltre 3 milioni e mezzo di anni fa, rappresentano la più antica testimonianza di andatura bipede; il confronto tra il calco del piede antico con quello moderno, rivela notevoli analogie, nei punti dove si presume poggiasse maggiormente il peso del corpo. Lo scheletro più completo mai rinvenuto di “Australopithecus Afarensis” e che risale a circa 3 milioni di anni fa, è di sesso femminile; la chiamarono “Lucy”, prendendo spunto dalla canzone dei Beatles “Lucy in sky with daimonds”. Lucy, morì quando aveva 20 anni, di morte improvvisa naturale, era alta 110-120 cm e pesava sui 25 kg; presentava un cervello molto piccolo ed un cranio delle dimensioni di un pompelmo; la stazione era sicuramente eretta. Lucy era un bipede completo (ma probabilmente anche una buona arrampicatrice). La struttura del corpo era già simile alla nostra. Le braccia ancora un po’ lunghe: il rapporto tra l’omero ed il femore era dell’85%; nella specie umana è del 75%; nello scimpanzé invece l’omero è addirittura più lungo del femore. Il viso con mascelle ancora di tipo scimmiesco con tendenze umane. Il termine “Australopiteco” letteralmente significa “scimmia australe”; venne coniato durante i primi ritrovamenti nell’Africa australe (a partire dal 1924). Ne sono stati identificati sostanzialmente 4 diversi tipi: Australopithecus Afarensis (Lucy), A. Africanus, A. Boisei, A. Robustis. Tutti i resti sono stati ritrovati lungo la Rift Valley, la grande spaccatura che taglia verticalmente il continente africano. Circa 10 milioni di anni fa questa spaccatura sembra che generò un innalzamento della terra e quindi una barriera climatica che fu all’origine della biforcazione tra gli


numero 03 / 2011 antenati delle grandi scimmie e quelli degli ominidi: ad ovest antenati dei gorilla e scimpanzé, ad est, nel nuovo ambiente di savana, secondo i ritrovamenti, apparse un individuo con un cervello molto più sviluppato e capace di scheggiare pietre per ottenere strumenti primitivi: l’Homo Abilis. In seguito fu la volta dell’Homo Erectus. Risale a circa 100.000 anni fa, sempre in Africa, il ritrovamento dell’Homo Sapiens-Sapiens. Tornando alla postura “eretta”, questa è una facoltà che l’uomo possiede nella sua qualità di più evoluto di tutti gli animali. Questo risultato rappresenta il momento finale di un lunghissimo processo di adattamento, cioè di trasformazione e di evoluzione, intesi come la graduale acquisizione di quell’insieme di “privilegi” che gli hanno fruttato il controllo dell’ambiente. A causa del diradarsi delle foreste, un gruppo di protoscimmie, fu costretto ad abbandonare gli alberi ed a scendere per terra. Allora, per ragioni di offesa e di difesa, questi animali contrassero l’abitudine a sollevarsi sul treno posteriore: primo e più importante passo per arrivare alla stazione eretta completa. In quell’epoca questi esemplari dovettero lottare contro l’attacco della gravità, in quanto il loro baricentro si allontanava dal suolo e l’area del poligono di sostegno si riduceva alla sola zona d’appoggio dei loro piedi. Gli arti inferiori si fortificarono, il piede si ridimensionò, gli arti superiori si specializzarono nei movimenti più delicati, la mano si specializzò in movimenti più sofisticati, il rachide complicò le curvature preesistenti ed incrementò volume e potenza nei suoi muscoli erettori ed anche la pelvi fu costretta, dal mutato costume di vita, ad adeguare la sua inclinazione sul piano trasversale. Il senso antigravitario è regolato dai riflessi miotatici, di cui i neurofisiologi riconoscono nell’anello alfa-gamma il loro circuito elementare. Il fuso neuro-muscolare è l’organo cardine di questo circuito, ed è su quest’organo che si scaricano in maniera inconscia, ma non per questo meno “intelligente”, tutte le informazioni provenienti dagli organi di senso (cute, labirinto, retina), tanto importanti per la valutazione dell’ambiente, dopo essere state integrate nei centri intermedi e anche superiori del S.N.C.. La legge di Haeckell o legge della ricapitolazione afferma che l’organismo, nel corso del suo sviluppo, traccia una sintesi della sua storia evolutiva. Per questa legge l’uomo d’oggi, nel proprio patrimonio ereditario, riceve il carattere della postura eretta, non come dono divino ma, giorno dopo giorno, deve imparare a guadagnarsela impegnando, sia pure inconsciamente le proprie risorse nella lotta contro la gravità, come prima hanno fatto tut-

te le generazioni che l’hanno preceduto. Un esempio lampante ed odierno ci è dato dal passaggio dal feto al raggiungimento completo della posizione eretta. Per quanto il termine Postura possa far pensare a qualcosa di statico, in realtà esiste una stretta connessione tra postura e movimento; in quanto qualsiasi movimento, benchè piccolo, apporta una destabilizzazione dell’equilibrio posturale del soggetto, al quale deve rimediare attraverso movimenti associati e dinamicamente opposti al primo, per salvaguardare il miglior equilibrio. Esiste un rapporto tra postura ed equilibrio. A seconda se siamo fermi od in movimento parliamo di equilibrio statico (stabile o instabile) e di equilibrio dinamico. Nella posizione eretta l’equilibrio dovrebbe essere statico quando la linea passante dal baricentro cade al centro del poligono circoscritto alla base d’appoggio podalico; questo dovrebbe richiedere poco sforzo muscolare, i legamenti si integrano in questo processo attraverso le sensazioni propriocettive di tensione e di rilassamento, contribuendo così alla regolazione del tono posturale dei muscoli. Si viene a creare così una situazione di squilibrio permanente, ma perpetuamente compensato, che costituirà l’atteggiamento del soggetto. Ciò rappresenta la soluzione personale al problema della statica, sulla quale si innestano tutte le attività dinamiche: marcia, corsa, movimenti delle braccia, ecc.. Questa regolazione, come si diceva, è dovuta al riflesso miotatico, sotto l’influenza del sistema gamma. Essa non è né cosciente, né volontaria. Quando l’atteggiamento non è più nella norma, bisogna intervenire per cercare di armonizzare, e ciò per ragioni estetiche (portamento), fisiologico (per liberare tensioni) e per ristabilire la disponibilità all’armonia ed alla dinamicità. La fissità dei segmenti tende ad alterare la coscienza della mobilità dei segmenti stessi, perturbando il concetto dinamico del soggetto. Inconvenienti della postura eretta se ne incontrano un po’ dovunque: soprattutto a carico del rachide (struttura eminentemente portante del corpo umano). “La Colonna Vertebrale”- vista di fronte è dritta; l’eventuale deviazione, con rotazione dei corpi vertebrali, si chiamerebbe “scoliosi”. Sul piano sagittale essa presenta quattro curve fisiologiche, dal basso verso l’alto: 1) curva sacrale: a convessità posteriore (cifosi), è rigida in quanto le vertebre sacrali (5) sono fuse tra loro in un osso solo: “sacro”; in fondo troviamo il coccige (altre 4 -5 vertebre, forse antico resto della coda);

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2) lordosi lombare: 5 vertebre a convessità anteriore; 3) cifosi dorsale: 12 vertebre a convessità posteriore, sulle quali si attaccano 12 costole (le prime 7 collegate anteriormente allo sterno: “vere”, la VIII, IX e X sono indirettamente collegate: “false”, le ultime 2 non lo raggiungono: “fluttuanti”; 4) lordosi cervicale: 7 vertebre a convessità anteriore (I: “atlante” - II: “epistrofeo” ). Quando il soggetto è in equilibrio normale in piedi, la parte posteriore del cranio, il dorso e le natiche sono tangenti ad un piano verticale, per esempio un muro. Le 24 vertebre sono mobili e la connessione tra queste è assicurata da numerosi elementi fibro-legamentosi: annessi al pilastro anteriore: a) legamento longitudinale anteriore; b) legamento longitudinale posteriore; tra questi due legamenti ogni corpo vertebrale si collega attraverso il disco intervertebrale, che comprende due porzioni: una periferica, cioè l’anello fibroso, ed una centrale, il nucleo polposo che può essere paragonato ad uno snodo; annessi all’arco posteriore: a) legamento giallo; b) legamento interspinoso, che si prolunga all’indietro nel legamento sovraspinoso; c) legamento intertrasversale; d) legamento interapofisario. Nell’abito astenico il rilasciamento muscolare accentua le curve rachidee: iperlordosi lombare, ipercifosi dorsale ed iperlordosi cervicale. Il bacino ruota in antiversione. Il muscolo psoas, che flette il rachide lombare sul bacino e accentua la lordosi lombare, aggrava questa deformazione con la sua ipertonicità; i soggetti senza energia e volontà assumono spesso questo atteggiamento astenico, che si ritrova anche nelle donne gravide a causa del cedimento del pavimento peritoneale.

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L’uomo per raggiungere la stazione eretta e mantenerla, deve disporre i propri segmenti, sovrapporli “pezzo su pezzo” lungo la linea di gravità, mantenendola al centro del poligono di sostegno; a questo punto sarebbe in equilibrio, e si parlerebbe di funzione statica (dal greco “staticos”: che tiene in equilibrio). L’equilibrio nell’uomo, però, non è mai statico; anche in mancanza di una forza disequilibrante esterna, egli si muove sotto l’influenza della respirazione. Man mano che fa pratica, adotta una posizione meno dispendiosa e più sicura: il rachide assicura il mantenimento dell’equilibrio, liberando così gli arti inferiori, che si raddrizzano e si adducono gradualmente. Scompare l’atteggiamento flesso dell’anca e si fissa la lordosi lombare per trazione dell’ileo-psoas (muscolo situato davanti al quadrato dei lombi, da D12-L1-L2-L3-L4-L5 e termina sull’apice del piccolo trocantere del femore; esso agisce, da corpo disteso, portando le gambe da 0° a 30°). Si forma la volta plantare. Quindi si può dire che la stazione eretta è all’origine delle curve del rachide e della pianta del piede. “La legge del minor sforzo” - Questa legge governa tutta la nostra fisiologia. Il mantenimento della posizione eretta deve essere più stabile possibile perché richieda il minor sforzo muscolare. Se non interviene nessuna forza disequilibrante, la posizione di equilibrio eretta è mantenuta senza l’intervento di altre forze, oltre il tono posturale e la resistenza elastica fibromuscolare. Così, di norma, il ginocchio verrà a trovarsi indietro rispetto alla linea di gravità, il ventre in avanti, il dorso indietro e la testa in avanti. Nel prossimo numero vedremo di conoscere le disarmonie, con le loro eventuali conseguenze e come osservare per poter prevenire e/o correggere anomalie legate alla postura. Ciro di Cristino Insegnante di Educazione fisica e Preparatore atletico


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Integrazione alimentare

e performances cerebrali Le variazioni individuali legate all’invecchiamento sono molto complesse e coinvolgono tutti gli organi, con la loro compromissione a livelli multipli. Il sistema nervoso è particolarmente vulnerabile allo stress ossidativo derivante dalla senescenza fisiologica. Le cellule cerebrali comprendono essenzialmente due tipologie: neuroni ed astrociti. Le cellule neuronali sono deputate alle funzioni cerebrali vere e proprie, mentre gli astrociti fungono da loro “balia metabolica”. È risaputo infatti che i neuroni non sono capaci di metabolizzare il glucosio di per sé; questo è compito degli astrociti, che posseggono un efficiente apparato glicolitico. Una volta metabolizzato ad acido lattico, quest’ultimo viene ceduto ai neuroni che lo usano come reale “carburante”. Al contrario degli astrociti, i neuroni hanno un’attività dei mitocondri decisamente più alta. Di conseguenza, la quota di radicali liberi ossidanti (RLO) generati è più elevata. Questo rende le cellule neuronali molto vulnerabili anche agli stimoli esterni più leggeri, anche perché sono relativamente carenti del principale antiossidante endogeno conosciuto, il glutatione (GSH), di cui sono invece ricchi gli astrociti. Quindi, l’esposizione a tossine esogene, come metalli pesanti tipo mercurio, arsenico, cadmio; derivati del benzene; alcuni diserbanti o insetticidi di carattere aromatico; eventi infettivi ripetuti; carenze di alcune vitamine, soprattutto la riboflavina (B2), o la nicotinammide (PP), l’acido ascorbico (C) e i tocoferoli (E), rendono le cellule in generale ed i neuroni in particolar modo, più suscettibili al danno biochimico da RLO. Per un ottimo funzionamento neuronale e nervoso in genere, l’organismo non deve mai essere deficitario di vitamina B2 e PP, perché queste due vitamine entrano nella costituzione di essenziali cofattori enzimatici di ossido-riduzione (FMN, FAD; NAD) che trasportano equivalenti riducenti tra i vari substrati cellulari, soprattutto a livello dei mitocondri e della catena respiratoria. Un deficiente apporto di potere riducente nei mitocondri, apre la strada alla genesi dei RLO e quindi accelera le risposte biochimiche legate all’invecchiamento cellulare. Anche l’introito di acido pantotenico (vitamina B3) non dovrebbe es-

Arachidi, noci, nocciole e mandorle, sono ricche di olii con un alto tasso di acidi grassi poli-insaturi, sono riconosciuti altamente benefici per l’apparato cardiovascolare.

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sere trascurato, per un semplicissimo motivo. Esso entra nella costituzione del coenzima A (CoA), la porzione attiva che permette all’acido lattico neuronale (sottoforma di acido piruvico “attivato”) di essere metabolizzato all’interno dei mitocondri. Le sorgenti naturali più ricche di acido pantotenico sono fegato e reni animali. A pari quantitativo si trovano il tuorlo d’uovo ed i fagioli neri; un po’ meno ne contengono le arachidi. Quindi è da sfatare la leggenda che la frutta secca è ipercalorica e “grassa”. Le arachidi, le noci, le nocciole e le mandorle, infatti, sono ricche di olii con un alto tasso di acidi grassi poliinsaturi, che sono riconosciuti altamente benefici per l’apparato cardiovascolare. Non solo, sono tra gli alimenti più ricchi di due potenti antiossidanti naturali: la vitamina E, che è uno “scavenger” diretto di RLO pericolosi conosciuti come idroperossido e ossigeno singoletto; e il selenio, che è ancora più potente della vitamina E. Infatti mentre questa, una volta intrappolata la specie reattiva, si degrada e viene eliminata dall’organismo, il selenio è una specie chimica elementare che va incontro ad un ciclo ossidoriduttivo ciclico e si rigenera continuamente. Da non dimenticare che la frutta secca contiene anche elevate quantità di altri due metalli fondamentali all’eliminazione dei RLO: il rame e lo zinco. Insieme, queste due specie costituiscono la porzione attiva dell’enzima superossido dismutasi I (SOD1), che serve alla rimozione dall’anione superossido (RLO relativamente pericoloso).

Senza ombra di dubbio, un altro integratore utile per la prevenzione del danno ossidativo a livello neuronale è il coenzima Q (o ubichinone), che viene ancora (a volte) usato come supporto nutrizionale per le persone sofferenti di scompenso cardiaco. Esso è un costituente del primo complesso molecolare della catena respiratoria dei mitocondri. Diversi studi sperimentali hanno ormai provato che la sua biodisponibilità nell’età avanzata viene compromessa e la sua sintesi viene a essere deficitaria. Esistono poi alcuni studi clinici controllati che provano la sua parziale efficacia nel rallentare lo stress ossidativo a livello neurologico, migliorando le attività cognitive e la memoria a breve termine. Risultati preliminari su animali da laboratorio lo vogliono anche parzialmente efficace nel rallentare l’evoluzione di malattie degenerative cerebrali come il morbo di Parkinson la malattia di Huntington. Appare chiaro, dunque, che un controllato, adeguato e costante apporto di integratori alimentari e di micronutrienti quali rame, zinco e selenio, è tra i capisaldi raccomandati per una efficiente omeostasi ossidoriduttiva cellulare al fine di rallentare la senescenza cellulare. Dottor Gianfranco Emanuele Cormaci Medico di Reparto Istituto Geriatrico “Villa Carpaneda” di Rodigo (Mn)

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BASTA CON IL

MAL DI SCHIENA

CON L’EPIDUROSCOPIA Quando si parla di anti-aging, per analogia immediata, si pensa alle rughe, al tempo che passa, agli ineluttabili processi connessi all’invecchiamento, come se tutto il discorso si potesse esaurire semplicemente in una serie di mere terapie mirate ad occultare l’esteriorità più evanescente, trascurando invece che è proprio la sostanza, come in tutte le cose, il perno sul quale si snoda il processo complesso ed articolato della guarigione. La guarigione nasce dall’interno per emergere fino alla superficie come avevano già intuito i Greci molti secoli or sono coniando il termine Kalokagathia che esprime, come sostantivo astratto, il concetto condensato nella coppia di aggettivi καλός καγαθός (“kalòs kagathòs” è la crasi di καλός καi αγαθός), che significa, letteralmente, bello e buono. Con questi termini si indicava, nella cultura ellenica, l’ideale di perfezione umana: l’unità nella stessa persona di bellezza e valore morale, un principio che coinvolge dunque la sfera etica, estetica e funzionale che estendeva la propria influenza anche sull’arte ellenica. Oltre a questo la kalokagathia, in senso lato, indica la reale fusione, per la cultura greca antica, di etica ed estetica; per cui ciò che è bello deve necessariamente essere buono e viceversa... Basta con il Mal di schiena con l’Epiduroscopia A cosa vale avere un viso senza rughe, labbra turgide e carnose se poi abbiamo la schiena rigida e dolente e non riusciamo neanche a portare le borse della spesa o fare una corsa nel parco? Ogni organo merita attenzione e prevenzione. L’Epiduroscopia o Endoscopia Spinale è una procedura microinvasiva utilizzata per la diagnosi ed il trattamento del dolore di schiena acuto e cronico.ed è una freccia preziosa nella faretra del benessere e della qualità della vita. Essa consiste nell’introdurre una microsonda flessibile a fibre ottiche attraverso cui possiamo visualizzare, ispezionare e direttamente curare le strutture anatomiche, i tessuti ed i nervi contenuti nello spazio epidurale. Ricordiamo che il “mal di schiena” (la comune lombalgia) è una vera e propria malattia sociale. Si tratta di una delle patologie benigne più costose per il sistema sanitario italiano (1,2% del PIL) che colpisce quasi il 50% della popolazione in Italia ed in Europa (Croft) Costi sociali elevati per l’assunzione di farmaci e

Vietato invecchiare? No vietato invecchiare male! il mal di schiena può rendere la vita molto sgradevole.

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L’Accademia del Fitness la sospensione temporanea dal lavoro; Nell’organismo un processo infiammatorio acuto in atto, come ad esempio durante un attacco acuto lombosciatalgico per ernia del disco, oppure a seguito di un intervento chirurgico sulla colonna, determina la formazione di tessuto cicatriziale di riparazione, sviluppando aderenze fibrose che possono inglobare le radici nervose. Queste aderenze imbrigliano le guaine che rivestono il midollo spinale limitandone la mobilità causando irritazione e infiammazione, e causando dolore severo con tendenza alla cronicizzazione. Queste aderenze sono difficilmente visibili con le comuni tecniche diagnostiche come la Risonanza Magnetica Nucleare e la Tac. Infatti abbiamo più volte confrontato le diagnosi finali della Risonanza Magnetica e della Tac con ciò che abbiamo potuto riscontrare mediante l’Epiduroscopia osservando che l’accuratezza di questa nuova tecnica ci permette di diagnosticare e curare anche le minime presenze di tessuto cicatriziale ed aderenziale responsabili del dolore. È una procedura microinvasiva relativamente semplice in mani esperte e sempre da eseguire in un centro qualificato. L’intervento viene eseguito in anestesia locale con una leggera sedazione ed in regime di dayhospital o, al massimo, con una notte di degenza nei casi che lo richiedano. Dopo l’anestesia locale attraverso l’osso sacro l’endoscopio a fibre ottiche viene introdotto nel canale epidurale e viene avanzato lentamente cercando di fare diagnosi dell’origine del dolore e, colloquiando con il paziente, il medico potrà effettivamente individuare la zona infiammata e quindi liberare le radici nervose dal tessuto infiammatorio causa del dolore invalidante. Inoltre potrà anche eseguire una medicazione mirata antinfiammatoria direttamente sulle radici nervose coinvolte. Una volta terminata la procedura che mediamente ha una durata di circa 30 minuti, il paziente viene riportato in reparto di degenza ed invitato a restare a letto disteso per circa quattro ore. Ci sono controindicazioni? L’unica controindicazione assoluta è l’utilizzo da parte del paziente di farmaci anticoagulanti o l’alterazione delle prove di coagulazione. Dopo l’intervento occorre stare a riposo? Una volta terminata la procedura, che mediamente ha una durata di circa 30 minuti, il paziente viene riportato in reparto di degenza ed invitato a restare a letto disteso per circa quattro ore e dalla dimissione il paziente deve solo osservare un periodo di riposo domiciliare attivo, cioè il giorno successivo il paziente può riprendere leggere attività quotidiane, essere prudente e non spingersi oltre la normale condotta di vita. Per circa cinque giorni è probabile che il paziente debba seguire una terapia an-

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tibiotica ed antinfiammatoria. Quali vantaggi ha rispetto alle metodiche di indagine tradizionali? • Si tratta di una tecnica diagnostica e chirurgica mininvasiva per eccellenza eseguibile in anestesia locale ed in Day-Hospital che consente di fare diagnosi e terapia documentabile in tempo reale con una minivideocamera ad elevatissima risoluzione (6000 pixel). • Diagnosi e risoluzione nello stesso tempo consentono di risolvere annosi problemi di mal di schiena altrimenti destinati alla cronicizzazione ed al peggioramento della condizione della qualità di vita e fino a poco fa senza alcuna soluzione. • La possibilità di osservare con un ingrandimento notevole strutture anatomiche altrimenti non visibili e coglierne qualsiasi variante patologica e di risolverla spesso in maniera incruenta.. • L’assoluta assenza di qualsiasi coinvolgimento d’organo e/o apparato proprio per l’esigua invasività della procedura. Indicazioni • Dolore alla schiena dopo intervento chirurgico cioè la Sindrome Post-Laminectomia conseguente a precedenti interventi di ernia del disco “sfortunati” per presenza di tessuto cicatriziale • Presenza certa o presunta di Elementi compressivi sulle radici dei nervi spinali • Aderenze sulle radici nervose • Stenosi del canale vertebrale • Presenza di Listesi con relativo quadro infiammatorio • Ernia discale in cui non esiste la necessità chirurgica per assenza di danno sui nervi, ma c’è solo l’elemento dolore: infatti in questo caso basta solo ripulire la zona infiammata ed il dolore scompare immediatamente e completamente • Dolori lombari senza diagnosi o con diagnosi di tipo Psicosomatico solo perché non c’è diagnosi strumentale (TC - RMN) • Esiti di pregresse fratture sacro-coccigee Qual è la figura professionale di riferimento? Ortopedici specialisti della colonna vertebrale che si avvalgono della competenza di Anestesisti che abbiano all’attivo un adeguato periodo di training per poter operare con assoluta sicurezza e quindi rendere un servizio altamente qualificato al malato. Per la ricerca dello Specialista ci si può avvalere dell’opera informativa del sito www.aimo.it. Lo stesso sito può fornire informazioni anche su centri di alta professionalità per eseguire la procedura in regime di Day Hospital. Professor Dott. Adolfo Panfili Specialista in Ortopedia e Traumatologia dell’Apparato Locomotore Centro di Chirurgia Mininvasiva, Colonna, Spalla, Ginocchio, Mano e Piede Membro dell’EFSA (European Food Security Authority)



SEMINARIO DEL 23-24-25 SETTEMBRE 2011 Psicologia clinica

SEMINARIO DEL 17-18-19-20 NOVEMBRE 2011 Alimentazione e attività fisica

Venerdì 23/09 9.00-13.00: Immagine corporea: aspetti generali (Dott.ssa A. Pellegrino) 14.00-17.00: Pratica con Tutor: valutazione dello stress (Dott.ssa L. Bicchieri) 17.00-19.00: Strumenti di assessment: misure percettive e cognitivo-comportamentali (Dott.ssa A. Pellegrino) Sabato 24/09 9.00-13.00: Immagine corporea e interventi estetici (Dott.ssa L. Bicchieri) 14.00-17.00: Pratica con Tutor: comunicazione col paziente e invio dallo Specialista (Dott.ssa A. Pellegrino) 17.00-19.00: Strumenti di assessment: il colloquio (Dott.ssa L. Bicchieri) Domenica 25/09 9.00-13.00: Disturbi da dismorfismo corporeo (Prof. D. Dèttore)

Giovedì 17/11 14.00-19.00: Pratica con Tutor: elaborazione di piani dietetici e monitoraggio dei risultati ottenuti (Dott. F. Cioni, Dott. I. Bonazzi) Venerdì 18/11 9.00-11.00: Esercizio fisico e controllo dell’assetto ponderale (Prof. A. Bonetti) 11.00-13-00: Aspetti di fisiologia dello sport: l’adattamento cardiovascolare allo sforzo (Dott. R. Ballini) 14.00-17.00: Alimentazione, evoluzione e sport (Prof. L. Arsenio) 17.00-19.00: Aspetti di fisiologia dello sport: l’adattamento respiratorio allo sforzo (Dott. A. Fiorina) Sabato 19/11 9.00-11.00: L’attività fisica come farmaco (Dott. L. Brambilla) 11.00-13.00: Integratori e nutraceutici (Dott.ssa C. Vignali) 14.00-19.00: Protocolli personalizzati di allenamento (Dott. G. Lavagetto) Domenica 20/11 9.00-13.00: Pratica con Tutor: Attività fisica sul campo (Dott. G. Lavagetto)

SEMINARIO DEL 20-21-22-23 OTTOBRE 2011 Scienza dell’alimentazione Giovedì 20/10 14.00-19.00: Pratica con Tutor: l’assessment psicodiagnostico (Dott.ssa L. Bicchieri e Dott.ssa A. Pellegrino) Venerdì 21/10 9.00-11.00: Alimentazione e cute (Dott. F. Antonaccio) 11.00-13.00: Obesità: Adipociti e ormoni (Dott.ssa M. Giordano) 14.00-17.00: Obesità: Una visione di insieme (Prof.ssa E. Dall’Aglio) Sabato 22/10 9.00-11.00: Allergie alimentari (Prof. P.P. Dall’Aglio) 11.00-13.00: Intolleranze alimentari (Dott.ssa E. Accogli) 14.00-19.00: Trattamenti dietetici a confronto (Dott. F. Cioni, Dott. M. Spattini) Domenica 23/10 9.00-11.00: Visita medica dietologica (Dott. F. Cioni) 11.00-13.00: Monitoraggio dello stato di nutrizione (Dott. E. Corradi)

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