Adele Cammarata
“La Gran natica dell’Aringa” I giochi di parole in Alice’s Adventures in Wonderland Traduzioni italiane a confronto
@dic edizioni
Edizione per Lulu.com della Tesi di laurea discussa nell’a.a. 1996-97, Corso di Laurea in Lingue e Lett. Straniere, Facoltà di Scienze della Formazione, Università degli Studi di Palermo Relatore Ch.ma prof.ssa Silvana Ferreri
Seconda edizione riveduta, corretta e ampliata @dic edizioni & Lulu.com © Tutti i diritti riservati 1997-2007
Dammi, Signore, il senso del buon umore. Concedimi la grazia di comprendere uno scherzo per scoprire nella vita un po’ di gioia e farne parte anche agli altri. Amen. san Tommaso Moro Preghiera per il buon umore
[...] ogniqualvolta un uomo sorride, —ma ancora di piÚ quando ride, egli aggiunge qualcosa a questo Frammento di Vita. Laurence Sterne Tristram Shandy
Indice Premessa all’edizione per Lulu.com Premessa all’edizione originale
p. vii p. ix
I. Alice’s Adventures in Wonderland e le sue traduzioni italiane I.1 Le avventure di Alice in Italia I.2 Le trasformazioni delle traduzioni italiane I.3 Traduzioni italiane a confronto I.4 L’autore e il suo tempo
p. p. p. p. p.
I.4.1 Lewis Carroll e Alice, ovvero: il matematico e la bambina I.4.2 Alice e il suo pubblico
II. I giochi di parole II.1 Tra suoni e lettere II.2 I caratteri delle lingue. Arbitrarietà e indeterminatezza II.3 La lingua in gioco II.3.1 II.3.2 II.3.3
II.4
Ambiguità e polisemia Omonimia e omofonia Paronimia e paronomasia
I giochi di parole e i problemi della traduzione
1 1 4 11 22
p. 22 p. 28 p. 35 p. 36 p. p. p. p. p. p.
41 45 45 53 60 66
III. I giochi di parole: da Alice ai traduttori
p. 79
Conclusione Appendice: Corpus Bibliografia Ringraziamenti
p. 201 p. 205 p. 239 p. 257
Premessa all’edizione per Lulu.com Il testo che leggerete è il risultato del lavoro che mi ha condotto alla Laurea in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Palermo nell’anno accademico 1996-97. Da allora non ho smesso di occuparmi di Alice’s Adventures in Wonderland né dei problemi della traduzione. Innanzitutto, ho tradotto per Stampa Alternativa la prima versione manoscritta, con il titolo di Alice Underground (2002) e per l’Istituto Geografico De Agostini, insieme ai soci del Laboratorio di Traduzione Bokos, la versione classica (2003). In modo sempre più appassionato ho continuato, autonomamente, a interessarmi dei problemi della traduzione dei libri per ragazzi, con il sogno più o meno lontano di poter scrivere (o almeno leggere) una storia della traduzione di letteratura per l’infanzia in Italia. In questa tesi, rimasta essenzialmente inalterata (eccetto il titolo, che è la citazione di un termine presente nella traduzione di R.Carano, la correzione di alcuni errori materiali e l’omissione della traduzione dei brani in lingue straniere), mi ero concentrata principalmente sulla resa in italiano dei giochi di parole, tralasciando gli altri innumerevoli spunti che il testo originale propone. In particolare ci si potrebbe dedicare all’analisi delle poesie presenti in Alice.
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Negli ultimi dieci anni sono state pubblicate tante altre versioni italiane del capolavoro di Carroll e il Centenario della morte ha sicuramente riportato in auge lo scrittore vittoriano e il suo mondo. Altre versioni più recenti si potrebbero dunque aggiungere all’analisi da me condotta. L’interesse maggiore, però, risiede a mio parere in un altro periodo storico, nel quale il libro di Carroll non ebbe particolare fortuna qui da noi, anzi fu incolpato di anestetizzare le menti dei figli della Lupa. È stata la scoperta di questo ostracismo (riportata nel Capitolo I del presente lavoro) a condurre la mia curiosità verso uno studio della letteratura per ragazzi, in italiano e in traduzione, durante il Ventennio fascista. Da tempo medito di aggiornare la ricerca qui riportata. In parte l’ho fatto scrivendo per la rivista di traduzione on line inTRAlinea (www.intralinea.it) un articolo dal titolo La ricreazione di Alice. Ma come dicevo Alice è una miniera per chi volesse approfondire le tematiche della traduzione di letteratura non solo per ragazzi. Negli anni, grazie a questa tesi e alle potenzialità della rete, ho avuto modo di conoscere decine di studiosi a vario titolo interessati all’argomento e la mia tesi ha avuto anche il privilegio di essere citata in alcuni testi autorevoli riguardanti Alice. Ho anche aggiunto altre indicazioni bibliografiche scoperte o pubblicate dopo la tesi e che segnalo all’attenzione di chi volesse approfondire. Chi volesse scrivermi può farlo a questo indirizzo: adelecammarata@alice.it. Palermo, 5 gennaio 2007 viii
Premessa all’edizione originale In che misura possono essere distanti un testo originale e le sue traduzioni? In che modo questa distanza dipende ed è condizionata dalle lingue? Che cosa avviene quando il testo in questione è Alice’s Adventures in Wonderland di Lewis Carroll? Sono questi gli interrogativi che animano il presente lavoro e ai quali si è cercato di dar risposta. Il fuoco centrale della nostra tesi è il confronto delle scelte operate dai traduttori italiani di Alice in merito ai giochi di parole basati sull’ambiguità, sull’identità e sulla similarità del significante. Le difficoltà traduttive di Alice sono notevoli e non risiedono soltanto nelle sue caratteristiche linguistiche, investendo questioni di carattere più ampiamente culturale. Siamo consapevoli che questa è solo una delle possibili piste di indagine per un testo così ricco di particolarità linguistiche, letterarie e culturali; il nostro punto di vista però ci sembra piuttosto favorevole per indagare il testo che abbiamo scelto e trarne spunti di riflessione per la traduzione di altri testi letterari. I giochi verbali costituiscono infatti il motore narrativo di Alice: l’analisi dei giochi di parole visti attraverso le traduzioni offre spunti particolarmente interessanti per mostrare come la struttura delle singole lingue possa condizionare, e di fatto ix
condizioni, le opere letterarie e non solo queste. Che rapporto c’è tra l’Alice originale e quella tradotta? Quale significato assumerà l’operazione traduttiva di Alice? La traduzione si rivela in realtà un’operazione estremamente complessa, destinata a modificare irrimediabilmente il testo di partenza, facendone un altro testo — altri testi. Non di traduzione si potrà dunque parlare, ma più propriamente di ricreazione, intesa non solo come creazione di un altro testo ma anche come creazione di un altro universo narrativo. Wonderland non ha la stessa geografia del Paese delle Meraviglie, e — in modo apparentemente paradossale — a fronte di un unico Wonderland esistono tanti Paesi delle Meraviglie diversi, uno per ogni traduzione italiana. Allo scopo di comparare le diverse opzioni traduttive, abbiamo costruito un corpus costituito da otto versioni italiane di Alice, evidenziando i brani che contengono i giochi verbali. Il corpus, presentato in appendice, affianca le diverse traduzioni per rendere più agevole ed immediata la corrispondenza tra l’originale e i testi tradotti e questi ultimi fra loro. La tesi consta idealmente dunque di due parti, essendo la seconda costituita dall’analisi puntuale dei fenomeni evidenziati dal corpus che si allarga a comprendere considerazioni non solo di carattere linguistico (terzo capitolo) e dal corpus stesso (in appendice). La prima parte si articola in due capitoli. Il primo capitolo contiene una breve storia delle versioni italiane di Alice e una presentazione delle traduzioni che saranno oggetto di analisi. La variazione x
nell’accoglienza e nella traduzione di Alice è posta in relazione con i contemporanei mutamenti nella letteratura italiana, in particolare nella letteratura per ragazzi. Nel secondo capitolo esaminiamo la natura linguistica dei meccanismi che stanno alla base dei giochi di parole, considerati in una prospettiva teorica che trova in Saussure il suo fondamento. I giochi verbali amplificano infatti le difficoltà traduttive presenti in tutti i testi perchÊ sono strettamente connessi con la struttura interna di ciascuna lingua. In particolare, analizziamo i diversi meccanismi linguistici che consentono di giocare con la lingua inglese e con quella italiana.
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Capitolo I Alice’s Adventures in Wonderland e le sue traduzioni italiane [...] words mean much more than we mean to express when we use them [...]; so a whole book ought to mean a great deal more than the writer meant. Charles L. Dodgson (‘Lewis Carroll’)*
I.1 Le avventure di Alice in Italia La fortuna di un libro si può leggere anche attraverso la storia delle sue traduzioni all’estero. Le Alice’s Adventures in Wonderland sono state tradotte1 in moltissime lingue2 e fanno parte di un patrimonio culturale condiviso da un numero incalcolabile di lettori in quasi tutto il mondo. * Da
una lettera su The Hunting of the Snark (cit. da Hunt, 1994, p.82). L’idea di tradurre Alice in francese e tedesco era venuta all’autore per la prima volta nel 1866, come testimoniato da una lettera all’editore Macmillan (cfr. Weaver, 1964, p.31-32). La prima traduzione di Alice ad essere pubblicata fu la versione tedesca di Antoine Zimmermann (cfr. Weaver, 1964, p.51). 2 Cohen, 1995, pp.134-5: “Next to the Bible and Shakespeare, they are the books most widely and most frequently translated and quoted. Over seventy-five editions and versions of the Alice books were available in 1993, (...). They have been translated into over seventy languages, including Swahili and Yiddish; and they exist in Braille.” Blake, 1983, p.43: “(Lewis Carroll’s) 1 1
Nel caso del nostro Paese, si può ben parlare delle strane avventure di Alice in Italia, perché la storia della sua fortuna nel nostro paese ci dice molto su come siano cambiate non solo la traduzione, ma anche la letteratura italiana (non solo quella per bambini) nell’ultimo secolo3. Alice fa il suo ingresso in Italia per la prima volta nel 1872 con il titolo Avventure d’Alice nel Paese delle Meraviglie per Lewis Carroll, ad opera di un amico di Carroll, Teodorico Pietrocòla-Rossetti4 (nipote di Dante Gabriele Rossetti) con la supervisione dell’autore e le illustrazioni di Tenniel. La tiratura era limitata (1000 copie presso Loescher, ma l’edizione fu stampata anche in Inghilterra da Macmillan). Segue, nel 1908, la traduzione di Emma C.Cagli, dal titolo Nel paese delle meraviglie5, con le illustrazioni a colori di Arthur Rackham (ristampata nel 1983 dalla Nuova Equilibri, Roma).
Alice’s Adventures in Wonderland (1865) and Through the Looking-Glass (1872) are classics of the English language, vying with the Bible and Shakespeare as sources of quotation, and they have been translated into virtually every other language, including Pitjantjatjara, a dialect of Aborigine.” 3 Cfr. Boero - De Luca, 1995, p.39-40. 4 Cfr. Weaver, 1964, p.45. 5 Laura Draghi Salvadori, nella sua biografia carrolliana (1968, p.46) affermava che “la traduzione Cagli [...] è così piena di libertà, di diminutivi, e di piccole smancerie, da assuefarci dopo qualche pagina a un’Alice bamboletta e a un Paese delle Meraviglie tutto zucchero e giulebbe, che non hanno nulla a che vedere con l’astratto squisito nitore della vera Alice”. Boero e De Luca, in La letteratura per l’infanzia (1995) presentano la traduzione della Cagli come eccessivamente propensa a rinforzare “certi mielosi atteggiamenti educativi del tempo” (Boero - De Luca, 1995, p.40). 2
Durante il periodo del Fascismo, Alice viene proposta in una nuova versione di Mario Benzi6 (1935). L’opera però viene osteggiata perché straniera e perchè considerata particolarmente pericolosa per ciò che esprime. L’ostracismo del Fascismo nei confronti di Alice è dimostrato dal Manifesto della Letteratura Giovanile presentato ad un convegno sulla letteratura infantile e giovanile tenutosi a Bologna il 9 e 10 novembre 1938, che segue di pochi mesi l’istituzione della Commissione per la Bonifica libraria7. L’interesse per Alice in Italia riprenderà solo negli anni Cinquanta e Sessanta, come testimoniano le numerose traduzioni di quegli anni: A. Valori Piperno (1954), M.G. Leopizzi (1958), E.Bossi (Bompiani, 1963: cfr. I.3), Giglio (Rizzoli, 1966: cfr. I.3), Carano (Milano Libri, 1967, ma cfr. I.3 per l’edizione Einaudi, 1978), Galasso e Kemeni (Sugar, 1967: cfr. I.3). Importante è la versione italiana della Annotated Alice di Martin Gardner (cfr. Bibliografia; d’ora in poi: AA), tradotta da D'Amico (Longanesi, 1971, riveduta nel 1978: cfr. I.3), che consente anche in Italia la diffusione delle note critiche molto accurate e Su Mario Benzi, cfr il sito www.benzing.it curato dal nipote, il giornalista Gian Mario Benzing. Una delle idee di fondo del Manifesto è che “la letteratura giovanile deve affrancarsi dai libri stranieri, nocivi alla formazione delle nuove generazioni.” Secondo uno dei più accaniti sostenitori dell’idea, Nazareno Padellaro, “I libri stranieri (...) «contribuiscono a mortificare le esigenze nascenti e fondamentali dello spirito, disorientano, talvolta irreparabilmente, sovrapponendo fantasmi e sentimenti che si agglutinano in abiti mentali di altre razze e cadono così profondamente nella coscienza da non essere più estirpabili». Segue l’elenco degli autori più dannosi: Lewis Carroll, di cui Alice nel paese delle meraviglie sarebbe dominato da «un mondo in cui gli oggetti più ancora delle persone sono sotto l’azione del cloroformio»” (tutte le citazioni, Boero - De Luca, p.173). 3 6 6
degli originali delle poesie parodiate da Carroll. Tra le versioni più recenti vi sono quelle di Milli Graffi, Ruggero Bianchi e Aldo Busi (rispettivamente: Garzanti, 1989, Mursia, 1990 e Feltrinelli, 1993; cfr. I.3). Viene così a delinearsi un vero e proprio percorso traduttivo attraverso il quale leggere sì la storia della fortuna di un libro, ma anche intravedere le spinte culturali e sociali che modificano la coscienza civile ed intellettuale di una nazione.
I.2 Le trasformazioni delle traduzioni italiane Le ragioni delle trasformazioni delle traduzioni di Alice in Italia riposano su modificazioni che intervengono nella cultura. Due sono infatti i principali fattori del cambiamento: il rinnovato interesse da parte della letteratura ‘alta’ per i giochi di parole e la sperimentazione linguistica e la rivoluzione avvenuta nella letteratura per bambini. L’Inghilterra e l’Italia offrivano, negli anni in cui Carroll pubblica Alice, uno scenario piuttosto differente per quel che riguarda la letteratura, in particolare quella per l’infanzia8. Nell’Inghilterra vittoriana il nonsense di Carroll fa 8 Non si dimentichi inoltre che l’Italia di fine ottocento è alle prese con l’analfabetismo di massa, mentre l’Inghilterra era più avanzata da questo punto di vista. Un altro fattore non indifferente è la diffusione della stampa economica e dei processi di riproduzione delle illustrazioni in 4
da contraltare al moralismo borghese, fungendo da valvola di sfogo per bambini ed adulti. Parlando della letteratura nonsense e di Carroll in particolare, G.K.Chesterton affermava nel 1901: [...] la sua [di Carroll] stravagante doppia vita, in terra e nel paese dei sogni, mette in evidenza l’idea che si cela dietro il nonsense: il concetto di evasione, una sorta di fuga in un mondo in cui le cose non sono orribilmente fisse in una eterna appropriatezza, dove le mele crescono sui peri e ogni strano tipo che incontri ha tre gambe. Lewis Carroll, vivendo un’esistenza in cui avrebbe sicuramente tuonato contro chiunque calpestasse il tratto di erba sbagliato, ed un’altra in cui si sarebbe dilettato a definire verde il sole e azzurra la luna, era, appunto per la sua duplice natura – il piede in entrambi i mondi – il prototipo del moderno nonsense. Il suo Paese delle Meraviglie è una terra popolata di matematici pazzi9.
E Carlo Izzo, nella sua Storia della letteratura inglese10, parla del nonsense come di una “reazione al rigorismo sociale e morale che contraddistingue il lungo regno della famosa regina, quasi una valvola di sicurezza” indispensabile per Inghilterra (Cfr. Hunt, 1994, pp.59-61). 9 Tratto da Chesterton, 1901, pp.44-5. 10 Cfr. Izzo, 1968, pp.1149-50. 5
preservare “quel fiero senso della libertà individuale che gli inglesi sanno così bene conciliare con il rispetto delle norme”. Nello spirito di Lewis Carroll, questa storia senza morale si schiera, infatti, dalla parte dei bambini contro quelle assurdità (forse quelle sì davvero nonsensical) che l’istituzione scolastica o religiosa propinava all’infanzia vittoriana11 facendo della letteratura per l’infanzia una letteratura dell’infanzia12. Si trattava di divertimento puro, che traeva le sue origini dalla tradizione popolare delle nursery rhymes e da quella letteraria (Shakespeare, Sterne, Swift, Dickens), quello stesso divertimento stupito che tutti i bambini provano nello scoprire il linguaggio. La letteratura inglese per l’infanzia dopo Carroll fu certamente diversa da quella che aveva preceduto Alice. Ben diversa si presentava in quegli stessi anni, e in quelli successivi, la situazione italiana. La diffidenza per le storie prive di morale si spingeva fino a guardare con sospetto anche le fiabe tradizionali. Il moralismo cattolico da una parte e il bisogno da parte dello Stato di instillare il senso del dovere e l’amor di Patria nei piccoli sudditi del Regno e dell’Impero italico bastano a giustificare le critiche da parte dei benpensanti e della cultura ufficiale, e non stupisce dunque più di tanto che Alice non abbia avuto allora grande diffusione.
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Cfr. Lecercle, 1994, pp.218-220. Si noti che in inglese si parla di children’s literature.
Perché Alice venisse bene accolta in Italia occorreva (oltre ad una traduzione che le rendesse giustizia13) che la letteratura per l’infanzia scoprisse la sua vera vocazione. Questo processo avrà il suo campione in Gianni Rodari14 (1920-80), che, a partire dagli anni cinquanta comincia a narrare le sue storie, a inventare con i bambini delle borgate romane le filastrocche e i racconti nonsense. Si rilegga questo passo tratto dalla Grammatica della fantasia: [...] una parola gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, provoca una serie infinita di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni, in un movimento che interessa l’esperienza e la memoria, la fantasia e l’inconscio e che è complicato dal fatto che la stessa mente non assiste passiva alla rappresentazione, ma vi interviene continuamente, per accettare e respingere, collegare e censurare, costruire e distruggere15.
Questa nuova concezione dell’importanza della letteratura infantile, e dell’uso creativo delle parole nella letteratura per bambini che si diffonde in Italia è fondamentale per un testo come Alice e per le sue traduzioni. Attraverso le Cfr. Draghi Salvadori, 1968, pp.45-55 Cfr. Boero e De Luca, 1995, pp.256-261. 15 Rodari, 1973, p.7. 13 14
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traduzioni
si
percepisce
come
lo
spostamento
di
ottica
in
Italia,
dall’atteggiamento moralistico ad un più sano sviluppo creativo, avviene con un secolo di ritardo rispetto ad Alice. Ma non basta. Se si tengono presenti le particolarità linguistiche del testo, si capirà come esso sia stato rivalutato anche alla luce dell’attenzione che gli scrittori italiani ‘alti’ pongono per i giochi linguistici. Il fatto che Alice è un testo strettamente legato alla sperimentazione linguistica ci conduce ad osservare che, eccezion fatta per alcuni sporadici esempi di letteratura popolare16, la letteratura italiana post-quattrocentesca17, fino al secolo scorso e (in parte) alla prima metà del Novecento aveva relegato i giochi di parole nelle stanze dei bambini o nelle memorie del popolo, facendone un materiale tipicamente popolare e in quanto tale snobbato dalla cultura ufficiale. L’interesse per il gioco linguistico in Italia avviene solo all’inizio di questo secolo, con Pascoli e soprattutto con Palazzeschi; una parte rilevante hanno avuto i futuristi, seppure animati da ben altro spirito che non quello dell’infanzia. Ma è dal secondo dopoguerra in poi che gli scrittori ‘alti’ scoprono il nonsense e il legame tra letteratura per l’infanzia e gioco verbale18. Ad essi va soprattutto il Se ne può trovare un’antologia ne Il piccolo libro del Nonsense di Pier Paolo Rinaldi (Vallardi, 1997). 17 Cfr. Poole, 1969, p.144. 18 Si parla di scrittori come Calvino, Buzzati, Gadda, Elsa Morante. Cfr. Boero e De Luca, 1995 p.311 8 16
merito di aver liberato la letteratura (per bambini e per adulti) dall’obbligo dell’insegnamento morale, e di aver riscoperto la gioia pura presente nella manipolazione linguistica. Nel percorso delle traduzioni, accanto alle molteplici varianti minori, si assiste, dunque, ad un fiorire di autori ‘alti’ che propongono versioni sempre più raffinate. Le alterne vicende di Alice in Italia ci mostrano dunque da un lato il cambiamento di status da fiaba per bambini a classico per adulti19 e dall’altro la nascita di una letteratura per l’infanzia di stampo non prettamente didattico. Altre spinte importanti nella direzione del gioco verbale si ritrovano (forse in modo più pregnante che nella letteratura) nel teatro comico (Petrolini, Fo, e in tempi più recenti, Bergonzoni), nel cinema (Totò), nelle canzoni (Gaber, Cochi e Renato, fino ad arrivare ad Elio e le Storie Tese). C’è anche un altro motivo di ordine linguistico-culturale che ha posto qualche difficoltà nell’accoglienza di Alice in Italia. Si tratta dell’atteggiamento che gli inglesi hanno nei confronti della propria lingua e dei giochi di parole. Un esempio illuminante può venire dalla differenza che si riscontra nelle definizioni Si tratterebbe del processo inverso a quello di libri come I viaggi di Gulliver, nati per gli adulti e letti dai bambini (cfr. Rizzatti, 1996, p.25). Bianca Pitzorno, citata in Buongiorno, 1995, p.391, sostiene che “A differenza di altre opere letterarie destinate in origine a un pubblico adulto e diventate col tempo, a furor di popolo, classici per ragazzi […], Alice, che era nato per divertire tre bambine, col passare del tempo è diventato anche un libro per adulti, e per adulti particolarmente raffinati”. 9
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per la soluzione dei cruciverba : quelle italiane spesso richiedono esercizio di memoria (‘il nome di Lescaut’: 5 lettere: MANON ; ‘le iniziali di Toscanini’: 2 lettere: AT) mentre le definizioni dei crossword puzzles contengono quasi sempre dei pun o giochi di parole (ad esempio : ‘con uno spoonerismo, uno stregone magro a quale elemento dell’impianto elettrico fa pensare?’ Risposta: ‘light switch’ [=interruttore] da ‘slight witch’ [strega sottile]20). È anche questo diverso atteggiamento dei parlanti nei confronti della propria lingua che rende arduo il compito del traduttore italiano di Alice : per semplificare le cose, gli inglesi ridono più volentieri degli italiani per battute basate su giochi di parole21. Naturalmente, non si può ignorare che la fama di Lewis Carroll è legata anche agli autori che da lui sono stati influenzati. Com’è noto, molti sono stati gli autori del Novecento che a Carroll si sono rifatti: James Joyce, T. S. Eliot22,
L’esempio proviene da Bartezzaghi, 1995, p.276. Per un’attenta analisi delle differenze tra inglesi e italiani nella concezione del gioco linguistico, si vedano le pagine dedicate da Carlo Izzo al Nonsense vittoriano (Izzo, 1968) e l’articolo di Gordon Poole (Poole, 1969) Verso un’analisi linguistica dello humour inglese. In quest’ultimo si legge che: “[l’umorismo verbale degli inglesi] si impernia su un certo atteggiamento che gli angloglotti [...] hanno nei riguardi della loro lingua, la quale essi all’atto pratico tendono a plasmare, variare e deformare secondo il proprio piacimento e esigenza comunicativa” (p.131). Cfr. anche Chiaro, 1992, (specialmente il capitolo 1 e il capitolo 4, dedicato alla traduzione delle barzellette). 22 Cfr. il saggio di E.Sewell (Sewell, 1958) intitolato “Lewis Carroll and T.S. Eliot as nonsense Poets”. 10 20 21
Vladimir Nabokov23, Ionesco, Artaud e i surrealisti francesi. Ne segue che lo studio di questi autori ha portato anche in Italia un nuovo interesse per Alice da parte del pubblico adulto. Va infine ricordato, per il peso che sicuramente ha avuto presso il pubblico infantile e adulto in generale, il celebre lungometraggio a cartoni animati di Walt Disney, del 1951, che alterna gli episodi dei due libri (il film, poco apprezzato all’uscita, venne rivalutato a partire dagli anni Sessanta24 contemporaneamente all’affermarsi della cultura beat e hippy25).
I.3 Traduzioni italiane a confronto Scegliere tra le versioni italiane di Alice è un’impresa difficile, data la sovrabbondanza di edizioni presenti sul mercato26. I criteri seguiti per Cfr. Levin, 1965, p.220: “it is worth noting that Vladimir Nabokov’s first book was a Russian translation of Alice in Wonderland” (“è da notare che il primo libro di Nabokov fu una traduzione russa di Alice nel Paese delle Meraviglie”). 24 Cfr. Buongiorno, 1995, p. 17 e p. 391. Potrebbe essere interessante studiare la versione italiana di questo lungometraggio e le influenze che ha avuto per le traduzioni italiane successive alla sua uscita, soprattutto per la scelta dei nomi dei personaggi. 25 Notevole è l’influenza di Lewis Carroll sulla psichedelia. I Beatles si rifanno spesso esplicitamente alle opere di Carroll. Nell’ambito di questa corrente culturale, si è ipotizzato che Carroll facesse uso di droghe, cosa che però appare infondata. 26 Nel Catalogo dei Libri in commercio (per autori) del 1997 si contano ben trentasei diverse edizioni di Alice’s Adventures in Wonderland (alcune delle quali comprendono anche Through the Looking-Glass), non contando le riduzioni per bambini e le edizioni scolastiche in originale. 11 23
l’inclusione delle traduzioni, comprese nell’arco di trent’anni (1963-1993), sono stati da una parte il rilievo culturale del traduttore o dell’edizione, d’altra parte la reperibilità sul mercato. Questo secondo aspetto non dev’essere sottovalutato, poiché si tratta di traduzioni uscite da case editrici di grande rilievo sul mercato librario, quindi, presumibilmente, delle versioni più diffuse e che hanno maggiormente veicolato al pubblico italiano l’opera di Carroll. Nelle traduzioni prescelte, la già citata traduzione di D'Amico svolge il ruolo di edizione principe. La versione di Galasso e Kemeni, l’unica fuori commercio ma reperibile nelle biblioteche, è stata usata anche in altre analisi condotte sulle traduzioni italiane di Alice27, insieme alle versioni di Giglio, Carano e D'Amico28. Su queste basi si è provveduto a costruire un corpus che risulta composto da otto traduzioni, delle quali si dà qui un profilo descrittivo29: •
Bossi (Bompiani 1963 [91]). Apparsa nella collana economica Classici stranieri dei Tascabili Bompiani (prezzo: lit.10.000), questa edizione
Cfr. analisi di Berretta, 1979a e 1979b, e di Capitanio, 1983, dove è indicata come Garzanti 1975. 28 Quest’ultima indicata in Berretta, 1979a e 1979b, e in Capitanio, 1983 come Mondadori 1978. 29 Nella presentazione delle traduzioni, così come nell’analisi del corpus, si seguirà un criterio cronologico con riferimento alla prima edizione della traduzione, salvo il caso di Carano, che viene considerato in funzione dell’edizione in cui compare ora (per una giustificazione, cfr. in proposito più sotto la descrizione di questa edizione). 12 27
comprende entrambe le storie di Alice. Si tratta della riedizione di una traduzione piuttosto lontana nel tempo, con la revisione e la traduzione delle poesie di Alessandro Roffeni. Le illustrazioni sono quelle originali di John Tenniel. Vi sono poche note al testo, soprattutto con la funzione di spiegare i giochi di parole dell’originale. In appendice vi sono: una “postfazione” di Jean Gattégno (tratta da Lewis Carroll, Bompiani, Milano, 1980) e una cronologia della vita e delle opere dell’autore. L’attenzione dell’editore è portata sull’autore, non sul traduttore o sul testo. L’edizione sembra destinata ad un pubblico giovane. •
Giglio (Rizzoli 1966 [90]). Pubblicato nella collana economica Superclassici della Biblioteca Universale Rizzoli (prezzo: lit.7.000), con un’introduzione di Attilio Brilli e le note al testo di Alex R.Falzon. L’edizione riporta anche delle “Testimonianze e giudizi critici”, interessanti per inquadrare l’autore ed il testo, una bibliografia ragionata e alcune foto e disegni originali dell’autore e una illustrazione di John Tenniel tratta dal testo originale. Le illustrazioni non sono presenti all’interno del testo. Si tratta di una riedizione di una traduzione del 1966, riproposta per la prima volta nel 1978 nell’edizione B.U.R. insieme a Through the Looking-Glass, e qui riedita da sola nella collana più economica della Rizzoli. Le note, non solo su problemi di linguistica, ma anche di interpretazione del testo (spesso di impostazione freudiana), sono 13
state sicuramente sovrapposte alla versione originale. Ritengo che non sia un’edizione rivolta ad un pubblico infantile, per l’assenza di illustrazioni e per la presenza abbondante di note al testo. •
Galasso e Kemeni (Sugar 1967). Edizione delle due storie di Alice ormai fuori commercio, con prefazione di André Maurois (“Si tratta della prefazione all’edizione d’Alice apparsa nella collana Viaggi Immaginari (Edizioni Stock, 1947)”, p.13 nota 1) e illustrazioni originali di John Tenniel. In appendice a Le avventure di Alice nel paese delle Meraviglie sono riportati i testi di “Un augurio pasquale ad ogni bimbo amico di Alice” (1876) e “Augurio natalizio di una Fata ad un bimbo” (1887). Le note al testo sono di carattere meramente linguistico e si limitano a spiegare i giochi di parole. Si tratta di un’edizione da cultori, anche se le note sono scarse e la traduzione non molto accurata.
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D’Amico (Longanesi 1971 [94]). Si tratta della quinta edizione nella collana «I Marmi» della Longanesi, che l’aveva edita per la prima volta nella collana «L’Elefante» nel 1971 e, riveduta e aggiornata, ne «I Marmi» nel 1978 (prezzo: lit.40.000). Si tratta della già citata versione italiana dell’ormai classica Annotated Alice, che riporta tutte e due le storie di Alice, tutte le
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illustrazioni originali di John Tenniel, introduzione e note di Martin Gardner “tradotte e aggiornate da Masolino D'Amico” (frontespizio). Dell’edizione di Gardner riprende fedelmente perfino la veste grafica. In appendice si trova una bibliografia annotata e ragionata. Questa è chiaramente un’edizione ‘di lusso’ (grande formato, prezzo elevato), quindi per adulti. In una nota a p.10, D’Amico spiega i criteri da lui seguiti per la traduzione: […] mi è sembrato opportuno nella versione italiana attenermi per quanto possibile a criteri letterali, dando gli originali delle poesie (e, quando si tratti di parodie, dei loro modelli) accanto a una loro traduzione interlineare e in prosa. A rischio di essere noioso, ho inoltre spiegato in nota certi giochi di parole tuttora validi per il lettore anglosassone.
Il pubblico adulto interessato a questo tipo di traduzione è dunque quello degli studiosi di Alice, degli intenditori, che comunque conoscono o hanno intenzione di leggere il testo in versione originale. La maggior parte dei giochi di parole sono tradotti letteralmente (e quindi totalmente incomprensibili in italiano) e spiegati accuratamente in nota.
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Carano (Einaudi 1978 [93]). Questa traduzione si trova ora nella collana economica Gli Struzzi (prezzo: lit.20.000). Si tratta di una ristampa dell’edizione Einaudi del 1978, a cura di Maria Vittoria Malvano, che racchiude entrambe le storie di Alice in due traduzioni di molto antecedenti: quella di Ranieri Carano (per Alice nel Paese delle Meraviglie) è del 1967 (Milano Libri) e quella di Giuliana Pozzo (per Attraverso lo Specchio) è del 1947 (Casa Editrice Hoepli). Nell’edizione del 1978 è stata aggiunta la traduzione di un capitolo inedito di Attraverso lo Specchio (The Wasp in a Wig, tradotto da Camillo Pennati) e le versioni delle parodie e delle filastrocche sono di Guido Almansi. La nota introduttiva è di Nico Orengo. Le illustrazioni per Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie sono quelle di Lewis Carroll stesso, tratte dalla prima versione della storia, Alice’s Adventures Underground, quindi sono meno accurate ma sicuramente più interessanti dal punto di vista filologico. Interessante è anche il fatto che in copertina vi sia una foto della ‘vera’ Alice scattata da Carroll, e non un’illustrazione. Non vi sono note al testo. Si tratta di una sorta di collage editoriale, ben assortito in verità, che si rivolge sia ad un pubblico adulto che a lettori più giovani, data la vivacità del testo. Interessante è la nota riportata nel retro di copertina a proposito della traduzione:
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Ma questa «Alice» non è soltanto completa: Guido Almansi l’ha tradotta, riuscendo a ricreare in italiano i giochi di parole, gli ammicchi, il divertimento dell’originale.
Le intenzioni dell’editore sono dunque chiare: ridonare nuova vitalità al testo di Carroll. Sebbene la traduzione di Carano risalga al 1967, anch’essa risponde pienamente alle intenzioni dell’editore. •
Graffi (Garzanti 1989 [93]): nella collana economica I grandi libri (prezzo: lit.12.000). Si tratta della traduzione di entrambe le storie di Alice, con un’introduzione sulla vita dell’autore, un profilo storico-critico dell’autore e da una guida bibliografica (molto accurata) di Milli Graffi, che, oltre a tradurre il testo, ha anche curato le note (situate non a piè di pagina, ma in fondo a ciascuno dei due testi). Le illustrazioni sono di John Tenniel, tranne quella di copertina che riproduce un particolare di un’illustrazione di Arthur Rackham. Si tratta di un’edizione molto attenta, con materiale critico di sicuro interesse per chi voglia saperne di più sull’autore e sul testo in quanto tale, grazie soprattutto all’inquadramento storico-letterario dato dalla traduttrice. Si tratta dunque di un’edizione per adulti interessati ad uno studio letterario dell’opera (studenti universitari o studiosi). Nelle note al testo, la traduttrice fornisce anche indicazioni su 17
precedenti traduzioni cui si è rifatta (la prima versione ad opera di Pietròcola-Rossetti, la versione di D’Amico, le note di Alex R.Falzon nell’edizione Rizzoli). Ecco cosa scrive la traduttrice nelle Avvertenze alle note (p.116): Di tutte le poesie contenute nei due libri di Alice verrà dato in nota il testo originale in inglese. Verranno pure segnalati i giochi di parole, le invenzioni verbali e i vari trabocchetti del linguaggio che, nel caso di questo autore, sono così determinanti da costituire anche l’essenza narrativa del testo oltre che la scrittura. Nel medesimo contesto segnaleremo inoltre la maggiore o minore distanza dal testo o la soluzione alternativa scelta dalla traduzione.
Si tenga presente che Milli Graffi ha compiuto molti studi sulla letteratura nonsense dell’Inghilterra vittoriana: ha tradotto The Hunting of the Snark (La Caccia allo Snualo, Studio Tesi, 1985) e si è occupata di Edward Lear, l’autore più celebre di limericks e di altri nonsense verses del periodo vittoriano (cfr. Bibliografia). •
Bianchi (Mursia 1990 [93]): nella collana economica GUM Mursia (prezzo: lit.14.000). L’edizione è curata dallo stesso traduttore, con
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un’introduzione dal titolo significativo (“Alice o della magia e della malinconia del tradurre”) e note al testo (non a piè di pagina) molto interessanti dal punto di vista linguistico, perché Bianchi non si limita a spiegare il gioco nell’originale, ma fornisce anche una spiegazione delle sue scelte di traduzione. Le illustrazioni sono di John Tenniel. Nel retro di copertina si legge: L’estro bizzarro che permea tutta la narrazione non allontana, peraltro, dal lettore paesaggi e cose, animali e persone: anzi, il Coniglio Bianco, la Fintartaruga, la Duchessa, il Gatto del Cheshire, il Cappellaio Matto. La stessa Regina di cuori, che fin dall’infanzia ci sono stati simpaticamente vicini sia pur nella loro diversità e che — forse grazie anche alle notissime illustrazioni di John Tenniel — allora credemmo addirittura «reali», ricompaiono altrettanto vitali e attuali nella nostra vita di «grandi».
Dunque probabilmente questa edizione si rivolge piuttosto agli adulti che ai ragazzi. •
Busi (Feltrinelli 1993). È l’unica edizione con testo originale a fronte, tra quelle qui prese in esame. La collana editoriale è quella de “I Classici” 19
dell’Universale Economica Feltrinelli (prezzo: lit.13.000), nella quale recentemente sono stati ristampati alcuni classici per l’infanzia (Peter Pan, Pinocchio). L’edizione presenta una breve introduzione del traduttore, la postfazione e le note al testo (in appendice) di Carmen Covito. Non vi sono illustrazioni, tranne una sola di John Tenniel (dal frontespizio dell’edizione inglese). Sintomatico è il fatto che sul retro di copertina non vi sia un profilo dell’autore (al quale è dedicata poco più di mezza pagina) ma un estratto dall’introduzione, un profilo del traduttore e un paio di righe dedicate alla curatrice delle note. Il traduttore ha persino dedicato la sua versione di Alice alle nipoti (cfr. p.7: “A Eleonora, Wilma, Patrizia, Maria, Adele dallo ziochescrive”). Date queste premesse, non stupisce che il testo “tradotto” sia in realtà un libero adattamento della storia di Carroll, libero non nella struttura narrativa, ma nello stile, nella caratterizzazione dei personaggi, nella creazione di giochi di parole più gradevoli in italiano. D’altro canto, la scelta editoriale sembra piuttosto azzeccata, dal punto di vista economico, perché presenta una versione ad opera di uno scrittore ‘di grido’, discusso autore di best sellers, del quale sicuramente chi acquista questa edizione ha già sentito parlare. In un certo senso, il lettore (certamente non bambino) sa già cosa aspettarsi da una versione del genere. La personalità del traduttore in questo testo è volutamente presente. Ciò non toglie che il testo italiano sia ben riuscito, divertente e 20
‘attuale’, con riferimenti espliciti al contesto culturale italiano contemporaneo (cfr. ad esempio il riferimento a Mike Bongiorno nella parodia di Father William, a pagina 73, ultimo verso, e al brodo Star nella traduzione di Beautiful Soup, p.157). Dalla descrizione appena fatta, possiamo rilevare come la maggior parte delle traduzioni si rivolga ad un pubblico adulto: solo nel caso di Bossi, 1963 [91] il pubblico potrebbe essere quello degli adolescenti o dei ragazzi, e Carano si rivolge sia ad un pubblico adulto sia a lettori più giovani. In tutti i casi, appare chiaro che non si ritiene destinatario ideale il pubblico dei bambini. Anche sotto il profilo degli scopi della riproposizione di Alice al pubblico italiano il panorama appare variegato: si va dal puro intrattenimento (Bossi, Galasso e Kemeni, Carano, Busi, con molte sfumature tra loro) all’interesse filologico (Giglio, D’Amico in particolare, Graffi, Bianchi). La presenza di note al testo (e la loro collocazione a piè di pagina o in fondo al testo) è in questo senso un’indicazione precisa. In questa panoramica già si intravedono gli spostamenti di interesse verso i giochi di parole da parte dei traduttori fin dalle dichiarazioni degli stessi o dal retro di copertina da parte degli editori.
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I.4 L’autore e il suo tempo Già nella versione originale, Alice pone problemi interessanti, non solo dal punto di vista linguistico in senso stretto, ma anche per quanto riguarda il pubblico cui si rivolge e il contesto culturale di riferimento. Come vedremo, infatti, Alice è un libro profondamente legato al suo tempo e al luogo in cui è nato. Chi non appartiene all’ambiente dei college di Oxford del pieno periodo vittoriano potrà cogliere soltanto gli elementi universali di questo testo. Proveremo, dunque, ad avvicinarci al testo partendo dal suo autore e dal suo tempo. I.4.1 Lewis Carroll e Alice, ovvero: il matematico e la bambina ‘Lewis Carroll’ era, nella vita di tutti i giorni, Charles Lutwidge Dodgson (Daresbury, 1832 - Guilford, 1898), un reverendo, professore di matematica al Christ College di Oxford. La sua esistenza piuttosto piatta, metodica, rigidamente ordinata, è caratterizzata dalla balbuzie e dalla passione per la fotografia. Come professore, per sua stessa ammissione, sembra che non sia stato eccezionale. Era stato però un ottimo studente di matematica, e come matematico, col suo vero nome, pubblicò diversi saggi, tra i quali The Formulae of Plane Trigonometry (1861) e Euclid and his Modern Rivals (1879). Se non fosse stato 22
anche “Lewis Carroll”, il suo nome giacerebbe probabilmente dimenticato negli annuari del Christ Church College. Il timido Dodgson sin da bambino era stato un instancabile inventore di giochi e storie per i suoi numerosi fratelli (era il terzogenito e primo maschio di 11 figli), redattore di numerosi giornalini per la famiglia, scrittore in erba di versi comici, in cui sono presenti diversi giochi linguistici. L’infanzia in famiglia fu un periodo tranquillo e spensierato, interrotto dagli anni di scuola a Rugby, dove il futuro autore di Alice si trovò faccia a faccia con il sistema ‘educativo’ vittoriano, basato su ordini privi di senso volti a formare la gioventù dell’Impero britannico. Entrato al Christ Church College di Oxford nel 1851, qualche tempo dopo cominciò a pubblicare alcune delle sue poesie umoristiche sulle riviste «Comic Times» e «The Train», sotto lo pseudonimo di ‘Carolus Ludovicus’. Si laureò tre anni più tardi in matematica a pieni voti e cominciò a prepararsi per l’ordinazione sacerdotale: per diverse ragioni, però, si fermerà al grado di diacono, che gli consente di ricevere una pensione e gli impone il celibato. Dodgson cominciò ad insegnare matematica nel 1856, nello stesso periodo in cui ‘nasce’ il suo alter ego, ‘Lewis Carroll30’: questo da ora in poi è lo pseudonimo per le pubblicazioni saltuarie delle poesie che appaiono sulle riviste. Così, mentre il professor Charles Lutwidge Dodgson annoia i suoi studenti e si sforza di Pseudonimo nato dalla versione latina del suo primo pseudonimo (v. sopra) con inversione del primo e del secondo nome. 23
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pronunciare difficili discorsi, ‘Lewis Carroll’ discorre amabilmente con i suoi ascoltatori prediletti, i bambini (preferibilmente, le bambine) figli di amici e colleghi, che intrattiene con giochi di prestigio, rompicapi linguistici e matematici e storie incredibili, come quelle che raccontava ai suoi fratelli. Con le sue piccole amiche intesse fitte e divertenti corrispondenze. Tra queste bambine, vi erano anche le figlie di Henry George Liddell, decano del Christ Church College dal 1855 e celebre grecista (coautore del dizionario Liddell-Scott): i loro nomi erano Lorina, Alice e Edith. Fu per la piccola Alice Liddell e per le sue sorelle che, durante una gita in barca sul fiume Isis, il pomeriggio del 4 luglio del 1862, Lewis Carroll inventa quelle che diventeranno le Alice’s Adventures in Wonderland. Siamo informati delle circostanze della composizione, per così dire, estemporanea di questa storia dall’autore stesso: la poesia All in the golden afternoon, che precede il racconto nella sua edizione definitiva, ricorda infatti quel pomeriggio in cui tutto ebbe inizio. In realtà, sebbene la stessa Alice ‘reale’ ricorderà ad anni di distanza quel pomeriggio dorato31, la storia come la leggiamo noi oggi è frutto di parecchi pomeriggi. Ad ogni modo, nei giorni immediatamente seguenti il 4 luglio 1862, Alice Liddell insistette perché Lewis Carroll mettesse per iscritto la strana storia della bambina che precipita nella tana del coniglio e così nei mesi che seguirono Carroll scrisse Come viene ricordato da Garnder (in AA, nota 1, p.23), venne poi accertato che il pomeriggio del 4 luglio 1862, nei dintorni di Oxford, pioveva. 24 31
la prima versione della storia, intitolata Alice’s Adventures Under Ground32. Secondo Martin Gardner, la primissima versione risale al febbraio 1863, ma di essa non rimane traccia perché fu probabilmente distrutta dallo stesso Carroll nel 186433, anno in cui rielaborò la storia per regalarla, vergata di suo pugno e completa delle sue illustrazioni, alla bambina che l’aveva ispirata. La dedica recita: “A Christmas Gift to a Dear Child in Memory of a Summer Day”. Nel frattempo, anche altre persone lessero la breve storia (quattro capitoli, circa 90 pagine in tutto) tra esse George MacDonald, amico di Carroll e autore di racconti del genere fantasy, come The Phantastes (1858), che la lesse anche ai suoi figli. L’incoraggiamento degli amici spinse Carroll a pubblicare la storia di Alice34. Così l’autore dovette ancora una volta rimaneggiare la sua storia: tolse riferimenti ad episodi noti soltanto al suo primo pubblico, come il racconto di un acquazzone durante un’altra gita in barca, rielaborò alcune scene (il processo finale risulterà alla fine lungo due capitoli, mentre nella prima versione occupava appena due pagine) e aggiunse nuove parodie di poesie e nuovi episodi (i capitoli “Pig and Pepper” e “The Mad Tea Party”). Cambiò anche titolo alla storia: le Alice’s Adventures Under Ground divennero le Alice’s Adventures in
Nel 2003 è uscita la prima versione italiana di questo testo, con la riproduzione dell’originale, tradotta da me, con il titolo di Alice Underground, pubblicata da Stampa Alternativa, Viterbo, 33 Cfr. Gardner, 1965, p.V. 34 Cfr. prefazione dell’autore all’edizione in facsimile del 1886, adesso in Carroll, 1965. 25 32
Wonderland35. Questa rielaborazione è importante perché, come nota Jean Gattégno36, introduce i giochi linguistici come elemento fondamentale dell’opera e perché muta la prospettiva della narrazione, facendo di Alice una viaggiatrice, un’esploratrice nel Paese delle Meraviglie, più che una malcapitata nel mondo sottoterra. Scelse un illustratore adatto all’impresa, John Tenniell, disegnatore di vignette umoristiche del Punch, e un editore, Macmillan, di Londra, che già aveva pubblicato altri racconti per ragazzi, come The Water Babies di C. Kingsley. Tra l’estate e l’autunno 1864, l’autore lavora alla pubblicazione. Nel giugno del 1865 le prime copie del libro furono pronte, ma, a causa della cattiva qualità della
Cfr. Gardner, 1965, p.X e Cohen, 1995, p.127-8. Gattégno, 1974, p.32: “Le contenu de la première version d’Alice en est une preuve supplémentaire, et cela à deux égards au moins. D’abord en ce que les épisodes rajoutés pour l’Alice de 1865 introduisent un facteur totalement nouveau: le jeu avec le langage. Un seul jeu de mots apparaît dans le premier texte, lors de la rencontre d’Alice avec la Tortue «fantaisie» (dont le nom, du reste, n’est pas expliqué) sur tortoise et taught us; mais le jeu syntaxique sur l’expression found it advisable employée par la Souris dans son récit, qui était possible puisque l’expression figure dans le premier texte, n’est pas fait par Carroll; c’est donc tout un pan de l’univers carrollien qui, à cette date et dans ces circostances, n’a pas encore surgi. En second lieu, et plus significative encore, la structure narrative du conte se modifie: la prémiere Alice relate, de façon presque linéaire, les aventures qui arrivent à Alice, alors que la seconde fait parcourir à l’heroïne un monde où des choses se passent en dehors d’elle. Cela est vrai, naturellement, pour les épisodes ajoutés, comme «le Thé chez les Fous» ou les rencontres (qui ne sont que des dialogues) avec le Chat du Cheshire. Mais même dans les scènes existant dès la première version, comme le Procès du Valet de Cœur ou la rencontre avec le Griffon et la Tortue «fantaisie», la part de ce qui ne concerne pas directement Alice est minime, par comparation avec la version définitive. Pour résumer, je dirai que le premier manuscrit nous racontait une aventure d’Alice, alors que le texte définitif nous raconte bien plutôt le voyage d’Alice.” Cfr. anche Levin, 1965, p.231. 26 35 36
stampa, vennero ritirate. Il libro fu ristampato e l’autore ricevette la prima copia corretta il 9 novembre 1865. L’accoglienza del libro fu entusiastica e il successo spinse Carroll a dare un seguito alla storia con Through the Looking-Glass and What Alice Found There, iniziato nel 1866 e pubblicato nel 1871. Anche questa storia è ispirata ad Alice Liddell, benché questa avesse ormai una ventina d’anni. All’interno del racconto è inserita la celebre poesia nonsense intitolata “Jabberwocky”. Nel 1889 esce la versione di Alice per bambini “da zero a cinque anni”, intitolata Nursery Alice e corredata dalle illustrazioni a colori di Tenniel. Le altre opere di Carroll che si possono inserire sulla scia di questi capolavori della letteratura per l’infanzia (ma non solo) sono il capolavoro del nonsense in versi The Hunting of the Snark, del 1876, e Sylvie and Bruno (1883, prima parte, e 1893, seconda parte, dal titolo Sylvie and Bruno Concluded) in cui invece il sentimentalismo moraleggiante prevale sul nonsense, mentre da ricordare sono le raccolte di giochi logici e matematici: Pillow Problems and A Tangled Tale (pubblicati in raccolta nel 1958), The Game of Logic (1886-92) e Symbolic Logic, Part I. Elementary (1896). Nel campo della logica, Carroll ha avuto il merito di sintetizzare la logica booleiana che poi, di lì a poco, sarebbe stata soppiantata dalla logica matematica di Russell. 27
I.4.2 Alice e il suo pubblico Come si nota dalle vicende della scrittura e della pubblicazione di Alice, l’autore stesso fu costretto sin dall’inizio a cambiare il testo originario in funzione del pubblico cui si riferiva. Possiamo presupporre quindi che ogni testo sia sempre un altro testo ogni volta che viene letto da un lettore diverso, e, al limite, ogni volta che viene riletto dallo stesso lettore. Un’affermazione del genere può qui sembrare azzardata, ma è lo stesso Lewis Carroll (in un momento in cui era Charles Dodgson) a ricordarcelo37. Possiamo dire che, nelle intenzioni dell’autore, Alice’s Adventures in Wonderland è un libro per bambini, innanzitutto perché è stato scritto per una bambina, come molti altri celebri libri per l’infanzia38. Carroll raccontava abitualmente storie alle sorelle Liddell arricchendo di particolari fantastici gli episodi strani e divertenti che accadevano loro. Alice si configura come libro per l’infanzia anche perché rispetta appieno quanto Alice ritiene necessario ad un libro adatto ai bambini, cioè la presenza di illustrazioni e di dialoghi39. Cfr. la lettera su The Hunting of the Snark citata in Hunt, 1994, p.82. Ad esempio i libri di Beatrix Potter, James M Barrie, Kenneth Grahame, A. A. Milne. Cfr. Blake, 1983 e Hunt, 1994, p.79. 39 Si veda il saggio di Nina Auerbach [1973] intitolato Alice and Wonderland: A Curious Child. Cfr. anche Levin, 1965, pp.221-2 “Alice began by tiring of her sister’s book because it had no pictures or conversations in it. Her chronicles are not lacking in those amenities. Each adventure brings a conversation with a new and strange vis-à-vis. As for the pictorial presentation, it is an 28 37 38
Quando il libro venne pubblicato, il pubblico cui era destinato, quello dei bambini (e dei loro genitori) trovò le avventure di Alice esilaranti, e ne decretò il successo. Alice rivoluzionò la letteratura per l’infanzia, facendola diventare letteralmente children’s literature, letteratura dell’ infanzia. Al contrario delle storie moraleggianti piene di sentimentalismo e lezioni di buone maniere, la stravagante fiaba di Carroll racconta di una bambina vera (nel senso che si comporta come si comporterebbe una bambina reale) alla quale accade di sprofondare (nel sonno) in un mondo stranissimo. Come una bambina in carne ed ossa, Alice, anche se li ripete continuamente per ricordarsene, non bada ai consigli degli adulti, pieni di buon senso40, e comincia ad esplorare un mondo sconosciuto e (potenzialmente) pericoloso nel quale si ritrova a causa della sua curiosità. La curiosità41 di Alice, integral part of the author’s design. He started with his own sketches, chose his illustrator with the utmost concern, and worked with Tenniel in the most indelible of collaborations.”. Cfr. anche Rackin, 1976, p.8. 40 Si rileggano i consigli che Alice si dà prima di bere la bottiglietta con su scritto “BEVIMI” (AA, p.31): “It was all very well to say “Drink me,” but the wise little Alice was not going to do that in a hurry [...] for she had read several nice little stories about children who had got burnt, and eaten up by wild beasts, and other unpleasant things, all because they would not remember the simple rules their friends had taught them: such as, that a red-hot poker will burn if you hold it too long; and that, if you cut your finger very deeply with a knife, it usually bleeds; and she had never forgotten that, if you drink much from a bottle marked “poison,” it is almost certain to disagree with you, sooner or later.” 41 Levin (1965, p. 222) ricorda che l’aggettivo che ricorre spesso è curious, che, come il corrispondente italiano curioso, può essere sinonimo sia di ‘mosso da curiosità’ che di ‘strano, che suscita curiosità’. 29
che non viene sanzionata dal suo autore, è una delle caratteristiche principali del personaggio, ed è in un certo senso anche il motore principale della storia. Del resto, è anche per la curiosità di Alice Liddell che la storia ebbe un seguito. Il libro nasce quindi e si diffonde tra i piccoli della sua epoca. Ma Alice può essere anche di più per altro e diverso pubblico e per altri e lontani tempi. Lo attestano le più diverse interpretazioni che il testo ha ricevuto (e talvolta subito), e che hanno fatto e fanno sostenere la tesi che questo non sia un libro per bambini, al di là delle intenzioni del suo autore. Sarebbe più corretto affermare che questo non è più un libro per bambini, perché i bambini di oggi non possono più leggere Alice con lo stesso godimento dei loro coetanei inglesi di più d’un secolo fa42. I lettori di oggi, sia adulti che bambini, ad esempio, troveranno semplicemente strane o buffe le parodie delle poesie recitate da Alice e dagli altri personaggi, non cogliendo i riferimenti ai modelli reali, che non fanno parte del bagaglio culturale del lettore di oggi. Occorre un’edizione accurata come la Annotated Alice ad opera di Martin Gardner per spiegare quel che i lettori del 1865 intuivano immediatamente43. Cfr. ad esempio l’introduzione di Martin Gardner in AA, pp.7-8 (trad. it. M.D’Amico, p.1112), Rackin, 1976, p. 3, Almansi, 1976, p.34. 43 Occorre tuttavia precisare che alcuni riferimenti della storia sono delle cosiddette inside jokes: tale è ad esempio la canzone Twinkle twinkle little bat, che, oltre ad essere la parodia di una celeberrima canzone per bambini, era anche una presa in giro di un professore di Oxford collega dell’autore, Bartholomew Price, soprannominato ‘the bat’ (‘il pipistrello’) (cfr. AA.p.98, nota 6; trad. it. M.D’Amico p.100-1, nota 7). Cfr. Levin, 1965, p.217-8. 30 42
Carroll, però ci aveva avvertiti : probabilmente già intravedeva gli innumerevoli critici che avrebbero spulciato e sezionato la sua piccola creatura per trovarvi significati cui mai avrebbe potuto pensare mentre inventava la storia di Alice. Del resto, Alice si presta benissimo a questo tipo di operazione. Forse ha più senso domandarsi perché una storia del genere sia piaciuta ai bambini e cercare di coglierne le caratteristiche universali che ne hanno fatto un classico per l’infanzia. Come molte storie per l’infanzia, quella di Alice è in un certo senso un Bildungsroman: la protagonista passa attraverso delle esperienze che la mettono in crisi – una crisi dell’identità, delle conoscenze, del linguaggio – e alla fine, senza aspettare il Principe Azzurro44, decide di rifiutare il mondo in cui è entrata. Le innumerevoli osservazioni critiche, inevitabilmente di stampo psicanalitico, che sono state condotte su Alice nel nostro secolo hanno messo in luce le valenze che una fiaba simile può avere per i bambini. Si pensi soltanto ai cambiamenti di statura cui la protagonista va ripetutamente incontro45: Alice è una bambina che sta crescendo e deve trovare il suo posto nel mondo.
Come fa notare Cohen, 1995, pp. 139-40. Non è difficile considerare Alice come una fiaba femminista (cfr. Pagetti, 1996, p.10; Blake, 1983). 45 Cfr. Levin, 1965, p.229. 31 44
Mascherate sotto le specie di un sogno46, in realtà le avventure di Alice sottoterra si rivelano un incubo, al quale la protagonista riesce finalmente a sottrarsi riportando gli oggetti delle proprie paure alle giuste dimensioni: “Chi se ne importa di voi?” disse Alice (era ormai tornata alle sue giuste dimensioni).”Non siete nient’altro che un mazzo di carte!” 47
È un storia scritta dalla parte dei bambini, che ha sui lettori più piccoli una sorta di effetto catartico: identificandosi con la protagonista, i bambini imparano ad esorcizzare la paura del mondo degli adulti, che appare loro incomprensibile ed assurdo al pari di Wonderland. D’altro canto è vero che certi giochi di parole, allusioni ironiche o alcuni riferimenti culturali saranno colti più facilmente dai lettori adulti. Ma lo spirito che anima l’estimatore adulto di Alice è quello del bambino: il lettore ormai cresciuto muterà anch’egli statura con la protagonista, ricorderà come quand’era bambino il mondo degli adulti risultasse lontano e irrazionale, e comincerà a sospettare che Wonderland sia il mondo in cui si trova e che spesso gli appare egualmente assurdo48. Cfr. Rackin, 1976, p.3, Cohen, 1995, p.139. AA, p. 161 : “Who cares for you?” said Alice (she had grown to her full size by this time). “You’re nothing but a pack of cards!” 48 Con queste caratteristiche, Alice è sicuramente un libro che piace agli adolescenti. 32 46 47
Chi considera Alice come un testo per adulti potrebbe essere influenzato dal pregiudizio di coloro che giudicano la letteratura per l’infanzia come sottoprodotto della letteratura ‘alta’. Al di là di questo, resta il fatto che molti sono gli adulti appassionati lettori di questo testo per le ragioni più svariate. Alice è un’inesauribile miniera di esempi per linguisti, filosofi, fisici e matematici. Esistono diverse associazioni dedicate a Lewis Carroll (come la Lewis Carroll Society che ha sede a Londra, la Lewis Carroll Society of North America49 e la Lewis Carroll Society of Japan) e sulla rete Internet è possibile trovare, oltre a diverse edizioni e traduzioni delle opere di Carroll, decine di siti che si occupano direttamente e indirettamente di Lewis Carroll e della sua Alice. Insomma, tra coloro che continuano a ritenere Alice’s Adventures in Wonderland un classico della letteratura per l’infanzia per le sue caratteristiche universali, poiché la storia di Alice narra di una bambina che impara a cavarsela da sola, a dominare le proprie paure e fantasie, ad usare la propria curiosità, a interrogarsi sulla propria identità, insomma a crescere senza rinnegare la propria infanzia50, e quelli che lo identificano come libro per adulti, la verità sta nel mezzo51. La storia di Alice viene pubblicata, tradotta, adattata, raccontata, Sito internet: http://www.lewiscarroll.org/carroll.html Cfr. ad esempio Cohen, 1995, capitolo 5, “The Alice Books”, Rizzatti, 1996, p.25, Levin, 1965, p.217. 51 Il nonsense di Carroll è rivolto sia ai bambini che ai loro genitori. Si tratta da una parte di un gioco a spese dei bambini a vantaggio dei lettori adulti che possono comprendere meglio i 33 49 50
sceneggiata soprattutto per un pubblico di bambini, ma piace anche agli adulti e travalica confini geografici e generazionali.
meccanismi del gioco linguistico; dall’altra parte è una (auto)critica della pedagogia vittoriana, a danno dei lettori adulti e a vantaggio dei bambini. (cfr. Poole, 1976). 34
Capitolo II I giochi di parole Les jouets et les jeux sont changés en outils En travaux en objets capitaux en soucis Il nous faut nous cacher pour simuler l’enfance Il nous est interdit de rire sans raison. P.Èluard*
Un testo come Alice’s Adventures in Wonderland offre numerose e stimolanti possibilità di analisi linguistica, sia prendendo in esame il testo originale che considerando le sue traduzioni. Nella nostra analisi comparativa abbiamo scelto di esaminare in particolare il modo in cui sono stati tradotti i giochi verbali che costituiscono la materia stessa della narrazione, ritenendo questo uno dei nodi problematici principali per chi si accingesse a tradurre il testo. In questo capitolo analizzeremo dunque i meccanismi su cui i giochi si fondano e le caratteristiche del linguaggio che essi sfruttano.
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Da “L’âge de la vie”, V 35
II.1 Tra suoni e lettere I primi giochi verbali hanno come protagonisti i suoni della lingua. Dal continuum delle possibilità sonore della lingua, il bambino, sin da piccolo, comincia a selezionare i suoni funzionali nella propria lingua materna, senza però escludere tutti gli altri. Tutti i bambini normali attraversano una sequenza evolutiva fissa nell’acquisizione della lingua parlata. Il primo grado di questa sequenza è il balbettio, caratterizzato dalla produzione di una serie relativamente ricca di suoni differenti; ed è a questo livello che il bambino comincia ad acquistare i modelli prosodici della sua lingua nativa. Peraltro sembra chiaro che il bambino, alla nascita, è fisiologicamente adatto alla vocalizzazione ed è geneticamente predisposto a provare, per dir così, un’ampia gamma di suoni linguistici e di conseguenza a sviluppare e raffinare il controllo dei modelli sonori della lingua che ode intorno a sé1[...].
Ma il bambino che gioca con i suoni scopre via via che la lingua possiede ritmo, cadenza, assonanza, rima, e che anche con questi elementi sovrasegmentali è
Lyons, 1980, vol.I, p.93-4 36 1
possibile giocare. La lingua assume quasi, per i bambini, le caratteristiche della musica, ma offre anche un divertimento di natura particolare. Nell’età in cui il bambino impara a padroneggiare il vocabolario della sua lingua materna, egli prova un gusto evidente a “sperimentare giocando” con questo materiale [...]: accosta le parole senza badare al senso, pur di ottenere l'effetto piacevole dato dal ritmo o dalla rima. A poco a poco gli vien tolto questo divertimento, e alla fine non gli sono più consentite che le combinazioni verbali dotate di senso. Ancor più tardi, emerge lo sforzo di affrancarsi dalle limitazioni apprese sull'uso delle parole, storpiandole mediante determinati suffissi o deformandole con particolari artifici [...] o addirittura foggiandosi un linguaggio suo proprio che usa con i compagni di giuochi2[...].
L’attenzione per il suono della lingua più che per il suo significato si ritrova in testi come le filastrocche, le nursery rhymes, le counting rhymes, gli indovinelli — testi che nascono o sono recitati dai bambini. Il motivo è facile da rintracciare nell’atteggiamento che i bambini hanno verso i suoni della lingua materna che stanno acquisendo: giocare con i suoni è il modo migliore di iniziare ad apprendere una lingua. 2
Freud, 1905, p.112 37
Quando i bambini, che hanno imparato a giocare con i suoni della loro lingua, entrano in contatto anche con i segni grafici, scoprono che si può giocare anche con le lettere. La non corrispondenza tra grafemi e fonemi è motivata dall’economia linguistica ed ha anche ragioni storiche di evoluzione delle lingue. La scrittura tende infatti a cristallizzarsi in forme stabili mentre la lingua orale si evolve in modo più rapido. Visto che le forme grafiche e quelle foniche delle parole differiscono notevolmente (soprattutto in lingue come l’inglese), i parlanti tendono a stabilire delle connessioni tra i significati sulla base della pronuncia (cioè dei significanti sonori). On one hand humor can arise when difference is perceived between universes thought to be compatible. On the other hand, humor can result from similarity perceived between universes thought to be disparate. Puns, for example, are symptomatic of the first type of contradiction. While there is sameness on the aural level there is a splitting into difference on the semantic level3.
I giochi si realizzano principalmente nella lingua orale, e solo occasionalmente nella lingua scritta, sebbene esistano analogie tra i giochi di ambiguità fonica, per così dire, e quelli in cui l’ambiguità viene espressa mediante Stewart, 1989, p.38 38 3
segni grafici. Sull’identità fonica delle parole, a fronte di una differenza nella forma grafica e nel significato, sono basati i rebus e le forme di scrittura, interpretabili solo se letti ad alta voce; un esempio in inglese è dato dal seguente cartello situato all'interno di una piscina (pool): [E1]
THIS IS A OOL (“this is a pool without pee”) 4
in cui il gioco si fonda sull’identità di pronunzia tra il nome del grafema /pi:/ e la parola pee. Le lettere dell’alfabeto e le cifre offrono in inglese, con la pronunzia del loro nome, numerose opportunità a chi voglia giocare con esse5: [E2]
YY U R
Too wise you are
YYUB
Too wise you be
ICUR
I see you are
YY 4 me
Too wise for me6
“Questa è una piscina senza pipì”. Esempio tratto da Speak Up, dicembre 1994 Inutile dire che i procedimenti di cui stiamo parlando sono stati sfruttati dalla stampa e dalla pubblicità, tanto da passare ormai quasi inosservati. Secondo Poole (1969), adesso i giochi di parole non hanno più, almeno in Inghilterra, la stessa valenza liberatoria che avevano nel secolo scorso, perché adesso sono “la norma del linguaggio propagandistico sia industriale che militare” (p.143). Poole sostiene che ciò che è avvenuto in campo sessuale ( “lo strappo alle regole” che diviene regola esso stesso), è avvenuto anche in campo linguistico: “l’informale linguistico si è elevato ormai al livello di sistema, il sistema della permissività repressiva” (p.143). 6 Esempio tratto da Crystal, 1994, p.65 39 4 5
I meccanismi che presiedono alla formazione dei giochi di parole sono insiti nel linguaggio: “[...] language seems to contain hidden traps at all levels of linguistic analysis, so that a transposed sound or syllable or a misplaced preposition can potentially cause havoc to the general meaning of an utterance. Such havoc provokes laughter.”7.
Queste “trappole” tese dalla lingua provocano errori involontari nei parlanti, e il riso negli ascoltatori: proprio come si ride quando si vede cadere qualcuno, gli scivoloni della lingua (slips of the tongue) sono irresistibili per chi li ascolta. La lingua inglese si presta particolarmente ad un certo tipo di “trappole”, situate tutte nei suoni della lingua. A fronte di suoni vicini o identici, il significato può variare in maniera consistente. Al gioco sui suoni si somma il gioco sulle lettere. Sono dunque i caratteri interni delle lingue a consentire, oltre alle normali funzioni comunicative, i giochi verbali.
Chiaro, 1992, p.17 40 1
II.2 I caratteri delle lingue. Arbitrarietà e indeterminatezza Chi ha esperienza di più di una lingua si rende conto, anche solo a livello intuitivo, che le lingue, come avvertiva Saussure8, non sono nomenclature, cioè liste di termini corrispondenti ad altrettante cose. Consideriamo invece le lingue come sistemi di segni, ove per segno s’intende il rapporto esistente tra significante e significato9, a sua volta determinato dai rapporti tra un segno e gli altri all’interno dello stesso sistema. Il rapporto tra significante e significato è arbitrario, così come i rapporti tra un segno e gli altri: ciò è testimoniato dalla differenza tra le lingue e dall’esistenza stessa di lingue differenti10. L’organizzazione dei segni delle lingue in sistemi implica la discretizzazione del continuum fonico e semantico. Ogni lingua, in virtù dell’arbitrarietà semiotica formale11, delimita dunque arbitrariamente i confini all’interno del continuum dei suoni e dei sensi e associa arbitrariamente i significati ai significanti che li esprimono, in funzione dei bisogni specifici della comunità di parlanti la lingua stessa. L’arbitrarietà, intesa come assenza di motivazione nel legame tra significato e significante, non vuol dire assoluta libertà: infatti perché la lingua possa essere usata
Cfr. Saussure, 1974, p.83. op.cit., p.85. 10 op. cit., p.86. 11 Cfr. De Mauro, 1995, p.11. 8 9
41
dai parlanti bisogna che mantenga stabili i rapporti all’interno e all’esterno del segno, in modo da essere trasmessa da una generazione all’altra. Allo stesso tempo, questi rapporti possono essere alterati: ciò accade in modo a volte impercettibile agli utenti della lingua stessa12. La ragione di questo aspetto mutevole delle lingue è da ricercare nei bisogni espressivi dei parlanti, che possono venire soddisfatti in modo economico ricorrendo alla creatività insita nel sistema linguistico. La mutevolezza delle lingue si manifesta sia nel versante del significato che in quello del significante, ed è maggiormente apprezzabile assumendo un punto di vista diacronico nell’analisi linguistica. Confrontiamo ad esempio il segno tempo nel sistema linguistico italiano e i suoi corrispettivi nel sistema inglese: Tabella II.1 - tempo
Italiano
Inglese time
tempo
weather tense
Come si nota, l’italiano ha preferito convogliare nel solo significante tempo i sensi che invece l’inglese ha distribuito tra i tre segni time, weather e tense. Questo è un Cfr. Saussure, 1974, pp.89-97. 42 12
caso in cui la polisemia di un segno in un dato sistema linguistico non trova corrispondenza in un altro sistema. Conseguenza
diretta
dell’arbitrarietà
e
della
creatività
è
dunque
l’indeterminatezza. Essa, secondo la definizione di De Mauro, ci consente di “usare le parole estendendone i significati in modo da abbracciare nuovi sensi, in modo cioè da riferirci a cose e a situazioni nuove13”. Appare chiaro che queste caratteristiche sono potenzialmente distruttive nei confronti del sistema linguistico, perché non sembrano consentire la comunicazione tra gli utenti della lingua. La comunicazione viene però messa in salvo da altre caratteristiche della lingua, in particolare l’autonimia e la riflessività, caratteristiche proprie solo del linguaggio umano e che consentono ai parlanti di definire e chiarire i propri messaggi. Quanto appena detto vale però a determinate condizioni:
1. che il sistema linguistico usato dai parlanti sia strutturato alla stessa maniera (il sistema linguistico di chi conosce trentamila parole di una lingua non può avere la stessa struttura di chi ne conosce ottantamila) ovvero che i parlanti abbiano la stessa competenza linguistica14;
13 14
Cfr. De Mauro, 1994, p.83. op.cit., pp.81-2. 43
2. che i parlanti vogliano comunicare e quindi siano disposti a superare gli ostacoli che si presentano;
3. che tutti i partecipanti alla comunicazione possano essere a conoscenza del contesto (pragmatico) e del cotesto (testuale) all’interno dei quali avviene la comunicazione. In sostanza, la comunicazione è frutto di un compromesso tra i parlanti, i quali rinunciano a stabilire individualmente legami segnici arbitrari, o, se creano nuovi legami, sono pronti a spiegarli e a inserirli all’interno del sistema linguistico dato. Più che la competenza, sembra opportuno sottolineare che è la buona volontà dei parlanti a determinare la riuscita della comunicazione15. Indeterminatezza ed arbitrarietà costituiscono le basi per polisemia, omonimia (e quindi di omofonia e omografia), paronimia e paronomasia, meccanismi che consentono la creazione dei giochi di parole. Ciò che accomuna queste categorie è l’unicità, l’identità o la similarità sul piano del significante a fronte di differenze più o meno marcate sul piano del significato.
De Mauro ha suggestivamente rappresentato la comunicazione come un ponte gettato tra produttore e ricevente sul “fiume abissale dell’incomprensione” (cfr. De Mauro, 1995, p.175, Figura 4). 44 15
II.3 La lingua in gioco
II.3.1 Ambiguità e polisemia I sensi di un segno linguistico sono tanti e diversi ogni volta che i singoli parlanti ne fanno uso: ogni atto di parole, per dirla con Saussure, conferisce alle parole un senso di volta in volta unico e irripetibile. La variazione individuale data dall’atto di parole è però cosa diversa dalla polisemia. Quest’ultima infatti non è individualmente determinata, ma viene accettata, codificata e trasmessa per accordo di tutta la comunità dei parlanti. La polisemia (cioè “molteplicità di sensi”) è quella “caratteristica di una parola che ha più di un significato. I sensi di una parola polisemica hanno un denominatore comune, discendono tutti da un significato fondamentale16.” In realtà, dunque, si tratta di un segno che possiede un significante ed un significato, il quale viene impiegato in una pluralità di sensi più o meno ampia. È la correlazione tra i vari sensi che fanno capo allo stesso significante che differenzia la polisemia dall’omonimia. La distinzione sarà ripresa più diffusamente a proposito dell’omonimia. Abbiamo dunque questo schema: 16
Beccaria, 1995, p.562 45
Tabella II.2 - polisemia
Significante Significato Senso1
Senso2
Senson
I vari sensi (o accezioni) di una parola polisemica sono connessi tra loro da un legame di estensione metaforica: il significato originario viene esteso, per metafora o metonimia ad altri campi dell’esperienza17. Così il collo indica sia una parte del corpo umano che la parte stretta di una bottiglia. La parola classe18 ha diverse accezioni, accomunate tra loro dal concetto di insieme ordinato (secondo un criterio militare, scolastico, biologico, sociale, economico, a seconda delle accezioni). Questo procedimento, tra i più sfruttati nelle lingue, è utile perché consente di riferirsi a nuovi significati (realtà concrete o astratte) senza dover creare significanti nuovi19. cfr. De Mauro, 1995: “La trasferibilità progressiva dei confini del significato fino a includere nuovi sensi in base a contiguità che nascano o si cerchino è ciò che diciamo metaforicità.”(p.101) Sempre De Mauro (ivi, p.121) aggiunge: “la formazione di una nuova accezione nasce da un’operazione di trasporto della parola, di ‘metafora’, da un ambito a un altro ambito, socialmente e culturalmente differenziate.” 18 L'esempio è tratto da De Mauro, 1995, pp.121-123 19 Beccaria, 1995 p.562: “La p[olisemia] è frutto dello sviluppo nel tempo di una cultura e della lingua che la esprime: infatti quando una comunità linguistica ha bisogno di nuovi segni linguistici per nominare nuovi concetti, raramente crea segni totalmente nuovi anche sul piano del significante, più spesso invece, seguendo la legge dell’economia, del minimo sforzo, aggiunge nuovi significati a 46 17
L’estensione metaforica che presiede alla polisemia è perciò strettamente legata a motivi culturali, storicamente e socialmente determinati. Non solo, come vedremo, spesso non vi è esatta corrispondenza tra parole polisemiche in due sistemi linguistici diversi, ma nella stessa lingua può accadere che una parola perda o acquisti delle accezioni nel tempo e in determinate classi sociali20. L’ambiguità semantica che deriva dalla polisemia è, per certi versi, un ostacolo facilmente aggirabile, grazie a fattori come il contesto inteso sia in senso pragmatico che testuale, la buona volontà e la competenza dei parlanti, che spinge ad esempio a riformulare l’enunciato in maniera meno ambigua21. Certe volte, però, accade che il contesto, la buona volontà e/o la competenza dei parlanti vengano meno. È il nostro caso: che si tratti di errore involontario o di gioco di parole volontario, il termine polisemico attira su di se l’attenzione dell’ascoltatore e rimanda, con un gioco di immagini, a diversi sensi possibili, a diversi scenari. Altre volte, la polisemia, con il suo potere evocativo di più immagini
significanti preesistenti con procedimenti metonimici e metaforici [...]. Le parole più frequenti di ciascuna lingua sono anche le più polisemiche, sempre a causa della legge del minimo sforzo.” 20 De Mauro, 1995, p.102: “Un codice semiologico i cui significati siano caratterizzati da metaforicità non è dunque descrivibile se non in stretta connessione con le usanze e le credenze vigenti in un certo tempo tra gli utenti, tra i concreti gruppi di utenti. [. . .] la vaghezza del significato delle parole fa sì che il significato non sia soddisfacentemente descritto nelle sue possibilità di estensione a sensi se non in rapporto a utenti dati in un tempo dato.” 21 Beccaria, 1995, p.562: “La p[olisemia] è un fenomeno che si riscontra solo sul piano del sistema linguistico, della langue [...], sul piano del comportamento linguistico, della parole, il contesto porta all’enucleamento di uno solo dei significati di una parola, salvo nei casi, piuttosto rari, di ambiguità.” 47
contemporaneamente, viene invece usata “seriamente”, a fini poetici: in questo caso non si tratta di scelta infelice, ma felicissima. Le scelte lessicali (involontariamente) infelici sono il corrispondente dei giochi di parole (volontari) di polisemia. Spesso chi formula una frase contenente una parola ambigua se ne rende conto solo quando il suo interlocutore o uno degli ascoltatori lo fa notare esasperando l’ambiguità: ciò accade ad esempio quando il parlante usa un verbo comune, come sentire, non nel suo senso primario, ma in uno dei suoi sensi secondari. Si può assistere ad uno scambio del genere: [E3]
A: “Lo senti quest’odore?” B: “No, sono sordo.”
L’ambiguità data dalla polisemia difficilmente rimane tale, ma viene sfruttata, come in questo caso, dall’ascoltatore pronto a cogliere il minimo fallo del parlante per poterne ridere. Il parlante B si rifiuta di collaborare alla decifrazione del messaggio (viene a mancare quindi la buona volontà del parlante, che in questo caso avrebbe potuto riconoscere il senso appropriato al contesto in cui è stata espressa la frase) e la sua attenzione viene attratta dal termine polisemico. L’inconveniente sta nel fatto che, spostando l’accento sul significante, il contenuto del messaggio viene messo da parte. Implicitamente, il parlante B ha ricordato al parlante A che, se vuole essere correttamente compreso (o preso sul serio), deve esprimersi in modo meno 48
ambiguo. Che questo avvenga in maniera spiritosa e divertente è normale, perché è un modo di sdrammatizzare l'accaduto. Da questo tipo di scambi verbali al gioco di parole, il passo è breve. Altre volte, invece, il parlante costruisce volontariamente frasi difficilmente disambiguabili perché prive di contesto. È il caso di: [E4] “Il professore disse che l’operazione non era riuscita”
in cui sia professore sia operazione sono polisemici. A partire da questa frase possiamo immaginare: Tabella II.3 - esempio [E4]
Il professore disse che l’operazione non era riuscita. Contesto scolastico
Contesto chirurgico
Il professore (di matematica) disse che Il professore (cioè il chirurgo) disse che l’operazione (aritmetica) non era riuscita l’operazione (chirurgica) non era riuscita (e (era sbagliata).
il paziente era morto).
Come si può notare, le immagini evocate dalla frase ambigua sono fortemente contrastanti. Quest’associazione di idee contrastanti, provocata dall’identità dei significanti, induce chi ascolta a riflettere sulla precarietà delle parole e sugli inganni 49
che essa può provocare. L’effetto primario è il sorriso (la frase è citata qui a mo’ d’esempio, non come battuta o gioco di parole), ma quello secondario è lo stimolo alla riflessione sulla lingua. Abbiamo visto che per rendere non ambigua la polisemia nella maggior parte dei casi è necessario conoscere il contesto, per poter attribuire il senso più appropriato al contesto in cui è espresso. Nei giochi di parole basati su polisemia, i contesti vengono sovrapposti, e dunque anche i sensi espressi dal significante vengono sovrapposti: [E5]
Una nave da crociera italiana si è arenata lungo le coste della Grecia. Un
commentatore radiofonico, ricordando anche un fatto analogo successo ad un incrociatore italiano qualche mese prima, dice: “Noi italiani facciamo arenare tutto: si arenano le navi da crociera, si arenano gli incrociatori, si arenano le pratiche negli uffici. . .”
Nell’esempio citato sopra, il gioco è basato sulla polisemia di arenare, inteso dapprima nel senso primario e infine nel senso metaforico (lo stesso gioco si sarebbe potuto fare con insabbiare). I giochi di parole basati su polisemia tendono il più delle volte ad interpretare metaforicamente un’espressione letterale o viceversa, ignorando deliberatamente il contesto in cui l’espressione è stata enunciata; in tal modo si provoca quello che 50
Susan Stewart ha definito “the clash of two levels of abstraction22”. Ciò avviene soprattutto per le “metafore morte23”, che entrano a far parte del linguaggio di tutti i giorni e hanno perso quella vitalità che possedevano all’inizio. Se la poesia si assume il compito, per così dire, di creare nuove metafore, ai giochi di parole (ed in particolare il genere letterario che più di tutti ne ha fatto uso, cioè il nonsense) spetta l'onere di risvegliare le metafore morte dal sonno del common sense. Si tratta di un atteggiamento che ancora una volta si può riscontrare nei bambini che imparano nuovi sensi di parole a loro già note24 e giocano “a immaginare se...”. Ne è un esempio questa filastrocca (tratta da una poesia di Gianni Rodari25) che viene cantata accompagnandola con le mosse adeguate:
“lo scontro di due livelli di astrazione” Stewart, 1989, p.37 Stewart, 1989, p.34: “These metaphors are no longer [...] “fresh cuts” across semantic domains; rather they serve as “short cuts” in social interaction. Dead metaphors become part of the stock of knowledge at hand, the same stock of knowledge that is the necessary precondition for the construction of successful metaphors and for the detection of tautology and banality, irony, sarcasm, and parody.” (“Queste metafore non sono più [...] “tagli freschi” attraverso i campi semantici; al contrario, servono come “scorciatoie” nell’interazione sociale. Le metafore morte divengono parte del bagaglio di conoscenze a portata di mano, lo stesso bagaglio di conoscenze che è il prerequisito fondamentale per la costruzione di metafore riuscite e per la scoperta di tautologie e di banalità, ironia sarcasmo e parodia.”) 24 Cfr. Lyons, 1977, vol.II, p.566: “[...] the ability to extend the sense and denotation of lexemes by a process of metaphorical transfer is an integral part of every speaker’s linguistic competence and is demonstrably involved in the child’s acquisition of his language [...].” (“la capacità di estendere il senso e la denotazione dei lessemi tramite un processo di spostamento metaforico è parte integrante della competenza linguistica di ogni parlante ed è provato che essa sia coinvolta nell’acquisizione della lingua da parte del bambino [...]”. ) 25 “La testa del chiodo”, da La famiglia Punto-e-virgola, in G.Rodari, I cinque libri, Einaudi, 1993, p.19 51 22 23
[E6]
Il palmo della mano / i datteri non fa, / sulla pianta del piede / chi si arrampicherà? // Non porta scarpe il tavolo/a quattro piedi sta:/ Il treno non scodinzola/ma la coda ce l’ha. // Anche il chiodo ha una testa/però non ci ragiona: / la stessa cosa càpita/a più d’una persona
A parte palmo, che rimanda al presunto corrispondente femminile palma26, per gli altri termini che sono evidenziati in grassetto27 si può parlare di polisemia: il meccanismo della filastrocca è giocato proprio sulla contemporanea presenza dei sensi dei termini polisemici in due contesti diversi. I partecipanti al gioco (cioè, in questo caso, i bambini che cantano e mimano la filastrocca) stanno in realtà giocando a fare finta che veramente il chiodo abbia una testa, salvo poi dire che però non ci ragiona, il che non stupisce più di tanto, perché la stessa cosa capita a più di una persona. L’interpretazione letterale della metafora ha quindi due effetti: il primo è letale (per la metafora stessa), perché ne svela la finzione28; il secondo è, come detto sopra,
26 Si tratta di un meccanismo molto produttivo in italiano, con coppie come foglio/foglia, tasso/tassa, e anche con omonimi che cambiano genere grammaticale (il capitale/la capitale). In inglese un meccanismo del genere non ha modo di esistere, perché il genere viene espresso lessicalmente, non con marche morfologiche come in italiano. 27 Per quanto riguarda pianta tuttavia, probabilmente si tratta di omonimia: il Devoto-Oli riporta due entrate differenti, ma l’etimologia indica una radice comune. 28 Cfr. Stewart, 1989, p.34: “The way to “kill” a metaphor is to interpret it literally, to incorporate it into the stock of nonmetaphorical utterances and thus to substitute an everyday set of interpretive procedures for a metaphor-specific set of interpretive procedure” 52
vivificante, perché restituisce all’espressione metaforica (o al senso traslato di un termine polisemico) il suo senso primario, che diventa dunque un senso nuovo. Le immagini convocate da un termine polisemico sono a volte così singolarmente ben assortite che suggeriscono la creazione di interi brani basati sulla doppia interpretazione. Se pensiamo che in inglese il quadrante dell’orologio si chiama face (= “volto”) e che le lancette si chiamano hands (= “mani”), è facile immaginare una storiella il cui protagonista è un orologio personificato (il che è facilmente verificabile dalle illustrazioni per l'infanzia, che spesso ritraggono orologi con il volto, face, e le mani, hands29).
II.3.2 Omonimia e omofonia Nel caso della polisemia, i diversi sensi (le diverse accezioni) dello stesso significante sono correlati tra loro attraverso il procedimento dell’estensione metaforica.
29 Un’illustrazione del genere, ad opera di John Tenniel, si può trovare in Through the Looksing-Glass (AA,p.185), in cui però compare solo il volto dell’orologio visto da dietro lo specchio. 53
L’identità di significante di cui ci occuperemo ora, l’omonimia, presenta una differenza di fondo con la polisemia: i significati espressi dallo stesso significante sono del tutto estranei l’uno all’altro30. Tabella II.4 – omonimia31
Significante
=
Significante
=
Significante
Significato1
≠
Significato2
≠
Significaton
L’omonimia può essere piena, quando i significanti risultano formalmente identici sia nella grafia (omografia) che nel suono (omofonia). Questo è il caso più comune in lingue in cui c’è sempre esatta corrispondenza tra grafia e pronuncia, come in italiano32. Le motivazioni per cui i significanti che esprimono significati totalmente estranei tra loro risultano identici sono di ordine etimologico: si può trattare di termini derivanti da termini polisemici, che però hanno perso, per i parlanti di quella O come tali vengono percepiti dai parlanti. Ad esempio, i diversi significati di macchia in italiano sono o no correlati? Dal punto di vista etimologico, sicuramente sì, ma i parlanti di oggi probabilmente non vedono il collegamento. (L’esempio proviene da Beccaria, 1995, p.562) 31 Nel caso dell’omofonia, per “significante” è da intendersi “significante fonico”. 32 Lyons, 1977 vol.II, p.557: “Two word-tokens are formally identical in the phonic medium if they have the same phonological representation. They are formally identical in the graphic medium if they have the same orthographic representation. In languages that are conventionally written with an alphabetic or syllabic orthography, both kinds of formal identity generally coincide. But they are in principle completely independent of one another [...]” 54 30
data lingua in quel momento storico particolare, ogni relazione tra loro. È il caso di calcolo, inteso come “sassolino” (ma si noti, in un’accezione più ristretta che per il latino calculus) e come “operazione matematica”: solo chi conosce l’etimologia di calcolo in questa seconda accezione può comprendere la connessione tra i due significati. Vi è il caso di termini che derivano da omonimi: è il caso di calcio inteso come “percossa inferta col piede” (che deriva, con un processo di metonimia, dal latino calx calcis, “tallone”) e di calcio inteso come sostanza chimica (dal latino calx calcis, “calce33”, che a sua volta deriva probabilmente dal greco khàliks).
In altri casi, invece, si tratta di prestiti da lingue diverse o il risultato di convergenza fonetica (ratto “rapido” dal latino rapidus vs. ratto “rapimento” dal latino raptus vs. ratto “topo” dal germanico rato; atto, “adatto” dal latino aptus vs. atto, “azione” dal latino actus). Alcuni linguisti34 parlano di omonimia assoluta nel caso che i due omonimi facciano parte della stessa classe grammaticale: quindi in inglese drink inteso come “bibita” e (to) drink inteso come voce verbale, o can “lattina” e can forma base del verbo “potere” sono omonimi non assoluti, mentre in italiano accettare “tagliare con
Ma attenzione! Nella locuzione avverbiale in calce, quest’ultimo termine è omonimo di calce, in quanto nella locuzione calce deriva da calx calcis nel senso di “tallone” (come a dire, “a pie’ di pagina”). 34 Lyons, 1977, vol.II, p.560; Beccaria, 1995, p.522-3 parla in questo caso di omonimia grammaticale. 55 33
l’accetta” e accettare “accogliere” (dal latino accipio) sono omonimi assoluti35, mentre accetta (“strumento per tagliare”) e accetta (voce del verbo accettare) non lo sono, così come affettato nel senso di “salume tagliato a fette” (sostantivo maschile derivante dal participio passato di affettare, che deriva da fetta) e affettato nel senso di “ricercato, artificioso” (aggettivo derivante dal participio passato di affettare, dal latino affectare). Come si è detto, oltre agli omonimi, aventi significante identico sia nella forma scritta che nella forma fonica, vi sono, soprattutto in lingue dove non c’è esatta corrispondenza tra grafia e pronuncia, omografi ed omofoni. In inglese la presenza di omofoni è incredibilmente vasta, tanto che nelle grammatiche36 vengono inseriti elenchi di termini omofoni. Alcune pronunzie corrispondono anche a più di due significati: ad esempio site, sight e (to) site si pronunziano sempre /sait/. Anche in francese la presenza di omofoni è notevole37: tant, tan, temps, (je) tends si pronunziano sempre /tã/. In italiano la sola omofonia o la sola omografia sono meno presenti. Spesso l’omografia è dovuta a ragioni di imperfezione del sistema grafematico italiano38 che non permette di distinguere (se non tramite l’uso dell’accento, nel caso delle vocali) Se si considera semplificato il sistema vocalico italiano. Vedi oltre. Ad esempio la grammatica di Sidney Greenbaum (An Introduction To English Grammar, Longman, 1991) riporta alle pagine 202-206 un lungo elenco di parole omofone o con pronunzia molto simile (delle quali si parlerà nell’analisi della paronomasia). 37 Gli esempi sono citati in Dardano, 1993, p.302 38 Cfr. Dardano, 1993, p.302 56 35 36
tra chiuse e aperte (pesca “l’atto di pescare” /'peska/ e pesca “frutto” /'pɛska/) e tra i fonemi /s/-/z e /ts:/-/dz:/ fuso, /'fuzo/ participio passato di fondere e fuso, /'fuso/ “arnese per filare”; razza /'rats:a/ “stirpe” e razza /'radz:a/ “pesce”). L'omofonia è meno presente a livello di parola (cieco/ceco, ha/a, fa’/fa, dà/da) ma alcune espressioni risultano omofone di altri termini: s’ignora/signora, ad esempio. Anche per quanto riguarda i giochi di parole basati sull’omonimia si possono rintracciare delle analogie con gli errori involontari: [E7]
In his search for economic and military aid, Anwar Sadat has not exactly been greeted by open arms.(CBS News Report, June 1975)39
In questa frase pronunciata da un cronista della CBS, il termine arms40, che evidentemente indica “braccia” nella locuzione “a braccia aperte”, inevitabilmente viene associato, da chi ascolta (ed è predisposto allo humour) a military aid e quindi può essere inteso come “armi”. È facile intuire come si possa passare dall’errore involontario del parlante alla battuta volontaria. Generalmente un passo intermedio è dato dagli errori riportati, che proprio perché sono riportati sono esenti da garanzia di veridicità e possono Esempio tratto da Chiaro, 1992, p.20 Secondo Delia Chiaro, si tratta di un termine polisemico, ma come si può ricavare dall’OED, arms inteso come “braccia” e inteso come “armi” non hanno la stessa etimologia, quindi in ogni caso non possono essere polisemici. 57
39 40
essere manipolati nel modo più efficace per ottenere il riso. Si noti come la differenza tra l’errore involontario e il gioco volontario sta nel fatto che il meccanismo che presiede al gioco di parole sia colto dagli ascoltatori (nel primo caso) o sia ricercato dal parlante (nel secondo caso). Qui di seguito si danno degli esempi di battute che funzionano inizialmente come errori riportati, ma che man mano hanno assunto lo status di battute indipendenti. Si noti come le battute siano incorniciate in modo da mettere in evidenza il fatto che si tratta di frasi pronunciate da altri. [E8]
Questa scritta compare fuori dalla bottega di un falegname: SI FANNO SEDIE E SI RIPARANO ANCHE
[E9]
Marinaio: “Capitano! Arrivano i monsoni!” Capitano: “Preparatevi all’attacco!” Marinaio: “Ma, capitano! Sono venti!” Capitano: “Anche se fossero cinquanta, li batteremo!41”
Si consideri ad esempio questo gioco verbale, proposto ai partecipanti quasi come un rompicapo, un arzigogolo. Chi propone il gioco spiega che si tratta di Dossena [1997, p.203] riporta un analogo scambio di battute come barzelletta risalente ai tempi della guerra d'Abissinia, con protagonisti Mussolini (nel ruolo del Capitano) e il Maresciallo Graziani (in quello del Marinaio). 58 41
trovare una frase italiana composta da una parola ripetuta tre volte la quale possa corrispondere alla seguente definizione: Saggio monarca cura un certo numero di altri monarchi. Il termine italiano che fornisce la chiave del gioco è dottore, infatti ripetendolo tre volte si ottiene: Dotto re dottor è d’otto re42. Come si vede, si tratta di una specie di rebus fatto di parole, del tutto intraducibile, possibile solo in lingua italiana e basato su omofonia. Il teatro inglese può vantare un’intera commedia, scritta da Oscar Wilde, basata su un gioco di parole di omofonia con un nome proprio: si tratta di The Importance of Being Earnest (sbrigativamente reso in italiano con “L'importanza di chiamarsi Ernesto”), giocato sull’identità di significante sonoro tra il nome maschile Ernest e l’aggettivo earnest, che significa “serio43”. Anche nel caso dell’omonimia, siamo dunque di fronte a due serie di immagini sovrapposte, suscitate da due significanti identici cui corrispondono significati totalmente differenti.
Questo gioco mi è stato proposto dall’amico Giuseppe Mannino. Cfr. OED: earnest: “Serious, as opposed to trifling; usually in emphatic sense, intensely serious, gravely impassioned, in any purpose, feeling, conviction, or action; sincerely zealous” (“Serio, in opposizione a frivolo; di solito in senso enfatico, intensamente serio, profondamente appassionato, in ogni scopo, sentimento, convinzione o azione; sinceramente premuroso.”) 59
42 43
II.3.3 Paronimia e paronomasia Il fatto che piccole differenze nel significante determinino grandi differenze nel significato è implicito nella costituzione stessa delle lingue in sistemi. L'operazione di discretizzazione del continuum del significante determina non solo i significati che possono essere espressi dallo stesso significante, ma anche i confini esistenti tra un significante e l’altro. Se da un lato queste piccole differenze sono utili all’economia della lingua, che in tal modo può esprimere significati diversi44, esse sono anche causa di errori, di incomprensioni (soprattutto se il canale attraverso il quale passa il messaggio è disturbato), di nascita di nuovi termini, di giochi di parole. È importante notare che questo tipo di giochi funziona principalmente nella lingua orale; precisazione dovuta, specialmente nel caso della lingua inglese, in cui non si tiene conto del significante nella sua forma grafica, ma nella sua forma fonetica. Può capitare che, per cause accidentali, si pronunci una parola per un’altra: ciò apre tre possibilità. Una di esse si verifica normalmente in tutte le lingue ed è nota con il temine di paretimologia o etimologia popolare: questo fenomeno si verifica quando i parlanti (non colti) assimilano prestiti o parole nuove a parole già note, Cfr. Lyons, 1980, vol.l, p.83: “[...] la discretezza non dipende dall’arbitrarietà; ma interagisce con essa per aumentare la flessibilità semiotica del sistema. Due forme di parola possono differire minimamente (cioè per un solo elemento discreto) e possono essere forme di lessemi niente affatto simili nel significato [...]”. 60 44
appoggiandosi su un presunto legame etimologico. Questo legame in realtà è sonoro, più che etimologico; un esempio piuttosto indicativo è dato dalla storia del nome inglese di una specie commestibile di girasole: sono i Jerusalem artichokes, i quali si chiamano così non perché originari di Gerusalemme, ma perché Jerusalem assomiglia, nel suono, a girasole45. In italiano un classico esempio di paretimologia è dato dalla storia della parola liquirizia46. Un altro effetto della paronimia, cioè di uno scambio accidentale di una piccola unità sonora nella pronunzia di una parola, si riscontra comunemente nei parlanti incolti, nei bambini o nelle persone che parlano di un argomento del quale non sono esperte, ed è stato chiamato con termine inglese malapropism, dal nome di un personaggio di una commedia di Sheridan47 che era una campionessa in errori del genere. Un vasto campionario si può trovare da qualche tempo in quelle raccolte chiamate stupidari, che raccolgono ‘perle’ come queste: [E10]
D’annunzio era un estetista [per esteta]
[E11]
“Dottore, mi dà un rimedio contro l’IRPEF?” [per herpes]
Per l’etimologia di Jemsalem artichokes, cfr. Lecercle, 1994, p.42. Liquirizia deriva dal termine greco glykys riza, “radice dolce”, che in latino divenne glycyrriza ma che poi, in epoca tarda, fu assimilata a liquor (“sostanza liquida”) e diventò liquiritia. Nell’italiano del Cinquecento la liquirizia convive con la variante popolare toscana regolizia, e con la forma “dotta” legorizia. Tuttora esistono numerose varianti regionali, come ad esempio sug ed Lucrezia, nel dialetto emiliano, e le gorizie in veneto. (Cfr. Zolli, 1989, p.l46-7) 47 Il personaggio di Mrs. Malaprop in The Rivals. 61 45 46
[E12]
le punture indovinose, i dolori aromatici, le vene vanitose [per endovenose, reumatici, varicose]48
[E13]
avere il dono dell’obliquità, essere colto in fragranza di reato [per ubiquità, flagranza]
Il meccanismo è sempre quello della tendenza all’assimilazione del già noto, ma ha come effetto una sovrapposizione di sensi e di immagini in modo analogo a quanto già visto per la polisemia e l’omonimia. Lo stesso può accadere nei lapsus o nei refusi di stampa, per disattenzione o, come spiega Freud nel Saggio sul motto di spirito e le sue relazioni con l’inconscio, per associazione inconscia di idee favorite dalla vicinanza del suono. È frequente il caso, soprattutto nei bambini, della metatesi49, di una parola in cui due fonemi o due sillabe cambiano di posto, dando origine, nel testo, a parole il più delle volte inesistenti o lontane nel significato, ad esempio cassonetto per cassettone, saldavanaio per salvadanaio, pantolofine per pantofoline.
Gli esempi E12 e E13 sono tratti da Zolli, 1989, p.l45 La metatesi “designa il fenomeno, assai comune in tutte le lingue [...] di scambio di posizione tra due fonemi contigui [...] o distanziati [...]. Il fenomeno può anche riguardare non già lo scambio ma il semplice spostamento di un fonema, come nei tipi dialettali preta per ‘pietra’ o crapa per ‘capra’. In lingue che distinguono due serie di vocali, brevi e lunghe, può anche avvenire una [metatesi] quantitativa” (Beccaria, 1996, p.473). 62 48 49
Un fenomeno per certi versi simile, noto in inglese con il nome di spoonerism50, provoca un’amplificazione dell’effetto dato dalla semplice paronimia, perché le immagini contrastanti evocate sono almeno quattro. Alcune volte le parole effettivamente pronunciate non significano nulla, ma potrebbero esistere in quella lingua. In italiano fenomeni del genere si verificano sia a livello di singolo fonema che, più spesso, a livello sillabico. Esempi tipici sono dati da coppie come Rometta e Giulieo, o Carletto e Maomagno, o frasi come la pista per fare la pazza51. Nella lingua inglese, in cui la quantità vocalica ha un’importanza pari a quella del raddoppiamento consonantico in italiano, è facile, soprattutto per gli stranieri, pronunciare un termine per un altro52. Nella metatesi (detta anche spostamento in enigmistica) il termine corretto è assente, mentre nello spoonerismo (cambio in enigmistica) sono presenti i due termini scorretti, confrontando i quali si ottengono le parole corrette53. Cfr. Chiaro, 1992, p.l8: “One type of verbal slip which is common to all natural languages is technically known as the ‘distant metathesis’ or, more colloquially, the ‘Spoonerism’; this type of lapse is imitated in intentional word play and owes its name to an Oxford don, Dr Williarn Spooner, who allegedly sent down a student uttering, ‘You have deliberately tasted two worms and you can leave Oxford on the town drain’. What happened to the unfortunate Dr Spooner was that he transposed the sounds (in this particular example, /w/ and /t/, and /d/ and /t/) contained in two words within his intended utterance. Owing to the fact that the sentence still made some sort of surrealistic sense, despite the phonological confusion, the tradition of the Spoonerism soon became a traditional form of word play in its own right”. 51 Tratto da Bartezzaghi, 1995, p.65 52 In questo caso avviene una metatesi quantitativa.. 53 Si noti che in enigmistica, spesso sia la metatesi che lo spoonerismo vengono denominati anche scambio (cfr. Dossena, 1997, p.169). 63 50
Tra gli errori involontari, accade però di trovare degli esempi di metatesi o paronomasie che (nella loro ludicità) contengono delle mezze verità (nella loro lucidità), e che diventano perciò proverbiali: ecco ad esempio il caso di [E14]
Ogni riferimento a fatti, persone e cose è puramente casuato [per contrazione di casuale e causato]
in cui non si capisce bene (dal solo testo, s’intende) se il parlante abbia involontariamente sbagliato oppure stia facendo dell’ironia. Anche in questo caso, quando entra in causa l’intenzionalità, non si può parlare più di errore involontario, ma si tratta di gioco deliberatamente fatto sul suono di parole confinanti o vicine nel continuum del significante. Si prenda ad esempio il classico Traduttore traditore, citato da Freud nel suo studio sul motto di spirito e ormai divenuta una massima per i traduttori di tutto il mondo. Il messaggio è chiaro, ed in esso il contenuto ha la sua importanza. Ma è il significante che conferisce all’espressione quella forma particolare che cattura l’attenzione dell’ascoltatore e lo rende memorabile. È per questo che spesso nei proverbi e nei modi di dire si fa ricorso a figure retoriche come la paronomasia. Non è un caso che gli scioglilingua siano spesso composti di parole talmente vicine nel suono da indurre all’errore; ne è un esempio questo, che mira segretamente a far cadere il malcapitato facendogli pronunziare un’oscenità: 64
[E15]
Dietro a un palazzo c’era un povero cane pazzo: “Date un tozzo di pane a questo povero pazzo cane.”
Ma anche l’innocente “Sopra la panca la capra campa...” sfrutta lo stesso meccanismo. Non è un caso che gli scioglilingua vengano usati nella didattica delle lingue straniere per fare acquisire a chi apprende una certa scioltezza nella pronunzia. Si noti che i termini sui quali viene giocata la paronomasia costituiscono potenziali coppie minime. Sulla paronomasia e sulla metatesi sono basati diversi giochi enigmistici. Nell’enigmistica italiana, troviamo gli scambi (fondati sulla metatesi), gli scarti e le zeppe: questi meccanismi possono funzionare a livello consonantico, vocalico o sillabico54. Nell’enigmistica inglese è da segnalare, poiché ideato da Lewis Carroll, il gioco chiamato Doublets (tradotto comunemente come metagramma55 o doppietto56), consistente nel trasformare una parola in un’altra di uguale numero di lettere nel
54 Con questi termini verranno denominati, nel corso dell’analisi del corpus, alcuni procedimenti usati dai traduttori delle versioni che stiamo esaminando. 55 Cfr. Bartezzaghi, 1995, p.64 56 Cfr. Carroll, 1996b, p.l34 65
minor numero di passaggi cambiando una sola lettera per volta. Si ottengono in tal modo liste di paronimi. Ecco un esempio di Carroll57: [E16] H
E
A
D
H
e
a
l
T
e
a
l
T
e
l
l
T
a
l
l
T
A
I
L
II.4 I problemi della traduzione dei giochi di parole Come abbiamo detto, ogni lingua rende discreto i continua del significato e del significante in maniera arbitraria ed autonoma, organizzando i propri segni in sistemi58. Se mettiamo a confronto due sistemi linguistici, noteremo che non vi può essere corrispondenza tra le rispettive strutture semantiche. Questa arbitrarietà comporta sempre un certo grado di difficoltà nella traduzione da una lingua all’altra. Il diverso grado di difficoltà dipende da alcune 57 Tratto da Carroll, 1996b, p.l35: “Per esempio la parola «head» [«testa»] può essere trasformta in «tail» [«coda»] interponendo le parole «heal, teal, tell, tall» [«guarire, alzavola, dire, alto»]”. 58 Lo stesso avviene per tutte le dimensioni del segno. 66
variabili, tra le quali possiamo ricordare la competenza del traduttore (ciò è particolarmente vero per le traduzioni di tipo tecnico), la distanza (culturale, ideologica, ecc.) tra autore del testo e traduttore, la distanza tra le lingue e (quindi) tra le culture in gioco, le informazioni testuali ed extratestuali a disposizione del traduttore e del lettore, e — ultimo ma non in ordine d’importanza — il tipo di testo che dev’essere tradotto. Da quanto detto finora, possiamo dedurre che i testi in cui sono presenti ambiguità, polisemia, omonimia e paronomasia, sia per scopi prevalentemente poetici in senso stretto che per scopi dichiaratamente ludici, presentano, rispetto agli altri, maggiori difficoltà di traduzione. Le poesie, dunque, e i testi costruiti su giochi verbali sono accomunati dall’essere in un certo senso inevitabilmente condizionati e determinati dal sistema linguistico in cui sono prodotti. Dall’analisi dei meccanismi che sono alla base dei giochi linguistici risulta evidente che i procedimenti usati nei giochi verbali corrono sul filo dell’ambiguità del piano del significato così come del piano del significante: è proprio il modo in cui sono organizzati i significati di una data lingua e i rapporti con gli altri significati e significanti e la messa a confronto di immagini contrastanti, a provocare il riso. Se, come è vero, le immagini contrastanti sono evocate dai significanti identici o simili in una data lingua, mutando il sistema linguistico, e quindi anche i rapporti tra i significanti, le immagini contrastanti saranno altre, non coincidenti, in parte o in 67
tutto, con quelle della prima lingua Questo è uno dei principali problemi nella traduzione dei giochi di parole, così come dei testi poetici. Risulta dunque chiaro che, nel caso dei giochi di parole, la traduzione non può essere letterale, parola per parola. In questo caso, infatti, il traduttore non deve tenere conto soltanto del significato, ma anche del meccanismo che ha prodotto l’accostamento di significati contrastanti tramite affinità/identità di significante. La traduzione di un testo letterario pone di per sé problemi linguistici e culturali, che possono essere di maggiore o minore entità a seconda della distanza tra le lingue e le culture coinvolte nel processo traduttivo. Stabiliamo innanzitutto che la traduzione, intesa come processo traduttivo59, ha diverse finalità e funzioni, e che in base ad esse il traduttore deve operare delle scelte, condizionate dalla struttura grammaticale e semantica della lingua nonché dall’individualità del traduttore stesso. Il fattore individuale è di cruciale importanza, perché, se consideriamo, con Jakobson60, la traduzione come una sorta di discorso indiretto, è inevitabile che la personalità e lo stile del traduttore (e talvolta le sue convinzioni e i suoi ideali), per quanto imparziale possa egli essere, interferiranno con lo stile e la personalità dell’autore, e dunque con il messaggio. Il compito, già di per sé difficile, è reso ancor più arduo dalla distanza culturale (oltre che linguistica) esistente non solo tra l’autore e il traduttore, ma anche tra De Mauro, 1994, p.85 Cfr. Jakobson, 19924, p.58 68 59 60
l’autore ed il pubblico cui è destinato il testo tradotto. Precisiamo innanzitutto che il pubblico (ideale) cui è destinato un testo in traduzione non può mai essere lo stesso pubblico (ideale esso per primo) del testo in lingua originale: questo in ogni caso per ragioni linguistiche e quindi culturali, aggravate nella maggior parte dei casi dalla distanza cronologica. Un testo letterario infatti è legato in modo talmente indissolubile al proprio tempo e alle proprie coordinate socioculturali da diventare subito un altro testo, non appena trascorso quel particolare momento in cui nacque. Questo vale anche per i classici, che sono considerati tali perché hanno ancora qualcosa da dire anche dopo secoli. Al di là del valore universale che hanno le grandi opere letterarie, è sempre presente (persino in termini di rifiuto) il riferimento alla società, alla cultura, al mondo dell’autore. Ciò non è vero solo per il romanzo realistico, ma per ogni opera d’arte, e, forse in modo ancor più profondo, per la satira, la parodia, i racconti fantastici e anche per le storie per l’infanzia. Per estremizzare, possiamo dire che un testo è quel testo solo in quanto scritto in un codice particolare, inserito in un sistema linguistico particolare. Ciò è sempre vero, ma risulta ancor più evidente nei testi in cui il codice ha una parte predominante, quindi nella poesia e nella prosa poetica, e, come abbiamo visto, nei testi contenenti giochi di parole61. Quando un autore affida alla lingua il compito di evocare, Cfr. Berretta, 1979b, p.8: “nell’operazione di traduzione il Carroll originale non esiste più, ma esistono sue immagini, talvolta abbastanza diverse, presentate ad un pubblico che è anch’esso ben 69
61
a fini seri o ludici, piuttosto che il compito di significare, allora la precedente affermazione assume pieno valore. Facendo riferimento al testo che abbiamo scelto, possiamo affermare con certezza (e l’abbiamo già in parte visto nel capitolo precedente) che il pubblico che lesse per la prima volta Alice nel 1865 non corrisponde in alcun modo al pubblico (ai pubblici, verrebbe da aggiungere) cui è destinato ora, a 132 anni di distanza in inglese o in molte altre lingue del mondo. Si pensi, ad esempio, ai romanzi di Jules Verne: quando furono scritti, essi erano fantascienza futuristica, mentre il lettore di ora (abituato magari ad Asimov, non ancora nato quando Neil Armstrong fece i primi passi sul suolo lunare, per il quale Marte non è più un mistero) sorride di alcune ingenuità e rimane ammirato da alcune lungimiranti intuizioni dell’autore. La traduzione dei giochi di parole pone problemi per certi versi analoghi a quelli posti dalla traduzione di un testo poetico: In poesia, le equazioni verbali sono promosse al rango di principio costruttivo del testo. Le categorie sintattiche e morfologiche, le radici, gli affissi, i fonemi e i tratti distintivi loro componenti, in altri termini, tutti gli elementi costitutivi del codice linguistico, sono posti a confronto, giustapposti, messi in relazione di contiguità, secondo il principio della
diverso da quello originale di Carroll e anch’esso diverso a seconda delle scelte fatte nell’operazione di traduzione e di edizione.” 70
similarità e del contrasto, e diventano così veicolo di un significato proprio. La somiglianza fonologica è sentita come un’affinità semantica; il gioco di parole, o [...] paronomasia, regna nell’arte poetica. Che tale dominio sia assoluto o limitato, la poesia è intraducibile per definizione. È possibile soltanto la trasposizione creatrice all’interno di una data lingua (da una forma poetica ad un’altra) o tra lingue diverse62. Traditional poetry involves rhyme, rhythm and metre and the visual schemes adopted in more contemporary forms are features which by their very nature cannot find exact equivalents in another language. Therefore, in no way can a perfect mirroring of a poetic form be achieved. [...] some jokes are worth comparing to poetry in terms of density of translation obstacles to be overcome and, whether easy or difficult to translate, like poetry, they are not exactly mirrored in their translated forms.63.
Dovrà il traduttore — e se sì, fino a che punto — cercare di avvicinare quanto più possibile il suo pubblico all’opera originale nel suo aspetto per così dire più contingente, più particolare, maggiormente legato alla sua cultura di nascita? O dovrà invece fornire al lettore un piacere analogo, ma non identico, a quello provato dal primo pubblico dell’opera originale, puntando quindi sugli aspetti universali del 62 63
Jakobson, 19924, p.63 (corsivo mio) Chiaro, 1992, p.88: 71
testo? Entrambe le vie sono percorribili, ma la scelta dipende dal motivo per cui si sceglie di (ri)proporre al pubblico la traduzione di un testo culturalmente (in vario modo) lontano: in termini jakobsoniani, dipende dalla funzione del testo tradotto, posto che essa possa non essere la medesima del testo originale64. Ciò che dovrebbe guidare il traduttore è dunque quello che E.Nida definì il principio dell’effetto equivalente65, che, nel nostro caso, deve essere il riso66. [Le traduzioni «dinamiche»] cercano di riprodurre non solo l’essenziale del senso, ma lo stile del messaggio di partenza, la sua tonalità, mirando a ricostruire tra e per i destinatari un effetto analogo all’effetto suscitato tra i destinatari del testo di partenza67. Cfr. Berretta, 1979b, p.3: “Capita però anche che la funzione originaria non sia mantenuta — il che è tanto più probabile quanto più distanti culturalmente sono il testo di partenza e quello d’arrivo nell’operazione del tradurre — e scopi come quelli di divertire, acculturare, indottrinare, far conoscere (un testo, un contenuto, un esempio di lingua, ecc.) possono essere soprapposti a testi che non avevano affatto, originariamente, tale scopo.” 65 Newmark, 1989, p.30: “È diffusa l’opinione, benché non sia universale, che lo scopo principale del traduttore consista nel produrre sui suoi lettori, per quanto possibile, lo stesso effetto prodotto sui lettori dell'originale [...]. A seconda dei casi ci si riferisce a questo principio come al «principio della risposta» o «effetto equivalente» o «simile» (similar or equivalent response or effect) o dell’«equivalenza funzionale» o «dinamica» (Nida), che aggira e pone fine alla controversia tipica del XIX secolo se la traduzione debba tendere verso la lingua di partenza o verso quella di arrivo e di conseguenza alle dispute a favore della traduzione fedele in opposizione a quella bella, letterale contro quella libera, della forma contro il contenuto, che ne scaturiscono. Tale principio chiede immaginazione e intuizione da parte del traduttore che non deve identificarsi col lettore dell’originale ma deve entrare in empatia con lui, tenendo presente che può reagire o partecipare in forme a lui estranee.” 66 Cfr. Chiaro, 1992, p.92 67 De Mauro, 1994, p.92 72 64
Rimane però il problema di ottenere questo effetto equivalente nella traduzione mantenendo, per quanto possibile, il riferimento alle immagini contrastanti evocate nel testo originale. È questo il principale problema per il traduttore che si trova davanti testi come Alice. In Alice, infatti, interi episodi e personaggi hanno la loro ragion d’essere nei giochi di parole, nelle immagini contrastanti da essi evocati: nella stessa struttura della lingua inglese, dunque. Se da un lato, nella quasi totalità dei casi, la traduzione letterale è il modo peggiore di ‘tradurre’ un gioco di parole, d’altro canto, rendere l’effetto di un pun sostituendo le immagini contrastanti che lo animano può essere pericoloso perché si rischia di ‘snaturare’ il testo e di perdere i riferimenti testuali. La fedeltà al testo originale sarà soprattutto fedeltà all’autore del testo, a quello che l’autore intendeva suscitare nel pubblico. Ma deve tenere conto, data la distanza che sempre separa un testo dalle sue traduzioni, del fatto che l’autore è (nella maggior parte dei casi) certo, mentre è difficile prevedere la reazione del lettore, anzi dei lettori, non solo nelle traduzioni, ma anche dei lettori della ‘stessa’ lingua ma lontani nel tempo e nella classe sociale68. Non tradire l’autore, in questo caso, è un’impresa difficile. Il traduttore deve innanzitutto comprendere il gioco di parole nelle sue minime sfumature, operazione possibile solo a chi ha una profonda conoscenza non solo della lingua, ma anche
68
Cfr. De Mauro, 1994, pp.84 e 86 73
della cultura e della società69. In un certo senso, padroneggiare una lingua straniera significa già di per sé conoscerne a fondo la società e la cultura ed è auspicabile che un traduttore letterario possieda tale padronanza. Delia Chiaro70 riassume così i requisiti necessari per il riconoscimento e la comprensione dei giochi verbali: Riconoscimento del meccanismo Riconoscimento dell’argomento
RICONOSCIMENTO
dello scherzo
DELLA BATTUTA
Ambiguità linguistiche (dell’inglese)
Una volta interpretato il pun nel senso di cui abbiamo appena parlato, si tratterà di trovare nella lingua di arrivo non i termini di per sé corrispondenti a quelli adoperati nell’originale, ma due termini della lingua di arrivo che possano costituire un gioco di parole (anche non basato sullo stesso meccanismo di quello del testo di partenza) il quale: 1) raggiunga l’effetto desiderato (in sostanza, faccia ridere); 2) evochi nella mente del lettore immagini contrastanti quanto più simili o analoghe a quelle evocate dall’originale. Cfr. Chiaro, 1992, pp.l1-13 e pp.84-85 Chiaro, 1992, p.63 (tradotto e adattato) 74 69 70
Tornando alla citazione di Jakobson circa la traduzione dei testi poetici, possiamo essere dunque d’accordo con il fatto che per traduzione di testi giocati sul pun si deve intendere una rielaborazione del testo di partenza, in modo discreto, cercando, per quanto possibile, di immaginare come si sarebbe comportato l’autore del testo originale. Soprattutto, è importante tenere presente la frase di Polonio, ripresa più volte da Freud nel suo Saggio sul motto di spirito: “La concisione è l’anima dell’arguzia71”. Spesso non è possibile conservare quello che Delia Chiaro definisce invariant 72
core , le immagini contrastanti evocate dai significanti in gioco nel testo originale e che nella maggioranza dei casi saranno diverse da una lingua all’altra (perché, come abbiamo visto, ogni lingua organizza i propri significanti in sistema e ne stabilisce i confini). Non basta. Differiscono a seconda del sistema linguistico anche i meccanismi preferiti per la coniazione di giochi verbali. I giochi basati sull’ambiguità semantica, dei quali ci siamo occupati nella prima parte di questo capitolo, sembrano essere tipici della lingua inglese, caratterizzata tra l’altro da una grande presenza di verbi denominativi, la cui forma base è identica a quella del sostantivo dal quale derivano. Inoltre il fatto che la forma del verbo sia identica per tutte le persone tranne la terza Shakespeare, Amleto, atto II sc.2, v.90: “brevity is the soul of wit”; citato in Freud, 1905, p.11 Cfr. Chiaro, 1992, p.92: “the piece of information which is vital to the source text and thus has to remain in the target version” 75
71 72
singolare, che il participio passato abbia nella maggior parte dei casi la stessa forma del passato dello stesso verbo, o forma omofona ad un altro, tutto ciò aumenta, volendo estremizzare, l’ambiguità caratteristica della lingua inglese. De Mauro ci ricorda che “in lingue come l’inglese, le partes orationis, aggettivo, nome, verbo, avverbio, preposizione, sono funzioni distinte che può assumere uno stesso monema piuttosto che scatoloni entro cui ripescare elementi monotematici di significante diverso tra di loro73”: ciò vuol dire che in inglese c’è maggiore ambiguità nell’interpretazione e dunque maggiore spazio per i giochi di parole, caratterizzati dalla non volontà di disambiguare le espressioni ambigue. Secondo Gordon Poole (1969, pp.133-4), il ridotto numero di forme verbali dell’inglese rispetto all’italiano, cioè il fatto che il verbo inglese sia meno modificabile morfologicamente rispetto all’italiano, determina una più stretta relazione fra il verbo e gli altri elementi sintattici rispetto all’italiano. “Questo pesante condizionamento del verbo da parte del contesto attraverso gli ausiliari, preposizioni, ecc. si rivela chiaramente al livello del significato, specialmente nel caso dei verbi più comuni74”: in pratica, il verbo di per sé ha un significato di base che però è suscettibile di modifica a seconda delle altre parole che lo seguono e lo precedono e dell’ordine in cui esse sono disposte: i significati delle altre parole, come le preposizioni ma anche i sostantivi, influenzano il valore semantico del verbo, “un fatto abbastanza notevole De Mauro, 1995, p.111 Poole, 1969, p.l34 76 73 74
se si tiene presente che, come è noto, l’inglese, paragonato all’italiano, tende a caricare molto il verbo, facendone grande uso ed esigendo da esso un significato specifico laddove l’italiano opterebbe per una maggiore specificazione magari nel sostantivo, l’avverbio, ecc.75”. Ciò determina dunque una “polivalenza semantica del verbo inglese76” che non si riscontra in modo altrettanto notevole in italiano e che gioca un ruolo fondamentale nell’umorismo linguistico inglese, perché dà luogo facilmente ad equivoci divertenti. La lingua italiana, invece, ha caratteristiche differenti, che le consentono di giocare in modo diverso con i suoi elementi. Tra le particolarità della lingua italiana rispetto a quella inglese vi sono i generi grammaticali (caratteristica comune al francese e al tedesco, ad esempio), la morfologizzazione delle forme alterate dei sostantivi, la maggiore rilevanza dell’accento all’interno della parola. Queste peculiarità rendono possibili giochi come i falsi accrescitivi/diminuitivi (per i quali un tacchino è un piccolo tacco, o un bacino un piccolo bacio) i giochi di accostamento tra parole omonime o parzialmente omonime di genere diverso (il capitale /la capitale, il tasso/la tassa) o che differiscono per l’accento (càpitano/capitàno/capitanò).
75
ibidem
75 ibidem 76
Cioè parole che hanno lessema identico e suffisso grammaticale differente. 77
Naturalmente, anche in italiano sono presenti omonimi e omofoni (anche se questi ultimi in maniera inferiore rispetto all’inglese), ed è quindi possibile utilizzare questi meccanismi ma in maniera diversa rispetto all’inglese. Il traduttore dovrà tener conto anche di questa diversità nelle risorse utilizzate per i giochi di parole, e scegliere anche meccanismi differenti rispetto a quelli usati nel testo originale. Non può pretendere di far corrispondere meccanismo a meccanismo, nelle lingue che entrano in gioco. Naturalmente non si tratta di completa e assoluta arbitrarietà nella trasposizione dei meccanismi di gioco, ma la trasposizione creatrice prevede che il buon senso del traduttore riconosca l’opportunità di sostituire ad un gioco incomprensibile un gioco riuscito possibile però solo nella lingua di arrivo.
78
Capitolo III I giochi di parole: da Alice ai traduttori Take care of the sense and the sounds will take care of themselves* Corpus I.01 AA, rr.10-16: [...] the people that walk with their heads downward! The Antipathies [...] Si tratta di un nome storpiato da Alice: la bambina scambia il nome di un luogo geografico (Antipodes, /æn’tɪpədi:z/) per il nome di una popolazione (cfr. rr.8-10), ma il nome, tramite il suono, convoca anche un pregiudizio, l’antipatia (antipathy, /æn’tɪpəθɪ/). Questo lapsus, plausibile in una bambina di sette anni e dovuto innanzitutto all’ignoranza, rivela però altri aspetti importanti. Analizziamo le due parole convocate dalle parole di Alice secondo le definizioni dell’OED: Antipodes /æn’tɪpədi:z/, n. pl. Also Antipodes. […] † 1. Those who dwell directly opposite to each other on the globe, so that the soles of their feet are as it *
AA, p.121 79
were planted against each other; esp. those who occupy this position in regard to us. Obs. […] † 2. fig. Those who in any way resemble the dwellers on the opposite side of the globe. Obs. […] 3. Places on the surfaces of the earth directly opposite to each other, or the place which is directly opposite to another; esp. the region directly opposite to our own. (OED) antipathy /æn’tɪpəθɪ/ […] † 1. Contrariety of feeling, disposition, or nature (between persons or things); natural contrariety or incompatibility. The opposite of sympathy. Obs. […] 2. Feeling against, hostile feeling towards; constitutional or settled aversion or dislike. (OED)
Antipodes /æn’tɪpədi:z/
Antipathies /æn’tɪpəθɪz/
antipathy /æn’tɪpəθɪ/
Notiamo innanzitutto che entrambi i termini, confluiti in Antipathies (/æn’tɪpədi:z/) sono di derivazione non germanica, quindi non molto comuni (entrambi i termini sono stati filtrati dal francese e sono di origine greca). Attribuendo il nome di Antipathies, Alice ha inconsapevolmente ripreso l’etimologia 80
di
antipodes.,
nome
anticamente
attribuito
al
popolo
che
nell’immaginazione degli europei viveva a testa in giù. Inoltre, per il lettore inglese, e per Alice stessa, antipodes ha una connotazione satirica e si riferisce ad un continente in particolare, la cosiddetta Terra Australis Incognita (cfr. AA, p.28: “Please, Ma’am, is this New Zealand or Australia?”). Si ricordi che l’Australia e la Nuova Zelanda erano parte dell’Impero britannico, quindi l’atteggiamento scherzoso era probabilmente affiancato anche da sentimenti di superiorità. Ma oltre che un luogo geografico, gli Antipodi sono il luogo letterario dove la satira del XVIII secolo collocava il ‘mondo alla rovescia’: anche Wonderland è agli Antipodi in questo senso perché i rapporti di ragione e follia si invertono1. Ad ogni modo, la parola pronunziata da Alice non è antipodes, ma Antipathies, che è un inconsueto plurale di antipathy. Questo indizio ci rivela l’atteggiamento della bambina non tanto verso una popolazione in particolare, quanto a quello che essa rappresenta nella sua mente, cioè un popolo strano, con usi e costumi sicuramente bizzarri. La sventurata non sa ancora quel che l’aspetta nel suo viaggio per Wonderland, ma il suo lapsus è rivelatore della sua antipatia per le cose strane, antipatia forse indotta dal tipo di educazione ricevuta, ma sicuramente comune tra i bambini, normalmente piuttosto conservatori. Per un’interessante analisi del significato degli Antipodi nell’immaginario collettivo inglese, vedi Traversetti, 1996: ad esempio, ne I Viaggi di Gulliver di Swift la nave su cui si trova il protagonista prima di fare naufragio faceva rotta verso gli Antipodi. Traversetti mette in relazione Wonderland con gli Antipodi, il Carnevale e il regno della luna, tutti luoghi letterari in cui si attua un “rivolgimento della norma”. 81 1
Quel che per Alice è un lapsus, per l’autore delle sue parole è un gioco linguistico consistente nella paronimia (/θ/ per /d/: i due fonemi differiscono per il modo di articolazione e per l’assenza o la presenza di sonorità). Ricapitolando, gli elementi importanti di Antipathies sono: 1. il fatto che per Alice si tratta non di un luogo ma di un popolo immaginario, che in inglese ha connotazioni precise (mondo alla rovescia) Î contesto 2. il fatto che il termine ne suggerisce un altro che rivela l’atteggiamento di Alice verso questo popolo immaginario, più in generale verso le persone e le situazioni nuove Î significato 3. la forma del gioco linguistico, cioè paronimiaÎ significante Vediamo ora quali sono state le scelte dei traduttori. A2: Gli antipatici (Bossi, r.14), Gli Antipatici (Galasso e Kemeni, r.15) Si tratta della scelta di uno solo tra i due termini evocati dal lapsus di Alice, che nell’originale interferiscono fra loro. La scelta cade sul termine inappropriato. Nell’analisi del corpus si è preferito raggruppare le soluzioni identiche, simili o analoghe per ogni nodo problematico ed etichettare gli insiemi così ottenuti utilizzando le lettere dell’alfabeto. Tali insiemi variano ad ogni nodo, dunque le lettere che designano gli insiemi di un nodo non corrispondono alle lettere che designano gli insiemi di un’altro. 82 2
Nel caso di Bossi, la forma grafica suggerisce non il nome di un popolo, ma un aggettivo ben chiaro e determinato. Sembra dunque che i traduttori, invece di suggerire, dicano apertamente. Si perde sia il gioco di parole che il riferimento ad un luogo geografico con connotazioni specifiche. B: gli Antipati (Giglio, r.15), Gli Antipati (Carano, r.19) antipodi Antipati /an'tipati/
/an'tipodi/
antipatici /anti'patiʧi/
I traduttori, scegliendo di fondere i termini evocati dall’originale, si sono trovati di fronte alla difficoltà di fondere due parole differenti per numero di sillabe e posizione dell’accento. La soluzione ha richiesto la cancellazione di una sillaba ‘eccedente’ da antipatici e l’assunzione dell’accento di antipodi. La fusione dei due termini avviene inoltre lasciando inalterata la prima parte di ciascun termine evocato e prelevando due sillabe da antipatici. Non si tratta quindi di paronimia vera e propria, ma di uno dei procedimenti resi famosi da Carroll, una portmanteau word che
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in sé contiene due termini3. Le traduzioni mantengono il riferimento contestuale: il termine scelto, cioè, può effettivamente essere il nome di un popolo e suggerire altri riferimenti. C: Agli Antidoti (D’Amico, r.15) Antipodi
/-'podi/
⇓
⇓
Antidoti
/-'doti/
Il traduttore cancella più di un riferimento. Innanzitutto, questi Antidoti non sono una popolazione, ma un luogo geografico, quindi l’errore di Alice viene ridotto d’intensità. In secondo luogo, viene annullato il riferimento ad antipathy, così importante per la sua connotazione, come abbiamo visto. Il termine pronunciato da Alice nella versione di D’Amico è realmente esistente in italiano, ma nulla nel testo di origine lo suggerisce, mentre qui è addirittura detto in chiaro.
Carroll stesso, nell’introduzione a The Hunting of the Snark, descrive così le portmanteau words: “For instance, take two words ‘fuming’ and ‘furious.’ Make up your mind that you will say both words, but leave it unsettled wich you will say first. Now open your mouth and speak. If your thoughts incline ever so little towards ‘fuming,’ you will say ‘fuming-furious;’ if they turn, by even a hair’s breadth, towards ‘furious,’ you will say ‘furious-fuming;’ but if you have the rarest of gift, a perfectly balanced mind, you will say ‘frumious’ ”. 84 3
D: Gli Antipotici (Graffi, r.14)
antipodi /an'tipodi/ Antipotici /anti'potiʧi/ antipatici /anti'patiʧi/
La traduttrice ha fuso i due termini evocati nell’originale (cfr. B). Qui la fusione avviene tra i suoni di antipatici, mantenuto nel numero di sillabe e nell’accento, e la vocale /o/ di antipodi che viene sostituita alla corrispondente /a/ di antipatici. In questo modo il gioco di parole risulta naturale in italiano e naturale per una bambina come Alice. Il risultato ottenuto suggerisce e non dice chiaramente nessuno dei due termini evocati. Potrebbe anche convocare (nel senso sia di evocare sia di chiamare a raccolta) un’altra parola non comune ma che i bambini possono aver sentito dispotici, ma questo solo in italiano (in inglese si dice despotic). Inoltre rispetta il contesto perché designa plausibilmente un popolo.
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E: gli Antipiedi (Bianchi, r.14) anti- podi piedi Î antipiedi Il traduttore riprende l’etimologia dell’italiano antipodi, sia per quanto riguarda la forma che per il referente designato4. Così facendo però perde il riferimento ad antipathy, e questo comporta una perdita importante, come abbiamo visto nell’analisi del passo originale. Inoltre il traduttore modifica il meccanismo del gioco di parole: si tratta di un adattamento eufonico della seconda parte del termine antipodi, quella più estranea, che viene semplificata e ridotta al suo significato etimologico. La trasformazione comporta anche la modificazione dell’accento. Il risultato è una parola con caratteristiche trasparenti, evidenti: la presenza di -piedi non lascia dubbi circa l’interpretazione.
La parola antipodi (in italiano come in inglese) designava in origine non il nome di un luogo ma quella degli abitanti di questo luogo (immaginario in italiano, connotato in maniera più specifica in inglese). 86 4
F: Tantipodi (Busi, r.14) (T)antipodi Valgono le stesse considerazioni fatte per E, ma con qualche precisazione. Anche qui si perde il riferimento ad antipathy, ma le creature evocate hanno la connotazione del mostruoso, dello strambo, del meraviglioso delle cronache dei viaggi medievali. Qui si ha la trasformazione della prima parte della parola in senso eufonico, assimilabile al già noto, con l’aggiunta di una consonante iniziale. La parte immediatamente riconoscibile della parola fa riferimento (presumibilmente) ad una caratteristica di questo popolo lontano, ‘l’avere tanti x’. Questa caratteristica lascia il dovuto spazio alla fantasia del lettore-ascoltatore.
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Corpus I.02 AA, rr.12-18: “Do cats eat bats? Do cats eat bats?” and sometimes, “Do bats eat cats?”
Si tratta delle parole che Alice pronunzia “in a dreamy sort of way” (AA, rr.11-12), mentre comincia ad appisolarsi, poco prima di atterrare sul fondo della tana del coniglio. La domanda “But do cats eat bats, I wonder?” (rr.1-3) era stata provocata in Alice da un’associazione d’idee: la gatta Dinah5, che la bambina vorrebbe portare con sé in questa avventura, e il fatto che nell’aria dove sta precipitando non si vedono topi ma potrebbero ragionevolmente (?) esservi pipistrelli, cioè topi in grado di volare perché provvisti di ali. La reiterazione della domanda che precede la variazione dell’ordine delle parole nella frase, favorita dall’affinità fonica di cats e bats (i due termini costituiscono una coppia minima, poiché differiscono per il fonema consonantico iniziale), dalla presenza del fonema ripetuto /ts/ (che richiama il suono del sonno: nei fumetti, ad esempio, esso è visualizzato con ZZZ) e dalla rima (cats eat bats), ha realmente un effetto ipnotico sulla bambina, che alla fine si addormenta (sogna di addormentarsi). Nello stato in cui si trova, e nel paese in cui sta per atterrare, non
5 Dinah era il nome della gatta della vera Alice e sarà di nuovo protagonista con i suoi cuccioli in Through the Looking Glass. 88
ha più importanza porsi una domanda del genere in un modo o in un altro6. Anzi, il rovesciamento dei due termini, cacciatore e preda, preannunzia il clima che Alice troverà nel Paese delle Meraviglie: non dimentichiamo che il primo personaggio con cui Alice si ritrova a dialogare è un topo, e abbiamo visto come sia importante il fatto che la protagonista abbia nei suoi confronti un atteggiamento aggressivo. Questo atteggiamento verrà in seguito rovesciato, come i due termini della domanda che qui stiamo esaminando. In italiano, i traduttori si trovano di fronte al problema di mantenere il riferimento testuale a cats (letteralmente “gatti”), motivato dalla presenza evocata di Dinah, e a bats (letteralmente “pipistrelli”, cioè “topi che volano”), e, allo stesso tempo, mantenere anche l’effetto sonoro che è decisivo ed essenziale nel cotesto. Le soluzioni scelte dai traduttori non sempre tengono conto di entrambi gli aspetti del testo originale, il senso e il suono. Analizziamo le varie soluzioni. A: «I gatti mangiano i pipistrelli? I gatti mangiano i pipistrelli?» [...] «I pipistrelli mangiano i gatti?» (Giglio, rr.13-23; Galasso e Kemeni, rr.16-27; D’Amico, rr.15-24; Carano, rr.13-23).
6 Cfr. Kemeni, 1977: “Qui la rima che unisce /cats/ e /bats/ neutralizza l’errore logico attraverso l’equivalenza imposta dall’affinità di suono che rafforza il parallelismo sintattico.” (p.69). 89
La traduzione letterale tiene conto solo degli aspetti del significato e non dell’aspetto sonoro, riducendo di molto l’effetto complessivo del testo. B: “I gatti mangiano i ratti? i gatti mangiano i ratti?” e qualche volta: “i ratti mangiano i gatti?” (Bossi, rr.17-26) /gatti/-/ratti/ ; /ratti/-/gatti/ La traduttrice ha dovuto modificare il testo per giustificare la sostituzione del termine “ratti” al letterale “pipistrelli” (cfr. rr.1-5: “[...] Ma i gatti mangiano i pipistrelli? O mangiano i ratti? Ecco il problema!”). Il meccanismo attraverso cui avviene lo scambio delle parole all’interno della frase è analogo all’originale: i termini prescelti (“gatti”, “ratti”) costituiscono una coppia minima, e l’elemento differente è la consonante in posizione iniziale. L’elemento perduto è la reiterazione di /ts/ e della rima, ma in compenso, la versione di Bossi rende esplicito il rapporto predatore-preda che verrà invertito nel corso della storia, che nell’originale viene evocato: nella storia saranno presenti sia il Topo che il Gatto, ed entrambi saranno importanti.
90
C: «Una gatta mangia una gazza? Una gatta mangia una gazza?» e a volte «Una gazza mangia una gatta?» (Graffi, rr.10-17) /gat:a/-/gadz:a/; /gadz:a/-/gat:a/ Anche qui la traduttrice ha dovuto operare sul versante del significato per mantenere l’effetto sonoro, cioè operare sul significante, in maniera analoga all’originale, anche se qui il fonema sostituito non è la consonante iniziale. Qui però la modifica è più pesante, e avviene prima del brano riportato nel corpus: cfr. Graffi, p.9, “Non ci sono topi che volino per aria, purtroppo, ma potresti sempre dar la caccia a un pipistrello, che è divertente come un topo, sai? Oppure a una gazza.” Questa modifica non è del tutto arbitraria, almeno per quanto riguarda “gatta” al posto di “gatti”: Alice stava pensando alla sua gatta. I gatti mangiano i topi, come è noto, ma anche gli uccelli (gazza), e nell’aria è possibile trovare tanto pipistrelli (cioè topi con le ali) che uccelli7, che potrebbero essere entrambi cibo per gatti. Si perde però in tal modo il riferimento al topo.
7
Si ricordi che, dopo l’incontro con il Bruco, Alice incontra un Piccione (capitolo V). 91
D: «I gatti mangiano i pipistrelli? I gattuccelli mangiano i rattuccelli?». E qualche volta anche: «I rattuccelli mangiano i gattuccelli?» (Bianchi, rr.15-26) gatti
pipistrelli (uccelli)
gattuccelli
rattuccelli
La trasformazione cui vanno incontro i due termini originari nella versione di Bianchi rivela molto appropriatamente lo stato di dormiveglia di Alice, anche se ciò non avviene con lo stesso procedimento dell’originale. Qui infatti il gioco linguistico è più complesso, trattandosi nel primo caso (“gattuccelli”) di una sorta di portmanteau word
per l’intrusione in absentia di
“uccelli”, evocato sia dal suono che dal senso di “pipistrelli” (= “topi, cioè ratti che hanno le ali come gli uccelli”), che divengono per ennesima trasformazione “rattuccelli”, altra portmanteau word. Seppure con materiale fonico diverso, il traduttore ha qui riprodotto l’effetto sonoro dato dalla rima in -elli, presente già nel termine di partenza. “Rattuccelli” è una parola inesistente in italiano, ma il suo significato è sicuramente più trasparente dell’esistente “pipistrelli”. I “Gattuccelli” invece sono una creazione puramente linguistica, il cui referente (fantastico) potrebbe essere un parente della Mock Turtle. 92
Prima di chiedersi se il traduttore abbia osato troppo, è il caso di verificare la reazione sul lettore. L’attenzione del lettore, che nell’originale era rivolta al rapporto predatore-preda, qui viene distratta dall’evocazione di ‘mostri’, di animali favolosi e meravigliosi: se l’autore avesse voluto evocare qui strane creature, l’avrebbe fatto (del resto poco prima aveva parlato degli Antipathies).
E: “I gatti ne van matti? I gatti ne van matti?” o anche: “I matti van a gatti? I matti van a gatti?”(Busi, rr.12-20) /gat:i/-/mat:i/ ; /mat:i/-/gat:i/ Il traduttore ha concentrato l’attenzione sull’aspetto sonoro, operando un gioco linguistico analogo all’originale, con sostituzione di fonema consonantico iniziale in una coppia minima. Sul versante del significato, la traduzione di Busi è molto libera, ma trae giustificazione dal cotesto in cui si trova (Busi, p.19: “Non c’è ombra di topi qui in giro, ma potresti prendere un pipistrello, che se non lo sai è quasi uguale a un topo”) e collegato al senso originale dalla domanda al r.1: “Chissà se i gatti ne van matti”. Quindi nel cotesto sono presenti sia i pipistrelli che i topi. Nel passo che ci riguarda, lo scambio dei termini nell’ordine della frase investe anche il verbo, che qui ha caratteristiche idiomatiche. Inoltre la frase “i gatti 93
ne van matti” (rr.12-14) è stata ampiamente sfruttata dalla pubblicità del cibo per gatti (“Tutti i gatti ne van matti”) e quindi ha una connotazione particolare che solo il lettore italiano degli anni novanta del Novecento più cogliere. È come se Alice si chiedesse “chissà se alla mia gatta piacerebbe mangiare un pipistrello come le piace mangiare il prodotto X”. La frase rovesciata diventa “i matti van a gatti” (rr.17-19) ed evoca strani tipi (i matti) che vanno alla caccia di gatti, animali di per sé un po’ matti. È da notare che nella prima domanda il termine “matti” è parte dell’espressione idiomatica “andare matti per X”, mentre nella domanda rovesciata lo stesso termine assume un significato pieno, e non stona, per così dire, nel clima di “rivolgimento della norma”8 in cui sta entrando Alice. Però, a fronte di questo gioco piuttosto elaborato e ben riuscito, la perdita totale del riferimento al rapporto rovesciato predatore-preda è rilevante.
8 cfr. Traversetti, 1996. 94
Corpus III.01 AA, rr.11-13: I’ll soon make you dry enough! AA, rr.20-22: This is the driest thing I know. Qui il pun è dato dalla polisemia di dry. Il topo vuole fare asciugare (make sb. dry) i suoi compagni di naufragio raccontando loro una storia noiosa, anzi, la più noiosa (driest, aggettivo al grado superlativo) che conosca9. Dal punto di vista logico, il ragionamento del topo non fa una grinza, ma non tiene conto dell’imprevedibilità della lingua, della possibilità di accostare al senso proprio di un vocabolo un senso figurato. La forma è la stessa, chi avrebbe potuto dire che la sostanza sarebbe stata diversa? Se il verbo dry significa “make dry10”, il nocciolo del pun sta nel definire il senso di dry come aggettivo11. Quando troviamo dry come verbo, esso ha tutte le L’espressione del Topo (I’ll make you dry) richiama, per paronomasia, una minaccia: I’ll make you c r y. Si ricordi che la causa del naufragio della compagnia, e quindi del loro essere bagnati, è nelle lacrime versate da Alice. I personaggi si trovavano infatti nella pool of tears (titolo del secondo capitolo). 10Cfr. OED: “dry […] 1. a. trans. To make dry (e.g. by wiping, rubbing, exposure to heat or air, draining, etc.); to rid, deprive, or exhaust of moisture; to desiccate. […]b. To remove or abstract (water or moisture); to wipe away, cause to evaporate, or drain off.” 11Cfr. OED: “dry […] A. adj. I. As a physical quality. 1. a. Destitute of or free from moisture; not wet or moist; arid; of the eyes, free from tears. […]II. Figurative senses 13. Feeling or showing no emotion, impassive; destitute of tender feeling; wanting in sympathy or cordiality; stiff, hard, cold. In early use, chiefly: Wanting spiritual emotion or unction. […]14. Said of a jest or sarcasm uttered in a matter-of-fact tone and without show of pleasantry, or of humour that has the air of being unconscious or unintentional; also of a person given to such humour; caustically witty; in early use, 95 9
sfumature di dry come aggettivo? “Make dry” significa “far diventare «dry»”, ma in quale accezione di dry? Nel suo senso proprio o nel suo senso figurato? Il topo ha interpretato dry di I’ll make you dry nel senso figurato. Lo schema ci fa vedere come tra i significati di dry in inglese si possano trovare i corrispondenti italiani “secco”, “seccante” e “asciutto”. In italiano, questi tre termini non si possono definire come sinonimi, avendo denotazioni e soprattutto connotazioni piuttosto diverse tra loro. Nelle traduzioni che ci accingiamo ad esaminare, tutti e tre i termini sono stati usati. In italiano l’aggettivo dry può essere reso, a seconda del contesto, come: secco
senso proprio senso figurato
dry
seccante
senso figurato senso proprio
asciutto senso figurato Il verbo dry può essere reso in italiano, nel suo senso letterale, con un verbo: asciugare o seccare. Ma la difficoltà per il traduttore italiano sta nel rendere sia il senso ironical. […] 16. Lacking adornment or embellishment, or some addition; meagre, plain, bare; matter-of-fact. […] 17. Deficient in interest; unattractive, distasteful, insipid. (fig. from food that wants succulency.)” 96
letterale che quello figurato di dry, quindi di scegliere un vocabolo adeguatamente polisemico. La polisemia di dry come aggettivo ha causato l’errore del Topo, non il verbo dry in sé. Vediamo allora innanzitutto come i traduttori hanno reso la prima comparsa di dry: A: Ci penso a seccarvi in poco tempo! (D'Amico, rr.10-13); So io come seccarvi per bene tutti quanti (Bianchi, rr.12-16); Io vi farò seccare in un battibaleno! (Busi, rr.10-12). Il verbo “seccare” ha diversi significati12. Pensiamo ad un Topo italofono, nelle circostanze in cui si trovava il Topo di Alice. I personaggi sono tutti bagnati, e il Topo, “who seemed to be a person of authority among them” (AA, rr.4-6), decide di... seccarli? Come interpretare questo desiderio del Topo? Se qualcuno è bagnato, ha bisogno di asciugarsi o di essere asciugato, non di essere pro-sciugato. Se questo verbo non “suona” bene in italiano, ha però il vantaggio di preparare il pun: al lettore verrà il sospetto, proprio per questa espressione estranea al linguaggio comune, che ci sia qualcosa sotto, cioè che ci sia un pun in agguato.
Cfr. Devoto -Oli: “Seccare 1.Privare degli umori o dell'umidità; prosciugare, inaridire: il solleone ha sec c a t o le aiole; essiccare: s. i fichi al sole ; medio intr. Prosciugarsi, diventar secco: questo fieno si è sec c a t o troppo; anche intr. (aus. essere): mettere il fieno a sec c a re — fig. Perdere di vitalità o di vigore: la sua vena poetica si è sec c at a. 2. fig. Arrecare disturbo, o fastidio: non voglio essere s ec c at o per nessun motivo; medio intr., infastidirsi, avere a noia, risentirsi: non vorrei che si sec c a s se.” 97
12
B: Tra un istante vi dirò come potrete asciugarvi! (Galasso e Kemeni, rr.11-14); Io vi asciugherò tutti ben presto! (Carano, rr.11-14)
Al polo opposto abbiamo il verbo “asciugare”13. Questo verbo risulta più appropriato al contesto in cui troviamo la prima occorrenza di dry. Rispetto a “seccare”, presenta una denotazione diversa (“rendere secco” non ha lo stesso significato di “rendere asciutto”) e una connotazione diversa. C: In un battibaleno sarete tutti asciutti perché ora vi seccherò io come si deve (Bossi, rr.1017); Presto sarete tutti asciutti, perché adesso penserò io a seccarvi! (Giglio, rr.11-16) Bossi e Giglio hanno adoperato entrambi i termini corrispondenti all’inglese make you dry, utilizzando il participio passato asciutti seguiti da una forma del verbo seccare. Asciutti14 “suona” normale nel contesto in cui si trova. La promessa del Topo Cfr. Devoto - Oli: “Asciugare: 1.Rendere asciutto, riferito per lo più a una superficie (dalla quale venga eliminata acqua o umidità): a. il pavimento, le posate; il sole ha già asciugato la strada; asciugarsi le mani, i capelli; a. il pianto, le lacrime (fig., consolare) Seccare, disseccare: il caldo asciuga la campagna; scherz.: a. un bicchiere, un fiasco, vuotarlo sino in fondo; fig.: a. qualcuno (o a. le tasche a qualcuno), lasciarlo senza un quattrino, ridurlo al verde. 2. medio intr. Diventare asciutto: con questo sole i panni s'asciugano in un baleno.” 14 Cfr. Devoto - Oli: “Asciutto 1.Privo di acqua o umidità (contrapposto a bagnato, umido): conservare in luogo a.; clima, tempo a., non piovoso; vento a., secco, arido, che toglie l'umidità; pasta a., senza brodo e condita con burro o sugo — Talvolta con sign. identico ad asciugato: i panni sono già a.; 98 13
è doppia: voi sarete asciutti in breve tempo perché vi seccherò presto, nel senso che vi asciugherò. È una tautologia, ma serve per introdurre il pun nella maniera più naturale possibile, in modo che il lettore sia sorpreso da esso e non vi sia preparato. D: Pochi minuti mi basteranno per lasciarvi tutti secchi! (Graffi, rr.13-17) La traduttrice ha reso la locuzione make you dry con lasciarvi tutti secchi. Ma la dichiarazione d’intenti del Topo ci allarma15. L’espressione lasciarvi secchi evoca infatti la locuzione farvi secchi, cioè uccidervi. Lo scenario non è tragico fino a questo punto. La traduzione della Graffi suggerisce elementi interessanti, ma assenti nell’originale. È una forzatura mettere in bocca al Topo parole mortalmente lasciare il fiasco a., lasciarlo vuoto, scolarlo fino in fondo — locc.: a occhi a., a ciglia a., senza piangere, con impassibilità; a piedi a., senza bagnarsi, a bocca a., a denti a., senza mangiare o bere (fig.: restare a bocca a., rimanere deluso, a mani vuote, non ottenere ciò che s’era sperato o desiderato). 2. estens. e fig. Pane a., senza companatico; vino a., secco, non dolce (contrapposto ad amabile); uomo a., muscoloso ma privo di grasso superfluo; viso a., scarno; balia a., che ha in cura i bambini senza però allattarli — Laconico, categorico, brusco: mi ha risposto con un `no' a. (anche con valore avverbiale: mi ha risposto asciutto asciutto); schivo, riservato: una persona di modi a. [...]”. 15 Cfr. Devoto - Oli: “Secco 1. Privo o molto scarso di umori o di umidità; arido, asciutto: terreno s.; clima s.; pozzo s., fonte s., che non dà più acqua (fig.: Secca è la vena de l'usato ingegno, Petrarca); avere, sentirsi la gola s.; rimanere a denti s., restar digiuni o delusi in un'aspettativa (coloro che rimanevano a denti secchi, erano senza paragone i più, Manzoni); [...] 2. Di persone o animali, vistosamente magro; com., semplice equivalente di magro: un giovanotto lungo e s.; gambe s. — pop. Morte s., l’immagine del teschio; far s . qu a lc u n o, pr ov oc ar n e la mor te i st an ta ne a ; r es tarc i s . , m or t o d ’u n c ol p o . 3. fig. Brusco, risoluto, deciso e perentorio o addirittura scortese: un ordine s.; un s. diniego; un no s. s.; anche con funzione avverbiale: replicare s. s. — Disadorno, essenziale: stile s. [...] — Improvviso, istantaneo, netto: con un colpo s. ruppe il bastone; tosc.: tiro s., colpo apoplettico: Dies irae è morto Cecco; Gli è venuto il tiro secco (Giusti) [...]” (sottolineato mio) 99
minacciose. Anche se si volesse interpretare lasciarvi secchi come lasciarvi a secco, cioè “rubarvi tutto quel che avete”, saremmo di fronte ad una forzatura. Il Topo non ha ancora deciso di passare a rimedi più drastici16. La traduzione della Graffi appare dunque inappropriata, sebbene offra spunti interessanti. Abbiamo dunque questa distribuzione per la prima occorrenza di dry come verbo (AA, r. 12): Seccarvi
Secchi
Asciutti/Seccarvi
Asciugarvi
z
z
z
z
A
D
C
B
D'Amico - Bianchi –Busi
Graffi
Bossi - Giglio
Galasso e Kemeni - Carano
Passiamo ora a considerare la seconda parte del gioco di parole del Topo: This is the driest thing I know.(AA, rr.20-22). Egli racconterà la cosa più noiosa (driest) che conosca: un brano da un libro di storia17. Naturalmente, l’esperimento non sortisce alcun effetto. Se nell’originale il brano è “noioso” (v. dry nel senso figurato) in italiano dovrebbe esserlo altrettanto.
Come farà il Dodo dopo il fallimento del tentativo del Topo (AA p.47). Cfr. AA p.46, nota 1: si tratta del libro di storia usato dalle sorelle Liddell. 100 16 17
A: Questa è la cosa più seccante che io conosca. (Bossi, rr.26-29); Ecco la cosa più seccante che conosco. (D'Amico, 20-23); Questa è la cosa più seccante che conosco. (Bianchi, rr.24-27); Ve la dico io la cosa che secca di più. (Busi, rr.19-22) Seccante ha in italiano un senso immediatamente figurativo18, corrispondente a “noioso”. Il pun risulta dunque dalla polisemia di seccarvi (r.12) e seccante (r.22) in D'Amico, da vi farò seccare (rr.10-11) e che secca (rr.21-22) in Busi, e da vi seccherò (rr.1415) e seccante (r.28) in Bossi. Si noti però che in Bossi la prima occorrenza di dry era doppiamente espressa da asciutti e da vi seccherò (v. sopra), e quindi il traduttore porta il lettore su una falsa pista per poi sorprenderlo con il pun. In D'Amico e Busi invece seccare ha un senso sospetto per il lettore, che sarà portato, proprio per la singolarità del termine all’interno del contesto, ad aspettarsi qualcosa da quella parola. Dopo aver letto la continuazione del pun (AA rr.20-22) il senso di seccare o seccarvi in Busi (r.11) e D'Amico (r.12) non lasciano dubbi: il senso figurato ha il sopravvento sin dall’inizio. In Busi inoltre abbiamo la cosa che secca di più, un’esplicitazione di seccante, espressione che avvalora l’ipotesi del senso figurativo già avanzata dal lettore in precedenza.
Cfr. Devoto - Oli: “Seccante 1. agg. Di sostanza che provoca o facilita l’essiccazione (variante pop. di essiccante, anche come s.m.). 2. agg. (fig.). Sgradevole, noioso; che arreca fastidio o molestia: Dio! quant’è s. quel tuo amico!; spesso con valore neutro: è s. aspettare due ore in piedi, sarebbe molto s. se dovessi ripetere l’anno. (Participio pres. di seccare).” 101
18
Nel testo originale nulla, fino a AA r.11, lascia sospettare che l’autore voglia presentarci un pun. Tutto corre liscio. Il Topo è una persona autorevole, di lui ci possiamo fidare. Il Topo saprà certamente il da farsi. Quel che non sappiamo è che probabilmente il Topo di Alice è un antenato del Topo di biblioteca di una delle storie di Rodari19. Lo scopriamo solo in seguito, quando ci rendiamo conto che il metodo escogitato dal Topo consiste nel leggere un libro di storia, effettivamente “the driest thing” che possa esserci. Ma ciò che fa ridere il lettore inglese è questo disvelamento improvviso, non la sua anticipazione. Bossi, nel riportare una tautologia (rr.12-15) in corrispondenza della prima occorrenza di dry, ha invece cercato di seguire il procedimento dell’autore, seppure con maggior dispendio di parole laddove tutto rimaneva implicito.
B: Questa è la cosa più asciutta che conosca. (Carano, rr.22-25); Eccovi qualcosa di molto asciutto.(Graffi, rr.25-28) In queste due versioni abbiamo due usi apparentemente simili di asciutto per dry. In realtà la differenza è data dal contesto: la versione di Carano, più letterale (questa è la cosa più asciutta), rimanda a qualcosa che viene dopo (riferimento cataforico); la versione di Graffi ci trae in inganno. Se tralasciamo, per il momento, 19 Cfr. Gianni Rodari, «Il topo che mangiava i gatti», in Favole al telefono, Einaudi, 1993, pp.120-3. 102
la prima parte del pun, nella versione di Graffi, fino alla frase che stiamo esaminando adesso, ci si aspetta l’arrivo di un asciugamano o di vestiti asciutti (qualcosa di molto asciutto, appunto). La soluzione del pun avverrà quando il Topo inizierà la lettura. Il lettore viene tenuto in allerta però dalla prima parte del pun (Graffi rr.13-17), in cui il Topo minaccia di lasciare secchi i suoi compagni di sventura. Entrambi i traduttori hanno usato, in questa seconda occorrenza di dry, il senso letterale di asciutto (anche se in Carano la lettura è più ambigua). Il pun viene quindi ritardato e rimandato alle successive parole del Topo. C: Questo è il tono più asciutto che conosca. (Giglio, rr.26-29); Questo è il sistema più
asciutto che conosca. (Galasso e Kemeni, rr.25-28) I traduttori utilizzano la polisemia di asciutto modificando il testo. Già Galasso e Kemeni definiscono (the driest) thing come il sistema (più asciutto), facendo risuonare in modo eccentrico le parole del Topo all’interno del contesto in cui esse sono pronunziate. Se stessimo parlando seriamente, diremmo mai “Questo è il sistema più asciutto”? Semmai diremmo “il sistema più efficace, più sicuro”, non quello più asciutto. Questa singolarità è come una segnale d’allarme per il lettore. Ma non è ancora il pun. A mio parere, nel testo originale il pun viene svelato già nella seconda occorrenza di dry, perché il cotesto fa percepire immediatamente la polisemia: make 103
sb. dry non poteva essere interpretato (al di fuori di Wonderland) altrimenti che fare asciugare qualcuno (anche perché la situazione ci presenta i personaggi bagnati), e invece the driest thing significa allo stesso tempo la cosa più asciutta, più secca nel senso letterale del termine (ma cosa significa: la cosa più asciutta?), e anche la cosa più noiosa. A questo punto il lettore non dovrebbe avere più dubbi: quel che viene poi è consequenziale, essendo la cosa più noiosa. La versione di Giglio presenta un problema ulteriore, legato strettamente al termine scelto. Cosa si può definire asciutto? Rifacendoci alla definizione del Devoto-Oli, troviamo anche, nel senso figurato, laconico, categorico, brusco. Questi sensi non si possono applicare alla lettura di un brano del libro di storia inglese. Il traduttore ha quindi deciso di riferirlo a tono. La decisione ha delle conseguenze pesanti sul testo, perché asciutto non definisce più qualcosa di oggettivo nel testo (quel che segue, cioè la lettura), ma il tono della voce del Topo, completamente lasciato all’immaginazione del lettore nell’originale. Dall’analisi di questa seconda parte, ricaviamo il seguente schema: Seccante (fig.)
Asciutto (lett.)
z
z
z
A
C
B
Galasso e Kemeni-Giglio
Graffi-Carano
D'Amico-Bossi-Bianchi-Busi 104
Asciutto (fig.)
Ma ancora, dopo aver esaminato le soluzioni scelte dai vari traduttori, resta da stabilire se dry nel suo senso figurato è adeguatamente reso dai sensi figurati di seccante e di asciutto. Poniamo che la traduzione immediata di dry in italiano nel senso figurato sia noioso20. Questa sbrigativa corrispondenza ci lascia insoddisfatti. In italiano infatti noioso indica sia fastidioso che pesante, che procura noia. Anche qui cogliere le sfumature risulta difficile, ma sembra che le forme scelte dai traduttori siano per certi versi inadeguate. Trovandosi di fronte alla scelta tra il significato delle parole e il gioco della polisemia in sÊ, tutti i traduttori hanno privilegiato quest’ultimo, trattandolo come una forma vuota da tradurre, non dando eccessivo peso al contenuto di essa.
20
Cfr. sopra, definizione di dry dall’OED. 105
Corpus III.02 AA, rr.13-45: “found it advisable —’” “Found what?” (...) “Found it, (...) of course you know what ‘it’ means.” “I know what ‘it’ means well enough, when I find a thing,(...) it’s generally a frog or a worm. The question is, what did the archbishop find?” (...) “ ‘—found it advisable to go (...)”
Siamo di fronte ad uno dei ‘nodi’ linguistici più celebri di Alice. Lecercle lo cita come “negative [instance] of syntactic mistakes that embody grammatical intuitions21” che quindi spinge alla riflessione sulle complesse funzioni grammaticali di it. Possiamo interpretare questo brano come un invito esplicito da parte dell’autore a riflettere ancora una volta sull’imprevedibilità e l’ambiguità formale del linguaggio. It è usato qui con tre funzioni differenti22: 1. cataforica (anticipatory ‘it’)
Î “found it advisable (...) to go” (AA, rr.13-14Æ43-44)
2. anaforica
Î “it” (AA, r.18) Å “the earls of Mercia and Northumbria
declared for him” 3. compl. oggetto
Î “found it advisable—” “Found what?” (AA, rr.13-16)
L’ambiguità di it viene messa in rilievo dalla presenza di un verbo altrettanto ambiguo, cioè polisemico (find) che (come l’italiano trovare) può avere un senso Lecercle, 1994, p.52 Cfr. analisi del passo in Berretta, 1979a, pp.242-3. 106 21 22
proprio ed uno figurato, e quindi adeguatamente essere usato per esprimere le opinioni dell’arcivescovo di Canterbury e il cibo preferito dall’Anatra. La nostra attenzione sarà dunque rivolta, per le traduzioni italiane, al trasferimento dell’ambiguità nel contesto linguistico italiano, sia per quanto riguarda la resa del verbo che del pronome. Notiamo innanzitutto che tutte le versioni italiane della nostra analisi tranne Bianchi traducono “found” (AA, r.13) con il corrispondente trovò. Bianchi invece rende questa prima occorrenza di found con il più specifico ritenne (r.14 e r.49) (sinonimo di trovare nel senso figurato), riservando il verbo trovare solo per le occorrenze in cui esso è inteso nel senso letterale (Bianchi, r.32 = AA, r.28). Notiamo anche una differenza oggettiva nella sintassi della frase: l’anticipatory ‘it’ non ha pieno corrispondente nella sintassi italiana. Come rendere in maniera discorsiva la presenza ingombrante (in italiano) di questo pronome che normalmente verrebbe tralasciato (in italiano)? D'Amico (rr.17-18) risolve il dilemma eliminando ogni traccia dell’it dell’originale e spostando, di conseguenza, il gioco di parole su opportuno. Si veda in proposito il commento di Berretta: “Inoltre [D’Amico], spostando il gioco di parole che costituisce la terza valenza di it nell’originale su opportuno (un elemento lessicale, si noti: è forse anche questa una forma di semplificazione), perde il collegamento di
107
questa parte con il resto, e modifica così gravemente il testo23.” D’Amico interpreta l’ambiguità di opportuno come un’ambiguità tra nome e aggettivo: a opportuno l’Anatra sostituisce un verme o una rana (AA, rr.32-33). Ma l’incomprensione qui è causata da ignoranza grammaticale, non da ‘sovraesposizione’ alla speculazione grammaticale. Bianchi, che, come abbiamo visto sopra, aveva annullato l’ambiguità di found al r.13, rende la frase con un costrutto esplicito (ritenne che fosse cosa opportuna, rr.1416) ottenendo un effetto ambiguo solo per quanto riguarda l’interpretazione cataforica ed anaforica, ma trascurando del tutto la terza valenza del pronome it e spostando il pun su cosa (r.17). Gli altri traduttori invece hanno scelto di fare i conti anche con la terza valenza di it che, come abbiamo visto, è essenziale per il testo. Non tutti vi sono riusciti, e comunque tutti hanno dovuto sacrificare una delle altre due valenze di it. In Giglio (rr.16-47), Galasso e Kemeni (rr.14-40), Carano (rr.15-40) e Graffi (rr.15-40) vengono rese in maniera adeguata le valenze di it come pronome anaforico e come complemento oggetto, mentre i traduttori hanno dovuto modificare il testo in corrispondenza di AA, rr.43-44 rispetto a AA, rr.13-1424, eliminando quindi una parte della ‘dimostrazione’ carrolliana dell’estrema
Berretta, 1979a, p.242, nota 14. Si confrontino parallelamente Giglio, rr.54-56; Galasso e Kemeni, rr.46-48; Carano, rr.47-48; Graffi, rr.47-49. 108 23 24
infingardaggine della lingua inglese. In Graffi la valenza cataforica è completamente annullata. In Bossi (rr.15-47) e in Busi (rr.14-40) la resa di it come complemento oggetto appare ottenuta in modo un po’ forzato. In entrambe, inoltre, come già abbiamo notato in Graffi, la valenza cataforica è annullata. I testi di arrivo risultano dunque, nel loro insieme, semplificati. La semplificazione è dovuta, come abbiamo visto, a difficoltà oggettive dovute al trasferimento di un elemento grammaticale che si rivela maggiormente polisemico in inglese rispetto all’italiano. I traduttori però hanno deliberatamente cercato di interpretare, di sciogliere, quei ‘nodi’, quelle trappole tese all’intelligenza del lettore, trappole che Carroll aveva teso di proposito, proprio per stimolare la riflessione sulla lingua da parte dei lettori.
109
Corpus III.03 AA, rr.1-2: “Mine is a long and a sad tale!” AA, rr.9-19: “It is a long tail, certainly,” said Alice, looking down with wonder at the Mouse’s tail; “but why do you call it sad?”
Il Topo introduce la sua storia (tale: /teil/), ma Alice viene distratta dalla sua coda (tail: /teil/) e fraintende tutto il racconto: quando poi il Topo comincia il racconto (Mouse’s Tale), Alice lo segue sulla sua coda (Mouse’s Tail). Si tratta dunque di un pun tipico, basato sull’omofonia tra tale e tail. Come si può osservare dall’effetto che la poesia ha sulla pagina25, oltre che dall’immagine, l’equivoco nasce dall’espressione idiomatica inglese a twist in the tale, corrispondente grosso modo all’italiano ‘colpo di scena’, in cui twist ha il significato figurato di “svolta”, ma è a sua volta sinonimo di bend (curva). Dunque Alice osserva ogni twist in the tale seguendo ogni twist in the tail 26. In inglese la perfezione del pun e la sua immediata efficacia sono fuori discussione. In italiano la difficoltà principale sta, come al solito, nel sostituire l’omofonia dell’originale con un’espressione ambigua in italiano. Storia (o racconto) e Notoriamente, si tratta di un calligramma, o, secondo Gardner, di un emblema sul tipo di quelli di Robert Herrick e George Herbert (Cfr. nota n.4 di Gardner, AA, p.50). 26 Questa suggestione è data anche dalla lettura di Elwyn Jones e Francis Gladstone, 1995, p.85-7: cfr. ad esempio p. 85: “Important points in the twisting structure she visualised were clustered at the bends in the tale.” 110 25
coda non sono omofoni. Ma entrambi gli elementi sono fondamentali per la narrazione e quindi devono essere mantenuti. Vediamo come è stato reso questo gioco nelle varie traduzioni, esaminando separatamente le parole del Topo (AA, rr.1-2) e la domanda di Alice (AA, rr.9-13).
A: “La mia è una storia lunga e triste!” (Bossi, rr.1-4); — La mia è una lunga e triste storia! (Galasso e Kemeni, rr.1-3); — La mia è una storia lunga e triste! (Carano, rr.13). In queste versioni viene introdotto solo il primo termine del pun, storia, corrispondente a tale. B: «La mia non è una di quelle storie senza capo né coda: è lunga e triste» (Giglio, rr.1-6); «La mia storia ha una coda lunga e triste!» (D'Amico, rr.1-4); «Sapeste che storia triste, con una lunga coda di interminabili vicende!» (Graffi, rr.1-6); «Il mio è un racconto triste, con una lunga coda!» (Bianchi, rr.1-5). Qui vengono introdotti entrambi i termini del pun. Il gioco di parole, non potendo consistere sull’omofonia, si basa qui sulla polisemia, sull’ambiguità semantica del termine coda, che è usato dal Topo nel suo senso figurato (come 111
sequenza interminabile di fatti) o (come in Giglio, rr.3-4) nel contesto di una frase idiomatica (senza né capo né coda). Si noti come l’utilizzo di un gioco di polisemia al posto dell’originale gioco di omofonia comporti un’estensione verbale, che va a discapito dell’effetto comico. Infatti pronunciando tale il Topo non associa alle sue parole anche tail: è Alice che “crea” l’equivoco nel suo orecchio, prima che nella sua mente.
C: “Il mio è un lungo codazzo di miserie,” (Busi, rr.1-4) In Busi abbiamo la sintesi dei due termini principali del pun nel termine codazzo, peggiorativo di coda, con significato figurato di “sequenza (=narrazione, storia) interminabile di fatti”. Il traduttore ha quindi cercato di utilizzare un solo termine per il pun e su questo fondare il gioco. È interessante notare come in Graffi e Bianchi gli aggettivi long e sad non sono attribuiti ad entrambi i termini del gioco, ma solo ai sostantivi cui si addicono normalmente: triste Æ storia; lunga Æ coda. Nella versione di Busi, l’aggettivo sad dell’originale viene incorporato nell’espressione “codazzo di miserie”.
112
Per quanto riguarda le parole di Alice, ‘luogo’ in cui è situato il punchline27 nell’originale, in italiano i traduttori devono in un certo senso giustificare l’equivoco. L’impresa non è da poco, perché in inglese il testo era scorrevole per il fatto che l’omofonia tale/tail giustifica di per sé l’errore di interpretazione della bambina. Venendo a mancare l’elemento di omofonia, la polisemia che risulta dalla maggior parte delle versioni italiane rende il pun un po’ forzato. Vi sono tuttavia differenze importanti tra le varie traduzioni. Nelle traduzioni del gruppo A (Bossi, rr.9-20; Galasso e Kemeni, rr.11-22; Carano, rr.8-17) il nesso tra storia e coda è dato soltanto dal fatto che Alice viene distratta dalla visione della coda del Topo, fatto che, da solo, non basterebbe a giustificare il gioco di parole. Nelle traduzioni del gruppo B (Giglio, rr.12-19; D'Amico, rr.10-18; Graffi, rr.12-25; Bianchi, rr.9-22), dove nelle parole del Topo erano stati introdotti entrambi i termini, il nesso è evidentemente legato al doppio senso di coda, favorito dalla scelta degli aggettivi lunga e triste. Giglio (rr.14-17) elimina addirittura il riferimento visivo alla coda del Topo presente nell’originale (AA, rr.13-17), imputando l’equivoco esclusivamente (ed esplicitamente) al fatto che Alice “non aveva capito bene”. Questo riduce l’immediatezza della narrazione e omette un Cfr. Chiaro, 1992, p.48: il punchline o punch è “the point at which the recipient either hears or sees something which is in some way incongruous with the linguistic or semantic environment in which it occurs but which at first sight had not been apparent.” 113
27
elemento dell’originale che non presentava particolari difficoltà di traduzione. Anche la versione di Bianchi (“Che la tua coda sia lunga non c’è dubbio [...] Ma che cosa c’entra con il racconto?”) tende ad esplicitare eccessivamente il pun, di fatto annullandolo. Per quanto riguarda la versione di Busi (rr.9-21), paradossalmente si può dire che è la più vicina all’originale, pur essendo profondamente diversa. Parlando di codazzo di miserie, il Topo non ha in mente la sua coda (tail), ma la sua storia (tale): Alice invece vede solo il suo codazzo (long tale) e non riesce a capire cosa esso abbia a che fare con le miserie (sad). Esattamente come l’Alice originale, l’Alice versione Busi viene confusa dal linguaggio prima ancora che dalla visione della coda del Topo.
114
Corpus III.04 AA, r.18: “I had not!” AA, rr.23Æ31-33: “A knot!” [...] “Oh, do let me help to undo it!” Dopo il racconto in forma di coda, abbiamo un nuovo equivoco tra il Topo e Alice, un’altra comunicazione frustrata. Anche questa volta, l’equivoco nasce dalla quasi omofonia tra I had not! (/aId’nQt/) e I’ve a knot (/aIv(@)’nQt/). Volenterosa, Alice cerca di rendersi utile, ma il Topo, stizzito, se ne va. Come riportano varie edizioni di Alice, anche quelle che costituiscono il corpus della nostra analisi, questa volta il gioco di parole di Carroll si esercita su un termine che ha un significato particolare: a knot, letteralmente ‘un nodo’, è per Carroll un enigma da sciogliere (esatto, da sciogliere), tanto è vero che più tardi, lo stesso Carroll utilizzò questa definizione per le soluzioni ai 10 problemi matematici pubblicati dapprima sul Monthly Packet e in seguito raccolti sotto il titolo A Tangled Tale28. Si noti che si tratta ancora di knots in a tale, anzi, in a tangled (‘intricata’) tale, che come abbiamo visto può essere benissimo una tangled tail. Ecco cosa spinse Alice a cercare di risolvere i nodi della questione! La nostra eroina è particolarmente attratta dai quiz (cfr. AA, p.95). Non
Cfr. AA, p.52, nota 6; la traduzione italiana è: Una storia ingarbugliata, trad. D.Valori, Astrolabio, Roma, 1969. 115
28
deve stupire dunque che Alice abbia capito solo quel che voleva capire delle parole del Topo. Come al solito, per i traduttori italiani si tratta di rendere adeguatamente l’omofonia carrolliana. Anche qui abbiamo osservato diversi comportamenti. A: — Assolutamente, no! [...] — Un nodo! — (Galasso e Kemeni, rr.18-19, 24); «Neanche per sogno!» [...] «Un nodo!» (D'Amico, rr.14-15, 20) In queste versioni l’equivoco non c’è. Si tratta di traduzioni letterali, che però risultano davvero nonsensical: doveva essere sorda o stupida, Alice, per non capire le perentorie parole del Topo! Il testo risulta inceppato e l’effetto sul lettore è di delusione, di aspettativa frustrata. B: “No davvero!” [...]“Un nodo!” (Bossi, rr.18-19, 23); “Lo noto!” [...] “Un nodo?” (Giglio, rr.16, 19); «No! Non noto niente!» [...] «Un nodo!» (Graffi, 22-23, 28); «No! Dovevo...» [...] «Un nodo!» (Bianchi, rr.16-17, 20).
116
Questo gruppo di traduzioni rende il gioco di parole dell’originale mantenendo l’invariant core29, costituito da knot. I procedimenti formali mediante i quali è stato ottenuto l’effetto finale sono di due tipi: 1. nel caso di Giglio, si tratta di uno scambio consonantico tra due suoni che differiscono del solo tratto distintivo sordo/sonoro (/t/ e /d/). Alice scambia la parola noto per nodo. 2. negli altri casi, si ha l’omofonia (perfetta nel caso di Graffi) o la quasi omofonia (negli altri casi) al di là dei confini delle singole parole. Alice è davvero disattenta e coglie solo ciò che le interessa delle parole pronunziate dal Topo, eliminando gli altri suoni. Tornando al passo esaminato, si noti come in Giglio (rr.16-20) viene fornita una spiegazione al lettore sulle ragioni dell’equivoco di Alice. Nell’originale tutto viene lasciato all’orecchio del lettore inglese, che si sente stimolato dall’autore e riderà anche perché soddisfatto della propria capacità di comprendere il testo, di rispondere alle intenzioni dell’autore. Nella versione di Giglio, invece, il nodo viene sciolto, sottraendo al lettore il piacere di trovarlo e comprenderlo da solo.
29
Cfr. Chiaro, 1992, p.92-ss. 117
C: — Ma no! — [...] — Mano? Ti sei fatto male a una mano? (Carano, rr.15, 18-20) In questa versione abbiamo la sostituzione del significato del pun. Mentre dal punto di vista formale si tratta dello stesso meccanismo osservato nel caso B.2, il termine knot viene sostituito da mano. La sostituzione appare piuttosto arbitraria, visto che non si fa riferimento alle mani del Topo all’interno del testo. Abbiamo visto l’importanza del termine knot per l’autore: questo elemento non dovrebbe andare perduto. D: “Mi prendi in giro?” [...] “No, davvero: a zig-zag” (Busi, rr.15-16, 19-21). La versione di Busi merita attenzione particolare. Come si vede dal passo inserito nel corpus, il traduttore si prende la libertà di sostituire il pun dell’autore con un gioco di botta e risposta basato sulla non volontà di Alice di mantenere la conversazione con il Topo. Alice infatti interpreta tutte le parole del Topo alla lettera, anche se il Topo parla invece per metafore o per frasi fatte. Vale la pena di estendere la citazione per cogliere tutto il gioco: “Mi prendi in giro?” urlò il Topo su tutte le furie. “No, davvero: a zig-zag” disse Alice, precisina come sempre. 118
“Cerca di rigare dritto!” disse il Topo balzando in piedi e allontanandosi. “Mi stai oltraggiando con i tuoi nonsensi!” “Ma io non intendevo!” supplicò la povera Alice. “Sai che hai una bella coda di paglia?” Il Topo per tutta risposta emise solo un borbottio. “Torna qui, ti prego, a scodinzolare le tue miserie!” gli gridò dietro Alice. E tutti le fecero eco: “Sì, dài, per la miseria!” Ma il Topo si limitò a scuotere la testa e accelerò il passo.30
È un vero gioco pirotecnico di parole, in cui avviene l’assassinio della metafora (si badi bene, da parte di Alice), caratteristica fondamentale del genere nonsense. Abbiamo prima il terzetto “in giro” - “a zig-zag” - “dritto”, poi torna in campo la coda del Topo (si noti che il Topo se ne sta andando, quindi la sua coda è l’elemento più evidente) che non può essere che una “coda di paglia”. E quando Alice richiama il Topo, gli chiede di “scodinzolare le (sue) miserie”31. Naturalmente, l’esclamazione degli altri personaggi doveva essere intesa come: “Fallo per la tua miseria!”, ma le parole esatte sono “Sì, dài, per la miseria!”. L’effetto sul lettore è esilarante, forse addirittura migliore dell’originale, ammesso che Busi non abbia esagerato. Viene perduto ogni riferimento a knot, anche se il legame testuale non ne risulta alterato: la coda è ancora l’elemento che 30 31
Busi, p.49, grassetto mio. Si ricordi che il traduttore aveva usato l’espressione “codazzo di miserie”, cfr. III.03. 119
distrae Alice, come nell’originale, e il fatto che essa sia a zigzag costituisce il punto di partenza per la serie di botta e risposta. Il testo risulta dunque scorrevole e naturale per il lettore italiano.
120
Corpus IV.01 AA, rr.6-24: “And when I (1) grow up, I’ll write one — but I’m (2) grown up now [...] at least there’s no room to (3) grow up any more here.” “But then, [...] shall I never (4) get any older than I am now?” Alice, incastrata nella casa da dove non sa più come uscire, ragiona sulla fantastica avventura che le sta capitando. Ma il nonsenso si intrufola anche tra le sue parole: la logica della bambina è sul filo delle parole. Il risultato è un paradosso che preoccupa moltissimo Alice. Ancora una volta, si tratta della polisemia del verbo grow up32: to grow up to get older
to get bigger
crescere in età
crescere in statura, fisicamente
diventare adulti
diventare più alti, più grossi crescere diventare grandi
Nel testo originale la polisemia segue una struttura chiasmica: Alice usa il verbo grow up in (1) con il senso di “get older”, poi reso esplicito in (4) da get older (AA, 22-23), invece in (2) e (3) il verbo ha il significato di “get bigger”. 32
Cfr. analisi di Berretta, 1982, p.233. 121
Anche in italiano crescere e diventare grandi è polisemico, in modo analogo all’originale. Nessuna difficoltà, sembrerebbe, per i traduttori. Ma oltre al versante del significato, parte integrante del testo è la struttura formale del ragionamento di Alice. Se dal punto di vista del significato abbiamo questa struttura: xyyx
dal punto di vista del significante troviamo invece questo schema: aaab
(in cui x = {get older}, y = {get bigger}, a = “grow up”, b = “get older”). Occorre esaminare i quattro punti del ragionamento di Alice in modo parallelo. (xa) AA, rr.7-8: when I grow up A: quando sarò cresciuta (Bossi, rr.7-8); quando crescerò (Giglio, rr.7-8) B: quando diventerò grande (Galasso e Kemeni, rr.9-12); quando sarò grande (D'Amico, rr.6-7; Graffi, rr.8-9; Bianchi, rr.8-9); quando divento grande (Carano, rr.4-5); Da grande (Busi, r.7)
122
(ya) AA, rr.9-11: but I’m grown up now A: sono bell’e cresciuta (Bossi, rr.10-12); io sono cresciuta (Giglio, rr.1011) B: sono grande adesso (Galasso e Kemeni, rr.14-16), sono già grande (D'Amico, rr.9-10), io sono grande adesso (Carano, rr.10-12; Bianchi, rr.12-13); io sono già grande (Graffi, rr.11-12); io sono già grande adesso (Busi, rr.1013).
(ya) AA, rr.15-18: there’s no room to grow up any more here A: se crescessi ancora non so davvero come farei a stare qua dentro (Bossi, rr.12-16); qui non c’è proprio spazio per crescere ancora (Giglio, rr.10-13), qui almeno non c’è più spazio per crescere ancora (Galasso e Kemeni, rr.12-15); qui dentro di spazio per crescere non ce n’è più (D'Amico, rr.10-13); qui non c’è spazio per crescere ancora (Bianchi, rr.12-14) B: qui non c’è spazio per diventare più grande (Carano, rr.10-13); non c’è spazio per diventare più grande di così, qui (Graffi, rr.12-15); qui non c’è spazio per diventare ancora più grande (Busi, rr.11-14)
(xb) AA, rr.16-18: shall I never get any older than I am now? 123
A: vuol forse dire che non crescerò più? (Graffi, rr.18-20) B: chissà se diventerò mai più grande di adesso? (Bianchi, rr.16-19) C: non diventerò mai più vecchia di come sono adesso? (Giglio, rr.16-19); non diventerò mai più vecchia di quel che sono ora? (Galasso e Kemeni, rr.17-20); vuol dire che non diventerò mai più vecchia di così (D'Amico, rr.15-18); non diventerò mai più vecchia di quel che sono adesso? (Carano, rr.15-18); questo significa che non diventerò mai più vecchia di così (Busi, rr.16-20) D: i miei anni non aumenteranno più? (Bossi, rr.18-20)
Come risulta da un esame incrociato, non tutti i traduttori hanno rispettato la struttura dell’originale. Provando a tracciare gli schemi delle traduzioni esaminate, si ottiene: (1)
(2)
(3)
(4)
X= {get older},
AA
xa
ya
ya
xb
Y = {get bigger};
Bossi
XA
YA
YA
XD
Giglio
XA
YA
YA
XC
Galasso e Kemeni
XB
YB
YA
XC
C= “diventare più
D’Amico
XB
YB
YA
XC
vecchia”,
Carano
XB
YB
YB
XC
Graffi
XB
YB
YB
XA
Bianchi
XB
YB
YA
XB
Busi
XB
YB
YB
XC
124
A= “crescere”, B= “diventare/essere grande”,
D= “i miei anni non aumenteranno più”
Come si vede, in Galasso e Kemeni, D'Amico e Bianchi la struttura del significante non è stata rispettata: questo toglie forza e scorrevolezza al testo. Inoltre, in Graffi e Bianchi l’ultimo termine del ragionamento (4) è polisemico come i precedenti (anzi in Bianchi viene usato lo stesso termine che era già stato usato in (1) e (2), mentre nella versione originale (4) dà la chiave del ragionamento di Alice, esplicitando almeno uno dei sensi di grow up. La forza nonsensica dell’originale sta nella logica usata da Alice, portata all’estremo (e proprio per questo assurda). La bambina eguaglia i due significati di grow up, ignorando la differenza tra get older e get bigger. Si tratta dunque di trasferire nel testo italiano questa coerenza logica, usando gli stessi termini per tre volte in corrispondenza delle tre occorrenze di grow up e invece di tradurre get any older in modo che non lasci equivoci.
125
Corpus VI.01 AA, rr.2-12: the earth takes twenty-four hours to turn round on its axis—” “Talking of axes,” said the Duchess, “chop off her head!” Anche qui si tratta di omofonia, in particolare tra “axis” /aksIz/ (asse terrestre) e “axes” /aksɪz/ (asce)33. Tutte le traduzioni tranne Galasso e Kemeni sostituiscono la coppia con “asse”/“asce” (che la Duchessa abbia ascendenze romagnole?). In Galasso e Kemeni (“asse”/“assi”, rr.7-8) abbiamo un’interessante traduzione che porta assai lontano. In Alice si parla di asse terrestre, di asce per mozzare le teste, ma anche di assi, intesi come carte da gioco che hanno uno come valore facciale. Non siamo in grado di stabilire se questo terzo significato sia stato intenzionale34. Come interpretare allora le parole della duchessa? Può non voler sentire parlare di assi, perché la sola parola le ricorda la Regina di cuori, personaggio che lei odia. In ogni caso si tratta di un abuso nei confronti del testo originale.
La Duchessa sente nelle parole di Alice solo quel che ama sentire: si noti che la situazione è simmetrica a quanto esaminato in III.03, in cui era Alice che riusciva a cogliere (involontariamente?) nelle parole del Topo solo quel che vuole sentire. In questo capitolo, come in quello precedente, la situazione è invertita. 34 Più probabilmente, si tratta di un errore, perché axes può essere il plurale sia di axis (asse) che di axe (ascia), e quindi può essere sia assi che asce. Nel contesto però è evidente che si tratta di asce, uno degli strumenti più adatti alla decapitazione (AA, rr.11-12). 126 33
Corpus VI.02 AA, rr.1-2: “Did you say pig, or fig?”35 Alice’s Adventures in Wonderland è pieno di episodi potenzialmente metalinguistici, il più noto dei quali è la domanda del Cheshire Cat: “Hai detto ‘pig’ o ‘fig’?”, in cui la tesi strutturalista fondamentale sulla fonologia, il valore differenziale dei fonemi, è incorporato nella forma della prova consueta per il valore differenziale, una coppia minima36.
Questo passo è un esempio di come l’attenzione del nonsense per il linguaggio non sia cosa da poco37. Per i traduttori italiani si tratta di adattare il gioco di parole (si tratta infatti di uno scambio di consonanti) alla lingua italiana, mantenendo come invariant core il termine pig38, e variando di conseguenza l’altro termine.
Questa frase è stata citata da Jakobson (1985, p.25) come esempio di coppia minima. Lecercle, 1994, p.35: “Alice’s Adventures in Wonderland is full of potentially metalinguistic episodes, the best known of which is the Cheshire Cat’s question: “Did you say ‘pig’ or ‘fig’?”, in which the crucial structuralist thesis on phonology, the differential value of phonemes, is embodied in the guise of the usual test for differential value, a minimal pair.” 37Lecercle (1994) parla di funzione metalinguistica della letteratura nonsense: “nonsense [...] functions as metalanguage” (p.35) 38 Nello stesso capitolo, Alice tiene in braccio un bimbo che si trasforma in un maialino (pig). 127 35 36
AA Bossi Giglio
pig (r.2) porcello (r.3) maiale (r.2)
fig (r.2) portello (r.4) caviale (r.3)
Galasso e Kemeni D'Amico Carano Graffi
porcello (r.2) porcello (r.2) porcellino (r.2) porcello (r.2)
pestello (r.3) ombrello (r.3) parcellino (r.3) forcella (r.3)
Bianchi Busi
porcellino (r.2) porco (r.1)
porcino (r.3) orco (r.2)
scambio consonantico scambio consonantico scambio consonantico + zeppa (rima) allitterazione + rima rima scambio vocalico doppio scambio consonantico/vocalico + assonanza falso diminutivo scarto di consonante
Nel caso dello scambio consonantico o vocalico (Bossi, Carano), siamo di fronte allo stesso procedimento dell’originale. In altri casi si tratta di ‘variazioni sul tema’ dello scambio consonantico (Giglio, Graffi). Nel caso di Busi si tratta di una sorta di scambio consonantico in absentia (scarto). Le soluzioni basate su rima o assonanza (Galasso e Kemeni e D'Amico) sono accettabili. Si noti che il Cheshire Cat può non aver sentito bene, quindi la differenza tra le due parole deve essere minima: in questo senso sembra fuori luogo la soluzione di Bianchi, per altri versi originale.
128
Corpus VII.01 AA, rr.11-13: “He’s murdering the time!” Questa espressione, come Gardner spiega nella nota al testo, significa “mangling the song’s meter” 39, cioè andare fuori tempo (il Cappellaio stava infatti cantando la canzone Twinkle teinkle little bat)40. Ovviamente qui il gioco sta nel fatto che il Cappellaio intende questa frase, pronunciata dalla Regina di Cuori sul suo conto, in maniera letterale, come a dire “sta uccidendo il Tempo” (che per lui è una persona). Vediamo come si sono comportati i traduttori italiani. A: Sta assassinando il Tempo! (Bossi, rr.11-13; Giglio, rr.11-13; D'Amico, rr.9-11; Carano, rr.13-15); Quello il tempo lo assassina! (Bianchi, rr.12-14) La traduzione letterale, con la scelta del verbo assassinare, non pone alcun problema. È polisemica analogamente all’originale. AA, p.99, nota 7 (“straziare il metro della canzone”). È interessante notare però che nella traduzione italiana della stessa edizione curata da Gardner (Carroll, 1971, p.101, nota 10) e tradotta da D'Amico, la nota riporta invece: “L’espressione contemporanea equivalente è «ammazzare il tempo» («killing the time»), che vale «passare il tempo senza costrutto»- Qui la frase allude anche allo scempio perpetrato dal Cappellaio sul ritmo della canzone.” 129
39 40
B: Sta ammazzando il tempo! (Galasso e Kemeni, rr.13-15); ‘Staàm — mazzàndoiltémpò! Bò — ìadàc —ciuntàgliò!’ (Busi, rr.14-18) In queste due versioni, lontanissime tra loro dal punto di vista formale, la suggestione data al lettore è deviante rispetto all’originale. Ammazzare il tempo non è uguale ad assassinare il tempo: in questa versione l’espressione della Regina di Cuori viene ricollegata al rimprovero di Alice41. È certamente possibile che nel testo originale vi sia anche questa suggestione, ma il contesto in cui la Regina pronunzia questa frase rende più immediato il collegamento con l’andare fuori tempo, che con lo sprecare il tempo. Nella versione di Busi si noterà la resa piuttosto ‘colorita’ del testo originale. Letto in questa versione, il testo può assumere anche questo significato: (il Cappellaio) sta ammazzando il tempo: Boia! (esclamazione) dacci un taglio (alla canzone). C: È fuori tempo! (Graffi, rr.10-11)
Questa traduzione rende il senso primario dell’espressione originale, ma non dà modo di connettere questo passo con il testo precedente, in cui il Cappellaio spiega che ha avuto una lite col Tempo (AA, p.98). AA, p.97: “I think you might do something better with the time,” she said, “than wasting it in asking riddles that have no answers.” 130 41
Corpus VII.02 AA, rr.1-22: “Take some more tea,”[...] ““I’ve had nothing yet, [...] so I can’t take more.” “You mean you can't take less,[...] it’s very easy to take more than nothing.” Questo passo, che per il lettore è un gioco di parole, ma che per Alice è quasi un dramma pirandelliano, è basato ancora una volta sulla polisemia di una parola banale, in inglese (more), che a seconda del contesto può valere sia ‘di più’ sia ‘ancora’. {ancora} Take some more tea {di più}
I’ve had nothing yet
so I can’t take more
You mean you can't take less
it’s very easy to take more than nothing
(Alice)
(Mad Hatter)
Come si vede, due significati per una stessa parola aprono la via a due ragionamenti opposti e paralleli, perfettamente logici e contraddittori entrambi.
131
A: “Prendi un po’ più di te,” (Bossi, rr. 1-2); -Bevi più tè, (Galasso e Kemeni, r.1); «Prendine un po’ di più,(...) di tè» (Graffi, rr.1-9); “Ma prendine di più di tè” (Busi, rr.1-2) Tradurre l’espressione Take some more tea in modo letterale, cioè conferendo al termine more il significato che normalmente avrebbe staccato dal contesto in cui si trova, significa svelare anzitempo il gioco di parole, perché la frase suonerebbe sospetta al lettore italiano (in una situazione del genere, non si dice “Prendi più tè”). Allo stesso tempo il ragionamento di Alice non risulta fortemente legato al testo (come invece è). D’altro canto però la traduzione ‘letterale’ rende possibile il gioco di parole tra more e less (AA, rr.10-15), che viene dunque giocato su di più/di meno.
B: «Prendi un altro po’ di tè» (Giglio, rr.1-3); «Prendi dell’altro tè» (D'Amico, rr.1-2); -Prendi un altro po’ di tè (Carano, rr.1-3); Prendi ancora un po’ di tè (Bianchi, rr.1-3) Altri traduttori hanno naturalizzato il testo, usando l’espressione più comune in italiano. La prosecuzione del doppio ragionamento risulta però compromessa. Carano, per ovviare a questa difficoltà, ha deciso di trasferire il gioco sul verbo prendere, che viene ritorto contro Alice dalle parole del Cappellaio: “—Vuoi
132
dire che non puoi darne se mai, — disse il Cappellaio — ma prenderne un altro po’ è facilissimo se non ne hai avuto niente” (Carano, rr.13-20). Corpus VII.03 AA, rr.4-45: (a) they were learning to draw; (b) “What did they draw?” (c) Where did they draw the treacle from? (d) You can draw water out of a water-well (e) you could draw treacle out of a treacle-well
Anche qui abbiamo un gioco di parole basato sulla polisemia, sull’ambiguità semantica del verbo draw. Questo gioco verrà continuato per alcuni capoversi, fino alla pagina seguente. Il passo, esaminato in Berretta (1982, p.232-3), è stato affrontato dai traduttori in modi diversi. Data la prosecuzione del gioco all’interno del testo, esamineremo qui la prima parte riservandoci di commentare l’intero passo in VII.05.
133
a-b Bossi (imparavano a d is eg na re rr.4-5; “Che cosa dis eg nav a n o ?” rr.7-8) {disegnare}
D'Amico (stavano imparando a d is eg na re rr.3-6; «E che d i s eg na v a n o?» rr.7-8) Graffi (imparavano a di seg n ar e rr.3-5: «Che cosa d i seg n a v a n o?» rr.6-7) Giglio (impararono a tir ar f u or i rr.3-4; «Che cosa [tir a va n o fu or i]?» r.5)
draw
{tirar fuori}
Galasso e Kemeni (imparavano a tira re s u rr.4-6; — Cosa ti ra v an o? rr.6-7) Carano (stavano imparando a e st rar re rr.3-5; — Cosa estraevano? rr.7-8) Bianchi (stavano imparando a tr arr e e a rit ra rr e rr.3-6; «E che cosa traev a no e rit ra ev a n o?»
ambiguità
rr.7-9) Busi (stavano imparando a di se g n are sc h iz z i, rr .4-7; “S c h iz z i di che cosa?” rr.8-9)
c Giglio (Da dove ti rav a n f u ori la melassa? rr.25-27) Galasso e Kemeni (Da dove tir av an o s u la melassa? rr.27-29) {tirar fuori}
D'Amico (Da dove es tra ev a n o la melassa? rr.27-29) Carano (Da dove es tra ev a n o la melassa? rr.29-31) Bianchi (Da dove la t raev a no , la melassa? rr.30-33)
draw
Bossi (Da dove atti ngev a n o p e r di s eg nar e la melassa? rr.29-33) ambiguità
Graffi (Da dove pre nd ev a n o la melassa per d is eg na rla ? rr.30-34) Busi (Da dove li pr e nd ev a n o questi sc h iz z i di melassa? rr.28-32)
134
d- e Bossi (Si può a tti ng e re l’acqua da un pozzo d’acqua [...] mi pare che si possa at ti ng er e la melassa da un pozzo di melassa rr.34-46) Giglio (Se da un pozzo d’acqua si tira f u or i l’acqua, [...] è chiaro che da un pozzo di melassa si tira f u or i la melassa rr.28-38) Galasso e Kemeni (Si può ti ra r s u l’acqua da un pozzo d’acqua [...] penserei che è possibile tira r s u la melassa da un pozzo di melassa rr.30-42) {tirar fuori}
D'Amico (Come si e st rae l’acqua da un pozzo [...] si potrà e str ar r e la melassa da un pozzo di melassa rr.30-38) Carano (Tu e st rai l’acqua da un pozzo d’acqua, no? [...] perciò direi che tu puoi e st rar re la melassa da un pozzo di melassa rr.32-42) Graffi (Sai come si pr e nde l’acqua da un pozzo d’acqua? [...] Allo stesso modo p re nd i la melassa
draw out
da un pozzo di melassa rr.35-46) Bianchi (Se puoi t ra rr e l’acqua da un pozzo d’acqua [...] dovresti capire che puoi tra r re la melassa da un pozzo di melassa rr.34-45) ambiguità
Busi (Se si possono pr e nd er e sc h iz z i d’acqua da un pozzo d’acqua [...] converrai che si potranno anche pre nd e re sc h iz z i di melassa da un pozzo di melassa rr.33-47)
Seguendo le indicazioni di Berretta (1982, p.232-3) possiamo notare come nella maggior parte dei casi (con le eccezioni di Bianchi e Busi) i traduttori tendono a scegliere di volta in volta un significato specifico di draw a seconda del contesto in cui si trova, semplificando notevolmente il testo di arrivo rispetto all’originale. Giglio, Galasso e Kemeni, e Carano cercano di mantenere una coesione testuale 135
usando sempre lo stesso termine non ambiguo, anche quando il contesto richiederebbe l’altro termine. Corpus VII.04 AA, rr.1-13: “But they were in the well,” [...] “Of course they were [...] —well in.” Il gioco di parole questa volta è dato da uno scambio nell’ordine delle parole tra in the well e well in, quindi ancora una volta sulla polisemia di well, come sostantivo (“pozzo”) e come avverbio (“bene”, letteralmente “ben dentro”). I traduttori hanno agito in quattro modi diversi: A: “Ma erano dentro il pozzo,” [...] “Certo, [...] ben dentro.” (Bossi, rr.1-12); — Ma se le tre sorelle erano in fondo al pozzo [...] —Certo che lo erano [...] e in fondo anche. (Galasso e Kemeni, rr.1-14); «Ma loro erano già dentro al pozzo» [...] «Certo [...] ben dentro.» (D'Amico, rr.1-13) La traduzione letterale dell’espressione inglese non rende affatto il gioco di parole dell’originale.
136
B: «Ma se erano in fondo al pozzo!» [...] «Certo che c’erano, e ci stavano bene!» (Giglio, rr.115) Questa versione non è letterale, ma ugualmente non rende il gioco di parole dell’originale. C: «Ma loro erano in fondo al pozzo» [...] «Certo [...] nel fondo profondo del pozzo» (Graffi, rr.1-15); «Ma loro erano in fondo al pozzo» [...] «Certo che c’erano,[...]... in fondo al fondo profondo» (Bianchi, rr.1-15) In queste versioni il gioco è trasferito sulla ripetizione con variazione semantica di fondo e profondo, che si avvicina del resto al significato dell’originale. D: — Ma loro stavano dentro a un pozzo [...] — Certo che ci stavano [...] ...e gli piaceva un pozzo! (Carano, rr.1-14); “Ma loro stavano dentro il pozzo!” [...] “Ma certo che stavano dentro il pozzo, [...] non farmi uscire pozzo!” (Busi, 1-16) In queste due versioni, il gioco di parole viene reso sempre su pozzo, ma in due modi diversi. In Carano abbiamo la ripresa di pozzo in senso figurato nelle parole del Ghiro (lo stesso gioco si sarebbe potuto fare per sacco, contenuto 137
nell’espressione mi piace un sacco). Nella versione di Busi invece abbiamo una storpiatura, pozzo per pazzo, con scambio di vocale. Il gioco di parole acquista significato anche perché ci troviamo in un contesto di pazzia dilagante, presente sin dal titolo del capitolo. Corpus VII.05 AA, rr.1-3: (a)“They were learning to draw,” AA, rr.11-17: (b)“they drew all manner of things—everything that begins with an M—” AA, rr.40-58: “—that begins with an M, such as mouse-traps, and the moon, and memory, and muchness — you know you say ‘much of a muchness’ — did you ever see such a thing as (c) drawing of a much of a muchness!”
Qui sono presenti due nodi per i traduttori. Il primo è la prosecuzione del gioco di parole esaminato in VII.03, basato sulla polisemia del verbo draw. Abbiamo questa situazione:
138
a-b Bossi (Imparavano a di s eg nar e, [...] e dis eg nava n o ogni sorta di cose rr.1-12 {disegnare}
D'Amico (Imparavano a di se g n are [...] e d is eg nav a n o ogni genere di cose... rr.1-13) Graffi (Imparavano a dis eg na r e [...] e dis eg nav a no ogni genere di cose, rr.1-13) Giglio (Imparavano a ti ra r f u o r i [...] e ti rav a n o f u o ri cose di ogni genere, rr. 1-12)
{tirar fuori} draw
Galasso e Kemeni (Stavano imparando a tir ar s u, [...] quindi t ir av an o s u cose di ogni sorta rr.1-14) Carano (Impararono ad e str ar re, [...] Ed estr as s er o un sacco di cose rr.1-13) Bianchi (Stavano dunque imparando a trar re e a r itr ar re [...] e r itra ev a n o ogni sorta di cose
ambiguità
rr.1-15)42 Busi (Imparavano a di se g nar e s c h iz z i [...] e sc h iz z a v a n o cose di ogni genere rr.1-14)
c Bossi (hai mai visto il di se g no [...] rr.47-49) {disegnare}
D'Amico (avete mai visto il di se g n o [...] rr.47-49) Graffi (ti è mai capitato di vedere qualcosa che fosse il di s eg n o [...] rr.48-53) Giglio (avete mai visto ti ra r f u o r i [...] rr.50-51)
draw
{tirar fuori}
Galasso e Kemeni (hai mai visto tir ar s u da un pozzo [...] rr.51-53) Carano (hai mai visto u n ’e st r a z io n e [...] rr.47-49)
ambiguità
Bianchi (Hai mai visto in vita tua il rit ratt o [...] rr.56-58) Busi (Hai mai visto lo sc h iz z o [...] rr.54-55)
42
Questa volta l’ambiguità è meno decisa, ma rimane nel trarre e ritrarre, legati da etimologia comune. 139
Come risulta dall’esame continuato dei due passi, le soluzioni scelte dai vari traduttori sono piuttosto diversificate, oscillando da un massimo di ambiguità ad un massimo di non ambiguità. È chiaro che il testo originale fondava il gioco di parole proprio sul mantenimento dell’ambiguità di draw fino alla fine, tanto più che, come vedremo, da essa dipende anche il crescendo di nonsense negli oggetti con la M che il Ghiro nomina (AA, rr.43-47). Basandoci anche su quanto esaminato in VII.03, possiamo stabilire il grado di ambiguità nelle varie versioni.
VII.03 a-b
VII.03 c
VII.03 d
VII.05 a-b
VII.05 c
Bossi
{disegnare}
ambiguità
{tirar fuori}
{disegnare}
{disegnare}
Giglio
{tirar fuori}
{tirar fuori}
{tirar fuori}
{disegnare}
{disegnare}
Galasso e Kemeni
{tirar fuori}
{tirar fuori}
{tirar fuori}
{tirar fuori}
{tirar fuori}
D'Amico
{disegnare}
{tirar fuori}
{tirar fuori}
{disegnare}
{disegnare}
Carano
{tirar fuori}
{tirar fuori}
{tirar fuori}
{tirar fuori}
{tirar fuori}
Graffi
{disegnare}
ambiguità
ambiguità
{disegnare}
{disegnare}
Bianchi
ambiguità
ambiguità
{tirar fuori}
ambiguità
ambiguità
Busi
ambiguità
ambiguità
ambiguità
ambiguità
ambiguità
Dunque abbiamo: 140
+ ambiguo
•
•
Busi Bianchi
— ambiguo
•
•
Bossi-Graffi Giglio-D'Amico
• Galasso e Kemeni-Carano
Il secondo nodo riguarda invece le parole con la M che le tre sorelline che vivevano in fondo al pozzo di melassa, nel racconto del Ghiro, drew (AA, rr.11-17, e rr.40-47). Il motivo per cui si tratta solo di cose con la M è spiegato dalla March Hare (che inizia appunto per M): “Why with an M?” said Alice. “Why not?” said the March Hare. Nell’originale dunque, le cose che iniziano con la M sono: mouse-traps (AA, r.43), moon (AA, r.45), memory (AA, r.46), muchness (AA, r.47). Tutti i traduttori italiani della nostra analisi hanno accettato le premesse del Ghiro43, anche se non tutti si sono comportati di conseguenza: D'Amico infatti ha tradotto letteralmente i quattro termini non tenendo più conto dunque della condizione enunciata precedentemente (D'Amico, rr.38-42; la traduzione di muchness pone problemi diversi). Potevano infatti scegliere un’altra lettera: nella sua traduzione in francese, Henri Parisot ha cambiato la M in L, lasciando invariato il termine lune (per moon) e mutando di conseguenza le altre parole. 141
43
Come si vedrà dalle scelte dei traduttori, la premessa del Ghiro (“everything that begins with M”, AA, rr.15-17), vista attraverso le traduzioni, darà risultati diversi, perché l’insieme delle “cose che iniziano con la M” saranno diverse da una lingua all’altra44, una considerazione in linea con le idee di Lewis Carroll. Delle prime tre parole indicate dal Ghiro, solo memory ha un corrispondente letterale accettabile in italiano (memoria) che tiene conto delle premesse, e infatti viene mantenuta in tutte le versioni italiane. Per quanto riguarda le altre parole, dobbiamo esaminare separatamente le prime due (mouse-traps e moon) e l’ultima (muchness). L’atteggiamento dei traduttori di fronte a mouse-traps e moon è stato: (a) attenzione al versante del significato (D'Amico) (b) attenzione al versante del significante (Bossi, Giglio, Galasso e Kemeni, Carano, Busi) (c) tentativo di conciliare i due versanti (Graffi, Bianchi) Per quanto riguarda la versione di D'Amico, ne abbiamo discusso sopra.
Posto che si tratti, nell’originale, delle “cose che iniziano con la M” nella lingua inglese. Ma, dato che la caratteristica esplicita di questo insieme ipotetico non specifica la lingua, si potrebbe intendere anche l’insieme di “tutte le cose che iniziano con la M in tutte le lingue del mondo”. Questo fatto assume un valore non trascurabile se si considerano le diverse traduzioni della nostra analisi. Anche la traduzione di D'Amico, vista in questa prospettiva, potrebbe essere valida. Ritengo però che in mancanza di specificazione della lingua, si debba tenere come punto di riferimento una singola lingua (l’inglese per l’originale, l’italiano per le traduzioni). 142 44
Nelle versioni che hanno privilegiato l’aspetto del significante, che hanno, cioè tenuto fede alle condizioni del Ghiro (parole che iniziano con la M), senza però badare al fatto che si possa trattare delle medesime parole dell’originale, la libertà è comunque relativa. Se esaminiamo i quattro termini che il Ghiro cita a mo’ di esempio, vediamo che essi non sono stati scelti a caso. Il primo, mouse-traps, ha un senso nel contesto in cui si trova, e può essere plausibile per entrambi i sensi del verbo draw: le tre sorelline, per intenderci, possono benissimo sia tirar fuori dal pozzo delle trappole per topi che disegnare delle trappole per topi. Il secondo termine, moon, invece ha senso solo se si attribuisce a draw il significato di disegnare, visto che, nel mondo normale, non è possibile tirar fuori la luna da un pozzo45, ma è possibile disegnarla. Memory, con il corrispondente italiano memoria, e muchness, come vedremo meglio sotto, invece sono totalmente nonsensical per qualsiasi dei due significati vogliamo attribuire al verbo draw. Abbiamo quindi una sorta di crescendo nonsensico, che dovrebbe essere mantenuto anche in italiano, anche se si volesse tradurre più liberamente. 45 Si noti che la luna nel pozzo è un’espressione metaforica per illusione: è infatti, letteralmente, una sorta di illusione ottica che si infrange non appena si cerca di tirare fuori dal pozzo la luna (riflessa). In inglese c’è un’altra espressione per indicare le illusioni contenente un riferimento lunare: paper moon.. 143
Vediamo quindi quali cose con la M sono presenti nelle versioni italiane in corrispondenza di mouse-traps e di moon:
AA
Mouse-traps - moon
Bossi
Mattarelli - mare
Giglio
Mano - misura - mela
Galasso e Kemeni
Mosca - medaglia
Carano
museruola - mondo
Busi
macachi - meteoriti
L’ordine nonsensico non è stato rispettato da tutti i traduttori. Graffi e Bianchi invece hanno cercato di coniugare entrambi i versanti, mantenendo le condizioni esposte dal Ghiro e recuperando il significato dell’originale. Graffi vi è riuscita solo in un caso (“montagna della luna” richiama moon, mentre “mollica di pane” non ha alcun legame con mouse-traps). Bianchi vi è riuscito in entrambi i casi: “mezzaluna” richiama moon, ed è tra l’altro un termine polisemico, “macchine-mangia-topi” descrive in modo trasparente le mouse-traps. Per quanto riguarda l’ultimo termine del Ghiro, muchness, la sua scelta non è casuale. Si tratta infatti di una parola presente in un’espressione idiomatica trattata come se designasse un oggetto. La frase in questione, much of a muchness (AA, rr.51144
52) corrisponde press’a poco al nostro “se non è pane è focaccia”, “se non è zuppa è pan bagnato”. Anche questa volta abbiamo riscontrato nelle varie traduzioni diversi atteggiamenti. Galasso e Kemeni, dopo aver inserito massa (r.46) in luogo di muchness (AA, r.47), lasciano da parte questo termine continuano e traducono l’espressione much of a muchness con la frase idiomatica corrispondente in italiano: “se non è zuppa è pan bagnato” (rr.48-51). Questa soluzione appare del tutto inappropriata perché non coglie l’aspetto fondamentale, lo spirito del testo originale. L’espressione risulta lessicalmente sconnessa al testo che la precede e quindi non ha la sua ragion d’essere all’interno della narrazione. Nella versione di D’Amico, dopo moltitudine (r.42) abbiamo l’espressione “molto di una moltitudine” (rr.45-47). È la traduzione letterale del modo di dire inglese. Dal punto di vista testuale, l’errore sta nel fatto che l’espressione non ha alcun senso in italiano, non ‘suona’ italiana, mentre in inglese la stessa espressione ha un senso. Si potrebbe considerare come l’altra faccia dell’errore della versione di Galasso e Kemeni. Nel caso di Giglio (molta memoria, rr.37), Carano (metà di mille, r.33) e Graffi (molteplicità, r.37) i termini scelti sono assurdi quanto l’originale, ma non sono inseriti in un’espressione idiomatica riconosciuta. Nel caso di Giglio, molta memoria (rr.4849) è la somma degli ultimi due termini elencati (rr.44-45: memoria, molto...). Nella 145
versione di Carano abbiamo un’interessante trasferimento del gioco di ambiguità semantica sul termine estrazione: infatti da metà di mille (rr.46-47), che il Ghiro presenta ad Alice come modo di dire, si passa a: “hai mai visto un’estrazione di mille?” (rr.49-50), quindi estrazione assume due sensi, uno come ‘atto dell’estrarre’, e quindi derivato dal verbo draw, e l’altro, provocato dalla presenza del numero mille, di ‘estrazione dei numeri al lotto’. Nel caso di Graffi, si tratta di un termine che richiama direttamente muchness. Corpus VIII.01 AA, rr.1-3: First came ten soldiers carrying clubs AA, rr.12-17: next the ten courtiers: these were ornamented all over with diamonds AA, rr.21-34: After these came the royal children; [...] they were all ornamented with hearts. Questo passo ci dà modo di riflettere sul materiale utilizzato da Lewis Carroll per la sua storia. Come appare chiaro dalle illustrazioni dello stesso autore (Carroll, 1929, p.65, 67 e 69), e da quelle dell’edizione definitiva ad opera di John Tenniel (AA, pp.106 e 108), il sogno-incubo di Alice ha per protagonista un mazzo di carte
146
francesi. L’autore descrive i personaggi esattamente come se fossero carte da gioco, e attribuisce ad ogni seme una caratteristica particolare46: Semi delle carte in inglese
Traduzione letterale
Ruolo in Alice
Traduzione letterale
“vanghe”
Corrispondente dei semi delle carte in italiano picche
spades
gardeners
“giardinieri”
clubs
“mazze”
fiori
soldiers
“soldati”
diamonds
“diamanti”
quadri
courtiers
“cortigiani”
hearts
“cuori”
cuori
royal children
“infanti reali”
Come si vede dallo schema, nell’originale il ruolo dei diversi gruppi è determinato dal significato letterale del nome del seme. All’inizio dello stesso capitolo, avevamo incontrato per primi i giardinieri (gardeners, AA, p.105) che, come si vede dall’illustrazione (AA, p.106) sono le picche (spades letteralmente “vanghe”, dunque attrezzi da giardiniere). Nel passo che stiamo esaminando ora, troviamo i soldati (soldiers, AA, r.2), che sono del seme di fiori e portano delle Cfr. AA, p.107, nota 1: “Among the spot cards the spades are the gardeners, the clubs are the soldiers, diamonds are courtiers, and the hearts are the ten royal children. The court cards are of course members of the court. Note how cleverly throughout this chapter Carroll has linked the behavior of his animated cards with the behavior of actual playing faces. They lie flat on their faces, they cannot be identified from their backs, they are easily turned over, and they bend themselves into croquet arches.” L’assegnazione di un ruolo particolare ai vari semi delle carte è stata ripresa da Jostein Gaarder nel romanzo L’enigma del solitario. 147
46
mazze (clubs, AA, r.3, letteralmente “mazze”, “bastoni”). I cortigiani (courtiers, AA, r.13) sono i quadri (diamonds, AA, r.17, letteralmente “diamanti”), seguiti dagli infanti reali (royal children, rr.23-24) che sono i cuori (hearts, AA, r.34)47. È chiaro che il problema principale per i traduttori italiani sta nell’adattamento dei nomi inglesi delle carte. I giardinieri, del seme di picche, e i soldati, del seme di fiori, risultano ‘fuori posto’ a qualsiasi lettore italiano che conosca le carte francesi. Se Carroll fosse stato italiano, per intenderci, avrebbe assegnato alle picche l’esercito48 e ai fiori la cura del giardino. Per quanto riguarda i quadri, la forma del seme può richiamare il diamante anche al lettore italiano, anche se, per comprendere immediatamente il testo, il lettore dovrebbe sapere che in inglese diamonds corrisponde ai quadri. I traduttori delle versioni in esame hanno tenuto due atteggiamenti diversi. Alcuni hanno cercato di adattare i nomi dei semi non equivalenti (clubs e diamonds; spades non compare esplicitamente nel testo, ma il suo significato dipende dalla traduzione di clubs) mediante gli equivalenti delle carte regionali49, spiegando (in qualche caso) il testo in nota50. Notiamo però che per hearts tutti i traduttori Si noti anche che la presentazione dei quattro semi avviene dal seme di minor valore (picche) a quello che ha il valore massimo (cuori). 48 Le picche sono infatti delle armi. Tra l’altro il termine ha una connotazione negativa (rispondere picche). 49 Ad esempio, Graffi, nella nota al testo (p.133, nota 77), dichiara di aver usato i termini delle carte bergamasche. 50 Non tutte le edizioni da noi esaminate prevedono note al testo. 148 47
hanno usato l’esatto corrispondente italiano, cuori, che è seme delle carte francesi (non di quelle regionali italiane). AA
CLUBS (r.3)
DIAMONDS (r.17)
Bossi
bastoni (r.5)
diamanti (r.19)
Giglio
bastoni (r.6)
diamanti (r.20)
Galasso e Kemeni
bastoni (r.6)
diamanti (r.20)
D'Amico
mazza (r.4)
diamanti (r.18)
Graffi
bastoni (r.5)
danari (r.20)
Bianchi
bastoni (r.5)
quadri di diamanti (r.22-23)
In questo gruppo, tutte le traduzioni per clubs appartengono al campo semantico “carte regionali italiane”51, mentre per diamonds abbiamo o traduzioni letterali (diamanti), o il corrispondente nelle carte regionali italiane (bergamasche: danari), o una sorta di seme ibrido tra carte francesi e regionali italiane (quadri di diamanti). Per tutti i traduttori di questo gruppo il risultato è un testo incoerente che lascia disorientato il lettore e non gli consente di visualizzare immediatamente i personaggi come carte da gioco. Si noti, tra l’altro, che l’ordine di valore dei semi per le carte regionali italiane (almeno nelle carte siciliane) è mazze - spade - coppe - danari, corrispondente a picche - fiori - quadri - cuori. Quindi nelle traduzioni sotto esame non vi è corrispondenza tra i due sistemi di carte. 149
51
Altri traduttori (Carano e Busi) hanno scelto invece di adattare i nomi italiani delle carte francesi, sostituendo però picche a fiori, il corrispondente esatto di clubs, per le ragioni cui accennavo sopra. Il risultato è un testo più coerente dal punto di vista semantico. AA Carano Busi
CLUBS picche (r.4) picche (r.4)
DIAMONDS diamanti (r.16) “tutti inquadrati dalla testa ai piedi” (rr.15-7)
In entrambi i casi, dunque, si tratta di un compromesso, anche perché, a seconda che le illustrazioni siano o no presenti nelle varie edizioni, in realtà il lettore dovrebbe già sapere di che si tratta, il gioco è scoperto. Busi, in questo senso, è stato il traduttore che ha potuto permettersi la maggiore libertà e allo stesso tempo presentare un testo più coerente: l’assenza di illustrazioni (che per altri versi è un controsenso per un libro come Alice52), gli ha consentito di portare il lettore dove vuole il testo italiano, salvo poi metterlo a confronto con l’originale53.
Cfr. AA, p.25: ‘ “and what is the use of a book, [...] without pictures or conversations?” L’edizione Feltrinelli ha il testo a fronte. 150 52 53
Corpus VIII.02 AA, rr.1-8: “Are their heads off?” [...]“Their heads are gone, if it please your Majesty!” In questo scambio di battute tra la Regina di Cuori e i soldati incaricati di decapitare i giardinieri, l’ambiguità della risposta dei soldati è espressa in modo sottile. Dopo che la Regina aveva condannato i giardinieri, Alice li aveva prontamente nascosti in un vaso di fiori per salvarli. I soldati cominciano a cercare i condannati, ma ben presto smettono. Quando la terribile Regina di Cuori chiede loro se hanno eseguito la decapitazione, loro non mentono, perché rispondono che “le loro teste se ne sono andate”, il che è vero, ma non nel senso che intende la Regina. Questo aspetto di sottile ambiguità è stato colto e trasferito in italiano solo da tre traduttori degli otto esaminati. Gli altri cinque non sembrano neanche essersi accorti dell’ambiguità presente nel testo, e hanno attribuito ai soldati parole esplicite (come in Bossi, rr.5-7 e D'Amico, rr.5-6) che falsano il testo di partenza in modo grave. I soldati non rispondono in modo diretto, ma con un giro di parole, che permette loro di salvarsi dalle ire della Regina senza ammettere il vero. Graffi (rr.1-8), Bianchi (rr.1-8) e Busi (rr.1-5) hanno colto la sottigliezza dell’espressione dell’originale e l’hanno resa con diversi giri di parole.
151
Corpus IX.01 AA, rr.19-33: “He might bite,” Alice cautiously replied, not feeling at all anxious to have the experiment tried. / “Very true,” said the Duchess: “flamingoes and mustard both bite. [...]” AA, rr.36-39: ‘Birds of a feather flock together.’ AA, rr.63-73: “there’s a large mustard-mine near here. And the moral of that is — ‘The more there is of mine, the less is of yours.’ ” In questo passo troviamo tre nodi carrolliani per il traduttore. Il primo riguarda la traduzione di bite in AA, r.20 e r.33. Nel testo originale il pun è dato (ancora una volta) dalla polisemia del verbo bite, che si usa sia come l’italiano mordere, beccare (riferito ad animali o persone), sia come pizzicare, bruciare (riferito ad un cibo piccante54). Nelle traduzioni italiane troviamo atteggiamenti diversi per le due occorrenze di bite.
Tra l’altro il verbo piccare, da cui deriva il participio presente piccante, è usato come ‘pungere sul vivo’: deriva dalla picca, o pica, cioè ‘gazza’. 152 54
Bossi: “Potrebbe beccare” (rr.21-22) {beccare}
Giglio: «Potrebbe beccare» (rr.18-19) Galasso e Kemeni: — Potrebbe darle una beccata (rr.22-24) D'Amico: «Potrebbe pizzicarla» (rr.19-20)
“He might bite” (AA,r.13)
{pizzicare}
Graffi: «Le potrebbe dare una pizzicata col becco» (rr.18-21) Bianchi: «Può darsi che pizzichi» (r.21-22) Busi: “Pizzica” (r.18)
{mordere}
Carano: — Potrebbe mordere (rr.17-18)
Tra i verbi italiani utilizzati per tradurre il verbo bite in AA, r.20, non tutti hanno la stessa estensione semantica del verbo inglese: solo pizzicare può essere usato anche per i cibi. Allo stesso tempo, beccare è sinonimo di pizzicare in uno dei suoi sensi. Mordere è invece più specifico. La situazione cambia se esaminiamo la seconda occorrenza di bite, dove il verbo è riferito sia ad un animale sia ad un cibo.
153
Bossi: I fenicotteri e la senape pizzicano tutt’e due. (rr.34-38) Giglio: I fenicotteri e la mostarda pizzicano. (rr.30-33) “flamingoes and mustard both
Galasso e Kemeni: fenicotteri e mostarda sono due cose che pizzicano (rr.34-38) {pizzicare}
bite” (rr.31-33)
D'Amico: i fenicotteri pizzicano, come la mostarda (rr.32-35) Graffi: i fenicotteri pizzicano, come la senape (rr.31-35) Bianchi: i fenicotteri pizzicano come la senape (rr.32-35) Busi: fenicotteri e mostarda pizzicano entrambi (rr.27-31)
{mordere}
Carano: I fenicotteri e la senape mordono entrambi. (rr.27-31)
Naturalmente, solo le versioni che hanno in entrambe le occorrenze il verbo pizzicare (D'Amico, Graffi, Bianchi e Busi) danno al lettore la sensazione di un testo coerente e scorrevole, mentre le versioni in cui viene usato un sinonimo (Bossi, Giglio, Galasso e Kemeni) costringono il lettore a riflettere sulle parole, cioè a scoprire il gioco di parole, svelandone il meccanismo (e quindi, in definitiva, sciogliendolo). Carano usa un verbo che non si adatta ad entrambi i sensi voluti dall’autore, e il testo risulta ‘inceppato’. Il secondo nodo è dato da uno dei numerosi proverbi della Duchessa: “Birds of a feather flock together” (AA, rr.30-39). Si tratta di un proverbio realmente in uso in Inghilterra55, che, tradotto letteralmente, suona “uccelli di una (stessa) piuma fanno stormo insieme”, ovvero, con un’espressione corrispondente in italiano, una via di 55 Cfr. The Concise Oxford Dictionary of Proverbs. 154
mezzo tra “chi s’assomiglia si piglia” e “chi va con lo zoppo impara a zoppicare”. Nel contesto in cui si trova, questo proverbio è motivato dalla presenza di flamingoes, che sono uccelli: Alice farà poi notare alla Duchessa “Only mustard isn’t a bird” (AA, rr.40-42). Quindi le traduzioni italiane dovrebbero conservare, nel riportare il proverbio, sia il suo senso che la presenza di birds (“uccelli”). Vediamo come si sono comportati i traduttori. A: Uccelli d’una penna stanno insieme (Bossi, rr.40-43); Gli uccelli della stessa specie vanno a stormi (Giglio, rr.35-39) Si tratta della traduzione letterale, non trasformata in una espressione proverbiale corrente in italiano. B: «gli uccelli della stessa risma se la fanno coi loro pari» (Galasso e Kemeni, 41-45); Gli uccelli della stessa covata, fan sempre rimpatriata (Carano, rr.34-38); Uccelli della stessa covata fan sempre rimpatriata (Busi, rr.32-36) In queste versioni viene tradotto letteralmente birds, adattando il proverbio (nel senso e nella forma) alla lingua italiana. Si noti che Busi ha utilizzato la stessa espressione utilizzata da Carano. 155
C: Dio li fa e poi li accoppia (D'Amico, rr.37-39); Chi si rassembra, s’assembra (Graffi, rr.37-39) In queste versioni viene reso il senso del proverbio con un’espressione proverbiale corrispondente in italiano, non tenendo conto però della presenza di birds. Si noti che la Graffi ha utilizzato per questo proverbio la traduzione di Pietrocola-Rossetti56 del 1872. D: “Dio li fa e poi li accoppia” e “La mamma fa l’uccello ma la piuma lo fa bello” (Bianchi, rr.39-45)
Bianchi ha scelto di scindere il proverbio dell’originale in due espressioni italiane, conservando nella prima il senso del detto inglese e nella seconda il riferimento a uccello, che serve per proseguire la narrazione. Il terzo nodo è dato da una ‘morale’ (questa volta tutta farina del sacco della Duchessa) che contiene un pun legato a mustard-mine (AA, rr.65-66). La morale sarebbe: “The more there is of mine, the less there is of yours” (AA, rr.69-73), che letteralmente vorrebbe dire ‘Più ce n’è del mio, meno ce n’è del tuo’ (una sorta di mors tua vita mea), ma la cui ragion d’essere sta nell’omofonia (e omografia) tra mine, 56 Cfr. Graffi, p.134, nota 89. 156
“miniera” (r.66) e mine, “mio” (pronome possessivo, r.71) in opposizione a yours (r.73). Anche qui gli atteggiamenti sono stati diversi, dalla traduzione letterale all’adattamento con creazione di un gioco di parole che richiami l’originale. A: Più ce n’è di mio, meno ce n’è di tuo (Bossi, rr.74-77; D'Amico, rr.67-69); Più ne avrai tu, meno ne avrò io! (Giglio, rr.57-59); Più ce ne sarà per me, meno ce ne sarà per te (Galasso e Kemeni, rr.67-71) Si tratta della traduzione letterale, che però risulta fuori luogo, dal punto di vista linguistico, rispetto all’espressione dell’originale, non essendo collegata al testo che la precede. In Giglio notiamo un rovesciamento dell’espressione, che lascia però inalterato il senso delle parole della Duchessa. B: Un filone per uno non fa male a nessuno (Carano, rr.66-69) Qui c’è sia il riferimento a filone, semanticamente legato a minerale (Carano, rr.51-52) e già presente nelle parole della Duchessa (qui vicino c’è un vasto filone di senape, rr.61-64), sia il senso dell’originale, espresso a mo’ di proverbio, con tanto di rima interna (uno - nessuno). Non vi è gioco di parole, ma la traduzione risulta appropriata al testo. 157
C: La miniera è la maniera di gabbar la gente intiera (Graffi, rr.69-73); Più è mia la miniera, più è sua la saliera (Bianchi, rr.79-82); Più ce n’è per me, meno cene per te (Busi, rr.66-69) In queste versioni, i traduttori hanno cercato di riprodurre il gioco di parole presente nell’originale, anche se non hanno usato lo stesso meccanismo. Graffi (che anche per questo proverbio si è rifatta alla versione di PietrocolaRossetti57) gioca con lo scambio vocalico (miniera - maniera) e con la rima (maniera - intiera). Bianchi58 basa il gioco sull’allitterazione parallela (mia : miniera = sua : saliera), riportando anche il senso delle parole della Duchessa nell’originale. Busi ricostruisce il pun sulla quasi omofonia ce n’è (/ʧe’nɛ/) - cene (/’ʧɛne/), riproducendo il senso dell’espressione inglese.
Cfr. Graffi, p.134, nota 90. Lo stesso traduttore dà una spiegazione della sua versione in nota (Bianchi, p.147, nota 6). 158 57 58
Corpus IX.02 AA, rr.13-29: The master was an old Turtle — we used to call him Tortoise — [...] because he taught us Anche qui Carroll gioca con l’omofonia di Tortoise (/’tɔ:təs/) e taught us (/’tɔ:təs/): il gioco è particolarmente divertente perché nel testo si dice che il personaggio così denominato è un maestro (master)59. Tra turtle e tortoise passa la stessa differenza che c’è tra tartaruga e testuggine, la prima indicando soprattutto la specie marina e la seconda la specie terrestre. La traduzione di questo gioco di parole comporta non solo la difficoltà di rendere il pun, ma anche quella di tradurre adeguatamente il termine master, tenendo conto dei riferimenti culturali del testo originale60. Innanzitutto vedremo come si sono comportati i traduttori di fronte alla frase: “The master was an old Turtle” (AA, rr.13-16): A: Il maestro era una vecchia Testuggine (Bossi, rr.16-19); Il maestro era una vecchia Tartaruga (D'Amico, rr.13-16)
Gardner (AA, pp.127-8, nota 7) ci informa che Lewis Carroll utilizzò lo stesso pun nell’articolo “What the Tortoise said to Achilles”, Mind, April 1895. 60 Si tratta di una rievocazione del mondo di Oxford da parte di due ex allievi nostalgici. 159 59
In queste versioni si ha una incongruenza grammaticale data dalla non concordanza tra maestro (sostantivo maschile) e vecchia Testuggine/Tartaruga (aggettivo e sostantivo femminile).
B: Il nostro maestro era un caro vecchio esemplare di Tartaruga (Graffi, rr.16-21), Il maestro era un vecchio Tartarugone (Bianchi, rr.13-16) Qui la concordanza è preservata e viene così mantenuto anche maestro, culturalmente più accettabile del femminile maestra. In Graffi, viene utilizzato il sostantivo maschile esemplare, che relega Tartaruga ad una sorta di cognome, non indicante il genere. Bianchi invece utilizza l’accrescitivo di tartaruga, che in italiano trasforma il sostantivo da femminile in maschile (potenza della lingua!). C: La maestra era una vecchia Tartaruga (Giglio, rr.14-17; Galasso e Kemeni, rr.14-17; Carano, rr.14-17; Busi, rr.15-18) Qui i traduttori trascurano l’aspetto culturale, attualizzando il testo (è più comune maestra che maestro) e dando maggiore importanza a Tartaruga, che sarà il punto di partenza per il pun.
160
Il nodo vero e proprio naturalmente è costituito dal pun. Notiamo innanzitutto che non tutti i traduttori hanno scelto di giocare su “testuggine”: nella versione di Bossi abbiamo Tartaruga (rr.21-22) e in Bianchi Cefalo (rr.18-19) laddove nell’originale avevamo Tortoise (r.19). Questa sostituzione è ovviamente legata al gioco di parole. Esaminiamo allora direttamente la punchline, nell’originale al r.13, in cui possiamo riscontrare diversi atteggiamenti da parte dei traduttori.
A: “Lo chiamavamo Testuggine perché ci dava i libri di testo”(D'Amico, rr.24-28); «Lo chiamavamo Testuggine perché si intestardiva a farci leggere dei testi che erano una tetraggine.» (Graffi, rr.31-38); “Testuggine, perché a forza di test ti faceva venire la ruggine, no?” (Busi, rr.27-32) I traduttori hanno mantenuto il gioco su Testuggine, esatto corrispondente di Tortoise, anche se il meccanismo non è quello del pun. In D'Amico abbiamo quasi una falsa etimologia (come se “testuggine” venisse da “testo”). Nel caso di Graffi e di Busi, invece, testuggine è trattata quasi come una portmanteau word, in cui sono riconoscibili i “testi che erano una tetraggine” (Graffi) o colui che “a forza di test ti faceva venire la ruggine” (Busi).
161
B: “Lo chiamavamo Tartaruga perché aveva tante rughe” (Bossi, rr.28-32); «Lo chiamavamo Cefalo perché quando ci spiegava ci faceva venire la cefalea» (Bianchi, rr.204) Qui, come è stato anticipato sopra, il vocabolo corrispondente al testo originale è stato sostituito da un vocabolo che consentisse un gioco di parole più adatto alla versione italiana, secondo il traduttore. E quindi abbiamo in Bossi Tartaruga per assonanza con tante rughe (è capitato di sentire dei bambini pronunciare ‘tantaruga’ per ‘tartaruga’), e in Bianchi Cefalo per assonanza con cefalea. C: «La chiamavamo Testuggine perché era la maestra» (Giglio, rr.19-21); —La chiamavamo Testuggine perché era lei che insegnava (Galasso e Kemeni, rr.22-6) La traduzione letterale, ancora una volta, non rende giustizia al testo originale, eliminando il pun e lasciando così il lettore a bocca asciutta. D: E non lo capisci da sola? Testuggine, no? (Carano, rr.23-5) In questa versione abbiamo la rinuncia a rendere in una maniera qualsiasi sia il pun che il senso del testo di partenza. Il lettore viene privato di una parte importante del testo di partenza. Il gioco di parole non viene neanche segnalato. 162
Corpus IX.03 i. AA,rr.5-6: Reeling and Writhing; ii. rr.16-20: Ambition, Distraction, Uglification, Derision; iii.rr.78-96: Mystery, ancient and modern, with Seaography: then Drawling [...] Drawling, Stretching, and Fainting in Coils.; iv. rr.127-128: Laughing and Grief Si tratta del celebre elenco delle materie studiate dalla Mock Turtle nella scuola sotto il mare da lei frequentata in gioventù. Come appare evidente al lettore inglese, sotto gli strani nomi delle materie di questo elenco si nascondono le materie di studio facenti parte del curriculum della scuola dell’epoca, che sono poi, in gran parte quelle di ora61. Le varie ‘materie’ sono presentate per gruppi. Con le seguenti tabelle cercherò di evidenziare il significato delle parole come le si ritrova nel testo originale e i riferimenti alle materie reali. Le parole scelte da Carroll, oltre a richiamare direttamente le materie di studio, evocano anche un significato più tragico, con un’ironia evidente per chiunque abbia veduto gli sforzi dei piccoli scolari alle prese con le lettere ed i numeri.
61Il
passo è stato esaminato in Lecercle, 1994, pp.65-7. 163
Leggere, sembra dirci Carroll, è pericolosamente vicino (nel suono, ma non solo) a rotolarsi; scrivere, al contorcersi. Le branche dell’Aritmetica non promettono nulla di buono: solo ambizione, distrazione, come rendere brutte le cose, derisione. La storia è meglio chiamarla mistero. La geografia diventerà, in una scuola sottomarina, per forza ‘marografia’. Le materie artistiche si risolvono in esercitazioni nello strascicamento, nello stiramento e, soprattutto, nello svenimento, a spirale, naturalmente. Ed infine, le materie del classico: latino e greco, gioie e dolori delle lingue (morte). Esaminiamo le soluzioni che i traduttori hanno trovato per i singoli gruppi di materie.
AA i
Reeling (/’ri:lɪŋ/)
Writhing (/’raiðɪŋ/)
p.128, nota 75. p.135, nota 97. 64 pp.147-8, nota 13. 164 62 63
traduzione letterale (Giglio62) scansare
traduzione letterale (Graffi63) rotolarsi
arricciare (il naso)
raggrinzirsi
traduzione letterale (Bianchi64) avvolgere, arrotolare contorcersi, dibattersi
riferimento alle materie di studio Reading (/’ri:dɪŋ/)
Writing
(/’raɪdɪŋ/)
corrispondente italiano leggere scrivere
i.A: la Gran natica dell’Aringa (Bossi, rr.10-11); imparavamo a scrivere con pinna e calamaro gli alimenti fondamentali dell’orto-grafia: pomi, poponi, additivi, vermi e avvermi (Carano, rr.717) Si tratta di una libera rielaborazione sul tema ‘leggere e scrivere’. Nel caso di Bossi, si riconosce sotto la Gran natica dell’Aringa la ‘grammatica della lingua’ (con scambio consonantico tra /n:/ e /m:/ e assonanza tra ‘dell’aringa’ e ‘della lingua’). Carano ha sostituito alla coppia dell’originale una serie di puns: ‘pinna e calamaro’ per ‘penna e calamaio’, ‘alimenti’ per ‘elementi’, e, introdotte dal titolo di ‘orto-grafia’, le parti del discorso: ‘pomi’ per ‘nomi’, ‘poponi’ per ‘pronomi’, ‘additivi’ per ‘aggettivi’, ‘vermi’ per ‘verbi’ e ‘avvermi’ per ‘avverbi’. Le sostituzioni sono divertenti, e anche azzeccate (storpiature del genere non sono poi così infrequenti), anche se non portano a riflettere più di tanto sul sistema scolastico vittoriano. i.B: le locali e le consolanti (Giglio, rr.5-7); a scansare le locali e arricciare le consolanti (Busi, rr.7-11) Il riferimento qui non è più quello dell’originale, ‘leggere e scrivere’, ma il gioco rimanda a ‘vocali e consonanti’. In Busi, che riprende in modo evidente la 165
versione di Giglio65, vi è il tentativo di recuperare il testo originale, associando al pun vero e proprio un verbo che richiama semanticamente il vocabolo scelto da Carroll. i.C: a suggere e a stridere (Graffi, rr.5-6) Il meccanismo usato dalla traduttrice è analogo all’originale: con una lieve modificazione fonica, si ottengono due termini esistenti (‘suggere’ e ‘stridere’) che ne suggeriscono altri (‘leggere’ e ‘scrivere’). I termini, usati in questa collocazione, assumono così sia il senso proprio che il senso evocato. i.D: Eleggere ed Escrivere, (Galasso e Kemeni, rr.5-6); a Eleggere e Ascrivere (Bianchi, rr.9-10) Anche qui i traduttori hanno utilizzato vocaboli molto vicini, nel suono, a quelli richiamati (‘leggere e scrivere’). In Bianchi, rispetto alla versione di Galasso e Kemeni, troviamo un aspetto interessante di ‘ri-segmentazione’ del suono: si confronti infatti /ae’lɛʤ:erea’skrivere/ (‘a Eleggere e Ascrivere’) con /a’lɛʤ:erea’skrivere/ (a leggere e a scrivere).
65 Cfr. la traduzione delle materie nella nota di Giglio, riportata nella tabella. 166
i.E: Rotolamento e Grinze (D'Amico, rr.5-6) La traduzione letterale non rende giustizia al testo originale. Infatti ‘Reeling’ e ‘Writhing’ avevano la loro ragion d’essere per il fatto che richiamavano direttamente le materie scolastiche, mentre in italiano non accade lo stesso, ed il testo risulta perciò sicuramente bizzarro, ma senza motivazione linguistica.
Ambition
traduzione letterale (Giglio66) ambizione
traduzione letterale (Graffi67) ambizione
Distraction
distrazione
distrazione
Uglification
abbruttire
Derision
derisione
AA ii
“rendere brutto” derisione
traduzione letterale (Bianchi68) ambizione distrazione turbamento pazzia
riferimento alle materie di studio Addition
corrispondente italiano addizione
Subtraction
sottrazione
“deturpare”
Multiplica-tion
derisione
Division
moltiplicazione divisione
Le traduzioni italiane riportano senza problemi le varianti ‘sottomarine’ dell’addizione (=Ambizione) e della divisione (=Derisione). Si noti che i nomi delle quattro operazioni sono di derivazione latina, e questo facilita, in un certo senso, il compito del traduttore, almeno dal punto di vista fonetico. Per le altre due operazioni, Distraction e Uglification, i traduttori hanno scelto soluzioni diverse. p.128, nota 75. p.135, nota 97. 68 pp.147-8, nota 13. 66 67
167
DISTRACTION
ii.A: Distrazione (Bossi, r.19; Galasso e Kemeni, r.15; D'Amico, rr.16-17; Graffi, rr.17-18; Bianchi, r.18) È la traduzione letterale, ma solo in apparenza. In realtà, il termine italiano non copre perfettamente tutti i significati dell’originale: lascia fuori il significato di turbamento, pazzia, che indubbiamente è carico di ironia nel testo originale. La traduzione italiana, però, porta altre connotazioni, anche queste ironiche. Infatti, nel gergo giuridico si parla di distrazione per indicare “storno, detrazione (di denaro, di beni)69”, quindi, ancora una volta di sottrazione (indebita). In italiano, dunque, la distrazione è sottrazione (e viceversa). L’ironia si ritrova pensando che imparare a fare le sottrazioni/distrazioni equivale a imparare a rubare. Non intendo qui dimostrare che i traduttori che hanno scelto questa soluzione abbiano pensato a questa connotazione secondaria (che può essere colta prevalentemente da lettori adulti), ma vorrei porre l’attenzione sul fatto che è la lingua stessa ad aggiungere significati alle parole che usiamo, indipendentemente dalla nostra volontà, o dalla volontà dell’autore.
69 Devoto-Oli. 168
ii.B: Sostazione (Giglio, r.14-15); Soggezione (Busi, rr.18-19) In queste versioni, i traduttori hanno tenuto come punto di riferimento il nome italiano dell’operazione aritmetica, sottrazione. I termini scelti richiamano il corrispondente ‘reale’ in modo più diretto rispetto all’originale. In Busi abbiamo dei riferimenti ironici (a scuola si impara la soggezione...), mentre Giglio sceglie un termine non esistente perché su di esso giocherà il suo Grifone (nell’originale invece il Grifone gioca su Uglification). ii.C: Diffidenza (Carano, rr.25-26) Il riferimento scelto da Carano è differenza, sinonimo italiano di sottrazione, che corrisponde a diffidenza. Anche qui l’elemento ironico è evidente (a scuola si impara la diffidenza...). UGLIFICATION
ii.A: Stortificazione (Bossi, rr.26-27) Il richiamo verso moltiplicazione è dato dalla rima; il termine usato richiama nel senso il termine dell’originale. 169
ii.B: Mortificazione (Giglio, rr.15-16; Busi, r.19-20); Mistificazione (Carano, rr.26-27); Maleficazione (Bianchi, rr.19-20) Qui il richiamo verso moltiplicazione è più marcato. Si noti come mortificazione per moltiplicazione richiama i difetti di pronunzia dei bambini italiani (/rt/ per /lt/). ii.C: Imbruttificazione (Galasso e Kemeni, rr.16-17) Bruttificazione (D'Amico, rr.18-19) Bruttificazione (Graffi, rr.18-19) Queste versioni riportano la traduzione letterale del termine presente nel testo originale. Ciò implica un allontanamento dal riferimento all’operazione aritmetica, richiamato soltanto dalla rima.
170
Mystery
traduzione letterale (Giglio70) mistero
Seaography */si:’ɒgrəfɪ/
“mareografia”
Drawling
pronunciare
AA iii
traduzione letterale (Graffi71) mistero neologismo costruito su sea (mare) stiracchiarsi
/"drɔ:lɪŋ/
Stretching /’streʧɪŋ/
Fainting in coils
traduzione letterale (Bianchi72) mistero “studio del mare”
riferimento corrisponalle materie di dente italiano studio History storia Geography */ʤi:’ɒgrəfɪ/
strascicare le parole73
Drawing Sketching
distendersi
stirarsi
tirare, tendere, stendersi
svenire in spirale
svenimento a spirale
svenire, languire tra le spire
/"drɔ:ɪŋ/ /’skeʧɪŋ/
Painting in oils
geografia disegno bozzetto, schizzo, tratteggio pittura ad olio
Per questo gruppo di materie, i traduttori hanno scelto di tradurre il termine del testo di Carroll, già parodiato, oppure di ricreare una parodia nella lingua di arrivo.
p.128, nota 76. p.135, nota 97. 72 p.148, nota 14. 73 Si tratta della tipica pronunzia strascicata degli studenti di Oxford. 70 71
171
AA
Mystery
Seography
Drawling
Stretching
Scoria Scoria
Algheografia Mareografia
Disdegno Disdegno
Scherzo frittura su tela
Mistero
Mareografia
Sdegno
Schizofrenia
D'Amico
Mistero
Marografia
Trascinamento
Stiramento
Carano
Osteria
Gelografia
Dissenno
Guazzetti74
Sottostoria
Ondografia
Segno a strascico
Stiracchiatura
Bianchi
Scoria
Cielografia
Disdegno
Calore
Busi
Scoria
Mareografia
Disdegno
Frittura su tela
Bossi Giglio Galasso e Kemeni
Graffi
Fainting in coils Frittura a Scoglio pesce affresco Svenimento nelle resse Svenimento spirale Fritture a Olio; affrescare soffritti Scarto con l’Inchino Puntura a Scoglio Findus affresco alla mia maniera
Per quanto riguarda Mystery, alcuni traduttori hanno prediletto la versione letterale del termine presente in AA (Galasso e Kemeni, D'Amico), mentre la maggior parte (Bossi, Giglio, Bianchi, Busi; Carano) ha ricreato il pun, parodiando il nome italiano di History = storia, con uno scambio consonantico (/"skorja/ per /"storja/) o con l’assonanza. Per il termine inventato Seography, ottenuto mediante un semplice scambio consonantico, alcuni traduttori (Giglio, Galasso e Kemeni, D'Amico, Busi) hanno scelto di tradurre letteralmente le parti morfologiche di cui si compone (sea, ‘mare’, Dal Devoto-Oli: “guazzetto, s.m. Cottura o pietanza in umido, con abbondante sugo brodoso: baccalà in g.”. ma il gioco evoca anche il termine francese per “tempera”, gouache. 172 74
opposto a geo-, prefisso per ‘terra’; -graphy rimane -grafia anche in italiano), altri (Bossi, Graffi) hanno tradotto con maggiore libertà il prefisso per ‘mare’, mentre Carano e Bianchi hanno tenuto presente innanzitutto il suono di Geografia e hanno creato le loro soluzioni mediante aggiunta di consonante (‘zeppa’ = Gelografia) o mediante assonanza. Tuttavia, la scelta di sostituire a ‘mare’ un altro elemento (gelooppure cielo-) non appare felice, perché la scuola frequentata dai personaggi che parlano ad Alice è una scuola sottomarina. Per Drawling, in molte versioni abbiamo un pun ricreato in italiano giocando su Disegno (Disdegno: Bossi, Giglio, Bianchi, Busi; Sdegno: Galasso e Kemeni; Dissenno: Carano). D'Amico traduce letteralmente uno dei sensi di Drawing (‘disegno’, ma anche part. pres. di to draw, ‘tirare’) 75, cioè della materia parodiata dall’autore, e allo stesso tempo ricorda uno dei sensi di Drawling (‘strascicare la pronunzia delle parole’), ma in questo modo fa dimenticare al lettore italiano il riferimento alla materia scolastica in italiano. Graffi invece utilizza un doppio riferimento, alla materia scolastica (Disegno) e all’ambientazione marina (a strascico, come un tipo di pesca), mantenendo anche uno dei sensi di drawing (part. pres. di to draw nel senso di ‘trascinare’). Per Stretching, parodia di Sketching (con uno scambio consonantico), abbiamo varie soluzioni, dalla traduzione letterale di D'Amico e Graffi, alla parodia giocata sul corrispondente italiano di Sketching, cioè Schizzo (Bossi, Galasso e Kemeni), a 75
Si ricordi il gioco di parole su draw presente nel VII capitolo (VII.03 e VII.05). 173
parodie su sinonimi di Schizzo (Bianchi, che gioca con uno scambio consonantico su Colore), a volte spostando il testo verso elementi gastronomici (Carano, che gioca su Bozzetti e gouache, e Giglio e Busi, che giocano con Pittura su tela). Per Fainting in oils, che nell’originale gioca con painting in oils (con scambio consonantico e aggiunta di consonante), i traduttori, quando non hanno preferito la versione letterale, con qualche variante (D'Amico, Graffi, Galasso e Kemeni), hanno coniugato la materia scolastica con la gastronomia ( Bossi, Giglio, Carano, Busi76) o con argomento marittimo (Bianchi). Si noti ancora una volta come, in questo caso, la versione letterale non consente al traduttore di ricostruire il gioco di parole dell’originale, mentre le versioni che prendono come punto di riferimento il nome da parodiare nella lingua d’arrivo consentono al lettore di ricavare divertimento dalla lettura al pari del lettore di lingua inglese che legge il testo originale.
Busi gioca con una marca di surgelati, che poi gli consentirà di sviluppare il gioco di parole che verrà analizzato più sotto. Il traduttore si era servito in precedenza di riferimenti al mondo pubblicitario: la canzone Beautiful Soup era diventata, nella sua versione, Brodo di Star, in cui il lettore italiano riconosce la marca di un dado per brodo. 174 76
AA iv
Laughing /’lɑ:fɪŋ/
Grief
/’gri:f/
trad. letterale (Giglio77)
traduzione letterale (Graffi78)
traduzione letterale (Bianchi79)
“ridendo”
riso
risata
dolore
dolore, cruccio
dolore, pena
riferimento alle materie di studio Latin /’lɑ:tɪn/
Greek
/’gri:k/
corrispondente italiano latino greco
Anche per questa coppia di materie le soluzioni scelte dai traduttori variano dalla traduzione letterale del termine presente nel testo originale alla creazione di un pun sul nome della materia parodiata nella lingua d’arrivo. iv.A: Risata e Angoscia (Galasso e Kemeni, rr.133-134), Riso e Cruccio (D'Amico, rr.135-136) La traduzione letterale dei termini usati nel testo di partenza non consente al lettore di comprendere il gioco dell’autore, tuttavia riporta il senso di ‘gioia e dolore’ provocato dallo studio.
p.129, nota 78. p.135, nota 97. 79 p.148, nota 16. 77 78
175
iv.B: Cretino e Gretto (Bossi, rr.133-134), Greto e Catino (Giglio, rr.133-134), Greco e Rattino (Carano, rr.144-145) I traduttori hanno usato un meccanismo piuttosto semplice per parodiare i termini di riferimento, variandoli leggermente. Si perde però il riferimento a ‘gioia e dolore’. iv.C: Ridolino e Dolor Greggio (Graffi, rr.129-131) La traduttrice ha tentato di conciliare sia il testo di partenza (con il riferimento a ‘gioia e dolore’) sia le materie da parodiare (anche se si richiede uno sforzo notevole per riconoscere il Latino sotto Ridolino e il Greco sotto il Dolor Greggio). iv.D: Prammatica in Lattina e Sei Tassi in Creta (Bianchi, rr.138-141) In questo caso si tratta di un gioco fonetico su Grammatica latina (/gra’m:atikala’tina/, che diventa /pra’m:atikainla’t:ina/) e Sintassi Greca (/sin’tas:i’grɛka/ diventa /sej’tas:in’krɛta/). Il risultato è quasi un gioco enigmistico, molto stimolante per il lettore. 176
iv.E: Amorgreco e Latinlover (Busi, rr.127-128) La soluzione di Busi prende in considerazione i nomi delle due materie in italiano e li incorpora in due termini totalmente estranei al mondo scolastico. Così, il Greco diventa Amorgreco (forse con riferimento all’amore platonico) e il Latino diventa il termine di derivazione anglosassone Latinlover, cioè ‘amante latino’.
Corpus IX.04 AA, rr.21-29: “That’s the reason they’re called lessons, [...] because they lessen from day to day.” Anche questo pun è costituito da omofonia, tra lesson(s) (‘lezioni’, /’lesn(z)/) e lessen (‘diminuire’ /’lesn/), non traducibile in modo letterale nella versione italiana. I traduttori che noi stiamo prendendo in esame hanno scelto diverse soluzioni.
177
A: “È per questo che ci mandano gli scolari, [...] perché le lezioni sono scalari.” (Bossi, rr.20-27); - Questa è la ragione per cui si studiavano le sottrazioni, [...] perché si sottraeva un’ora al giorno. (Galasso e Kemeni, rr.20-29); «Per questo ci chiamavano scolari [...] perché il tempo scolava via un giorno dopo l’altro.» (Graffi, rr.23-31); «È per questo che a lezione si usano i compendi e i breviari [...] Perché così le lezioni si abbreviano di giorno in giorno» (Bianchi, rr.18-29); “Ma è per questo che sono chiamate ore d’istruzione [...] perché si distruggono.” (Busi, rr.18-25) Questo gruppo di versioni rende il pun in vario modo, ma sempre ricreandolo con mezzi linguistici. B: «Ma è per questo che si chiama scuola! [...] Infatti se tu sostituisci un’a ad uo, invece di scuola ottieni scala. E perciò ogni giorno si scala un’ora.» (Giglio, rr.19-32) -Ma è per questo che sono chiamati corsi, no? [...] Proprio perché più vai in fretta e meno te ne rimane. (Carano, rr.19-28) In queste due versioni la spiegazione del Grifone risulta un po’ contorta e richiede uno sforzo maggiore al lettore per essere individuata.
178
C: «Per questo si chiamano lezioni [...] diminuiscono ogni giorno.» (D'Amico, rr.19-25) La versione di D'Amico, essendo letterale, non rende adeguatamente il pun. Il risultato è, ancora una volta, un testo linguisticamente incoerente. Corpus X.01 AA, rr.7-60: “Do you know why it’s called a whiting?” [...] “It does the boots and the shoes,” [...] “Why, what are your shoes done with?” said the Gryphon. “I mean, what makes them so shiny?” Alice looked down at them, and considered a little before she gave her answer. “They're done with blacking, I believe.” “Boots and shoes under the sea,” the Gryphon went on in a deep voice, “are done with a whiting. Now you know.” AA, rr.61-77: “And what are they made of?” Alice asked in a tone of great curiosity. “Soles and eels, of course,” the Gryphon replied rather impatiently: “any shrimp could have told you that.”
In questo passo due sono i nodi per il traduttore. Nel primo caso (AA, rr.760) siamo di fronte ad una spiegazione etimologica del Grifone, che costituisce un altro gioco di parole basato sulla polisemia di whiting80. È necessario ricordare che
Cfr. OED:“whiting n. […] 1. a. A gadoid fish of the genus Merlangus, esp. M. vulgaris, a small fish with pearly white flesh, abundant off the coast of Great Britain and highly esteemed as food. ”; 179
80
questo passo è situato dopo la prima delle parodie di questo capitolo, la Lobster Quadrille (che dà anche il titolo al capitolo), ed è a questa che il Grifone fa riferimento: infatti whiting (AA, r.10) era il nome di uno dei pesci protagonisti della quadriglia (cfr. AA, p.134, primo verso). Per il nostro esame, dunque, dobbiamo tenere conto del modo in cui le versioni italiane riportano whiting nella sua prima occorrenza, cioè all’interno della parodia. Abbiamo allora:
whiting (AA, p.134, v.1)
nasello
Bossi, Graffi
merluzzo
Giglio, Galasso e Kemeni, D'Amico, Carano, Bianchi
tonno
Busi
A parte Busi, che adopera tonno per whiting (traduzione evidentemente non letterale), gli altri traduttori utilizzano due termini grosso modo ‘sinonimi’ rispetto all’originale81, e quindi nel passo che stiamo esaminando si trovano a dover fare i conti con il termine usato nella parodia. “whiting vbln […] 3. A preparation of finely powdered chalk, used for whitewashing, cleaning plate, and various other purposes.” Vedi oltre. 81 In questa prima accezione, withing indica un tipo di pesce della famiglia dei merluzzi, simile al merluzzo, ma meno pregiato. Il corrispondente letterale in italiano è merlango, ma qui entriamo in un terreno pericoloso, perché merlango, o merlano è un altro nome del nasello, varietà di pesce che si 180
Abbiamo già detto che anche in questo caso Carroll gioca sulla polisemia di whiting, dapprima considerato come pesce e poi, in opposizione a blacking, come lucido bianco (letteralmente ‘bianco di Spagna’, sostanza imbiancante fatta di polvere di gesso). Dunque per i traduttori si pone il problema di costruire un gioco di polisemia, tenendo presente il riferimento alla parodia. Nel passo in analisi, abbiamo perciò altre corrispondenze traduttive:
incontra più facilmente sulle tavole italiane, e che è a sua volta meno pregiata del merluzzo (cfr. Lessico Universale Italiano, alla voce nasello: “( [...] Merlucius vulgaris.) Pesce teleosteo dell’ordine Anacantini, famiglia Gadidis, chiamato anche merluzzo, merlano, lovo, pesce prete, ecc. [...]”). Si noti che anche il termine bianchetto (usato nella versione di Carano e, in accezione diversa, in D'Amico) risulta essere le acciughe familiare all’inglese whiting, perché indica il nome dei piccoli di diverse specie di pesci, tra cui i naselli e(come spiegato nella versione di Carano; cfr. Devoto - Oli, alla voce bianchetto: “3. spec. al plurale, nome reg. di pesci minuti da frittura: secondo le regioni, i piccoli delle acciughe e delle sardine o quelli del nasello”). Si noti anche che un altro nome delle acciughe è... alici, e il nome della nostra eroina è strettamente imparentato con il mare (cfr. Vocabolario etimologico della lingua italiana di O.Pianigiani: “alice lat. HALÍCE(M) dal gr. ALYKÈ mare o ALYKÍS (=lat. HALICA) salamoia, che trae da ALS sale, mare (cfr. Alga, Aligusta, Sale) — Nome di una ninfa marina dell’antica mitologia, ed anche di un pesciolino di mare (acciuga, sardella) che suole conservarsi sotto sale”). Forse è solo una coincidenza, ma non è improbabile che Carroll conoscesse l’etimologia del nome della bambina, perché il padre di Alice Liddell era un insigne studioso di greco, e perché Carroll aveva amici italiani, la famiglia Rossetti. Si potrebbe spiegare in tal modo anche l’ambientazione marina di questo e del precedente capitolo. 181
nasello whiting
merluzzi
(AA, r.10)
bianchetto
Bossi (r.8) Giglio (r.10), Graffi (rr.6-7) D'Amico (rr.7-8), Carano (rr.7-8) Bianchi (r.11)
lucci
Galasso e Kemeni (r.7)
tonno
Busi (r.6-7)
Come risulta dalla sovrapposizione di quest’ultimo schema con il precedente, in alcuni casi (Giglio, Galasso e Kemeni, Bianchi) si perde il riferimento alla parodia: il testo viene comunque ricucito grazie alla connessione procurata dall’ambiente marino, per cui si parla sempre di pesci. La variazione è giustificata dal problema di trovare un valido gioco di polisemia per l’italiano. Vediamo ora più da vicino le soluzioni dei traduttori, tenendo separato Busi, che ha modificato notevolmente tutto il testo originale, e richiede perciò osservazioni a parte.
182
1° termine AA
Whiting
Bossi
Nasello
Graffi
naselli
Î “it d oe s b o o ts and s h oe s ” (rr.16-18) “serve per inf ilarc i i b ot t o ni” (rr.13-15)
Î
Î
2° termine
“what are y ou r s hoe s d o ne wi t h?” (rr.31-34)
(Alice guarda le sc arp e, rr.40-42)
blacking
Alice si guardò i b ot t o ni (rr.24-25)
occhielli
Alice si guardò il gr e m b iu l i no (rr.35-37)
occhielli
“tu dove li in fil i i b o tto n i [...] quando ti allacci un vestito” (rr.27-33) «Voi cosa ci fate ai «Servono per in fi- gr e m b iu l i ni pe r p olarc i i b ot t o ni» te r l i c hiu d e r e [...], d o p o a ve r me s s o i (rr.12-14) b ot t o ni ?» (rr.25-34) «E il tuo, del resto, credi forse che sia un na s o?» (rr.29-32)
Alice, incrociando gli occhi, tentò di scrunaso tare il suo na si n o. (rr.33-37)
Giglio
Naselli
«sono ni p o ti d e i na si!» (rr.16-17)
Galasso e Kemeni
lucci
-Perché lu c id an o sc ar pe e s ti val i (rr.14-16)
-E dimmi, c om e s o n o st ate pu li te le tu e sc ar pe ? (rr.28-31)
Alice guardò le sue sc ar pe (rr.37-38)
lucido Æ nero di seppia
D'Amico
merluzzo Æ bianchetto
«Perché me r lu str a le sc a r pe e gli s ti vale t ti » (rr.13-16)
«a te le sc ar pe c on c o sa le p u li sc o n o?» (rr.29-32)
(Alice guarda le scarpe, r.37)
lucido
Carano
merluzzo Æ fischia sulle alborelle
-Perché fisc h ia -Chi è che fisc hi a su be ni s si m o (rr.13gli al be r i? (rr.25-27) 15)
Alice si guardò le sc ar pe (rr.30-31)
merlo
Bianchi
bianchetto
«Perché pu li sc e «C on c h e c os a le pu - Alice si guardò le le sc ar pe e gl i li sc i tu ?» (rr.30-32) sc ar pe (rr.39-40) st iva li » (rr.16-18)
neretto
183
Come risulta dallo schema, solo D'Amico, che traduce il gioco di parole solo per la prima parte (merluzzo/merlustra) e il resto lo rende in modo letterale (lucido, che poi viene opposto a bianchetto), negli altri casi i traduttori hanno cercato di rendere il gioco, sia in modo analogo all’originale (cioè lasciando invariato il riferimento al lucido da scarpe: Galasso e Kemeni, D'Amico, Bianchi), sia variando il secondo termine dell’opposizione (come accade in Bossi, Graffi; Giglio; Carano). Si nota anche che, se cambia il secondo termine del gioco rispetto all’originale, in genere cambia anche ciò che il Grifone chiede ad Alice e ciò che Alice fa mentre pensa alla risposta da dare al Grifone82. Nei casi in cui viene ricreato il gioco di parole, si nota comunque che esso non è mai analogo all’originale, nel meccanismo, perché non vi è presente la polisemia di whiting, accentuata dall’opposizione a blacking. Abbiamo infatti giochi dati dalla sostituzione di una parte del morfema per analogia semantica (nasello - occhiello), false alterazioni (naso Î nasello; merlo Î merluzzo), assonanza (merluzzo Î merlustra; lucci Î lucido), rinforzati in alcuni casi dalla presenza di termini della sfera semantica del mare (nero di seppia, Galasso e Kemeni; alborelle, a sua volta in opposizione a alberi, in Carano). Il solo traduttore che riporti sia il gioco di polisemia sia il significato letterale dell’inglese è Bianchi, che mantiene l’opposizione tra bianchetto e neretto, mettendo in evidenza la polisemia di bianchetto con le stesse parole del Grifone: Nel caso di Carano, però, Alice guarda le sue scarpe, nonostante le scarpe non siano parte del pun in questa versione. 184 82
«Posso dirtene delle altre, se vuoi» disse il Grifone, «E non soltanto sui merluzzi. Sai perché l’acciuga, da piccola, si chiama bianchetto?» (Bianchi, rr.1-11)
Il gioco nel suo complesso risulta riuscito, ma il traduttore ha dovuto inserire un’ulteriore spiegazione assente nell’originale. In Busi, come abbiamo già detto, tutto il passo viene modificato, in funzione della riuscita del gioco di parole, tanto è vero che già nella parodia poetica il traduttore aveva rinunciato alla traduzione letterale di whiting per introdurre l’elemento del pun nel testo successivo. In questa versione il gioco consiste in una somma di puns sull’opposizione (in absentia) dei termini tonno/tono, con ambientazione ‘gastronomico-sartoriale’, che verrà poi ampliato nel resto del testo: tonno Î “Lo usano negli ateliers” (rr.9-10) Î “Sì, per la collezione autunnoinverno sono indicati i tonni caldi, per le situazioni informali va benissimo il tonno sportivo. In ogni caso è indispensabile il sandwich francese di tonni” [...] “Il tonnsur-tonn, no?”
Dall’analisi di questo nodo, abbiamo allora osservato questi comportamenti: 185
A: traduzione letterale dell’originale, con perdita del gioco di polisemia; B: mantenimento del gioco di polisemia, con mantenimento dei termini oppositivi dell’originale (whiting/blacking); C: creazione di un gioco di parole, con variazione di uno dei termini oppositivi in funzione del pun; D: creazione di un gioco di parole, con adattamento dei due termini e variazione libera di tutta la porzione di testo. A
B
C
D
z
z
z
z
D'Amico Bianchi
Bossi- Graffi- Giglio- Galasso e Kemeni- Carano Busi
Il secondo nodo (AA, rr.61-69) è legato al primo, perché nel testo originale Alice domanda al Grifone di cosa siano fatti stivali e scarpe (dato che si lucidano con “whiting” invece che con “blacking”). Il Grifone risponde con un pun basato sull’omofonia di “soles and eels”. Nel caso di soles si tratta di omonimia:
186
/səʊlz/
“soles” /səʊlz/
“The bottom of a boot, shoe, etc.; that part of it upon which the wearer treads (freq. exclusive of the heel); one or other of the pieces of leather or other material of which this is composed […]. Also, a separate properly-shaped piece of felt or other material placed in the bottom of a boot, a shoe, etc.83” “A common British and European flat-fish (Solea vulgaris or solea), highly esteemed as food; one or other of the various fishes belonging to the widelydistributed genus Solea”
Nel caso di eels siamo di fronte ad una quasi omofonia:
“eels”
/i:lz/
heels
/hi:lz/
“1. a. The name of a genus (Anguilla) of soft-finned osseous fishes, strongly resembling snakes in external appearance. The best known species are the Common or Sharp-nosed Eel (A. anguilla) found both in Europe and in America, and the Broad-nosed Eel or grig (A. Latirostris). The true eels are fresh-water fishes, but migrate to the sea to spawn.[…] b. Used (both in popular and in scientific language) as the name of the entire family Murænidæ, comprising the true eels with several other genera, notably the conger.” “I. 1. a. The projecting hinder part of the foot, below the ankle and behind the hollow of the foot. […] 5. a. The part of a stocking that covers the heel; b. The thick part of the sole of a boot or shoe which raises the heel”
In entrambi i casi, si fondono due sfere semantiche, quella dei pesci e quella delle calzature, entrambe già presenti nella parte di testo immediatamente precedente. Per i traduttori si tratta ancora una volta di fare i conti con la lingua italiana e con il testo precedente: come abbiamo visto, non tutti i traduttori hanno mantenuto
83
Tutte le definizioni sono tratte dall’OED 187
il riferimento alle scarpe e agli stivali, e quindi devono modificare questa porzione di testo in modo da connetterla a quella precedente. Ma anche i traduttori che hanno mantenuto il riferimento alle calzature devono adattare il riferimento ai pesci con termini che abbiano caratteristiche omofoniche analoghe. (boots and shoes)
soles and eels
Bossi
bottoni
osso di seppia e madreperla
Graffi
come li cucite i grembiulini?
pesce ago
pesce
ago
scarpe e stivali
Sogliole e Tacchigliole
sogliole
suole e tacchi
—
—
sogliole/aringhe
suole/stringhe
alborelle/ombrina
alberi/ombra
AA
Galasso e Kemeni D'Amico Bianchi Carano
scarpe e stivaletti
sogliole e anguille le suole di sogliole e le stringhe di stivali e scarpe aringhe cosa fanno le alborelle? fanno l’ombrina
soles and heels osso di seppia e madre-perla
soles and eels osso e madre-perla
Nello schema non è stato inserito Giglio perché elude di fatto il nodo, reintroducendo la traduzione letterale di soles and eels nel seguito della risposta del Grifone (cfr. rr.54-58), e non è stato inserito Busi perché la sua versione necessita un commento a parte. Notiamo ancora una volta che la versione di D'Amico, essendo letterale, non rende il pun. Nella versione di Carano, invece, si ha una prosecuzione del gioco precedente, basato su false alterazioni che producono nomi di pesci (merlo - alberi ombra Î merluzzo - alborelle - ombrina). Nelle versioni di Bossi e Graffi si usano 188
termini che includono sia il nome dei pesci che quello di materiale sartoriale, legato al testo precedente dall’opposizione nasello - occhiello. In Bianchi abbiamo due coppie di termini (suole di sogliole/stringhe di aringhe84), nelle quali un termine appartiene al campo semantico delle calzature e l’altro a quello dei pesci. In Galasso e Kemeni, è la coppia nel suo insieme a suggerire l’accostamento dei due campi semantici: il primo termine, sogliole, è prettamente ittico, mentre il secondo, inesistente, è un termine inventato a partire da ‘tacchi’ con l’aggiunta di quello che in sogliole, appare come un suffisso di alterazione (‘-gliole’). Dicevamo che Busi deve essere considerato a parte perché ha modificato tutta la sostanza del passo in esame, inserendo una serie di giochi di parole (sia puns che termini polisemici) che ben si accordano con i giochi di parole della porzione immediatamente precedente, basati sull’opposizione tonno/tono (v. sopra). In questa versione, Alice domanda: “E quali sono i capi più di moda?” “Papaline, mante a rombi con la cernia sul davanti e scarpe nei colori muggine o verdone” (Busi, rr.45-55)
Si incontrano dunque termini polisemici (mante - rombi - verdone), paronomasie (muggine per ‘ruggine’), e cernia, che richiama ‘cerniera’. 84
Quest’ultima coppia contiene anche un’assonanza. 189
Nel complesso risulta un testo esilarante, che sta in piedi da solo, ma che, a parer mio, è un altro testo, non una traduzione. Corpus X.02 AA, rr.7-28: “no wise fish would go anywhere without a porpoise.” “Wouldn’t it really?” said Alice in a tone of great surprise. “Of course not,” said the Mock Turtle: “why, if a fish came to me, and told me he was going a journey, I should say ‘With what porpoise?’” “Don’t you mean ‘purpose’?” said Alice. Anche qui abbiamo un pun, giocato su scambio vocalico: la differenza tra porpoise (/’pɔ:pəs/, animale marino simile al delfino) e purpose (/’pɜ:pəs/, proposito) è davvero minima. Si noti che questo passo è collegato alla Lobster Quadrille, perché Alice fa un’osservazione sulla presenza di un porpoise accanto al whiting, e la risposta della Mock Turtle si riferisce proprio a questo. Vediamo allora come era stato tradotto porpoise nella sua prima occorrenza (AA, p.134, v.2).
190
porpoise
focena
Bossi; Bianchi
Porco di mare
Giglio
delfino
Galasso e Kemeni; Carano
marsuino
D'Amico; Graffi
polpo
Busi
Invece nel passo che stiamo esaminando abbiamo: porpoise focena polipo
with what porpoise? Ti porti con te la focena? —
purpose (fo)cena —
delfino
Se cosi vuole il tuo delfino.
destino
marsuino
Con quale marsuino?
scopo
scambio vocalico scarto sillabico in testa — scambio di sillaba all’interno della parola traduzione letterale
Carano
marsuino
se un pesce viene da me a focena, deve avere il marsuino e le carpe nuove di tinca.
(fo)cena mars(u)ina scarpe nuove di trinca
4 giochi: inserimento di sillaba; zeppa vocalica; scarto consonantico; scarto consonantico
Graffi
marsuino
Che marsuino mi metto?
Mars(u)ina
focena
Sai dov’è la focena?
foce(na)
zeppa vocalica + cambio di genere scarto sillabico in coda
polpo
In ogni storia dev’esserci sempre un po lp o di scena [...] Ti venisse un p ol po
colpo
scambio consonantico
AA Bossi Giglio Galasso e Kemeni D'Amico
Bianchi Busi
Anche qui notiamo che D'Amico traduce letteralmente il testo, senza tenere conto del gioco linguistico, mentre Giglio elude il pun, dando come risultato un 191
testo sconnesso (cfr. Giglio, rr.25-31). Carano raggruppa una serie di giochi di parole, in sovrabbondanza rispetto all’originale. Gli altri traduttori invece adottano dei giochi di parole analoghi all’originale (scambi) o basati su scarti e zeppe. Corpus XI.01 AA, rr.16-30: “[…] and the twinkling of the tea—” “The twinkling of the what?” said the King. “It began with the tea,” the Hatter replied. “Of course twinkling begins with a T!” […] Siamo qui in presenza di un pun classico di omofonia tra tea (/ti:/) e il nome inglese della lettera T (/ti:/), arricchito però, nella sua ambiguità, dalla presenza di twinkling ai rr. 17, 20 e 28, e soprattutto da It del rigo 23. È proprio questo It, a mio parere, che crea il pun, che genera ambiguità nella comprensione della frase. It si può riferire sia a “twinkling”, inteso dal Re come lessema, non nel suo significato in sé, sia alla storia che il Cappellaio si sforza di raccontare. È ancora una volta questa divaricazione di referenza che crea l’ambiguità: ogni personaggio segue un suo filo nel discorso, negando così ogni possibilità di comunicazione.
192
Twinkling richiama però direttamente un elemento del testo, la canzone del Cappellaio85, quindi questo riferimento interno al testo dovrebbe essere preservato anche nella traduzione. Vediamo come si sono comportati i traduttori nella prima occorrenza di twinkling (AA, r.17):
twinkling86
tremolare tremolio tintinnio baluginio luccicare Brilla brilla biondo tè
(Bossi, r.20) (Giglio, r.20; D'Amico, r.19; Carano, r.19) (Galasso e Kemeni, r.18) (Graffi, r.21) (Bianchi, rr.21-22) (Busi, rr.17-19)
Come si può osservare, cinque traduttori hanno fatto corrispondere a twinkling un termine italiano avente come principale caratteristica l’iniziale T, sulla quale poi verrà costruito il gioco di parole. Poco importa se, come nel caso di tintinnio, il termine non è equivalente all’originale (del resto tintinnio evoca il rumore delle tazze di tè sul vassoio), o con tremolio si perde il riferimento alla canzone del Cappellaio. Apparentemente, questa sembrerebbe la soluzione migliore, perché Twinkle Twinkle Little Bat, parodia della celeberrima Twinkle Twinkle Little Star di Ann Taylor, presente nel capitolo VII, “A Mad Tea-Party”. Come si può notare, twinkling era già stato associato a tea. 86Cfr. "twinkling (/’twɪŋklɪŋ/), vbl. n.1 [f. twinkle v.1 + -ing1.] The action of twinkle v. 1. The action of shining with tremulous or faint radiance; scintillation; †glimmering. (OED) 193 85
ripropone il gioco partendo dagli stessi aspetti formali di twinkling e di T nell’originale. In realtà però i traduttori che hanno optato per questa soluzione non hanno tenuto conto della non corrispondenza fonica tra tè (= /tɛ/) e T (= /ti/) (tale è la scelta di Bossi, rr.27-30, D'Amico, rr.28-31, Carano, rr.26-28) o hanno trasformato l’omofonia in un errore di interpretazione corretto dal Re, capovolgendo così il testo (vedi Giglio, rr.28-30, Galasso e Kemeni, rr.27-31). Queste soluzioni, oltre ad apparire piuttosto forzate, non tengono in dovuto conto la presenza di It al rigo 23, presenza che contribuisce notevolmente a creare ambiguità nell’interpretazione del pun. I tre traduttori che hanno scelto di tradurre twinkling più liberamente dal punto di vista formale (Graffi, Bianchi e Busi) hanno quindi seguito altre vie. Bianchi e Busi si sono concentrati su quell’It trascurato dai loro colleghi, traducendolo in AA, rr.23-24 con Tutto, scelta interessante, perché tutto ha in sé la caratteristica di cominciare per T. Il Re della versione originale aveva considerato it come pronome riferentesi a twinkling in quanto parola iniziante per t. Il Re delle versioni italiane di Bianchi e Busi prende spunto dalla prima parola pronunciata dal preoccupatissimo Cappellaio (Tutto) e crede che il Cappellaio ad essa si riferisca quando parla di “cominciò con il tè”. Anche qui però il culmine del pun, l’omofonia tra tea e T dell’originale, non si raggiunge, ed il testo risulta quindi 194
forzato. Si noti inoltre che in Busi è stata omessa la prima osservazione del Re al Cappellaio (AA, rr.19-21). Graffi invece ha seguito un’altra strada. Abbiamo già più volte detto che tra tè e T non vi è omofonia in italiano. La traduttrice ha allora costruito il pun sull’omofono italiano di tè, cioè su te, pronome personale complemento indiretto di seconda persona singolare. Quando il Cappellaio dice “Tutto cominciò col tè”, il Re capisce invece “Tutto cominciò con te”, frutto di paronomasia in piena regola. In italiano il testo risulta quindi più credibile. Corpus XII.01 AA, rr.5-10: ‘before she had this fit-‘ you never had fits, my dear, I think?; rr.21-24: “Then the words don’t fit you,” said the King Questo è un pun di omonimia, giocato su fit, inteso come sostantivo e come verbo. Si noti che è lo stesso Re di Cuori ad evidenziare il pun87, volutamente molto sciocco, davanti al suo pubblico, perché non aveva ottenuto l’effetto desiderato. Prima di esaminare il passo in esame dobbiamo chiarire che la frase che il Re legge e commenta (“before she had this fit”, AA, rr.5-6) è un verso della prova di colpevolezza (in versi) che il Coniglio, in qualità di Araldo, legge davanti alla corte.
87
Cfr. AA, p.160. 195
Non ci soffermeremo su questa poesia, l’ultima del racconto, caratterizzata dall’ambiguità assoluta nel riferimento personale, ma dobbiamo vedere come in questo verso88 è stato tradotto fit. A lei venne un attacco (Bossi); prima che lei avesse questo attacco (Giglio); Prima che lei avesse un attacco (Carano) Prima che lei mentisse a voi (Galasso e Kemeni) 95
Before she had this fit
Prima che a lei venisse questo accidente (D'Amico) Lei ebbe una crisi (Graffi) Prima che lei avesse questo accesso (Bianchi); Prima ch’ella avesse accessi della bile più inconsulta (Busi)
Ma il sostantivo fit è un termine altamente polisemico, oltre che essere omonimo del verbo. Confrontiamo sull’OED dunque le varie accezioni di fit come sostantivo.
88 AA, p.158, verso 18. 196
“1. A part or section of a poem or song; a canto. […] 2. A strain of music, stave.”
Fit
“3. a. A paroxysm, or one of the recurrent attacks, of a periodic or constitutional ailment. In later use also with wider sense: A sudden and somewhat severe but transitory attack (of illness, or of some specified ailment) […] c. A sudden seizure of any malady attended with loss of consciousness and power of motion, or with convulsions, as fainting, hysteria, apoplexy, paralysis, or epilepsy. In 18th c. often used spec. without defining word = ‘fainting-fit’ or ‘fit of the mother’ (i.e. of hysteria: see mother); in recent use it suggests primarily the notion of an epileptic or convulsive fit. […] f. A violent access or outburst of laughter, tears, rage, etc.” “2. a. A fitting or adaptation of one thing to another, esp. the adjustment of dress to the body; the style or manner in which something is made to fit. to a fit: to a nicety.”
Strofa; stanza
Attacco; fitta; accesso; crisi
Adattamento
È chiaro che nella prima occorrenza di fit, nella poesia dunque, è a fit come attacco, fitta, accesso, crisi, non meglio precisata o identificabile (come tutto, del resto, in quei versi). Nel passo che stiamo esaminando, il Re rivolge alla consorte la domanda “You never had fits, my dear, I think?”, riprendendo dunque fit dal verso 18 della poesia. Ecco come è stato reso in questa occorrenza nelle versioni italiane:
197
Non hai mai avuto attacchi (Bossi); Hai mai avuto attacchi tu […]? (Giglio); non hai mai acuto un attacco tu (Carano) Tu non hai mai mentito (Galasso e Kemeni)
You never had fits
A te non sono mai venuti accidenti (D'Amico) Tu non hai mai avuto crisi (Graffi) Tu di accessi non ne hai mai (Bianchi) ; ma tu non hai mai avuto accessi di bile (Busi)
Vediamo allora com è stato tradotto fit, verbo, in AA r.23. Letteralmente la frase del Re suona come “Allora le parole non ti si addicono”, ma naturalmente in tal modo il pun viene annullato. Ecco come hanno risolto il problema i traduttori delle versioni in esame: Attacco
Allora questo non è un attacco a te (Bossi); Se non hai mai avuto attacchi, la poesia non attacca (Giglio); Quindi tu non c’entri (Carano)
Accidente Crisi Accesso Accessi di bile Mentire
198
Allora ogni riferimento a te è accidentale (D'Amico) Allora sono le parole che vanno in crisi con te (Graffi) Allora queste parole non possono trovare nessuna via di accesso per riferirsi a te (Bianchi); Questa cosa non ti è accessi-bile” (Busi) Allora le parole ti hanno smentito (Galasso e Kemeni)
Come si può notare, non tutti i traduttori hanno sfruttato il procedimento dell’omonimia, possibile ad esempio utilizzando attacco come traduzione per fit: Tale è stata la scelta di Bossi. Attacco sembra un termine adeguatamente polisemico, se non proprio di omonimia si tratta89. Mentre Carano, che pure ha usato attacco, rinuncia a continuare il gioco, Giglio ha alternato, in modo analogo all’originale, il sostantivo al verbo opportunamente declinato: non attacca sta ad indicare, nel linguaggio popolare, “parole, proposte e simili, cui non si dà ascolto90”. Anche accidenti, crisi e accesso sono adeguate traduzioni di fit come sostantivo, come abbiamo riscontrato nello specchietto alle pagine precedenti. I procedimenti seguiti dai traduttori in queste versioni sono diversi, ma in sostanza si è trattato o di inserire il termine fondamentale in una frase fatta (così è stato per Graffi, andare in crisi, e per Bianchi, via d’accesso) oppure di trovare una parola simile (quasi una paronomasia, come nel caso di D'Amico, accidenti Æ accidentale, e, con risultati migliori, uno scarto sillabico all’interno di quella che era stata percepita come un’unica parola, accessi-di-bile Æ accessi-bile). Galasso e Kemeni hanno sostituito le immagini evocate dal pun nell’originale: una Regina che non avrebbe mai attacchi isterici, affermazione contraddetta dalla Il Devoto-Oli dà i due sensi in cui è usato qui attacco come accezioni diverse della stessa parola: “3.[…] fig. critica acerba e violenta, assalto condotto con le armi della polemica. 4. Accesso, insulto di malattia”. 90 Definizione tratta dal Devoto-Oli, alla voce attaccare. 199 89
sua condotta visibilmente alterata (cfr. AA, rr.13-19), e le parole della poesia che, secondo il gioco di parole di bassa lega coniato dal Re, non si riferirebbero dunque alla sovrana. Nella traduzione di Galasso e Kemeni, invece, viene fuori tutto l’opposto di quanto detto adesso. In questa versione, muovendo dal verso della poesia che qui suona “prima che lei mentisse a voi”, il Re chiede alla Regina: “tu non hai mai mentito, cara. È così?”. Si noti che questa richiesta di conferma suona leggermente più dubitativa che nell’originale, come se il Re non fosse proprio sicuro della sincerità della consorte. La Regina risponde all’insinuazione: “Mai!”, con la furia che le è propria. A questo punto, il Re conclude: “Allora le parole ti hanno smentito”, prestando fede, in tal modo, alle parole della poesia, e gettando un’ombra di sospetto sulla sovrana. Nessuna sorpresa se il pubblico non coglie il gioco di parole: la situazione è tragica, c’è aria di tradimento. Come si potrà notare, quest’ultimo gioco di parole è volutamente scontato: neanche gli abitanti di Wonderland possono apprezzarlo (e, di questo, i traduttori hanno tenuto conto). Sembra significativo che si trovi nelle ultime pagine del racconto: un proverbio italiano ammonisce che il gioco è bello quando dura poco, e dodici capitoli di giochi di parole cominciano a pesare anche al lettore più allenato. L’autore sembra quasi ricordarci che non è consigliabile voler fare dello spirito a tutti costi, come fa il Re, perché si finisce col non poterne più. Alice, lei per prima, non ne potrà più e manderà tutti a quel paese (quello delle Meraviglie) per tornare sul suolo inglese, dove la logica, mitigata dal buon senso comune, non diviene follia. 200
Conclusione Le soluzioni adottate nel trasporre il nonsense evidenziano il difficile compito del traduttore che si sforza di trovare il giusto compromesso tra la lingua che ha condizionato il testo originale e la lingua o le lingue che condizionano inevitabilmente le traduzioni. La conoscenza delle lingue di arrivo e di partenza è condizione necessaria ma non sufficiente: infatti è importante che il traduttore entri in sintonia con l’autore dell’originale, ne sposi le scelte stilistiche e culturali, cercando lo spirito nella lettera. Nel testo di arrivo il destinatario della traduzione deve ritrovare nella lettura le stesse sensazioni, emozioni, suggestioni del lettore che gusta il testo originale. Ha dunque pienamente ragione Jakobson quando afferma, nel caso della poesia, come nel caso di testi imperniati su giochi verbali, che non di traduzione si dovrebbe parlare, ma più correttamente di “trasposizione creatrice”, mirante ad approssimarsi quanto più possibile al mondo creato dall’autore, alle immagini con le quali l’autore ha deciso di far divertire il lettore (nel caso dei giochi verbali). All’ideale di perfezione cui tendere all’infinito, cui il lavoro del traduttore deve mirare, si accompagna inevitabilmente una certa dose di rassegnazione al fallimento. Si tratta, tuttavia, di una sconfitta solo apparente, perché l’impossibilità di tale compito offre l’opportunità di ricreare il testo, di moltiplicarlo, di riscriverlo in tempi e 201
luoghi diversi, per persone diverse da quelle per cui fu pensato dall’autore. Il rischio di tradire l’autore è costantemente presente, ma è il prezzo necessario perché un’opera letteraria si diffonda e venga conosciuta nel tempo e nello spazio. La considerazione di Jakobson può essere trasferita dalla poesia ai testi umoristici, o che comunque si propongono di suscitare il riso nei lettori. È a questo effetto comico che i traduttori devono in prima istanza sottomettere la lingua di arrivo. Non tutti i traduttori, soprattutto quelli di testi nei quali il significante e il codice hanno predominanza (poesia e giochi verbali), si rendono conto dell’impossibilità di una traduzione, e traducono non tenendo conto delle particolarità del testo in questione: si ricordi che per molto tempo Alice ha avuto un ruolo marginale nella letteratura infantile italiana anche a causa delle traduzioni che ne facevano un testo insulso e bizzarro, ma certamente non divertente1. In molti casi felici il traduttore prende atto della particolare natura del testo da tradurre e ricrea un testo capace di suscitare nel lettore la stessa reazione desiderata dall’autore. Va da sé che, essendo fatte per un pubblico determinato, le traduzioni di un testo saranno anch’esse indissolubilmente legate ad un tempo determinato, e risulteranno datate già dopo pochi anni. Paradossalmente, si potrebbe addirittura aggiungere che più riuscite sono le traduzioni (cioè più legate ad un pubblico determinato) e più presto sono destinate a perdere di validità. Cfr. Draghi Salvadori, 1968, pp.45-55 202
1
Nell’analisi del corpus abbiamo osservato come la traduzione abbia subito mutamenti nel tempo, nella direzione della creazione di testi d’arrivo per certi versi autonomi rispetto all’originale, e in un caso, il riferimento è all’edizione tradotta da Busi, sino ai limiti dell’adattamento. Ci sembra di poter affermare che il mutamento si comincia ad avvertire a partire dalla versione Carano in poi. Il cambiamento ha trovato corrispondenza con una trasformazione radicale nella concezione della letteratura per ragazzi in Italia e con una rinnovata attenzione per i giochi verbali e il suono della lingua nella letteratura italiana, ed è quindi qualcosa che pertiene sì al singolo traduttore, ma risente anche dell’evoluzione nelle modalità di fruizione e ricezione di questo tipo di letteratura in Italia. Affermare che la ricreazione, piuttosto che la traduzione, ha senso quando parliamo di testi come Alice, non significa negare l’utilità di una versione come quella di D’Amico, che ha scopi dichiaratamente filologici rispetto alle altre, né si vuole con questo disprezzare le traduzioni antecedenti la versione Carano. Si noti invece come spesso, nelle prime versioni della nostra analisi (soprattutto Giglio e Galasso e Kemeny), i traduttori rinuncino a trovare un gioco corrispondente in italiano o, peggio, si limitino a tradurre letteralmente, con un effetto che gli inglesi definirebbero baffling2.
Cfr. (to) baffle nel Ragazzini: “1 lasciare perplesso; confondere; sconcertare; 2 render vano; frustrare; eludere; impedire; 3 deviare.” 203
2
Appare dunque chiaro che, sia per le poesie che per i testi come quello della nostra analisi, il modo migliore di leggere ed apprezzare un testo sia quello di leggere direttamente l’originale, affiancato ad una o più traduzioni. Questo procedimento permette di riconoscere i meccanismi dei giochi di parole generando una conoscenza via via sempre più approfondita della lingua e della sua organizzazione, nonché della cultura e della società che per essa si esprime. La traduzione, allora, acquista il doppio merito di far risaltare, forzando la lingua di arrivo, un altro sistema linguistico attraverso cui il testo originale si sostanzia, senza pretesa di sostituirsi ad esso. Alice in originale è accessibile solo in inglese, e ad essa si dovrà ricorrere se si vuole apprezzare il testo di Carroll nella sua integrità. Le edizioni italiane di Alice contribuiscono però a conoscerla meglio in un altro senso, a mano a mano che le traduzioni sono venute svelando o evidenziando peculiarità, implicite pieghe del testo e hanno offerto chiavi interpretative e trasposizioni espressive in un’altra lingua. Di fronte ad una Alice in originale inglese, siamo in presenza di tante Alici italiane ‘originali’ che ci conducono in un mondo linguistico altrettanto affascinante e misterioso e ricco di possibilità per chi voglia fermarsi a giocare con le parole.
204
Appendice Corpus
Numerazione nel corpus1
I.01 I.02 III.01 III.02 III.03 III.04 IV.01 VI.01 VI.02 VII.01 VII.02 VII.03 VII.04 VII.05 VIII.01 VIII.02
Riferimento in AA
Pagine nel corpus
p.28a p.28b p. 46 p. 47 p. 50 p. 52 p. 59 p. 84 p. 90 p. 99 p.101 p.102a p.102b p. 103 p. 106 p. 110
p.207 p.207 p.209 p.210 p.212 p.213 p.214 p.215 p.215 p.216 p.217 p.218 p.219 p.220 p.222 p.223
IX.01 IX.02 IX.03 IX.04 X.01 X.02 XI.01 XII.01
p. 121 p. 127 pp.129-30 p. 130 pp.136-7 p. 137 p. 148 p. 160
p.223 p.226 p.227 p.231 p.232 p.234 p.235 p.237
1 Il numero romano indica il numero del capitolo in Alice’s Adventures in Wonderland
205
206
I.01 AA p.28a
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17
Bossi Giglio (Bompiani (Rizzoli 1966 1963 [91]) p.7 [90]) p.38
Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.21 Poi cominciò Ma subito Presently she “Mi riprese il began again. domando se a pensare discorso. - Mi ancora: “I wonder if non domando poi traverserò in «Chissà se I shall fall se precipito right through questo modo attraverserò tutta la terra. tutta la terra. proprio the earth! attraverso la Sarebbe Come How funny terra! Che divertente sarebbe it'll seem to capitare fra la buffo sarà divertente come out trovarsi tra scappar fuori gente che among the quella gente cammina a fra la gente people that che cammina che cammina testa in giù! walk with con la testa a testa in giù! Mi pare che their heads all’in giù! Gli Gli antipatici, si chiamino downward! gli Antipati...» Antipatici, mi pare... The credo (...) Antipathies, I think—”
D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.29-30 A questo punto ricominciò. «Mi domando se non finirò per attraversare la terra da una parte all’altra! Sarà buffo sbucare fuori fra la gente che in giro a testa in giù! Agli Antidoti, mi pare...»
Carano Graffi (Einaudi (Garzanti 1978 [93]) p.7 1989 [93]) p.9a Ripigliò A questo subito. «E se punto passassi ricominciò. attraverso -Chissà se tutta quanta attraverserò tutta la terra? la terra intera! Chissà come Come sarà sono buffe buffo uscire quelle tra la gente che cammina persone che a testa in giù! camminano a Gli Antipati, testa in giù! Gli mi pare...!Antipotici, mi pare-»
D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.30 «(...) Chissà però se i gatti mangiano i pipistrelli?» E a questo punto Alice cominciò a sentire un gran sonno, e
Carano (Einaudi 1978 [93]) p.7-8 -(...) Ma chissà se i gatti mangiano i pipistrelli? E a questo punto Alice cominciò ad avere sonno,
Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.29
Busi (Feltrinelli 1993) p.19
«Magari cadrò dritta dritta attraverso la terra!» riprese subito dopo. «Sarà davvero buffo cadere tra la gente che cammina a testa ingiù. Dall’altra parte ci sono gli Antipiedi, mi sembra...»
A questo punto riattaccò: “Chissà se sto attraversando tutta la terra! Che numero sbucare fra quella folla di gente che cammina a testa in giù! Tantipodi... se non erro...”
Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.30
Busi (Feltrinelli 1993) p.19
«(...) Ma chissà se i gatti mangiano i pipistrelli?» E a questo punto Alice cominciò a sentirsi
“(...) Chissà se i gatti ne van matti”. E a questo punto Alice cominciò a avere sonno e, come se stesse
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I.02
1 2 3 4 5 6 7 8 9
AA p.28b
Bossi Giglio (Bompiani (Rizzoli 1966 1963 [91]) p.8 [90]) p.39
“(...) But do cats eat bats, I wonder?” And here Alice began to get rather sleepy, and went on saying to
“(...) Ma i gatti mangiano i pipistrelli? O mangiano i ratti? Ecco il problema!” A questo punto Alice
«(...) Chissà se i gatti mangiano i pipistrelli.» A questo punto Alice cominciò a sentir sonno e continuò a
Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.22 -(...) Ma poi i gatti mangiano i pipistrelli? E a questo punto Alice cominciò ad avere alquanto
Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.9b « (...) Ma una gatta mangia una gazza? Mah!» Qui Alice fu presa da una strana sonnolenza e continuava a chiedersi:
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herself, in a dreamy sort of way, “Do cats eat bats? Do cats eat bats?” and sometimes, “Do bats eat cats?” for, you see, as she couldn’t answer either question, it didn’t much matter which way she put it.
cominciò a sentirsi piuttosto assonnata e continuò a dire fra sé e sé, come in sogno: “I gatti mangiano i ratti? i gatti mangiano i ratti?” e qualche volta: “i ratti mangiano i gatti?” Perché, vedete, dato che il problema non era di immediata soluzione, non aveva una grande importanza che fosse espresso correttamente.
parlare fra sé, come in dormiveglia: «I gatti mangiano i pipistrelli? I gatti mangiano i pipistrelli?» ripeteva. E a volte diceva: «I pipistrelli mangiano i gatti?» Infatti, siccome non era in grado di rispondere a nessuna delle domande, non dava molto peso alla maniera in cui se la poneva.
sonno, e come quando si parla nei sogni continuò a ripetere a se stessa “Ma i gatti mangiano pipistrelli? Ma i gatti mangiano pipistrelli?” e qualche volta, “Ma i pipistrelli mangiano gatti?”, perché, vedete, dal momento che le era impossibile rispondere e all’una e all’altra domanda, poco importava quale fosse il modo giusto di porla.
continuò a ripetere fra sé, come in un dormiveglia: «I gatti mangiano i pipistrelli? I gatti mangiano i pipistrelli?» e qualche volta: «I pipistrelli mangiano i gatti?» perché, capite, siccome non sapeva rispondere a nessuna delle due domande, non faceva gran differenza come le formulava.
e continuò a ripetersi, quasi come in sogno: «I gatti mangiano i pipistrelli? I gatti mangiano i pipistrelli?» e talvolta, «I pipistrelli mangiano i gatti?» poiché, vedete, siccome non sapeva dare una risposta a nessuna delle due domande, poco importava come se le poneva.
«Una gatta mangia una gazza? Una gatta mangia una gazza?» e a volte «Una gazza mangia una gatta?» perché, capite, non sapendo qual era la risposta giusta a nessuna delle due domande, poco importava come le formulasse.
alquanto insonnolita e continuò a ripetere tra sé, come se sognasse: «I gatti mangiano i pipistrelli? I gattuccelli mangiano i rattuccelli?». E qualche volta anche: «I rattuccelli mangiano i gattuccelli?». Il fatto è che, non sapendo rispondere a nessuna delle due domande, il modo in cui le formulava non aveva proprio nessuna importanza.
sognando, continuava a ripetersi: “I gatti ne van matti? I gatti ne van matti?” o anche: “I matti van a gatti? I matti van a gatti?” poiché, visto che non sapeva dare una risposta a nessuna delle due domande, non contava molto chi andava matto di chi.
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III.01 AA p.46
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At last the Mouse, who seemed to be a person of authority among them, called out, “Sit down, all of you, and listen to me! I’ll soon make you dry enough!” (...) “Ahem!” said the Mouse with an important air, “are you all ready? This is the driest thing I know. Silence all round, if you please! (...)”
Bossi (Bompiani 1963 [91]) p.23 Alla fine il Topo, che sembrava una persona autorevole, gridò: “Mettetevi tutti a sedere e ascoltatemi! In un battibaleno sarete tutti asciutti perché ora vi seccherò io come si deve.” (...) “Ehm, ehm!” cominciò il Topo con aria di importanza. “Siete tutti pronti? Questa è la cosa più seccante che io conosca. Silenzio tutti quanti, prego. (...)”
Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.55-6
Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.37 Ad un tratto Alla fine il il Topo, che Topo, che sembrava una sembrava la persona di persona maggiore autorevole, chiamò tutti a autorità nel gruppo, raccolta e gridò: - Tutti disse: voi sedetevi e «Sedetevi e ascoltatemi! ascoltatemi! Presto sarete Tra un istante tutti asciutti, vi dirò come perché potrete adesso asciugarvi! penserò io a (...) seccarvi!» - Attenzione! (...) - disse il «Ehm!» Topo cominciò il dandosi l’aria Topo di una dandosi una persona certa importante, importanza. siete tutti «Siete tutti pronti? pronti? Questo è il Questo è il sistema più tono più asciutto che asciutto che conosca. conosca. Silenzio, per Silenzio tutti, favore! (...) prego. (...)»
D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.48 Finalmente il Topo, che lì in mezzo sembrava godere di una certa autorità, disse forte: «Sedetevi tutti e statemi a sentire! Ci penso a seccarvi in poco tempo!» (...) «Ahem!» disse il Topo con aria d’importanza. «Siete tutti pronti? Ecco la cosa più seccante che conosco. Silenzio intorno, per favore! (...)»
Carano (Einaudi 1978 [93]) p.23-4 Alla fine il Topo, che sembrava essere persona autorevole tra di loro, ordinò: - Sedetevi ed ascoltatemi! Io vi asciugherò tutti ben presto! (...) - Hem-hem! disse il Topo con aria d’importanza. - Siete tutti pronti? Questa è la cosa più asciutta che conosca. Silenzio qui intorno, prego! (...)-
Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.16 Finalmente, intervenne il Topo, che nel gruppo sembrava godere di una certa autorità, e disse con voce alta: «Mettetevi seduti, e statemi a sentire! Pochi minuti mi basteranno per lasciarvi tutti secchi!» (...) «Ahem!» fece il Topo con aria importante. «Siete tutti pronti? Eccovi qualcosa di molto asciutto. Prego osservare il massimo silenzio! (...)»
Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.44
Busi (Feltrinelli 1993) p.39
Finalmente il Topo che, a quanto pareva, era considerato un’autorità dagli altri, chiamò tutti a raccolta: «Sedetevi tutti e statemi a sentire! So io come seccarvi per bene tutti quanti». (...) «Ehm, ehm!» disse il Topo con cipiglio importante. «Siete tutti pronti? Questa è la cosa più seccante che conosco. Silenzio lì intorno, prego! (...)»
Alla fine il Topo, che sembrava godere di una certa autorità fra gli astanti, annunciò: “Sedetevi e ascoltatemi. Io vi farò seccare in un battibaleno!” (...) “Hemhem!” disse il Topo aggrottando la fronte. “Siete tutti pronti? Ve la dico io la cosa che secca di più. Silenzio lì in fondo, per piacere! (...)”
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III.02
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210
AA p.47
Bossi (Bompiani 1963 [91]) p.24
Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.56
Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.38
D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.49
Carano (Einaudi 1978 [93]) p.23
Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.24
Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.45
Busi (Feltrinelli 1993) p.41
“—I proceed. ‘Edwin and Morcar, the earls of Mercia and Northumbria, declared for him: and even Stigand, the patriotic archbishop of Canterbury, found it advisable—‘” “Found what?” said the Duck. “Found it,” the Mouse replied rather crossly: “of course you know what ‘it’ means.” “I know what ‘it’ means well enough, when I find a thing,” said the Duck: “it's generally a frog or a worm. The question is, what did the archbishop find?”
“Allora continuo. ‘Edwin e Morcar, i conti di Mercia e di Northumbria, si dichiararono in suo favore; anche Stigand, il patriottico arcivescovo di Canterbury, trovò questo opportuno’...” “Trovò che cosa?”, domandò l’Anatra. “Trovò questo,” rispose piuttosto seccato il Topo. “Naturalmente, saprai che cosa significa ‘questo’.” “So benissimo che cosa significa ‘questo’, quando io trovo qualcosa”,
«(...) Allora continuo. Come vi dicevo, signori, Edvino e Morcar, i conti di Mercia e Nortumbria, si dichiararono favorevoli a lui; anche Stigand, il patriottico arcivescovo di Canterbury, trovò ciò consigliabile...» «Trovò che cosa?» domandò l’Anatra. «Trovò ciò» rispose il Topo, piuttosto seccato. «Immagino che il signore sappia che cosa significa ciò.» «So benissimo che cosa significa ciò, quando si riferisce a una cosa» disse l’Anatra. «Per esempio, io posso
-Bene, procediamo: Edwin e Morcar, conti di Mercia e Northumbria, si dichiararono a suo favore: e persino Stigand, il patriottico Arcivescovo di Canterbury, trovò la cosa opportuna... -Trovò cosa?chiese l’Anitra. -Trovò la cosa opportuna,rispose il Topo piuttosto irritato: -Sono certo che tu sai quale sia il suo significato. -So benissimo quale è il suo significato, quando trovo una cosa,disse l’Anitra, -e questa è di solito una rana o un verme. Ma la questio-
«Vado avanti. ’Edwin e Morcar, signori della Mercia e della Northumbria, optarono per lui; e persino Stigand, il patriottico arcivescovo di Canterbury, trovò opportuno...’» «Chi trovò?» disse l’Anatra. «Trovò opportuno», rispose il Topo, abbastanza seccato: «lo saprai cosa vuol dire opportuno, no?» «Io so quello che trovo io quando trovo qualcosa», disse l’Anatra; «di solito è un verme o una rana. La questione è: ’cosa trovò l’arcivescovo?’» Il Topo non
-Allora vado avanti. «Edwin e Morcar, conti di Mercia e Northumbria, si pronunciaron o in suo favore: ed anche Stigand, il patriottico arcivescovo di Canterbury, trovò ciò consigliabile...» -Trovò cosa?disse l’Anitra. -Trovò ciò,rispose il Topo piuttosto seccamente: -Lei sa certo cosa significa «ciò». -So benissimo cosa significa «ciò» quando trovo una cosa,- disse l’Anitra: -In genere si tratta di una rana o di un verme. Qui la questione è di
«Procediamo. “Edwin e Morcar, conti della Mercia e della Northumbria, resero omaggio al conquistatore, e persino Stigand, il patriottico arcivescovo di Canterbury, trovò la cosa conveniente”». «Trovò cosa?» domandò l’Anatra. «Trovò la cosa» replicò il Topo piuttosto seccato, «immagino che tu sappia che cosa sia una cosa». «So che cos’è una cosa quando la trovo» disse l’Anatra: «e, di solito è una rana o un verme. La mia domanda è
«Bene allora, procediamo. “Edwin e Morcar, conti di Mercia e di Northumbria, si espressero a suo favore; e persino Stigand, il patriottico Arcivescovo di Canterbury, ritenne che fosse cosa opportuna...”» «Quale cosa?» interruppe l’Anatra. «Quella cosa!» ribatté il Topo piuttosto seccato. «Voglio sperare che tu sappia che cosa è una cosa.» «So benissimo che cos’è una cosa quando io ne trovo una» disse l’Anatra. «Di regola è un ranocchio o un vermicello.
“Allora vado avanti. ‘Edwin e Morcar, i conti di Mercia e di Northumbria, si pronunciarono in suo favore, e persino Stigand, il patriottico arcivescovo di Canterbury, trovò la qualcosa consigliabile...’ ” “Trovò che?” disse l’Anitra. “La qualcosa,” rispose il Topo alquanto seccato. “Lei saprà certamente cosa significa la qualcosa.” “Altroché se lo so, quando trovo qualcosa io,” disse l’Anitra “di solito si tratta di una rana o di un lombrico. La mia domanda
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The Mouse did not notice this question, but hurriedly went on, “ ‘— found it advisable to go with Edgar Atheling to meet William and offer him the crown.(...)”
disse l’Anatra: “si tratta generalmente di un ranocchio o di un verme. Il problema è: che cosa trovò l’arcivescovo?” Senza prendere in considerazione la domanda, il Topo s’affrettò a riprende-re il filo del racconto: “Trovò questo opportuno: di andare con Edgar Atheling a incontrare Guglielmo e offrirgli la corona (...)”
trovare un ranocchio oppure un verme. Ma adesso il problema è di sapere che cosa trovò l’arcivescovo, mi pare.» Il Topo fece finta di non aver sentito la domanda e s’affrettò a continuare: «Trovò, ripeto, che era consigliabile andare con Edgardo Atheling a incontrare Guglielmo per offrirgli la corona. (...)»
ne è questa: che cosa trovò l’Arcivescovo? Il topo ignorò questa battuta e continuò in fretta il suo discorso: -Trovò dunque opportuno andare assieme ad Edgar Atheling incontro a Guglielmo per offrirgli la corona. (...)
rilevò la domanda, ma continuò in fretta: «.’..trovò opportuno muovere con Edgar Atheling incontro a Guglielmo onde offrirgli la corona. (...)»
sapere cosa trovò l’arcivescovo! Il Topo non fece caso a questa osservazione, andò invece avanti spedito, - « ... trovò consigliabile di andare insieme a Edgar Atheling ad incontrare Guglielmo per offrirgli la corona. (...)
che cosa trovò l’arcivescovo?” Il Topo sorvolò su questa domanda, ma si affrettò a proseguire. «“- trovò la cosa conveniente e andò incontro a Guglielmo scortato da Edgar Atheling per offrirgli spontaneamen te la corona. (...)»
Ma la mia domanda è: che cos’è la cosa che l’Arcivescovo ha ritenuto?» Il Topo ignorò la domanda e proseguì velocemente: «... “ritenne che fosse cosa opportuna recarsi con Edgar Atheling da Guglielmo e offrirgli la corona. (...)»
è che cos’è che trovò l’arcivescovo.” Il Topo non fece caso alla domanda e proseguì imperterrito “ ‘...trovò la qualcosa consigliabile tanto che si unì a Edgar Atheling per muoversi all’incontro di Guglielmo e offrirgli la corona. (...)”
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III.03 AA p.50
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“Mine is a long and a sad tale!” said the Mouse, turning to Alice, and sighing. “It is a long tail, certainly,” said Alice, looking down with wonder at the Mouse's tail; “but why do you call it sad?”
Bossi (Bompiani 1963 [91]) p.27 “La mia è una storia lunga e triste!” disse il Topo, voltandosi verso Alice e sospirando. “È proprio una coda lunga, davvero”, disse Alice, abbassando lo sguardo stupito sulla coda del Topo; “ma perché dici ch’è triste?”.
Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.60
Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.41 «La mia non -La mia è una lunga e triste è una di quelle storie storia! replicò il senza capo Topo, né coda: è lunga e triste» rivolgendosi disse il Topo con un profondo con un sospiro ad sospiro, Alice. volgendosi -Oh, verso Alice. «Lo so che la certamente è coda è lunga» una lunga disse Alice, la coda,- disse Alice quale non aveva capito guardando con bene. «Ma perché poi è meraviglia la coda del triste?» Topo; -ma perché dici che è triste?-
D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.52 «La mia storia ha una coda lunga e triste!» disse il Topo, voltandosi verso Alice e tirando un sospiro. «Che è lunga lo vedo», disse Alice guardando perplessa la coda del Topo; «ma perché dici che è triste?»
Carano (Einaudi 1978 [93]) p.25-6 -La mia è una storia lunga e triste!- disse il Topo, volgendosi verso Alice e sospirando. -È lunga senza dubbio,disse Alice guardando la coda del Topo con stupore; - ma perché dici che è triste?-
Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.26b «Sapeste che storia triste, con una lunga coda di interminabili vicende!» dichiarò il Topo e volgendosi verso Alice, sospirò. «Una coda lunga davvero» replicò Alice, che aveva abbassato gli occhi e guardava meravigliata la coda del Topo, «ma perché è diventata triste?»
Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.47
Busi (Feltrinelli 1993) p.45
«Il mio è un racconto triste, con una lunga coda!» disse il Topo ad Alice, sospirando. «Che la tua coda sia lunga non c’è dubbio» disse Alice guardando stupita la coda del Topo. «Ma che cosa c’entra con il racconto? E perché è triste?»
“Il mio è un lungo codazzo di miserie,” disse il Topo sospirando, volgendosi ad Alice. “Ah per essere lungo è lungo davvero,” disse Alice abbassando lo sguardo meravigliato sulla coda del Topo, “ma cosa c’entrano le miserie?”
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III.04 AA p.52
Bossi (Bompiani 1963 [91]) p.29 1 “You are not “Non stai prestando 2 attending!” attenzione!” 3 said the disse il Topo 4 Mouse to ad Alice in 5 Alice tono severo. 6 severely. “A che cosa 7 “What are 8 you thinking stai pensando?” 9 of?” “Chiedo 10 “I beg your 11 pardon,” said scusa,” disse Alice con 12 Alice very grande 13 humbly: 14 “you had got umiltà: “eri arrivato alla 15 to the fifth quinta curva, 16 bend, I vero?” 17 think?” 18 “I had not!” “No davvero!” 19 cried the esclamò il 20 Mouse, Topo, 21 sharply and arrabbiato. 22 very angrily. “Un nodo!”, 23 “A knot!” disse Alice, 24 said Alice, 25 always ready sempre pronta a 26 to make 27 herself useful, rendersi utile, guardandosi 28 and looking in torno 29 anxiously ansiosamente 30 about her. “Oh, lascia 31 “Oh, do let che ti aiuti a 32 me help to scioglierlo!”. 33 undo it!” 34 35
Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.62 «Ma tu non mi segui!» disse a un tratto il Topo ad Alice, con tono di rimprovero. «A che pensi?» «Ti chiedo scusa» rispose Alice umilmente. «Mi ero un po’ distratta.» «Lo noto!» gridò il Topo, arrabbiato. «Un nodo?» disse Alice. Credeva che il Topo si fosse fatto un nodo alla coda e desiderava rendersi utile. «Ti aiuto io a scioglierlo!»
Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.43 -Ma tu non presti attenzione! disse il Topo ad Alice. - A cosa stai pensando? -Ti chiedo scusa, rispose Alice in tono molto umile: -mi sembra tu sia arrivato alla quinta svolta della cosa, non è vero? -Assolutamente, no! urlò il Topo con ira, molto seccato. -Un nodo! esclamò Alice sempre pronta a rendersi utile e guardandosi intorno con ansia. -Oh, per favore, lascia che ti aiuti a disfarlo!
D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.54 «Non stai a sentire!» disse il Topo ad Alice, in tono severo. «A che pensi?» «Chiedo scusa», disse Alice in tutta umiltà. «Eri arrivato alla quinta curva, vero?» «Neanche per sogno!» esclamò secco il Topo, molto irritato. «Un nodo!» disse Alice, guardandosi attorno ansiosa di rendersi utile. «Lascia che ti aiuti a scioglierlo!»
Carano (Einaudi 1978 [93]) p.27 -Ma tu non stai a sentire!disse il Topo ad Alice severamente. -A cosa stai pensando? -Scusami tanto, - disse Alice con molta umiltà: -Sei arrivato alla quinta curva, vero? -Ma no!- urlò il Topo, con rabbia. -Mano? Ti sei fatto male a una mano?disse Alice, sempre pronta a rendersi utile, e si guardò intorno. -Oh, lascia che te la fasci!
Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.28 «Tu non segui il filo!» esclamò il Topo aspramente, rivolgendosi ad Alice. «A cosa stavi pensando?» «Scusami», rispose Alice umile umile, «In realtà seguivo proprio il filo. Sei alla quinta curvatura: le ultime si van facendo più piccole, hai notato?» «No! Non noto niente!» strillò il Topo con voce acuta e alquanto furiosa. «Un nodo!» esclamò Alice, sempre desiderosa di rendersi utile, guardandosi attorno piena di sollecitudi-
Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.49
Busi (Feltrinelli 1993) p.49
«Non sei niente attenta!» disse il Topo ad Alice in tono severo. «A che cosa stai pensando?» «Sono mortificata» rispose Alice umilmente. «Sei arrivato alla quinta curva, vero?» «No! Dovevo...» gridò il Topo, arrabbiato. «Un nodo!» disse Alice, sempre pronta a rendersi utile, guardandosi attorno con ansia. «Oh, ti prego, lascia che ti aiuti a scioglierlo!»
“Distrattona!” disse il Topo a Alice severamente. “Che ti frulla in testa, eh?” “Scusami tanto,” disse Alice con ogni umiltà, “sei arrivato alla quinta curva, se non sbaglio...” “Mi prendi in giro?” urlò il Topo su tutte le furie. “No, davvero: a zig-zag” disse Alice, precisina come sempre.
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ne. «Oh, lascia che ti aiuti a scioglierlo!»
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IV.01 AA p59
Bossi (Bompiani 1963 [91]) p.34 “(...)Si 1 “(...) There 2 ought to be a dovrebbe 3 book written scrivere un libro su di 4 about me, me, si 5 that there dovrebbe! 6 ought! And 7 when I grow quando sarò cresciuta lo 8 up, I'll write 9 one—but I’m scriverò...” “Ma io sono 10 grown up bell’e 11 now,” she cresciuta,” 12 added in a aggiunse in 13 sorrowful 14 tone; “at least tono malinconico 15 there’s no la prima 16 room to 17 grow up any Alice; “per lo meno, se 18 more here.” crescessi 19 “But then,” ancora non 20 thought 21 Alice, “shall I so davvero come farei a 22 never get any stare qua 23 older than I 24 am now?(...)” dentro. Ma allora,” 25 seguitava a 26 riflettere, “i 27 miei anni non 28 aumenterann 29 o più? (...)” 30
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Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.68 «(...) Bisognerebbe scriverla, la mia storia! Bisognerebbe proprio! Quando crescerò la scriverò io... Ma... io sono cresciuta,» aggiunse con voce lamentosa «e qui non c’è proprio spazio per crescere ancora!» «Ma allora,» continuò Alice «non diventerò mai più vecchia di come sono adesso? (...)»
Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.50 “(...) Si dovrebbe scrivere un libro su questa mia avventura, certo si dovrebbe proprio! E quando diventerò grande, ne scriverò una io... ma sono grande adesso,” aggiunse un po’ rattristata; “qui almeno non c’è più spazio per crescere ancora.” “Ma allora” pensò Alice, “non diventerò mai più vecchia di quel che sono ora?(...)”
D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.60-1 «(...) Dovrebbero scrivere un libro su di me, ecco! E quando sarò grande ne scriverò uno io... ma sono già grande», aggiunse in tono doloroso. «Almeno, qui dentro di spazio per crescere non ce n’è più.» «Forse però», pensò Alice, «vuol dire che non diventerò mai più vecchia di così. (...)»
Carano (Einaudi 1978 [93]) p.33 «(...) Si dovrebbe scrivere un libro su di me, davvero! Quando divento grande, lo scriverò io... Ma io sono grande adesso, aggiunse in tono lamentoso; o almeno, qui non c’è spazio per diventare più grande». «Ma allora,pensò Alice, non diventerò mai più vecchia di quel che sono adesso? (...)»
Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.32 «(...) Dovrebbero scrivere un libro su di me, eccome se dovrebbero! Quando sarò grande, lo scriverò io — ma io sono già grande», aggiunse addoloratissi ma, «perlomeno non c’è spazio per diventare più grande di così, qui!» «Ma allora» andava ragionando Alice, «vuol forse dire che non crescerò più? (...)»
Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.54
Busi (Feltrinelli 1993) p.57
«(...) Dovrebbero scrivere un libro su di me! Dovrebbero proprio farlo! E quando sarò grande, ne scriverò uno io... Però io sono grande adesso» aggiunse addolorata. «Per fortuna che qui non c’è spazio per crescere ancora!» «Ma poi» rifletté Alice «chissà se diventerò mai più grande di adesso?(...)»
“(...) Bisognerebbe scrivere un libro su di me, sarebbe un best seller! Da grande me ne scriverò uno io... Ma io sono già grande adesso!” aggiunse con voce piena di tristezza, “e poi qui non c’è spazio per diventare ancora più grande.” “Però,” pensò Alice, “questo significa che non diventerò mai più vecchia di così!(...)”
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VI.01 AA p.84
Bossi (Bompiani 1963 [91]) p.57-8 1 “(...) You see “(...) Vede, la terra impiega 2 the earth 3 takes twenty- ventiquattr’or 4 four hours to e per girare intorno al 5 turn 6 round on its suo asse...” “A proposito 7 axis—” di asce,” 8 “Talking of interruppe la 9 axes,” said 10 the Duchess, Duchessa; 11 “chop off her “tagliatele la testa.” 12 head!” 13 14
Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.89
Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.76 «(...) Infatti la -(...) La terra, terra impiega vedete, ci ventiquattr’or mette ventiquattro e per girare ore per girare intorno al intorno al suo asse.» «A proposito suo asse... -Parla di assidi asce» interruppe la esclamò la Duchessa, Duchessa. «Tagliatele la -tagliale la testa! testa!»
D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.86 «(...)Sa, la terra impiega ventiquattr’or e a girare sul proprio asse...» «A proposito di asce», disse la Duchessa, «mozzatele il capo!»
Carano (Einaudi 1978 [93]) p.60 -(...) Vedi, la terra impiega ventiquattr’or e a ruotare intorno al suo asse... -A proposito di asce,- disse la Duchessa,tagliatele la testa!
Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.54 «(...) Lei sa che la terra impiega ventiquattro ore per girare attorno al proprio asse —» «A proposito di asce» la interruppe la Duchessa, «mozzatele la testa!»
Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.76
Busi (Feltrinelli 1993) p.89
«(...) Vede, la terra impiega ventiquattro ore a ruotare sul proprio asse...» «A proposito di asce» disse la Duchessa. «Prendine una e tagliale la testa.»
“(...) Vede, la 1 Terra impiega 2 ventiquattr’or 3 e a ruotare 4 intorno al 5 suo asse...” 6 “A proposito 7 di asce,” disse 8 la Duchessa, 9 “tagliatele la 10 testa!” 11 12 13 14
Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.95
D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.93 «Hai detto ’porcello’ o ’ombrello’?» disse il Gatto. «Ho detto ’porcello’», rispose Alice; (...)
Carano (Einaudi 1978 [93]) p.65 -Hai detto porcellino o parcellino?disse il Gatto. -Ho detto porcellino,rispose Alice; (...)
Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.60 «Hai detto “porcello” o “forcella”?» chiese il Gatto. «Ho detto “porcello”» rispose Alice; (...)
Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.82
Busi (Feltrinelli 1993) p.97
«Hai detto in un porcellino o in un porcino?» chiese il Gatto. «In un porcellino» rispose Alice.
“Hai detto ‘porco’ o ‘orco’?” disse il Gatto. “Ho detto ‘porco’” rispose Alice, (...)
VI.02 AA p.90
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“Did you say pig, or fig?” said the Cat. “I said pig,” replied Alice; (...)
Bossi (Bompiani 1963 [91]) p.63 “Scusa, hai detto ‘porcello’ o ‘portello’?” “’Porcello’,” rispose Alice; (...).
«Hai detto maiale o caviale?» le chiese il Gatto. «Ho detto maiale» rispose Alice.
Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.82 -Hai detto porcello o pestello?domandò il Gatto. -Ho detto porcello,rispose Alice; (...)
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VII.01 AA p.99
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Bossi (Bompiani 1963 [91]) p.70 “Bene,” “Well, I’d seguitò il hardly Cappellaio, finished the “avevo first verse,” appena finito said the la prima Hatter, strofa, “when the quando la Queen Regina saltò jumped up su a strillare: and bawled ‘Sta out, ‘He’s assassinando murdering the time! Off il tempo! Tagliategli la with his testa! Via la head!’ ” testa! Via la testa!’ ”
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Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.102
Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.90 -E così, «Insomma, avevo appena avevo appena finito di finito la prima strofa,» cantare il primo verso, riprese il -disse il Cappellaio Cappellaio, «quando la Regina saltò quando la Regina saltò in piedi e si mise a urlare: in piedi e proclamò a “Sta assassinando voce alta: «Sta il Tempo! Tagliategli la ammazzando il tempo! testa!”» Tagliategli la testa!»
D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.100 «Be’, avevo appena finito la prima strofa», disse il Cappellaio, «che la Regina si mise a strillare: ’Sta assassinando il tempo! Mozzategli il capo!’»
Carano (Einaudi 1978 [93]) p.70 -Beh, non avevo neppure finito la prima strofa,disse il Cappellaio, che la Regina balzò in piedi e gridò con voce stentorea: «Sta assassinando il tempo! Gli sia mozzata la testa!»
Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.65 «Ebbene, avevo quasi finito la prima strofa» disse il Cappellaio, «quando la Regina si mise a urlare “È fuori Tempo! Tagliategli la testa!”»
Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.90
Busi (Feltrinelli 1993) p.105
«Dunque, avevo appena finito di cantare il primo verso,» disse il Cappellaio «quando la Regina balzò in piedi proclamando: “quello il tempo lo assassina! Tagliategli la testa!”»
“Morale: non avevo neppure finito la prima strofa,” disse il Cappellaio, “che la Regina balzò in piedi e gridò con voce sincopata ‘Staàm mazzàndoilté mpò! Bò ìadàc ciuntàgliò!’ ”
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VII.02 AA p.101
Bossi (Bompiani 1963 [91]) p.71 “Prendi un 1 “Take some po’ più di te,” 2 more tea,” suggerì la 3 the March 4 Hare said to lepre marzolina ad 5 Alice, very Alice, con 6 earnestly. molta serietà. 7 “I've had 8 nothing yet,” “Non ne ho 9 Alice replied avuto affatto finora,” 10 in an rispose Alice 11 offended offesa, 12 tone, “so I “ragione per 13 can't take cui non ne 14 more.” posso 15 “You mean 16 you can't take prendere di più.” 17 LESS,” said “Vorrai dire 18 the Hatter: che non puoi 19 “it's very prenderne di 20 easy to take meno,” disse 21 more than il Cappellaio, 22 nothing.” “prendere più 23 di niente è 24 molto facile.” 25 26 27 28 29 30 31
Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.103104 «Prendi un altro po’ di tè» disse ad Alice la Lepre Marzolina, con un tono molto premuroso. «Non ne ho ancora avuto» rispose lei offesa. «Perciò non posso prenderne un altro po’.» «Vorrai dire che non puoi prenderne di meno» disse il Cappellaio. «Ma prenderne di più di niente è molto facile.»
Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.91 -Bevi più tè, disse la Lepre Marzolina ad Alice molto seriamente. -Non ne ho ancora bevuto,rispose Alice in tono offeso,quindi non ne posso bere di più. -Vuoi dire che non ne puoi bere di meno,- disse il Cappellaio: -è molto più facile berne di più che non berne affatto.
D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.102 «Prendi dell’altro tè», disse seria ad Alice la Lepre Marzolina. «Ancora non ne ho avuto affatto», rispose Alice in tono offeso; «ragion per cui non posso prenderne dell’altro.» «Vuoi dire che non puoi prenderne di meno», disse il Cappellaio; «se non si è avuto niente non si può che prendere qualcosa.»
Carano (Einaudi 1978 [93]) p.71 -Prendi un altro po’ di tè,- disse la Lepre Marzolina ad Alice con molto calore. -Non ne ho avuto ancora,rispose Alice offesa, perciò non posso prenderne un altro po’. -Vuoi dire che non puoi darne se mai,disse il Cappellaio ma prenderne un altro po’ è facilissimo se non ne hai avuto niente.
Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.67 «Prendine un po’ di più», disse premuroso il Leprotto Marzolino rivolgendosi ad Alice, «di tè». «Veramente non l’ho ancora preso per niente» rispose Alice con il tono di chi è offeso; « ragion per cui non posso prenderne di più». «Vorrai dire che non puoi prenderne di meno» obiettò il Cappellaio, «prendere qualcosa di più che niente è più facilissimo».
Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.90
Busi (Feltrinelli 1993) p.109
«Prendi ancora un po’ di tè» disse con ardore ad Alice la Lepre Marzolina. «Non ne ho ancora preso» rispose Alice in tono offeso «e quindi non posso prenderne ancora.» «Se non ne hai ancora preso, vuol dire che non puoi prenderne di meno» disse il Cappellaio. «È molto più facile prenderne di più che non prenderne affatto.»
“Ma prendine di più di tè”, disse la Lepre Marzolina a Alice, con estrema serietà. “Se finora non ne ho avuto nemmeno una goccia,” rispose Alice piccata, “non posso certo prenderne di più.” “Vuoi dire che non puoi prenderne di meno,” disse il Cappellaio; “prenderne di più di niente è facilissimo.”
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Bossi (Bompiani 1963 [91]) p.72 “E così, 1 “And so queste tre 2 these three 3 little sisters— sorelline... imparavano a 4 they were disegnare, 5 learning to sapete...” 6 draw, you “Che cosa di7 know—” segnavano?” 8 “What did chiese Alice 9 they draw?” dimenticando 10 said Alice, si comple11 quite 12 forgetting her tamente la promessa. 13 promise. “Melassa” 14 “Treacle,” rispose il 15 said the Ghiro senza 16 Dormouse, riflettere af17 without fatto, questa 18 considering volta. (...) 19 at all this La bimba 20 time. (...) 21 Alice did not non voleva offendere di 22 wish to nuove il 23 offend the Ghiro così 24 Dormouse 25 again, so she cominciò prudente26 began very mente: 27 cautiously: 28 “But I don't “Io non capisco. Da 29 understand. dove attinge30 Where did 31 they draw the vano per disegnare la 32 treacle melassa?” 33 from?” “Si può 34 “You can attingere l’ac35 draw water
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Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.104 «Queste tre sorelline... impararono a tirar fuori...» «Che cosa?» disse Alice, che aveva già dimenticata la promessa. «La melassa» disse il Ghiro. E questa volta non ebbe esitazioni. (...)Alice non desiderava offendere di nuovo il Ghiro e perciò riprese con molta cautela: «Non ho capito bene. Da dove tiravan fuori la melassa?» «Se da un pozzo d’acqua si tira fuori l’acqua,» disse il Cappellaio «è chiaro che da un pozzo di
Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.92 -Perciò queste tre piccole sorelle... imparavano a tirare su... -Cosa tiravano?chiese Alice, dimenticando si della promessa fatta. -Melassa,rispose il Ghiro senza pensarci affatto questa volta. (...) Alice non voleva offendere di nuovo il Ghiro, sicché riprese con molta cautela: -Ma io non capisco. Da dove tiravano su la melassa? -Si può tirar su l’acqua da un pozzo d’acqua,disse il Cappellaio; -così
D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.103 «Insomma, queste tre sorelline... stavano imparando a disegnare...» «E che disegnavano?» disse Alice, del tutto dimentica della sua promessa. «Melassa», disse il Ghiro, stavolta senza riflettere. (...) Alice non voleva offendere di nuovo il Ghiro, perciò cominciò molto cauta: «Ma non capisco. Da dove estraevano la melassa?» «Come si estrae l’acqua da un pozzo», disse il Cappellaio, «si potrà estrarre
Carano (Einaudi 1978 [93]) p.72 -E così le tre sorelline... stavano imparando a estrarre, capisci... -Cosa estraevano?- disse Alice, non ricordandosi affatto della sua promessa. -Melassa,disse il Ghiro, senza alcuna esitazione, questa volta. (...) Alice non voleva offendere ancora una volta il Ghiro, per cui cominciò con molta cautela: -Ma... non capisco. Da dove estraevano la melassa? -Tu estrai l’acqua da un pozzo d’acqua, no?- dis-
Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.67 «E allora quelle tre sorelline – imparavano a disegnare-». «Che cosa disegnavano?» domandò Alice, del tutto dimentica della sua promessa. «Melassa» rispose il Ghiro, senza starci a pensare neanche un attimo, questa volta. (...) Alice non voleva offendere un’altra volta il Ghiro e fu solo con grande cautela che si azzardò a chiedere: «Non capisco. Da dove prendevano la melassa per disegnarla?» «Sai come si
Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.91
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«Queste tre sorelline... stavano imparando a trarre e a ritrarre...» «E che cosa traevano e ritraevano?» chiese Alice, dimenticando del tutto la sua promessa. «Melassa» rispose il Ghiro. E questa volta non stette lì a pensarci. (...) Non volendo offendere un’altra volta il Ghiro, Alice si mise a parlare con molta circospezione: «non capisco proprio. Da dove la traevano, la melassa?» «Se puoi trarre l’acqua da
“Orbene, devi sapere che le tre sorelline stavano imparando a disegnare schizzi...” “Schizzi di che cosa?” disse Alice, dimenticando si subito della promessa. “Di melassa,” disse il Ghiro, stavolta senza un attimo di riflessione. (...) Alice non voleva offendere ancora una volta il Ghiro e con molta cautela modulò un “Ma... io non capisco. Da dove li prendevano questi schizzi di melassa?” “Se si possono prendere schizzi
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out of a water-well,” said the Hatter; “so I should think you could draw treacle out of a treacle-well— eh, stupid?”
qua da un pozzo d’acqua,” rispose il Cappellaio; “perciò mi pare che si possa attingere la melassa da un pozzo di melassa: eh, stupida?”.
melassa si tira fuori la melassa. Non è così, stupidina?»
Bossi (Bompiani 1963 [91]) p.73 “Ma erano dentro il pozzo,” disse Alice al Ghiro, preferendo non rilevare l’epiteto. “Certo,” disse il Ghiro; “ben dentro.”
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dunque penserei che è possibile tirar su la melassa da un pozzo di melassa... un po’ stupida, no?
la melassa da un pozzo di melassa, credo... eh, stupida?»
se il Cappellaio; -perciò direi che tu puoi estrarre la melassa da un pozzo di melassa, no, stupidotta?
prende l’acqua da un pozzo d’acqua?» le rispose il Cappellaio. «Allo stesso modo prendi la melassa da un pozzo di melassa, no, stupidina!»
un pozzo d’acqua» disse il Cappellaio «dovresti capire che puoi trarre la melassa da un pozzo di melassa, no? Stupidotta!»
d’acqua da un pozzo d’acqua,” disse il Cappellaio, “converrai che si potranno anche prendere schizzi di melassa da un pozzo di melassa, no? Grulla!”
D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.103-4 «Ma loro erano già dentro il pozzo», disse Alice al Ghiro, decidendo di ignorare l’ultima osservazione. «Certo», disse il Ghiro, «ben dentro.»
Carano (Einaudi 1978 [93]) p.72 -Ma loro stavano dentro a un pozzo,disse Alice al Ghiro, fingendo di non aver rilevato quest’ultimo intervento. -Certo che ci stavano- disse il Ghiro; ...e gli piaceva un pozzo!
Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.68 «Ma loro erano in fondo al pozzo» aggiunse Alice, rivolta al Ghiro, preferendo ignorare quest’ultima osservazione. «Certo» rispose il Ghiro, «nel fondo profondo del pozzo».
Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.91
Busi (Feltrinelli 1993) p.111
«Ma loro erano in fon-do al pozzo» disse Alice al Ghiro, decidendo di non badare alla battuta del Cappellaio. «Certo che c’erano» disse il Ghiro «...in fondo al fondo profondo.»
“Ma loro stavano dentro il pozzo!” Disse Alice al Ghiro, decidendo di sorvolare su quest’ultimo epiteto. “Ma certo che stavano dentro il pozzo,” disse il Ghiro. “Non farmi uscire pozzo!”
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“But they were in the well,” Alice said to the Dormouse, not choosing to notice this last remark. “Of course they were”, said the Dormouse; “—well in.”
Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.92 «Ma se erano -Ma se le tre sorelle erano in fondo al pozzo!» disse in fondo al Alice rivolta pozzo,commentò al Ghiro e facendo finta Alice senza far molto di non aver udito l’insulto caso all’offesa del del Cappellaio. Cappellaio. -Certo che lo «Certo che erano- disse il c’erano, e ci Ghiro: -e in stavano bene!» disse il fondo anche. Ghiro.
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“They were learning to draw,” the Dormouse went on, yawning and rubbing its eyes, for it was getting very sleepy; “and they drew all manner of things— everything that begins with an M-” “Why with an M?” said Alice. “Why not?” said the March Hare. Alice was silent. The Dormouse had closed its eyes by this time, and was going off into a doze; but, on being pinched by the Hatter, it
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Bossi (Bompiani 1963 [91]) p.73 “Imparavano a disegnare,” seguitò il Ghiro sbadigliando e fregandosi gli occhi perché aveva un gran sonno, “e disegnavano ogni sorta di cose: tutto ciò che comincia con la M...” “Perché con la M?” “Perché no?” disse la Lepre Marzolina. Alice non insistette. Nel frattempo il Ghiro aveva chiuso gli occhi e stava facendo un sgonnellino. Il Cappellaio gli allungò un pizzicotto, il Ghiro si svegliò con uno strillo e continuò:
Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.105106 «Imparavano a tirar fuori,» continuò il Ghiro, sbadigliando e stropicciandosi gli occhi, perché aveva molto sonno, «e tiravano fuori cose di ogni genere... tutte cose che cominciano per M...» «Perché quelle che cominciano per M...?» domandò Alice. «E perché no?» disse la Lepre. Alice restò zitta. Intanto il Ghiro aveva chiuso gli occhi e s’era addormentato. Allora il Cappellaio gli dette un pizzicotto e il
Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.93 -Stavano imparando a tirar su,- seguitò il Ghiro, sbadigliando e stropicciandosi gli occhi, perché cominciava già ad aver sonno, -quindi tiravano su cose di ogni sorta, tutte cose che cominciavano per M... -Perché per M,- chiese Alice. -E perché no?- disse la Lepre Marzolina. Alice stette zitta. Nel frattempo il Ghiro aveva chiuso gli occhi e si era messo a dormire profondamente, ma, appena il Cappellaio gli
D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.104 «Imparavano a disegnare», proseguì il Ghiro, sbadigliando e fregandosi gli occhi, perché si sentiva sempre più assonnato; «e disegnavano ogni genere di cose... tutto quello che comincia con la M...» «Perché con la M?» disse Alice. «Perché no?» disse la Lepre Marzolina. Alice tacque. A questo punto il Ghiro aveva chiuso gli occhi e si stava appisolando; ma, pizzicato dal Cappellaio, si svegliò con uno strilletto, e proseguì:
Carano (Einaudi 1978 [93]) p.72-3 -Impararono ad estrarre,continuò il Ghiro, sbadigliando e fregandosi gli occhi, poiché gli stava venendo un gran sonno: -Ed estrassero un sacco di cose... tutto quel che cominciava per M... -Perché per M?- disse Alice. -E perché no?- disse la Lepre Marzolina. Alice non fiatò. Nel frattempo il Ghiro aveva chiuso gli occhi e stava piombando nel sonno; ma, dopo un pizzicotto del Cappellaio, si
Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.68 «Imparavano a disegnare» diceva il Ghiro, sbadigliando e strofinandosi gli occhi, poiché gli era tornato un gran sonno, «e disegnavano ogni genere di cose – tutte le cose che cominciano con una M-». «Perché con una M?» domandò Alice. «E perché no?» rispose il Leprotto Marzolino. Alice tacque. A questo punto il Ghiro aveva già chiuso gli occhi e si stava appisolando; ma, sotto i pizzicotti del Cappellaio, si risve-
Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.91-2
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«Stavano dunque imparando a trarre e a ritrarre» proseguì il Ghiro sbadigliando e fregandosi gli occhi, perché stava morendo di sonno «e ritraevano ogni sorta di cose... tutte le cose che cominciano per “M”...» «Perché per “M”?» chiese Alice. «E perché no?» chiese la Lepre Marzolina. Alice rimase zitta. Il Ghiro nel frattempo aveva chiuso gli occhi e si era messo a sonnecchiare. Ma quando il Cappellaio gli
“Imparavano a disegnare schizzi,” continuò il Ghiro, sbadigliando e fregandosi gli occhi, sentendosi cascare dal sonno “e schizzavano cose di ogni genere.. tutte quelle che cominciano per emme.” “E perché per emme?” disse Alice. “Perché no?” Disse la Lepre Marzolina. Alice non fiatò. Nel frattempo il Ghiro aveva abbassato le palpebre e era già bell’e in coma quando, grazie a un
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woke up again with a little shriek, and went on: “—that begins with an M, such as mouse-traps, and the moon, and memory, and muchness— you know you say things are ‘much of a muchness’ — did you ever see such a thing as a drawing of a much of a muchness!”
“...che comincia con la M, come i mattarelli, il mare, la memoria, la manna — conoscete l’espressione ‘aspettare la manna dal cielo’ — hai mai visto il disegno di una manna?”
Ghiro, con un grido di dolore, riprese: «...tutte le cose che cominciano per M, come mano, misura, mela, memoria, molto... per esempio noi spesso diciamo: molta memoria... avete mai visto tirar fuori da un pozzo qualcosa come molta memoria?»
diede un pizzicotto, il Ghiro si destò e riprese: -...dunque cose che cominciavano per M, come mosca, medaglia, memoria e massa... di molte cose si dice che «se non è zuppa, è pan bagnato»... hai mai visto tirar su da un pozzo una cosa come se non è zuppa è pan bagnato?
«...che comincia con la M, come trappole per topi, e la luna, e la memoria, e la moltitudine... sai che si dice che qualcosa è ’molto di una moltitudine’... avete mai visto il disegno di una moltitudine?»
svegliò di nuovo con un gridolino e continuò: -...che cominciava per M, come museruola, mondo e memoria, e mille... sai che si dice «metà di mille» ...hai mai visto un’estrazione di mille?
gliò di nuovo con un lieve strillo, e proseguì: «-tutto ciò che cominciava con una M, come mollica di pane, e montagna della luna, e memoria, e molteplicità - ti è mai capitato di vedere qualcosa che fosse il disegno di una molteplicità?»
diede un altro pizzicotto, si svegliò di soprassalto, emise un gridolino e proseguì: «...che cominciano per “M”, come “mezzaluna”, “macchinemangia-topi”, “memoria” e “meno-opiù”... che è poi quel che si dice “piùo-meno”... Hai mai visto in vita tua il ritratto di un “più-omeno”».
pizzicotto del Cappellaio, si svegliò di soprassalto con uno squittìo e continuò: “...che cominciano per emme, come macachi, meteoriti, memoria, massima... sai che si dice ‘in linea di massima’. Hai mai visto lo schizzo di una linea di massima?”
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Bossi (Bompiani 1963 [91]) p. 76-77
Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.110
Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.96-97
D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.108
Carano (Einaudi 1978 [93]) p.75
Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.71
Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.95
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First came ten soldiers carrying clubs; these were all shaped like the three gardeners, oblong and flat, with their hands and feet at the corners: next the ten courtiers; these were ornamented all over with diamonds, and walked two and two, as the soldiers did. After these came the royal children; there were ten of them, and the little dears came jumping merrily along hand in hand, in couples: they were all ornamented with hearts.
Prima arrivarono dieci soldati armati di bastoni; avevano la stessa forma oblunga e piatta dei tre giardinieri, con le mani e i piedi ai quattro angoli. Poi passarono dieci cortigiani; erano tutti adorni di diamanti e marciavano a due a due come i soldati. Dopo di questi vennero i principini reali: erano dieci, carini assai, e saltellavano allegramente, dandosi la mano a due a due: erano tutti adorni di cuori.
Per primi comparvero dieci soldati, armati di bastoni. Erano tutti simili ai tre giardinieri: avevano i corpi piatti e oblunghi, con le mani e i piedi ai quattro angoli. Dietro venivano dieci cortigiani vestiti a festa e adorni di diamanti. Anch’essi camminavano a due a due, come i soldati. Dopo di loro venivano dieci principini. Erano ornati di cuori e saltellavano tenendosi per mano a due a due.
Per primi arrivarono dieci soldati che portavano dei bastoni; avevano il medesimo aspetto dei tre giardinieri, di forma rettangolare e piatta, con mani e piedi agli angoli: quindi seguivano dieci cortigiani tutti abbelliti di diamanti, e camminavano a due a due come fanno i soldati. Dietro di loro venivano i principini, anch’essi dieci, che saltellando allegramente, si tenevano per mano, a coppie; ed avevano dei piccoli cuori dappertutto.
Prima vennero dieci soldati armati di mazza: avevano tutti la stessa forma dei giardinieri, piatta e oblunga, con le mani e i piedi ai quattro angoli; poi i dieci cortigiani: questi erano tutti adorni di diamanti, e avanzavano per due, come i soldati. Dietro a questi vennero i principini: ce n’erano dieci e quei tesorini saltellavano allegri per mano, a coppie; essi erano tutto adorni di cuori.
In testa venivano dieci soldati armati di picche; avevano la stessa sagoma piatta e oblunga dei tre giardinieri, con mani e piedi attaccati ai quattro angoli. Poi venivano i dieci cortigiani: questi erano tutti adorni di diamanti, e marciavano a due a due come i soldati. Quindi seguivano gli infanti reali: erano in dieci e i piccoli cari venivano avanti saltellando allegri e tenendosi per mano, a coppie: erano tutti ornati di cuori.
Venivano avanti per primi dieci soldati con i bastoni in mano: avevano tutti la stessa forma dei tre giardinieri, bislunga e piatta, con le mani e i piedi agli angoli; poi seguivano i dieci cortigiani: questi erano tutti decorati con danari, e camminavano a due a due, come i soldati del resto. E dietro c’erano i principini, dieci in tutto, che venivano avanti saltellando allegramente, mano nella mano, in coppia, ed erano tutti decorati con i cuori.
Dapprima arrivarono dieci soldati armati di bastoni: avevano tutti la stessa forma lunga e piatta dei tre giardinieri, con le mani e i piedi negli angoli. Li seguivano dieci cortigiani, che camminavano a due a due, come i soldati, ed erano ornati di quadri di diamanti. Venivano poi i bambini della famiglia reale, che erano adorni di cuori dappertutto.
Per primi comparvero dieci soldati armati di picche; erano della stessa sagoma dei tre giardi-nieri, piatta e bislunga, con le mani e i piedi agli angoli. Dietro di loro procedevano dieci cortigiani: erano tutti inquadrati dalla testa ai piedi, e marciavano anch’essi a due a due come i soldati. Poi venivano i dieci infanti reali: sfilavano a coppie, i tesorucci, saltellando gaiamente mano nella mano, tutti impataccati di cuori.
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VIII.02 AA p.110
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“Are their heads off?” shouted the Queen. “Their heads are gone, if it please your Majesty!” the soldiers shouted in reply.
Bossi (Bompiani 1963 [91]) p. 79 “Via le teste?” interrogò la Regina. “Le teste sono state tagliate, così piaccia a Vostra Maestà!” risposero a gran voce i tre soldati.
Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.113
Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.111 -Le teste «Avete tagliate quelle sono state tagliate?teste?» gridò la domandò Regina. loro la -Lo sono Regina. state, Vostra «Sono state Maestà!tagliate, risposero in Vostra coro i soldati. Maestà» risposero in coro i tre soldati.
D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.112 «Gli avete tagliato la testa?» gridò la Regina. «Sono stati decapitati, con licenza di Vostra Maestà!» gridarono di rimando i soldati.
Carano (Einaudi 1978 [93]) p.78 -Sono state mozzate quelle teste?urlò la Regina. -Sì, Maestà, secondo i Vostri desideri!urlarono in risposta i soldati.
Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.74 «Avete tagliato loro la testa?» urlò la Regina. «Delle loro teste non rimane traccia, se così piace alla Maestà Vostra!» urlarono i soldati in risposta.
Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.98
Busi (Feltrinelli 1993) p.121
«Le loro teste sono state mozzate?» urlò la Regina. «Le loro teste se ne sono andate, col permesso di Sua Maestà!» gridarono di rimando i tre soldati.
“Dato, il taglio?” urlò la Regina. “Hanno tagliato, a Vostra Maestà piacendo!” gridarono i soldati in coro.
Bossi (Bompiani 1963 [91]) p.89 “Suppongo che tu ti stia domandando perché mai non ti metto un braccio intorno alla vita,” disse la Duchessa dopo una pausa. “Il fatto è che non mi fido troppo
Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.121
D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.123 «Scommetto che ti stai chiedendo perché non ti metto il braccio intorno alla vita», disse la Duchessa, dopo una pausa. «La ragione è che non so se è il caso di fidarsi del tuo
Carano (Einaudi 1978 [93]) p.86 -Ti stai chiedendo, scommetto, perché non ti metto un braccio intorno alla vita,- disse la Duchessa dopo una pausa: -Il fatto è che temo un po’ la reazione del tuo fenicottero. Vuoi
Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.82 «Scommetto che vorresti sapere perché non ti cingo la vita col braccio» disse la Duchessa, dopo una pausa; «la ragione è che non mi fido dell’umore del tuo fenicottero. Che
Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.106107 «Oserei dire che ti stai domandando per qual motivo io non ti cinga la vita con il braccio» disse la Duchessa, dopo un attimo di silenzio. «Il fatto è che non mi fido
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“I dare say you’re wondering why I don’t put my arm round your waist,” the Duchess said after a pause: “the reason is, that I'm doubtful about the temper of
Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.109 -ScommetteDopo una rei che ora pausa, la stai domanDuchessa dandoti perriprese: «Scommetto ché io non ti metto il bracche ti stai cio attorno chiedendo alla vita,- disperché non se la Duchespasso il braccio attor- sa, dopo essere stata in no alla tua vita. Ma una silenzio per un momento. ragione c’è. Ho paura del -La ragione è
“Scommetto che ti stai chiedendo perché non ti metto un braccio intorno alla vita,” disse la Duchessa dopo una pausa. “È che temo un po’ la reazione del tuo fenicot-
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your flamingo. Shall I try the experiment?” “He might bite,” Alice cautiously replied, not feeling at all anxious to have the experiment tried. “Very true,” said the Duchess: “flamingoes and mustard both bite. And the moral of that is—‘Birds of a feather flock together.’ ” “Only mustard isn’t a bird,” Alice remarked. “Right, as usual,” said the Duchess: “what a clear way you have of putting things!” “It’s a mineral, I think,” said Alice. “Of course it
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dell’umore del tuo fenicottero. Debbo fare l’esperimento?” “Potrebbe beccare,” rispose prudentemente Alice, che non si sentiva per nulla ansiosa di assistere all’esperimento. “Giustissimo,” approvò la Duchessa. “I fenicotteri e la senape pizzicano tutt’e due. E la morale è questa: ‘Uccelli d’una penna stanno insieme’.” “Solo che la senape non è un uccello,” osservò Alice. “Hai sempre ragione tu!” disse la Duchessa. “Con che chiarezza poni le questioni!”
tuo fenicottero. Proviamo?» «Potrebbe beccare» rispose prudentemente Alice, la quale non sembrava molto ansiosa di fare quella prova. «Giustissimo» disse la Duchessa. «I fenicotteri e la mostarda pizzicano. E la morale è questa: Gli uccelli della stessa specie vanno a stormi.» «La mostarda non è un uccello» osservò Alice. «Certo» disse la Duchessa. Essa sembrava pronta a confermare tutto quello che diceva Alice. «Qui vicino c’è una grande miniera di mostarda. E questa
che non sono troppo sicuro del temperamento del tuo fenicottero. Devo fare una prova? -Potrebbe darle una beccata- rispose Alice con cautela, per nulla ansiosa che la gentildonna facesse la prova. -Verissimo,disse la Duchessa: -fenicotteri e mostarda sono due cose che pizzicano. E la morale di questo è... «gli uccelli della stessa risma se la fanno coi loro pari». -Soltanto che la mostarda non è un uccello,- osservò Alice. -È un minerale, credo,disse Alice. -Certo che lo è,- esclamò la
fenicottero. Lo faccio, questo esperimento?» «Potrebbe pizzicarla», rispose cauta Alice, non provando alcuna Alice, non provando alcuna ansia che l’esperimento avvenisse. «Verissimo», disse la Duchessa; «i fenicotteri pizzicano, come la mostarda. E la morale è... ‘dio li fa e poi li accoppia’.» «Solo che la mostarda non è un uccello», osservò Alice. «Giusto anche questo», disse la Duchessa, «hai una chiarezza di esposizione, tu!» «Secondo me è un minerale», disse Alice.
che faccia un esperimento? -Potrebbe mordere,rispose Alice prudente, per nulla entusiasta all’idea d’un simile esperimento. -Verissimo,disse la Duchessa: -I fenicotteri e la senape mordono entrambi. E la morale di tutto ciò è: «Gli uccelli della stessa covata, fan sempre rimpatriata». -Solo che la senape non è un uccello,fece notare Alice. -Giusto, come al solito,disse la Duchessa: -Hai davvero una chiara visione delle cose! -È un minerale, direi,- riprese Alice. -Ma certo,disse la Du-
dici, la facciamo questa prova?» «Le potrebbe dare una pizzicata col becco» rispose cautamente Alice, che non era affatto entusiasta di tentare quella prova. «Verissimo» assentì la Duchessa: «i fenicotteri pizzicano, come la senape. E la morale è — ‘Chi si rassembra, s’assembra’». «Solo che la senape non sembra un uccello» obiettò Alice. «Giusto, come al solito» disse la Duchessa: «che modo chiaro hai di esporre le cose!» «È un minerale, credo» aggiunse Alice.
troppo del carattere del tuo fenicottero. Dici che dovrei rischiare?» «Può darsi che pizzichi» rispose Alice guardinga. Non moriva affatto dalla voglia di vederla rischiare. «Verissimo» disse la Duchessa. «I fenicotteri pizzicano come la senape. E la morale che se ne può trarre è... “Dio li fa e poi li accoppia” e “La mamma fa l’uccello ma la piuma lo fa bello”.» «Però la senape non è un uccello» osservò Alice. «Giusto, ancora una volta» disse la Duchessa. «Il tuo modo di ragionare è
tero. Che dici, mi avventuro?” “Pizzica,” rispose Alice prudente, per niente entusiasta di subire quell’esperimento. “Verissimo,” disse la Duchessa, “fenicotteri e mostarda pizzicano entrambi. E la morale è: ‘Uccelli della stessa covata fan sempre rimpatriata’.” “Solo che la mostarda non è un uccello,” fece notare Alice. “Esatto come al solito,” disse la Duchessa. “Hai il dono della chiarezza, tu!” “È un minerale, credo,” disse Alice. “Ma certo,” disse la Duchessa, che sembrava dis-
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is,” said the Duchess, who seemed ready to agree to everything that Alice said; “there’s a large mustardmine near here. And the moral of that is—‘The more there is of mine, the less there is of yours.’ ”
“È un miracolo, [sic!] credo,” disse Alice. “Sicuro!” consentì la Duchessa che sembrava pronta ad andar d’accordo con Alice su tutti i punti. “C’è una grande miniera di senape qui vicino. E la morale è questa: ‘Più ce n’è di mio, meno ce n’è di tuo’.”
è la morale: Più ne avrai tu e meno ne avrò io!»
Duchessa, che sembrava essere d’accordo su ogni cosa che Alice diceva; -c’è una grande miniera di mostarda qui vicino. E la morale è questa : «più ce ne sarà per me, meno ce ne sarà per te».
«Certo», disse la Duchessa, che sembrava pronta a dare ragione ad Alice in tutto, «qua vicino c’è una grande miniera di mostarda. E la morale è... ’Più ce n’è di mio, meno ce n’è di tuo’.»
chessa, che pareva pronta ad accettare tutto quel che diceva Alice; -qui vicino c’è un vasto filone di senape. E la morale di ciò è: «Un filone per uno non fa male a nessuno».
«Certo che è un minerale» assentì la Duchessa, che sembrava pronta a dar ragione ad Alice in tutto: «abbiamo una grande miniera di senape, qua vicino. E la morale è — ‘La miniera è la maniera di gabbar la gente intiera’».
straordinariamente lucido!» «È un minerale, credo» disse Alice. «Certo che lo è» disse la Duchessa, che sembrava intenzionata a fare sempre ragione ad Alice, qualunque cosa dicesse. «C’è una grande miniera di senape, da queste parti. E la morale che se ne può trarre è... “Più è mia la miniera, meno è sua la saliera”.»
posta a mostrarsi d’accordo su qualsiasi affermazione di Alice, “c’è una ricca miniera di mostarda nei paraggi e la morale è... ‘Più ce n’è per me, meno cene per te’.”
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IX.02 AA p.127
Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.113 “Quando era- «Quando era- -Quando era1 “When we vamo picco- vamo picco- vamo picco2 were little,” li,” continuò li,» continuò le,- continuò 3 the Mock finalmente al finalmente la alla fine la 4 Turtle went Finta TartaFinta Tarta5 on at last, Finta Tarta6 more calmly, ruga, più cal- ruga, con più ruga, più calma, sebbene calma, ma 7 though still ma di prima, singhiozzasse singhiozzan- ma singhioz8 sobbing a do ancora di zando ancora 9 little now and ancora un poco, di tan- tanto in tan- di tanto in 10 then, “we to, «ci misero tanto,- andato in tanto, 11 went to 12 school in the “quando era- in un collegio vamo a scuovamo piccoli in fondo al 13 sea. The la in fondo al mare. La andavamo a 14 master was mare. La maestra era scuola nel 15 an old maestra era mare. Il mae- una vecchia 16 Turtle—we una vecchia Tartaruga e stro era una 17 used to call Tartaruga... noi la chiavecchia 18 him ma noi la mavamo Te- chiamavamo 19 Tortoise—” Testuggine: lo chiamava- stuggine...» 20 “Why did Testuggine... 21 you call him mo Tartaru- «Perché la -E perché la chiamavate ga...” 22 Tortoise, if chiamavate così?» do“Perché lo 23 he wasn't Testuggine se mandò Alice. non lo era?chiamavate 24 one?” Alice Tartaruga, se «La chiama25 asked. chiese Alice. non lo era?”, vamo Testug- -La chiama26 “We called 27 him Tortoise chiese Alice. gine perché vamo Testug“Lo chiama- era la mae28 because he gine perché vamo Tarta- stra» disse ir- era lei che in29 taught us,” ruga perché 30 said the ritata la Finta segnava,- ris31 Mock Turtle aveva tante pose la Finta Tartaruga. rughe,” disse «Che cos’hai Tartaruga 32 angrily: arrabbiata la nella testa?» 33 “really you adirata: -ma Finta Tarta34 are very sei davvero ruga. “Sei 35 dull!” un poco ottu-
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Bossi (Bompiani 1963 [91]) p.
Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.126
D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.128 «Quando eravamo piccoli», continuò finalmente la Finta Tartaruga, più calma, ma ancora squassata ogni tanto da un singhiozzo, «andavamo a scuola nel mare. Il maestro era una vecchia Tartaruga... lo chiamavamo Testuggine...» «Perché lo chiamavate Testuggine, se non lo era?» «Lo chiamavamo Testuggine perché ci dava i libri di testo», disse irritata la Finta Tartaruga. «Sei proprio una sciocca!»
Carano (Einaudi 1978 [93]) p.91 -Quand’eravamo piccoli,- disse finalmente la Pseudotartaruga, più distesa anche se emetteva ancora di quando in quando un singhiozzo, -andavamo a scuola in mare. La maestra era una vecchia Tartaruga, noi però la chiamavamo Testuggine... -Perché la chiamavate Testuggine se non lo era?chiese Alice. -E non lo capisci da sola? Testuggine, no?- disse la Pseudotartaruga spazientita: -Sei davvero molto ottusa!
Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.86-7 «Quando eravamo piccoli» proseguì infine il VitelloSimiltartaruga, che si era un po’ calmato e che solo di tanto in tanto era squassato da un saltuario singhiozzo, «andavamo a scuola in fondo al mare. Il nostro maestro era un caro vecchio esemplare di Tartaruga - lo chiamavamo Testuggine -». «Perché lo chiamavate Testuggine, se era una Tartaruga?» domandò Alice. «Lo chiamavamo Testuggine perché si intestardiva a farci leggere
Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.111112 «Quando eravamo piccoli» riprese finalmente la Fintartaruga un po’ più calma, pur continuando a singhiozzare ogni tanto «andavamo a scuola nel mare. Il maestro era un vecchio Tartarugone, ma noi lo chiamavamo Cefalo...» «Perché lo chiamavate Cefalo, se era una Tartaruga?» domandò Alice. «Lo chiamavamo Cefalo perché quando spiegava ci faceva venire la cefalea» disse la Fintartaruga imbestialita. «Sei proprio
Busi (Feltrinelli 1993) p.139 “Quando eravamo piccole,” disse finalmente la Tartaruga d’Egitto, più placida, ma sempre con un bel singhiozzo di tanto in tanto, “andavamo a scuola in fondo al mare. La maestra era una vecchia Tartaruga... noi però la chiamavamo Testuggine...” “Perché la chiamavate Testuggine se non lo era?” chiese Alice. “Testuggine, perché a forza di test ti faceva venire la ruggine, no?” disse la Tartaruga d’Egitto perdendo la pa-
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proprio stupida!”
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sa!
dei testi che erano una tetraggine.» rispose seccato il Vitello-Similtartaruga. «È così difficile da capire?»
tonta!»
zienza. “C’hai 36 proprio la 37 zucca dura!” 38 39 40 41 42 43 44
IX.03 AA pp.12930 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24
Bossi (Bompiani 1963 91]) p.95 “In che cosa “What was consistevathat?” no?” chiese inquired Alice. Alice. “Reeling and “Prima di Writhing, of tutto, naturalmente, ci course, to begin with,” facevano studiare la the Mock Gran natica Turtle replied; “and dell’Aringa,” rispose la then the Finta Tartadifferent branches of ruga; “e poi Arithmetic— le diverse branche delAmbition, Distraction, l’Aritmetica: Uglification, Ambizione, Distrazione, and StortificaDerision.” zione e Deri“I never sione.” heard of ‘Uglification,’ “Non ho mai sentito ” Alice
Giglio Galasso e (Rizzoli 1966 Kemeni [90]) p.127-9 (Sugar 1967) p.115-6 «Cos’hai stu- -E che cosa era? diato?» domandò Alice. -Beh, naturalmente, «Prima di tutto le locali Eleggere ed Escrivere, e le consolanti, natural- tanto per cominciare,- rimente» rispose la Fin- spose la ta Tartaruga. Finta Tarta«Poi le quat- ruga; -e poi i tro operazio- vari rami delni: Ambizio- l’Aritmetica: ne, Sostazio- Ambizione, Distrazione, ne, MortifiImbruttificacazione e zione e DeriDerisione.» «Non ho mai sione. sentito parla- -Non ho mai sentito la re di Sostaparola «inzione: che cos’è?» s’az- bruttificazion zardò a chie- e» [sic],s’azzardò a dere Alice.
D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.130-1 «E in che consistevano?» s’informò Alice. «Rotolamento e Grinze, naturalmente, per cominciare», rispose la Finta Tartaruga; «e poi le varie branche dell’Aritmetica: Ambizione, Distrazione, Bruttificazione e Derisione.» «Non ho mai sentito parlare della ’Bruttifica-
Carano (Einaudi 1978 [93]) p.92-3 -Quali erano?- chiese Alice. -Per cominciare, naturalmente, imparavamo a scrivere con pinna e calamaro gli alimenti fondamentali dell’ortografia: pomi, poponi, additivi, vermi e avvermi,rispose la Pseudotartaruga. -Quindi le varie operazioni aritmietiche: Ambi-
Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.87-8 «Che cosa vi insegnavano?» volle sapere Alice. «A suggere e a stridere, naturalmente, come prima cosa» rispose il Vitello-Similtartaruga, «e poi le diverse branche dell’Aritmetica: — Ambizione, Distrazione, Bruttificazione e Derisione». «Non ho mai sentito la parola ‘Bruttificazione’» si
Bianchi Busi (Mursia 1990 (Feltrinelli [93]) p.113 1993) p.1413 «E quali era- “Che consino?» indagò stevano in...?” Alice. “Natural«Tanto per mente, tanto cominciare, naturalmen- per cominte, imparava- ciare, a scansare le locali mo a e a arricciare Eleggere e le consolanAscrivere», ti,” rispose la rispose la Fintartaruga. Tartaruga d’Egitto, “e «E poi le poi le quattro operazioni dell’Aritme- operazione dell’Aritmetica. tica: AmbiAmbizione, Distrazione, zione, SoggeMaleficazio- zione, Mortificazione e ne e Derisione.” Derisione.» «Non ho mai “’Mortificazione’ mi sentito parlare della giunge nuo-
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ventured to say. “What is it?” The Gryphon lifted up both its paws in surprise. “What! Never heard of uglifying!” it exclaimed. “You know what to beautify is, I suppose?” “Yes,” said Alice doubtfully: “it means — to — make — anything — prettier.” “Well, then,” the Gryphon went on, “if you don't know what to uglify is, you are a simpleton.” Alice did not feel encouraged to ask any more questions about it: so she turned to the Mock Turtle, and
parlare della ‘Stortificazione’”, s’azzardò a dire Alice. “Che cos’è?” Il Grifone sollevò entrambe le zampe per lo stupore. “Come! Non hai mai sentito parlare dello stortificare!”, esclamò. “Saprai che cosa vuole dire rettificare, immagino.” “Sì,” disse Alice in tono dubbioso: “significa... raddrizzare... qualcosa.” “Be’, allora,” proseguì il Grifone, “ se non sai che cosa vuol dire stortificare, sei proprio una sciocca.” Alice non si sentì incoraggiata a fare altre domande sul-
Il Grifone batté le zampe. Appariva enormemente sorpreso: «Come, non hai mai sentito parlare di Sostazione?» le chiese. «Saprai, spero, che cosa significa Affrettare.» «Sì» rispose Alice un po’ dubbiosa. «Vuol dire... spingere qualcosa... spingere qualcuno... a fare più presto!» «E allora,» concluse il Grifone «se non sai che cosa significa Sostazione, vuol dire proprio che sei una sciocca!» Alice non si sentì certamente invogliata a fare altre domande. Però si volse alla
chiedere Alice. -Che cos’è? -Il Grifone alzò ambedue le zampe per la sorpresa e disse: -Cosa? Mai sentito la parola «imbruttificazione»! Beh, suppongo che saprai che cosa voglia dire «imbellificazione»? -Sì,- rispose Alice, ma con qualche dubbio: -oh, significa... dunque... far diventare... qualcosa... più bello. -Bene, allora,- continuò il Grifone, se davvero non sai cosa sia l’imbruttifica zione, sei proprio una sempliciotta. Alice non si sentì affatto incoraggiata a fare altre domande su
zione’», si azzardò a dire Alice. «Che cos’è?» Il Grifone alzò entrambe le zampe in un gesto di sorpresa. «Non hai mai sentito parlare del bruttificamento!» esclamò. «Cos’è l’abbellimento lo saprai, no?» «Sì,» disse Alice in tono di dubbio, «vuol dire... fare... le cose... più carine.» «Be’, allora», proseguì il Grifone, «se non sai cos’è la bruttificazione, vuol dire che sei proprio un’ignorante.» Alice non si senti incoraggiata a fare altre domande in proposito:
zione, Diffidenza, Mistificazione e Derisione. -Mai sentito parlare di «Mistificazione»,- si azzardò a dire Alice. -Che cos’è? Il Grifone alzò le sue zampe in segno di meraviglia. -Cosa? Mai sentito parlare di mistificare?esclamò. -Saprai cosa vuol dire semplificare, spero? -Sì,- disse Alice titubante. -Significa... rendere... una cosa... più semplice. -Beh, allora,continuò il Grifone, -se non sai cosa vuol dire mistificare, devi proprio essere una sempliciotta. Alice non si
arrischiò a dire Alice. Il Grifone alzò le sue due zampe in un gesto di grande sorpresa. «Magnificare, almeno, lo sai cosa vuol dire?» «Sì» rispose Alice dubbiosa: «vuol dire — parlare bene di una cosa — farla sembrare magnifica». «E allora» concluse il Grifone, «se non capisci cosa vuol dire fruttificare, sei tonta». Non era un incoraggiamento a fare altre domande, e rivolgendosi al Vitello-Similtartaruga, Alice disse : «Che cos’altro vi insegnavano?» «Be’, c’era
Maleficazione» osò dire Alice. «Di che cosa si tratta?» Il Grifone alzò tutte e due le zampe al cielo in preda allo stupore. «Non hai mai sentito parlare di Maleficazion e!» esclamò. «Spero almeno che saprai cosa vuol dire “beneficare”!» «Sì» disse Alice incerta. «Significa fare del bene... compiere delle buone azioni...» «E allora» proseguì il Grifone «se non sai cosa vuol dire “maleficare” sei proprio una stupidotta!» Non sentendosi
va,” si arrischiò a dire Alice. “Cos’è?” Il Grifone alzò le zampe al cielo dalla sorpresa. “Cosa? Mai sentito parlare di Mortificazione!” esclamò. “Saprai, spero, cosa significa ‘Vivificazione’?” “Sì,” disse Alice un po’ dubbiosa, “significa... rendere... una cosa più... viva.” “Allora,” continuò il Grifone, “se non sai che cosa significa mortificare, devi proprio essere una sempliciotta.” Alice non ebbe il coraggio di approfondire la questione; si rivolse alla Tartaruga
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said, “What else had you to learn?” “Well, there was Mystery,” the Mock Turtle replied, counting off the subjects on his flappers, “— Mystery, ancient and modern, with Seaography: then Drawling— the Drawlingmaster was an old conger-eel, that used to come once a week: he taught us Drawling, Stretching, and Fainting in Coils.' “What was that like?” said Alice. “Well, I can't show it you myself,” the Mock Turtle said: `I'm too stiff. And the
l’argomento, perciò si rivolse alla Finta Tartaruga, dicendole: “Che cos’altro dovevate studiare?” “Be’, c’era la Scoria,” rispose la Finta Tartaruga, contando le materia [sic!] sulle pinne, “... la Scoria, antica e moderna, con l’Algheografia; poi il Disdegno; l’insegnante di Disdegno era un vecchio grongo che veniva una volta alla settimana, e ci insegnava Disdegno, Scherzo e Frittura a Scoglio.” “Com’era questa materia?” chiese Alice. “Be’, non posso mostrartelo,”
Finta Tartaruga e le chiese: «Che altro studiavate?» «Studiavamo anche la Scoria» rispose la Finta Tartaruga, contando le materie sulla punta delle squame. «Scoria antica e moderna e Mareografia. Poi c’era il Disdegno... La professoressa di Disdegno era una vecchia anguilla, che di solito veniva soltanto una volta alla settimana. Ci insegnava Disdegno, frittura su tela e pesce affresco.» «Che cosa?» domandò Alice. «Non te lo posso spiegare. A parlare di pesce affresco mi sento tutta
questo argomento e così si rivolse alla Finta Tartaruga. -Beh, c’era anche Mistero,- rispose la Finta Tartaruga, contando le materie sulla punta delle pinne, -Mistero, antico e moderno, con Mareografia; poi Sdegno... Il maestro di Sdegno era un vecchio congro che si faceva vi-vo una volta alla settima-na. Ci inse-gnava Sde-gno, Schizo-frenia e Svenimento nelle resse. -E cos’era tutto questo?- domandò Alice. -Beh, io non posso fartelo vedere,- rispose la Finta Tarta-
così si rivolse alla Finta Tartaruga, e disse: «Che altro dovevate studiare?» «Be’, c’era il Mistero», rispose la Finta Tartaruga, contando le materie sulle pinne, «il Mistero antico e moderno, con la Marografia; poi il Trascinamento... il maestro di Trascinamento era un vecchio gongro che veniva una volta la settimana: è stato lui a insegnarci il Trascinamento, lo Stiramento e lo Svenimento Spirale.» «Lo Svenimento Spirale! E com’era?» disse Alice. «Purtroppo io non posso
sentì affatto incoraggiata a far nuove domande sull’argomento e perciò si rivolse alla Pseudotartaruga e disse: -Cos’altro ti hanno insegnato? -Beh, c’era Osteria,rispose la Pseudotartaruga, facendo il conto delle materie sulle pinne, -…Osteria antica e moderna, con Gelografia: poi Dissenno... il Professore di Dissenno era un vecchio Capitone di lungo corso, veniva una volta alla settimana ma la lezione durava molte ore: c’insegnava a fare Guazzetti e Fritture ad Olio,
Sottostoria» rispose il Vitello-Similtartaruga, contando le materie sulle pinne, «Sottostoria antica e moderna, con Ondografia: poi Segno a strascico — il maestro di Segno a Strascico era un vecchio grongo che veniva una volta alla settimana a insegnarci il Segno a strascico, la Stiracchiatura, e lo Scarto con l’Inchino». «Com’è lo Scarto con l’Inchino?» domandò Alice. «Ah non riesco più a farlo» rispose il Vitello-Similtartaruga: «sono troppo rigido. E il Grifone non l’ha mai im-
incoraggiata a porre altre domande sull’argoment o, Alice si rivolse alla Fintartaruga e le chiese: «E che altro dovevate imparare?» «Ecco, c’era anche la Scoria» rispose la Fintartaruga, contando le materie sulla punta delle pinne. «Scoria antica e moderna. E Cielografia. E poi Disdegno. Il maestro di Disdegno era un vecchio capitone che veniva una volta alla settimana. Era lui che ci insegnava Disdegno, Calore e Puntura a Scoglio.» «E tutto questo
d’Egitto e disse “Quali erano le altre materie?” “Be’, c’era la Scoria,” rispose la Tartaruga d’Egitto, contando le materie sulle squame delle nocche, “Scoria antica e moderna, con Mareografia. La prof di Disdegno era una vecchia anguilla che veniva su una volta la settimana: ci insegnava Disdegno, Frittura su Tela e Findus Affresco Alla Mia Maniera.” “Cos’era, più o meno?” disse Alice. “Be’, non lo so nemmeno io. Roba da brivido, comunque. Nemmeno il Grifone l’ha
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Gryphon never learnt it” “Hadn't time,” said the Gryphon: “I went to the Classics master, though. He was an old crab, he was.” “I never went to him,” the Mock Turtle said with a sigh: “he taught Laughing and Grief, they used to say.”
disse la Finta Tartaruga. “Ho dei problemi di digestione. E il Grifone non l’ha mai imparata.” “Non ne avevo il tempo,” disse il Grifone: “ma andavo dall’insegnante di materie classiche. Era un vecchio scorfano, sapete.” “Io non sono mai andato da lui,” disse sospirando la Finta Tartaruga: “insegnava Cretino e Gretto, dicevano.”
intirizzita» disse la Finta Tartaruga. «E il Grifone non lo sa perché non l’ha mai studiato.» «Non ne ho avuto il tempo» disse il Grifone. «Io ho fatto gli studi classici. Il mio maestro era un vecchio granchio, era.» «Non ho mai preso lezioni da lui» disse con un sospiro la Finta Tartaruga. «Insegnava Greto e Catino, vero?»
ruga: -sono troppo intorpidita. E il Grifone non ha mai studiato queste cose. -Non ne ho avuto il tempo,- disse il Grifone: -ho fatto il Classico, io. Il professore era un vecchio granchio, era davvero un granchio. -Non sono mai stata da lui,- soggiunse la Finta Tartaruga con un sospiro: -insegnava Risata e Angoscia, almeno così dicevano.
mostrartelo», disse la Finta Tartaruga. «Sono troppo rigida. E il Grifone non l’ha mai imparato.» «Non ho avuto il tempo», disse il Grifone. «Però io sono andato dal maestro di Materie Classiche. Quello sì che era un vecchio granchio.» «Io da lui non ci sono mai stata», disse con un sospiro la Finta Tartaruga. «Insegnava Riso e Cruccio, dicevano.»
oltre che ad affrescare Soffritti. -Ma di cosa si trattava, esattamente? - disse Alice. -Beh, non sono più in grado di mostrartelo,disse la Pseudotartaruga. Sono fuori allenamento, oramai, e il Grifone non ha mai studiato questa materia. -Non avevo mica tempo,disse il Grifone. -Ho fatto il classico, io. E il nostro professore era uno di quei vecchi gronghi rosa, era. -Io non l’ho mai avuto,disse la Pseudotartaruga con un sospiro. -Insegnava Greco e Rattino, ho sentito dire.
parato.» «Non ne ho avuto il tempo» spiegò il Grifone: «però io sono andato al Classico. Avevamo per maestro un vecchio granchio, quello sì che era un tipo». «Io da lui non ci sono mai andato» disse il Vitello-Similtartaruga con un sospiro. «Insegnava Ridolino e Dolor Greggio, così dicevano».
com’era?» «Be’, io non te lo posso far vedere» disse la Fintartaruga. «Ho tutte le ossa rigide. E il Grifone non ha mai imparato.» «Mancava il tempo» disse il Grifone. «Ma io ho avuto un’educazion e classica. Il mio insegnante era un vecchio granchio, perbacco se lo era!» «Non ho, mai studiato con lui!» sospirò la Fintartaruga. «Insegnava Prammatica in Lattina e Sei Tassi in Creta, come si diceva una volta.»
mai imparato.” “E chi aveva tempo?” disse il Grifone. “Ho fatto il classico, io. E il mio maestro era un vecchio granchio con la barba.” “Io non ho mai preso lezioni da lui,” disse la Tartaruga d’Egitto con un sospiro. “Insegnava Amorgreco e Latinlover, mi si dice.”
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“And how many hours a day did you do lessons?” said Alice, in a hurry to change the subject. “Ten hours the first day,” said the Mock Turtle: `nine the next, and so on.” “What a curious plan!” exclaimed Alice. “That's the reason they're called lessons,” the Gryphon remarked: “because they lessen from day to day.”
Bossi (Bompiani 1963 [91]) p.98 “E quante ore di lezione facevate al giorno?” chiese Alice, ansiosa di cambiare argomento. “Dieci ore il primo giorno,” rispose la Finta Tartaruga: “nove il secondo, e così via.” “Che strano programma!” esclamò Alice. “È per questo che ci mandano gli scolari,” osservò il Grifone: “perché le lezioni sono scalari.”
Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.12930 «Quante ore di scuola al giorno facevate?» domandò allora Alice, per cambiare discorso. «Dieci ore il primo giorno,» spiegò la Finta Tartaruga «nove il secondo, e così via.» «Che strano orario!» esclamò Alice. «Ma è per questo che si chiama scuola!» osservò stupito il Grifone. «Infatti se tu sostituisci un’a ad uo, invece di scuola ottieni scala. E perciò ogni giorno si scala un’ora.»
Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.116 -E quante ore di lezione facevate al giorno?- s’affrettò a chiedere Alice per cambiare argomento. -Dieci ore il primo giorno,- rispose la Finta Tartaruga: -nove il secondo e così via. -Che buffo orario avevate!!- esclamò Alice. -Questa è la ragione per cui si studiavano le sottrazioni,- osservò il Grifone: -perché si sottraeva un’ora al giorno.
D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.131-2 «Quante ore di lezione al giorno facevate?» disse Alice, che aveva fretta di cambiare argomento. «Dieci ore il primo», disse la Finta Tartaruga, «nove il giorno dopo, e via dicendo.» «Che sistema curioso!» esclamò Alice. «Per questo si chiamano lezioni», osservò il Grifone, «diminuiscono ogni giorno.»
Carano (Einaudi 1978 [93]) p.93 -E quante ore di lezione avevate ogni giorno?- chiese subito Alice tanto per cambiare argomento. -Dieci ore il primo giorno,- disse la Pseudotartaruga,- nove il secondo, e così via. -Che orario curioso!- esclamò Alice. -Ma è per questo che sono chiamati corsi, no?fece osservare il Grifone. -Proprio perché più vai in fretta e meno te ne rimane.
Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.88 «E quante ore di lezione avevate al giorno?» chiese Alice, desiderosa di cambiare di cambiar subito argomento. «Dieci ore il primo giorno» rispose il Vitello-Similtartaruga: «nove il giorno dopo, e così via». «Curioso come sistema!» esclamò Alice. «Per questo ci chiamavano scolari» osservò il Grifone, «perché il tempo scolava via un giorno dopo l’altro.»
Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.114
Busi (Feltrinelli 1993) p.143
«E quante ore di lezione facevate alla settimana?» domandò Alice, ansiosa di cambiare argomento. «Il primo giorno dieci ore,» disse la Fintartaruga «il secondo nove e così via.» «Che orario curioso!» «È per questo che a lezione si usano i compendi e i breviari», osservò il Grifone. «Perché così le lezioni si abbreviano di giorno in giorno.»
“E quante ore avevate al giorno?” disse Alice desiderosa di cambiare argomento. “Il primo giorno dieci!” disse la Tartaruga d’Egitto, “il secondo nove e così via.” “Che orario strano!” esclamò Alice. “Ma è per questo che sono chiamate ore d’istruzione,” osservò il Grifone: “Perché si distruggono”.
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Bossi (Bompiani 1963 [91]) p.100-101 “Oh, posso 1 “I can tell dirti anche di 2 you more più se vuoi, 3 than that, if se ti fa pia4 you like,” cere,” disse il 5 said the Grifone. “Sai 6 Gryphon. perché si chi7 “Do you 8 know why it's ama nasello?” “Non ci ho 9 called a mai pensato,” 10 whiting?” disse Alice. 11 “I never “Perché?” 12 thought “Serve per 13 about it,” infilarci i bot14 said Alice. toni,” rispose 15 “Why?” il Grifone 16 “It does the con grande 17 boots and the solennità. 18 shoes,” the Alice si sentì 19 Gryphon profonda20 replied very mente scon21 solemnly. certata. “Ser22 Alice was ve per infilar23 thoroughly ci i bottoni?” 24 puzzled. ripeté in tono 25 “Does the interrogativo. 26 boots and “Perché, tu 27 shoes!” she 28 repeated in a dove infili i bottoni,” dis29 wondering se il Grifone, 30 tone. “quando ti al31 “Why, what lacci un vesti32 are your to?” 33 shoes done Alice si guar34 with?” said 35 the Gryphon. dò i bottoni,
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Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.134-3 «Te ne posso raccontare molte anche sui Naselli, se ti fa piacere» propose il Grifone. «Sai perché si chiamano Naselli?» «Non ci ho mai pensato» confessò Alice. «Perché?» «Perché sono nipoti dei nasi!» rispose il Grifone tutto soddisfatto. Alice restò sbalordita: «Nipoti dei nasi?» ripeté con aria pensosa. «Certo, dei nasi!» confermò il Grifone. «E il tuo, del resto, credi forse che sia un naso?» Alice, incrociando gli occhi, tentò di
Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.121 -Potrei continuare ancora se queste cose ti piacciono,- disse il Grifone. -Sai perché i lucci hanno questo nome? -Non ci ho mai pensato,disse Alice. -Perché? -Perché lucidano scarpe e stivali,- rispose il Grifone con aria solenne. Alice era più sbalordita che mai. –Lucidano scarpe e stivali!- continuò a ripetere per qualche istante. -E dimmi, come sono state pulite le tue scarpe?disse il Grifone. -Volevo dire: che cosa le fa brillare a
D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.138-9 «Posso raccontartene ancora, se vuoi», disse il Grifone. «Lo sai perché si chiama merluzzo?» «Non ci ho mai pensato», disse Alice. «Perché?» «Perché merlustra le scarpe e gli stivaletti», rispose il Grifone con molta solennità. Alice ne fu completamente sconcertata. «Come, merlustra le scarpe?» ripeté in tono meravigliato. «Perché, a te le scarpe con cosa le puliscono?» disse il Grifone. «Voglio dire, che cos’è che
Carano (Einaudi 1978 [93]) p.98 -Oh, potrei dirti anche di più, se ti va,disse il Grifone. -Sai perché si chiama merluzzo? -Non ci ho mai pensato,disse Alice. -Perché? -Perché fischia benissimo,- rispose il Grifone con estrema gravità. Alice fu molto sconcertata. –Fischia benissimo!- ripeté sbalordita. -Ma sì! Chi è che fischia sugli alberi?disse il Grifone. Alice si guardò le scarpe e rifletté un attimo prima di dar la risposta. -Il merlo,
Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.93-4 «Te ne potrei dire tante altre» disse Grifone. «Sai perché si chiamano naselli?» «Non ci ho mai pensato» disse Alice. «Perché?» «Servono per infilarci i bottoni» rispose il Grifone solennemente Alice ne fu completamente sconcertata. «Servono per infilarci i bottoni?» ripeté meravigliata. «Voi cosa ci fate ai grembiulini per poterli chiudere?» domandò il Grifone. «Voglio dire, dopo aver messo i bottoni?» Alice si guar-
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Busi (Feltrinelli 1993) p.151
«Posso dirtene delle altre, se vuoi» disse il Grifone. «E non soltanto sui merluzzi. Sai perché l’acciuga, da piccola, si chiama anche bianchetto?» «Non ci ho mai pensato» disse Alice. «Perché?» «Perché pulisce le scarpe e gli stivali» rispose il Grifone con aria solenne. Alice era davvero sbalordita. «Pulisce le scarpe e gli stivali!» ripeté tutta piena di stupore. «Che c’è di strano? Con che cosa pulisci, tu?» chiese il Grifone. «Voglio dire, che co-
“Oh, posso dirti altro che questo,” disse il Grifone. “Sai perché si chiama tonno?” “Non c’ho mai pensato,” disse Alice. “Perché?” “Lo usano negli ateliers!” proclamò il Grifone solennemente. “Negli ateliers!” ripetè Alice con tono incantato. “Sì, per la collezione autunno-inverno sono indicati i tonni caldi, per le situazioni informali va benissimo il tonno sportivo. In ogni caso è indispensabile il
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“I mean, what makes them so shiny?” Alice looked down at them, and considered a little before she gave her answer. “They're done with blacking, I believe.” “Boots and shoes under the sea,” the Gryphon went on in a deep voice, “are done with a whiting. Now you know.” “And what are they made of?” Alice asked in a tone of great curiosity. “Soles and eels, of course,” the Gryphon replied rather impatiently: “any shrimp could have told you
e rifletté un attimo prima di rispondere. “Li infilo negli occhielli, suppongo.” “In mare i bottoni,” si infilano nei naselli. Ora lo sai.” “E di che cosa son fatti i bottoni?” domandò Alice, assai incuriosita. “D’osso di seppia e madreperla, naturalmente,” replicò il Grifone alquanto spazientito: “qualsiasi ghiozzo avrebbe potuto dirtelo.”
scrutare il suo nasino. Era pensierosa e stette a riflettere un attimo prima di domandare: «E che cos’è, per favore, se non è un naso?» «Guardalo bene: non è un naso, è un Nasello» spiegò con voce spazientita il Grifone. «Qualunque Gamberetto, o Sogliola, o Anguilla lo saprebbe. E almeno, ricordatelo!»
quel modo? Alice guardò le sue scarpe e rimase a riflettere per un po’ prima di rispondere; poi disse: -Oh, credo che siano state pulite con il lucido nero. -No! No! Scarpe e stivali in fondo al mare,- continuò il Grifone con voce profonda e solenne, -si puliscono soltanto con l’inchiostro di seppia. Ora lo sai. -E di che cosa sono fatte?- domandò Alice in tono di grande curiosità. -Sono fatte di Sogliole e Tacchigliole, naturalmenterispose il Grifone piuttosto spazientito: -qualunque gambero di buon sen-
le fa brillare?» Alice se le guardò e rifletté un poco prima di dare la sua risposta. «Le lustrano col lucido, credo.» «In fondo al mare scarpe e stivaletti», continuò il Grifone con voce profonda, «vengono lustrati col bianchetto. Ora lo sai.» «E di che sono fatti, scarpe e stivaletti?» chiese Alice, assai incuriosita. «Di sogliole e anguille, naturalmente», rispose il Grifone, con una certa impazienza, «questo te lo poteva dire qualunque scampo.»
direi. -In fondo al mare,- proseguì il Grifone con voce profonda, -è il merluzzo che fischia sulle alborelle. Ora lo sai. -E cosa fanno le alborelle?- chiese Alice molto incuriosita. -Fanno l’ombrina, ovviamente,- rispose il Grifone con una certa impazienza. -Lo sa anche un pesce qualsiasi!
dò il grembiulino, e ci pensò un attimo prima di dare una risposta. «Ci facciamo gli occhielli». «In fondo al mare» spiegò il Grifone con voce profonda, «noi ci facciamo i naselli. Ora lo sai». «E come li cucite i grembiulini?» chiese Alice, assai incuriosita. «Con il pesce ago, naturalmente» rispose il Grifone, con una certa impazienza, «lo sanno perfino i gamberi».
s’è che le rende così lucide?» Alice si guardò le scarpe e rifletté un momento prima di rispondere: «Il neretto, credo». «Stivali e scarpe, in fondo al mare,» proseguì il Grifone con voce profonda «si lucidano con il bianchetto. Adesso lo sai.» «E di che cosa sono fatte?» domandò Alice piena di curiosità. «Le suole di sogliole e le stringhe di aringhe» rispose il Grifone leggermente spazientito. «Qualsiasi gambero te lo saprebbe dire.»
sandwich francese di tonni.” “Sarebbe a dire?” domandò Alice stupefatta. “Il tonn-surtonn, no?” “E quali sono i capi più di moda?” “Papaline, mante a rombi con la cernia sul davanti e scarpe nei colori muggine o verdone,” rispose il Grifone con malcelata impazienza. “Queste cose te le può dire qualsiasi pesce-ago!”
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so avrebbe saputo dirti queste cose.
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Bossi (Bompiani 1963 [91]) p.101 “Erano ob“They were bligati a porobliged to tarsela con have him loro,” ribatté with them,” la Finta Tarthe Mock taruga: “nesTurtle said: “no wise fish sun pesce saggio anwould go drebbe in gianywhere ro senza fowithout a cena.” porpoise.” “Wouldn’t it “Dici davvero?” disse really?” said Alice in tono Alice in a tone of great di grande stupore. surprise. “Certo,” af“Of course not,” said the fermò la Mock Turtle: Finta Tartaruga: “se un “why, if a fish came to pesce venisse me, and told da me e mi dicesse che me he was sta per metgoing a tersi in viagjourney, I gio, gli chieshould say derei, ‘Ti por‘With what ti con te la porpoise?’” focena?’” “Don’t you “Intendi dire mean
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Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.121-122 «Bisogna sta- -Ma erano obbligati ad re in loro accettarlocompagnia» singhiozzò la disse la Finta Tartaruga: Finta Tarta-nessun pesce ruga. «Bisogna! Nessun saggio andrebbe conpesce prutro il volere dente dovrebbe andare del suo delfiin giro senza no. essere ac-Davvero compagnato non lo fada un polirebbe?- esclapo.» mò Alice in «Davvero?» tono di grandomandò de sorpresa. Alice sorpre- -Certo che sa. E si toccò no,- rispose il naso preoc- la Finta Tarcupata. taruga: -se un «Certo» con- pesce venisse fermò la da me e mi Finta Tartadicesse che è ruga. «Se un in procinto di Nasello vemettersi in nisse a dirmi viaggio, io gli che sta per direi: «Se così mettersi in vuole il tuo viaggio, gli delfino».
D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.139 «Erano costretti a portarselo dietro», disse la Finta Tartaruga. «Nessun pesce assennato viaggia senza un marsuino.» «Davvero?» disse Alice, in tono molto sorpreso. «Certo», disse la Finta Tartaruga. «Se un pesce venisse da me a dirmi che parte per un viaggio, gli chiederei subito: ’con quale marsuino?’» «Non vuoi dire ’scopo’?» disse Alice.
Carano Graffi (Einaudi 1978 (Garzanti [93]) p.98-9 1989 [93]) p.94 «Erano obbli-Ma erano gati a tenerlo» obbligati a portarlo con spiegò il Viloro- disse la tello-SimilPseudotarta- tartaruga ruga: -Nessun «Nessun pepesce di clas- sce che si rispetti va a un se potrebbe andarsene in ballo senza il giro senza un marsuino». «Davvero?» marsuino. chiese Alice, -Ma davvero?- disse Ali- estremamence molto stu- te sorpresa. «Ma certo» pita. replicò il Vi-Si capisce!disse la Pseu- tello-Simildotartaruga. – tartaruga. Insomma, se «Quando c’è un pesce vie- un pesce che viene da me e ne da me a focena, deve mi invita a un avere il mar- ballo, io gli suino e le car- chiedo sempre “Che mape nuove di rsuino mi tinca. -Vorrai dire la metto?”» «marsina»e le «Forse inten«scarpe nuove di dire “Marsina”?» disse di trinca»?-
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«Ma loro erano obbligati a stargli assieme» disse la Fintartaruga «Un pesce saggio non va da nessuna parte senza una focena.» «Davvero?» disse Alice stupitissima. «Certo che no» disse la Fintartaruga. «Perbacco, se un pesce di mare venisse da me e mi dicesse che vuol viaggiare in un fiume, gli chiederei subito: “Sai dov’è la focena?”» «Vuoi dire la foce!» disse Alice.
“Erano obbligati a avercelo alle calcagna,” disse la Tartaruga d’Egitto. “Un pesce chic è immancabilmente in compagnia di un polpo.” “Ma dici sul serio?” disse Alice passando di sorpresa in sorpresa. “Certo!” disse la Tartaruga d’Egitto. “In ogni storia dev’esserci sempre un polpo di scena! e poi se un pesce venisse da me per annunciarmi che mi lascia, io gli
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31 ‘purpose’?” 32 said Alice. 33 34 35
la ‘cena’?”
direi...»
-Non volete dire per caso «destino»?
Bossi (Bompiani 1963 [91]) p.111 “Sono un pover’uomo, Maestà,” cominciò il Cappellaio con voce tremante, “e avevo appena cominciato a prendere il tè... da non più di una settimana circa... e per il fatto che il pane imburrato diventava così sottile... e per il tremolare del tè...” “Il tremolare di che cosa?” chiese il Re. “Cominciò col tè...” “Certo che tremolare co-
Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.145146 «Sono un poveretto, Maestà» cominciò a dire con voce tremante il Cappellaio. «Avevo appena cominciato a bere il tè... circa una settimana fa...e le fette di pane imburrato diventavano sempre più sottili... e il tremolio del tè...» «Il tremolio di che?» domandò il Re. «Il tremolio cominciò col tè» tentò di spiegare il Cappellaio. «Vorrai dire
Galasso e Kemeni (Sugar 1967) pp.131-132 -Sono un pover’uomo, vostra Maestà,- cominciò il Cappellaio con voce tremante- e non avevo ancora cominciato a bere il tè... non più di una settimana fa... e poi le tartine che rimpiccioliscono... e il tintinnio del tè... -Il tintinnio di che?- chiese il Re. -Il tintinnio cominciò con il tè,- rispose il Cappellaio. -Col tè? Sciocchezze:
disse Alice.
Alice.
Carano (Einaudi 1978 [93]) p.107-108 -Sono in pover’uomo, Maestà,- cominciò il Cappellaio con voce tremante,- ... e non avevo neppure cominciato a prender il tè... non più di una settimana fa... e poi quei crostini imburrati così fini... e il tremolio del tè... -Il tremolio di che cosa?disse il Re. -Cominciò tutto con il tè,- rispose il Cappellaio. -Ah! Tremolio comincia con il ti, vuoi
Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.103 «Io sono un povero diavolo, vostra Maestà» cominciò il Cappellaio, con voce tremante, «e non avevo ancora cominciato a prendere il mio tè - non più di una settimana fa e con le fette di pane e burro che erano diventate così sottili - e il baluginìo del tè-». «Il baluginìo di che cosa?» domandò il Re. «Tutto cominciò col
risponderei ‘Ti venisse un polpo!’ ” “Volevi dire ‘un colpo’?”
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“I'm a poor man, your Majesty,” the Hatter began, in a trembling voice, “—and I hadn't begun my tea—not above a week or so—and what with the bread-andbutter getting so thin—and the twinkling of the tea—” “The twinkling of the what?” said the King. “It began with the tea,” the Hatter replied. “Of course twinkling
D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.150 «Sono un pover’uomo, Maestà», cominciò il Cappellaio con voce tremante, «e avevo appena cominciato a prendere il tè... da non più di una settimana circa... con tutto che il pane e burro continuava a diminuire... e il tremolìo del tè...» «Il tremolìo di cosa?» disse il Re. «È cominciato col tè», rispose il Cappellaio. «Certo che
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«Io sono un pover’uomo, Maestà,» iniziò il Cappellaio con voce tremante «e non avevo nemmeno cominciato a prendere il tè... non più tardi di una settimana fa o giù di lì... ed ecco che tutto quel pane e burro comincia ad assottigliarsi... e che il tè comincia a luccicare...» «Cos’è che comincia a luccicare?» domandò il Re. «Ecco, tutto è
“Sono un povero cristo, Vostra Maestà,” cominciò il Cappellaio con voce tremula, “...e non avevo nemmeno cominciato a bere il tè... non più di una settimana fa... e poi quelle tartine imburrate così fine... Brilla brilla biondo tè... Tutto comincia con un tè...” “Tutto comincia con un ti, vorrai dire!” disse il Re seccatisimo. “Mi prendi per il
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begins with a T!” said the King sharply. “Do you take me for a dunce? Go on!”
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minciare [sic!] con la T!” disse brusco il Re. “Mi prendi per uno stupido? Continua!”
che comincia col ti!» disse aspramente il Re. «Lo so, non sono un asino. Continua!»
tintinnio comincia con la T, - interruppe il Re seccamente. -Mi prendete forse per uno stupido? Avanti!
tremolìo comincia con la T!» disse il Re, secco. «Mi hai preso per un idiota? Avanti!»
dire!- esclamò il Re seccato. -Mi prendi per un somaro? Va’ avanti!
tè» rispose il Cappellaio. «Cominciò con me?» replicò seccato il Re. «Cosa vorresti insinuare? Continua!»
sedere? Va’ cominciato avanti.” con il tè» rispose il Cappellaio. «”Tutto” non comincia con “tè” ma con “ti”» ribatté brusco il Re. «Mi prendi per stupido? Continua!»
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“Nothing can be clearer than that. Then again— ‘before she had this fit—’ you never had fits, my dear, I think?” he said to the Queen. “Never!” said the Queen furiously, throwing an inkstand at the Lizard as she spoke. (...) “Then the words don't fit you,” said the King, looking round the court with a smile.
Bossi (Bompiani 1963 [91]) p.120 “Non potrebbe essere più chiaro di così Continuiamo: a lei venne un attacco, poi: non hai mai avuto attacchi, mia cara, vero?” chiese alla Regina. “Mai,” rispose la Regina furiosamente, lanciando un calamaio contro la lucertola mentre parlava. (...) “Allora questo non è un attacco a te,” disse il re, girando lo sguardo per il tribunale con un sorriso.
Giglio (Rizzoli 1966 [90]) p.156157 «Niente di più chiaro. E poi... prima che lei avesse questo attacco... Hai mai avuto attacchi tu, mia cara?» soggiunse rivolto alla Regina. «Mai!» rispose la Regina infuriata e tirò un calamaio addosso alla Lucertola. (....) «Se non hai avuto attacchi, la poesia non attacca» aggiunse allora il Re. Posò sull’assemble a uno sguardo trionfante, (...).
Galasso e Kemeni (Sugar 1967) p.141 -Niente di più evidente. E poi ancora... prima che lei mentisse a voi, tu non hai mai mentito, cara. È così?- disse rivolto alla Regina. - Mai!- rispose furiosamente la Regina, gettando un calamaio in testa alla Lucertola. (...) -Allora le parole ti hanno smentito,disse il Re, guardando l’assemblea con un sorriso.
D’Amico (Longanesi 1971 [94]) p.162-3 «Niente potrebb’essere più chiaro. E poi, ancora... ’prima che a lei venisse questo accidente...’ a te non sono mai venuti accidenti, vero, cara?» disse alla Regina. «Mai!» disse la Regina inferocita, tirando un calamaio alla Lucertola. (...) «Allora ogni riferimento a te è accidentale», disse il Re, guardando intorno l’aula con un sorriso.
Carano (Einaudi 1978 [93]) p.115-116 (...) -Nulla è più evidente di ciò. E poi andiamo avanti: «Prima che avesse un attacco», non hai mai avuto un attacco tu, cara, vero?disse alla Regina. (...) -Quindi tu non c’entri,disse il Re guardandosi intorno con un sorrisetto sulle labbra.
Graffi (Garzanti 1989 [93]) p.112-113 «Non potrebbe essere più chiaro di così. E poi, ancora “-Lei ebbe una crisi-” tu non hai mai crisi, vero, cara?» domandò alla Regina. «Mai!» esclamò la Regina, infuriata, lanciando un calamaio al Lucertolino. (...) «Allora sono le parole che vanno in crisi con te» ribatté il Re, guardandosi in giro nell’aula con un sorriso.
Bianchi (Mursia 1990 [93]) p.137
Busi (Feltrinelli 1993) p.181
«Questo è senz’altro il verso più chiaro. E poi, vediamo un po’: “...Prima che lei avesse questo accesso...” Tu di accessi non ne hai mai, vero, mia cara?» chiese alla Regina. «Mai!» disse la Regina in un accesso di collera, scagliando un calamaio contro la Lucertola. (...) «Allora queste parole non possono trovare nessuna via di accesso per riferirsi a te» disse il Re, facendo un ampio sorriso alla giuria.
“È una prova schiacciante. E ancora... ‘prima ch’ella avesse accessi della bile più inconsulta’... ma tu non hai mai avuto accessi di bile, mia diletta, nevvero?” disse alla Regina. “Mai!” disse la Regina più furiosa che mai, tirando dietro un calamaio al Ramarro e centrandolo in pieno. (...) “Questa cosa non ti è accessibile,” disse il Re, guardandosi attorno con un sorrisetto sulle labbra.
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AA nel testo 243
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Altri testi riguardanti la traduzione e in particolare la 2 traduzione di letteratura per l’infanzia Atti del Convegno The Making of Imagery: Writing and Translating for Children, Fiera del Libro di Bologna, 2005, reperito on line: http://www.biblit.it/convegno%20bologna%202005.pdf Bassnett, S., Lefevere, A., Constructing Cultures – Essays on literary translation, Multilingual 2
Si segnalano di seguito altri testi interessanti per chi volesse approfondire ma rintracciati o pubblicati dopo la prima edizione di questo lavoro 254
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Tesi di laurea correlate Graziosi, M., Testo verbale e testo iconico nei limericks di Edward Lear, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, relatore prof. Giovanna Franci, a.a. 1981-82 reperibile on line http://www.nonsenselit.org/component/option,com_docman/task,doc_download/gid,8/Itemid,53 Mastrangeli, M., Alice nel paese delle meraviglie. Aldo Busi a confronto con Lewis Carroll, Università degli Studi della Tuscia, Facoltà di Lingue e Letterature Straniere Moderne, relatore prof. Silvana Ferreri, a.a. 2001-02 Pagliarani, G., Alice tra senso e nonsenso, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, relatore prof. Stefano Velotti, a.a. 2000-01; reperibile on line: http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/tfo/public/1/giordanapagliarani68_1.pdf Waffenschmidt, B., Possibilities and Limits of Translation – The German translation of Lewis Carroll’s ‘Alice’s Adventures in Wonderland’, EBERHARD-KARLSUNIVERSITÄT TÜBINGEN, Seminar für Englische Philologie, Sommersemester 1996, HS Linguistik, Prof. Dr. K.-D. Gottschalk, Comparative Translation Studies, 4 aprile 1997 256
Ringraziamenti Desidero ringraziare il professor Marco Graziosi di Vignola (MO), curatore di un sito internet dedicato a Edward Lear e al nonsense1, la professoressa Mary Wardle dell’Università di Roma La Sapienza, la professoressa Monica Berretta dell’Università di Vercelli, Nicoletta Lumina della Biblioteca della Facoltà di Lingue dell’Università di Bergamo, e la studentessa Lucia Franchini di Como per i consigli, le indicazioni bibliografiche, la disponibilità e la simpatia. Ringrazio inoltre la mia relatrice, prof. Silvana Ferreri, attualmente docente presso l’Università della Tuscia, il prof. Raffaele Scapellato, docente di Matematica presso il Politecnico di Milano, il signor Gian Mario Benzing, nipote del traduttore Mario Benzi e responsabile del sito http://www.benzing.it, Kate Lyon, studiosa australiana di Carroll, il prof. Gordon Poole dell’Università degli Studi di Napoli, le professoresse Emer O’Sullivan e Gillian Lathey, promotrici dei Comparative Studies nell’ambito della letteratura per bambini, e tutti coloro che in questi anni hanno condiviso il loro interesse per la traduzione e per Alice e mi hanno incoraggiata a continuare e sviluppare le mie ricerche.
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Edward Lear’s Nonsense Poetry and Art – http://www.nonsenselit.org/lear 257
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