Aerofan #2

Page 1

Anno 1 | Numero 2 | Mar./Apr. 2019 | € 12,00

PERIODICO BIMESTRALE - P.I. 01/03/2019 spedizione in abbonamento postale Comma 26, Art. 2, Legge 549/95

LA RIVISTA ITALIANA DI STORIA E TECNICA AERONAUTICA

Un tuono nei cieli italiani Storie di cacciabombardieri e di allarmi atomici

have blue

Quando gli aerei diventarono invisibili

antonio gallus Un leader delle Frecce Tricolori


on c e ri n o l o i o c z i a r T or b e c a l c l e o r In c o Club F zza: i m n i s a e g r m o tu ’l ottan i Ghemme d SALONE AERONAUTICO INTERNAZIONALE

le bourget Un giorno al Salone Aeronautico Internazionale Viaggio A /R in aereo da Milano e biglietto d’ingresso al Salone

zeltweg

air power Un week-end all’Air Show Viaggio A /R in bus Gran Turismo da Milano, due pernottamenti nell’aera di Zel tweg, biglietto d’ingresso all’Air Show

i posti sono limitati e il tempo stringe! info e prenotazioni 370.36.41.829 gmeter@libero.it


Q

uando eravamo “dall’altra parte della barricata”, da lettori compulsivi di riviste di aviazione, un mese trascorso ad aspettare l’uscita del numero successivo ci sembrava un tempo esageratamente lungo. Avremmo fatto carte false per avere una rivista settimanale e firmato un patto con il Diavolo se ci avesse promesso di pubblicare un quotidiano dedicato agli aeroplani. Oggi, da Editori, i due mesi trascorsi dall’uscita del primo Aerofan sono volati senza quasi rendercene conto... Ad ogni modo il numero 2 è qui. La copertina è dedicata, come avverrà d’ora in avanti, al primo articolo della rivista, il racconto entusiasmante e un po’ inquietante di cosa significava essere un LA RIVISTA ITALIANA DI STORIA E TECNICA AERONAUTICA cacciabombardiere con capacità nucleare durante gli anni della Guerra Fredda. Esaurito il gioco delle “prime volte” del numero 1, iniziamo a fare sul serio con una serie di articoli che abbracciano praticamente i primi cento anni di Aviazione: si parte dalla scuola di volo della S.I.S.A. degli Anni ‘20, ai primordi del trasporto aereo, quando volare era un’avventura senza pari al mondo e l’Italia primeggiava tra le Nazioni europee per innovazione e spirito imprenditoriale, per arrivare agli Anni ‘80 con il progetto segreto Have Blue, primo aeroplano “invisibile”, che ha rivoluzionato le strategie militari ed è sfociato nel protagonista incontrastato dei conflitti degli Anni ‘90, il caccia F-117. Tra questi due estremi troviamo storie di pattuglie acrobatiche d’altri tempi, di mitiche compagnie aeree, di aeroplani fortunati e di elicotteri mancati. In questo numero si parla inoltre del D-Day Squadron, un progetto che si svilupperà da qui a giugno e che culminerà con l’arrivo in Europa di una vera e propria formazione di aeroplani Skytrain e Dakota in occasione del 75° anniversario dello sbarco in Normandia del 1944. Richiamiamo infine l’attenzione sull’iniziativa posta in essere in collaborazione con l’81° Club Frecce Tricolori di Ghemme; si tratta di due viaggi organizzati per visitare il Salone Cervia, Anni ‘60. Aeronautico Internazionale di Le Bourget a giugno e per assistere all’Air Show di Zeltweg a Un giovane pilota del settembre. Si tratta di due occasioni, alle quali vorremmo ne seguissero altre in futuro, per 101° Gruppo CB dell’8° Stormo, da poco giunto al reparto, fare qualcosa che i social fanno di tutto per farci dimenticare: incontrarsi, conoscersi e viene “briefingato” dal capocoppia divertirsi insieme. prima della missione. (archivio Aeronautica Militare) A questo punto lo spazio riservato all’editoriale sta finendo e non ci resta che affidarvi le prossime pagine con una richiesta e una raccomandazione: in fondo alla rivista c’è la pagina dedicata ai ringraziamenti a coloro che hanno collaborato a vario titolo alla stesura di questo numero. Non fate come quelli che si alzano e se ne vanno dal cinema mentre scorrono i titoli di coda, soffermatevi un minuto a leggere i loro nomi perché, come in un film, senza coloro che appaiono nei crediti non ci sarebbe un film da vedere... Buona lettura e ricordate: volare è impossibile!

Luciano Pontolillo

3


45

antonio gallus Un leader delle Frecce Tricolori

6

54

un tuono nei cieli italiani

il mito di alisarda

Storie di cacciabombardieri e di allarmi atomici

Da Venafiorita ai cieli del mondo

18

62

have blue Quando gli aerei diventarono invisibili

d-day squadron Un volo epico per commemorare il 75° anniversario dello sbarco in Normandia

69

il dakota e “the hump” Uno dei primi ponti aerei della storia

24

skyblazers Gli ambasciatori dell’USAF Europe

32

grumman hu-16 mare 6 Un Albatross fortunato

inserto speciale

76

l’album di aerofan Le foto e la Storia

80

storie di ali italiane

letture consigliate

- La scuola di volo della S.I.S.A. - Il Mustang del lago di Garda - Siai Marchetti SV20 -

Libri scelti per Voi

4


45

antonio gallus Un leader delle Frecce Tricolori

6

54

un tuono nei cieli italiani

il mito di alisarda

Storie di cacciabombardieri e di allarmi atomici

Da Venafiorita ai cieli del mondo

18

62

have blue Quando gli aerei diventarono invisibili

d-day squadron Un volo epico per commemorare il 75° anniversario dello sbarco in Normandia

69

il dakota e “the hump” Uno dei primi ponti aerei della storia

24

skyblazers Gli ambasciatori dell’USAF Europe

32

grumman hu-16 mare 6 Un Albatross fortunato

inserto speciale

76

l’album di aerofan Le foto e la Storia

80

storie di ali italiane

letture consigliate

- La scuola di volo della S.I.S.A. - Il Mustang del lago di Garda - Siai Marchetti SV20 -

Libri scelti per Voi

4


un tuono NEI CIELI italiani Storie di cacciabombardieri e di allarmi atomici Bruno Servadei

F

in da bambino sono stato un appassionato di aeroplani e, come la maggior parte dei miei coetanei, mi divertivo moltissimo con gli aeromodelli. Inoltre andavo spesso ad ammirare gli idrovolanti che operavano all'idroscalo di Como, non lontano da casa.

6

Un F-84F del 155° Gruppo del 6° Stormo in decollo dalla pista di Ghedi. Sotto le ali il velivolo trasporta una batteria di razzi HVAR che potevano essere agganciati in varie combinazioni multiple e lanciati sia in salva che singolarmente. (Ph. Aeronautica Militare)


un tuono NEI CIELI italiani Storie di cacciabombardieri e di allarmi atomici Bruno Servadei

F

in da bambino sono stato un appassionato di aeroplani e, come la maggior parte dei miei coetanei, mi divertivo moltissimo con gli aeromodelli. Inoltre andavo spesso ad ammirare gli idrovolanti che operavano all'idroscalo di Como, non lontano da casa.

6

Un F-84F del 155° Gruppo del 6° Stormo in decollo dalla pista di Ghedi. Sotto le ali il velivolo trasporta una batteria di razzi HVAR che potevano essere agganciati in varie combinazioni multiple e lanciati sia in salva che singolarmente. (Ph. Aeronautica Militare)


Il tenente Vittorio Meneghini, pilota del 22° Gruppo CB della 51a Aerobrigata di Istrana posa giustamente orgoglioso di fianco al “suo” F-84. Apprezzabile il casco modello P-3 con maschera ossigeno MS-22001, il paracadute modello BA-13, il salvagente AER-1 e la tuta anti-g G-4A.

ARCHIVIO MENEGHINI

6

10

AEROFAN | MAR/APR 2019

7

8

9

ARCHIVIO MENEGHINI

che il carburante immesso all'apertura della manetta si incendiasse facendo surriscaldare il motore e costringendo ad interrompere la proceduta per evitare di superare i limiti previsti. Nelle campagne tiri a Decimomannu, quando i velivoli facevano turni di volo molto ravvicinati, le fiammate dietro le code si sprecavano e le partenze calde dei giovani erano causa di molti voli persi, con grandi incazzature dei “boss”. Altre carenze riguardavano la strumentazione. Per esempio l'orizzonte oltre un certo assetto verticale iniziava a precessionare e non era più attendibile. La cosa poteva sembrare poco rilevante, visto che assetti così accentuati erano previsti solo per manovre acrobatiche, che di certo non si facevano con l'aiuto dell'orizzonte, di notte o nelle nubi. Ma noi qualche volta completavamo nelle nubi l'imperiale dopo lo sgancio con la tecnica LABS per l'armamento nucleare, e l'orizzonte ci avrebbe fatto comodo per chiudere la manovra. Avevamo trovato un modo per risolvere il problema tenendo tirato il nottolino dell'orizzonte fino a 45° di cabrata, in modo da avere un'indicazione di assetto delle ali nella fase di rotazione dalla posizione rovescia dopo lo sgancio. Molti velivoli inoltre non erano ancora dotati di Tacan ma solo di ADF (Automatic Direction Finder). Non era un vero e proprio problema per noi, provenienti dalle scuole di volo dove di procedure ADF ne avevamo fatte a iosa, ma vuoi mettere la comodità di avere un punto certo al suolo rispetto alla sola direzione da una stazione radio? Non era un caso se i nostri cari piloti anziani lasciavano sempre a noi giovani il “privilegio” di volare sui velivoli senza Tacan, soprattutto se il tempo era molto infognato. Senza dubbio il Thunderstreak era un cacciabombardiere nato per essere tale, senza fronzoli e con accorgimenti derivati dall'esperienza bellica che certi velivoli entrati in linea negli anni successivi, ormai lontani da guerre guerreggiate, avevano perso. Era dotato di serbatoi autostagnanti e ampiamente parzializzati: se avessi preso un colpo di contraerea avresti potuto chiudere quel serbatoio e perdere solo il suo carburante e, magari, tornare a casa. L'F-104 non aveva questa capacità e, non a caso, non era nato per fare il cacciabombardiere. Inoltre i nostri Thunderstreak non avevano il calcolatore per il tiro aria/suolo, prevista su gran parte dei caccia americani. In compenso, paradossalmente, l'aeroplano aveva un calcolatore asservito ad un piccolo radar per il tiro aria/aria. Non ho mai avuto modo di sparare alla manica, ma ho usato spesso il collimatore in funzione aria/aria nelle fasi finali dei voli, quando si consumava il carburante residuo facendo fila indiana o combattimento. Bisognava abituarsi a quel “pipper” che andava su e giù senza senso apparente ma, una volta fatta la mano, si riusciva a metterlo sul velivolo target e simulare una raffica. A quanto dicevano gli anziani, quelli che avevano avuto la fortuna di fare le campagne di tiro aria/aria sfortunatamente annullate proprio quando sarebbe toccato farle anche a me, se riuscivi a mettere il pipper sulla manica i colpi dentro ci andavano alla grande. Anche nel tiro aria/suolo il Thunderstreak se la cavava bene. Quando si andava a Decimo e si volava con il velivolo pulito, e non in configurazione strike asimmetrica, le missioni erano una goduria. I tiri erano una parte essenziale dell'addestramento, ma prima di iniziare a sparare bisognava mettere insieme almeno 50 ore di volo fra navigazioni a bassissima quota, formazione e navigazioni in quota. La navigazione BBQ a 500 ft di quota era il modo fondamentale per raggiungere il bersaglio designato. La navigazione prevedeva tratti di lunghezza non superiore ai sette/otto minuti perché si dava per scontato che, se il velivolo fosse stato acquisito da qualche ente della difesa aerea avversaria, l'intercettazione non avrebbe potuto avvenire entro quel tempo. Cambiando continuamente rotta si aumentavano le possibilità di sopravvivenza, anche se si riduceva il raggio d'azione. La velocità di navigazione era di 330 kts, ma in prossimità del bersaglio veniva portata a 420 kts per l'attacco

ARCHIVIO APOSTOLO

carico, per cui le carenze del mezzo non si evidenziarono immediatamente. Non che da scarico il decollo del Thunderstreak fosse brillante, ma da quando cominciammo ad usare le taniche piene in estate, nella totale assenza di vento tipica della bassa padana, i decolli divennero una vera sofferenza. Si decollava in coppia con corse di decollo di 45” e passa, con i piedi sollevati dai freni per non rallentare la corsa (la direzione con l'F-84F si teneva esclusivamente con i freni, in quanto il ruotino era libero), rotazione sulle luci di fine pista e ratei di salita infinitesimali. Se il caldo era eccessivo, il decollo non veniva nemmeno fatto in coppia. Pur sottopotenziato, il Thunderstreak era un buon padre di famiglia, tuttavia aveva alcune carenze di non poco conto. La principale, soprattutto per noi abituati a “razzolare” a bassa quota, era data senza dubbio dal seggiolino eiettabile, che assicurava l'apertura del paracadute solamente dai 2.000 piedi di quota in su e con rateo a salire. Era quindi chiaro che una piantata motore a quelle quote sarebbe stata una questione risolvibile solo con decisioni immediate: avresti avuto giusto il tempo di sfruttare la velocità standard di navigazione di 330 kts per salire il più possibile e lanciarti. Tempo per verificare la situazione, nessuno! Una piantata motore in decollo equivaleva poi ad una condanna a morte e, purtroppo, l'F-84F nel corso della sua carriera ne ha eseguite parecchie. Un altro punto critico era la messa in moto, dal momento che se il velivolo era al primo volo della giornata non c'era problema, ma se aveva già volato ed era ancora caldo la faccenda diventava complessa. Infatti non era infrequente

ARCHIVIO APOSTOLO

che proseguivano per tutti e due i pannelli laterali. Poi ci si accomodava nel seggiolino eiettabile, che poteva essere di due modelli, con procedure di attivazione leggermente diverse. Il seggiolino più vecchio era stretto al punto che un pilota del mio Gruppo, particolarmente corpulento, su quel seggiolino non poteva volare perché ci sarebbe rimasto incastrato. Il rullaggio veloce prevedeva la messa in moto e l'ingresso in pista con l'assistenza di un pilota esperto sull'ala. Una volta in testata pista l'istruttore scendeva e, dopo la chiusura del tettuccio, si accelerava il velivolo fino a raggiungere i 100 kts per poi interrompere immediatamente la corsa di decollo e rientrare al parcheggio. Una passeggiata, almeno in teoria, ma la realtà della mia prima volta fu ben diversa poiché ebbi l'impressione che il velivolo ondeggiasse eccessivamente e fosse poco governabile. Ci fu anche chi riuscì a lasciarci le penne, durante il rullaggio veloce. A Villafranca un giovane pilota con un RF andò in pallone, non ridusse il motore ai 100 kts, non chiamò la barriera e si schiantò in testata pista. Il mio primo volo invece fu decisamente tranquillo. Il velivolo era stabile, ben governabile, ti consentiva di mettere in pratica senza problemi quello che il tuo “chase” ti diceva di fare. Non ricordo di avere mai avuto problemi per la gestione della macchina, a parte la fatica fisica di muovere la cloche in esercitazioni acrobatiche di lunga durata. La cloche era dura e quei fetenti dei piloti anziani lo sapevano e ci marciavano, divertendosi a metterci in difficoltà con manovre accentuate continue. I voli di transizione non prevedevano decolli a pieno

I Thunderstreak della 51° Aerobrigata erano abituali “visitatori” del bellissimo paesaggio delle Dolomiti.

L’epoca dei “Thunder” era caratterizzata dalla competizione tra i reparti per mettere in volo il maggior numero di velivoli e dimostrare così l'e cienza operativa dell'unità.

La fumata caratteristica del decollo assistito con 4 razzi JATO (jet assisted take o), impiegati per sopperire alla limitazioni nei Ā decolli a pieno carico. Il sistema forniva una spinta supplementare di oltre 450 kg per razzo e, una volta accesi, questi non potevano essere più spenti per tutti i 14 secondi di funzionamento.

AEROFAN | MAR/APR 2019

11


Il tenente Vittorio Meneghini, pilota del 22° Gruppo CB della 51a Aerobrigata di Istrana posa giustamente orgoglioso di fianco al “suo” F-84. Apprezzabile il casco modello P-3 con maschera ossigeno MS-22001, il paracadute modello BA-13, il salvagente AER-1 e la tuta anti-g G-4A.

ARCHIVIO MENEGHINI

6

10

AEROFAN | MAR/APR 2019

7

8

9

ARCHIVIO MENEGHINI

che il carburante immesso all'apertura della manetta si incendiasse facendo surriscaldare il motore e costringendo ad interrompere la proceduta per evitare di superare i limiti previsti. Nelle campagne tiri a Decimomannu, quando i velivoli facevano turni di volo molto ravvicinati, le fiammate dietro le code si sprecavano e le partenze calde dei giovani erano causa di molti voli persi, con grandi incazzature dei “boss”. Altre carenze riguardavano la strumentazione. Per esempio l'orizzonte oltre un certo assetto verticale iniziava a precessionare e non era più attendibile. La cosa poteva sembrare poco rilevante, visto che assetti così accentuati erano previsti solo per manovre acrobatiche, che di certo non si facevano con l'aiuto dell'orizzonte, di notte o nelle nubi. Ma noi qualche volta completavamo nelle nubi l'imperiale dopo lo sgancio con la tecnica LABS per l'armamento nucleare, e l'orizzonte ci avrebbe fatto comodo per chiudere la manovra. Avevamo trovato un modo per risolvere il problema tenendo tirato il nottolino dell'orizzonte fino a 45° di cabrata, in modo da avere un'indicazione di assetto delle ali nella fase di rotazione dalla posizione rovescia dopo lo sgancio. Molti velivoli inoltre non erano ancora dotati di Tacan ma solo di ADF (Automatic Direction Finder). Non era un vero e proprio problema per noi, provenienti dalle scuole di volo dove di procedure ADF ne avevamo fatte a iosa, ma vuoi mettere la comodità di avere un punto certo al suolo rispetto alla sola direzione da una stazione radio? Non era un caso se i nostri cari piloti anziani lasciavano sempre a noi giovani il “privilegio” di volare sui velivoli senza Tacan, soprattutto se il tempo era molto infognato. Senza dubbio il Thunderstreak era un cacciabombardiere nato per essere tale, senza fronzoli e con accorgimenti derivati dall'esperienza bellica che certi velivoli entrati in linea negli anni successivi, ormai lontani da guerre guerreggiate, avevano perso. Era dotato di serbatoi autostagnanti e ampiamente parzializzati: se avessi preso un colpo di contraerea avresti potuto chiudere quel serbatoio e perdere solo il suo carburante e, magari, tornare a casa. L'F-104 non aveva questa capacità e, non a caso, non era nato per fare il cacciabombardiere. Inoltre i nostri Thunderstreak non avevano il calcolatore per il tiro aria/suolo, prevista su gran parte dei caccia americani. In compenso, paradossalmente, l'aeroplano aveva un calcolatore asservito ad un piccolo radar per il tiro aria/aria. Non ho mai avuto modo di sparare alla manica, ma ho usato spesso il collimatore in funzione aria/aria nelle fasi finali dei voli, quando si consumava il carburante residuo facendo fila indiana o combattimento. Bisognava abituarsi a quel “pipper” che andava su e giù senza senso apparente ma, una volta fatta la mano, si riusciva a metterlo sul velivolo target e simulare una raffica. A quanto dicevano gli anziani, quelli che avevano avuto la fortuna di fare le campagne di tiro aria/aria sfortunatamente annullate proprio quando sarebbe toccato farle anche a me, se riuscivi a mettere il pipper sulla manica i colpi dentro ci andavano alla grande. Anche nel tiro aria/suolo il Thunderstreak se la cavava bene. Quando si andava a Decimo e si volava con il velivolo pulito, e non in configurazione strike asimmetrica, le missioni erano una goduria. I tiri erano una parte essenziale dell'addestramento, ma prima di iniziare a sparare bisognava mettere insieme almeno 50 ore di volo fra navigazioni a bassissima quota, formazione e navigazioni in quota. La navigazione BBQ a 500 ft di quota era il modo fondamentale per raggiungere il bersaglio designato. La navigazione prevedeva tratti di lunghezza non superiore ai sette/otto minuti perché si dava per scontato che, se il velivolo fosse stato acquisito da qualche ente della difesa aerea avversaria, l'intercettazione non avrebbe potuto avvenire entro quel tempo. Cambiando continuamente rotta si aumentavano le possibilità di sopravvivenza, anche se si riduceva il raggio d'azione. La velocità di navigazione era di 330 kts, ma in prossimità del bersaglio veniva portata a 420 kts per l'attacco

ARCHIVIO APOSTOLO

carico, per cui le carenze del mezzo non si evidenziarono immediatamente. Non che da scarico il decollo del Thunderstreak fosse brillante, ma da quando cominciammo ad usare le taniche piene in estate, nella totale assenza di vento tipica della bassa padana, i decolli divennero una vera sofferenza. Si decollava in coppia con corse di decollo di 45” e passa, con i piedi sollevati dai freni per non rallentare la corsa (la direzione con l'F-84F si teneva esclusivamente con i freni, in quanto il ruotino era libero), rotazione sulle luci di fine pista e ratei di salita infinitesimali. Se il caldo era eccessivo, il decollo non veniva nemmeno fatto in coppia. Pur sottopotenziato, il Thunderstreak era un buon padre di famiglia, tuttavia aveva alcune carenze di non poco conto. La principale, soprattutto per noi abituati a “razzolare” a bassa quota, era data senza dubbio dal seggiolino eiettabile, che assicurava l'apertura del paracadute solamente dai 2.000 piedi di quota in su e con rateo a salire. Era quindi chiaro che una piantata motore a quelle quote sarebbe stata una questione risolvibile solo con decisioni immediate: avresti avuto giusto il tempo di sfruttare la velocità standard di navigazione di 330 kts per salire il più possibile e lanciarti. Tempo per verificare la situazione, nessuno! Una piantata motore in decollo equivaleva poi ad una condanna a morte e, purtroppo, l'F-84F nel corso della sua carriera ne ha eseguite parecchie. Un altro punto critico era la messa in moto, dal momento che se il velivolo era al primo volo della giornata non c'era problema, ma se aveva già volato ed era ancora caldo la faccenda diventava complessa. Infatti non era infrequente

ARCHIVIO APOSTOLO

che proseguivano per tutti e due i pannelli laterali. Poi ci si accomodava nel seggiolino eiettabile, che poteva essere di due modelli, con procedure di attivazione leggermente diverse. Il seggiolino più vecchio era stretto al punto che un pilota del mio Gruppo, particolarmente corpulento, su quel seggiolino non poteva volare perché ci sarebbe rimasto incastrato. Il rullaggio veloce prevedeva la messa in moto e l'ingresso in pista con l'assistenza di un pilota esperto sull'ala. Una volta in testata pista l'istruttore scendeva e, dopo la chiusura del tettuccio, si accelerava il velivolo fino a raggiungere i 100 kts per poi interrompere immediatamente la corsa di decollo e rientrare al parcheggio. Una passeggiata, almeno in teoria, ma la realtà della mia prima volta fu ben diversa poiché ebbi l'impressione che il velivolo ondeggiasse eccessivamente e fosse poco governabile. Ci fu anche chi riuscì a lasciarci le penne, durante il rullaggio veloce. A Villafranca un giovane pilota con un RF andò in pallone, non ridusse il motore ai 100 kts, non chiamò la barriera e si schiantò in testata pista. Il mio primo volo invece fu decisamente tranquillo. Il velivolo era stabile, ben governabile, ti consentiva di mettere in pratica senza problemi quello che il tuo “chase” ti diceva di fare. Non ricordo di avere mai avuto problemi per la gestione della macchina, a parte la fatica fisica di muovere la cloche in esercitazioni acrobatiche di lunga durata. La cloche era dura e quei fetenti dei piloti anziani lo sapevano e ci marciavano, divertendosi a metterci in difficoltà con manovre accentuate continue. I voli di transizione non prevedevano decolli a pieno

I Thunderstreak della 51° Aerobrigata erano abituali “visitatori” del bellissimo paesaggio delle Dolomiti.

L’epoca dei “Thunder” era caratterizzata dalla competizione tra i reparti per mettere in volo il maggior numero di velivoli e dimostrare così l'e cienza operativa dell'unità.

La fumata caratteristica del decollo assistito con 4 razzi JATO (jet assisted take o), impiegati per sopperire alla limitazioni nei Ā decolli a pieno carico. Il sistema forniva una spinta supplementare di oltre 450 kg per razzo e, una volta accesi, questi non potevano essere più spenti per tutti i 14 secondi di funzionamento.

AEROFAN | MAR/APR 2019

11


11

ARCHIVIO A.M.

10

Operazioni di riarmo delle mitragliatrici da 12,7 mm in linea volo del 102° Gruppo della 5° Aerobrigata di Rimini.

convenzionale e a 500 kts per quello nucleare. Per le missioni di attacco convenzionale la formazione era di quattro velivoli mentre per lo strike nucleare la missione era volata da un singolo velivolo. Le missioni addestrative prevedevano per lo più voli in coppia tranne che per i tiri dove si andava regolarmente in quattro. Per le attività di tiro aria/suolo si usava generalmente il poligono di Maniago, in alcuni casi però anche quello interno di Ghedi. In genere si manteneva una formazione tattica con separazione tra i velivoli di 300/400 ft fino in prossimità del poligono, che era poi raggiunto in formazione stretta per l'apertura e l'inizio dei passaggi a fuoco. I tiri convenzionali prevedevano il bombardamento alto angolo, quello a volo radente (detto skip), i razzi e il mitragliamento. L'alto angolo era forse il più difficile: si partiva da 11.000 ft e ci si buttava sul bersaglio con una manovra simile ad un rovesciamento. L'angolo di picchiata era di 60°, ma l'impressione era che fossero di più. Per il puntamento inoltre si faceva uso degli aerofreni estesi. Il pipper era molto depresso rispetto alla posizione centrale e ogni piccola variazione di assetto comportava un suo grande movimento al suolo. Il problema era di riuscire a portarlo sul bersaglio (o sul punto intorno al bersaglio calcolato per correggere il vento) alla quota di circa 4.200 ft con la velocità di circa 440 Kts. Riuscire a far coincidere tutti i parametri era un po' un terno al lotto, ma anche con qualche differenza si riusciva a mettere una bomba entro il limite previsto per la qualifica. Il tiro con i razzi veniva fatto con 45° di picchiata e senza aerofreni: mettere una salva di razzi entro i limiti di qualifica era facile ma bisognava prestare attenzione poiché si aveva la tendenza a sparare un po' più da vicino del previsto, con grandi tirate dopo lo sparo. Lo skip era facile e divertente: simulava lo sgancio del napalm. La quota prevista per lo sgancio era di una ventina di metri e questo già era parte del divertimento: tra l'altro chi poteva giudicare se volavi a venti metri o a meno? Poi il

Due Thunderstreak del 156° Gruppo del 36° Stormo. Una volta trasferiti in terra pugliese dalla base di Ghedi, il reparto perse la missione “strike” nucleare a favore del bombardamento convenzionale.

ARCHIVIO SERVADEI

DISEGNI DI PIETRO MAZZARDI

Republic F-84F Aeronautica Militare Italiana 154° Gruppo, 6a Aerobrigata aeroporto di Ghedi, 1960

12

AEROFAN | MAR/APR 2019

AEROFAN | MAR/APR 2019

13


11

ARCHIVIO A.M.

10

Operazioni di riarmo delle mitragliatrici da 12,7 mm in linea volo del 102° Gruppo della 5° Aerobrigata di Rimini.

convenzionale e a 500 kts per quello nucleare. Per le missioni di attacco convenzionale la formazione era di quattro velivoli mentre per lo strike nucleare la missione era volata da un singolo velivolo. Le missioni addestrative prevedevano per lo più voli in coppia tranne che per i tiri dove si andava regolarmente in quattro. Per le attività di tiro aria/suolo si usava generalmente il poligono di Maniago, in alcuni casi però anche quello interno di Ghedi. In genere si manteneva una formazione tattica con separazione tra i velivoli di 300/400 ft fino in prossimità del poligono, che era poi raggiunto in formazione stretta per l'apertura e l'inizio dei passaggi a fuoco. I tiri convenzionali prevedevano il bombardamento alto angolo, quello a volo radente (detto skip), i razzi e il mitragliamento. L'alto angolo era forse il più difficile: si partiva da 11.000 ft e ci si buttava sul bersaglio con una manovra simile ad un rovesciamento. L'angolo di picchiata era di 60°, ma l'impressione era che fossero di più. Per il puntamento inoltre si faceva uso degli aerofreni estesi. Il pipper era molto depresso rispetto alla posizione centrale e ogni piccola variazione di assetto comportava un suo grande movimento al suolo. Il problema era di riuscire a portarlo sul bersaglio (o sul punto intorno al bersaglio calcolato per correggere il vento) alla quota di circa 4.200 ft con la velocità di circa 440 Kts. Riuscire a far coincidere tutti i parametri era un po' un terno al lotto, ma anche con qualche differenza si riusciva a mettere una bomba entro il limite previsto per la qualifica. Il tiro con i razzi veniva fatto con 45° di picchiata e senza aerofreni: mettere una salva di razzi entro i limiti di qualifica era facile ma bisognava prestare attenzione poiché si aveva la tendenza a sparare un po' più da vicino del previsto, con grandi tirate dopo lo sparo. Lo skip era facile e divertente: simulava lo sgancio del napalm. La quota prevista per lo sgancio era di una ventina di metri e questo già era parte del divertimento: tra l'altro chi poteva giudicare se volavi a venti metri o a meno? Poi il

Due Thunderstreak del 156° Gruppo del 36° Stormo. Una volta trasferiti in terra pugliese dalla base di Ghedi, il reparto perse la missione “strike” nucleare a favore del bombardamento convenzionale.

ARCHIVIO SERVADEI

DISEGNI DI PIETRO MAZZARDI

Republic F-84F Aeronautica Militare Italiana 154° Gruppo, 6a Aerobrigata aeroporto di Ghedi, 1960

12

AEROFAN | MAR/APR 2019

AEROFAN | MAR/APR 2019

13


tra essi era un poco più distanziata perché i tempi fra un tiro e l'altro erano molto più prolungati a causa del tempo impiegato dalla bomba a completare la traiettoria balistica LABS. Per l'addestramento a questa missione utilizzavano il poligono di Maniago 2, delimitato all'interno di una grande area di norma in secca alla confluenza dei due fiumi Cellina e Meduna. Essendo gestito dall'Esercito Italiano, veniva concesso con orari limitati, molto spesso condizionanti il programma di volo giornaliero. La principale caratteristica dell'impiego del Thunderstreak con l'Aeronautica Militare è stata proprio quella di aver fornito, per molti anni, la capacità di attacco nucleare al nostro Paese. In realtà la gestione e il controllo delle bombe erano appannaggio degli Stati Uniti e a tal riguardo era stato predisposto un

deposito esterno alla base erano di dominio pubblico poiché l'informazione sul blocco del traffico stradale veniva data in anticipo alla popolazione!!! Gli aerei allestiti per la missione non volavano mai, anzi, normalmente si impiegavano aerei con poche ore di volo prima della revisione ben sapendo che quasi sicuramente in caso di decollo reale la missione sarebbe stata “one way”… Le attività e i movimenti all'interno della QRA erano sempre improntati alla massima sicurezza; intorno all'aereo bisognava essere sempre in tre, il pilota, lo specialista e la guardia americana. Sul pavimento era dipinta una striscia gialla che delimitava la deadline della “no lone man zone” dove non si poteva entrare da soli altrimenti l'M.P. americano era

Con l'assunzione del ruolo strike, che prevedeva che l'attacco nucleare venisse condotto senza limiti di orario e meteo, le ore di addestramento al volo notturno e strumentale vennero aumentate considerevolmente. Solo con il successivo trasferimento a Gioia del Colle e il cambio del ruolo da nucleare a convenzionale l'esigenza notturna si ridusse, sostituita da quella per l'attacco a bersagli navali, un'attività molto impegnativa per la quale tuttavia l'F-84F non era dotato di alcun armamento specifico. Credo di essere uno dei pochi piloti ad avere volato sull'F-84F successivamente alla transizione sull'F-104G: mi è quasi dispiaciuto perché il confronto traumatizzante fra le due macchine ha in parte rovinato la mia considerazione per il

tiro aria/aria alla manica, ma ormai erano passate alla storia. Il mitragliamento aria/suolo invece si faceva usando solo due delle sei mitragliatrici calibro 12,7 mm di cui disponeva l'F-84F. Venivano caricati 200 colpi, che si dovevano sparare in sei passaggi. La qualifica minima era pari al 25% dei colpi a segno, 50 colpi in tutto, e non era affatto facile conseguirla, specie con il velivolo in configurazione asimmetrica. A Decimo era molto più facile, sempre che il vento fosse clemente, perché il mitragliamento era molto influenzato dal vento e azzeccare la correzione non era facile. Una sessione di tiri a Decimo cominciava in genere con lo skip, poi proseguiva con l'alto angolo, i razzi e finiva sempre con il mitragliamento. In totale si tiravano un sacco di “g” compendiati spesso da altri a fine missione. Le missioni addestrative di “strike nucleare” non differivano molto da quelle convenzionali nel loro assetto generale. Si andava sempre in formazione di quattro velivoli ma l'apertura

apposito distaccamento a Ghedi. La sicurezza era massima e l'area del Quick Reation Alert, dove piloti e specialisti erano letteralmente confinati in “clausura”, era costituita da un paio di palazzine per il personale e da quattro strutture aperte in cemento armato a protezione dei velivoli, posizionati a ridosso della pista e protetti da un doppio recinto di reticolato guardato a vista da VAM, Carabinieri e M.P. americani. Sotto queste strutture erano ricoverati quattro F-84F armati con la bomba Mk.7 agganciata ad uno specifico travetto interno sotto l'ala sinistra. Al pilone sotto l'ala destra era montato un serbatoio da 1.700 litri mentre ai due piloni esterni delle semiali due serbatoi da 850 litri. Per permettere il decollo in sicurezza del velivolo così carico, sotto la fusoliera era fissata inoltre una batteria di quattro razzi JATO (Jet Assisted Take Off) da 450 kg di spinta ciascuno. Le bombe venivano sostituite ogni 10-15 giorni, teoricamente nella massima segretezza, ma in realtà le informazioni sul convoglio “segreto” che le trasportava dal

autorizzato a sparare. Per accedere all'area del QRA si doveva sottostare a speciali procedure di identificazione mostrando alle guardie, oltre a tesserino e foglio d'ordini, anche una propria foto che doveva essere confrontata con quella a disposizione dei sorveglianti. Periodicamente il pilota doveva recarsi presso il velivolo per effettuare una serie di controlli e tarature della bomba. Sul lato sinistro, in corrispondenza di due barre bianche, c'era uno sportello che si apriva a cerniera verso l'alto con un connettore multipolo al quale il tecnico americano collegava una valigetta con uno strumento che eseguiva un test del corretto funzionamento della parte elettronica della bomba e la predisponeva per l'attivazione. Quando eseguiva questa operazione si nascondeva dietro una apposita paratia. Dopo questa prima verifica, il pilota apriva il musone del velivolo ed inseriva nel computer i parametri che servivano a determinare i gradi di assetto ai quali la bomba sarebbe stata sganciata automaticamente.

vecchio “F”. Già il decollo era un'avventura, con 45 secondi di rullaggio contro i 20 ed anche meno dell'F-104. Poi la mancanza di potenza per scavalcare qualsiasi “montarozzo”: ogni volta si arrivava in cima al limite di stallo e se ci fosse stata l'esigenza di entrare nelle nubi per guadagnare la quota di sicurezza in caso di brutto tempo sarebbe stato un vero incubo. Con il 104 bastava dare un po' di A/B e in un attimo eri in paradiso. E poi lo Starfighter aveva già il Martin-Baker “zero/zero”, strumenti di navigazione moderni, radar e chi più ne ha più ne metta. I piloti che facevano la transizione sull'F-104 mettevano orgogliosamente il distintivo sulle proprie tute di volo. Dopo avere cominciato a volare con l'F-104 ed aver constatato che era un velivolo per “signorinette” rispetto all'F-84F, sulla mia tuta ho messo un bel distintivo del caccia Republic, regalatomi da un pilota greco. Aver volato per più di 1.000 ore sull'F-84F, quello sì che era qualcosa di cui andare orgogliosi!

ARCHIVIO U.S.A.F.

bersaglio non era un cerchio come per i primi due tiri descritti, ma un tabellone basso e lungo una decina di metri. Davanti al tabellone era tracciato un giardinetto entro il quale doveva cadere la bomba. Il tiro era considerato buono se cadeva poco prima del tabellone o, al limite, se attraversava il tabellone. La qualifica nello skip era elementare: bastava mettere dentro una bomba su due. Se anche sbagliavi la prima bomba tirandola lunga o corta, la seconda la andavi a mettere direttamente nel tabellone volando alla sua quota. Nello skip i problemi a qualificarsi li avevano solo i piloti allergici al volo basso. Infine c'era il mitragliamento, di gran lunga il più divertente seppur impegnativo. Sul suo risultato ci si giocava la propria reputazione di tiratori. Di certo le scommesse c'erano state nel

16

AEROFAN | MAR/APR 2019

AEROFAN | MAR/APR 2019

17


tra essi era un poco più distanziata perché i tempi fra un tiro e l'altro erano molto più prolungati a causa del tempo impiegato dalla bomba a completare la traiettoria balistica LABS. Per l'addestramento a questa missione utilizzavano il poligono di Maniago 2, delimitato all'interno di una grande area di norma in secca alla confluenza dei due fiumi Cellina e Meduna. Essendo gestito dall'Esercito Italiano, veniva concesso con orari limitati, molto spesso condizionanti il programma di volo giornaliero. La principale caratteristica dell'impiego del Thunderstreak con l'Aeronautica Militare è stata proprio quella di aver fornito, per molti anni, la capacità di attacco nucleare al nostro Paese. In realtà la gestione e il controllo delle bombe erano appannaggio degli Stati Uniti e a tal riguardo era stato predisposto un

deposito esterno alla base erano di dominio pubblico poiché l'informazione sul blocco del traffico stradale veniva data in anticipo alla popolazione!!! Gli aerei allestiti per la missione non volavano mai, anzi, normalmente si impiegavano aerei con poche ore di volo prima della revisione ben sapendo che quasi sicuramente in caso di decollo reale la missione sarebbe stata “one way”… Le attività e i movimenti all'interno della QRA erano sempre improntati alla massima sicurezza; intorno all'aereo bisognava essere sempre in tre, il pilota, lo specialista e la guardia americana. Sul pavimento era dipinta una striscia gialla che delimitava la deadline della “no lone man zone” dove non si poteva entrare da soli altrimenti l'M.P. americano era

Con l'assunzione del ruolo strike, che prevedeva che l'attacco nucleare venisse condotto senza limiti di orario e meteo, le ore di addestramento al volo notturno e strumentale vennero aumentate considerevolmente. Solo con il successivo trasferimento a Gioia del Colle e il cambio del ruolo da nucleare a convenzionale l'esigenza notturna si ridusse, sostituita da quella per l'attacco a bersagli navali, un'attività molto impegnativa per la quale tuttavia l'F-84F non era dotato di alcun armamento specifico. Credo di essere uno dei pochi piloti ad avere volato sull'F-84F successivamente alla transizione sull'F-104G: mi è quasi dispiaciuto perché il confronto traumatizzante fra le due macchine ha in parte rovinato la mia considerazione per il

tiro aria/aria alla manica, ma ormai erano passate alla storia. Il mitragliamento aria/suolo invece si faceva usando solo due delle sei mitragliatrici calibro 12,7 mm di cui disponeva l'F-84F. Venivano caricati 200 colpi, che si dovevano sparare in sei passaggi. La qualifica minima era pari al 25% dei colpi a segno, 50 colpi in tutto, e non era affatto facile conseguirla, specie con il velivolo in configurazione asimmetrica. A Decimo era molto più facile, sempre che il vento fosse clemente, perché il mitragliamento era molto influenzato dal vento e azzeccare la correzione non era facile. Una sessione di tiri a Decimo cominciava in genere con lo skip, poi proseguiva con l'alto angolo, i razzi e finiva sempre con il mitragliamento. In totale si tiravano un sacco di “g” compendiati spesso da altri a fine missione. Le missioni addestrative di “strike nucleare” non differivano molto da quelle convenzionali nel loro assetto generale. Si andava sempre in formazione di quattro velivoli ma l'apertura

apposito distaccamento a Ghedi. La sicurezza era massima e l'area del Quick Reation Alert, dove piloti e specialisti erano letteralmente confinati in “clausura”, era costituita da un paio di palazzine per il personale e da quattro strutture aperte in cemento armato a protezione dei velivoli, posizionati a ridosso della pista e protetti da un doppio recinto di reticolato guardato a vista da VAM, Carabinieri e M.P. americani. Sotto queste strutture erano ricoverati quattro F-84F armati con la bomba Mk.7 agganciata ad uno specifico travetto interno sotto l'ala sinistra. Al pilone sotto l'ala destra era montato un serbatoio da 1.700 litri mentre ai due piloni esterni delle semiali due serbatoi da 850 litri. Per permettere il decollo in sicurezza del velivolo così carico, sotto la fusoliera era fissata inoltre una batteria di quattro razzi JATO (Jet Assisted Take Off) da 450 kg di spinta ciascuno. Le bombe venivano sostituite ogni 10-15 giorni, teoricamente nella massima segretezza, ma in realtà le informazioni sul convoglio “segreto” che le trasportava dal

autorizzato a sparare. Per accedere all'area del QRA si doveva sottostare a speciali procedure di identificazione mostrando alle guardie, oltre a tesserino e foglio d'ordini, anche una propria foto che doveva essere confrontata con quella a disposizione dei sorveglianti. Periodicamente il pilota doveva recarsi presso il velivolo per effettuare una serie di controlli e tarature della bomba. Sul lato sinistro, in corrispondenza di due barre bianche, c'era uno sportello che si apriva a cerniera verso l'alto con un connettore multipolo al quale il tecnico americano collegava una valigetta con uno strumento che eseguiva un test del corretto funzionamento della parte elettronica della bomba e la predisponeva per l'attivazione. Quando eseguiva questa operazione si nascondeva dietro una apposita paratia. Dopo questa prima verifica, il pilota apriva il musone del velivolo ed inseriva nel computer i parametri che servivano a determinare i gradi di assetto ai quali la bomba sarebbe stata sganciata automaticamente.

vecchio “F”. Già il decollo era un'avventura, con 45 secondi di rullaggio contro i 20 ed anche meno dell'F-104. Poi la mancanza di potenza per scavalcare qualsiasi “montarozzo”: ogni volta si arrivava in cima al limite di stallo e se ci fosse stata l'esigenza di entrare nelle nubi per guadagnare la quota di sicurezza in caso di brutto tempo sarebbe stato un vero incubo. Con il 104 bastava dare un po' di A/B e in un attimo eri in paradiso. E poi lo Starfighter aveva già il Martin-Baker “zero/zero”, strumenti di navigazione moderni, radar e chi più ne ha più ne metta. I piloti che facevano la transizione sull'F-104 mettevano orgogliosamente il distintivo sulle proprie tute di volo. Dopo avere cominciato a volare con l'F-104 ed aver constatato che era un velivolo per “signorinette” rispetto all'F-84F, sulla mia tuta ho messo un bel distintivo del caccia Republic, regalatomi da un pilota greco. Aver volato per più di 1.000 ore sull'F-84F, quello sì che era qualcosa di cui andare orgogliosi!

ARCHIVIO U.S.A.F.

bersaglio non era un cerchio come per i primi due tiri descritti, ma un tabellone basso e lungo una decina di metri. Davanti al tabellone era tracciato un giardinetto entro il quale doveva cadere la bomba. Il tiro era considerato buono se cadeva poco prima del tabellone o, al limite, se attraversava il tabellone. La qualifica nello skip era elementare: bastava mettere dentro una bomba su due. Se anche sbagliavi la prima bomba tirandola lunga o corta, la seconda la andavi a mettere direttamente nel tabellone volando alla sua quota. Nello skip i problemi a qualificarsi li avevano solo i piloti allergici al volo basso. Infine c'era il mitragliamento, di gran lunga il più divertente seppur impegnativo. Sul suo risultato ci si giocava la propria reputazione di tiratori. Di certo le scommesse c'erano state nel

16

AEROFAN | MAR/APR 2019

AEROFAN | MAR/APR 2019

17


Luciano Pontolillo

D

urante la guerra d e l l o Y o m Kippur , nel 1973, gli israeliani persero 109 aeroplani in 18 giorni, tutti abbattuti dall’artiglieria contraerea e dai missili terra/aria. Questo nonostante gli aerei con la stella di Davide fossero quanto di più avanzato esistente all’epoca e i piloti altamente addestrati.

18

ARCHIVIO LOCKHEED ARCHIVIO GOODALL

Quando gli aerei diventarono invisibili

ARCHIVIO LOCKHEED

have blue

Gli analisti rapportarono questo risultato ad un eventuale scontro NATO/Patto di Varsavia e stimarono che le Forze Aeree occidentali sarebbero state decimate nel giro di un paio di settimane. L'Unione Sovietica nel corso degli Anni '50 e '60 aveva sviluppato un sistema di difesa aerea integrato basato su radar di sorveglianza a medio e lungo raggio in grado di portare a termine intercettazioni guidate trasmettendo le informazioni a centinaia di caccia intercettori in stato di allarme permanente. Un’ulteriore cintura di sicurezza, formata da missili e artiglieria antiaerea, era stata posta a difesa degli obiettivi chiave. Era evidente la necessità, per la NATO, di rivedere completamente le strategie di attacco. Nel 1974 la DARPA (Defence Advanced Research Projects Agency) interpellò Northrop, Mc Donnell Douglas, General Dynamics, Fairchild e Grumman chiedendo loro i requisiti necessari ad un caccia per non essere rilevabile dai radar a distanza operativa utile e la capacità delle suddette ditte di realizzare un simile aeroplano. La Lockheed non fu inizialmente interpellata perché non aveva prodotto un caccia da quasi dieci anni e inoltre in quel periodo era alle prese con gli effetti dello scandalo di corruzione conseguente all'ammissione, da parte di suoi dirigenti, di aver pagato tangenti milionarie per oltre un decennio corrompendo cariche pubbliche e uomini politici in Olanda, Germania Ovest, Italia e Giappone per assicurarsi alcuni contratti relativi soprattutto a F-104 e C-130. Fairchild e Grumman declinarono subito l'invito mentre General Dynamics sottolineò la necessità di più avanzate contromisure elettroniche come probabile soluzione al problema. Mc Donnell Douglas e Northrop invece risposero alla richiesta in maniera più concreta dimostrando la capacità potenziale di affrontare il problema e, alla fine dell'anno, a entrambe le compagnie venne assegnato un contratto del valore di circa 100.000 dollari per approfondire gli studi. Fu coinvolta la Hughes Aircraft Company con il compito di identificare e verificare la soglia RCS (Radar Cross Section) che avrebbe potuto produrre dei vantaggi operativi. Questi valori, stabiliti dalla Mc Donnell Douglas e confermati dalla Hughes nella primavera del 1975, furono indicati dalla DARPA come obiettivo del programma. Il 17 gennaio 1975 Ben Rich, pupillo di Kelly Johnson, divenne direttore dei leggendari “Skunk Works” della Lockheed, la divisione progetti avanzati. Il suo compito era quello di risollevare le sorti della ditta che, oltre agli scandali, doveva fare i conti con la stagnazione del progetto L-1011 Tristar e con il fatto che, nonostante il prestito di 250 milioni di dollari concesso dal Congresso americano per il suo salvataggio, le perdite della compagnia alla fine del 1974 ammontavano ormai a 2 miliardi di dollari. Saputo del programma DARPA, Kelly Johnson ottenne dalla CIA l'autorizzazione a divulgare i risultati sulla bassa osservabilità ottenuti con il Lockheed A-12, chiedendo di entrare nel concorso. Nonostante fossero già stati assegnati i fondi destinati al programma, Rich convinse la DARPA a coinvolgere la Lockheed senza un contratto governativo, riuscendo infine ad avere accesso ai rapporti tecnici già forniti dagli altri partecipanti. All'interno degli Skunk Works nessuno pareva in grado di fornire elementi importanti per il programma finché non entrò in scena Denys Overholser il quale, quando gli domandarono che forma avrebbe dovuto avere una cosa per essere invisibile ai radar, rispose: “Beh, è semplice: metti insieme delle superfici piatte e poi inclina quelle superfici in modo che l'energia venga riflessa lontano dal radar, limitando la potenza dell'eco di ritorno”. Overholser era arrivato in Lockheed nel 1964 e così ricordava il suo primo impatto con il nuovo impiego: “Quando lasciai la Boeing nel 1964 da giovane ingegnere, ero considerato parte del 20% dei loro migliori ingegneri. Quando giunsi agli Skunk Works mi giudicai tra l'un percento dei loro peggiori. Pensai che se quella gente avesse scoperto ciò che non sapevo, mi avrebbe licenziato…”. Il capo di Overholser, il brillante

1

2

3

Il leggendario Clarence “Kelly” Johnson entrò alla Lockheed il 21 agosto 1933 come progettista di attrezzi. Fondatore degli Skunk Works firmò progetti come XP-80, F-104, U-2 (nella foto), A-12, YF-12 e SR-71. Decisamente scettico nei confronti di Have Blue, ammise in seguito la bontà del progetto.

Una fotografia satellitare della segretissima “Area 51” scattata da un satellite spia sovietico nel settembre 1968. Qui vennero eseguiti tutti i collaudi in volo del programma Have Blue.

Bill Park, capo collaudatore Lockheed negli Anni ‘70 e protagonista dei primi collaudi dell’Have Blue. Nel 1964 e nel 1966 ebbe due incidenti di volo a bordo del Lockheed A-12 (nella foto), senza conseguenze. La sua carriera di pilota collaudatore terminò bruscamente a causa dell’incidente occorso con il primo prototipo Have Blue il 4 maggio 1978.


Luciano Pontolillo

D

urante la guerra d e l l o Y o m Kippur , nel 1973, gli israeliani persero 109 aeroplani in 18 giorni, tutti abbattuti dall’artiglieria contraerea e dai missili terra/aria. Questo nonostante gli aerei con la stella di Davide fossero quanto di più avanzato esistente all’epoca e i piloti altamente addestrati.

18

ARCHIVIO LOCKHEED ARCHIVIO GOODALL

Quando gli aerei diventarono invisibili

ARCHIVIO LOCKHEED

have blue

Gli analisti rapportarono questo risultato ad un eventuale scontro NATO/Patto di Varsavia e stimarono che le Forze Aeree occidentali sarebbero state decimate nel giro di un paio di settimane. L'Unione Sovietica nel corso degli Anni '50 e '60 aveva sviluppato un sistema di difesa aerea integrato basato su radar di sorveglianza a medio e lungo raggio in grado di portare a termine intercettazioni guidate trasmettendo le informazioni a centinaia di caccia intercettori in stato di allarme permanente. Un’ulteriore cintura di sicurezza, formata da missili e artiglieria antiaerea, era stata posta a difesa degli obiettivi chiave. Era evidente la necessità, per la NATO, di rivedere completamente le strategie di attacco. Nel 1974 la DARPA (Defence Advanced Research Projects Agency) interpellò Northrop, Mc Donnell Douglas, General Dynamics, Fairchild e Grumman chiedendo loro i requisiti necessari ad un caccia per non essere rilevabile dai radar a distanza operativa utile e la capacità delle suddette ditte di realizzare un simile aeroplano. La Lockheed non fu inizialmente interpellata perché non aveva prodotto un caccia da quasi dieci anni e inoltre in quel periodo era alle prese con gli effetti dello scandalo di corruzione conseguente all'ammissione, da parte di suoi dirigenti, di aver pagato tangenti milionarie per oltre un decennio corrompendo cariche pubbliche e uomini politici in Olanda, Germania Ovest, Italia e Giappone per assicurarsi alcuni contratti relativi soprattutto a F-104 e C-130. Fairchild e Grumman declinarono subito l'invito mentre General Dynamics sottolineò la necessità di più avanzate contromisure elettroniche come probabile soluzione al problema. Mc Donnell Douglas e Northrop invece risposero alla richiesta in maniera più concreta dimostrando la capacità potenziale di affrontare il problema e, alla fine dell'anno, a entrambe le compagnie venne assegnato un contratto del valore di circa 100.000 dollari per approfondire gli studi. Fu coinvolta la Hughes Aircraft Company con il compito di identificare e verificare la soglia RCS (Radar Cross Section) che avrebbe potuto produrre dei vantaggi operativi. Questi valori, stabiliti dalla Mc Donnell Douglas e confermati dalla Hughes nella primavera del 1975, furono indicati dalla DARPA come obiettivo del programma. Il 17 gennaio 1975 Ben Rich, pupillo di Kelly Johnson, divenne direttore dei leggendari “Skunk Works” della Lockheed, la divisione progetti avanzati. Il suo compito era quello di risollevare le sorti della ditta che, oltre agli scandali, doveva fare i conti con la stagnazione del progetto L-1011 Tristar e con il fatto che, nonostante il prestito di 250 milioni di dollari concesso dal Congresso americano per il suo salvataggio, le perdite della compagnia alla fine del 1974 ammontavano ormai a 2 miliardi di dollari. Saputo del programma DARPA, Kelly Johnson ottenne dalla CIA l'autorizzazione a divulgare i risultati sulla bassa osservabilità ottenuti con il Lockheed A-12, chiedendo di entrare nel concorso. Nonostante fossero già stati assegnati i fondi destinati al programma, Rich convinse la DARPA a coinvolgere la Lockheed senza un contratto governativo, riuscendo infine ad avere accesso ai rapporti tecnici già forniti dagli altri partecipanti. All'interno degli Skunk Works nessuno pareva in grado di fornire elementi importanti per il programma finché non entrò in scena Denys Overholser il quale, quando gli domandarono che forma avrebbe dovuto avere una cosa per essere invisibile ai radar, rispose: “Beh, è semplice: metti insieme delle superfici piatte e poi inclina quelle superfici in modo che l'energia venga riflessa lontano dal radar, limitando la potenza dell'eco di ritorno”. Overholser era arrivato in Lockheed nel 1964 e così ricordava il suo primo impatto con il nuovo impiego: “Quando lasciai la Boeing nel 1964 da giovane ingegnere, ero considerato parte del 20% dei loro migliori ingegneri. Quando giunsi agli Skunk Works mi giudicai tra l'un percento dei loro peggiori. Pensai che se quella gente avesse scoperto ciò che non sapevo, mi avrebbe licenziato…”. Il capo di Overholser, il brillante

1

2

3

Il leggendario Clarence “Kelly” Johnson entrò alla Lockheed il 21 agosto 1933 come progettista di attrezzi. Fondatore degli Skunk Works firmò progetti come XP-80, F-104, U-2 (nella foto), A-12, YF-12 e SR-71. Decisamente scettico nei confronti di Have Blue, ammise in seguito la bontà del progetto.

Una fotografia satellitare della segretissima “Area 51” scattata da un satellite spia sovietico nel settembre 1968. Qui vennero eseguiti tutti i collaudi in volo del programma Have Blue.

Bill Park, capo collaudatore Lockheed negli Anni ‘70 e protagonista dei primi collaudi dell’Have Blue. Nel 1964 e nel 1966 ebbe due incidenti di volo a bordo del Lockheed A-12 (nella foto), senza conseguenze. La sua carriera di pilota collaudatore terminò bruscamente a causa dell’incidente occorso con il primo prototipo Have Blue il 4 maggio 1978.


Due rare immagini in volo del secondo prototipo Have Blue, 13-14utilizzato per le prove RCS. Il rivestimento RAM (Radar Absorbent

Material) era realizzato con fogli di linoleum e tutte le giunzioni venivano sigillate con un’apposita vernice prima di ogni volo.

11-12

Il secondo prototipo dell’Have Blue, fotografato all’interno del Building 82 degli Skunk Works, lo stabilimento dove videro la luce aeroplani leggendari della Lockheed come F-104, U-2 e A-12. I due Have Blue erano monoposto subsonici spinti ognuno da due motori General Electric J85-GE-4A da 1.340 Kg/s senza post-bruciatore. I prototipi erano lunghi 14,31 metri, alti 2,28 e con un'apertura alare di 6,81. La pianta alare a delta modificato, con una freccia di 72,5 gradi, aveva una superficie di 35,86 mq.

ARCHIVIO LOCKHEED

consisteva in tre differenti colori applicati con lo scopo di confondere l'effettiva architettura dell’aeroplano ad un osservatore occasionale. Il prototipo, smontato e caricato su un C-5 Galaxy, raggiunse la sua destinazione finale per le prove in volo in un luogo lontano da occhi indiscreti: la misteriosa “Area 51” nel deserto del Nevada. Qui, il 1 dicembre, Bill Park portò per la prima volta in volo l'Have Blue; i voli iniziali si svolsero tutti con Park ai comandi del velivolo, accompagnato da Dyson in volo su un T-38, fino a quando il 17 gennaio 1978 anche il pilota dell'Air Force iniziò l'attività di collaudo. Il 4 maggio Park e Dyson avevano accumulato rispettivamente 24 e 12 voli sull'Have Blue e il velivolo aveva raggiunto tutti gli obiettivi programmati delle prove in volo. Quella mattina Park doveva condurre un volo di comparazione visiva per valutare l'efficacia della mimetizzazione volando in formazione con un T-38 bianco. Dyson, che si trovava a bordo del T-38, così ricordò la tragica conclusione di quel volo: “Il volo prova era stato appena completato e Bill si stava avvicinando per l'atterraggio. L'Have Blue era leggermente dietro il T-38 e stava facendo un bell'avvicinamento stabile. Poco prima del contatto l'aereo

non prima di aver analizzato i dati dell'incidente occorso al primo Have Blue che portarono a diverse modifiche sul platypus e sul software dei comandi di volo. Praticamente tutti i voli del secondo prototipo furono dedicati alle misurazioni dell'RCS, che furono completate entro il 29 giugno 1979. Quel giorno, poco dopo il decollo, Dyson notò il funzionamento anomalo di uno dei sistemi idraulici e decise di abortire la missione in corso e tornare a terra. Il 10 luglio il prototipo era nuovamente in volo; la missione prevedeva uno scontro simulato con un F-15 Eagle per valutare come si sarebbe comportato l'intercettore americano nei confronti dell'aereo “invisibile”, ma improvvisamente il sistema idraulico principale del prototipo andò in tilt, seguito poco dopo da quello di riserva. “Proprio quando il secondo sistema idraulico andava a zero, il velivolo picchiò violentemente, qualcosa come 7 g negativi”, ricorda Dyson, “poi cabrò, con dei ratei impressionanti, come può fare solo un velivolo instabile. Cercai di raggiungere la maniglia di eiezione, e la tirai”.

ARCHIVIO LOCKHEED

ARCHIVIO LOCKHEED

Il primo prototipo completato dell’Have Blue, designato HB1001, con la colorazione mimetica studiata per confondere eventuali osservatori sulla reale geometria del velivolo. Il grado di segretezza del progetto era tale che l'USAFnon assegnò mai una matricola ai prototipi Have Blue; le designazioni HB1001 e HB1002 vennero date dalla Lockheed.

ARCHIVIO LOCKHEED

10

cabrò violentemente (a causa dell'improvviso abbassarsi del platypus – n.d.r.). Sembrò sbattere davvero duro al suolo e poi, mentre Bill riattaccava, lo sentii dire che era necessario fare un altro giro. Retratto il carrello, quando Bill tentò di estrarlo nuovamente uscirono solo il ruotino anteriore e una gamba del carrello principale”. L'urto sulla pista aveva disassato il carrello principale destro e i successivi tentativi di Park di estrarre il carrello toccando duro sulla pista non ebbero successo. Al pilota fu suggerito di prendere quota per lanciarsi in sicurezza ma nel frattempo i motori cominciarono a spegnersi per mancanza di carburante. Il lancio provocò a Park una commozione cerebrale che gli precluse per sempre il volo su velivoli sperimentali. Nel frattempo venne approntato il secondo prototipo, che andò in volo per la prima volta il 20 luglio 1978 pilotato da Dyson,

ARCHIVIO LOCKHEED

M e n t re D y s o n s c e n d eva d o n d o l a n d o a p p e s o a l paracadute, l'Have Blue impattò il terreno esplodendo in un'enorme palla di fuoco. Il pilota dell'F-15, colonnello Norm Suits, scorse due fuoristrada che si dirigevano verso il luogo dell'incidente e, nonostante le intenzioni degli occupanti fossero sicuramente di prestare soccorso agli eventuali superstiti dello schianto, la segretezza del progetto non poteva essere compromessa. Agendo di sua iniziativa, Suits effettuò una serie di passaggi bassi in prossimità dei veicoli cercando di scoraggiarli ad avvicinarsi al relitto e dovette essere estremamente convincente, dato che riuscì nel suo intento! Il programma Have Blue era ormai a due o tre voli dalla fine, così venne dichiarato ufficialmente completato nel dicembre 1979. Tutti gli obiettivi dei collaudi furono raggiunti e il programma poté essere definito un successo sbalorditivo. Ora non restava che stabilire quanti dei contenuti tecnologici del programma avrebbero potuto essere utilizzati con profitto in un velivolo operativo; questo compito sarebbe spettato, non molto tempo dopo, al secondo aeroplano “invisibile” della storia: il Lockheed F-117.

22

AEROFAN | MAR/APR 2019

15

F-117 Nighthawk. Il caccia Lockheed dimostrò operativamente la validità delle teorie che avevano portato allo sviluppo dell’Have Blue.

AEROFAN | MAR/APR 2019

23


Due rare immagini in volo del secondo prototipo Have Blue, 13-14utilizzato per le prove RCS. Il rivestimento RAM (Radar Absorbent

Material) era realizzato con fogli di linoleum e tutte le giunzioni venivano sigillate con un’apposita vernice prima di ogni volo.

11-12

Il secondo prototipo dell’Have Blue, fotografato all’interno del Building 82 degli Skunk Works, lo stabilimento dove videro la luce aeroplani leggendari della Lockheed come F-104, U-2 e A-12. I due Have Blue erano monoposto subsonici spinti ognuno da due motori General Electric J85-GE-4A da 1.340 Kg/s senza post-bruciatore. I prototipi erano lunghi 14,31 metri, alti 2,28 e con un'apertura alare di 6,81. La pianta alare a delta modificato, con una freccia di 72,5 gradi, aveva una superficie di 35,86 mq.

ARCHIVIO LOCKHEED

consisteva in tre differenti colori applicati con lo scopo di confondere l'effettiva architettura dell’aeroplano ad un osservatore occasionale. Il prototipo, smontato e caricato su un C-5 Galaxy, raggiunse la sua destinazione finale per le prove in volo in un luogo lontano da occhi indiscreti: la misteriosa “Area 51” nel deserto del Nevada. Qui, il 1 dicembre, Bill Park portò per la prima volta in volo l'Have Blue; i voli iniziali si svolsero tutti con Park ai comandi del velivolo, accompagnato da Dyson in volo su un T-38, fino a quando il 17 gennaio 1978 anche il pilota dell'Air Force iniziò l'attività di collaudo. Il 4 maggio Park e Dyson avevano accumulato rispettivamente 24 e 12 voli sull'Have Blue e il velivolo aveva raggiunto tutti gli obiettivi programmati delle prove in volo. Quella mattina Park doveva condurre un volo di comparazione visiva per valutare l'efficacia della mimetizzazione volando in formazione con un T-38 bianco. Dyson, che si trovava a bordo del T-38, così ricordò la tragica conclusione di quel volo: “Il volo prova era stato appena completato e Bill si stava avvicinando per l'atterraggio. L'Have Blue era leggermente dietro il T-38 e stava facendo un bell'avvicinamento stabile. Poco prima del contatto l'aereo

non prima di aver analizzato i dati dell'incidente occorso al primo Have Blue che portarono a diverse modifiche sul platypus e sul software dei comandi di volo. Praticamente tutti i voli del secondo prototipo furono dedicati alle misurazioni dell'RCS, che furono completate entro il 29 giugno 1979. Quel giorno, poco dopo il decollo, Dyson notò il funzionamento anomalo di uno dei sistemi idraulici e decise di abortire la missione in corso e tornare a terra. Il 10 luglio il prototipo era nuovamente in volo; la missione prevedeva uno scontro simulato con un F-15 Eagle per valutare come si sarebbe comportato l'intercettore americano nei confronti dell'aereo “invisibile”, ma improvvisamente il sistema idraulico principale del prototipo andò in tilt, seguito poco dopo da quello di riserva. “Proprio quando il secondo sistema idraulico andava a zero, il velivolo picchiò violentemente, qualcosa come 7 g negativi”, ricorda Dyson, “poi cabrò, con dei ratei impressionanti, come può fare solo un velivolo instabile. Cercai di raggiungere la maniglia di eiezione, e la tirai”.

ARCHIVIO LOCKHEED

ARCHIVIO LOCKHEED

Il primo prototipo completato dell’Have Blue, designato HB1001, con la colorazione mimetica studiata per confondere eventuali osservatori sulla reale geometria del velivolo. Il grado di segretezza del progetto era tale che l'USAFnon assegnò mai una matricola ai prototipi Have Blue; le designazioni HB1001 e HB1002 vennero date dalla Lockheed.

ARCHIVIO LOCKHEED

10

cabrò violentemente (a causa dell'improvviso abbassarsi del platypus – n.d.r.). Sembrò sbattere davvero duro al suolo e poi, mentre Bill riattaccava, lo sentii dire che era necessario fare un altro giro. Retratto il carrello, quando Bill tentò di estrarlo nuovamente uscirono solo il ruotino anteriore e una gamba del carrello principale”. L'urto sulla pista aveva disassato il carrello principale destro e i successivi tentativi di Park di estrarre il carrello toccando duro sulla pista non ebbero successo. Al pilota fu suggerito di prendere quota per lanciarsi in sicurezza ma nel frattempo i motori cominciarono a spegnersi per mancanza di carburante. Il lancio provocò a Park una commozione cerebrale che gli precluse per sempre il volo su velivoli sperimentali. Nel frattempo venne approntato il secondo prototipo, che andò in volo per la prima volta il 20 luglio 1978 pilotato da Dyson,

ARCHIVIO LOCKHEED

M e n t re D y s o n s c e n d eva d o n d o l a n d o a p p e s o a l paracadute, l'Have Blue impattò il terreno esplodendo in un'enorme palla di fuoco. Il pilota dell'F-15, colonnello Norm Suits, scorse due fuoristrada che si dirigevano verso il luogo dell'incidente e, nonostante le intenzioni degli occupanti fossero sicuramente di prestare soccorso agli eventuali superstiti dello schianto, la segretezza del progetto non poteva essere compromessa. Agendo di sua iniziativa, Suits effettuò una serie di passaggi bassi in prossimità dei veicoli cercando di scoraggiarli ad avvicinarsi al relitto e dovette essere estremamente convincente, dato che riuscì nel suo intento! Il programma Have Blue era ormai a due o tre voli dalla fine, così venne dichiarato ufficialmente completato nel dicembre 1979. Tutti gli obiettivi dei collaudi furono raggiunti e il programma poté essere definito un successo sbalorditivo. Ora non restava che stabilire quanti dei contenuti tecnologici del programma avrebbero potuto essere utilizzati con profitto in un velivolo operativo; questo compito sarebbe spettato, non molto tempo dopo, al secondo aeroplano “invisibile” della storia: il Lockheed F-117.

22

AEROFAN | MAR/APR 2019

15

F-117 Nighthawk. Il caccia Lockheed dimostrò operativamente la validità delle teorie che avevano portato allo sviluppo dell’Have Blue.

AEROFAN | MAR/APR 2019

23


sky blazers Gli ambasciatori dell’USAF Europe

Pietro Mazzardi

F

rugando nei miei ricordi d'infanzia, non sono in grado di trovare immagini di velivoli di pattuglie acrobatiche che non fossero quelle dei leggendari Diavoli Rossi, Thunderbirds o Blue Angels. La scarsa informazione illustrata che girava a quei tempi non poteva che proporre fotografie dei team a c r o b a t i c i p i ù p o p o l a r i d e l l ’e p o c a .

24

Fürstenfeldbruck Air Base, Germania, 1950. Una delle prime foto ufficiali dell’USAF che ritrae gli Skyblazers appena equipaggiati con il caccia North American F-84E. (Ph. US Air Force)


sky blazers Gli ambasciatori dell’USAF Europe

Pietro Mazzardi

F

rugando nei miei ricordi d'infanzia, non sono in grado di trovare immagini di velivoli di pattuglie acrobatiche che non fossero quelle dei leggendari Diavoli Rossi, Thunderbirds o Blue Angels. La scarsa informazione illustrata che girava a quei tempi non poteva che proporre fotografie dei team a c r o b a t i c i p i ù p o p o l a r i d e l l ’e p o c a .

24

Fürstenfeldbruck Air Base, Germania, 1950. Una delle prime foto ufficiali dell’USAF che ritrae gli Skyblazers appena equipaggiati con il caccia North American F-84E. (Ph. US Air Force)


8

6

7

28

Gli F-86F degli Skyblazers appartenevano alla sottoserie -35-NA, costruita presso la fabbrica di Inglewood tra l'ottobre 1952 e l’agosto 1954 in 265 esemplari ripartiti in due lotti (serial da 51-5164 a 525271 e da 53-1072 a 53-1228). I caccia di questa versione erano propulsi dal motore G.E. J47-GE-27, dotati di ali tipo “6-3” e hanno prestato servizio quasi esclusivamente presso reparti dell'USAFE. Questa variante fu l'unica predisposta per lo sgancio di una bomba nucleare Mk.12 da 540 kg e testata fino a 20 kt, che poteva essere agganciata ad un travetto specifico sotto l'ala sinistra e lanciata con la tecnica LABS.

Nella stagione 1960 gli Skyblazers introdussero nelle loro esibizioni l'uso dei fumogeni colorati bianco, blu e rosso e crearono una manovra caratteristica che consisteva in un passaggio a diamante lento seguito da un'arrampicata a 45 gradi “full A/B” durante la quale lunghe fiamme si sprigionavano dagli scarichi dei reattori creando un eetto coreografico notevole. Ā

AEROFAN | MAR/APR 2019

diventare il team acrobatico complementare dell'Air Force in Europa. Sotto l'abile comando del Capt. Wilbur L. Creech, già pilota degli F-84F dei Thunderbirds a Luke AFB in Arizona, il rinnovato team acrobatico iniziò a lavorare a Bitburg nel 1958 e, come primo atto, creò una nuova livrea per i suoi Super Sabre. La colorazione adottata, uno sgargiante schema di rossobianco-blu, a colpo d'occhio ricordava molto da vicino quella dei Thunderbirds e non pochi addetti ai lavori dell'editoria aeronautica furono tratti in inganno scambiando a volte i Super Sabre degli Skyblazers con quelli della pattuglia acrobatica USAF. Il team riequipaggiato con gli F-100 apparve in pubblico nella stagione 1959 ed effettuò un tour in tutta Europa, nonché in Grecia e a Wheelus Field in Libia. Come per i Thunderbirds, anche gli F-100 degli Skyblazers non portavano serbatoi esterni durante le esibizioni e tuttavia nel periodo finale della loro carriera invalse l'uso di mantenerli agganciati sotto le ali. L'emblema del team era riportato sul fianco sinistro della fusoliera, mentre su quello destro campeggiava quello dell'US Air Force. L'aereo leader, serial 54-2009, era identificato con la presenza di una banda diagonale tricolore bianco-rosso-blu intorno alla fusoliera, appena dietro l'insegna nazionale. Gli esemplari di F-100C portati in volo con le insegne del team acrobatico USAFE sono stati: 54-1959, 54-1980, 54-2002, 54-2010, 54.1992 e 54-1891. A partire dal 1960 i Thunderbirds adottarono sui loro F-100 la sonda per il rifornimento in volo che permise al team di coprire lunghe distanze pianificando interventi in Europa e Africa. Ciò di fatto rese superflua l'esistenza della squadra acrobatica europea. La stagione conclusiva degli Skyblazers fu quella del 1961, con il Capt. Pat Kramer nel ruolo di leader fino all'ultima esibizione del team, nel gennaio 1962, quando ne fu deciso il definitivo scioglimento.

Germania, 1960. Passaggio a bassa quota in formazione con i fumi colorati.

11

9

10

Germania, 1960. La manovra“Vertical turn” vista dal fanalino della formazione.

La squadra degli Skyblazers nel 1961.

Gli Skyblazers impegnati in un “looping” in formazione serrata.

12

Il Capt. Francis "Pat" Kramer Jr. fu l’ultimo team leader della formazione, dal 1961 al 1962.

AEROFAN | MAR/APR 2019

29


8

6

7

28

Gli F-86F degli Skyblazers appartenevano alla sottoserie -35-NA, costruita presso la fabbrica di Inglewood tra l'ottobre 1952 e l’agosto 1954 in 265 esemplari ripartiti in due lotti (serial da 51-5164 a 525271 e da 53-1072 a 53-1228). I caccia di questa versione erano propulsi dal motore G.E. J47-GE-27, dotati di ali tipo “6-3” e hanno prestato servizio quasi esclusivamente presso reparti dell'USAFE. Questa variante fu l'unica predisposta per lo sgancio di una bomba nucleare Mk.12 da 540 kg e testata fino a 20 kt, che poteva essere agganciata ad un travetto specifico sotto l'ala sinistra e lanciata con la tecnica LABS.

Nella stagione 1960 gli Skyblazers introdussero nelle loro esibizioni l'uso dei fumogeni colorati bianco, blu e rosso e crearono una manovra caratteristica che consisteva in un passaggio a diamante lento seguito da un'arrampicata a 45 gradi “full A/B” durante la quale lunghe fiamme si sprigionavano dagli scarichi dei reattori creando un eetto coreografico notevole. Ā

AEROFAN | MAR/APR 2019

diventare il team acrobatico complementare dell'Air Force in Europa. Sotto l'abile comando del Capt. Wilbur L. Creech, già pilota degli F-84F dei Thunderbirds a Luke AFB in Arizona, il rinnovato team acrobatico iniziò a lavorare a Bitburg nel 1958 e, come primo atto, creò una nuova livrea per i suoi Super Sabre. La colorazione adottata, uno sgargiante schema di rossobianco-blu, a colpo d'occhio ricordava molto da vicino quella dei Thunderbirds e non pochi addetti ai lavori dell'editoria aeronautica furono tratti in inganno scambiando a volte i Super Sabre degli Skyblazers con quelli della pattuglia acrobatica USAF. Il team riequipaggiato con gli F-100 apparve in pubblico nella stagione 1959 ed effettuò un tour in tutta Europa, nonché in Grecia e a Wheelus Field in Libia. Come per i Thunderbirds, anche gli F-100 degli Skyblazers non portavano serbatoi esterni durante le esibizioni e tuttavia nel periodo finale della loro carriera invalse l'uso di mantenerli agganciati sotto le ali. L'emblema del team era riportato sul fianco sinistro della fusoliera, mentre su quello destro campeggiava quello dell'US Air Force. L'aereo leader, serial 54-2009, era identificato con la presenza di una banda diagonale tricolore bianco-rosso-blu intorno alla fusoliera, appena dietro l'insegna nazionale. Gli esemplari di F-100C portati in volo con le insegne del team acrobatico USAFE sono stati: 54-1959, 54-1980, 54-2002, 54-2010, 54.1992 e 54-1891. A partire dal 1960 i Thunderbirds adottarono sui loro F-100 la sonda per il rifornimento in volo che permise al team di coprire lunghe distanze pianificando interventi in Europa e Africa. Ciò di fatto rese superflua l'esistenza della squadra acrobatica europea. La stagione conclusiva degli Skyblazers fu quella del 1961, con il Capt. Pat Kramer nel ruolo di leader fino all'ultima esibizione del team, nel gennaio 1962, quando ne fu deciso il definitivo scioglimento.

Germania, 1960. Passaggio a bassa quota in formazione con i fumi colorati.

11

9

10

Germania, 1960. La manovra“Vertical turn” vista dal fanalino della formazione.

La squadra degli Skyblazers nel 1961.

Gli Skyblazers impegnati in un “looping” in formazione serrata.

12

Il Capt. Francis "Pat" Kramer Jr. fu l’ultimo team leader della formazione, dal 1961 al 1962.

AEROFAN | MAR/APR 2019

29


LUIGINO CALIARO

F-86F SABRE N86FR

LUIGINO CALIARO

Un Sabre con i colori della formazione degli Skyblazers, di proprietà di Doug Matthews, vola oggi negli Stati Uniti. Questo aereo fu costruito come F-86F-30-NA presso la fabbrica North American di Inglewood, a Los Angeles, e consegnato all'USAF nel 1952 con il serial 52-4959. Successivamente, nel 1960, il caccia fu venduto all'aviazione argentina, con la quale volò con il codice C-109. Rientrato negli Stati Uniti nel 1989, fu venduto sul mercato civile. Inizialmente registrato come N105BH, fu acquistato nel 1997 da Tom Righetti e ottenne la registrazione N86FR. Righetti era un medico di Miami appassionato di aviazione, morto tragicamente in un incidente con un MiG-15 nel 2002. Dopo la sua prematura scomparsa, la moglie affidò l'aereo al Valiant Command Warbirds Museum di Tico, in Florida, e alla F-86 LCC company di proprietà di Doug Matthews.

LUIGINO CALIARO

LUIGINO CALIARO

30

AEROFAN | MAR/APR 2019

AEROFAN | MAR/APR 2019

31


LUIGINO CALIARO

F-86F SABRE N86FR

LUIGINO CALIARO

Un Sabre con i colori della formazione degli Skyblazers, di proprietà di Doug Matthews, vola oggi negli Stati Uniti. Questo aereo fu costruito come F-86F-30-NA presso la fabbrica North American di Inglewood, a Los Angeles, e consegnato all'USAF nel 1952 con il serial 52-4959. Successivamente, nel 1960, il caccia fu venduto all'aviazione argentina, con la quale volò con il codice C-109. Rientrato negli Stati Uniti nel 1989, fu venduto sul mercato civile. Inizialmente registrato come N105BH, fu acquistato nel 1997 da Tom Righetti e ottenne la registrazione N86FR. Righetti era un medico di Miami appassionato di aviazione, morto tragicamente in un incidente con un MiG-15 nel 2002. Dopo la sua prematura scomparsa, la moglie affidò l'aereo al Valiant Command Warbirds Museum di Tico, in Florida, e alla F-86 LCC company di proprietà di Doug Matthews.

LUIGINO CALIARO

LUIGINO CALIARO

30

AEROFAN | MAR/APR 2019

AEROFAN | MAR/APR 2019

31


grumman hu-16

Un Albatross fortunato

Massimo Dominelli Luciano Pontolillo

C

lassico esempio di realizzazione della Grumman, ditta specializzata nella costruzione di velivoli anfibi, il Model SA-16 effettuò i primi voli nell’ottobre del 1947 dimostrando subito le sue ottime doti intrinseche e due anni più tardi venne scelto da US Navy, USAF e US Coast Guard per equipaggiare i reparti da ricerca e soccorso in mare.

32

Grumman HU-16 Albatross, M.M. 50-180, fotografato al termine della carriera operativa nell’Aeronautica Militare. (Archivio Claudio Col via Aviation Collectables Company)


grumman hu-16

Un Albatross fortunato

Massimo Dominelli Luciano Pontolillo

C

lassico esempio di realizzazione della Grumman, ditta specializzata nella costruzione di velivoli anfibi, il Model SA-16 effettuò i primi voli nell’ottobre del 1947 dimostrando subito le sue ottime doti intrinseche e due anni più tardi venne scelto da US Navy, USAF e US Coast Guard per equipaggiare i reparti da ricerca e soccorso in mare.

32

Grumman HU-16 Albatross, M.M. 50-180, fotografato al termine della carriera operativa nell’Aeronautica Militare. (Archivio Claudio Col via Aviation Collectables Company)


“Mare 6” parcheggiato sul piazzale di Ciampino.

4

3 34

L’Albatross “Mare 6” con la tanica per il carburante agganciata sotto l’ala “presa in prestito” da “Mare 9” (M.M. 51-037).

AEROFAN | MAR/APR 2019

e Combat SAR (Search and Rescue) rendendosi protagonista di innumerevoli missioni di salvataggio con le insegne del 15° Stormo di Ciampino. Gli aeroplani avevano nominativo radio “Mare”, seguito dal numero individuale. Al momento della radiazione gli anfibi Grumman vennero donati dall'Aeronautica Militare a diversi Aeroclub italiani per svolgere il ruolo di “Gate Guardian”; “Mare 6”, M.M. 50-180, giunse così in volo nel 1982 sull'aeroporto di Cuneo-Levaldigi, sede dell'Aeroclub Provincia Granda. Imponente nella sua livrea sgargiante giallo, arancio e alluminio, e con le grandi coccarde tricolori ben in vista su ali e fusoliera, divenne ben presto il simbolo dell'Aeroclub, visibile da terra per chi passava in automobile dalla strada che correva parallela alla pista e dall'alto per i piloti che giungevano in volo sull'aeroporto piemontese. In occasione di eventi particolari, come gli “Air Show” che si svolsero nel 1983 e nel 1984, l'aereo venne addirittura lavato e lucidato per meglio figurare nella sua

5

“Mare 6” in avvicinamento a Ciampino.

ARCHIVIO A.M.

CLAUDIO TOSELLI

ARCHIVIO COCCELLATO

PIERO ALBISINO

2

Destini opposti. In primo piano “Mare 14”, dapprima salvato e infine distrutto e “Mare 6”, destinato apparentemente alla distruzione e infine salvato.

ARCHIVIO A.M.

ARCHIVIO A.M.

1

Battezzato “Albatross” e ridesignato HU-16, equipaggiò in numero consistente le aeronautiche di Argentina, Brasile, Cina, Cile, Germania, Giappone, Grecia, Filippine, Portogallo, Perù, Messico, Spagna, Norvegia, Pakistan e Venezuela. A partire dal 1958 l'Aeronautica Militare ricevette in conto Mutual Defence Assistance Program alcuni esemplari della versione “A” appartenuti all'US Air Force che andarono a sostituire nei compiti del Soccorso Aereo gli ormai obsoleti CANT Z.506 operativi nella Regia Aeronautica fin da prima dello scoppio della seconda Guerra Mondiale e utilizzati nel dopoguerra dal Soccorso Aereo dell'Aeronautica Militare di stanza presso l'idroscalo di Vigna di Valle. Pur non eguagliandone le ottime caratteristiche nautiche, l'Albatross era una macchina decisamente più moderna dei vecchi CANT e, seppur poco indicato per il trasporto sanitario a causa delle vibrazioni e della mancanza di pressurizzazione, svolse per vent'anni il ruolo SAR

“Mare 6” impegnato in un’esercitazione di soccorso sul lago di Bracciano nel corso degli Anni ‘60.

piazzola a fianco degli hangar dell'Aeroclub. Ma con il passare delle stagioni e le ingiurie del tempo, complice anche la chiusura definitiva dell'Aeroclub e conseguentemente la totale incuria dell'aeroplano, per “Mare 6” sembrava che ormai il destino fosse segnato, così come per altri suoi “f ratelli” parcheggiati in giro per la Penisola e abbandonati ormai a se stessi. Il 17 Maggio del 2013, poi, una triste notizia scosse gli appassionati di aviazione: “Mare 14”, da anni parcheggiato presso il Museo di San Pelagio e infine acquistato da un'Associazione con lo scopo di restaurarlo, era stato invece distrutto a seguito di una diatriba tra l'Associazione stessa, il Museo e l'Aeronautica Militare.

6-7

“Mare 6” fotografato a Levaldigi poco dopo il suo arrivo.

AEROFAN | MAR/APR 2019

35


“Mare 6” parcheggiato sul piazzale di Ciampino.

4

3 34

L’Albatross “Mare 6” con la tanica per il carburante agganciata sotto l’ala “presa in prestito” da “Mare 9” (M.M. 51-037).

AEROFAN | MAR/APR 2019

e Combat SAR (Search and Rescue) rendendosi protagonista di innumerevoli missioni di salvataggio con le insegne del 15° Stormo di Ciampino. Gli aeroplani avevano nominativo radio “Mare”, seguito dal numero individuale. Al momento della radiazione gli anfibi Grumman vennero donati dall'Aeronautica Militare a diversi Aeroclub italiani per svolgere il ruolo di “Gate Guardian”; “Mare 6”, M.M. 50-180, giunse così in volo nel 1982 sull'aeroporto di Cuneo-Levaldigi, sede dell'Aeroclub Provincia Granda. Imponente nella sua livrea sgargiante giallo, arancio e alluminio, e con le grandi coccarde tricolori ben in vista su ali e fusoliera, divenne ben presto il simbolo dell'Aeroclub, visibile da terra per chi passava in automobile dalla strada che correva parallela alla pista e dall'alto per i piloti che giungevano in volo sull'aeroporto piemontese. In occasione di eventi particolari, come gli “Air Show” che si svolsero nel 1983 e nel 1984, l'aereo venne addirittura lavato e lucidato per meglio figurare nella sua

5

“Mare 6” in avvicinamento a Ciampino.

ARCHIVIO A.M.

CLAUDIO TOSELLI

ARCHIVIO COCCELLATO

PIERO ALBISINO

2

Destini opposti. In primo piano “Mare 14”, dapprima salvato e infine distrutto e “Mare 6”, destinato apparentemente alla distruzione e infine salvato.

ARCHIVIO A.M.

ARCHIVIO A.M.

1

Battezzato “Albatross” e ridesignato HU-16, equipaggiò in numero consistente le aeronautiche di Argentina, Brasile, Cina, Cile, Germania, Giappone, Grecia, Filippine, Portogallo, Perù, Messico, Spagna, Norvegia, Pakistan e Venezuela. A partire dal 1958 l'Aeronautica Militare ricevette in conto Mutual Defence Assistance Program alcuni esemplari della versione “A” appartenuti all'US Air Force che andarono a sostituire nei compiti del Soccorso Aereo gli ormai obsoleti CANT Z.506 operativi nella Regia Aeronautica fin da prima dello scoppio della seconda Guerra Mondiale e utilizzati nel dopoguerra dal Soccorso Aereo dell'Aeronautica Militare di stanza presso l'idroscalo di Vigna di Valle. Pur non eguagliandone le ottime caratteristiche nautiche, l'Albatross era una macchina decisamente più moderna dei vecchi CANT e, seppur poco indicato per il trasporto sanitario a causa delle vibrazioni e della mancanza di pressurizzazione, svolse per vent'anni il ruolo SAR

“Mare 6” impegnato in un’esercitazione di soccorso sul lago di Bracciano nel corso degli Anni ‘60.

piazzola a fianco degli hangar dell'Aeroclub. Ma con il passare delle stagioni e le ingiurie del tempo, complice anche la chiusura definitiva dell'Aeroclub e conseguentemente la totale incuria dell'aeroplano, per “Mare 6” sembrava che ormai il destino fosse segnato, così come per altri suoi “f ratelli” parcheggiati in giro per la Penisola e abbandonati ormai a se stessi. Il 17 Maggio del 2013, poi, una triste notizia scosse gli appassionati di aviazione: “Mare 14”, da anni parcheggiato presso il Museo di San Pelagio e infine acquistato da un'Associazione con lo scopo di restaurarlo, era stato invece distrutto a seguito di una diatriba tra l'Associazione stessa, il Museo e l'Aeronautica Militare.

6-7

“Mare 6” fotografato a Levaldigi poco dopo il suo arrivo.

AEROFAN | MAR/APR 2019

35


40

ARCHIVIO MUSÉE DE L'HYDRAVIATION BISCARROSSE

Aprile 2018, Biscarrosse. L’Albatross viene posizionato sulla piazzola del Musée de l’Hydraviation.

21

ARCHIVIO MUSÉE DE L'HYDRAVIATION BISCARROSSE

20

Alcune fasi del restauro durato circa due anni e mezzo. L’intero progetto di acquisizione, recupero e musealizzazione dell’Albatross è durato oltre otto anni.

ARCHIVIO MUSÉE DE L'HYDRAVIATION BISCARROSSE

16-19

AEROFAN | MAR/APR 2019

Le fasi di restauro iniziarono con una pulizia completa, esterna ed interna, compiuta dai due gruppi di RiparatoriMontatori. Successivamente il primo gruppo smontò accuratamente la fusoliera ed il secondo le rimanenti parti dell'aereo, alcune in attesa di un restauro vero e proprio e altre di una semplice riparazione. Il lavoro del gruppo 1 proseguì poi concentrandosi sulle riparazioni della cellula impiegando, essenzialmente, alluminio di tipo 2017 (AU4G) e riferendosi allo Structural Repair Manual o alla documentazione tecnica relativa ad altri velivoli simili mentre i meccanismi delle porte erano aggiustati in base allo Aircraft Maintenance Manual dell'Albatross stesso. Il gruppo 2 si dedicò invece all'ala, realizzando numerosi interventi di riparazione e ricostruzione di parti danneggiate o mancanti. Non meno importante quanto fatto dal gruppo 3, gli addetti alla verniciatura, che restituirono infine all'idrovolante i suoi colori. Ma quali? Da subito era stata considerata la livrea italiana al fine di ricordare il periodo trascorso da “Mare 6” nel 15° Stormo dell'A.M.I. poiché, malgrado il lavaggio approfondito, i colori, le coccarde e le insegne risultavano ancora decisamente visibili. Ma a fare accantonare rapidamente l'idea contribuirono in buona parte una serie di informazioni ricevute da Arnaud Mars, restauratore al Museo dell'Aria e dello Spazio a Le Bourget, in merito all'uso delle vernice fluorescente arancio e della sua rapida degradabilità; dovendo esporre l'idrovolante all'aperto, i costi di manutenzione per mantenere integra la verniciatura sarebbero stati decisamente elevati. Per inciso in Italia lo stesso problema si è evidenziato con “Mare 5”, l'Albatross conservato presso il Museo dell'Aeronautica

Aprile 2018, Biscarrosse. La suggestiva ambientazione realizzata per l’Albatross che, nonostante la nuova identità, rimarra sempre un po’ “Mare 6”...

Militare di Vigna di Valle, anch'esso all'aperto, per il quale si è scelto di sostituire l'arancio fluorescente con un comune arancione lucido, non conforme all’originale ma sicuramente più resistente agli agenti atmosferici. Il team di restauro dell'Albatross di Biscarrosse alla fine decise che l'idrovolante avrebbe avuto i colori dell'Air Rescue durante la Guerra di Corea e che le insegne sarebbero state delle… grandi e perfette decalcomanie. La verniciatura, preceduta da una pulizia chimica, dalla levigatura e dall'applicazione di anticorrosivo, non è stata semplice né breve essendo, tra l'altro, condizionata dalle condizioni meteo locali. A Dicembre del 2016 gli stagisti del cantiere-scuola uscirono di scena con buona parte del restauro completata. Alla conclusione del progetto parteciparono, nel biennio 2017/2018, nuovi partner del Museo di Biscarrosse e in particolare: la ditta Atlantic Bois Composite di Biscarrosse (ricostruzione delle superfici di governo), un gruppo di volontari del Conservatoire de l'Air et de l'Espace di Merignac insieme all'azienda IFI Peintures (restauro del carrello principale), gli allievi del Lycée Flora Tristan a Noisy-le-Grand guidati dal Professor Cédric Sauteraud (restauro del carrello anteriore) e l'Associazione degli Amici del museo stesso (interventi inerenti al montaggio e diversi lavori di carattere tecnico). Ad aprile del 2018 il velivolo è stato finalmente posizionato su una piattaforma circolare, diventando immediatamente il simbolo del museo che lo ospita con un compito ben preciso: far brillare gli occhi dei visitatori, tutti e indistintamente. Un po' com'era sua abitudine fare a Cuneo, tanti anni fa…

AEROFAN | MAR/APR 2019

41


40

ARCHIVIO MUSÉE DE L'HYDRAVIATION BISCARROSSE

Aprile 2018, Biscarrosse. L’Albatross viene posizionato sulla piazzola del Musée de l’Hydraviation.

21

ARCHIVIO MUSÉE DE L'HYDRAVIATION BISCARROSSE

20

Alcune fasi del restauro durato circa due anni e mezzo. L’intero progetto di acquisizione, recupero e musealizzazione dell’Albatross è durato oltre otto anni.

ARCHIVIO MUSÉE DE L'HYDRAVIATION BISCARROSSE

16-19

AEROFAN | MAR/APR 2019

Le fasi di restauro iniziarono con una pulizia completa, esterna ed interna, compiuta dai due gruppi di RiparatoriMontatori. Successivamente il primo gruppo smontò accuratamente la fusoliera ed il secondo le rimanenti parti dell'aereo, alcune in attesa di un restauro vero e proprio e altre di una semplice riparazione. Il lavoro del gruppo 1 proseguì poi concentrandosi sulle riparazioni della cellula impiegando, essenzialmente, alluminio di tipo 2017 (AU4G) e riferendosi allo Structural Repair Manual o alla documentazione tecnica relativa ad altri velivoli simili mentre i meccanismi delle porte erano aggiustati in base allo Aircraft Maintenance Manual dell'Albatross stesso. Il gruppo 2 si dedicò invece all'ala, realizzando numerosi interventi di riparazione e ricostruzione di parti danneggiate o mancanti. Non meno importante quanto fatto dal gruppo 3, gli addetti alla verniciatura, che restituirono infine all'idrovolante i suoi colori. Ma quali? Da subito era stata considerata la livrea italiana al fine di ricordare il periodo trascorso da “Mare 6” nel 15° Stormo dell'A.M.I. poiché, malgrado il lavaggio approfondito, i colori, le coccarde e le insegne risultavano ancora decisamente visibili. Ma a fare accantonare rapidamente l'idea contribuirono in buona parte una serie di informazioni ricevute da Arnaud Mars, restauratore al Museo dell'Aria e dello Spazio a Le Bourget, in merito all'uso delle vernice fluorescente arancio e della sua rapida degradabilità; dovendo esporre l'idrovolante all'aperto, i costi di manutenzione per mantenere integra la verniciatura sarebbero stati decisamente elevati. Per inciso in Italia lo stesso problema si è evidenziato con “Mare 5”, l'Albatross conservato presso il Museo dell'Aeronautica

Aprile 2018, Biscarrosse. La suggestiva ambientazione realizzata per l’Albatross che, nonostante la nuova identità, rimarra sempre un po’ “Mare 6”...

Militare di Vigna di Valle, anch'esso all'aperto, per il quale si è scelto di sostituire l'arancio fluorescente con un comune arancione lucido, non conforme all’originale ma sicuramente più resistente agli agenti atmosferici. Il team di restauro dell'Albatross di Biscarrosse alla fine decise che l'idrovolante avrebbe avuto i colori dell'Air Rescue durante la Guerra di Corea e che le insegne sarebbero state delle… grandi e perfette decalcomanie. La verniciatura, preceduta da una pulizia chimica, dalla levigatura e dall'applicazione di anticorrosivo, non è stata semplice né breve essendo, tra l'altro, condizionata dalle condizioni meteo locali. A Dicembre del 2016 gli stagisti del cantiere-scuola uscirono di scena con buona parte del restauro completata. Alla conclusione del progetto parteciparono, nel biennio 2017/2018, nuovi partner del Museo di Biscarrosse e in particolare: la ditta Atlantic Bois Composite di Biscarrosse (ricostruzione delle superfici di governo), un gruppo di volontari del Conservatoire de l'Air et de l'Espace di Merignac insieme all'azienda IFI Peintures (restauro del carrello principale), gli allievi del Lycée Flora Tristan a Noisy-le-Grand guidati dal Professor Cédric Sauteraud (restauro del carrello anteriore) e l'Associazione degli Amici del museo stesso (interventi inerenti al montaggio e diversi lavori di carattere tecnico). Ad aprile del 2018 il velivolo è stato finalmente posizionato su una piattaforma circolare, diventando immediatamente il simbolo del museo che lo ospita con un compito ben preciso: far brillare gli occhi dei visitatori, tutti e indistintamente. Un po' com'era sua abitudine fare a Cuneo, tanti anni fa…

AEROFAN | MAR/APR 2019

41


o t ! n o e r t m t a a n u o q b b n i a ’ a L f si

euro

euro

euro

euro

Ricevi 6 numeri di Aerofan con spedizione STANDARD

Ricevi 6 numeri di Aerofan e 2 numeri speciali Aerofan Focus con spedizione STANDARD

Ricevi 6 numeri di Aerofan PRIMA DI TUTTI con spedizione ASSICURATA

Ricevi 6 numeri di Aerofan e 2 numeri speciali Aerofan Focus PRIMA DI TUTTI con spedizione ASSICURATA

OFAN

1 AER

IS G R AT

OFAN

1 AER

IS G R AT

FAN 1 AERCO U S F O

G R AT

IS

OFAN

OFAN

1 AER

1 AER

IS G R AT

IS G R AT

abbonamento con un clic

FAN 1 AERCO U S F O

G R AT

abbonati dal Tuo smartphone

servizio abbonamenti 351.976.71.71 aerofan@luckyplane.it www.luckyplane.it/aerofan

IS


102-2019

STORIE DI ALI ITALIANE

Inserto da staccare e conservare allegato a AEROFAN Nr. 2 MAR/APR 2019

la scuola di volo della s.i.s.a. il mustang del lago di garda siai marchetti sv-20


Storie di ali italiane 102-2019

La scuola di volo della S.I.S.A.

s.i.s.a. la scuola di volo della

L

'atto di nascita della S.I.S.A. può essere considerato l'acquisto nell'agosto 1921 di un idrovolante F.B.A. da parte dei fratelli Augusto ed Oscar Cosulich, direttori e massimi azionisti del Cantiere Navale Triestino di Monfalcone, intenzionati ad impiegare il velivolo per voli turistici e di trasferimento a Portorose, dove possedevano un complesso alberghiero.

18

1

ARCHIVIO MONTI

Luigino Caliaro Decio Zorini

I due fratelli acquisirono alcuni impianti dell'aviazione austroungarica ormai alienati a Pirano, compreso un capannone in legno. Quale hangar la società disponeva soltanto di un tendone in una località a metà strada tra Portorose e Pirano, sotto il quale l'idrovolante stesso era stato montato. Il primo F.B.A. (FrenchBritish Aviation)era un residuato bellico costruito dalla S.I.A.I. nel 1917 e propulso da un motore Isotta Fraschini da 150 CV. Constatato l'interesse iniziale per l'iniziativa ed il potenziale sviluppo per la nascente aviazione civile in Italia, l'anno successivo furono acquistati altri due idrovolanti e fu realizzato un piccolo capannone in legno a Portorose per il loro ricovero. Ben presto, per sfruttare le favorevoli condizioni ambientali della baia, i Cosulich decisero di erigere impianti fissi nei pressi dello squero di Pirano e di farne la base per la nuova società, che fu registrata nel 1922 a Trieste come Società per azioni limitata e successivamente quale Società Anonima. Convinti fin da subito di sviluppare la S.I.S.A. come società per navigazione aerea commerciale e in risposta ad una sempre maggiore richiesta, i Cosulich decisero di organizzare a Portorose anche una scuola di volo per piloti di idrovolanti. Con questo intento, agli inizi del 1923, la S.I.S.A. prese contatto con il Commissariato per l'Aeronautica da poco istituito, stipulando un accordo con la nascente aeronautica militare che prevedeva l'organizzazione e la gestione di una scuola per l'addestramento completo degli allievi piloti di idrovolanti. L'accordo fu concretizzato nel luglio del 1923, quando giunsero i primi allievi della Regia Aeronautica, costituita ufficialmente il precedente 28 marzo. Le strutture della base di armamento a Portorose furono implementate, con un hangar dedicato al il

19

2

ARCHIVIO APOSTOLO

Lo sviluppo dell’Aviazione negli Anni ‘20

Il primo hangar della SISA a Portorose con parcheggiato uno dei primi idrovolanti F.B.A. usati dalla compagnia Triestina.

Il grande edificio adibito a caserma per gli allievi della scuola di volo a Portorose nel 1928


Storie di ali italiane 102-2019

La scuola di volo della S.I.S.A.

s.i.s.a. la scuola di volo della

L

'atto di nascita della S.I.S.A. può essere considerato l'acquisto nell'agosto 1921 di un idrovolante F.B.A. da parte dei fratelli Augusto ed Oscar Cosulich, direttori e massimi azionisti del Cantiere Navale Triestino di Monfalcone, intenzionati ad impiegare il velivolo per voli turistici e di trasferimento a Portorose, dove possedevano un complesso alberghiero.

18

1

ARCHIVIO MONTI

Luigino Caliaro Decio Zorini

I due fratelli acquisirono alcuni impianti dell'aviazione austroungarica ormai alienati a Pirano, compreso un capannone in legno. Quale hangar la società disponeva soltanto di un tendone in una località a metà strada tra Portorose e Pirano, sotto il quale l'idrovolante stesso era stato montato. Il primo F.B.A. (FrenchBritish Aviation)era un residuato bellico costruito dalla S.I.A.I. nel 1917 e propulso da un motore Isotta Fraschini da 150 CV. Constatato l'interesse iniziale per l'iniziativa ed il potenziale sviluppo per la nascente aviazione civile in Italia, l'anno successivo furono acquistati altri due idrovolanti e fu realizzato un piccolo capannone in legno a Portorose per il loro ricovero. Ben presto, per sfruttare le favorevoli condizioni ambientali della baia, i Cosulich decisero di erigere impianti fissi nei pressi dello squero di Pirano e di farne la base per la nuova società, che fu registrata nel 1922 a Trieste come Società per azioni limitata e successivamente quale Società Anonima. Convinti fin da subito di sviluppare la S.I.S.A. come società per navigazione aerea commerciale e in risposta ad una sempre maggiore richiesta, i Cosulich decisero di organizzare a Portorose anche una scuola di volo per piloti di idrovolanti. Con questo intento, agli inizi del 1923, la S.I.S.A. prese contatto con il Commissariato per l'Aeronautica da poco istituito, stipulando un accordo con la nascente aeronautica militare che prevedeva l'organizzazione e la gestione di una scuola per l'addestramento completo degli allievi piloti di idrovolanti. L'accordo fu concretizzato nel luglio del 1923, quando giunsero i primi allievi della Regia Aeronautica, costituita ufficialmente il precedente 28 marzo. Le strutture della base di armamento a Portorose furono implementate, con un hangar dedicato al il

19

2

ARCHIVIO APOSTOLO

Lo sviluppo dell’Aviazione negli Anni ‘20

Il primo hangar della SISA a Portorose con parcheggiato uno dei primi idrovolanti F.B.A. usati dalla compagnia Triestina.

Il grande edificio adibito a caserma per gli allievi della scuola di volo a Portorose nel 1928


La scuola di volo della S.I.S.A.

3

Cant 7 parcheggiati tra gli hangar della scuola di volo a Portorose. ARCHIVIO APOSTOLO

febbraio al cap. Carlo De Robilant. Nel 1926 gli allievi inviati alla scuola furono 72, di cui 27 brevettati, oltre a 21 piloti in congedo inviati dal Ministero per un periodo di addestramento. Il 20 gennaio del 1927 il ten. Mario Morelli divenne comandante interinale prima che il 10 agosto venisse assegnato come comandante titolare il cap. Epifanio Del Ponte. Purtroppo l'attività di volo portò inevitabilmente ai primi incidenti e, sebbene una prima inchiesta in seguito a due incidenti avvenuti lo stesso giorno nel corso di voli acrobatici, nel gennaio 1927 non evidenziò alcun motivo tecnico, dopo un ulteriore incidente avvenuto il 17 giugno 1927, i voli dei Cant.7/ 7bis/7ter furono sospesi per un presunto cedimento strutturale. Le verifiche dei tecnici della Regia Aeronautica e dei Cantieri di Monfalcone confermarono il problema e per questo motivo tutti i velivoli in servizio furono sottoposti a diverse modifiche strutturali. Un'ulteriore sospensione delle attività di volo, durata fino al 19 agosto, fu necessaria a seguito di ulteriori incidenti che richiesero la sostituzione dei cavi di comando. Nell'agosto del 1927 fu completata la nuova caserma e gli allievi furono divisi in due corsi e istituito un corso premilitare. Quell'anno furono inviati 82 allievi, 10 ufficiali, 57 sergenti e 15 premilitari, con 34 allievi brevettati di cui due ufficiali, 24 sergenti e due premilitari. L'addestramento annuale di piloti già brevettati vide impegnati 30 piloti, di cui due ufficiali. Purtroppo il 1927 risultò anche l'anno più tragico con sei incidenti mortali che

ARCHIVIO MONTI

Storie di ali italiane 102-2019

ricovero degli apparecchi, un'officina meccanica per la manutenzione e verifica dei motori con un banco prova e una falegnameria per la manutenzione delle strutture degli idrovolanti. Furono inoltre eretti due nuovi capannoni più ampi e fu ricavato un piazzale di manovra per gli aerei interrando uno s p e cch i o d ' a cq u a , s u s ce tt i b i l e d ' a m p l i a m e n to re s o s i indispensabile già nel 1924. Sulla collina sovrastante l'idroscalo fu installata anche una stazione radiotelegrafica. Il primo gruppo di istruttori era composto da quattro piloti civili che avevano avuto esperienza di combattimento durante la Grande Guerra. Tra essi figurava anche Giovanni Widmer, pioniere triestino del volo dal 1910, con un capo pilota che, oltre ad essere istruttore egli stesso, fungeva da direttore della scuola. Ad ogni istruttore veniva affidata una squadra con la quale volava continuativamente in modo che ogni allevo potesse effettuare due lezioni per ogni giornata volativa. La gestione delle scuola era affidata all'ing. Antonio Majorana, al quale competeva anche la direzione commerciale, mentre la gestione tecnico logistica al comandante Luigi Maria Ragazzi. Il 1923 fu un anno particolarmente importante, poiché all'inizio dell'attività di scuola i Cosulich, in particolare grazie alla lungimiranza di Oscar, costituirono le Officine Aeronautiche del Cantiere Navale Triestino di Monfalcone. Ai tecnici vennero sottoposte le esigenze della scuola di pilotaggio e venne richiesto un idrovolante a scafo biposto da addestramento con il quale si voleva sostituire la linea di volo dei 25 vecchi e non più affidabili

F.B.A., di cui tre utilizzati per provvedere alle parti di ricambio per gli altri. Dal 1924 al 1926 venne rinnovata la linea di volo della scuola di Portorose con l'introduzione dei C.N.T. 7, successivamente noto come Cant.7 nelle varie versioni, e con i primi Cant.18 e 18 bis mono/biposto. Quest'ultimo fu il primo velivolo realizzato espressamente per l'addestramento avanzato, definito "idoneo alle alte quote ed alle acrobazie". Nello stesso periodo, con il progressivo aumento delle attività, la scuola fu dotata di nuovi impianti situati a tre chilometri da Pirano: nuove sistemazioni per gli allievi piloti, una palazzina per il comando militare della scuola, nuovi capannoni e un secondo scivolo di alaggio per gli idrovolanti. Fu costruita una grande caserma moderna a tre piani con impianti idrosanitari per gli alloggi degli allievi piloti e della truppa di manovra, un edificio pure a tre piani per gli ufficiali ed i sottufficiali, ed una palazzina per gli uffici del Comando militare. I tre edifici ad uso militare erano inclusi in un comprensorio recintato, che includeva anche un campo sportivo, il fabbricato per il corpo di guardia e i relativi locali per l'ufficiale di picchetto ed i sottufficiali d'ispezione, il salone da barbiere e infine, trattandosi di scuola militare, di una prigione per allievi sfortunati. Nel comprensorio della scuola furono inoltre realizzate una villa per gli uffici societari e campi sportivi, aule di studio e sale di riunione. Nel 1925 i piloti brevettati furono 44 e l'anno successivo fu costituito un comando militare per la supervisione dei corsi, affidato dal 1° gennaio al magg. Carlo Magrini e dal successivo 20

20

4 21

L'F.B.A. I-OSEB della S.I.S.A. di fronte all'hangar a Portorose.


La scuola di volo della S.I.S.A.

3

Cant 7 parcheggiati tra gli hangar della scuola di volo a Portorose. ARCHIVIO APOSTOLO

febbraio al cap. Carlo De Robilant. Nel 1926 gli allievi inviati alla scuola furono 72, di cui 27 brevettati, oltre a 21 piloti in congedo inviati dal Ministero per un periodo di addestramento. Il 20 gennaio del 1927 il ten. Mario Morelli divenne comandante interinale prima che il 10 agosto venisse assegnato come comandante titolare il cap. Epifanio Del Ponte. Purtroppo l'attività di volo portò inevitabilmente ai primi incidenti e, sebbene una prima inchiesta in seguito a due incidenti avvenuti lo stesso giorno nel corso di voli acrobatici, nel gennaio 1927 non evidenziò alcun motivo tecnico, dopo un ulteriore incidente avvenuto il 17 giugno 1927, i voli dei Cant.7/ 7bis/7ter furono sospesi per un presunto cedimento strutturale. Le verifiche dei tecnici della Regia Aeronautica e dei Cantieri di Monfalcone confermarono il problema e per questo motivo tutti i velivoli in servizio furono sottoposti a diverse modifiche strutturali. Un'ulteriore sospensione delle attività di volo, durata fino al 19 agosto, fu necessaria a seguito di ulteriori incidenti che richiesero la sostituzione dei cavi di comando. Nell'agosto del 1927 fu completata la nuova caserma e gli allievi furono divisi in due corsi e istituito un corso premilitare. Quell'anno furono inviati 82 allievi, 10 ufficiali, 57 sergenti e 15 premilitari, con 34 allievi brevettati di cui due ufficiali, 24 sergenti e due premilitari. L'addestramento annuale di piloti già brevettati vide impegnati 30 piloti, di cui due ufficiali. Purtroppo il 1927 risultò anche l'anno più tragico con sei incidenti mortali che

ARCHIVIO MONTI

Storie di ali italiane 102-2019

ricovero degli apparecchi, un'officina meccanica per la manutenzione e verifica dei motori con un banco prova e una falegnameria per la manutenzione delle strutture degli idrovolanti. Furono inoltre eretti due nuovi capannoni più ampi e fu ricavato un piazzale di manovra per gli aerei interrando uno s p e cch i o d ' a cq u a , s u s ce tt i b i l e d ' a m p l i a m e n to re s o s i indispensabile già nel 1924. Sulla collina sovrastante l'idroscalo fu installata anche una stazione radiotelegrafica. Il primo gruppo di istruttori era composto da quattro piloti civili che avevano avuto esperienza di combattimento durante la Grande Guerra. Tra essi figurava anche Giovanni Widmer, pioniere triestino del volo dal 1910, con un capo pilota che, oltre ad essere istruttore egli stesso, fungeva da direttore della scuola. Ad ogni istruttore veniva affidata una squadra con la quale volava continuativamente in modo che ogni allevo potesse effettuare due lezioni per ogni giornata volativa. La gestione delle scuola era affidata all'ing. Antonio Majorana, al quale competeva anche la direzione commerciale, mentre la gestione tecnico logistica al comandante Luigi Maria Ragazzi. Il 1923 fu un anno particolarmente importante, poiché all'inizio dell'attività di scuola i Cosulich, in particolare grazie alla lungimiranza di Oscar, costituirono le Officine Aeronautiche del Cantiere Navale Triestino di Monfalcone. Ai tecnici vennero sottoposte le esigenze della scuola di pilotaggio e venne richiesto un idrovolante a scafo biposto da addestramento con il quale si voleva sostituire la linea di volo dei 25 vecchi e non più affidabili

F.B.A., di cui tre utilizzati per provvedere alle parti di ricambio per gli altri. Dal 1924 al 1926 venne rinnovata la linea di volo della scuola di Portorose con l'introduzione dei C.N.T. 7, successivamente noto come Cant.7 nelle varie versioni, e con i primi Cant.18 e 18 bis mono/biposto. Quest'ultimo fu il primo velivolo realizzato espressamente per l'addestramento avanzato, definito "idoneo alle alte quote ed alle acrobazie". Nello stesso periodo, con il progressivo aumento delle attività, la scuola fu dotata di nuovi impianti situati a tre chilometri da Pirano: nuove sistemazioni per gli allievi piloti, una palazzina per il comando militare della scuola, nuovi capannoni e un secondo scivolo di alaggio per gli idrovolanti. Fu costruita una grande caserma moderna a tre piani con impianti idrosanitari per gli alloggi degli allievi piloti e della truppa di manovra, un edificio pure a tre piani per gli ufficiali ed i sottufficiali, ed una palazzina per gli uffici del Comando militare. I tre edifici ad uso militare erano inclusi in un comprensorio recintato, che includeva anche un campo sportivo, il fabbricato per il corpo di guardia e i relativi locali per l'ufficiale di picchetto ed i sottufficiali d'ispezione, il salone da barbiere e infine, trattandosi di scuola militare, di una prigione per allievi sfortunati. Nel comprensorio della scuola furono inoltre realizzate una villa per gli uffici societari e campi sportivi, aule di studio e sale di riunione. Nel 1925 i piloti brevettati furono 44 e l'anno successivo fu costituito un comando militare per la supervisione dei corsi, affidato dal 1° gennaio al magg. Carlo Magrini e dal successivo 20

20

4 21

L'F.B.A. I-OSEB della S.I.S.A. di fronte all'hangar a Portorose.


di garda

Incidente, ritrovamento e recupero di un P-51D del 2° Stormo

Luciano Pontolillo

S

ono le 16:55 del 7 Agosto 1951 quando gli abitanti di Lazise sul Garda sentono il rumore di un velivolo a bassa quota dirigersi verso il lago. Il velivolo è un P-51D “Mustang” dell'Aeronautica Militare che, poco dopo, impatta sulla superficie dell'acqua i n a b i s s a n d o s i s u b i to s e n z a l a s c i a re possibilità di scampo allo sventurato pilota.

26

Dopo settant'anni di riposo dimenticato sui fondali del Lago, l'Associazione Volontari del Garda nel pomeriggio del 5 aprile 2014 ha individuato le parti del relitto a circa 60 metri di profondità, avviando subito una ricerca per stabilire di quale aereo si trattasse e confermando le ipotesi formulate dopo l'analisi delle prime immagini realizzate dalle fotocamere subacquee: era proprio il P-51 “Mustang” del Ten. Tito. Grazie alla collaborazione dell'Aeronautica Militare che ha reso disponibili i rapporti dell'epoca sull'incidente e all'apporto di testimoni oculari locali è stato possibile ricostruire con accuratezza le vicende di questo sfortunato pilota e del suo aeroplano. Il “Mustang” M.M. 4309, in carico alla 92a Squadriglia C.T. del 2° Stormo, decollò dalla base di Vicenza alle 16:40, fresco di revisione al motore, per rientrare a Orio al Serio; un volo di routine svolto da un pilota esperto, seppur di giovane età, che aveva una grande esperienza su quel tipo di apparecchio. La prima parte del volo si svolse senza problemi ma una volta passata la Valpolicella la routine si trasformò presto in difficoltà quando il motore del caccia cominciò ad evidenziare problemi di funzionamento, dato che diversi testimoni dichiararono di aver udito i giri del motore aumentare e diminuire ; problemi non tanto gravi da impensierire il pilota che inizialmente provò a risolvere in volo l’inconveniente anziché dichiarare emergenza ed atterrare. Ma quel motore proprio non voleva saperne di funzionare a dovere, e ben presto il Ten. Tito si rese conto che le difficoltà si erano tramutate in emergenza e che era necessario portare l'aereo a terra nel più breve tempo possibile. Il velivolo nel frattempo perdeva rapidamente quota e l'aeroporto di Ghedi, inizialmente considerato una possibile soluzione, era diventato ormai irraggiungibile. L'unica superficie priva di ostacoli era rappresentata dal lago di Garda, verso il quale il Ten. Tito decise di dirigersi forse per allontanarsi dai centri abitati e lanciarsi dall'aereo prima dell'impatto, forse per tentare un ammaraggio di fortuna. Ma l'aereo si avventò sullo specchio d'acqua rimbalzando sulla superficie e spezzandosi in diversi tronconi, non lasciando scampo allo sfortunato pilota. L'inchiesta dell'Aeronautica Militare fu accurata e approfondita, furono sentiti testimoni locali che però non diedero versioni congrue degli avvenimenti: in particolare due pescatori che al momento dell'incidente si trovavano a circa 2 chilometri dal luogo dell'impatto dichiararono l'uno di aver udito distintamente il suono del motore, l'altro di non averlo udito affatto. Durante le immersioni dei sommozzatori dedicate al recupero della salma venne inoltre scoperto che il pilota prima dell'impatto aveva slacciato le cinture di sicurezza e sganciato il tettuccio come a voler tentare l'abbandono del velivolo. Questi elementi portarono alla conclusione che, in mancanza di indicazioni dirette da parte del pilota e basandosi solo sulla dinamica del fatto, la responsabilità dell'incidente era da attribuirsi al cattivo funzionamento del propulsore del caccia e che il Ten. Tito non ebbe un comportamento irresponsabile o negligente ma che, al contrario, fece tutto il possibile per evitare il peggio. L'ipotesi più probabile è che egli, una volta diretto l'aereo lontano da centri abitati, decise di abbandonare il velivolo ritenendo di trovarsi ancora a quota di sicurezza per il lancio ma, complice il riverbero del sole, fu ingannato dallo specchio d'acqua che egli valutava trovarsi molto più in basso e impattò violentemente con la superficie del lago prima di potersi porre in salvo. Nei giorni successivi l'incidente, lo Stato Maggiore dell'Aeronautica incaricò una ditta locale di recuperare i resti del pilota e, se possibile, gli armamenti dell'aeroplano, e proprio dalla testimonianza del sig. Egidio Isotta di Lazise, titolare dell'omonima ditta di involucri subacquei, l'Associazione Volontari del Garda ha avviato le ricerche storiche culminate con il ritrovamento del relitto; il sig. Egidio ha ricordato infatti ai Volontari che il padre gli raccontò di quando, dopo la guerra, accompagnò un gruppo di palombari per recuperare la salma di un pilota e le parti di un velivolo militare precipitati nel lago. Questa precisa testimonianza ha permesso ai Volontari di determinare con esattezza il luogo dell'impatto e di scoprire e identificare sul fondale i resti dell'apparecchio precipitato.

1

Schieramento di P-51D del 2° Stormo dell’Aeronautica Militare.

27

ENNIO GANDINI

lago il mustang del

Il Mustang del lago di Garda

ENNIO GANDINI

Storie di ali italiane 102-2019

2-3

Il recupero dello sfortunato pilota, avvenuto nelle settimane successive all’incidente sotto la supervisione dell’Aeronautica Militare.


di garda

Incidente, ritrovamento e recupero di un P-51D del 2° Stormo

Luciano Pontolillo

S

ono le 16:55 del 7 Agosto 1951 quando gli abitanti di Lazise sul Garda sentono il rumore di un velivolo a bassa quota dirigersi verso il lago. Il velivolo è un P-51D “Mustang” dell'Aeronautica Militare che, poco dopo, impatta sulla superficie dell'acqua i n a b i s s a n d o s i s u b i to s e n z a l a s c i a re possibilità di scampo allo sventurato pilota.

26

Dopo settant'anni di riposo dimenticato sui fondali del Lago, l'Associazione Volontari del Garda nel pomeriggio del 5 aprile 2014 ha individuato le parti del relitto a circa 60 metri di profondità, avviando subito una ricerca per stabilire di quale aereo si trattasse e confermando le ipotesi formulate dopo l'analisi delle prime immagini realizzate dalle fotocamere subacquee: era proprio il P-51 “Mustang” del Ten. Tito. Grazie alla collaborazione dell'Aeronautica Militare che ha reso disponibili i rapporti dell'epoca sull'incidente e all'apporto di testimoni oculari locali è stato possibile ricostruire con accuratezza le vicende di questo sfortunato pilota e del suo aeroplano. Il “Mustang” M.M. 4309, in carico alla 92a Squadriglia C.T. del 2° Stormo, decollò dalla base di Vicenza alle 16:40, fresco di revisione al motore, per rientrare a Orio al Serio; un volo di routine svolto da un pilota esperto, seppur di giovane età, che aveva una grande esperienza su quel tipo di apparecchio. La prima parte del volo si svolse senza problemi ma una volta passata la Valpolicella la routine si trasformò presto in difficoltà quando il motore del caccia cominciò ad evidenziare problemi di funzionamento, dato che diversi testimoni dichiararono di aver udito i giri del motore aumentare e diminuire ; problemi non tanto gravi da impensierire il pilota che inizialmente provò a risolvere in volo l’inconveniente anziché dichiarare emergenza ed atterrare. Ma quel motore proprio non voleva saperne di funzionare a dovere, e ben presto il Ten. Tito si rese conto che le difficoltà si erano tramutate in emergenza e che era necessario portare l'aereo a terra nel più breve tempo possibile. Il velivolo nel frattempo perdeva rapidamente quota e l'aeroporto di Ghedi, inizialmente considerato una possibile soluzione, era diventato ormai irraggiungibile. L'unica superficie priva di ostacoli era rappresentata dal lago di Garda, verso il quale il Ten. Tito decise di dirigersi forse per allontanarsi dai centri abitati e lanciarsi dall'aereo prima dell'impatto, forse per tentare un ammaraggio di fortuna. Ma l'aereo si avventò sullo specchio d'acqua rimbalzando sulla superficie e spezzandosi in diversi tronconi, non lasciando scampo allo sfortunato pilota. L'inchiesta dell'Aeronautica Militare fu accurata e approfondita, furono sentiti testimoni locali che però non diedero versioni congrue degli avvenimenti: in particolare due pescatori che al momento dell'incidente si trovavano a circa 2 chilometri dal luogo dell'impatto dichiararono l'uno di aver udito distintamente il suono del motore, l'altro di non averlo udito affatto. Durante le immersioni dei sommozzatori dedicate al recupero della salma venne inoltre scoperto che il pilota prima dell'impatto aveva slacciato le cinture di sicurezza e sganciato il tettuccio come a voler tentare l'abbandono del velivolo. Questi elementi portarono alla conclusione che, in mancanza di indicazioni dirette da parte del pilota e basandosi solo sulla dinamica del fatto, la responsabilità dell'incidente era da attribuirsi al cattivo funzionamento del propulsore del caccia e che il Ten. Tito non ebbe un comportamento irresponsabile o negligente ma che, al contrario, fece tutto il possibile per evitare il peggio. L'ipotesi più probabile è che egli, una volta diretto l'aereo lontano da centri abitati, decise di abbandonare il velivolo ritenendo di trovarsi ancora a quota di sicurezza per il lancio ma, complice il riverbero del sole, fu ingannato dallo specchio d'acqua che egli valutava trovarsi molto più in basso e impattò violentemente con la superficie del lago prima di potersi porre in salvo. Nei giorni successivi l'incidente, lo Stato Maggiore dell'Aeronautica incaricò una ditta locale di recuperare i resti del pilota e, se possibile, gli armamenti dell'aeroplano, e proprio dalla testimonianza del sig. Egidio Isotta di Lazise, titolare dell'omonima ditta di involucri subacquei, l'Associazione Volontari del Garda ha avviato le ricerche storiche culminate con il ritrovamento del relitto; il sig. Egidio ha ricordato infatti ai Volontari che il padre gli raccontò di quando, dopo la guerra, accompagnò un gruppo di palombari per recuperare la salma di un pilota e le parti di un velivolo militare precipitati nel lago. Questa precisa testimonianza ha permesso ai Volontari di determinare con esattezza il luogo dell'impatto e di scoprire e identificare sul fondale i resti dell'apparecchio precipitato.

1

Schieramento di P-51D del 2° Stormo dell’Aeronautica Militare.

27

ENNIO GANDINI

lago il mustang del

Il Mustang del lago di Garda

ENNIO GANDINI

Storie di ali italiane 102-2019

2-3

Il recupero dello sfortunato pilota, avvenuto nelle settimane successive all’incidente sotto la supervisione dell’Aeronautica Militare.


6

MAURIZIO LONGONI

5

Gli impennaggi del P-51D sul fondo del lago di Garda. Una volta recuperato il relitto è stato possibile rinvenire il numero di matricola alla base della deriva.

Un momento del recupero del velivolo dal fondo del lago.

MAURIZIO LONGONI

4

ARCHIVIO A.V.G.

Storie di ali italiane 102-2019

Il numero di costruzione rinvenuto sul cruscotto è stato restaurato conservativamente.

28

I resti del P-51D sono stati recuperati dal fondo del Lago di Garda il 3 Dicembre 2016 dalla Associazione Volontari del Garda, su iniziativa del Museo di Volandia e con la sponsorizzazione di un privato. Maurizio Longoni ci ha raccontato la dinamica del recupero: “L'operazione, debitamente autorizzata dalle Autorità competenti e svolta con la supervisione di un funzionario della Soprintendenza ai Beni Culturali di Venezia, ha portato al recupero di 6 parti principali del caccia, (motore, elica, ali, parti di fusoliera) oltre ad altri piccoli pezzi vari, staccatisi dai precedenti durante le operazioni di recupero. Tutte le parti recuperate sono state inizialmente trasportate in un luogo di stoccaggio dove si è proceduto ad una pulizia con acqua dolce per eliminare i residui di vegetazione lacustre, la sabbia ed il fango ancora presenti all'interno delle strutture. Durante questa fase di lavorazione, è stata confermata una evidente corrosione dei metalli, sia ferrosi che non ferrosi. Tale livello di corrosione, agli occhi degli esperti, è apparso però sproporzionato rispetto alle condizioni in cui il relitto si trovava: acqua dolce, notevole profondità (circa 60 metri), buio, bassa ossigenazione, correnti moderate. Un'indagine successiva ha rivelato la presenza sul fondo di sorgenti sulfuree che senza dubbio hanno generato nel tempo una situazione di ambiente leggermente acido che ha favorito lo sviluppo anomalo degli ossidi. Dopo questa prima attività di lavaggio e pulizia preliminare, il relitto è stato trasportato presso il Museo di Volandia, per una ulteriore fase di trattamento e stabilizzazione. I singoli componenti sono stati privati delle zone di corrosione più evidenti utilizzando utensili non metallici e spruzzandoli quotidianamente con acido citrico diluito in acqua al 5%, secondo una tecnica mutuata da Musei aeronautici di grande fama. Questo trattamento ha consentito di stabilizzare in gran parte il processo ossidativo delle strutture, che oggi, a distanza di oltre un anno, non presentano ulteriori fenomeni corrosivi di rilievo. Anche le parti ferrose sono state sottoposte allo stesso trattamento, seguito, ove possibile, dall'applicazione di composti fosfatanti inibitori della corrosione. Purtroppo è noto che tutti questi trattamenti non hanno carattere definitivo, dal momento che il processo ossidativo, soprattutto delle leghe leggere, ha carattere elettrochimico e una volta innescato non è eliminabile in maniera permanente. In particolare con la presenza di metalli dissimili adiacenti (es. strutture in lega Al unite con viti o ribattini ferrosi) tali fenomeni proseguono nel tempo e le tecniche attuali di conservazione e protezione possono solo ritardare lo sfaldamento della struttura molecolare dei metalli. I circa 60 anni di immersione nel citato ambiente acido hanno provocato il completo deterioramento delle vernici alla nitrocellulosa utilizzate in quegli anni ed oggi è riscontrabile solo una vaga traccia dei colori originali. Nonostante ciò è stato possibile riscontrare il numero di matricola dipinto sulla coda, nonché il corrispondente numero di costruzione riportato da una targhetta sul cruscotto. Si spera che tali informazioni permettano di ritrovare almeno una foto dell'aereo quando era operativo, per certificare con sicurezza il suo aspetto esteriore al momento dell'incidente. È intenzione del Museo di Volandia esporre in un prossimo futuro i resti di questo sfortunato aereo, debitamente ricomposti in modo da farne percepire l'aspetto complessivo, in una ambientazione “subacquea” per meglio raccontare la storia di questo aereo e soprattutto del suo pilota, che perse la vita nell'incidente di volo”.

Siai Marchetti SV-20

sv-20 siai marchetti

L’elicottero che non decollò da Sesto Calende

Silvano Nicastro

S

e si domandasse agli ex lavoratori della Siai Marchetti degli Anni ‘70 cosa rimpiangono della loro carriera professionale, siamo convinti che sarebbero in molti a rispondere “non aver portato a termine il progetto dell’elicottero SV20”. Perché quel progetto, benché lontano dalla tradizione ad ala fissa Siai, probabilmente ha fatto sognare più di altri.

29


6

MAURIZIO LONGONI

5

Gli impennaggi del P-51D sul fondo del lago di Garda. Una volta recuperato il relitto è stato possibile rinvenire il numero di matricola alla base della deriva.

Un momento del recupero del velivolo dal fondo del lago.

MAURIZIO LONGONI

4

ARCHIVIO A.V.G.

Storie di ali italiane 102-2019

Il numero di costruzione rinvenuto sul cruscotto è stato restaurato conservativamente.

28

I resti del P-51D sono stati recuperati dal fondo del Lago di Garda il 3 Dicembre 2016 dalla Associazione Volontari del Garda, su iniziativa del Museo di Volandia e con la sponsorizzazione di un privato. Maurizio Longoni ci ha raccontato la dinamica del recupero: “L'operazione, debitamente autorizzata dalle Autorità competenti e svolta con la supervisione di un funzionario della Soprintendenza ai Beni Culturali di Venezia, ha portato al recupero di 6 parti principali del caccia, (motore, elica, ali, parti di fusoliera) oltre ad altri piccoli pezzi vari, staccatisi dai precedenti durante le operazioni di recupero. Tutte le parti recuperate sono state inizialmente trasportate in un luogo di stoccaggio dove si è proceduto ad una pulizia con acqua dolce per eliminare i residui di vegetazione lacustre, la sabbia ed il fango ancora presenti all'interno delle strutture. Durante questa fase di lavorazione, è stata confermata una evidente corrosione dei metalli, sia ferrosi che non ferrosi. Tale livello di corrosione, agli occhi degli esperti, è apparso però sproporzionato rispetto alle condizioni in cui il relitto si trovava: acqua dolce, notevole profondità (circa 60 metri), buio, bassa ossigenazione, correnti moderate. Un'indagine successiva ha rivelato la presenza sul fondo di sorgenti sulfuree che senza dubbio hanno generato nel tempo una situazione di ambiente leggermente acido che ha favorito lo sviluppo anomalo degli ossidi. Dopo questa prima attività di lavaggio e pulizia preliminare, il relitto è stato trasportato presso il Museo di Volandia, per una ulteriore fase di trattamento e stabilizzazione. I singoli componenti sono stati privati delle zone di corrosione più evidenti utilizzando utensili non metallici e spruzzandoli quotidianamente con acido citrico diluito in acqua al 5%, secondo una tecnica mutuata da Musei aeronautici di grande fama. Questo trattamento ha consentito di stabilizzare in gran parte il processo ossidativo delle strutture, che oggi, a distanza di oltre un anno, non presentano ulteriori fenomeni corrosivi di rilievo. Anche le parti ferrose sono state sottoposte allo stesso trattamento, seguito, ove possibile, dall'applicazione di composti fosfatanti inibitori della corrosione. Purtroppo è noto che tutti questi trattamenti non hanno carattere definitivo, dal momento che il processo ossidativo, soprattutto delle leghe leggere, ha carattere elettrochimico e una volta innescato non è eliminabile in maniera permanente. In particolare con la presenza di metalli dissimili adiacenti (es. strutture in lega Al unite con viti o ribattini ferrosi) tali fenomeni proseguono nel tempo e le tecniche attuali di conservazione e protezione possono solo ritardare lo sfaldamento della struttura molecolare dei metalli. I circa 60 anni di immersione nel citato ambiente acido hanno provocato il completo deterioramento delle vernici alla nitrocellulosa utilizzate in quegli anni ed oggi è riscontrabile solo una vaga traccia dei colori originali. Nonostante ciò è stato possibile riscontrare il numero di matricola dipinto sulla coda, nonché il corrispondente numero di costruzione riportato da una targhetta sul cruscotto. Si spera che tali informazioni permettano di ritrovare almeno una foto dell'aereo quando era operativo, per certificare con sicurezza il suo aspetto esteriore al momento dell'incidente. È intenzione del Museo di Volandia esporre in un prossimo futuro i resti di questo sfortunato aereo, debitamente ricomposti in modo da farne percepire l'aspetto complessivo, in una ambientazione “subacquea” per meglio raccontare la storia di questo aereo e soprattutto del suo pilota, che perse la vita nell'incidente di volo”.

Siai Marchetti SV-20

sv-20 siai marchetti

L’elicottero che non decollò da Sesto Calende

Silvano Nicastro

S

e si domandasse agli ex lavoratori della Siai Marchetti degli Anni ‘70 cosa rimpiangono della loro carriera professionale, siamo convinti che sarebbero in molti a rispondere “non aver portato a termine il progetto dell’elicottero SV20”. Perché quel progetto, benché lontano dalla tradizione ad ala fissa Siai, probabilmente ha fatto sognare più di altri.

29


Storie di ali italiane 102-2019

Nel gennaio del 1973 una notizia rimbalzava sulle principali testate specializzate del settore Aviazione: tre prototipi dello “high-speed winged helicopter” SV-20A erano in fase di costruzione presso gli stabilimenti Siai Marchetti di Sesto Calende, con l'obiettivo di giungere alla certificazione da parte del Registro Aeronautico Italiano e della Federal Aviation Administration statunitense entro il 1975. L'elicottero SV-20 era stato ideato dalla Sezione Volo Verticale della Ditta, costituita nel

Siai Marchetti SV-20

Siai Marchetti erano di giungere al volo del primo prototipo entro la fine del 1973. Sarebbe seguita una prima fase di test della durata di 50 ore di volo, durante le quali sarebbero state verificate le specifiche di progetto e sarebbe stato gradualmente ampliato l'inviluppo di volo della macchina, quindi il prototipo sarebbe stato messo definitivamente a terra e utilizzato per i test di fatica sulla cellula. Eventuali problemi riscontrati durante i collaudi sarebbero stati corretti sul secondo prototipo nel corso di una

1968 sotto la guida dell'ingegner Emilio Bianchi. Questi, due anni prima, aveva disegnato il Silvercraft SH.4, un elicottero triposto del quale erano stati costruiti cinque prototipi che nel 1968 avevano ottenuto la certificazione RAI e FAA, diventando i primi elicotteri disegnati in Italia certificati dalle Autorità americane. Due anni dopo la costituzione della Sezione Volo Verticale, nel 1970, l'Agusta acquisì il 30% di capitale Siai Marchetti subappaltando alla Ditta di Sesto Calende la costruzione di alcuni componenti per elicotteri. Forte dell'esperienza nel campo dell'ala rotante che le aveva permesso di vendere più di 2.000 macchine in tutto il mondo senza supporto di alcun tipo da parte dello Stato, l'Agusta pensò di sfruttare le proprie potenzialità per promuovere l'SV-20. Alla fine del 1972 l'elicottero Siai aveva assorbito già oltre 200.000 ore di lavoro per la progettazione e le verifiche aerodinamiche, svolte in collaborazione con le università di Torino, Milano e Pisa. Venne inoltre cercato un accordo finanziario con il Governo volto ad ottenere almeno il 70% dei costi necessari per completare la fase di ricerca e sviluppo, valutati in circa 15 milioni di dollari. Le previsioni della

1 30

campagna di prove in volo della durata di circa 250 ore, che sarebbero inoltre servite per testare tutte le componenti avioniche del velivolo. Il terzo prototipo sarebbe stato in pratica il primo esemplare di pre-serie e il rateo di produzione a regime sarebbe stato tra i 40 e i 60 esemplari all'anno. L'elicottero era pensato essenzialmente per il mercato civile, ma la Siai contava di proporlo con successo anche alle Forze Armate. L'SV-20 avrebbe potuto trasportare 14 persone, incluso il pilota, o 2.000 chilogrammi di carico utile. Due motori TurbinenUnion UACL PT6C-30 avrebbero fornito la potenza necessaria per raggiungere una velocità di 180 nodi con un raggio d'azione di circa 80 chilometri. La peculiarità dell'elicottero risiedeva nella presenza di due corte ali alle cui estremità, all'interno di una gondola aerodinamica, erano montati i motori. Venne ipotizzata anche una versione, chiamata SV-20C, che prevedeva l'installazione di due eliche spingenti poste sulla parte posteriore delle gondole per aumentare la velocità di crociera. Le ali avevano delle superfici mobili utilizzabili come flaps o come ailerons; se usate come flap coadiuvavano il sostentamento della macchina in determinate condizioni di volo, mentre se utilizzate come ailerons permettevano una maggiore manovrabilità sull'asse del rollio. Nel giugno 1973 la Siai Marchetti partecipò massicciamente al Salone Aeronautico Internazionale di Le Bourget presentando, a fianco della sua “classica” produzione ad ala fissa, il simulacro in grandezza naturale dell'SV-20 definendolo “elicottero veloce alato e compound” e annunciando l'imminente completamento del primo prototipo. Ma la storia andò diversamente; a settembre il programma SV-20 fu cancellato, ufficialmente per mancanza di finanziamenti da parte del Governo italiano, anche se in realtà

l'Agusta aveva deciso di puntare tutto sull'A.109 “Hirundo” (come veniva chiamato allora il progetto) e, per evitare un'eccessiva dispersione di risorse, la Divisione Volo Verticale della Siai venne gradualmente smantellata stabilendo una volta per tutte che, da quel momento in poi, la Siai Marchetti si sarebbe occupata di ala fissa e l'Agusta di ala rotante.

2-3

Il modello in legno dell’SV-20 durante una sessione di prove in galleria del vento

31

Il mock-up dell’SV-20 fotografato sul campo di Vergiate nel 1973 prima della partecipazione al Salone di Le Bourget.


Storie di ali italiane 102-2019

Nel gennaio del 1973 una notizia rimbalzava sulle principali testate specializzate del settore Aviazione: tre prototipi dello “high-speed winged helicopter” SV-20A erano in fase di costruzione presso gli stabilimenti Siai Marchetti di Sesto Calende, con l'obiettivo di giungere alla certificazione da parte del Registro Aeronautico Italiano e della Federal Aviation Administration statunitense entro il 1975. L'elicottero SV-20 era stato ideato dalla Sezione Volo Verticale della Ditta, costituita nel

Siai Marchetti SV-20

Siai Marchetti erano di giungere al volo del primo prototipo entro la fine del 1973. Sarebbe seguita una prima fase di test della durata di 50 ore di volo, durante le quali sarebbero state verificate le specifiche di progetto e sarebbe stato gradualmente ampliato l'inviluppo di volo della macchina, quindi il prototipo sarebbe stato messo definitivamente a terra e utilizzato per i test di fatica sulla cellula. Eventuali problemi riscontrati durante i collaudi sarebbero stati corretti sul secondo prototipo nel corso di una

1968 sotto la guida dell'ingegner Emilio Bianchi. Questi, due anni prima, aveva disegnato il Silvercraft SH.4, un elicottero triposto del quale erano stati costruiti cinque prototipi che nel 1968 avevano ottenuto la certificazione RAI e FAA, diventando i primi elicotteri disegnati in Italia certificati dalle Autorità americane. Due anni dopo la costituzione della Sezione Volo Verticale, nel 1970, l'Agusta acquisì il 30% di capitale Siai Marchetti subappaltando alla Ditta di Sesto Calende la costruzione di alcuni componenti per elicotteri. Forte dell'esperienza nel campo dell'ala rotante che le aveva permesso di vendere più di 2.000 macchine in tutto il mondo senza supporto di alcun tipo da parte dello Stato, l'Agusta pensò di sfruttare le proprie potenzialità per promuovere l'SV-20. Alla fine del 1972 l'elicottero Siai aveva assorbito già oltre 200.000 ore di lavoro per la progettazione e le verifiche aerodinamiche, svolte in collaborazione con le università di Torino, Milano e Pisa. Venne inoltre cercato un accordo finanziario con il Governo volto ad ottenere almeno il 70% dei costi necessari per completare la fase di ricerca e sviluppo, valutati in circa 15 milioni di dollari. Le previsioni della

1 30

campagna di prove in volo della durata di circa 250 ore, che sarebbero inoltre servite per testare tutte le componenti avioniche del velivolo. Il terzo prototipo sarebbe stato in pratica il primo esemplare di pre-serie e il rateo di produzione a regime sarebbe stato tra i 40 e i 60 esemplari all'anno. L'elicottero era pensato essenzialmente per il mercato civile, ma la Siai contava di proporlo con successo anche alle Forze Armate. L'SV-20 avrebbe potuto trasportare 14 persone, incluso il pilota, o 2.000 chilogrammi di carico utile. Due motori TurbinenUnion UACL PT6C-30 avrebbero fornito la potenza necessaria per raggiungere una velocità di 180 nodi con un raggio d'azione di circa 80 chilometri. La peculiarità dell'elicottero risiedeva nella presenza di due corte ali alle cui estremità, all'interno di una gondola aerodinamica, erano montati i motori. Venne ipotizzata anche una versione, chiamata SV-20C, che prevedeva l'installazione di due eliche spingenti poste sulla parte posteriore delle gondole per aumentare la velocità di crociera. Le ali avevano delle superfici mobili utilizzabili come flaps o come ailerons; se usate come flap coadiuvavano il sostentamento della macchina in determinate condizioni di volo, mentre se utilizzate come ailerons permettevano una maggiore manovrabilità sull'asse del rollio. Nel giugno 1973 la Siai Marchetti partecipò massicciamente al Salone Aeronautico Internazionale di Le Bourget presentando, a fianco della sua “classica” produzione ad ala fissa, il simulacro in grandezza naturale dell'SV-20 definendolo “elicottero veloce alato e compound” e annunciando l'imminente completamento del primo prototipo. Ma la storia andò diversamente; a settembre il programma SV-20 fu cancellato, ufficialmente per mancanza di finanziamenti da parte del Governo italiano, anche se in realtà

l'Agusta aveva deciso di puntare tutto sull'A.109 “Hirundo” (come veniva chiamato allora il progetto) e, per evitare un'eccessiva dispersione di risorse, la Divisione Volo Verticale della Siai venne gradualmente smantellata stabilendo una volta per tutte che, da quel momento in poi, la Siai Marchetti si sarebbe occupata di ala fissa e l'Agusta di ala rotante.

2-3

Il modello in legno dell’SV-20 durante una sessione di prove in galleria del vento

31

Il mock-up dell’SV-20 fotografato sul campo di Vergiate nel 1973 prima della partecipazione al Salone di Le Bourget.


antonio

gallus Un leader delle Frecce Tricolori

Roberto Bassi

L

Ramstein, 30 luglio 1978. Toni Gallus rulla davanti al pubblico al termine dell’esibizione. (Ph. Marco Farè)

a stampa e la bibliografia specializzata italiana hanno celebrato e ricordato nel corso degli anni molti piloti che, con il loro comportamento, le loro imprese o il loro sacrificio, sono assurti al ruolo di eroi durante i due conflitti mondiali o gli epici a n n i d e l l e t ra svo l a te e d e i p ri m a t i .

45


antonio

gallus Un leader delle Frecce Tricolori

Roberto Bassi

L

Ramstein, 30 luglio 1978. Toni Gallus rulla davanti al pubblico al termine dell’esibizione. (Ph. Marco Farè)

a stampa e la bibliografia specializzata italiana hanno celebrato e ricordato nel corso degli anni molti piloti che, con il loro comportamento, le loro imprese o il loro sacrificio, sono assurti al ruolo di eroi durante i due conflitti mondiali o gli epici a n n i d e l l e t ra svo l a te e d e i p ri m a t i .

45


48

GIANCARLO SBURLATI

ARCHIVIO A.M.

6

Rivolto, aprile 1970. Prima foto u ciale del Cap. Antonio Gallus che sarĂ inserita nella brochure del 1970.

AEROFAN | MAR/APR 2019

7

Wiesbaden, 13 giugno 1971. Le Frecce Tricolori sorvolano, nel loro passaggio ďŹ nale, la linea di volo osservati dal duo belga degli Slivers.


7

Wiesbaden, 13 giugno 1971. Le Frecce Tricolori sorvolano, nel loro passaggio finale, la linea di volo osservati dal duo belga degli Slivers.

Il secondo fanalino, ricoperto fino al settembre precedente dal compianto amico Valentino Jansa, chiude il diamante e Antonio Gallus ha modo di vedere sempre davanti a se il danzare ritmico di tutti i G.91 della formazione. Ricopre questo ruolo per 32 manifestazioni fino al 2 giugno 1973 quando, al rientro dal consueto passaggio sui Fori Imperiali, è coinvolto in una collisione in volo con l'amico fraterno Angelo Gays. Questa ha luogo durante una trasformazione nel cielo dell'aeroporto di Pratica di Mare. I due jet entrano in contatto; quello di Gays precipita immediatamente al suolo uccidendo all'istante il giovane pilota piemontese, mentre il G.91 di Gallus vola ancora; il pilota è stordito ma capisce che il velivolo non si sostiene pur dando tutta manetta. Punta il jet verso il mare ma, una volta realizzata l'impossibilità di raggiungerlo, fa uso del seggiolino eiettabile. Pilota e velivolo cadono nella pineta della tenuta presidenziale di Castelporziano. Gallus, con f ratture alle vertebre, viene trovato solo dopo alcune ore da un elicottero dei Carabinieri. Per Antonio inizia un periodo di convalescenza ma la forte fibra lo porta a rientrare in Pattuglia anzitempo, il 7 agosto, riprendendo anche la guida della 540a Squadriglia, una delle due che compongono il 313° Gruppo Addestramento Acrobatico. Gallus riprende il suo posto nella formazione ufficiale solo il 4 novembre successivo durante il sorvolo sul Sacrario di Redipuglia. Nel frattempo il Ten. Col. Zardo, fino a quel momento guida in volo e a terra delle Frecce, decide di lasciare la prima carica.

8

G.91 PAN MM. 6248 impiegato da Gallus per la maggior parte della sua prima stagione da leader nel 1974. La prima esibizione da leader su questo velivolo è stata quella di Biella del 5 maggio.

DISEGNO DI ROBERTO ZANELLA

Rivolto, aprile 1970. Prima foto u ciale del Cap. Antonio Gallus che sarà inserita nella brochure del 1970.

GIANCARLO SBURLATI

ARCHIVIO A.M.

6

Oltre all'addestramento peculiare di pilota intercettore ognitempo, Antonio ama molto il volo acrobatico in formazione e questa disciplina è seguita, in seno al Gruppo, da due ex “Frecce”; Carlo Sabbadini e Franco Panario. Da questa esperienza matura la decisione di Antonio di chiedere di entrare a far parte della Pattuglia Acrobatica Nazionale. Il desiderio viene accolto e il pilota raggiunge negli ultimi giorni di agosto del 1969 la terra friulana. Il 1 settembre 1969 Antonio decolla per la prima volta con il Fiat G.91 (M.M. 6249) dalla base di Rivolto e viene ufficialmente abilitato al pilotaggio dello stesso, dopo dodici missioni, il 22 settembre, giorno del suo trentesimo compleanno; il 31 dicembre è promosso al grado di Capitano. Dopo 52 voli di addestramento all'acrobazia in formazioni sempre crescenti ed impegnativi diviene pilota titolare, nel ruolo di primo gregario sinistro, ed entra a far parte della “Formazione 1970”. Il suo primo impegno ufficiale è il sorvolo sul Palazzetto del Ghiaccio di Ortisei, il 7 febbraio 1970, in occasione della cerimonia di apertura dei Campionati del Mondo di Sci Apino. Il 25 aprile Gallus è ancora nella rosa dei prescelti per quella che sarà la sua prima manifestazione da titolare. I G.91, suddivisi in due sezioni, decollano alla volta di Grazzanise seguiti dallo staff tecnico imbarcato su due C-119 della 46a Aerobrigata. Lui si deve imbarcare sul secondo “ vagone volante” ma, un fortunoso cambio all'ultimo momento, lo salva dalla catastrofe. Il secondo C-119 (M.M. 526019 - 46-86) precipita subito dopo il distacco dalla pista di Rivolto trascinando con se diciassette uomini. Dieci di questi sono specialisti delle Frecce. Il sorvolo sull'Accademia e la prevista manifestazione a Capua vengono cancellati e le Frecce rientrano a casa con il dolore nel cuore. Antonio Gallus riprende il suo posto di gregario sinistro, due giorni dopo, nel diamante che sorvola il mesto corteo funebre che si svolge a Udine. Ma l'esordio in azzurro di Gallus non tarda a venire e il 1 maggio 1970 vola nel cielo di Vergiate incollato all'ala di Piero Purpura. Inizia così l'avventura di Gallus nella “Nazionale del cielo” con un impegno e professionalità sempre più crescenti che lo vedono ricoprire i ruoli sinistri del team fino all'inizio del 1972 quando inizia ad allenarsi per il nuovo ruolo di secondo fanalino.

48

AEROFAN | MAR/APR 2019

AEROFAN | MAR/APR 2019

49


ARCHIVIO A.M.

9

50

AEROFAN | MAR/APR 2019

Rivolto, primavera 1973. I piloti delle Frecce Tricolori posano per le prime foto u ciali della "Formazione 1973". Da sinistra in piedi: Cap. Giordano Senesi, Ten. Pietro Purpura, T.Col. Vittorio Zardo, Cap. Renato Ferrazzutti, Ten. Angelo Boscolo, S.Ten. Assenzio Gaddoni. Accosciati: Magg. Salvatore Caruso, Ten. Giancarlo Bonollo, Cap. Antonio Gallus, Cap. Angelo Gays, S.Ten. Elio Palanca, S.Ten. Sandro Santilli, Ten. Massimo Montanari.

AEROFAN | MAR/APR 2019

51


ARCHIVIO A.M.

9

50

AEROFAN | MAR/APR 2019

Rivolto, primavera 1973. I piloti delle Frecce Tricolori posano per le prime foto u ciali della "Formazione 1973". Da sinistra in piedi: Cap. Giordano Senesi, Ten. Pietro Purpura, T.Col. Vittorio Zardo, Cap. Renato Ferrazzutti, Ten. Angelo Boscolo, S.Ten. Assenzio Gaddoni. Accosciati: Magg. Salvatore Caruso, Ten. Giancarlo Bonollo, Cap. Antonio Gallus, Cap. Angelo Gays, S.Ten. Elio Palanca, S.Ten. Sandro Santilli, Ten. Massimo Montanari.

AEROFAN | MAR/APR 2019

51


il mito di

alisarda Da Venafiorita ai cieli del mondo

Luca Granella

Q

uando si affronta il tema Alisarda, il termine “storia” risulta decisamente riduttivo; con i suoi gloriosi 56 anni di attività, compreso ciò che è stato Meridiana e che oggi è Air Italy, forse sarebbe più opportuno parlare di una splendida favola moderna, come raramente se ne incontrano nel mondo dell’Aviazione.

54

Venafiorita, 1969. Il Fokker F.27 I-SARO fotografato davanti allo storico hangar della compagnia Alisarda. (Ph. Giancarlo Trevisan)


il mito di

alisarda Da Venafiorita ai cieli del mondo

Luca Granella

Q

uando si affronta il tema Alisarda, il termine “storia” risulta decisamente riduttivo; con i suoi gloriosi 56 anni di attività, compreso ciò che è stato Meridiana e che oggi è Air Italy, forse sarebbe più opportuno parlare di una splendida favola moderna, come raramente se ne incontrano nel mondo dell’Aviazione.

54

Venafiorita, 1969. Il Fokker F.27 I-SARO fotografato davanti allo storico hangar della compagnia Alisarda. (Ph. Giancarlo Trevisan)


Il Beech Queen Air 80 I-SARG in livrea Alisarda in una rarissima foto datata luglio 1965.

GIANFRANCO PUSCEDDU

2

3 56

4

5

Nord Aviation N.262 I-SARL appena atterrato a Venafiorita nell’estate 1969. Destinato al mercato dell'aviazione commerciale, il 262 trovò impiego anche in ambito militare, utilizzato come aereo da trasporto tattico e VIP, come aereo da addestramento per la formazione degli equipaggi e nella sorveglianza marittima.

Il Fokker F.27 I-SARQ Alisarda in sosta nel febbraio 1971 sullo scalo di Cagliari Elmas. Il primo prototipo dello F.27, registrato PH-NIV, eettuò il primo volo il 24 Ā novembre 1955. Al termine della produzione erano stati realizzati 793 aerei, 207 dei quali costruiti negli Stati Uniti.

GIANFRANCO PUSCEDDU

Ronchella e composto da Vincenzo Carta, Amministratore Delegato e dai consiglieri Felice Bernardengo e Paolo Ricciardi. La flotta iniziale è formata da due Beechcraft C-45G (I-SARE ed I-SARF), è basata presso l'ex scalo militare di Venafiorita e nel primo anno di attività sono ben 186 i passeggeri che usufruiscono di quella che viene battezzata “La linea aerea del sole”. Il volo inaugurale decolla alla volta di Ciampino il 1° aprile 1964. L'atmosfera di quei primi voli ha il sapore dell'avventura; l'aereo si stacca da terra facendosi largo tra la polvere e le greggi

UBALDO TRIVELLIN

Olbia 1965. La flotta dei Beechraft C45 Alisarda schierata sul piazzale di Venafiorita

Il Nord 262A I-SARP Alisarda in sosta a Vena Fiorita. Si tratta del secondo esemplare entrato in flotta il 21 Aprile 1966.

AEROFAN | MAR/APR 2019

Iniziata la creazione della Costa Smeralda, l'Aga Khan individua nei trasporti un'importante lacuna da colmare. Infatti negli Anni '60 la costa nord-orientale della Sardegna è collegata al Continente esclusivamente via mare, tramite estenuanti e lunghe traversate in traghetto. Il problema viene affrontato e risolto nel 1963 quando l'estro, o meglio, il genio di S. A. l'Aga Khan, all'età di soli 27 anni, dà vita a quella che, dopo un decennio, diventerà una solida realtà dell'aviazione commerciale nazionale. L'idea è quella di costituire una compagnia aerea al servizio dei turisti desiderosi di raggiungere rapidamente la Sardegna per trascorrervi una vacanza. Nasce “Alisarda - Linee aeree della Sardegna”. L'atto costitutivo, redatto il 29 marzo 1963 presso lo studio notarile Gloriani di Roma, sancisce l'elezione eleggendo del primo consiglio di amministrazione presieduto dal Conte Roberto

GIANFRANCO PUSCEDDU

GIANCARLO TREVISAN

1

Il 1961 segna una tappa determinante per la storia della Sardegna, rappresentato da un evento unico nel panorama imprenditoriale internazionale dell'epoca. Il Principe Karim Aga Khan IV sbarca nel nord dell'isola a bordo del suo yacht Zaira accompagnato da Patrick Guinness, che un anno prima aveva acquistato alcuni terreni nella zona. La natura incantata e il panorama stregano a tal punto il Principe da spingerlo ad acquistare egli stesso delle terre investendo la somma, irrisoria per i giorni nostri, di 3 milioni di lire. Il viaggio del giovane Karim prosegue verso Olbia, dove per la prima volta approda ai Monti di Mola. Scortato dallo storico collaboratore ed uomo di fiducia Maitre Andrè Ardoin, nella mente del Principe inizia a farsi strada l'idea di ricreare una nuova Costa Azzurra in quell'angolo di paradiso. Il Principe acquista ulteriori terreni destinati ad ospitare future strutture turistiche di alto livello. Il nome coniato per battezzare questo fazzoletto di isola è Costa Smeralda e, con la creazione dell'omonimo Consorzio nel 1962, iniziano i lavori di edificazione dei primi complessi.

AEROFAN | MAR/APR 2019

57


Il Beech Queen Air 80 I-SARG in livrea Alisarda in una rarissima foto datata luglio 1965.

GIANFRANCO PUSCEDDU

2

3 56

4

5

Nord Aviation N.262 I-SARL appena atterrato a Venafiorita nell’estate 1969. Destinato al mercato dell'aviazione commerciale, il 262 trovò impiego anche in ambito militare, utilizzato come aereo da trasporto tattico e VIP, come aereo da addestramento per la formazione degli equipaggi e nella sorveglianza marittima.

Il Fokker F.27 I-SARQ Alisarda in sosta nel febbraio 1971 sullo scalo di Cagliari Elmas. Il primo prototipo dello F.27, registrato PH-NIV, eettuò il primo volo il 24 Ā novembre 1955. Al termine della produzione erano stati realizzati 793 aerei, 207 dei quali costruiti negli Stati Uniti.

GIANFRANCO PUSCEDDU

Ronchella e composto da Vincenzo Carta, Amministratore Delegato e dai consiglieri Felice Bernardengo e Paolo Ricciardi. La flotta iniziale è formata da due Beechcraft C-45G (I-SARE ed I-SARF), è basata presso l'ex scalo militare di Venafiorita e nel primo anno di attività sono ben 186 i passeggeri che usufruiscono di quella che viene battezzata “La linea aerea del sole”. Il volo inaugurale decolla alla volta di Ciampino il 1° aprile 1964. L'atmosfera di quei primi voli ha il sapore dell'avventura; l'aereo si stacca da terra facendosi largo tra la polvere e le greggi

UBALDO TRIVELLIN

Olbia 1965. La flotta dei Beechraft C45 Alisarda schierata sul piazzale di Venafiorita

Il Nord 262A I-SARP Alisarda in sosta a Vena Fiorita. Si tratta del secondo esemplare entrato in flotta il 21 Aprile 1966.

AEROFAN | MAR/APR 2019

Iniziata la creazione della Costa Smeralda, l'Aga Khan individua nei trasporti un'importante lacuna da colmare. Infatti negli Anni '60 la costa nord-orientale della Sardegna è collegata al Continente esclusivamente via mare, tramite estenuanti e lunghe traversate in traghetto. Il problema viene affrontato e risolto nel 1963 quando l'estro, o meglio, il genio di S. A. l'Aga Khan, all'età di soli 27 anni, dà vita a quella che, dopo un decennio, diventerà una solida realtà dell'aviazione commerciale nazionale. L'idea è quella di costituire una compagnia aerea al servizio dei turisti desiderosi di raggiungere rapidamente la Sardegna per trascorrervi una vacanza. Nasce “Alisarda - Linee aeree della Sardegna”. L'atto costitutivo, redatto il 29 marzo 1963 presso lo studio notarile Gloriani di Roma, sancisce l'elezione eleggendo del primo consiglio di amministrazione presieduto dal Conte Roberto

GIANFRANCO PUSCEDDU

GIANCARLO TREVISAN

1

Il 1961 segna una tappa determinante per la storia della Sardegna, rappresentato da un evento unico nel panorama imprenditoriale internazionale dell'epoca. Il Principe Karim Aga Khan IV sbarca nel nord dell'isola a bordo del suo yacht Zaira accompagnato da Patrick Guinness, che un anno prima aveva acquistato alcuni terreni nella zona. La natura incantata e il panorama stregano a tal punto il Principe da spingerlo ad acquistare egli stesso delle terre investendo la somma, irrisoria per i giorni nostri, di 3 milioni di lire. Il viaggio del giovane Karim prosegue verso Olbia, dove per la prima volta approda ai Monti di Mola. Scortato dallo storico collaboratore ed uomo di fiducia Maitre Andrè Ardoin, nella mente del Principe inizia a farsi strada l'idea di ricreare una nuova Costa Azzurra in quell'angolo di paradiso. Il Principe acquista ulteriori terreni destinati ad ospitare future strutture turistiche di alto livello. Il nome coniato per battezzare questo fazzoletto di isola è Costa Smeralda e, con la creazione dell'omonimo Consorzio nel 1962, iniziano i lavori di edificazione dei primi complessi.

AEROFAN | MAR/APR 2019

57


passeggeri trasportati 1964: 1965: 1966: 1967: 1968: 1969: 1970: 1971: 1972: 1974: 1975: 1976: 1977:

186 252 5.640 14.581 21.000 31.000 50.000 82.000 116.000 155.000 192.000 225.000 258.000

1978: 1979: 1980: 1981: 1982: 1983: 1984: 1985: 1986: 1987: 1988: 1989: 1990:

300.000 426.500 420.000 597.000 722.000 730.000 750.000 770.000 842.000 1.015.000 1.147.406 1.210.000 1.500.000 Il Fokker F.27 I-SARO in decollo dall’aeroporto di Pisa nel 1972

ingresso e uscita aeromobili dalla flotta

LUCIO ALFIERI

BEECHRAFT C45 BEECH QUEENAIR 80 NORD AVIATION N262 FOKKER F.27 DC9/14 DC9/32 DC9/51 AGUSTA BELL AB-412 MD SUPER 82/83

1963-1965 1965-1968 1965-1970 1969-1978 1974-1981 1977-1984 1981-1999 1982-1991 1984-2017

GIANCARLO TREVISAN

10 11

Luglio 1984. Le nuove e sgargianti fusoliere dei Super 82 Alisarda HB-IKK e HB-IKL, in seguito immatricolati I-SMEL e I-SMEM, mentre vengono completate le rifiniture poco prima della consegna finale. Il fascino unico della livrea Alisarda si sposa perfettamente con le forme sinuose dei DC-9 32 e 51 in sosta nel settembre 1982 sui piazzali dell’aeroporto di Olbia Costa Smeralda.

NELLO DI SALVO

Il DC-9/32 HB-IKC Alisarda in rullaggio sullo scalo di Bologna Borgo Panigale

F.27 I-SARO e F.28 PH-MOL fotografati nel 1971 davanti allo storico hangar Alisarda sull’aeroporto di Venafiorita

60

AEROFAN | MAR/APR 2019

GIANCARLO TREVISAN

AEROFAN | MAR/APR 2019

61


passeggeri trasportati 1964: 1965: 1966: 1967: 1968: 1969: 1970: 1971: 1972: 1974: 1975: 1976: 1977:

186 252 5.640 14.581 21.000 31.000 50.000 82.000 116.000 155.000 192.000 225.000 258.000

1978: 1979: 1980: 1981: 1982: 1983: 1984: 1985: 1986: 1987: 1988: 1989: 1990:

300.000 426.500 420.000 597.000 722.000 730.000 750.000 770.000 842.000 1.015.000 1.147.406 1.210.000 1.500.000 Il Fokker F.27 I-SARO in decollo dall’aeroporto di Pisa nel 1972

ingresso e uscita aeromobili dalla flotta

LUCIO ALFIERI

BEECHRAFT C45 BEECH QUEENAIR 80 NORD AVIATION N262 FOKKER F.27 DC9/14 DC9/32 DC9/51 AGUSTA BELL AB-412 MD SUPER 82/83

1963-1965 1965-1968 1965-1970 1969-1978 1974-1981 1977-1984 1981-1999 1982-1991 1984-2017

GIANCARLO TREVISAN

10 11

Luglio 1984. Le nuove e sgargianti fusoliere dei Super 82 Alisarda HB-IKK e HB-IKL, in seguito immatricolati I-SMEL e I-SMEM, mentre vengono completate le rifiniture poco prima della consegna finale. Il fascino unico della livrea Alisarda si sposa perfettamente con le forme sinuose dei DC-9 32 e 51 in sosta nel settembre 1982 sui piazzali dell’aeroporto di Olbia Costa Smeralda.

NELLO DI SALVO

Il DC-9/32 HB-IKC Alisarda in rullaggio sullo scalo di Bologna Borgo Panigale

F.27 I-SARO e F.28 PH-MOL fotografati nel 1971 davanti allo storico hangar Alisarda sull’aeroporto di Venafiorita

60

AEROFAN | MAR/APR 2019

GIANCARLO TREVISAN

AEROFAN | MAR/APR 2019

61


d-day

squadron Un volo epico per commemorare il 75° anniversario dello sbarco in Normandia

Moreno Aguiari

I

l 6 giugno del 1944 gli eserciti alleati degli Stati Uniti, del Regno Unito e del Canada sbarcarono sulle spiagge della Normandia, nel nord della Francia, in quello che è passato alla storia come il “D-Day”: fu una delle più grandi operazioni militari mai realizzate e un punto di svolta della seconda Guerra Mondiale.

62

Quattro degli otto Douglas C-47 che parteciparono alla manifestazione aerea “Thunder Over Michigan” nel 2016. (Ph. Tom Demerly)


d-day

squadron Un volo epico per commemorare il 75° anniversario dello sbarco in Normandia

Moreno Aguiari

I

l 6 giugno del 1944 gli eserciti alleati degli Stati Uniti, del Regno Unito e del Canada sbarcarono sulle spiagge della Normandia, nel nord della Francia, in quello che è passato alla storia come il “D-Day”: fu una delle più grandi operazioni militari mai realizzate e un punto di svolta della seconda Guerra Mondiale.

62

Quattro degli otto Douglas C-47 che parteciparono alla manifestazione aerea “Thunder Over Michigan” nel 2016. (Ph. Tom Demerly)


Giugno del 1944; senza dubbio un aereo dal valore storico inestimabile. Un altro veterano della seconda guerra mondiale che volerà in Normandia è “Hit Or Miss”, operato dall'Italo-americano Ed Franco sull'aeroporto di Zephyrhills in Florida. Questo aero volò durante le operazioni “Market Garden” e “Varsity” assegnato al 52nd Troop Carrier Wing, 315th Troop Carrier Group, 34th Troop Carrier Squadron. Particolare motivo di orgoglio per Ed Franco è che il restauro del velivolo è stato reso possibile grazie a tre giovani diplomati dell'Istituto Malignani di Udine: Andrea Franchi, Davide Barraco e Samuele Cerneaz. Il D-Day Squadron non è solo composto da C-47, infatti gli organizzatori di Daks Over Normandy hanno invitato musei e organizzazioni che operano DC-3 civili. Al momento della stampa di questo articolo, venti tra C-47 e DC-3 hanno confermato la loro partecipazione all'evento. Il piano di volo del D-Day Squadron ripercorrerà la stessa rotta seguita dai C-47 del

US Army Air Corps durante il secondo conflitto mondiale, partendo da Oxford in Connecticut il 18 Maggio per poi passare da Goose Bay in Canada, Narsarsuaq nel sud della Groenlandia, Reykjavik in Islanda, Prestiwick in Scozia per giungere infine in Inghilterra. Daks Over Normandy prenderà il via presso lo storico aeroporto di Duxford nel Cambridgeshire, dove gli Skytrain e i Dakota sosteranno dal 2 al 5 giugno. Il 5 giugno la flotta aerea si dirigerà poi verso la Manica per ricreare la traversata che ebbe luogo durante il D-Day. Atterreranno in Normandia, sull'aeroporto Caen Carpiquet, dove rimarranno fino al 9 giugno. Tutte le giornate saranno ricche di eventi speciali e commemorazioni, e sono destinate a essere uno spettacolo profondamente toccante, soprattutto per coloro che avranno l'occasione di incontrare alcuni dei reduci dello sbarco in Normandia, i quali saranno a disposizione per ricordare quei giorni e interagire con i visitatori.

È facile intuire come la logistica di un'impresa come Daks Over Normandy richieda un'intensa preparazione, per non parlare delle notevoli risorse finanziarie. Il D-Day Squadron, in gran parte gestito da volontari, dipende dai generosi contributi, grandi e piccoli, provenienti da chi comprende il valore della Storia. Conoscere il coraggio e il sacrificio mostrato dai tanti uomini e donne che vissero la seconda Guerra Mondiale aiuta a mantenere vive le loro storie e il loro spirito nel cuore e nella mente di tutti coloro che ne sono partecipi. Ma forse, più importante ancora, si spera che tutto questo possa ispirare le generazioni future a comprendere meglio il proprio ruolo nella società. Ecco perché il D-Day Squadron ha bisogno del sostegno di tutti. Maggiori informazioni e aggiornamenti sull'evento sono disponibili sul sito: www.ddaysquadron.org.

LUIGINO CALIARO

Placid Lassie sarà uno delle circa due dozzine di C-47 mantenuti in condizioni di volo che si uniranno al D-Day Squadron per il volo dall'America all'Europa, e che parteciperanno alla settimana di celebrazione del Daks Over Normandy. Un altro C-47 che parteciperà all'evento è “That's All... Brother” che divenne famoso grazie ad una campagna di raccolta fondi online organizzata dalla Commemorative Air Force nel 2015. L'aereo può essere considerato uno dei più iconici warbird restaurati in condizioni di volo. L’aeroplano venne scoperto per caso da uno storico dell'USAF in un deposito in Wisconsin, quando era in procinto di essere trasformato in un “donatore di ricambi”. Fortunatamente la Commemorative Air Force lo acquistò e nel giro di tre anni lo ha restaurato nei minimi particolari. La particolarità di questo aereo consiste nel fatto che fu il capo formazione dell'armata di circa 800 C-47 che trasportarono i paracadutisti alleati il 6

66

AEROFAN | MAR/APR 2019

AEROFAN | MAR/APR 2019

67


Giugno del 1944; senza dubbio un aereo dal valore storico inestimabile. Un altro veterano della seconda guerra mondiale che volerà in Normandia è “Hit Or Miss”, operato dall'Italo-americano Ed Franco sull'aeroporto di Zephyrhills in Florida. Questo aero volò durante le operazioni “Market Garden” e “Varsity” assegnato al 52nd Troop Carrier Wing, 315th Troop Carrier Group, 34th Troop Carrier Squadron. Particolare motivo di orgoglio per Ed Franco è che il restauro del velivolo è stato reso possibile grazie a tre giovani diplomati dell'Istituto Malignani di Udine: Andrea Franchi, Davide Barraco e Samuele Cerneaz. Il D-Day Squadron non è solo composto da C-47, infatti gli organizzatori di Daks Over Normandy hanno invitato musei e organizzazioni che operano DC-3 civili. Al momento della stampa di questo articolo, venti tra C-47 e DC-3 hanno confermato la loro partecipazione all'evento. Il piano di volo del D-Day Squadron ripercorrerà la stessa rotta seguita dai C-47 del

US Army Air Corps durante il secondo conflitto mondiale, partendo da Oxford in Connecticut il 18 Maggio per poi passare da Goose Bay in Canada, Narsarsuaq nel sud della Groenlandia, Reykjavik in Islanda, Prestiwick in Scozia per giungere infine in Inghilterra. Daks Over Normandy prenderà il via presso lo storico aeroporto di Duxford nel Cambridgeshire, dove gli Skytrain e i Dakota sosteranno dal 2 al 5 giugno. Il 5 giugno la flotta aerea si dirigerà poi verso la Manica per ricreare la traversata che ebbe luogo durante il D-Day. Atterreranno in Normandia, sull'aeroporto Caen Carpiquet, dove rimarranno fino al 9 giugno. Tutte le giornate saranno ricche di eventi speciali e commemorazioni, e sono destinate a essere uno spettacolo profondamente toccante, soprattutto per coloro che avranno l'occasione di incontrare alcuni dei reduci dello sbarco in Normandia, i quali saranno a disposizione per ricordare quei giorni e interagire con i visitatori.

È facile intuire come la logistica di un'impresa come Daks Over Normandy richieda un'intensa preparazione, per non parlare delle notevoli risorse finanziarie. Il D-Day Squadron, in gran parte gestito da volontari, dipende dai generosi contributi, grandi e piccoli, provenienti da chi comprende il valore della Storia. Conoscere il coraggio e il sacrificio mostrato dai tanti uomini e donne che vissero la seconda Guerra Mondiale aiuta a mantenere vive le loro storie e il loro spirito nel cuore e nella mente di tutti coloro che ne sono partecipi. Ma forse, più importante ancora, si spera che tutto questo possa ispirare le generazioni future a comprendere meglio il proprio ruolo nella società. Ecco perché il D-Day Squadron ha bisogno del sostegno di tutti. Maggiori informazioni e aggiornamenti sull'evento sono disponibili sul sito: www.ddaysquadron.org.

LUIGINO CALIARO

Placid Lassie sarà uno delle circa due dozzine di C-47 mantenuti in condizioni di volo che si uniranno al D-Day Squadron per il volo dall'America all'Europa, e che parteciperanno alla settimana di celebrazione del Daks Over Normandy. Un altro C-47 che parteciperà all'evento è “That's All... Brother” che divenne famoso grazie ad una campagna di raccolta fondi online organizzata dalla Commemorative Air Force nel 2015. L'aereo può essere considerato uno dei più iconici warbird restaurati in condizioni di volo. L’aeroplano venne scoperto per caso da uno storico dell'USAF in un deposito in Wisconsin, quando era in procinto di essere trasformato in un “donatore di ricambi”. Fortunatamente la Commemorative Air Force lo acquistò e nel giro di tre anni lo ha restaurato nei minimi particolari. La particolarità di questo aereo consiste nel fatto che fu il capo formazione dell'armata di circa 800 C-47 che trasportarono i paracadutisti alleati il 6

66

AEROFAN | MAR/APR 2019

AEROFAN | MAR/APR 2019

67


il dakota e

“the hump” Uno dei primi ponti aerei della storia Carlo Alberto de Ruvo

N

el dopoguerra quando cadeva un aeroplano si diceva: “È venuto giù un Dakota”. E i pochi che potevano concedersi il lusso di prendere l’aereo, salendo la breve scaletta che li portava in cabina, improvvisamente si rendevano conto che stavano per volare in quella “cosa” con le ali chiamata Dakota.

69


il dakota e

“the hump” Uno dei primi ponti aerei della storia Carlo Alberto de Ruvo

N

el dopoguerra quando cadeva un aeroplano si diceva: “È venuto giù un Dakota”. E i pochi che potevano concedersi il lusso di prendere l’aereo, salendo la breve scaletta che li portava in cabina, improvvisamente si rendevano conto che stavano per volare in quella “cosa” con le ali chiamata Dakota.

69


In effetti non c'era molta scelta: poiché si volava quasi esclusivamente con i Dakota, erano i soli a poter cadere. Nel 1948, le sette (sic!) compagnie aeree italiane che espletavano il trasporto passeggeri nella nostra penisola impiegavano i Dakota, con qualche eccezione costituita da alcuni G.12 e G.212 della Fiat e qualche SM.95 della SIAI Marchetti. Anche nel resto d'Europa la condizione di monopolio del DC-3 era pressoché la stessa, mentre in America a quei tempi volavano anche i Constellation, i DC-4 e gli Stratocruiser. Ma una cosa deve subito essere messa in chiaro: il Dakota è stato un vero capolavoro dell'ingegneria aeronautica americana e i suoi problemi di sicurezza erano originati da chi pilotava che non era ancora riuscito ad assimilare appieno le basi del volo moderno, anche a causa delle scarse attrezzature di radionavigazione e di manutenzione, per non parlare delle scarse informazioni meteorologiche di quegli anni. In realtà quello che noi sbrigativamente chiamiamo “Dakota” è stato il più azzeccato progetto di aereo bimotore da trasporto realizzato dall'industria aeronautica statunitense prima dell'era degli aviogetti. L'USAAF lo designò C-47 Skytrain e C-53 Skytrooper, la US Navy R-4D, mentre per l'impiego civile venne siglato come DC-3. Il nome Dakota gli fu affibbiato dagli inglesi quando, in base alla Legge Affitti e Prestiti, gli americani fornirono quantità industriali dell'aeroplano per contrastare la penuria di mezzi adibiti al trasporto di merci, truppe e paracadutisti. Dakota fu il nomignolo che prevalse su tutti, con il quale l’aeroplano veniva comunemente identificato. E così come oggi la stampa attribuisce ad ogni aereo dell'aviazione generale che subisce un incidente l'appellativo di “Piper”, allora si usava “Dakota”.

Le vicende belliche avevano sparpagliato i Dakota per tutto il mondo e quando non furono più utili ai fini militari risultò evidente che riportarli nei campi di demolizione degli USA sarebbe risultato assai costoso, pertanto il governo americano molti ne regalò e molti ne vendette a basso costo ai paesi che volevano ricostruire un'aviazione civile. Le compagnie italiane che si erano ricostituite a partire dal 1947 ne acquistarono un gran numero che furono ricondizionati da aziende nazionali riverniciandoli, isolando gli interni e fornendoli di sedili. Dotazioni minime ma che li rendevano più accoglienti degli aerei del Servizio Aereo Civile espletato dall'Aeronautica Italiana dal 1945 al 1947 per il quale erano stati impiegati G.12, SM.82 e anche gli S.79 trasformati in trasporti. Derivato direttamente dal DC-2, che volò per la prima volta con i colori della compagnia americana TWA nel maggio del 1934, il DC-3 si differenziava dal predecessore per le maggiori dimensioni di ali e fusoliera, con cappottature motori di forma più aerodinamica secondo le regole della NACA, e la caratteristica deriva incrementata nella superficie per poter meglio compensare la spinta imbardante generata dalla maggior potenza sviluppata dai nuovi motori Twin Wasp R1830, gli stessi montati sui B-24 Liberator, sugli F-4F Wildcat e su molti altri aerei dell'epoca. L'ala aveva una conformazione originale con un bordo di attacco a freccia e si è dimostrata prodigiosa per la sua robustezza. Il fatto che a distanza di oltre settant'anni ci siano ancora aerei di questo tipo in grado di volare dopo un lunghissimo esercizio dimostra che non si sono mai evidenziati fenomeni di fatica. Il suo impianto antighiaccio, molto rustico, con le camere d'aria che si gonfiavano sul bordo d'attacco, era efficientissimo.

1 70

AEROFAN | MAR/APR 2019

Douglas C-47 dell'Air Transport Command americano.

A tal proposito è opportuno ricordare che la stessa sera in cui avvenne il grave incidente all'ATR-42 dell'ATI, precipitato per ghiacciamento delle ali nella conca di Crezzo attorno al lago di Como, a Linate arrivò calmo e tranquillo un DC-3 con a bordo un gruppo di turisti del Nord Europa che era passato senza gravi problemi in quell'inferno di cumulo nembo in cui si era andato a cacciare l'ATR. Il primo esemplare di DC-3 entrò in linea nel 1937 e da allora fu un ininterrotto successo di vendite e di impieghi, sia civili che militari. Se ne costruirono oltre 13.000 dei quali 2.000 su licenza in Unione Sovietica. La maggior parte, oltre 10.000, furono costruiti per impieghi militari. Come era norma nelle progettazioni di quei tempi, il carrello dell'aereo era triciclo posteriore che gli conferiva a terra un aspetto piuttosto cabrato. L'atterraggio, per essere corretto, doveva avvenire sui tre punti; tutte le ruote dovevano toccare contemporaneamente terra. Questo assetto garantiva lo sfruttamento di spazi ristretti per l'esigua corsa di frenata necessaria per arrivare allo stop completo. L'atterraggio su tre punti, però, non si poteva effettuare se i flap erano completamente estesi in quanto l'effetto picchiante di quegli aggeggi era così importante che non si riusciva a correggere neppure dando tutto trim a cabrare. Il decollo poteva avvenire anche partendo dalla posizione cabrata sui tre punti ma ciò era proibito in quanto non permetteva di raggiungere la velocità di sicurezza per il controllo aerodinamico in caso di piantata di uno dei motori. Veniva pertanto imposto di portare l'aereo in posizione orizzontale facendolo sostenere dal carrello principale fino a raggiungere almeno i 95 nodi. A questo punto, se mancava un motore, il decollo poteva continuare tranquillamente, si fa per dire, ed il grosso timone verticale era in grado di controllare la derapata dovuta alla spinta laterale di un solo motore. Le prime versioni dei Pratt & Whitney arrivavano a sviluppare 1.200 CV conferendo al DC-3 una potenza massima complessiva di 2.400 CV contro i 1.500 del DC-2. Il Twin Wasp era munito di turbocompressore all'alimentazione che riusciva a ristabilire gran parte della potenza a quote elevate. Uno dei teatri in cui operò il C-47 nel secondo conflitto mondiale fu quello asiatico di cui molti fatti e personaggi sono conosciuti, come i voli dei caccia P-40 delle Tigri Volanti che combatterono agli ordini del Colonnello Chennault, il Raid del

2

3-4

Il carico di un C-47 viene assicurato nella stiva prima del volo.

Dakota appartenenti alla Royal Air Force inglese.

AEROFAN | MAR/APR 2019

71


In effetti non c'era molta scelta: poiché si volava quasi esclusivamente con i Dakota, erano i soli a poter cadere. Nel 1948, le sette (sic!) compagnie aeree italiane che espletavano il trasporto passeggeri nella nostra penisola impiegavano i Dakota, con qualche eccezione costituita da alcuni G.12 e G.212 della Fiat e qualche SM.95 della SIAI Marchetti. Anche nel resto d'Europa la condizione di monopolio del DC-3 era pressoché la stessa, mentre in America a quei tempi volavano anche i Constellation, i DC-4 e gli Stratocruiser. Ma una cosa deve subito essere messa in chiaro: il Dakota è stato un vero capolavoro dell'ingegneria aeronautica americana e i suoi problemi di sicurezza erano originati da chi pilotava che non era ancora riuscito ad assimilare appieno le basi del volo moderno, anche a causa delle scarse attrezzature di radionavigazione e di manutenzione, per non parlare delle scarse informazioni meteorologiche di quegli anni. In realtà quello che noi sbrigativamente chiamiamo “Dakota” è stato il più azzeccato progetto di aereo bimotore da trasporto realizzato dall'industria aeronautica statunitense prima dell'era degli aviogetti. L'USAAF lo designò C-47 Skytrain e C-53 Skytrooper, la US Navy R-4D, mentre per l'impiego civile venne siglato come DC-3. Il nome Dakota gli fu affibbiato dagli inglesi quando, in base alla Legge Affitti e Prestiti, gli americani fornirono quantità industriali dell'aeroplano per contrastare la penuria di mezzi adibiti al trasporto di merci, truppe e paracadutisti. Dakota fu il nomignolo che prevalse su tutti, con il quale l’aeroplano veniva comunemente identificato. E così come oggi la stampa attribuisce ad ogni aereo dell'aviazione generale che subisce un incidente l'appellativo di “Piper”, allora si usava “Dakota”.

Le vicende belliche avevano sparpagliato i Dakota per tutto il mondo e quando non furono più utili ai fini militari risultò evidente che riportarli nei campi di demolizione degli USA sarebbe risultato assai costoso, pertanto il governo americano molti ne regalò e molti ne vendette a basso costo ai paesi che volevano ricostruire un'aviazione civile. Le compagnie italiane che si erano ricostituite a partire dal 1947 ne acquistarono un gran numero che furono ricondizionati da aziende nazionali riverniciandoli, isolando gli interni e fornendoli di sedili. Dotazioni minime ma che li rendevano più accoglienti degli aerei del Servizio Aereo Civile espletato dall'Aeronautica Italiana dal 1945 al 1947 per il quale erano stati impiegati G.12, SM.82 e anche gli S.79 trasformati in trasporti. Derivato direttamente dal DC-2, che volò per la prima volta con i colori della compagnia americana TWA nel maggio del 1934, il DC-3 si differenziava dal predecessore per le maggiori dimensioni di ali e fusoliera, con cappottature motori di forma più aerodinamica secondo le regole della NACA, e la caratteristica deriva incrementata nella superficie per poter meglio compensare la spinta imbardante generata dalla maggior potenza sviluppata dai nuovi motori Twin Wasp R1830, gli stessi montati sui B-24 Liberator, sugli F-4F Wildcat e su molti altri aerei dell'epoca. L'ala aveva una conformazione originale con un bordo di attacco a freccia e si è dimostrata prodigiosa per la sua robustezza. Il fatto che a distanza di oltre settant'anni ci siano ancora aerei di questo tipo in grado di volare dopo un lunghissimo esercizio dimostra che non si sono mai evidenziati fenomeni di fatica. Il suo impianto antighiaccio, molto rustico, con le camere d'aria che si gonfiavano sul bordo d'attacco, era efficientissimo.

1 70

AEROFAN | MAR/APR 2019

Douglas C-47 dell'Air Transport Command americano.

A tal proposito è opportuno ricordare che la stessa sera in cui avvenne il grave incidente all'ATR-42 dell'ATI, precipitato per ghiacciamento delle ali nella conca di Crezzo attorno al lago di Como, a Linate arrivò calmo e tranquillo un DC-3 con a bordo un gruppo di turisti del Nord Europa che era passato senza gravi problemi in quell'inferno di cumulo nembo in cui si era andato a cacciare l'ATR. Il primo esemplare di DC-3 entrò in linea nel 1937 e da allora fu un ininterrotto successo di vendite e di impieghi, sia civili che militari. Se ne costruirono oltre 13.000 dei quali 2.000 su licenza in Unione Sovietica. La maggior parte, oltre 10.000, furono costruiti per impieghi militari. Come era norma nelle progettazioni di quei tempi, il carrello dell'aereo era triciclo posteriore che gli conferiva a terra un aspetto piuttosto cabrato. L'atterraggio, per essere corretto, doveva avvenire sui tre punti; tutte le ruote dovevano toccare contemporaneamente terra. Questo assetto garantiva lo sfruttamento di spazi ristretti per l'esigua corsa di frenata necessaria per arrivare allo stop completo. L'atterraggio su tre punti, però, non si poteva effettuare se i flap erano completamente estesi in quanto l'effetto picchiante di quegli aggeggi era così importante che non si riusciva a correggere neppure dando tutto trim a cabrare. Il decollo poteva avvenire anche partendo dalla posizione cabrata sui tre punti ma ciò era proibito in quanto non permetteva di raggiungere la velocità di sicurezza per il controllo aerodinamico in caso di piantata di uno dei motori. Veniva pertanto imposto di portare l'aereo in posizione orizzontale facendolo sostenere dal carrello principale fino a raggiungere almeno i 95 nodi. A questo punto, se mancava un motore, il decollo poteva continuare tranquillamente, si fa per dire, ed il grosso timone verticale era in grado di controllare la derapata dovuta alla spinta laterale di un solo motore. Le prime versioni dei Pratt & Whitney arrivavano a sviluppare 1.200 CV conferendo al DC-3 una potenza massima complessiva di 2.400 CV contro i 1.500 del DC-2. Il Twin Wasp era munito di turbocompressore all'alimentazione che riusciva a ristabilire gran parte della potenza a quote elevate. Uno dei teatri in cui operò il C-47 nel secondo conflitto mondiale fu quello asiatico di cui molti fatti e personaggi sono conosciuti, come i voli dei caccia P-40 delle Tigri Volanti che combatterono agli ordini del Colonnello Chennault, il Raid del

2

3-4

Il carico di un C-47 viene assicurato nella stiva prima del volo.

Dakota appartenenti alla Royal Air Force inglese.

AEROFAN | MAR/APR 2019

71


10

Un C-47 della simulazione con una livrea molto simile a quella dell’epoca, anche se non completamente fedele all’originale.

11

Il cockpit della simulazione, decisamente molto fedele al vero.

12

Particolare delle mappe del percorso.

74

AEROFAN | MAR/APR 2019

impedendovi di fare un uso smodato dei motori, pena l'abbrustolimento del tutto. Il volo che proponiamo è stato a suo tempo realizzato da molti soci dell'Associazione Piloti Virtuali Italiani in una sessione Multiplayer di FSX, un volo che simula solo umili azioni di trasporto aereo dai più non conosciute ma che ebbero un'importanza strategica rilevante nella guerra degli Alleati contro i Giapponesi. Per riprodurre questo volo sui simulatori non si avranno a disposizione i vari aeroporti di partenza allora utilizzati, tredici alla partenza sette all'arrivo, poiché erano poco più di campi in erba ora ritornati alla primitiva funzione. Sia su FSX che su P3DV4 si può scegliere come partenza l'aeroporto di Tezu, a 769 piedi di quota, sigla ICAO VETJ. Per ricreare le modalità di volo dell'epoca ci si dovrà cimentare in un bell'esercizio di navigazione stimata in quanto mancavano quasi completamente i radioaiuti; i soli a disposizione erano le stazioni radio commerciali che venivano rilevate dal radiogoniometro a manovella. Lascio a voi immaginare la difficoltà di identificarle, specie quelle che parlavano il cinese. Noi abbiamo un unico riferimento durante la rotta rappresentato dal beacon di Putau, freq. 340, che ha vicino un campo su cui poter atterrare che potrebbe simulare uno di quelli provvisori che erano stati sistemati lungo il percorso in territorio non occupato. In Cina avremo a disposizione l'aeroporto internazionale di Wujiaba, sigla ICAO ZPPP che serve Kunming, che ha un NDB freq. 225 a 21 mn sito ai bordi di un lago che può fare da riferimento. Le piste sono ora interamente asfaltate e di tutto rispetto, allora erano in erba o pietrisco, in India qualcuna era munita di grelle. Il carburante imbarcato deve essere sufficiente anche per il ritorno perché ovviamente era impossibile trovarlo a Kunming. Come ultima chicca, se ne siete in grado, scaricate il meteo del momento ricordandovi che non potete rinunciare al viaggio a causa del brutto tempo. Può darsi che partiate col sereno ma che troviate nebbia dopo aver valicato la prima catena di montagne e che dobbiate passare in nuvola la seconda ed arrivare a Kumming con 1.000 piedi di visibilità orizzontale e 500 verticale. Voi troverete un modo per atterrare modificando le condizioni atmosferiche, i piloti dell'ATC non potevano farlo, ma ci riuscivano lo stesso. Non tutti però.


10

Un C-47 della simulazione con una livrea molto simile a quella dell’epoca, anche se non completamente fedele all’originale.

11

Il cockpit della simulazione, decisamente molto fedele al vero.

12

Particolare delle mappe del percorso.

74

AEROFAN | MAR/APR 2019

impedendovi di fare un uso smodato dei motori, pena l'abbrustolimento del tutto. Il volo che proponiamo è stato a suo tempo realizzato da molti soci dell'Associazione Piloti Virtuali Italiani in una sessione Multiplayer di FSX, un volo che simula solo umili azioni di trasporto aereo dai più non conosciute ma che ebbero un'importanza strategica rilevante nella guerra degli Alleati contro i Giapponesi. Per riprodurre questo volo sui simulatori non si avranno a disposizione i vari aeroporti di partenza allora utilizzati, tredici alla partenza sette all'arrivo, poiché erano poco più di campi in erba ora ritornati alla primitiva funzione. Sia su FSX che su P3DV4 si può scegliere come partenza l'aeroporto di Tezu, a 769 piedi di quota, sigla ICAO VETJ. Per ricreare le modalità di volo dell'epoca ci si dovrà cimentare in un bell'esercizio di navigazione stimata in quanto mancavano quasi completamente i radioaiuti; i soli a disposizione erano le stazioni radio commerciali che venivano rilevate dal radiogoniometro a manovella. Lascio a voi immaginare la difficoltà di identificarle, specie quelle che parlavano il cinese. Noi abbiamo un unico riferimento durante la rotta rappresentato dal beacon di Putau, freq. 340, che ha vicino un campo su cui poter atterrare che potrebbe simulare uno di quelli provvisori che erano stati sistemati lungo il percorso in territorio non occupato. In Cina avremo a disposizione l'aeroporto internazionale di Wujiaba, sigla ICAO ZPPP che serve Kunming, che ha un NDB freq. 225 a 21 mn sito ai bordi di un lago che può fare da riferimento. Le piste sono ora interamente asfaltate e di tutto rispetto, allora erano in erba o pietrisco, in India qualcuna era munita di grelle. Il carburante imbarcato deve essere sufficiente anche per il ritorno perché ovviamente era impossibile trovarlo a Kunming. Come ultima chicca, se ne siete in grado, scaricate il meteo del momento ricordandovi che non potete rinunciare al viaggio a causa del brutto tempo. Può darsi che partiate col sereno ma che troviate nebbia dopo aver valicato la prima catena di montagne e che dobbiate passare in nuvola la seconda ed arrivare a Kumming con 1.000 piedi di visibilità orizzontale e 500 verticale. Voi troverete un modo per atterrare modificando le condizioni atmosferiche, i piloti dell'ATC non potevano farlo, ma ci riuscivano lo stesso. Non tutti però.


Il 18 dicembre 1961 due aerei Douglas C-47 dell’Armada Argentina (CTA-12 e CTA-15 ) al comando del Capitano di Fregata Hermes Quijada decollano da Buenos Aires con destinazione Polo Sud. Dopo uno scalo a Rio Galiziani e sull’aeroporto provvisorio della stazione scientifica Ellsworth, il 6 gennaio 1962 la spedizione raggiunge il Polo, primi argentini a raggiungere l'angolo più lontano del pianeta. Gli aerei vengono riforniti presso la base di Amundsen Scott e ritornano sulla terraferma senza alcun inconveniente.

Il 4 novembre 1942 compiva il primo volo l’idrovolante transatlantico civile Latécoère 631, il più grande mai costruito fino ad allora. Il velivolo fu un insuccesso e si dimostrò inadabile e antieconomico. Ā Cinque degli undici velivoli costruiti furono distrutti in incidenti e uno fu perso durante la seconda guerra mondiale.

Zeltweg, Air Power 2016. Passaggio “full A/B per questo Saab 35 Draken della Flygvapnet svedese. Noto anche come J-35, il Draken è stato il primo aereo scandinavo capace di raggiungere Mach 2 e ha prestato servizio, oltre che in Svezia, nelle aviazioni militari di Austria, Danimarca e Finlandia. (Ph. Giuseppe Caporale)

Pearce Royal Australian AFB, Australia, 1982. Decollo di un Aermacchi MB-326H della Royal Australian Air Force nel corso dell’esercitazione Sandgroper '82.L’Australia è stato uno dei maggiori utilizzatori esteri dell’addestratore disegnato dall’ing. Bazzocchi, con un totale di 97 esemplari ricevuti.

76


Il 18 dicembre 1961 due aerei Douglas C-47 dell’Armada Argentina (CTA-12 e CTA-15 ) al comando del Capitano di Fregata Hermes Quijada decollano da Buenos Aires con destinazione Polo Sud. Dopo uno scalo a Rio Galiziani e sull’aeroporto provvisorio della stazione scientifica Ellsworth, il 6 gennaio 1962 la spedizione raggiunge il Polo, primi argentini a raggiungere l'angolo più lontano del pianeta. Gli aerei vengono riforniti presso la base di Amundsen Scott e ritornano sulla terraferma senza alcun inconveniente.

Il 4 novembre 1942 compiva il primo volo l’idrovolante transatlantico civile Latécoère 631, il più grande mai costruito fino ad allora. Il velivolo fu un insuccesso e si dimostrò inadabile e antieconomico. Ā Cinque degli undici velivoli costruiti furono distrutti in incidenti e uno fu perso durante la seconda guerra mondiale.

Zeltweg, Air Power 2016. Passaggio “full A/B per questo Saab 35 Draken della Flygvapnet svedese. Noto anche come J-35, il Draken è stato il primo aereo scandinavo capace di raggiungere Mach 2 e ha prestato servizio, oltre che in Svezia, nelle aviazioni militari di Austria, Danimarca e Finlandia. (Ph. Giuseppe Caporale)

Pearce Royal Australian AFB, Australia, 1982. Decollo di un Aermacchi MB-326H della Royal Australian Air Force nel corso dell’esercitazione Sandgroper '82.L’Australia è stato uno dei maggiori utilizzatori esteri dell’addestratore disegnato dall’ing. Bazzocchi, con un totale di 97 esemplari ricevuti.

76


Corea, 1953. Il Lieutenant Pierre LaVallee ripreso a bordo di un Douglas AD-4NA Skyraider pronto per il lancio. L’aeroplano apparteneva al Fighter Squadron (VF) 194 imbarcato sulla portaerei Boxer (CVA 21).

Il prototipo del Convair X-6 (NB-36H) durante un volo in formazione con un Boeing B-50 Superfortress, 1955. Il Convair X-6 era un progetto sperimentale per esplorare la fattibilità di utilizzare la propulsione nucleare per i bombardieri strategici. Il progetto prevedeva l'utilizzo di un bombardiere Convair B-36 modificato ma il programma fu cancellato prima che i motori nucleari fossero completati. L'X-6 faceva parte di una più ampia serie di programmi sviluppati dal 1946 al 1961, per un costo complessivo di 7 miliardi di dollari. L’utilizzo di propulsori nucleari avrebbe permesso ai bombardieri di rimanere in volo per settimane senza necessità di rifornimenti, aumentando esponenzialmente il potere deterrente americano.

Un F-104S del 37° Stormo di Trapani-Birgi “scorta” un Piaggio PD-808GE (Guerra Elettronica) del 14° Stormo durante un’esercitazione nel corso degli Anni ‘80. L’Aeronautica Militare utilizzò in totale 8 esemplari di questa versione del bimotore, due dei quali ottenuti per conversione dalla versione TA (Trainer) precedentemente utilizzati per l’addestramento degli equipaggi.

Il Museo Storico del Servizio Aereo della Guardia di Finanza recentemente ha potuto acquisire un altro elicottero per la già vasta collezione presente all'interno della sede distaccata di Pratica di Mare.Nel febbraio dello scorso anno infatti, dopo una lunga trattativa, è stato riportato in Italia l'NH-500M Volpe 49, che nel 1992 era stato ceduto ai maltesi per migliorare il loro dispositivo anticontrabbando. L'elicottero è stato riportato all'antico splendore da un team di restauratori del Museo Storico, che dopo circa due mesi di lavoro ed importanti lavori strutturali e coloristici, lo ha ripristinato in tutte le sue parti, tanto da poter essere considerato idoneo al volo. L'elicottero fece il suo ultimo volo a Malta nel 2004, ed è stato ripristinato con gli stessi esatti colori ed insegne che portò alla fine della sua lunga carriera. Va ricordato che il Volpe 49 è stato il primissimo esemplare di NH-500M del Corpo, nel mese di febbraio è previsto il posizionamento dello stesso all'interno del Museo, in un angolo dedicato al suo impiego sotto le due bandiere. Dopo il Nardi è in lavorazione il Beechraft C45 proveniente dal GAVS Torino che verrà restaurato per rappresentare uno dei velivoli che volavano missioni di ricognizione per la Guardia di Finanza con osservatori del corpo e piloti dell’Aeronautica Militare. Maurizio Di Terlizzi

79


Corea, 1953. Il Lieutenant Pierre LaVallee ripreso a bordo di un Douglas AD-4NA Skyraider pronto per il lancio. L’aeroplano apparteneva al Fighter Squadron (VF) 194 imbarcato sulla portaerei Boxer (CVA 21).

Il prototipo del Convair X-6 (NB-36H) durante un volo in formazione con un Boeing B-50 Superfortress, 1955. Il Convair X-6 era un progetto sperimentale per esplorare la fattibilità di utilizzare la propulsione nucleare per i bombardieri strategici. Il progetto prevedeva l'utilizzo di un bombardiere Convair B-36 modificato ma il programma fu cancellato prima che i motori nucleari fossero completati. L'X-6 faceva parte di una più ampia serie di programmi sviluppati dal 1946 al 1961, per un costo complessivo di 7 miliardi di dollari. L’utilizzo di propulsori nucleari avrebbe permesso ai bombardieri di rimanere in volo per settimane senza necessità di rifornimenti, aumentando esponenzialmente il potere deterrente americano.

Un F-104S del 37° Stormo di Trapani-Birgi “scorta” un Piaggio PD-808GE (Guerra Elettronica) del 14° Stormo durante un’esercitazione nel corso degli Anni ‘80. L’Aeronautica Militare utilizzò in totale 8 esemplari di questa versione del bimotore, due dei quali ottenuti per conversione dalla versione TA (Trainer) precedentemente utilizzati per l’addestramento degli equipaggi.

Il Museo Storico del Servizio Aereo della Guardia di Finanza recentemente ha potuto acquisire un altro elicottero per la già vasta collezione presente all'interno della sede distaccata di Pratica di Mare.Nel febbraio dello scorso anno infatti, dopo una lunga trattativa, è stato riportato in Italia l'NH-500M Volpe 49, che nel 1992 era stato ceduto ai maltesi per migliorare il loro dispositivo anticontrabbando. L'elicottero è stato riportato all'antico splendore da un team di restauratori del Museo Storico, che dopo circa due mesi di lavoro ed importanti lavori strutturali e coloristici, lo ha ripristinato in tutte le sue parti, tanto da poter essere considerato idoneo al volo. L'elicottero fece il suo ultimo volo a Malta nel 2004, ed è stato ripristinato con gli stessi esatti colori ed insegne che portò alla fine della sua lunga carriera. Va ricordato che il Volpe 49 è stato il primissimo esemplare di NH-500M del Corpo, nel mese di febbraio è previsto il posizionamento dello stesso all'interno del Museo, in un angolo dedicato al suo impiego sotto le due bandiere. Dopo il Nardi è in lavorazione il Beechraft C45 proveniente dal GAVS Torino che verrà restaurato per rappresentare uno dei velivoli che volavano missioni di ricognizione per la Guardia di Finanza con osservatori del corpo e piloti dell’Aeronautica Militare. Maurizio Di Terlizzi

79


Antonio Gallus è stato aviatore. Ha speso quasi vent'anni della sua breve vita a rappresentare i colori della nostra patria nei cieli di tutta Europa. È stato un esempio per i suoi subordinati, un capo formazione di altissimo livello dalle grandi doti professionali e di sensibilità. Sono passati tanti anni da quel tragico incidente che lo ha strappato all'ammirazione delle genti e all'aetto dei suoi cari, ed è Ā giunta l'ora, attraverso questo libro, di rendergli un giusto omaggio, ricordando la sua figura di uomo e di aviatore. Un omaggio che lo riconsegni alla memoria delle molte persone distratte dall'inesorabile trascorrere del tempo. Assieme a lui, attraverso un interessante supporto iconografico e documentale, si è voluto anche ricordate tutti i suoi compagni di volo che lo hanno accompagnato nel suo breve, ma entusiasmante, viaggio nei cieli azzurri. Aviani & Aviani Editori

AA.VV.

hu-16a albatross Ad eccezione di un paio di fascicoli degli anni '70 e '80, trovare un libro sull'HU16A in Italia, era impresa impossibile. Aviation Collectables Company ha colmato il vuoto con questo libro, inserito all’interno della collana Italian Aviation Series. Il fascicolo ricalca i precedenti della serie, è composto da 64 pagine più la copertina, è nel classico formato A4 ed è corredato da oltre 110 fotografie che ripercorrono la storia dell'Albatross, dal prototipo all'ultimo volo di un anfibio con le coccarde tricolori. Oltre alla nascita e allo sviluppo dell'HU-16 è presente la descrizione tecnica, precisa ed essenziale. Un capitolo è totalmente dedicato all'impiego dell'Albatross nell’Aeronautica Militare, la nascita del servizio SAR e quindi la formazione del 15° Stormo. Un utile capitolo finale, dedicato ai modellisti, è dedicato al montaggio del kit in scala 1/48 della Trumpeter. Aviation Collectables Company

Luca Granella

alisarda e meridiana Un volo lungo oltre 50 anni

Alisarda, Meridiana, Meridiana Fly, Meridiana, quattro nomi, che percorrono 53 anni di storia. Questo libro ha origine dal progetto “Le Ali della Sardegna” nato nel 2013 anno in cui l'aerolinea fondata dall'Aga Khan ha spento le sue 50 candeline. Gli argomenti trattati ripercorrono l'avventura intrapresa il primo aprile 1963, quando il Beechcraft C-45 Alisarda è decollato per il suo volo inaugurale dalla pista polverosa di Venafiorita. All'interno dei capitoli dedicati alla flotta vengono svelati i segreti e le caratteristiche tecniche degli aerei che hanno volato per il vettore sardo. Le immagini scelte per la galleria fotografica rappresentano un'esclusiva eccezionale, annoverando scatti inediti mai pubblicati sino ad ora che supportando le parole forniscono una cornice ideale ai fatti narrati. IBN Editore

80

ARCHIVIO A.M.

Storia e vita del Ten. Col. pil. Antonio Gallus

ARCHIVIO A.M.

la freccia più prestigiosa

S

LUCIANO PONTOLILLO

Roberto bassi

e vivessimo ancora nell’era della fotografia “analogica” qualcuno, osservando la disposizione dei fumi tricolori nelle foto di questa pagina, potrebbe pensare che il redattore abbia fatto un bel pasticcio con le diapositive girando e rigirando gli originali fino a confondere la destra con la sinistra. Dall’alto in basso possiamo osservate un’immagine delle Frecce quando volavano sui mitici G.91 e due immagini più recenti della pattuglia sugli Aermacchi MB.339, nelle quali qualcosa non torna; i fumi colorati appaiono infatti con il verde a destra nelle prime due immagini e a sinistra nell’ultima. Dopo l’uscita del primo numero di Aerofan abbiamo ricevuto diverse segnalazioni dai lettori che, con un misto tra preoccupazione e divertimento, ci chiedevano come mai avessimo pubblicato “invertita” la foto di copertina dedicata alle Frecce Tricolori. Nessun errore, in realtà. Le Frecce Tricolori volarono inizialmente sui G.91 con i fumi disposti secondo la convenzione che vuole la bandiera con l’asta a sinistra rispetto all’osservatore, dal punto di vista dei piloti. Il verde era quindi appannaggio dei gregari sinistri nella formazione, mentre il rosso di quelli destri. L’adozione nel 1982 dei nuovi aviogetti MB.339 non mutò questa disposizione fino a quando nel 1986 l’allora comandante delle Frecce Ten. Col. Giuseppe Bernardis decise di invertire i colori per far sì che il pubblico vedesse il giusto ordine, verde, bianco e rosso, quando i velivoli si disponevano “in linea di fronte” al pubblico per realizzare la figura denominata “Arizona”. E già che ci siamo, a proposito di fumogeni, ricordiamo che, fatto salvo un esperimento svolto nel 1932, in occasione della 2a Giornata dell'Ala, in Italia i primi ad usare i fumogeni furono i Getti Tonanti (1953-1955) e le Tigri Bianche (1955-1957), seppur soltanto nella presentazione della “bomba”: dalla salita in verticale, all'apertura, all'incrocio e al ricongiungimento. Il composto chimico iniziale, un nebbiogeno a base di cloridrina solforosa più acido solforico, irritava enormemente gli occhi, era tossico da respirare, bucava e sfilacciava le calze e i vestiti di nylon. Al Col. Vittorio Valletta della 5a Aerobrigata (Getti Tonanti, 1959-1960) si deve l'invenzione rivoluzionaria: ottenere il fumogeno dall'olio motore bruciato. Ora la formazione poteva comandare a discrezione l’emissione dei fumi evitando inoltre le controindicazioni date dal nebbiogeno chimico. Con l’arrivo prima degli F-86 e poi dei G.91, dotati di un apposito impianto interno che permetteva l’erogazione dei fumi, la PAN usci definitivamente dal periodo sperimentale e oggi, ormai, consideriamo le fumate colorate dei “339” naturali e per nulla straordinarie. Mistero della copertina di Aerofan numero 1 risolto, dunque. Tutta questa storia, però, ci suggerisce una riflessione su Aerofan, sulla divulgazione storica in generale e sul pericolo dell’oblio; se molti lettori non erano a conoscenza di questa storia, oltre ad essere stato un piacevole caso fortuito poter colmare un vuoto nella “cultura aeronautica” di molti, abbiamo rispettato quella che è la missione principale di Aerofan: ricordare per non dimenticare. Se è vero che ogni fotografia non scattata è un instante della nostra vita perso per sempre, ciò è altrettanto vero per ogni storia non raccontata. Perché ciò che oggi sappiamo noi e sembra a noi ovvio, lo sarà sempre meno per chi verrà dopo , se nessuno lo appunterà da qualche parte. L.P.

81


Antonio Gallus è stato aviatore. Ha speso quasi vent'anni della sua breve vita a rappresentare i colori della nostra patria nei cieli di tutta Europa. È stato un esempio per i suoi subordinati, un capo formazione di altissimo livello dalle grandi doti professionali e di sensibilità. Sono passati tanti anni da quel tragico incidente che lo ha strappato all'ammirazione delle genti e all'aetto dei suoi cari, ed è Ā giunta l'ora, attraverso questo libro, di rendergli un giusto omaggio, ricordando la sua figura di uomo e di aviatore. Un omaggio che lo riconsegni alla memoria delle molte persone distratte dall'inesorabile trascorrere del tempo. Assieme a lui, attraverso un interessante supporto iconografico e documentale, si è voluto anche ricordate tutti i suoi compagni di volo che lo hanno accompagnato nel suo breve, ma entusiasmante, viaggio nei cieli azzurri. Aviani & Aviani Editori

AA.VV.

hu-16a albatross Ad eccezione di un paio di fascicoli degli anni '70 e '80, trovare un libro sull'HU16A in Italia, era impresa impossibile. Aviation Collectables Company ha colmato il vuoto con questo libro, inserito all’interno della collana Italian Aviation Series. Il fascicolo ricalca i precedenti della serie, è composto da 64 pagine più la copertina, è nel classico formato A4 ed è corredato da oltre 110 fotografie che ripercorrono la storia dell'Albatross, dal prototipo all'ultimo volo di un anfibio con le coccarde tricolori. Oltre alla nascita e allo sviluppo dell'HU-16 è presente la descrizione tecnica, precisa ed essenziale. Un capitolo è totalmente dedicato all'impiego dell'Albatross nell’Aeronautica Militare, la nascita del servizio SAR e quindi la formazione del 15° Stormo. Un utile capitolo finale, dedicato ai modellisti, è dedicato al montaggio del kit in scala 1/48 della Trumpeter. Aviation Collectables Company

Luca Granella

alisarda e meridiana Un volo lungo oltre 50 anni

Alisarda, Meridiana, Meridiana Fly, Meridiana, quattro nomi, che percorrono 53 anni di storia. Questo libro ha origine dal progetto “Le Ali della Sardegna” nato nel 2013 anno in cui l'aerolinea fondata dall'Aga Khan ha spento le sue 50 candeline. Gli argomenti trattati ripercorrono l'avventura intrapresa il primo aprile 1963, quando il Beechcraft C-45 Alisarda è decollato per il suo volo inaugurale dalla pista polverosa di Venafiorita. All'interno dei capitoli dedicati alla flotta vengono svelati i segreti e le caratteristiche tecniche degli aerei che hanno volato per il vettore sardo. Le immagini scelte per la galleria fotografica rappresentano un'esclusiva eccezionale, annoverando scatti inediti mai pubblicati sino ad ora che supportando le parole forniscono una cornice ideale ai fatti narrati. IBN Editore

80

ARCHIVIO A.M.

Storia e vita del Ten. Col. pil. Antonio Gallus

ARCHIVIO A.M.

la freccia più prestigiosa

S

LUCIANO PONTOLILLO

Roberto bassi

e vivessimo ancora nell’era della fotografia “analogica” qualcuno, osservando la disposizione dei fumi tricolori nelle foto di questa pagina, potrebbe pensare che il redattore abbia fatto un bel pasticcio con le diapositive girando e rigirando gli originali fino a confondere la destra con la sinistra. Dall’alto in basso possiamo osservate un’immagine delle Frecce quando volavano sui mitici G.91 e due immagini più recenti della pattuglia sugli Aermacchi MB.339, nelle quali qualcosa non torna; i fumi colorati appaiono infatti con il verde a destra nelle prime due immagini e a sinistra nell’ultima. Dopo l’uscita del primo numero di Aerofan abbiamo ricevuto diverse segnalazioni dai lettori che, con un misto tra preoccupazione e divertimento, ci chiedevano come mai avessimo pubblicato “invertita” la foto di copertina dedicata alle Frecce Tricolori. Nessun errore, in realtà. Le Frecce Tricolori volarono inizialmente sui G.91 con i fumi disposti secondo la convenzione che vuole la bandiera con l’asta a sinistra rispetto all’osservatore, dal punto di vista dei piloti. Il verde era quindi appannaggio dei gregari sinistri nella formazione, mentre il rosso di quelli destri. L’adozione nel 1982 dei nuovi aviogetti MB.339 non mutò questa disposizione fino a quando nel 1986 l’allora comandante delle Frecce Ten. Col. Giuseppe Bernardis decise di invertire i colori per far sì che il pubblico vedesse il giusto ordine, verde, bianco e rosso, quando i velivoli si disponevano “in linea di fronte” al pubblico per realizzare la figura denominata “Arizona”. E già che ci siamo, a proposito di fumogeni, ricordiamo che, fatto salvo un esperimento svolto nel 1932, in occasione della 2a Giornata dell'Ala, in Italia i primi ad usare i fumogeni furono i Getti Tonanti (1953-1955) e le Tigri Bianche (1955-1957), seppur soltanto nella presentazione della “bomba”: dalla salita in verticale, all'apertura, all'incrocio e al ricongiungimento. Il composto chimico iniziale, un nebbiogeno a base di cloridrina solforosa più acido solforico, irritava enormemente gli occhi, era tossico da respirare, bucava e sfilacciava le calze e i vestiti di nylon. Al Col. Vittorio Valletta della 5a Aerobrigata (Getti Tonanti, 1959-1960) si deve l'invenzione rivoluzionaria: ottenere il fumogeno dall'olio motore bruciato. Ora la formazione poteva comandare a discrezione l’emissione dei fumi evitando inoltre le controindicazioni date dal nebbiogeno chimico. Con l’arrivo prima degli F-86 e poi dei G.91, dotati di un apposito impianto interno che permetteva l’erogazione dei fumi, la PAN usci definitivamente dal periodo sperimentale e oggi, ormai, consideriamo le fumate colorate dei “339” naturali e per nulla straordinarie. Mistero della copertina di Aerofan numero 1 risolto, dunque. Tutta questa storia, però, ci suggerisce una riflessione su Aerofan, sulla divulgazione storica in generale e sul pericolo dell’oblio; se molti lettori non erano a conoscenza di questa storia, oltre ad essere stato un piacevole caso fortuito poter colmare un vuoto nella “cultura aeronautica” di molti, abbiamo rispettato quella che è la missione principale di Aerofan: ricordare per non dimenticare. Se è vero che ogni fotografia non scattata è un instante della nostra vita perso per sempre, ciò è altrettanto vero per ogni storia non raccontata. Perché ciò che oggi sappiamo noi e sembra a noi ovvio, lo sarà sempre meno per chi verrà dopo , se nessuno lo appunterà da qualche parte. L.P.

81


Numero 2 | Marzo/Aprile 2019 Direttore Responsabile Luciano Pontolillo Consulente Storico Giorgio Apostolo Coordinamento Editoriale Roberta Di Grande Comitato di Redazione Moreno Aguiari, Luigino Caliaro, Massimo Dominelli. Hanno collaborato a questo numero Moreno Aguiari, John Aimo, Piero Albisino, Lucio Alfieri, Roberto Bassi, Sylvie Bergès, Gian Gabriele Caccia, Giuseppe Caporale, Roberto Cimarosti, Mauro Cini, Virginie Claverie-Lumalé, Massimo Coccellato, Claudio Col, Carlo Alberto de Ruvo, Marco D’intino, Nello Di Salvo, Maurizio Di Terlizzi, Marco Farè, Paolo Gianvanni, Luca Granella, Pietro Mazzardi, Loris Meneghini, Giovanni Merigo, Paolo Monti, Gianfranco Pusceddu, Giancarlo Sburlati, Bruno Servadei, Claudio Toselli, Giancarlo Trevisan, Ubaldo Trivellin, Richard Ulrich, Roberto Zanella. Prezzo di copertina 12€ (arretrati 18€) Abbonamento 12 mesi (Italia) “Legno e Tela”: 59€ | “Acciaio”: 69€ “Alluminio”: 89€ | “Titanio”: 109€ Commercializzazione e Pubblicità Luckyplane S.n.c. tel. 351.976.7171 | aerofan@luckyplane.it

E molto altro ancora... A maggio in edicola e sul nostro sito www.luckyplane.it

Redazione e Amministrazione viale F. Petrarca 37/a 20078 San Colombano al Lambro (MI) Tel. 339.78.10.154 Concessionaria per la distribuzione SO.DI.P. “Angelo Patuzzi” S.p.a. via Bettola 18 | 20092 Cinisello Balsamo (MI) Tel. 02.660301 Stampa Grafiche Wanda S.r.l. | Quinto Vicentino (VI)

Aerofan è una pubblicazione

Luckyplane S.n.c. di Roberta Di Grande e Luciano Pontolillo Edizioni Aeronautiche & Comunicazione Visiva

viale Petrarca 37/A | 20078 S. Colombano al Lambro (MI) C.F. | P.IVA: 10364630961

www.luckyplane.it - info@luckyplane.it Realizzato in Italia

© 2019 Luckyplane S.n.c. - tutti i diritti riservati Periodico bimestrale ISSN 2611-996X registrazione Tribunale di Lodi n. 5/2018 del 20/09/2018 registrazione R.O.C. n. 32035 del 27/09/2018 Servizio Clienti | Abbonamenti Tel. 351.976.7171 - Email: aerofan@luckyplane.it

Le gallerie fotografiche, gli approfondimenti e i contenuti esclusivi del numero 2

Riproduzione vietata è vietato riprodurre testi e illustrazioni con qualsiasi mezzo senza l’autorizzazione scritta dell’Editore. La Direzione si riserva di apportare modifiche ai testi per esigenze editoriali. Le opinioni espresse negli articoli non corrispondono necessariamente a quelle della Luckyplane S.n.c. Ove necessario, si è provveduto con la richiesta di autorizzazione all’uso del materiale iconografico da parte degli aventi diritto. Nel caso in cui questi siano risultati irreperibili, l’Editore resta a disposizione per regolare eventuali spettanze.


il nuovo libro di Luigino Caliaro

disponibile sul sito www.luckyplane.it ordinabile telefonicamente al 351.976.7171 per maggiori info: edizioni@luckyplane.it scopri di piĂš

sfoglia il libro


o r e m to nu

s e u q In un tuono nei cieli italiani

siai marchetti sv-20

Storie di cacciabombardieri e di allarmi atomici

L’elicottero che non decollò da Sesto Calende

have blue

antonio gallus

Quando gli aerei diventarono invisibili

Un leader delle Frecce Tricolori

skyblazers

il mito di alisarda

Gli ambasciatori dell’USAF Europe

Da Venafiorita ai cieli del mondo

grumman hu-16 mare 6

d-day squadron

Un Albatross fortunato

Un volo epico per commemorare il 75° anniversario dello sbarco in Normandia

la scuola di volo della s.i.s.a.

il dakota e “the hump”

Lo sviluppo dell’aviazione negli Anni ‘20

Uno dei primi ponti aerei della storia

il mustang del lago di garda

l’album di aerofan

Incidente, ritrovamento e recupero di un P-51D del 2° Stormo

Le foto e la storia


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.