Aerofan #4

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Anno 1 | Numero 4 | Lug./Ago. 2019 | € 12,00

PERIODICO BIMESTRALE - P.I. 01/07/2019 spedizione in abbonamento postale Comma 26, Art. 2, Legge 549/95

LA RIVISTA ITALIANA DI STORIA E TECNICA AERONAUTICA

le scuole di volo alitalia L’eccellenza nell’addestramento dei nuovi piloti

air force one Tutti gli aerei del Presidente

LA SERENISSIMA

Nel 1917 nasce la 87a Squadriglia


Signori, a bordo! il nuovo libro di Luigino Caliaro dedicato alla storia delle compagnie aeree italiane

contattaci infoline: 351.976.71.71 aerofan@luckyplane.it

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Formato 24x28 cm, 240 pagine, oltre 300 fotografie

Disponibile sul nostro sito e nelle migliori librerie specializzate www.luckyplane.it


E

siamo arrivati al numero 4. Un numero particolare perché è quello che vi accompagnerà in vacanza, per chi appartiene alla categoria dei fortunati che d’estate vanno in vacanza. Noi invece resteremo in città a vigilare e, soprattutto, a preparare il numero 5 in uscita a settembre. Così, tanto per farvi sentire un po’ in colpa... Detto questo, veniamo ai contenuti della rivista che avete tra le mani, che c’è molto da dire. Cominciamo con l’articolo di apertura, che ripercorre le vicende delle Scuole di Volo Alitalia di Brindisi e Alghero, quando lo sviluppo del trasporto aereo civile sembrava non dovesse avere fine e i piloti non bastavano mai. Un periodo felice per le industrie aeronautiche italiane che vantavano una serie di prodotti LA RIVISTA ITALIANA DI STORIA E TECNICA AERONAUTICA unici e - forse - irripetibili come l’Aermacchi MB.326 di Bazzocchi e il Siai Marchetti SF-260 di Frati; due aeroplani disegnati ancora da un ingegnere davanti ad un tecnigrafo e non da un team di progettisti coadiuvati dai programmi CAD come ormai siamo abituati oggi. Ecco, ben lontano da qualsiasi polemica sullo stato attuale della compagnia di bandiera, l’articolo è un puro riconoscimento di un passato glorioso, di una pagina di storia degna di essere ricordata. E, a proposito di gloria, in questo numero raccontiamo la storia della famosa 87a Squadriglia, la “Serenissima”, indissolubilmente legata a D’Annunzio e al volo su Vienna del 1918. Andiamo quindi in volo a fianco del Messerschmitt Me 262, il primo caccia a reazione operativo della storia che, grazie all’intraprendenza dei “warbird lovers” americani, oggi rivive attraverso la ricostruzione di fedeli repliche volanti, e raccontiamo l’evoluzione degli aerei presidenziali americani passati da semplici mezzi di trasporto a vero e proprio centro operativo d’emergenza oltre che simbolo della potenza statunitense. Completano questo numero gli articoli sull’aeroporto di Alghero e l’analisi del film “I tre aquilotti”, senza dimenticare un breve report sul Museo Volante Marchi Sorlini che il 2 giugno scorso ha aperto le porte al pubblico per una meravigliosa giornata di SIAI Marchetti SF-260C e Piaggio sole e eliche storiche. P.166DL-3 appartenenti alla Scuola di Quarta uscita anche per l’inserto interno “Storie di ali italiane”, che in questo numero ci Volo Alitalia di Alghero all’inizio degli Anni ‘80. racconta la storia sfortunata del dirigibile Roma e, attraverso uno studio reso difficile dalle scarne informazioni disponibili in merito, la cronologia delle vicende belliche intorno all’aeroporto di Torino Caselle durante la Seconda Guerra Mondiale. Augurando una fantastica Estate a tutti Voi, ci preme ricordarvi naturalmente di bere molto e di non uscire nelle ore più calde ma, soprattutto, di leggere tanto, di volare al bisogno, e di non smettere mai di sognare. Buona lettura e ricordate: volare è impossibile!

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Luciano Pontolillo

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58

aeroporto militare alghero L’avamposto Nord della Sardegna

7

69

le scuole di volo alitalia

i tre aquilotti

L’eccellenza nell’addestramento dei nuovi piloti

...e gira, gira l'elica, romba il motor questa è la vita bella, la bella vita dell'aviator...

20

la serenissima Nel 1917 nasce la 87a Squadriglia

33

messerschmitt me 262 La rondine della Luftwa e

45

air force one Tutti gli aerei del Presidente

inserto speciale

74

storie di ali italiane

MUSEO VOLANTE

- Dirigibile Roma - Bombe su Caselle -

Il 2 giugno la collezione Marchi Sorlini ha aperto le porte al pubblico

4


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aeroporto militare alghero L’avamposto Nord della Sardegna

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69

le scuole di volo alitalia

i tre aquilotti

L’eccellenza nell’addestramento dei nuovi piloti

...e gira, gira l'elica, romba il motor questa è la vita bella, la bella vita dell'aviator...

20

la serenissima Nel 1917 nasce la 87a Squadriglia

33

messerschmitt me 262 La rondine della Luftwa e

45

air force one Tutti gli aerei del Presidente

inserto speciale

74

storie di ali italiane

MUSEO VOLANTE

- Dirigibile Roma - Bombe su Caselle -

Il 2 giugno la collezione Marchi Sorlini ha aperto le porte al pubblico

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lE scuole di volo

alitalia L’eccellenza nell’addestramento dei nuovi piloti

Luigino Caliaro

A

Siai Marchetti SF-260C “Città di Oristano” fotografato a Malpensa davanti all’imponente Boeing 747 dell’Alitalia, prima della consegna ufficiale alla scuola di volo di Alghero della compagnia di bandiera.

l termine della seconda Guerra Mondiale, per far fronte alle crescenti richieste di piloti e personale tecnico, molte Compagnie Aeree di nuova costituzione riorganizzarono le attività addestrative del proprio personale di volo sottoscrivendo accordi con le compagnie di al tri Paesi europei.

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lE scuole di volo

alitalia L’eccellenza nell’addestramento dei nuovi piloti

Luigino Caliaro

A

Siai Marchetti SF-260C “Città di Oristano” fotografato a Malpensa davanti all’imponente Boeing 747 dell’Alitalia, prima della consegna ufficiale alla scuola di volo di Alghero della compagnia di bandiera.

l termine della seconda Guerra Mondiale, per far fronte alle crescenti richieste di piloti e personale tecnico, molte Compagnie Aeree di nuova costituzione riorganizzarono le attività addestrative del proprio personale di volo sottoscrivendo accordi con le compagnie di al tri Paesi europei.

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brevetto di volo non era considerato elemento preferenziale, poiché si riteneva che il candidato potesse aver acquisito, nel suo percorso di pilota di Aeroclub, una mentalità non in sintonia con le necessità del volo civile di linea. Superate le selezioni e prima di approdare al corso di volo di Brindisi, gli allievi dovevano frequentare il corso teorico presso il Centro Addestramento Alitalia, dove venivano impartite lezioni su materie specifiche come aerotecnica, propulsori aeronautici, impianti di bordo, diritto aeronautico, traffico aereo, medicina aeronautica, navigazione aerea, strumenti di bordo e meteorologia oltre che lingua inglese. Le lezioni teoriche duravano sei ore giornaliere ma erano anche previste sessioni di navigazione usando link trainer e alcune missioni di “ambientamento” con il simulatore di volo del DC8/43 e del turboelica Viscount 785. La direzione iniziale della Scuola fu affidata al Com. Vernetti mentre gli istruttori di volo, compreso il capopilota Com. Alonzo, erano tutti ex piloti militari assunti appositamente dall’Alitalia per le attività della scuola senza abilitazione su aeromobili di linea. Non a caso nel corso degli anni, si verificarono alcuni casi di istruttori che al termine del contratto con l’Alitalia preferirono rientrare in servizio con l’Aeronautica piuttosto che transitare definitivamente nella Compagnia di bandiera. Il personale tecnico di Brindisi invece era totalmente Alitalia e addestrato presso la Aermacchi che, come per la Bristol Siddeley produttrice del motore Viper, assegnò a Brindisi un proprio rappresentante tecnico. Il primo corso ebbe inizio nel febbraio 1963 e, con la necessità di gestire in maniera efficiente e più razionale il nuovo processo addestrativo, i 105 allievi selezionati furono distribuiti e scaglionati secondo la graduatoria di ammissione in tre corsi di 35 allievi ciascuno. Per questo motivo il primo corso ebbe un percorso leggermente diverso dagli altri, sostenendo l’addestramento teorico a Fiumicino in due fasi: la prima, della durata di quattro

mesi per fornire le basi per affrontare l'attività di volo; la seconda, dopo aver effettuato a Brindisi una sessantina di missioni, finalizzata alla preparazione teorica per il conseguimento del brevetto di pilota professionista, al termine della quale gli allievi ritornarono a Brindisi per il conseguimento del brevetto di pilota di 3° grado e l’abilitazione strumentale, volando ulteriori 20 missioni. Per i corsi successivi la parte teorica venne invece effettuata in maniera continuativa prima della fase di volo. La selezione fu particolarmente rigida e dei 105 allievi frequentanti i primi corsi solo 48 si brevettarono alla fine dell'intero iter addestrativo che durava circa 18 mesi. L’attività di volo della Scuola prevedeva un minimo di 80 missioni della durata di un’ora ciascuna per allievo, delle quali 68 con l’istruttore a doppio comando e 12 da “solista”, come previsto da normativa ministeriale per il rilascio del brevetto di 3° grado. Potevano esserci delle proroghe in relazione alle capacità del singolo allievo, ma erano sempre piuttosto limitate. Il decollo da solista era previsto alla diciottesima missione. Erano inoltre previste missioni diurne e notturne, oltre che missioni di navigazione con atterraggi fuori sede, effettuati normalmente a Lecce Galatina, sede della Scuola di Volo dell’Aeronautica Militare. La giornata tipo prevedeva almeno un volo al giorno preceduto da un’ora di dettagliato briefing e seguito dal de-briefing. Le missioni effettuate a doppio comando prevedevano tutte le manovre di volo tipiche di un jet militare: stalli, viti, acrobazia (nonostante quest’ultima non rientrasse nell’esame finale), compressibilità (stallo di alta velocità o buffet), spegnimento e riaccensione motore in volo, atterraggi simulati (avaria motore) e senza flaps, ecc. Queste attività venivano inoltre affiancate da un addestramento più specifico per la “linea”, che dava maggior risalto alla precisione della condotta, composto essenzialmente da navigazione e volo strumentale. Al termine del corso di Brindisi, il neo pilota veniva

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8 inserito in Compagnia come da prassi normale, cioè navigatore sul DC-8, terzo pilota sul Caravelle oppure copilota sul Viscount e inviato al rispettivo corso di transizione sul velivolo designato della durata di circa quattro mesi. Alla fine del corso (nessun pilota della scuola di Brindisi ha mai fallito il passaggio macchina iniziale) il pilota veniva assunto formalmente, proseguendo poi la carriera secondo le normali regole di compagnia. Nel corso degli anni di attività della Scuola, l’Aermacchi MB.326D si dimostrò una macchina più che valida, unendo ottime prestazioni ad un’elevatissima affidabilità.

9

I Thunderstreak della 51° Aerobrigata erano abituali “visitatori” del bellissimo paesaggio delle Dolomiti.

Lo MB.326D I-ADIA, c/n 6291/61, fu il primo dei quattro velivoli ad essere consegnato all’Alitalia, il 27 maggio 1963. Precipitò il 12 dicembre 1966 presso San Pietro Vernotico durante un volo notturno da solista, con la perdita di un allievo del 9°Corso. Nella fotografia è visibile la tendina utilizzata per l’addestramento al volo strumentale.

MB.326D I-ADIU, c/n 6294/64, aeroplano consegnato il 16 luglio 1963.

Gruppo di allievi in posa davanti alla linea di volo di Brindisi.

LUG/AGO 2019 | AEROFAN

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brevetto di volo non era considerato elemento preferenziale, poiché si riteneva che il candidato potesse aver acquisito, nel suo percorso di pilota di Aeroclub, una mentalità non in sintonia con le necessità del volo civile di linea. Superate le selezioni e prima di approdare al corso di volo di Brindisi, gli allievi dovevano frequentare il corso teorico presso il Centro Addestramento Alitalia, dove venivano impartite lezioni su materie specifiche come aerotecnica, propulsori aeronautici, impianti di bordo, diritto aeronautico, traffico aereo, medicina aeronautica, navigazione aerea, strumenti di bordo e meteorologia oltre che lingua inglese. Le lezioni teoriche duravano sei ore giornaliere ma erano anche previste sessioni di navigazione usando link trainer e alcune missioni di “ambientamento” con il simulatore di volo del DC8/43 e del turboelica Viscount 785. La direzione iniziale della Scuola fu affidata al Com. Vernetti mentre gli istruttori di volo, compreso il capopilota Com. Alonzo, erano tutti ex piloti militari assunti appositamente dall’Alitalia per le attività della scuola senza abilitazione su aeromobili di linea. Non a caso nel corso degli anni, si verificarono alcuni casi di istruttori che al termine del contratto con l’Alitalia preferirono rientrare in servizio con l’Aeronautica piuttosto che transitare definitivamente nella Compagnia di bandiera. Il personale tecnico di Brindisi invece era totalmente Alitalia e addestrato presso la Aermacchi che, come per la Bristol Siddeley produttrice del motore Viper, assegnò a Brindisi un proprio rappresentante tecnico. Il primo corso ebbe inizio nel febbraio 1963 e, con la necessità di gestire in maniera efficiente e più razionale il nuovo processo addestrativo, i 105 allievi selezionati furono distribuiti e scaglionati secondo la graduatoria di ammissione in tre corsi di 35 allievi ciascuno. Per questo motivo il primo corso ebbe un percorso leggermente diverso dagli altri, sostenendo l’addestramento teorico a Fiumicino in due fasi: la prima, della durata di quattro

mesi per fornire le basi per affrontare l'attività di volo; la seconda, dopo aver effettuato a Brindisi una sessantina di missioni, finalizzata alla preparazione teorica per il conseguimento del brevetto di pilota professionista, al termine della quale gli allievi ritornarono a Brindisi per il conseguimento del brevetto di pilota di 3° grado e l’abilitazione strumentale, volando ulteriori 20 missioni. Per i corsi successivi la parte teorica venne invece effettuata in maniera continuativa prima della fase di volo. La selezione fu particolarmente rigida e dei 105 allievi frequentanti i primi corsi solo 48 si brevettarono alla fine dell'intero iter addestrativo che durava circa 18 mesi. L’attività di volo della Scuola prevedeva un minimo di 80 missioni della durata di un’ora ciascuna per allievo, delle quali 68 con l’istruttore a doppio comando e 12 da “solista”, come previsto da normativa ministeriale per il rilascio del brevetto di 3° grado. Potevano esserci delle proroghe in relazione alle capacità del singolo allievo, ma erano sempre piuttosto limitate. Il decollo da solista era previsto alla diciottesima missione. Erano inoltre previste missioni diurne e notturne, oltre che missioni di navigazione con atterraggi fuori sede, effettuati normalmente a Lecce Galatina, sede della Scuola di Volo dell’Aeronautica Militare. La giornata tipo prevedeva almeno un volo al giorno preceduto da un’ora di dettagliato briefing e seguito dal de-briefing. Le missioni effettuate a doppio comando prevedevano tutte le manovre di volo tipiche di un jet militare: stalli, viti, acrobazia (nonostante quest’ultima non rientrasse nell’esame finale), compressibilità (stallo di alta velocità o buffet), spegnimento e riaccensione motore in volo, atterraggi simulati (avaria motore) e senza flaps, ecc. Queste attività venivano inoltre affiancate da un addestramento più specifico per la “linea”, che dava maggior risalto alla precisione della condotta, composto essenzialmente da navigazione e volo strumentale. Al termine del corso di Brindisi, il neo pilota veniva

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8 inserito in Compagnia come da prassi normale, cioè navigatore sul DC-8, terzo pilota sul Caravelle oppure copilota sul Viscount e inviato al rispettivo corso di transizione sul velivolo designato della durata di circa quattro mesi. Alla fine del corso (nessun pilota della scuola di Brindisi ha mai fallito il passaggio macchina iniziale) il pilota veniva assunto formalmente, proseguendo poi la carriera secondo le normali regole di compagnia. Nel corso degli anni di attività della Scuola, l’Aermacchi MB.326D si dimostrò una macchina più che valida, unendo ottime prestazioni ad un’elevatissima affidabilità.

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I Thunderstreak della 51° Aerobrigata erano abituali “visitatori” del bellissimo paesaggio delle Dolomiti.

Lo MB.326D I-ADIA, c/n 6291/61, fu il primo dei quattro velivoli ad essere consegnato all’Alitalia, il 27 maggio 1963. Precipitò il 12 dicembre 1966 presso San Pietro Vernotico durante un volo notturno da solista, con la perdita di un allievo del 9°Corso. Nella fotografia è visibile la tendina utilizzata per l’addestramento al volo strumentale.

MB.326D I-ADIU, c/n 6294/64, aeroplano consegnato il 16 luglio 1963.

Gruppo di allievi in posa davanti alla linea di volo di Brindisi.

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La professionalità degli istruttori e l’affidabilità degli aerei permisero anche di ottenere ottimi risultati nel campo della sicurezza volo e, a parte un atterraggio senza carrello, il solo MB.326D I-ADIA rimase distrutto in un incidente con la perdita del pilota. Nonostante i buoni risultati ottenuti nella decina di corsi organizzati a Brindisi, con oltre 20.000 ore volate e più di 200 piloti qualificati, nel 1967 l’Alitalia decise la sospensione dei corsi e la chiusura della scuola, principalmente per motivi di natura economica. Inoltre si era venuta a formare una situazione singolare: mentre la Compagnia di bandiera aveva una piccola e costosa struttura con molti aspiranti allievi, l’Aeronautica Militare nella vicina base di Galatina disponeva di una grande ed eccellente struttura con un numero limitato di corsisti. Fu stipulato perciò un nuovo accordo con L’Aeronautica che prevedeva, a seguito della chiusura della scuola di Brindisi, l’impegno della Forza Armata a girare all’Alitalia una trentina di allievi ogni anno i quali, una volta brevettati come piloti di aeroplano (non ancora piloti militari), sarebbero passati all’Alitalia completando i tre anni di ferma obbligatoria come piloti civili, pur mantenendo il grado militare di sottotenente. Questo accordo rimase in vigore solo per pochi anni poiché, con la prima crisi petrolifera all’inizio degli Anni ‘70 , l’Alitalia decise il blocco delle assunzioni per alcuni anni e la risoluzione dell’accordo con la Forza Armata. I tre aerei superstiti vennero ceduti all’Aeronautica Militare che dopo averli riportati allo standard militare li riassegnò alla scuola di Lecce con le seguenti matricole: M.M. 54266 ex I-ADIE, ora preservato presso l’Istituto Tecnico Malignani di Udine; M.M. 54267 ex I-ADIO, attuale “Gate Guardian” del deposito AM di Gallarate; M.M. 54268 ex I-ADIU. Quest’ultimo, dovrebbe essere il velivolo esposto presso il Museo di Piana delle Orme.

10-11

Il Piaggio P.166 DL3 è stato ampiamente utilizzato dall’Aeronautica Militare, dalla Guardia Costiera e dalla Guardia di Finanza. Era un monoplano con ala medio-alta a gabbiano, dotato di eliche spingenti e carrello triciclo retrattile.

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AEROFAN | LUG/AGO 2019

Il Siai Marchetti SF-260, costruito in circa 1.000 esemplari, è stato il maggior successo della ditta di Sesto Calende nel dopoguerra.

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La professionalità degli istruttori e l’affidabilità degli aerei permisero anche di ottenere ottimi risultati nel campo della sicurezza volo e, a parte un atterraggio senza carrello, il solo MB.326D I-ADIA rimase distrutto in un incidente con la perdita del pilota. Nonostante i buoni risultati ottenuti nella decina di corsi organizzati a Brindisi, con oltre 20.000 ore volate e più di 200 piloti qualificati, nel 1967 l’Alitalia decise la sospensione dei corsi e la chiusura della scuola, principalmente per motivi di natura economica. Inoltre si era venuta a formare una situazione singolare: mentre la Compagnia di bandiera aveva una piccola e costosa struttura con molti aspiranti allievi, l’Aeronautica Militare nella vicina base di Galatina disponeva di una grande ed eccellente struttura con un numero limitato di corsisti. Fu stipulato perciò un nuovo accordo con L’Aeronautica che prevedeva, a seguito della chiusura della scuola di Brindisi, l’impegno della Forza Armata a girare all’Alitalia una trentina di allievi ogni anno i quali, una volta brevettati come piloti di aeroplano (non ancora piloti militari), sarebbero passati all’Alitalia completando i tre anni di ferma obbligatoria come piloti civili, pur mantenendo il grado militare di sottotenente. Questo accordo rimase in vigore solo per pochi anni poiché, con la prima crisi petrolifera all’inizio degli Anni ‘70 , l’Alitalia decise il blocco delle assunzioni per alcuni anni e la risoluzione dell’accordo con la Forza Armata. I tre aerei superstiti vennero ceduti all’Aeronautica Militare che dopo averli riportati allo standard militare li riassegnò alla scuola di Lecce con le seguenti matricole: M.M. 54266 ex I-ADIE, ora preservato presso l’Istituto Tecnico Malignani di Udine; M.M. 54267 ex I-ADIO, attuale “Gate Guardian” del deposito AM di Gallarate; M.M. 54268 ex I-ADIU. Quest’ultimo, dovrebbe essere il velivolo esposto presso il Museo di Piana delle Orme.

10-11

Il Piaggio P.166 DL3 è stato ampiamente utilizzato dall’Aeronautica Militare, dalla Guardia Costiera e dalla Guardia di Finanza. Era un monoplano con ala medio-alta a gabbiano, dotato di eliche spingenti e carrello triciclo retrattile.

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AEROFAN | LUG/AGO 2019

Il Siai Marchetti SF-260, costruito in circa 1.000 esemplari, è stato il maggior successo della ditta di Sesto Calende nel dopoguerra.

LUG/AGO 2019 | AEROFAN

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La scuola inoltre disponeva di tecnici per le manutenzioni di categoria A (ogni 150 ore di volo) e B (ogni 300 ore di volo), mentre per altre attività manutentive i velivoli erano inviati direttamente alle Ditte costruttrici. Alla sua apertura la direzione della scuola fu affidata al Com. Emanuele Petrucci coadiuvato dal Com. Filippo Carnabuci nel ruolo di capo pilota. Il personale invece, a seconda dei periodi, era composto da un gruppo di una settantina di persone tra tecnici e piloti istruttori, questi ultimi in gran parte ex militari. I corsi erano strutturati in due fasi distinte: un corso base su monomotori e una seconda fase su plurimotori, per mezzo dei quali il neo pilota veniva specificatamente addestrato al “crew coordination” dei velivoli di linea e con la familiarizzazione delle procedure operative proprie dell'attività delle operazioni di linea. I corsi erano inoltre diversificati in “normal entry” per

allievi con brevetto di 2° grado o “quick entry” riservati a piloti con brevetto di 2 ° grado ma con buona esperienza di volo o abilitazione IFR. Come “quick entry” rientravano anche piloti con il 3° grado ma con limitata esperienza di volo. Questo iter prevedeva solamente la frequenza della seconda parte del corso sui velivoli plurimotori. I piloti militari e civili in possesso di brevetto commerciale e con esperienza, previa valutazione del centro selezione Alitalia, erano considerati “direct entry” e pertanto andavano direttamente a Fiumicino per il corso base teorico ed il corso macchina senza frequentare i corsi ad Alghero. L’attività addestrativa prevista per gli allievi “normal entry” comprendeva un paio di giorni di corso macchina a terra, prima di iniziare a volare con lo SF-260. Seguivano una sessantina di missioni, pari a circa novanta ore delle quali un trentina a doppio comando, una quindicina da solista per il volo a vista e le restanti a doppio comando

per il volo strumentale, alle quali si aggiungevano una ventina di ore ai simulatori GAT-1 e GAT-3. Al termine dei tre mesi di corso, gli allievi sostenevano gli esami per il brevetto di 3° grado e l'abilitazione al volo strumentale passando poi al corso di perfezionamento sul bimotore Cheyenne. Quest’ultima fase, dopo un corso macchina di cinque giorni, prevedeva una cinquantina di ore dedicate alla navigazione e una sessantina di simulatore GAT-3, sostituito alla fine degli Anni ‘80 con un ben più moderno simulatore Rediffusion del Cheyenne III “full motion” con visione diurna/notturna. Con la crescente necessità di personale navigante, negli Anni ‘80 l’Alitalia stipulò inoltre accordi con alcuni Aeroclub per formare direttamente piloti da destinare successivamente alla scuola di Alghero per la fase finale su plurimotori, ottenendo il brevetto di 2°grado con costi a carico della Compagnia. Tale programma durò solo qualche anno prima di

essere sospeso poiché si riscontrarono standard addestrativi non adeguati rispetto a quelli richiesti per la frequentazione dei corsi Alitalia. In seguito alla vendita degli SF-260, l’addestramento fu spostato presso le scuole di volo americane dove i piloti conseguivano il brevetto di pilota commerciale trasferendosi poi ad Alghero per frequentare il corso “crew coordination” sul Cheyenne. La scuola di Alghero operò con successo per oltre una decina d’anni, quando ancora le condizioni generali del mercato del trasporto aereo consentivano alla stessa Alitalia, una volta selezionati gli allievi, di sostenere i loro costi di formazione. Dalla metà degli Anni ‘90, in concomitanza con la crisi del settore del trasporto civile, motivazioni di carattere economico e organizzativo portarono i vertici della Compagnia alla decisione di riorganizzare completamente le attività della scuola, affidando la sua gestione ad una “businness unit”


La scuola inoltre disponeva di tecnici per le manutenzioni di categoria A (ogni 150 ore di volo) e B (ogni 300 ore di volo), mentre per altre attività manutentive i velivoli erano inviati direttamente alle Ditte costruttrici. Alla sua apertura la direzione della scuola fu affidata al Com. Emanuele Petrucci coadiuvato dal Com. Filippo Carnabuci nel ruolo di capo pilota. Il personale invece, a seconda dei periodi, era composto da un gruppo di una settantina di persone tra tecnici e piloti istruttori, questi ultimi in gran parte ex militari. I corsi erano strutturati in due fasi distinte: un corso base su monomotori e una seconda fase su plurimotori, per mezzo dei quali il neo pilota veniva specificatamente addestrato al “crew coordination” dei velivoli di linea e con la familiarizzazione delle procedure operative proprie dell'attività delle operazioni di linea. I corsi erano inoltre diversificati in “normal entry” per

allievi con brevetto di 2° grado o “quick entry” riservati a piloti con brevetto di 2 ° grado ma con buona esperienza di volo o abilitazione IFR. Come “quick entry” rientravano anche piloti con il 3° grado ma con limitata esperienza di volo. Questo iter prevedeva solamente la frequenza della seconda parte del corso sui velivoli plurimotori. I piloti militari e civili in possesso di brevetto commerciale e con esperienza, previa valutazione del centro selezione Alitalia, erano considerati “direct entry” e pertanto andavano direttamente a Fiumicino per il corso base teorico ed il corso macchina senza frequentare i corsi ad Alghero. L’attività addestrativa prevista per gli allievi “normal entry” comprendeva un paio di giorni di corso macchina a terra, prima di iniziare a volare con lo SF-260. Seguivano una sessantina di missioni, pari a circa novanta ore delle quali un trentina a doppio comando, una quindicina da solista per il volo a vista e le restanti a doppio comando

per il volo strumentale, alle quali si aggiungevano una ventina di ore ai simulatori GAT-1 e GAT-3. Al termine dei tre mesi di corso, gli allievi sostenevano gli esami per il brevetto di 3° grado e l'abilitazione al volo strumentale passando poi al corso di perfezionamento sul bimotore Cheyenne. Quest’ultima fase, dopo un corso macchina di cinque giorni, prevedeva una cinquantina di ore dedicate alla navigazione e una sessantina di simulatore GAT-3, sostituito alla fine degli Anni ‘80 con un ben più moderno simulatore Rediffusion del Cheyenne III “full motion” con visione diurna/notturna. Con la crescente necessità di personale navigante, negli Anni ‘80 l’Alitalia stipulò inoltre accordi con alcuni Aeroclub per formare direttamente piloti da destinare successivamente alla scuola di Alghero per la fase finale su plurimotori, ottenendo il brevetto di 2°grado con costi a carico della Compagnia. Tale programma durò solo qualche anno prima di

essere sospeso poiché si riscontrarono standard addestrativi non adeguati rispetto a quelli richiesti per la frequentazione dei corsi Alitalia. In seguito alla vendita degli SF-260, l’addestramento fu spostato presso le scuole di volo americane dove i piloti conseguivano il brevetto di pilota commerciale trasferendosi poi ad Alghero per frequentare il corso “crew coordination” sul Cheyenne. La scuola di Alghero operò con successo per oltre una decina d’anni, quando ancora le condizioni generali del mercato del trasporto aereo consentivano alla stessa Alitalia, una volta selezionati gli allievi, di sostenere i loro costi di formazione. Dalla metà degli Anni ‘90, in concomitanza con la crisi del settore del trasporto civile, motivazioni di carattere economico e organizzativo portarono i vertici della Compagnia alla decisione di riorganizzare completamente le attività della scuola, affidando la sua gestione ad una “businness unit”


la

serenissima a

Nel 1917 nasce la 87 Squadriglia

Roberto Cimarosti

“S

e non arriverò su Vienna, io non tornerò indietro. Se non arriverete su Vienna, voi non to r n e re te i n d i e t ro . Q u e s to è i l m i o comando. Questo è il vostro giuramento. I motori sono in moto. Bisogna andare. Ma io vi assicuro che arriveremo. Anche attraverso l’inferno...”.

20

Particolare dell’Ansaldo S.V.A. 5 esposto attualmente presso il Museo Storico dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle. Il velivolo, appartenuto al Maggiore Giordano Bruno Granzarolo, è uno di quelli che effettuarono il volo su Vienna nel 1918. (Ph. Luciano Pontolillo)


la

serenissima a

Nel 1917 nasce la 87 Squadriglia

Roberto Cimarosti

“S

e non arriverò su Vienna, io non tornerò indietro. Se non arriverete su Vienna, voi non to r n e re te i n d i e t ro . Q u e s to è i l m i o comando. Questo è il vostro giuramento. I motori sono in moto. Bisogna andare. Ma io vi assicuro che arriveremo. Anche attraverso l’inferno...”.

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Particolare dell’Ansaldo S.V.A. 5 esposto attualmente presso il Museo Storico dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle. Il velivolo, appartenuto al Maggiore Giordano Bruno Granzarolo, è uno di quelli che effettuarono il volo su Vienna nel 1918. (Ph. Luciano Pontolillo)


IL VOLO SU VIENNA Alla fine di giugno del 1918 il gen. Bongiovanni, capo dell’Aeronautica del Comando Supremo, chiama a rapporto il capitano Masprone chiedendo quattro S.V.A. per un volo di milleduecento chilometri sul territorio

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. Ra gurazione pittorica del volo che D’Annunzio e ettuò su Trieste il 7 agosto 1915, durante il quale il poeta lanciò bandiere italiane appesantite da piombi e messaggi di speranza chiusi in sacchetti impermeabili.

I manifestini lanciati su Vienna erano di tre tipi. Due erano stati scritti da Ugo Ojetti, uno in italiano e uno in tedesco, mentre il terzo era stato realizzato da D’Annunzio stesso.

AEROFAN | LUG/AGO 2019

nemico. Ogni aereo dovrà trasportare un carico di circa 30 chili di manifestini. Masprone, che afferra al volo l’idea, propone un volo di massa di tutta la Squadriglia e il generale, inizialmente scettico dato che la Squadriglia sarebbe stata “fuori gioco” per parecchio tempo e le ricognizioni erano vitali per l’esito della guerra, concede infine al Comandante dell’87a un periodo di quattro settimane per l’allestimento di quattordici aerei. Viene sospesa ogni attività bellica e ha inizio un ciclo intenso di addestramento al volo. Dopo una decina di giorni, mentre l’addestramento prosegue a ritmo serrato, il gen. Bongiovanni comunica a Masprone che il magg. Gabriele D’Annunzio ha chiesto di prendere parte all’impresa ma, essendo lo S.V.A. un velivolo monoposto, il 26 giugno ai funerali di Francesco Baracca, Bongiovanni informa D’Annunzio della sua esclusione dal volo su Vienna. Il Poeta contatta immediatamente l’ingegner Brezzi chiedendogli di far realizzare una versione speciale dello S.V.A. biposto (chiamato S.V.A. 9) che i capitani Luigi Bourlot e Felice Porro stanno presentando in quei giorni ai reparti. Intanto il volo su Vienna viene pianificato nei dettagli dal Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica col. Franchini Stappo, dal cap. Porro dell’ufficio operazioni, dal cap. Masprone e dai ten. Finzi e Locatelli. Viene stabilito che la Squadriglia si dividerà in due gruppi di sette aerei ciascuno in formazione a cuneo. I fattori di rischio sono sostanzialmente due: la distanza da coprire e i caccia a difesa della capitale sul campo di volo di Wiener-Neustadt, che il piano di volo prevede di sorvolare sia all’andata che al ritorno. Alla fine di luglio, quando ormai tutto è pronto per l’operazione, durante una dimostrazione per gli osservatori del campo di Marcon lo S.V.A. biposto pilotato da Bourlot cade in vite, determinando la morte del pilota e la distruzione dell’aereo. Negli stessi giorni sul Piave viene abbattuto dalla contraerea il cap. Costantini. Masprone ottiene a quel punto una proroga di cinque giorni dal Comando Supremo per ultimare i preparativi per la missione. D’Annunzio si reca al Castello di San Pelagio, ospite dei piloti della Squadriglia, dove vengono pianificati gli ultimi dettagli e stabilito il volo per il mattino del giorno 2 agosto. Al mattino il cielo è sereno su tutta la pianura veneta; gli aerei decollano e puntano sulle Alpi, ma qui una impenetrabile cortina di nubi costringe la Squadriglia a rientrare mentre una densa nebbia si è alzata coprendo la pianura. In casi del genere ogni pilota è libero di scegliere il luogo d’atterraggio, e così la formazione si divide. Soltanto sette piloti, tra cui Palli e Masprone, riescono ad atterrare a San Pelagio, mentre gli altri si sparpagliano tra Verona, Ferrara, Bergamo e Bologna. Fortunatamente nessun pilota manca all’appello, ma purtroppo tre velivoli hanno capottato e sono fuori uso. I meccanici si prodigano per rimettere tutti gli S.V.A. 5 in condizioni di volo, e il 5 agosto la Squadriglia è nuovamente pronta. Passano il 6 e il 7 agosto senza che le condizioni meteo permettano di partire e finalmente, il giorno 8 agosto, il cielo è sereno. Undici aerei in formazione a cuneo sfilano sulla pianura ma, giunti sull’Isonzo, nuovamente una cappa di nubi si estende fin

oltre le Alpi. A malincuore Masprone e D’Annunzio devono rientrare a San Pelagio. Giorno 9 agosto 1918, è l’alba. Avviati i motori, la Squadriglia è di nuovo in volo: Palli con D’Annunzio, Locatelli, Allegri, Ferrarin, Censi, Granzarolo, Masprone, Contratti, Sarti, Finzi, Massoni. Dopo pochi minuti di volo il motore di Masprone pianta improvvisamente e il comandante è costretto ad un fortunoso atterraggio fra gli alberi che gli costa la frattura alla mandibola. Il comando della missione passa a Palli. Tra nubi e pioggia la formazione risale la foce del Tagliamento, Cividale, poi Monte Tricorno. Poco prima delle linee nemiche, anche Francesco Ferrarin e Contratti devono rientrare a causa dell’irregolare funzionamento del motore. Gli otto piloti rimasti serrano, ed il volo prosegue: lago di Worth, Klagenfurt, Bruck. Sul cielo del campo volo di WienerNeustadt, al velivolo di Sarti si rompe la molla di una valvola di aspirazione, incidente che provoca un principio di incendio e costringe il pilota ad atterrare. Sarti riesce a distruggere il velivolo prima di essere catturato.

6

I piloti schierati prima della partenza per il volo su Vienna. Primo a destra Ludovico Censi, terzo e quarto sono Giordano Bruno Granzarolo e Antonio Locatelli. A bordo dello S.V.A. Natale Palli e, davanti a lui, D’Annunzio.

La Squadriglia giunge infine su Vienna; il “numero settenario della costellazione fatale”, come scriverà D’Annunzio, sorvola la città per ben due volte lasciando cadere migliaia di manifestini sulla capitale asburgica, che i cittadini viennesi increduli raccolgono e leggono. L’impresa è compiuta. Al ritorno gli S.V.A. con il leone di San Marco sfrecciano a 160 km/h sulle città di Gratz, Lubiana, Trieste e Venezia, dove il poeta lancia un messaggio di saluto alla città: “La Squadriglia di nome Serenissima, tornando dall’aver portato nel cielo di Vienna il segno sempre fausto del Leone dipinto sui fianchi delle sue fusoliera da battaglia, getta un saluto d’amore e d’orgoglio a Venezia la Bella che fu sempre veduta sorridere nel lungo volo tra ala e ala, protettrice adorabile. 9 agosto 1918. Gabriele D’Annunzio”. Gli S.V.A. atterrano infine a San Pelagio alle 12:40, dopo un volo di oltre 1.000 chilometri, 700 dei quali sorvolando il territorio nemico. La Serenissima, lo “Strale”, come l’aveva anche chiamata il Poeta, ha colpito nel segno.

7-8

Gabriele D’Annunzio e il suo pilota Natale Palli, rispettivamente a sinistra e a destra nelle foto. Il volo su Vienna prevedeva che lo S.V.A. biposto, disarmato e con a bordo il Vate, sarebbe stato difeso da Aldo Finzi e da Gino Allegri (ribattezzato “Fra Ginepro” dal Poeta). Il secondo gruppo di velivoli sarebbe stato invece guidato da Locatelli e Masprone.

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IL VOLO SU VIENNA Alla fine di giugno del 1918 il gen. Bongiovanni, capo dell’Aeronautica del Comando Supremo, chiama a rapporto il capitano Masprone chiedendo quattro S.V.A. per un volo di milleduecento chilometri sul territorio

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. Ra gurazione pittorica del volo che D’Annunzio e ettuò su Trieste il 7 agosto 1915, durante il quale il poeta lanciò bandiere italiane appesantite da piombi e messaggi di speranza chiusi in sacchetti impermeabili.

I manifestini lanciati su Vienna erano di tre tipi. Due erano stati scritti da Ugo Ojetti, uno in italiano e uno in tedesco, mentre il terzo era stato realizzato da D’Annunzio stesso.

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nemico. Ogni aereo dovrà trasportare un carico di circa 30 chili di manifestini. Masprone, che afferra al volo l’idea, propone un volo di massa di tutta la Squadriglia e il generale, inizialmente scettico dato che la Squadriglia sarebbe stata “fuori gioco” per parecchio tempo e le ricognizioni erano vitali per l’esito della guerra, concede infine al Comandante dell’87a un periodo di quattro settimane per l’allestimento di quattordici aerei. Viene sospesa ogni attività bellica e ha inizio un ciclo intenso di addestramento al volo. Dopo una decina di giorni, mentre l’addestramento prosegue a ritmo serrato, il gen. Bongiovanni comunica a Masprone che il magg. Gabriele D’Annunzio ha chiesto di prendere parte all’impresa ma, essendo lo S.V.A. un velivolo monoposto, il 26 giugno ai funerali di Francesco Baracca, Bongiovanni informa D’Annunzio della sua esclusione dal volo su Vienna. Il Poeta contatta immediatamente l’ingegner Brezzi chiedendogli di far realizzare una versione speciale dello S.V.A. biposto (chiamato S.V.A. 9) che i capitani Luigi Bourlot e Felice Porro stanno presentando in quei giorni ai reparti. Intanto il volo su Vienna viene pianificato nei dettagli dal Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica col. Franchini Stappo, dal cap. Porro dell’ufficio operazioni, dal cap. Masprone e dai ten. Finzi e Locatelli. Viene stabilito che la Squadriglia si dividerà in due gruppi di sette aerei ciascuno in formazione a cuneo. I fattori di rischio sono sostanzialmente due: la distanza da coprire e i caccia a difesa della capitale sul campo di volo di Wiener-Neustadt, che il piano di volo prevede di sorvolare sia all’andata che al ritorno. Alla fine di luglio, quando ormai tutto è pronto per l’operazione, durante una dimostrazione per gli osservatori del campo di Marcon lo S.V.A. biposto pilotato da Bourlot cade in vite, determinando la morte del pilota e la distruzione dell’aereo. Negli stessi giorni sul Piave viene abbattuto dalla contraerea il cap. Costantini. Masprone ottiene a quel punto una proroga di cinque giorni dal Comando Supremo per ultimare i preparativi per la missione. D’Annunzio si reca al Castello di San Pelagio, ospite dei piloti della Squadriglia, dove vengono pianificati gli ultimi dettagli e stabilito il volo per il mattino del giorno 2 agosto. Al mattino il cielo è sereno su tutta la pianura veneta; gli aerei decollano e puntano sulle Alpi, ma qui una impenetrabile cortina di nubi costringe la Squadriglia a rientrare mentre una densa nebbia si è alzata coprendo la pianura. In casi del genere ogni pilota è libero di scegliere il luogo d’atterraggio, e così la formazione si divide. Soltanto sette piloti, tra cui Palli e Masprone, riescono ad atterrare a San Pelagio, mentre gli altri si sparpagliano tra Verona, Ferrara, Bergamo e Bologna. Fortunatamente nessun pilota manca all’appello, ma purtroppo tre velivoli hanno capottato e sono fuori uso. I meccanici si prodigano per rimettere tutti gli S.V.A. 5 in condizioni di volo, e il 5 agosto la Squadriglia è nuovamente pronta. Passano il 6 e il 7 agosto senza che le condizioni meteo permettano di partire e finalmente, il giorno 8 agosto, il cielo è sereno. Undici aerei in formazione a cuneo sfilano sulla pianura ma, giunti sull’Isonzo, nuovamente una cappa di nubi si estende fin

oltre le Alpi. A malincuore Masprone e D’Annunzio devono rientrare a San Pelagio. Giorno 9 agosto 1918, è l’alba. Avviati i motori, la Squadriglia è di nuovo in volo: Palli con D’Annunzio, Locatelli, Allegri, Ferrarin, Censi, Granzarolo, Masprone, Contratti, Sarti, Finzi, Massoni. Dopo pochi minuti di volo il motore di Masprone pianta improvvisamente e il comandante è costretto ad un fortunoso atterraggio fra gli alberi che gli costa la frattura alla mandibola. Il comando della missione passa a Palli. Tra nubi e pioggia la formazione risale la foce del Tagliamento, Cividale, poi Monte Tricorno. Poco prima delle linee nemiche, anche Francesco Ferrarin e Contratti devono rientrare a causa dell’irregolare funzionamento del motore. Gli otto piloti rimasti serrano, ed il volo prosegue: lago di Worth, Klagenfurt, Bruck. Sul cielo del campo volo di WienerNeustadt, al velivolo di Sarti si rompe la molla di una valvola di aspirazione, incidente che provoca un principio di incendio e costringe il pilota ad atterrare. Sarti riesce a distruggere il velivolo prima di essere catturato.

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I piloti schierati prima della partenza per il volo su Vienna. Primo a destra Ludovico Censi, terzo e quarto sono Giordano Bruno Granzarolo e Antonio Locatelli. A bordo dello S.V.A. Natale Palli e, davanti a lui, D’Annunzio.

La Squadriglia giunge infine su Vienna; il “numero settenario della costellazione fatale”, come scriverà D’Annunzio, sorvola la città per ben due volte lasciando cadere migliaia di manifestini sulla capitale asburgica, che i cittadini viennesi increduli raccolgono e leggono. L’impresa è compiuta. Al ritorno gli S.V.A. con il leone di San Marco sfrecciano a 160 km/h sulle città di Gratz, Lubiana, Trieste e Venezia, dove il poeta lancia un messaggio di saluto alla città: “La Squadriglia di nome Serenissima, tornando dall’aver portato nel cielo di Vienna il segno sempre fausto del Leone dipinto sui fianchi delle sue fusoliera da battaglia, getta un saluto d’amore e d’orgoglio a Venezia la Bella che fu sempre veduta sorridere nel lungo volo tra ala e ala, protettrice adorabile. 9 agosto 1918. Gabriele D’Annunzio”. Gli S.V.A. atterrano infine a San Pelagio alle 12:40, dopo un volo di oltre 1.000 chilometri, 700 dei quali sorvolando il territorio nemico. La Serenissima, lo “Strale”, come l’aveva anche chiamata il Poeta, ha colpito nel segno.

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Gabriele D’Annunzio e il suo pilota Natale Palli, rispettivamente a sinistra e a destra nelle foto. Il volo su Vienna prevedeva che lo S.V.A. biposto, disarmato e con a bordo il Vate, sarebbe stato difeso da Aldo Finzi e da Gino Allegri (ribattezzato “Fra Ginepro” dal Poeta). Il secondo gruppo di velivoli sarebbe stato invece guidato da Locatelli e Masprone.

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9 agosto 1918. In volo verso Vienna.

IL DOPO VIENNA Il successo del volo su Vienna ebbe come rovescio della medaglia la scarsa efficienza del reparto, a causa della totale revisione dei velivoli che parteciparono al raid, e quindi un’efficienza bellica di soli due aerei su ventidue assegnati. In data 16 agosto in carico al reparto risultavano i velivoli: 6840, 6846, 6775, 6778, 11713, 11714, 11722, 11721, 11726, 11736, 11737, 11777, 11779, 11780, 11800, 11805, 11806, 11853, 11895, 11911, 11912, 11916 e 12736 biposto.

Il 16 agosto 1918, il Comando Supremo ordinava una missione da ricognizione; comandati al volo erano i tenenti Granzarolo, Finzi, Massoni e il sottotenente Allegri, i quali avrebbero dovuto decollare da San Pelagio, raggiungere la statale Pontebbana, la ferrovia Tarvis-Assling fino in val Pusteria e ritornare verso la Pontebbana, per un totale di circa 800 chilometri. Gli aerei efficienti erano però solo due e il ten. Finzi si oppose giudicando la missione “non eseguibile e contraria al buon senso del servizio”, rifiutandosi inoltre di firmare la presa visione dell’ordine. Per far luce su un tale atto di insubordinazione, il colonnello Carta del Comando Aeronautica si recò al reparto, constatando la grave inefficienza della Squadriglia dovuta ai numerosi velivoli danneggiati o in fase di montaggio, oltre ai velivoli ancora in revisione dopo il volo su Vienna. Preso atto inoltre della poca autorevolezza del capitano Masprone nei confronti dei suoi subordinati, ne venne decisa la rimozione dal comando della Squadriglia. Pochi giorni dopo Masprone passò “a disposizione” del Comando Supremo e al comando dell’87a Squadriglia venne nominato Natale Palli. Il tenente Finzi fu trasferito presso la 1a Sezione S.V.A. della 1a Armata. Tra i vari trasferimenti comandati, Locatelli passò invece alla 1a Squadriglia Siluranti Aerei presso il Lido di Venezia. Il 7 settembre 1918 il capitano Natale Palli assunse

il giorno seguente. Tumulato presso i resti del suo apparecchio, su una pala scheggiata del suo aereo una mano austriaca scrisse: “Rispettate! Aviatore italiano caduto in combattimento”. L’ultima azione bellica conosciuta della 87a Squadriglia durante la Grande Guerra è datata 30 ottobre 1918. OLTRE LA GRANDE GUERRA Negli anni successivi al primo conflitto mondiale l’87a Squadriglia fece parte del 19º Stormo fino a quando Il 20 dicembre 1925 passò al 21º Stormo in seno al 67° Gruppo sull’aeroporto di Bologna, equipaggiata con gli Ansaldo A.300/4 e a diversi S.V.A.. Il 25 maggio 1927 la Squadriglia passò alle dipendenze del 15° Gruppo con sede a Padova e il 25 agosto dell’anno seguente alle dipendenze del 63º Gruppo, rimanendo sempre di base a Padova. Nel maggio del 1929 la Squadriglia ricevette gli Ansaldo A.120 e nell’ottobre del 1936, al rientro da un rischieramento a Gorizia, fu equipaggiata con gli IMAM Romeo Ro.37. Nel 1939 veniva formato a Padova il 65° Gruppo O.A., con l’87a che ne entrerà a far parte, iniziando a transitare sui nuovi bimotori Caproni Ca.311. Il 10 giugno 1940 l’entrata in guerra dell’Italia vide la squadriglia basata sempre a Padova alle dipendenze del 65° Gruppo O.A. con gli ultimi IMAM Ro.37 e quattro Ca.311, impegnata in operazioni a supporto della 4a Armata per l’Aviazione Ausiliaria per l’Esercito. Il 17 giugno alcuni velivoli furono trasferiti in Piemonte a Quarto d’Asti, per partecipare alle operazioni durante la campagna di Francia, rientrando a Padova entro la fine del mese. Il 1° marzo del 1941 una Sezione della Squadriglia, composta da

tre Caproni Ca.311, venne trasferita a Parma e il 20 il reparto si staccò dal 65° Gruppo O.A. diventando 87a Squadriglia Autonoma. Nell’aprile del 1941 venne trasferita a Tirana con sette Ca.311 per essere impiegata in missioni belliche contro la Jugoslavia. Dopo la resa della Jugoslavia la Squadriglia venne trasferita prima a Foggia, impiegata in missioni di ricognizione, scorta alle navi e pattugliamenti antisom nel settore Adriatico, per poi spostarsi a Mostar e impiegata nella lotta contro i partigiani jugoslavi. Il 1° ottobre del 1941, il reparto passava alle dipendenze del 66° Gruppo O.A. sul campo volo di Bari. Il 18 luglio 1942 l’87a fu rischierata in Africa settentrionale, a Zuara, e pochi giorni dopo sul campo K3 di Bengasi in Libia, dove fu raggiunta dalla 131a Squadriglia, sempre del 66° Gruppo. In terra d’Africa la Squadriglia operò dai campi volo di Zuara, Abu Nimeir, Barce, Bengasi K3, Tamet. A partire dal 28 novembre 1942 iniziò il ripiegamento su Palermo, dove gli aerei superstiti furono versati al 64° Gruppo. Nel febbraio del 1943 la Squadriglia fu assegnata al 20° Stormo da ricognizione basato sull’aeroporto di Ponte Olivo di Gela, effettuando il passaggio sui Caproni Ca.313 e Ca.314 e ricevendo anche un addestratore Caproni Ca.312. Con l’imminenza dello sbarco alleato in Sicilia il Reparto fu trasferito a Gerbini, nella piana di Catania, con una Sezione a Reggio Calabria. Il 10 luglio 1943 la Squadriglia passava sotto il comando del 19° Stormo da ricognizione, a Novi Ligure, e poco dopo giunse l’ordine di trasferimento a Tolone. Purtroppo le sorti della gloriosa 87a Squadriglia stavano per giungere al termine e il 15 agosto 1943 la “Serenissima” venne sciolta definitivamente.

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10-11

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9 agosto 1918. Il lancio dei manifestini sulla capitale austriaca e i piloti protagonisti del raid fotografati al loro rientro a San Pelagio.

AEROFAN | LUG/AGO 2019

ufficialmente il comando della Squadriglia, le cui missioni si susseguivano costantemente; azioni importanti furono quelle del 14 settembre, quando sette S.V.A. divisi in due pattuglie bombardarono i depositi di Osoppo, e del 17 sullo scalo ferroviario di Casarsa e di San Vito al Tagliamento. Il 5 ottobre, al rientro da una missione su Pordenone, Gerolamo “Gino” Allegri per la gioia effettuò un looping andando a toccare l’ala del velivolo del tenente Marani e i due aerei precipitarono al suolo. Marani ne uscì contuso ma vivo, mentre il velivolo di “Fra Ginepro” scomparve dietro gli alberi in un fragore e una colonna di fumo. Con le truppe italiane che dilagavano ormai nelle retrovie austriache, i piloti erano chiamati ad operare su vari obiettivi anche con più missioni nello stesso giorno. Il 27 ottobre la contraerea nemica abbattè il tenente Contratti che, trasportato in un ospedale austriaco, morirà

Caproni Ca.311 dell’87a Squadriglia.


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9 agosto 1918. In volo verso Vienna.

IL DOPO VIENNA Il successo del volo su Vienna ebbe come rovescio della medaglia la scarsa efficienza del reparto, a causa della totale revisione dei velivoli che parteciparono al raid, e quindi un’efficienza bellica di soli due aerei su ventidue assegnati. In data 16 agosto in carico al reparto risultavano i velivoli: 6840, 6846, 6775, 6778, 11713, 11714, 11722, 11721, 11726, 11736, 11737, 11777, 11779, 11780, 11800, 11805, 11806, 11853, 11895, 11911, 11912, 11916 e 12736 biposto.

Il 16 agosto 1918, il Comando Supremo ordinava una missione da ricognizione; comandati al volo erano i tenenti Granzarolo, Finzi, Massoni e il sottotenente Allegri, i quali avrebbero dovuto decollare da San Pelagio, raggiungere la statale Pontebbana, la ferrovia Tarvis-Assling fino in val Pusteria e ritornare verso la Pontebbana, per un totale di circa 800 chilometri. Gli aerei efficienti erano però solo due e il ten. Finzi si oppose giudicando la missione “non eseguibile e contraria al buon senso del servizio”, rifiutandosi inoltre di firmare la presa visione dell’ordine. Per far luce su un tale atto di insubordinazione, il colonnello Carta del Comando Aeronautica si recò al reparto, constatando la grave inefficienza della Squadriglia dovuta ai numerosi velivoli danneggiati o in fase di montaggio, oltre ai velivoli ancora in revisione dopo il volo su Vienna. Preso atto inoltre della poca autorevolezza del capitano Masprone nei confronti dei suoi subordinati, ne venne decisa la rimozione dal comando della Squadriglia. Pochi giorni dopo Masprone passò “a disposizione” del Comando Supremo e al comando dell’87a Squadriglia venne nominato Natale Palli. Il tenente Finzi fu trasferito presso la 1a Sezione S.V.A. della 1a Armata. Tra i vari trasferimenti comandati, Locatelli passò invece alla 1a Squadriglia Siluranti Aerei presso il Lido di Venezia. Il 7 settembre 1918 il capitano Natale Palli assunse

il giorno seguente. Tumulato presso i resti del suo apparecchio, su una pala scheggiata del suo aereo una mano austriaca scrisse: “Rispettate! Aviatore italiano caduto in combattimento”. L’ultima azione bellica conosciuta della 87a Squadriglia durante la Grande Guerra è datata 30 ottobre 1918. OLTRE LA GRANDE GUERRA Negli anni successivi al primo conflitto mondiale l’87a Squadriglia fece parte del 19º Stormo fino a quando Il 20 dicembre 1925 passò al 21º Stormo in seno al 67° Gruppo sull’aeroporto di Bologna, equipaggiata con gli Ansaldo A.300/4 e a diversi S.V.A.. Il 25 maggio 1927 la Squadriglia passò alle dipendenze del 15° Gruppo con sede a Padova e il 25 agosto dell’anno seguente alle dipendenze del 63º Gruppo, rimanendo sempre di base a Padova. Nel maggio del 1929 la Squadriglia ricevette gli Ansaldo A.120 e nell’ottobre del 1936, al rientro da un rischieramento a Gorizia, fu equipaggiata con gli IMAM Romeo Ro.37. Nel 1939 veniva formato a Padova il 65° Gruppo O.A., con l’87a che ne entrerà a far parte, iniziando a transitare sui nuovi bimotori Caproni Ca.311. Il 10 giugno 1940 l’entrata in guerra dell’Italia vide la squadriglia basata sempre a Padova alle dipendenze del 65° Gruppo O.A. con gli ultimi IMAM Ro.37 e quattro Ca.311, impegnata in operazioni a supporto della 4a Armata per l’Aviazione Ausiliaria per l’Esercito. Il 17 giugno alcuni velivoli furono trasferiti in Piemonte a Quarto d’Asti, per partecipare alle operazioni durante la campagna di Francia, rientrando a Padova entro la fine del mese. Il 1° marzo del 1941 una Sezione della Squadriglia, composta da

tre Caproni Ca.311, venne trasferita a Parma e il 20 il reparto si staccò dal 65° Gruppo O.A. diventando 87a Squadriglia Autonoma. Nell’aprile del 1941 venne trasferita a Tirana con sette Ca.311 per essere impiegata in missioni belliche contro la Jugoslavia. Dopo la resa della Jugoslavia la Squadriglia venne trasferita prima a Foggia, impiegata in missioni di ricognizione, scorta alle navi e pattugliamenti antisom nel settore Adriatico, per poi spostarsi a Mostar e impiegata nella lotta contro i partigiani jugoslavi. Il 1° ottobre del 1941, il reparto passava alle dipendenze del 66° Gruppo O.A. sul campo volo di Bari. Il 18 luglio 1942 l’87a fu rischierata in Africa settentrionale, a Zuara, e pochi giorni dopo sul campo K3 di Bengasi in Libia, dove fu raggiunta dalla 131a Squadriglia, sempre del 66° Gruppo. In terra d’Africa la Squadriglia operò dai campi volo di Zuara, Abu Nimeir, Barce, Bengasi K3, Tamet. A partire dal 28 novembre 1942 iniziò il ripiegamento su Palermo, dove gli aerei superstiti furono versati al 64° Gruppo. Nel febbraio del 1943 la Squadriglia fu assegnata al 20° Stormo da ricognizione basato sull’aeroporto di Ponte Olivo di Gela, effettuando il passaggio sui Caproni Ca.313 e Ca.314 e ricevendo anche un addestratore Caproni Ca.312. Con l’imminenza dello sbarco alleato in Sicilia il Reparto fu trasferito a Gerbini, nella piana di Catania, con una Sezione a Reggio Calabria. Il 10 luglio 1943 la Squadriglia passava sotto il comando del 19° Stormo da ricognizione, a Novi Ligure, e poco dopo giunse l’ordine di trasferimento a Tolone. Purtroppo le sorti della gloriosa 87a Squadriglia stavano per giungere al termine e il 15 agosto 1943 la “Serenissima” venne sciolta definitivamente.

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9 agosto 1918. Il lancio dei manifestini sulla capitale austriaca e i piloti protagonisti del raid fotografati al loro rientro a San Pelagio.

AEROFAN | LUG/AGO 2019

ufficialmente il comando della Squadriglia, le cui missioni si susseguivano costantemente; azioni importanti furono quelle del 14 settembre, quando sette S.V.A. divisi in due pattuglie bombardarono i depositi di Osoppo, e del 17 sullo scalo ferroviario di Casarsa e di San Vito al Tagliamento. Il 5 ottobre, al rientro da una missione su Pordenone, Gerolamo “Gino” Allegri per la gioia effettuò un looping andando a toccare l’ala del velivolo del tenente Marani e i due aerei precipitarono al suolo. Marani ne uscì contuso ma vivo, mentre il velivolo di “Fra Ginepro” scomparve dietro gli alberi in un fragore e una colonna di fumo. Con le truppe italiane che dilagavano ormai nelle retrovie austriache, i piloti erano chiamati ad operare su vari obiettivi anche con più missioni nello stesso giorno. Il 27 ottobre la contraerea nemica abbattè il tenente Contratti che, trasportato in un ospedale austriaco, morirà

Caproni Ca.311 dell’87a Squadriglia.


me 262 messerschmitt

La rondine della Luftwa. e

Luigino Caliaro

Q

Il Me 262 fotografato durante il trasferimento al campo volo del Military Aviation Museum. Il Museo dispone soltanto di una pista in erba, pertanto il velivolo opera dal Suffolk Executive Airport di Hampton Roads. (Ph. Luigino Caliaro)

uando, a maggio del 2006, nel cielo di Berlino si è stagliata la sagoma inconfondibile del Messerschmitt 262, il primo aereo operativo a reazione della Storia, più di uno spettatore avrà ripensato ai tragici fatti di oltre sessant'anni prima, con i cieli della Germania violati ogni giorno da centinaia di bombardieri alleati mentre uno sparuto gruppo di piloti tedeschi coraggiosi si prodigavano per la difesa delle città.

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me 262 messerschmitt

La rondine della Luftwa. e

Luigino Caliaro

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Il Me 262 fotografato durante il trasferimento al campo volo del Military Aviation Museum. Il Museo dispone soltanto di una pista in erba, pertanto il velivolo opera dal Suffolk Executive Airport di Hampton Roads. (Ph. Luigino Caliaro)

uando, a maggio del 2006, nel cielo di Berlino si è stagliata la sagoma inconfondibile del Messerschmitt 262, il primo aereo operativo a reazione della Storia, più di uno spettatore avrà ripensato ai tragici fatti di oltre sessant'anni prima, con i cieli della Germania violati ogni giorno da centinaia di bombardieri alleati mentre uno sparuto gruppo di piloti tedeschi coraggiosi si prodigavano per la difesa delle città.

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LUIGINO CALIARO

Me 262B-1c della Collins Foundation 5-6-7-8durante una recente manifestazione “Wings Over Houston”.

della Legend Flyers procedettero velocemente al punto che, il 25 giugno 2002, il biposto Me-262B-1c c/n 501241 “White 1”, acquistato dalla Collins Foundation, eseguì il primo rullaggio con i propri motori alla presenza di un ospite d’eccezione: il pilota tedesco della Jagdverband 44 Oberleutnant Franz Stigler giunto appositamente dal Canada, dove viveva dalla fine della guerra, per assistere all’evento. Dopo una serie di ulteriori test e prove valutative che richiesero alcuni mesi di messa a punto, finalmente il 20 dicembre 2002, ai comandi del pilota collaudatore tedesco Wolfgang Czaia, il primo caccia si alzò dalla pista di Everett alle 14.00 del pomeriggio, effettuando un volo di 35 minuti di fronte ad una cinquantina di invitati. Dopo la consegna del primo aereo, nell’agosto del

LUIGINO CALIARO

2005 volò il secondo esemplare completato, il Me 262 A/B-1c N262MS c/n 501244 conosciuto come “13 rosso Tango Tango”. Questo aereo risultava essere anche il primo della versione “combi” A/B-1c. Questo particolare velivolo era stato acquistato dalla Messerschmitt Foundation che, dopo averlo immatricolato D-IMTT, lo portò in Europa presentandolo ufficialmente al pubblico nel corso del salone aeronautico ILA 2006 a Berlino. Anche il terzo esemplare, che volò il 6 febbraio 2011, era in configurazione “combi”. Era il Me 262 A/B-1c N262MF c/n 501244 “3 bianco”, che fu acquistato dal collezionista americano Jerry Yagen per conto del Military Aviation Museum di Virginia Beach. L’ultimo velivolo volante, il biposto B-1c c/n 501242 rimase immagazzinato non assemblato per alcuni anni prima di essere ceduto ad uno sconosciuto acquirente nel 2014. In precedenza, nel giugno del 2010, la cellula non

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Me 262B-1c della Collins Foundation in formazione con due dei suoi principali antagonisti della seconda Guerra Mondiale, un P-51D Mustang e uno Spitfire.

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L’aereo viene impiegato o rendo voli a pagamento dalla propria base di operazioni della città texana presso l’aeroporto Ellington Field.

Il pilota del Military Aviation Museum Wolfgang Czaia è il “display pilot” uciale del velivolo oltre ad essere stato il pilota Ā collaudatore degli aerei dell’intero progetto.

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Me 262B-1c della Collins Foundation 5-6-7-8durante una recente manifestazione “Wings Over Houston”.

della Legend Flyers procedettero velocemente al punto che, il 25 giugno 2002, il biposto Me-262B-1c c/n 501241 “White 1”, acquistato dalla Collins Foundation, eseguì il primo rullaggio con i propri motori alla presenza di un ospite d’eccezione: il pilota tedesco della Jagdverband 44 Oberleutnant Franz Stigler giunto appositamente dal Canada, dove viveva dalla fine della guerra, per assistere all’evento. Dopo una serie di ulteriori test e prove valutative che richiesero alcuni mesi di messa a punto, finalmente il 20 dicembre 2002, ai comandi del pilota collaudatore tedesco Wolfgang Czaia, il primo caccia si alzò dalla pista di Everett alle 14.00 del pomeriggio, effettuando un volo di 35 minuti di fronte ad una cinquantina di invitati. Dopo la consegna del primo aereo, nell’agosto del

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2005 volò il secondo esemplare completato, il Me 262 A/B-1c N262MS c/n 501244 conosciuto come “13 rosso Tango Tango”. Questo aereo risultava essere anche il primo della versione “combi” A/B-1c. Questo particolare velivolo era stato acquistato dalla Messerschmitt Foundation che, dopo averlo immatricolato D-IMTT, lo portò in Europa presentandolo ufficialmente al pubblico nel corso del salone aeronautico ILA 2006 a Berlino. Anche il terzo esemplare, che volò il 6 febbraio 2011, era in configurazione “combi”. Era il Me 262 A/B-1c N262MF c/n 501244 “3 bianco”, che fu acquistato dal collezionista americano Jerry Yagen per conto del Military Aviation Museum di Virginia Beach. L’ultimo velivolo volante, il biposto B-1c c/n 501242 rimase immagazzinato non assemblato per alcuni anni prima di essere ceduto ad uno sconosciuto acquirente nel 2014. In precedenza, nel giugno del 2010, la cellula non

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Me 262B-1c della Collins Foundation in formazione con due dei suoi principali antagonisti della seconda Guerra Mondiale, un P-51D Mustang e uno Spitfire.

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L’aereo viene impiegato orendo voli a pagamento dalla propria base Ā di operazioni della città texana presso l’aeroporto Ellington Field.

Il pilota del Military Aviation Museum Wolfgang Czaia è il “display pilot” uciale del velivolo oltre ad essere stato il pilota Ā collaudatore degli aerei dell’intero progetto.

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vengano superate le 500 mph, limite massimo per la cellula. Altri accorgimenti sono stati applicati alle manette per limitare la loro escursione massima se non in casi di assoluta necessità e per limitati periodi come il decollo. Il consumo ridotto del motore americano (quasi la metà dello Jumo) consente inoltre costi di esercizio più contenuti oppure un’autonomia doppia rispetto a quella dell’originale. Altro punto dove si concentrarono gli sforzi dei progettisti fu l’irrobustimento del carrello anteriore,

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punto debole del caccia originale, effettuando un’approfondita analisi delle sollecitazioni del carrello di atterraggio e dell’area della struttura di attacco del carrello nelle ali, intervenendo di conseguenza con irrobustimenti dei cassoni alari e con l’adozione di un carrello anteriore costruito con materiali molto più robusti. L’impianto frenante è stato completamente rivisto con la sostituzione degli originali freni a tamburo, tra l’altro non molto efficienti, con un nuovo impianto frenante a disco montato all’interno del gruppo mozzo

ruota per salvaguardare l’originalità dell’aspetto esterno. Il pannello strumenti, con l’eccezione come detto delle radio e adottando strumentazione di nuova costruzione ma identica agli strumenti originali, è stato ricostruito come l’originale con il pannello di legno mentre sempre per la ricerca della massima fedeltà costruttiva anche il rivestimento della fusoliera delle ali è stato fatto usando lamierino e non, come oggi viene fatto, leghe di alluminio notevolmente più leggere”. I risultati dell’eccezionale lavoro di ricostruzione oggi

sono sotto gli occhi di tutti gli appassionati, che prossimamente avranno inoltre la possibilità di ammirare un Messerschmitt Me 262 Schwalbe originale volante. Il Flying Heritage & Combat Armor Museum di Paine Field ad Everett del magnate Paul Allen da anni sta lavorando ad un meticoloso restauro per riportare in volo uno dei caccia tedeschi arrivati dopo la fine della guerra. L’aereo è il wk.nr.500453 che dopo alcuni test fu ceduto nel dopoguerra ad Howard Hughes, il quale a sua

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vengano superate le 500 mph, limite massimo per la cellula. Altri accorgimenti sono stati applicati alle manette per limitare la loro escursione massima se non in casi di assoluta necessità e per limitati periodi come il decollo. Il consumo ridotto del motore americano (quasi la metà dello Jumo) consente inoltre costi di esercizio più contenuti oppure un’autonomia doppia rispetto a quella dell’originale. Altro punto dove si concentrarono gli sforzi dei progettisti fu l’irrobustimento del carrello anteriore,

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punto debole del caccia originale, effettuando un’approfondita analisi delle sollecitazioni del carrello di atterraggio e dell’area della struttura di attacco del carrello nelle ali, intervenendo di conseguenza con irrobustimenti dei cassoni alari e con l’adozione di un carrello anteriore costruito con materiali molto più robusti. L’impianto frenante è stato completamente rivisto con la sostituzione degli originali freni a tamburo, tra l’altro non molto efficienti, con un nuovo impianto frenante a disco montato all’interno del gruppo mozzo

ruota per salvaguardare l’originalità dell’aspetto esterno. Il pannello strumenti, con l’eccezione come detto delle radio e adottando strumentazione di nuova costruzione ma identica agli strumenti originali, è stato ricostruito come l’originale con il pannello di legno mentre sempre per la ricerca della massima fedeltà costruttiva anche il rivestimento della fusoliera delle ali è stato fatto usando lamierino e non, come oggi viene fatto, leghe di alluminio notevolmente più leggere”. I risultati dell’eccezionale lavoro di ricostruzione oggi

sono sotto gli occhi di tutti gli appassionati, che prossimamente avranno inoltre la possibilità di ammirare un Messerschmitt Me 262 Schwalbe originale volante. Il Flying Heritage & Combat Armor Museum di Paine Field ad Everett del magnate Paul Allen da anni sta lavorando ad un meticoloso restauro per riportare in volo uno dei caccia tedeschi arrivati dopo la fine della guerra. L’aereo è il wk.nr.500453 che dopo alcuni test fu ceduto nel dopoguerra ad Howard Hughes, il quale a sua

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o t ! n o e r t m t a a n u o q b b n i a ’ a L f si

successivamente alla Morgan Aircraft Ltd. Di Arlington, nello stato di Washington. Già il ripristino in condizioni di volo della cellula rappresentava una sfida ma Allen, non pago, decise che l’aereo avrebbe dovuto volare con i motori originali e assegnò alla ditta californiana Aero Turbine l’incarico di revisionare e riportare in condizioni di funzionamento due Jumo 004. Il primo motore revisionato e certificato è stato consegnato alla Morgan Aircraft la scorsa estate seguito dopo pochi mesi dal secondo, consentendo quindi di eseguire il primo volo nel corso dell’inverno.

LUIGINO CALIARO

volta lo cedette al Cal Aero Technical Institute. Nel 1955 il fondatore del Planes of Fame Museum di Chino, Ed Maloney, lo acquistò salvandolo dalla demolizione per esporlo nel suo museo dove rimase fino al 2000 quando fu acquistato dalla Flying Heritage Collection, con il preciso intento di riportalo in volo. La cellula fu inviata presso una fabbrica specializzata in Gran Bretagna che iniziò il restauro su ali e fusoliera prima della sua chiusura nel 2010. Successivamente il velivolo rientrò negli Stati Uniti dapprima presso la Gosshawk Unlimited di Casa Grande, in Arizona, e

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successivamente alla Morgan Aircraft Ltd. Di Arlington, nello stato di Washington. Già il ripristino in condizioni di volo della cellula rappresentava una sfida ma Allen, non pago, decise che l’aereo avrebbe dovuto volare con i motori originali e assegnò alla ditta californiana Aero Turbine l’incarico di revisionare e riportare in condizioni di funzionamento due Jumo 004. Il primo motore revisionato e certificato è stato consegnato alla Morgan Aircraft la scorsa estate seguito dopo pochi mesi dal secondo, consentendo quindi di eseguire il primo volo nel corso dell’inverno.

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volta lo cedette al Cal Aero Technical Institute. Nel 1955 il fondatore del Planes of Fame Museum di Chino, Ed Maloney, lo acquistò salvandolo dalla demolizione per esporlo nel suo museo dove rimase fino al 2000 quando fu acquistato dalla Flying Heritage Collection, con il preciso intento di riportalo in volo. La cellula fu inviata presso una fabbrica specializzata in Gran Bretagna che iniziò il restauro su ali e fusoliera prima della sua chiusura nel 2010. Successivamente il velivolo rientrò negli Stati Uniti dapprima presso la Gosshawk Unlimited di Casa Grande, in Arizona, e

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air force

one Tutti gli aerei del Presidente

Massimo Dominelli

I

Stati Uniti, 1950. Il Douglas VC-118 “Independence”, l’aeroplano presidenziale di Harry S. Truman, in volo.

n tutto il mondo le autorità governative hanno avuto da tempo immemorabile la necessità di recarsi per innumerevoli ragioni in altri Stati oltre che spostarsi tra le diverse aree geografiche della propria nazione.

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air force

one Tutti gli aerei del Presidente

Massimo Dominelli

I

Stati Uniti, 1950. Il Douglas VC-118 “Independence”, l’aeroplano presidenziale di Harry S. Truman, in volo.

n tutto il mondo le autorità governative hanno avuto da tempo immemorabile la necessità di recarsi per innumerevoli ragioni in altri Stati oltre che spostarsi tra le diverse aree geografiche della propria nazione.

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8-9 10

era nata la moglie, in ricordo dell’aeromobile da lui impiegato quando era Comandante Supremo Alleato in Europa, chiamato appunto “Columbine”. Fu questo il primo aeromobile presidenziale ad essere denominato “Air Force One” su suggerimento del pilota William Draper per evitare di confonderlo con altri aeromobili. Nel novembre del 1954, il Columbine II lasciò il passo al VC-121E “Columbine III”, un Lockheed L-1049C Constellation allestito per l’impiego presidenziale con, non in ultimo, uno schermo posto nella cabina passeggeri che mostrava l’andamento del volo, particolarmente apprezzato da Eisenhower. L’aeroplano esternamente era interamente dipinto di grigio, senza particolari insegne presidenziali. Dwight Eisenhower, negli ultimi diciassette mesi della sua amministrazione, fu il primo Presidente americano ad utilizzare un aviogetto in sostituzione degli aerei a pistoni. Il passaggio dall’elica al reattore fu voluto dalla Casa Bianca per più motivazioni; innanzi tutto per le prestazioni operative decisamente superiori a quelle degli aeroplani a pistoni accoppiate ad una maggior sicurezza e affidabilità e, in secondo luogo, perché i Presidenti dell’URSS già da qualche tempo volavano su aeromobili a getto e gli USA non potevano dunque rimanere indietro. La scelta cadde sul Boeing 707-120 designato, nella variante per il Governo, VC-137A e battezzato “Queenie”. La cabina del modernissimo -per l’epoca- quadrireattore era in grado di imbarcare sino a quaranta persone su percorsi intercontinentali e, solo nel 1960, Eisenhower effettuò 197 ore di volo percorrendo 78.677 miglia. Con l’avvento alla Casa Bianca di John Fitzgerald Kennedy la livrea della flotta aerea governativa venne Gli interni lussuosi e confortevoli dell’Independence. Cuba, 1948. Il Presidente cubano Prio Socarras accoglie il PresidenteTruman appena sbarcato nell'isola caraibica a bordo dell'Indipendence durante un tour che toccò inoltre Porto Rico, le Isole Vergini e infine la Florida.

11 12

Il Generale Dwight D. Eisenhower scende la scaletta del suo aeroplano personale, un C-69 Constellation, battezzato “Columbine”. Comandante in capo prima delle Forze Alleate nel Mediterraneo e successivamente in Europa, Eisenhower fu promosso General of the Army il 20 dicembre 1944 . 21 agosto 1954. Il Presidente Eisenhower e la First Lady Mamie Eisenhower fotografati sulla scaletta del “Columbine II”.

rivista in chiave più moderna eliminando le insegne dell’USAF e del Military Air Transport Service rimpiazzate dalla scritta “United States of America”, dalla bandiera nazionale e dal sigillo presidenziale. Tutto ciò per evidenziare l’appartenenza del velivolo al Governo e non più a una Forza Armata. Nell’ottobre del 1962, Kennedy pensionò il VC-137A sostituendolo con il VC-137B, un Boeing 707-320 modificato e dotato di propulsori turbofan caratterizzati da un’operatività tecnica superiore. Immatricolato SAM (Special Air Mission) 26000 e battezzato “The Spirit of 76”, il VC-137B era il più lussuoso e confortevole di tutti gli Air Force One

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era nata la moglie, in ricordo dell’aeromobile da lui impiegato quando era Comandante Supremo Alleato in Europa, chiamato appunto “Columbine”. Fu questo il primo aeromobile presidenziale ad essere denominato “Air Force One” su suggerimento del pilota William Draper per evitare di confonderlo con altri aeromobili. Nel novembre del 1954, il Columbine II lasciò il passo al VC-121E “Columbine III”, un Lockheed L-1049C Constellation allestito per l’impiego presidenziale con, non in ultimo, uno schermo posto nella cabina passeggeri che mostrava l’andamento del volo, particolarmente apprezzato da Eisenhower. L’aeroplano esternamente era interamente dipinto di grigio, senza particolari insegne presidenziali. Dwight Eisenhower, negli ultimi diciassette mesi della sua amministrazione, fu il primo Presidente americano ad utilizzare un aviogetto in sostituzione degli aerei a pistoni. Il passaggio dall’elica al reattore fu voluto dalla Casa Bianca per più motivazioni; innanzi tutto per le prestazioni operative decisamente superiori a quelle degli aeroplani a pistoni accoppiate ad una maggior sicurezza e affidabilità e, in secondo luogo, perché i Presidenti dell’URSS già da qualche tempo volavano su aeromobili a getto e gli USA non potevano dunque rimanere indietro. La scelta cadde sul Boeing 707-120 designato, nella variante per il Governo, VC-137A e battezzato “Queenie”. La cabina del modernissimo -per l’epoca- quadrireattore era in grado di imbarcare sino a quaranta persone su percorsi intercontinentali e, solo nel 1960, Eisenhower effettuò 197 ore di volo percorrendo 78.677 miglia. Con l’avvento alla Casa Bianca di John Fitzgerald Kennedy la livrea della flotta aerea governativa venne Gli interni lussuosi e confortevoli dell’Independence. Cuba, 1948. Il Presidente cubano Prio Socarras accoglie il PresidenteTruman appena sbarcato nell'isola caraibica a bordo dell'Indipendence durante un tour che toccò inoltre Porto Rico, le Isole Vergini e infine la Florida.

11 12

Il Generale Dwight D. Eisenhower scende la scaletta del suo aeroplano personale, un C-69 Constellation, battezzato “Columbine”. Comandante in capo prima delle Forze Alleate nel Mediterraneo e successivamente in Europa, Eisenhower fu promosso General of the Army il 20 dicembre 1944 . 21 agosto 1954. Il Presidente Eisenhower e la First Lady Mamie Eisenhower fotografati sulla scaletta del “Columbine II”.

rivista in chiave più moderna eliminando le insegne dell’USAF e del Military Air Transport Service rimpiazzate dalla scritta “United States of America”, dalla bandiera nazionale e dal sigillo presidenziale. Tutto ciò per evidenziare l’appartenenza del velivolo al Governo e non più a una Forza Armata. Nell’ottobre del 1962, Kennedy pensionò il VC-137A sostituendolo con il VC-137B, un Boeing 707-320 modificato e dotato di propulsori turbofan caratterizzati da un’operatività tecnica superiore. Immatricolato SAM (Special Air Mission) 26000 e battezzato “The Spirit of 76”, il VC-137B era il più lussuoso e confortevole di tutti gli Air Force One

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13

VC-121A Columbine II.

Iil Presidente Kennedy e la First Lady Jacqueline sono stati due importanti “Frequent Flyers” dell’Air Force One.

20-21-22 14-15

Il pilota del Columbine II, William Draper. Il 18 maggio 1954, in volo su Richmond, in Virginia, Draper si identificò con il centro di controllo del traco aereo come Ā Air Force 8610, il “tail number” del Columbine II. Un pilota della Eastern Air Lines il cui nominativo includeva i numeri 8610 contattò a sua volta il centro di controllo generando una certa confusione. I servizi segreti successivamente organizzarono un incontro sull'aeroporto di Washington con funzionari dell'aviazione civile, l’Air Force e il comandante Draper. Fu proprio quest’ultimo a raccomandare che da quel momento in avanti si usasse il “call sign” Air Force One per qualsiasi aeromobile quando esso trasportava il presidente.

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La cabina di pilotaggio e alcuni ambienti interni del Boeing VC-137A.

23

L’arrivo a Dallas del Presidente Kennedy il 22 novembre 1963, giorno del suo attentato.


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VC-121A Columbine II.

Iil Presidente Kennedy e la First Lady Jacqueline sono stati due importanti “Frequent Flyers” dell’Air Force One.

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Il pilota del Columbine II, William Draper. Il 18 maggio 1954, in volo su Richmond, in Virginia, Draper si identificò con il centro di controllo del traco aereo come Ā Air Force 8610, il “tail number” del Columbine II. Un pilota della Eastern Air Lines il cui nominativo includeva i numeri 8610 contattò a sua volta il centro di controllo generando una certa confusione. I servizi segreti successivamente organizzarono un incontro sull'aeroporto di Washington con funzionari dell'aviazione civile, l’Air Force e il comandante Draper. Fu proprio quest’ultimo a raccomandare che da quel momento in avanti si usasse il “call sign” Air Force One per qualsiasi aeromobile quando esso trasportava il presidente.

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La cabina di pilotaggio e alcuni ambienti interni del Boeing VC-137A.

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L’arrivo a Dallas del Presidente Kennedy il 22 novembre 1963, giorno del suo attentato.


precedenti offrendo, tra l’altro, maggior spazio a bordo per le riunioni e gli incontri con la Stampa a fronte della configurazione interna per 36 persone e 12 membri dell’equipaggio. Il 22 Novembre 1963, il SAM 26000 imbarcò la salma del Presidente Kennedy, assassinato a Dallas quello stesso giorno, trasportandola a Washington. Nel corso di quel triste volo il Vice Presidente Lyndon Baynes Johnson, giurò come 36° Presidente. Johnson impiegò ampiamente il VC-137B, per un totale di 523.000 miglia, oltreché per la sue missioni in USA e all’estero, quale mezzo di pressione su altri politici con f requenti telefonate in volo e molteplici inviti a bordo in una cabina che, per ospitare adeguatamente il seguito presidenziale in costante crescita salvo i giornalisti che Johnson esplicitamente detestava, aveva raggiunto i sessanta posti. Il SAM 26000 passò poi al servizio del successore di Johnson, Richard Nixon, il quale volle come unica modifica la disattivazione dell’impianto di registrazione delle conversazioni a bordo e delle comunicazioni con i controllori di volo. A Dicembre del 1972 entrò in linea nella flotta governativa un ulteriore VC-137C, con le marche SAM 27000 e la medesima configurazione interna, risultata però non gradita a Nixon, a fronte di una spesa di due milioni di Dollari e di innumerevoli quanto pesanti critiche. All’indomani del Watergate, nell’agosto 1984, Nixon uscì di scena e venne eletto presidente Gerald Rudolph Ford. Questi, e in seguito Jimmy Carter, nulla modificarono nella flotta presidenziale, salvo cercare di ridurne i costi operativi. Un cambiamento fondamentale avvenne con l’arrivo di Ronald Reagan alla Casa Bianca, quando l’aeromobile presidenziale da un semplice mezzo di trasporto della massima autorità nazionale diventò uno dei simboli della potenza e della forza della nazione nordamericana.

24-25

27

22 Novembre 1963. La salma del Presidente Kennedy viene caricata a bordo dell’Air Force One e posizionata in fondo alla cabina. Durante il volo di rientro il Vice Presidente Lyndon Baynes Johnson giurò come 36° Presidente.

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In questa foto il VC-137C SAM 26000 mostra la scritta "The Spirit of 76" dipinta sul muso.

28-29

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L’Air Force One VC-25A sorvola il celeberrimo Monte Rushmore, dove sono scolpiti i volti dei quattro presidenti americani George Washington, Thomas Jeerson, Theodore Roosevelt e Abraham Ā Lincoln, scelti rispettivamente come simboli della nascita, della crescita, dello sviluppo e della conservazione degli Stati Uniti.

2 giugno 1999. L’aereo presidenziale, con a bordo il Presidente William Je erson Clinton, in atterraggio sulla Peterson Air Force Base, Colorado.

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precedenti offrendo, tra l’altro, maggior spazio a bordo per le riunioni e gli incontri con la Stampa a fronte della configurazione interna per 36 persone e 12 membri dell’equipaggio. Il 22 Novembre 1963, il SAM 26000 imbarcò la salma del Presidente Kennedy, assassinato a Dallas quello stesso giorno, trasportandola a Washington. Nel corso di quel triste volo il Vice Presidente Lyndon Baynes Johnson, giurò come 36° Presidente. Johnson impiegò ampiamente il VC-137B, per un totale di 523.000 miglia, oltreché per la sue missioni in USA e all’estero, quale mezzo di pressione su altri politici con f requenti telefonate in volo e molteplici inviti a bordo in una cabina che, per ospitare adeguatamente il seguito presidenziale in costante crescita salvo i giornalisti che Johnson esplicitamente detestava, aveva raggiunto i sessanta posti. Il SAM 26000 passò poi al servizio del successore di Johnson, Richard Nixon, il quale volle come unica modifica la disattivazione dell’impianto di registrazione delle conversazioni a bordo e delle comunicazioni con i controllori di volo. A Dicembre del 1972 entrò in linea nella flotta governativa un ulteriore VC-137C, con le marche SAM 27000 e la medesima configurazione interna, risultata però non gradita a Nixon, a fronte di una spesa di due milioni di Dollari e di innumerevoli quanto pesanti critiche. All’indomani del Watergate, nell’agosto 1984, Nixon uscì di scena e venne eletto presidente Gerald Rudolph Ford. Questi, e in seguito Jimmy Carter, nulla modificarono nella flotta presidenziale, salvo cercare di ridurne i costi operativi. Un cambiamento fondamentale avvenne con l’arrivo di Ronald Reagan alla Casa Bianca, quando l’aeromobile presidenziale da un semplice mezzo di trasporto della massima autorità nazionale diventò uno dei simboli della potenza e della forza della nazione nordamericana.

24-25

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22 Novembre 1963. La salma del Presidente Kennedy viene caricata a bordo dell’Air Force One e posizionata in fondo alla cabina. Durante il volo di rientro il Vice Presidente Lyndon Baynes Johnson giurò come 36° Presidente.

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In questa foto il VC-137C SAM 26000 mostra la scritta "The Spirit of 76" dipinta sul muso.

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L’Air Force One VC-25A sorvola il celeberrimo Monte Rushmore, dove sono scolpiti i volti dei quattro presidenti americani George Washington, Thomas Jeerson, Theodore Roosevelt e Abraham Ā Lincoln, scelti rispettivamente come simboli della nascita, della crescita, dello sviluppo e della conservazione degli Stati Uniti.

2 giugno 1999. L’aereo presidenziale, con a bordo il Presidente William Je erson Clinton, in atterraggio sulla Peterson Air Force Base, Colorado.

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quadrati e i velivoli dispongono ognuno di due cucine in grado di preparare contemporaneamente sino a cento pasti mentre c’è lo spazio per imbarcare duemila vassoi già pronti. Con una capacità massima di 102 persone, compresi i 26 membri che formano l’equipaggio, il Boeing ha una “suite” presidenziale costituita da un guardaroba, un bagno e un ufficio, oltre a varie zone per i rimanenti passeggeri, compresi gli agenti FBI, e i corrispondenti della Stampa i cui membri, fissi nell’entourage presidenziale in occasione di ogni viaggio governativo, sono 13 giornalisti a copertura di tutte le testate e di qualsiasi altro mezzo d’informazione. Parimenti presenti, insieme ad un medico, sono anche diverse attrezzature sanitarie, inclusi un tavolo operatorio, un defibrillatore semi-automatico SP, r i f o r n i m e n t i m e d i c i d ’e m e rg e n z a , i n c l u s o u n contenitore conservato in una cella frigorifera con una riserva del tipo di sangue del Presidente in carica, ed una fornitissima farmacia nonché un tapis-roulant per la pratica sportiva.

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Ogni volta che l’Air Force One partecipa ad un evento pubblico, atterra con il lato sinistro di fronte alla folla quale misura di sicurezza aggiuntiva per proteggere il lato dedicato al Presidente. L’11 settembre 2001, subito dopo l’attacco terroristico alle Twin Towers di New York, un VC-25A trasportò George W. Bush da Sarasota, in Florida, dove il Presidente stava partecipando ad un evento scolastico, alla base aerea militare di Barksdale, in Louisiana, anziché ritornare subito a Washington, in quanto l’Air Force One e la Casa Bianca furono ritenuti possibili bersagli di ulteriori attacchi. Nel 2021 è prevista la consegna dei successori degli attuali Air Force One. Si tratta di due esemplari del Boeing 747-800 (la versione più recente del “Jumbo”) modificati, come i precedenti, per il compito assegnato. Malgrado l’intervento del Presidente Donald Trump nell’aspetto strettamente economico della commessa, già peraltro avviata durante l’amministrazione Obama, i due jet liner sono in avanzata fase di allestimento negli stabilimenti della Boeing a Everett, a nord di Seattle.

L’AIR FORCE ONE AL CINEMA

L

’ Air Force One è stato spesso protagonista della cultura cinematografica; tralasciando le decine di film all’interno dei quali l’aeroplano presidenziale fa solo apparizioni fugaci, ci sono state pellicole, e sicuramente ce ne saranno ancora in futuro, in cui esso ha ricoperto un ruolo importante quando non è stato addirittura uno dei protagonisti. Degno di nota a tal proposito è il film d'azione del 1997 “Air Force One”, per la regia di Wolfgang Petersen e interpretato da Harrison Ford, Gary Oldman e Glenn Close. Nel film, dei terroristi kazaki si impossessano dell’Air Force One e tengono i passeggeri ed il presidente come ostaggi. Le installazioni interne dell’aeroplano sono mol to scenografiche ancorché esageratamente tecnologicizzate rispetto al vero, per non parlare della presenza di una fantascientifica capsula di salvataggio riservata al Presidente. Il vero Air Force One non contiene ufficialmente capsule di salvataggio, anche se gli estimatori del “complottismo” fanno notare che ciò non è dimostrabile in quanto il progetto dell’aeroplano è segreto. L’Air Force One compare tra l’altro nel film “1997: Fuga da New York” e anche in questo film è presente una capsula di salvataggio che, mentre l’aeroplano viene fatto schiantare da un gruppo di terroristi suicidi, permette al Presidente di salvarsi, solo per finire nelle mani dei galeotti che popolano l a c i t t à d i N e w Yo r k d i v e n u t a , n e l l a fi n z i o n e cinematografica, un’enorme prigione. Toccherà all’antieroe “Jena” Plissken, un ex veterano diventato fuorilegge e condannato all’ergastolo, redimersi salvando il Presidente. Il film, diretto da John Carpenter, uscì nel 1981. Il cast comprendeva Kurt Russell, Lee Van Cleef, Ernest Borgnine, Donald Pleasence, Isaac Hayes ed Harry Dean Stanton. È stato uno degli ultimi film con Lee Van Cleef, attore di culto delle pellicole western. L’Air Force One, questa volta in un’allestimento più aderente alla realtà, compare uno dei film più esageratamente fantascientifici del secolo scorso: “Independence Day”, di Roland Emmerich. Il film narra di una quasi riuscita invasione aliena della Terra, con la distruzione iniziale di parecchi monumenti simbolo degli Stati Uniti d'America, come l’Empire State Building, la Casa Bianca e la Library Tower di Los Angeles. Sarà proprio l’aereo presidenziale a permettere la fuga del Presidente e del suo staff e poter così dirigere con successo il contrattacco che vedrà naturalmente i cattivissimi alieni ridotti a mal partito. Nel cast troviamo i protagonisti principali interpretati da Will Smith, Jeff Goldblum, Bill Pullman. Una delle apparizioni certamente più simboliche dell’Air Force One è in “2012”, un film catastrofico del 2009 con John Cusack e Amanda Peet come interpreti principali e diretto ancora una volta da Roland Emmerich, in cui il Boeing presidenziale giace in fondo al mare, insieme al resto della civiltà così come la conosciamo, spazzata via da una serie di eventi naturali catastrofici a dimostrazione della nostra fragilità rispetto alle forze della natura. L’Air Force One è stato anche protagonista degli episodi centrali della quarta stagione della serie televisiva “24”. In essi l’aereo presidenziale diviene uno degli obiettivi di una cellula terroristica che, dopo essere entrata in possesso di un velivolo “stealth”, riesce ad abbatterlo con un missile aria-aria.

La locandina italiana del film “1997: fuga da New York” ebbe la particolarità di rappresentare il protagonista con la benda... sull’occhio sbagliato!

Harrison Ford e Wolfgang Petersen durante le riprese del film “Air Force One”.

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quadrati e i velivoli dispongono ognuno di due cucine in grado di preparare contemporaneamente sino a cento pasti mentre c’è lo spazio per imbarcare duemila vassoi già pronti. Con una capacità massima di 102 persone, compresi i 26 membri che formano l’equipaggio, il Boeing ha una “suite” presidenziale costituita da un guardaroba, un bagno e un ufficio, oltre a varie zone per i rimanenti passeggeri, compresi gli agenti FBI, e i corrispondenti della Stampa i cui membri, fissi nell’entourage presidenziale in occasione di ogni viaggio governativo, sono 13 giornalisti a copertura di tutte le testate e di qualsiasi altro mezzo d’informazione. Parimenti presenti, insieme ad un medico, sono anche diverse attrezzature sanitarie, inclusi un tavolo operatorio, un defibrillatore semi-automatico SP, r i f o r n i m e n t i m e d i c i d ’e m e rg e n z a , i n c l u s o u n contenitore conservato in una cella frigorifera con una riserva del tipo di sangue del Presidente in carica, ed una fornitissima farmacia nonché un tapis-roulant per la pratica sportiva.

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Ogni volta che l’Air Force One partecipa ad un evento pubblico, atterra con il lato sinistro di fronte alla folla quale misura di sicurezza aggiuntiva per proteggere il lato dedicato al Presidente. L’11 settembre 2001, subito dopo l’attacco terroristico alle Twin Towers di New York, un VC-25A trasportò George W. Bush da Sarasota, in Florida, dove il Presidente stava partecipando ad un evento scolastico, alla base aerea militare di Barksdale, in Louisiana, anziché ritornare subito a Washington, in quanto l’Air Force One e la Casa Bianca furono ritenuti possibili bersagli di ulteriori attacchi. Nel 2021 è prevista la consegna dei successori degli attuali Air Force One. Si tratta di due esemplari del Boeing 747-800 (la versione più recente del “Jumbo”) modificati, come i precedenti, per il compito assegnato. Malgrado l’intervento del Presidente Donald Trump nell’aspetto strettamente economico della commessa, già peraltro avviata durante l’amministrazione Obama, i due jet liner sono in avanzata fase di allestimento negli stabilimenti della Boeing a Everett, a nord di Seattle.

L’AIR FORCE ONE AL CINEMA

L

’ Air Force One è stato spesso protagonista della cultura cinematografica; tralasciando le decine di film all’interno dei quali l’aeroplano presidenziale fa solo apparizioni fugaci, ci sono state pellicole, e sicuramente ce ne saranno ancora in futuro, in cui esso ha ricoperto un ruolo importante quando non è stato addirittura uno dei protagonisti. Degno di nota a tal proposito è il film d'azione del 1997 “Air Force One”, per la regia di Wolfgang Petersen e interpretato da Harrison Ford, Gary Oldman e Glenn Close. Nel film, dei terroristi kazaki si impossessano dell’Air Force One e tengono i passeggeri ed il presidente come ostaggi. Le installazioni interne dell’aeroplano sono mol to scenografiche ancorché esageratamente tecnologicizzate rispetto al vero, per non parlare della presenza di una fantascientifica capsula di salvataggio riservata al Presidente. Il vero Air Force One non contiene ufficialmente capsule di salvataggio, anche se gli estimatori del “complottismo” fanno notare che ciò non è dimostrabile in quanto il progetto dell’aeroplano è segreto. L’Air Force One compare tra l’altro nel film “1997: Fuga da New York” e anche in questo film è presente una capsula di salvataggio che, mentre l’aeroplano viene fatto schiantare da un gruppo di terroristi suicidi, permette al Presidente di salvarsi, solo per finire nelle mani dei galeotti che popolano l a c i t t à d i N e w Yo r k d i v e n u t a , n e l l a fi n z i o n e cinematografica, un’enorme prigione. Toccherà all’antieroe “Jena” Plissken, un ex veterano diventato fuorilegge e condannato all’ergastolo, redimersi salvando il Presidente. Il film, diretto da John Carpenter, uscì nel 1981. Il cast comprendeva Kurt Russell, Lee Van Cleef, Ernest Borgnine, Donald Pleasence, Isaac Hayes ed Harry Dean Stanton. È stato uno degli ultimi film con Lee Van Cleef, attore di culto delle pellicole western. L’Air Force One, questa volta in un’allestimento più aderente alla realtà, compare uno dei film più esageratamente fantascientifici del secolo scorso: “Independence Day”, di Roland Emmerich. Il film narra di una quasi riuscita invasione aliena della Terra, con la distruzione iniziale di parecchi monumenti simbolo degli Stati Uniti d'America, come l’Empire State Building, la Casa Bianca e la Library Tower di Los Angeles. Sarà proprio l’aereo presidenziale a permettere la fuga del Presidente e del suo staff e poter così dirigere con successo il contrattacco che vedrà naturalmente i cattivissimi alieni ridotti a mal partito. Nel cast troviamo i protagonisti principali interpretati da Will Smith, Jeff Goldblum, Bill Pullman. Una delle apparizioni certamente più simboliche dell’Air Force One è in “2012”, un film catastrofico del 2009 con John Cusack e Amanda Peet come interpreti principali e diretto ancora una volta da Roland Emmerich, in cui il Boeing presidenziale giace in fondo al mare, insieme al resto della civiltà così come la conosciamo, spazzata via da una serie di eventi naturali catastrofici a dimostrazione della nostra fragilità rispetto alle forze della natura. L’Air Force One è stato anche protagonista degli episodi centrali della quarta stagione della serie televisiva “24”. In essi l’aereo presidenziale diviene uno degli obiettivi di una cellula terroristica che, dopo essere entrata in possesso di un velivolo “stealth”, riesce ad abbatterlo con un missile aria-aria.

La locandina italiana del film “1997: fuga da New York” ebbe la particolarità di rappresentare il protagonista con la benda... sull’occhio sbagliato!

Harrison Ford e Wolfgang Petersen durante le riprese del film “Air Force One”.

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alghero aeroporto militare

L’avamposto Nord della Sardegna

Luca Granella

N

el panorama italiano degli aeroporti militari quello di Alghero merita un posto di assoluto rilievo date le importanti pagine di storia dell'aviazione che sono state scritte sulla sua pista, a partire fin dagli Anni ‘30.

58

Allineamento di T-6G del 202° Gruppo Scuola Volo di 2° periodo basati ad Alghero. (Archivio A.M.)


alghero aeroporto militare

L’avamposto Nord della Sardegna

Luca Granella

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el panorama italiano degli aeroporti militari quello di Alghero merita un posto di assoluto rilievo date le importanti pagine di storia dell'aviazione che sono state scritte sulla sua pista, a partire fin dagli Anni ‘30.

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Allineamento di T-6G del 202° Gruppo Scuola Volo di 2° periodo basati ad Alghero. (Archivio A.M.)


ARCHIVIO A.M.

8

Una veduta dello scalo algherese nel 1956, quando iniziarono i primi collegamenti passeggeri. Sul piazzale sono visibili un Vickers Viscount Alitalia ed uno della BEA mentre sullo sfondo si intravede un Douglas DC6, sempre dalla compagnia di bandiera italiana.

9 10

tre posti sul lato ovest ed uno su lato est del sedime. Proprio quest’ultimo nel tempo ha ospitato i primi spazi dedicati ai passeggeri in partenza, questo solo dopo che i voli commerciali sono stati spostati nella parte orientale dell’aeroporto. L’Aeroporto Militare di Alghero fu inaugurato ufficialmente il 28 Marzo 1938 dopo soli due anni dall’inizio dei lavori. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale sul campo furono stanziati per un breve periodo i Breda Ba.88 del 19° Gruppo Autonomo, ma soprattutto fu rischierato l’8° Stormo composto da aerosiluranti e bombardieri, fattore che fece del campo un obiettivo primario dei pesanti bombardamenti per mano della RAF e dell’USAAF. Tutta l’area subì ingenti danni alle inf rastrutture compreso il vicino centro abitato di Alghero. Le due piste, realizzate inizialmente dalla Luftwaffe, in seguito all’arrivo delle forze alleate furono pavimentate. L’aeroporto aveva una pista lunga 1.500 metri che nel 1956 è stata dotata di asfalto per essere poi portata in seguito alla lunghezza di 2.200 metri, raggiungendo infine la lunghezza attuale di 3.000 metri grazie ai lavori iniziati nel 1977, con inaugurazione datata 1980. Ancor oggi questa pista risulta essere la più lunga del panorama aeroportuale sardo. Dal 1952 sullo scalo iniziarono ad operare le Scuole Volo deputate alla formazione dei piloti dell’Aeronautica Militare, utilizzando i North American T-6, e dei piloti dell’Esercito italiano con la linea volo basata su Piper L 18C e L 21B. La Scuola Volo, data la qualità degli standard addestrativi, nel tempo inaugurò i corsi rivolti anche ai piloti della Marina Militare, oltre ai corsi pre-volo per i piloti dell’Aeronautica arrivando a brevettare anche gli allievi del Genio Aeronautico.

il piccolo principe ad alghero

U

lteriore lustro all’aeroporto di Alghero-Fertilia lo ha dato la presenza sullo scalo di Antoine de Saint Exupéry. Il celebre poeta ed aviatore francese prestò servizio ad Alghero nel 1944 sotto il Comando Alleato, operando nell’ambito della squadriglia “La Hache”, associata ad una squadriglia americana. Le sue missioni riguardavano le ricognizioni sulla Francia Meridionale occupata dai tedeschi volando su un bimotore Lockheed P38 “Lightning” totalmente privo di armamento, sostituito da sei apparecchi fotografici. Proprio a bordo di questo aereo, “Colgate” era il suo “call sign”, Saint Exupéry la mattina del 31 Luglio decollò per una missione dalla quale non ritornò mai, ritenuto probabilmente abbattuto al largo della Corsica. Solo a settembre del 1998 un peschereccio trovò impigliati nelle sue reti a strascico dei rottami, successivamente attribuiti a un P-38, e un braccialetto d'argento con inciso il nome del pilota scrittore. Al piano terra della palazzina di comando del Mario Aramu ad Antoine è stata dedicata la sala transiti dove all’interno sono esposte fotografie e cimeli che raccontano sia la vita che la militanza del pilota transalpino sullo scalo catalano. Dal suo estro, dalla sua maestria letteraria e dalla sua innata capacità di narrare la vita nonché le sue avventure nei cieli da una prospettiva inusuale, nacque uno dei più bei libri mai scritti, divenuto poi un intramontabile classico della letteratura mondiale: “Il Piccolo Principe”.

Antoine de Saint Exupéry ad Alghero, a bordo del suo P-38 Lightning.

La pista di Alghero vista in atterraggio. Uno dei Macchi Ma.416 del 211° Gruppo, basati sull’aeroporto di Alghero negli Anni ‘50.

Il P-38 di Antoine de Saint Exupéry viene portato fuori dall’hangar di Alghero. Sullo sfondo, il Monte Doglia.

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Una veduta dello scalo algherese nel 1956, quando iniziarono i primi collegamenti passeggeri. Sul piazzale sono visibili un Vickers Viscount Alitalia ed uno della BEA mentre sullo sfondo si intravede un Douglas DC6, sempre dalla compagnia di bandiera italiana.

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tre posti sul lato ovest ed uno su lato est del sedime. Proprio quest’ultimo nel tempo ha ospitato i primi spazi dedicati ai passeggeri in partenza, questo solo dopo che i voli commerciali sono stati spostati nella parte orientale dell’aeroporto. L’Aeroporto Militare di Alghero fu inaugurato ufficialmente il 28 Marzo 1938 dopo soli due anni dall’inizio dei lavori. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale sul campo furono stanziati per un breve periodo i Breda Ba.88 del 19° Gruppo Autonomo, ma soprattutto fu rischierato l’8° Stormo composto da aerosiluranti e bombardieri, fattore che fece del campo un obiettivo primario dei pesanti bombardamenti per mano della RAF e dell’USAAF. Tutta l’area subì ingenti danni alle inf rastrutture compreso il vicino centro abitato di Alghero. Le due piste, realizzate inizialmente dalla Luftwaffe, in seguito all’arrivo delle forze alleate furono pavimentate. L’aeroporto aveva una pista lunga 1.500 metri che nel 1956 è stata dotata di asfalto per essere poi portata in seguito alla lunghezza di 2.200 metri, raggiungendo infine la lunghezza attuale di 3.000 metri grazie ai lavori iniziati nel 1977, con inaugurazione datata 1980. Ancor oggi questa pista risulta essere la più lunga del panorama aeroportuale sardo. Dal 1952 sullo scalo iniziarono ad operare le Scuole Volo deputate alla formazione dei piloti dell’Aeronautica Militare, utilizzando i North American T-6, e dei piloti dell’Esercito italiano con la linea volo basata su Piper L 18C e L 21B. La Scuola Volo, data la qualità degli standard addestrativi, nel tempo inaugurò i corsi rivolti anche ai piloti della Marina Militare, oltre ai corsi pre-volo per i piloti dell’Aeronautica arrivando a brevettare anche gli allievi del Genio Aeronautico.

il piccolo principe ad alghero

U

lteriore lustro all’aeroporto di Alghero-Fertilia lo ha dato la presenza sullo scalo di Antoine de Saint Exupéry. Il celebre poeta ed aviatore francese prestò servizio ad Alghero nel 1944 sotto il Comando Alleato, operando nell’ambito della squadriglia “La Hache”, associata ad una squadriglia americana. Le sue missioni riguardavano le ricognizioni sulla Francia Meridionale occupata dai tedeschi volando su un bimotore Lockheed P38 “Lightning” totalmente privo di armamento, sostituito da sei apparecchi fotografici. Proprio a bordo di questo aereo, “Colgate” era il suo “call sign”, Saint Exupéry la mattina del 31 Luglio decollò per una missione dalla quale non ritornò mai, ritenuto probabilmente abbattuto al largo della Corsica. Solo a settembre del 1998 un peschereccio trovò impigliati nelle sue reti a strascico dei rottami, successivamente attribuiti a un P-38, e un braccialetto d'argento con inciso il nome del pilota scrittore. Al piano terra della palazzina di comando del Mario Aramu ad Antoine è stata dedicata la sala transiti dove all’interno sono esposte fotografie e cimeli che raccontano sia la vita che la militanza del pilota transalpino sullo scalo catalano. Dal suo estro, dalla sua maestria letteraria e dalla sua innata capacità di narrare la vita nonché le sue avventure nei cieli da una prospettiva inusuale, nacque uno dei più bei libri mai scritti, divenuto poi un intramontabile classico della letteratura mondiale: “Il Piccolo Principe”.

Antoine de Saint Exupéry ad Alghero, a bordo del suo P-38 Lightning.

La pista di Alghero vista in atterraggio. Uno dei Macchi Ma.416 del 211° Gruppo, basati sull’aeroporto di Alghero negli Anni ‘50.

Il P-38 di Antoine de Saint Exupéry viene portato fuori dall’hangar di Alghero. Sullo sfondo, il Monte Doglia.

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Gruppo di piloti davanti a un T-6G nel 1954. T-6G del 202° Gruppo Scuola Volo di 2° periodo. Costituito il 1 aprile 1952, il Gruppo era formato da due Squadriglie, la 406a e la 407a, che avevano il compito di portare gli allievi piloti al conseguimento del brevetto di pilota d’aeroplano. L’esemplare SL-36 fu trasferito a Latina nel 1977.

ARCHIVIO A.M.

13

1961. il Capo di Stato Maggiore, Gen. S.A. Silvio Napoli, passa in rassegna la linea di volo dei Piper L 18C dell’Esercito.

I programmi di respiro internazionale della Scuola Volo portarono inoltre ad Alghero piloti provenienti da Congo, Zambia e Somalia. Nel 1958 l’aeroporto venne intitolato al Col. Pil. Mario Aramu, Medaglia d’Oro al Valor Militare nella Seconda Guerra Mondiale. Nel 1966 la Scuola portava il nome di “ S c u o l a Vo l o B a s i c o I n i z i a l e E l i c a ” ( S .V. B . I . E . ) raggiungendo a fine Anni ‘60 il record di detenere tra tutte le Scuole volo dell'Aeronautica Militare il maggior numero di ore volate. Dopo il 31 Marzo 1974, data in cui la Scuola concluse l’attività, sul Mario Aramu venne posto il Comando Distaccamento Aeroportuale Aeronautica Militare che nel tempo passò poi le competenze istituzionali con annessi servizi di assistenza al traffico aereo agli enti oggi denominati ENAC ed ENAV. Dal momento in cui tutti i corsi delle Scuola Volo sono cessati, il distaccamento Aeroportuale di Alghero è passato dalla dipendenza del Comando delle Scuole al comando della Seconda Regione Aerea. Con la s o p p re s s i o n e d i q u e s t ’ u l t i m a i l M a r i o A r a m u attualmente dipende dal Comando Scuole A.M., Terza Regione aerea. Sul Mario Aramu sono transitate in passato numerose autorità, capi di stato e leader politici tra i quali ricordiamo Benito Mussolini, il Principe Umberto di Savoia e, in tempi più recenti, i Presidenti della Repubblica Giovanni Leone ed Antonio Segni, il Ministro della Difesa Giulio Andreotti e il Primo Ministro greco Alexis Tsipras.

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T-6 appartenente alla “Scuola Volo Basico Iniziale Elica”.

Attualmente lo scalo assolve ai delicati compiti di assistenza tecnica e logistica per tutti i velivoli dell’Aeronautica Militare con particolare attenzione alla gestione dei voli sanitari che dopo anni di transito sul lato civile dell’aeroporto dal 2014 sono tornati ad operare sui piazzali del Mario Aramu. A partire dal 2014 l'Aeroporto Militare è diretto dal Colonnello Bruno Mariani che grazie alle sue eccellenti capacità ha saputo regalare una nuova vita allo scalo, rilanciandolo dopo anni in cui le attività hanno subito un notevole ridimensionamento, portandolo nuovamente al ruolo di protagonista del territorio catalano. Il com. Mariani, coadiuvato dal vice comandante maggiore Alessandro Magrini, ha lavorato su più fronti intervenendo sull’aspetto manutentivo delle strutture, promuovendo iniziative sociali quali l'apertura delle porte alle scolaresche ed agli allievi degli istituti superiori coinvolti nell’ambito del progetto “Scuola-Lavoro”. L’Aeroporto svolge un ruolo importante sia come ambasciatore dell’Aeronautica Militare in Sardegna che di tutela del territorio promuovendo in più occasioni, con gli enti locali quali la Protezione Civile, esercitazioni atte alla gestione delle emergenze. A tal proposito nel 2017 in collaborazione con il Comune di Alghero è stato simulato un allagamento a causa delle avverse condizioni atmosferiche nella zona di Mammunthanas, dove il personale in forza al Distaccamento Aeroportuale ha condotto le operazioni di evacuazione della popolazione per mezzo di gommoni, autobus e mediante un elicottero AB212-AWTI proveniente dall’80° Gruppo SAR (Search And Rescue) del 15° Stormo di Decimomannu. Rispetto agli Anni ‘80, così come avvenuto in altri siti

15

16

L’interno di uno degli hangar S100 durante una cerimonia u ciale.

Un A-4 Skyhawk della U.S. Navy ad Alghero negli Anni ‘80. Sull’aeroporto sardo sono transitati spesso aeroplani della Sesta Flotta americana tra cui C-1, A-4, F-4, A-7 e, in tempi più recenti, F/A-18. Oltre ai normali scali tecnici, frequentemente si trattava di aerei con qualche avaria, a corto di carburante, oppure impossibilitati a tornare a bordo della portaerei a causa di avverse condizioni meteo.

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Gruppo di piloti davanti a un T-6G nel 1954. T-6G del 202° Gruppo Scuola Volo di 2° periodo. Costituito il 1 aprile 1952, il Gruppo era formato da due Squadriglie, la 406a e la 407a, che avevano il compito di portare gli allievi piloti al conseguimento del brevetto di pilota d’aeroplano. L’esemplare SL-36 fu trasferito a Latina nel 1977.

ARCHIVIO A.M.

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1961. il Capo di Stato Maggiore, Gen. S.A. Silvio Napoli, passa in rassegna la linea di volo dei Piper L 18C dell’Esercito.

I programmi di respiro internazionale della Scuola Volo portarono inoltre ad Alghero piloti provenienti da Congo, Zambia e Somalia. Nel 1958 l’aeroporto venne intitolato al Col. Pil. Mario Aramu, Medaglia d’Oro al Valor Militare nella Seconda Guerra Mondiale. Nel 1966 la Scuola portava il nome di “ S c u o l a Vo l o B a s i c o I n i z i a l e E l i c a ” ( S .V. B . I . E . ) raggiungendo a fine Anni ‘60 il record di detenere tra tutte le Scuole volo dell'Aeronautica Militare il maggior numero di ore volate. Dopo il 31 Marzo 1974, data in cui la Scuola concluse l’attività, sul Mario Aramu venne posto il Comando Distaccamento Aeroportuale Aeronautica Militare che nel tempo passò poi le competenze istituzionali con annessi servizi di assistenza al traffico aereo agli enti oggi denominati ENAC ed ENAV. Dal momento in cui tutti i corsi delle Scuola Volo sono cessati, il distaccamento Aeroportuale di Alghero è passato dalla dipendenza del Comando delle Scuole al comando della Seconda Regione Aerea. Con la s o p p re s s i o n e d i q u e s t ’ u l t i m a i l M a r i o A r a m u attualmente dipende dal Comando Scuole A.M., Terza Regione aerea. Sul Mario Aramu sono transitate in passato numerose autorità, capi di stato e leader politici tra i quali ricordiamo Benito Mussolini, il Principe Umberto di Savoia e, in tempi più recenti, i Presidenti della Repubblica Giovanni Leone ed Antonio Segni, il Ministro della Difesa Giulio Andreotti e il Primo Ministro greco Alexis Tsipras.

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T-6 appartenente alla “Scuola Volo Basico Iniziale Elica”.

Attualmente lo scalo assolve ai delicati compiti di assistenza tecnica e logistica per tutti i velivoli dell’Aeronautica Militare con particolare attenzione alla gestione dei voli sanitari che dopo anni di transito sul lato civile dell’aeroporto dal 2014 sono tornati ad operare sui piazzali del Mario Aramu. A partire dal 2014 l'Aeroporto Militare è diretto dal Colonnello Bruno Mariani che grazie alle sue eccellenti capacità ha saputo regalare una nuova vita allo scalo, rilanciandolo dopo anni in cui le attività hanno subito un notevole ridimensionamento, portandolo nuovamente al ruolo di protagonista del territorio catalano. Il com. Mariani, coadiuvato dal vice comandante maggiore Alessandro Magrini, ha lavorato su più fronti intervenendo sull’aspetto manutentivo delle strutture, promuovendo iniziative sociali quali l'apertura delle porte alle scolaresche ed agli allievi degli istituti superiori coinvolti nell’ambito del progetto “Scuola-Lavoro”. L’Aeroporto svolge un ruolo importante sia come ambasciatore dell’Aeronautica Militare in Sardegna che di tutela del territorio promuovendo in più occasioni, con gli enti locali quali la Protezione Civile, esercitazioni atte alla gestione delle emergenze. A tal proposito nel 2017 in collaborazione con il Comune di Alghero è stato simulato un allagamento a causa delle avverse condizioni atmosferiche nella zona di Mammunthanas, dove il personale in forza al Distaccamento Aeroportuale ha condotto le operazioni di evacuazione della popolazione per mezzo di gommoni, autobus e mediante un elicottero AB212-AWTI proveniente dall’80° Gruppo SAR (Search And Rescue) del 15° Stormo di Decimomannu. Rispetto agli Anni ‘80, così come avvenuto in altri siti

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L’interno di uno degli hangar S100 durante una cerimonia u ciale.

Un A-4 Skyhawk della U.S. Navy ad Alghero negli Anni ‘80. Sull’aeroporto sardo sono transitati spesso aeroplani della Sesta Flotta americana tra cui C-1, A-4, F-4, A-7 e, in tempi più recenti, F/A-18. Oltre ai normali scali tecnici, frequentemente si trattava di aerei con qualche avaria, a corto di carburante, oppure impossibilitati a tornare a bordo della portaerei a causa di avverse condizioni meteo.

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i tre

aquilotti

...e gira, gira l’elica, romba il motor questa è la vita bella, la bella vita dell’aviator... Chicco Zanaboni

O

l tre alla radio, dagli Anni ‘30 in avanti il Cinema rappresentò anche per L’Italia un ottimo strumento per la comunicazione di massa, efficace e popolare. Sarebbe rimasto tale fino all’avvento dei primi programmi televisivi prodotti a partire dal 1954.

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i tre

aquilotti

...e gira, gira l’elica, romba il motor questa è la vita bella, la bella vita dell’aviator... Chicco Zanaboni

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l tre alla radio, dagli Anni ‘30 in avanti il Cinema rappresentò anche per L’Italia un ottimo strumento per la comunicazione di massa, efficace e popolare. Sarebbe rimasto tale fino all’avvento dei primi programmi televisivi prodotti a partire dal 1954.

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Venendo al film, il soggetto dei “tre Aquilotti” fu opera di tale ed apparentemente sconosciuto Tito Silvio Mursino, pseudonimo del secondo genito figlio di Benito Mussolini e Rachele Guidi, Vittorio. Anagrammando infatti le 17 lettere di cui entrambi i nomi e cognomi sono composti, si può ottenere l’identità del figlio del Duce. In seguito Vittorio si occupò anche della realizzazione del film di Rossellini “Un pilota ritorna”, con Massimo Girotti e la stessa attrice presente nel film in esame. Alla luce di ciò, Il regista Mario Mattoli, noto ai più per avere diretto moltissimi film dei comici Macario e Totò, fu incaricato dal Regime di realizzare, all’inizio del 1942, una pellicola dedicata ai giovani piloti della Regia Aeronautica, per far conoscere agli italiani la “bella vita dell’aviator”, dai primi giorni di Accademia alle vere e proprie azioni belliche presso i reparti di appartenenza. Lo stesso Mattoli si occupò anche della sceneggiatura, affiancato dal più vecchio Alessandro De Stefani, abile scrittore, commediografo e regista dell’epoca. Il cast venne accuratamente scelto tra i giovani attori allora emergenti: in particolare Leonardo Cortese (19161984), Michela Belmonte (1925-1978, sorella della più nota attrice del Ventennio, Maria Denis), Carlo Minello Un giovanissimo Alberto Sordi in posa con la divisa da aviatore e in una scena del film “I tre aquilotti”.

I Cinegiornali LUCE informavano la popolazione, tra una proiezione di film e l’altra, degli accadimenti nel mondo e delle operazioni di guerra, opportunamente vagliate e censurate laddove ritenuto necessario. La voce narrante e roboante di Guido Notari ne era la caratteristica principale. Grazie alle più svariate produzioni destinate al “grande schermo”, oggi possiamo ancora fortunatamente fruire dei pochi film italiani a soggetto aeronautico realizzati durante il Ventennio. Fondamentalmente sette, essi furono girati durante la guerra e negli Anni ‘30 e ci permettono di apprezzare con immagini spesso di qualità, l’atmosfera che regnava nell’Arma e l’entusiasmo che animava i nostri bravi equipaggi, qui esaltato dal fine meramente propagandistico voluto dal Ministero della Cultura Popolare.

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Fotogramma tratto dal film in cui gli allievi dell’Accademia Aeronautica corrono verso i velivoli Ro.41 allineati e pronti per il volo.

AEROFAN | LUG/AGO 2019

(nato nel 1918, scomparso a soli ventinove anni), Galeazzo Benti (1923-1993) e soprattutto un semi sconosciuto, gagliardo ed esuberante giovanotto ventiduenne alla sua prima prova da protagonista e che in seguito divenne uno degli attori italiani più amati: il grande ed indimenticabile Alberto Sordi (1920- 2003). La prima proiezione venne effettuata al Festival del Cinema di Venezia nell’Agosto del 1942 ed il film distribuito immediatamente dopo nelle sale del Paese. La trama, a tratti spassosa ed a tratti drammatica, serve principalmente da strumento per esaltare le gesta dei nostri aviatori da caccia della gloriosa quanto sfortunata Regia Aeronautica. Sia pur ovviamente datato, amore, amicizia e

4-11

Alcune sequenze del film che ritraggono momenti di attività quotidiana reale presso l’aeroporto di Capua, compreso l’atterraggio di un allievo conclusosi con una cappottata.

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Venendo al film, il soggetto dei “tre Aquilotti” fu opera di tale ed apparentemente sconosciuto Tito Silvio Mursino, pseudonimo del secondo genito figlio di Benito Mussolini e Rachele Guidi, Vittorio. Anagrammando infatti le 17 lettere di cui entrambi i nomi e cognomi sono composti, si può ottenere l’identità del figlio del Duce. In seguito Vittorio si occupò anche della realizzazione del film di Rossellini “Un pilota ritorna”, con Massimo Girotti e la stessa attrice presente nel film in esame. Alla luce di ciò, Il regista Mario Mattoli, noto ai più per avere diretto moltissimi film dei comici Macario e Totò, fu incaricato dal Regime di realizzare, all’inizio del 1942, una pellicola dedicata ai giovani piloti della Regia Aeronautica, per far conoscere agli italiani la “bella vita dell’aviator”, dai primi giorni di Accademia alle vere e proprie azioni belliche presso i reparti di appartenenza. Lo stesso Mattoli si occupò anche della sceneggiatura, affiancato dal più vecchio Alessandro De Stefani, abile scrittore, commediografo e regista dell’epoca. Il cast venne accuratamente scelto tra i giovani attori allora emergenti: in particolare Leonardo Cortese (19161984), Michela Belmonte (1925-1978, sorella della più nota attrice del Ventennio, Maria Denis), Carlo Minello Un giovanissimo Alberto Sordi in posa con la divisa da aviatore e in una scena del film “I tre aquilotti”.

I Cinegiornali LUCE informavano la popolazione, tra una proiezione di film e l’altra, degli accadimenti nel mondo e delle operazioni di guerra, opportunamente vagliate e censurate laddove ritenuto necessario. La voce narrante e roboante di Guido Notari ne era la caratteristica principale. Grazie alle più svariate produzioni destinate al “grande schermo”, oggi possiamo ancora fortunatamente fruire dei pochi film italiani a soggetto aeronautico realizzati durante il Ventennio. Fondamentalmente sette, essi furono girati durante la guerra e negli Anni ‘30 e ci permettono di apprezzare con immagini spesso di qualità, l’atmosfera che regnava nell’Arma e l’entusiasmo che animava i nostri bravi equipaggi, qui esaltato dal fine meramente propagandistico voluto dal Ministero della Cultura Popolare.

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Fotogramma tratto dal film in cui gli allievi dell’Accademia Aeronautica corrono verso i velivoli Ro.41 allineati e pronti per il volo.

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(nato nel 1918, scomparso a soli ventinove anni), Galeazzo Benti (1923-1993) e soprattutto un semi sconosciuto, gagliardo ed esuberante giovanotto ventiduenne alla sua prima prova da protagonista e che in seguito divenne uno degli attori italiani più amati: il grande ed indimenticabile Alberto Sordi (1920- 2003). La prima proiezione venne effettuata al Festival del Cinema di Venezia nell’Agosto del 1942 ed il film distribuito immediatamente dopo nelle sale del Paese. La trama, a tratti spassosa ed a tratti drammatica, serve principalmente da strumento per esaltare le gesta dei nostri aviatori da caccia della gloriosa quanto sfortunata Regia Aeronautica. Sia pur ovviamente datato, amore, amicizia e

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Alcune sequenze del film che ritraggono momenti di attività quotidiana reale presso l’aeroporto di Capua, compreso l’atterraggio di un allievo conclusosi con una cappottata.

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museo

volante Il 2 giugno la collezione Marchi Sorlini ha aperto le porte al pubblico

Luciano Pontolillo

O

l tre sessanta velivoli hann o partecipato all’evento del Museo Volante Marchi Sorlini sull’aviosuperficie San Martino a Ceresara, ormai consueto raduno dedicato ad aeroplani storici restaurati e volanti.

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Il Cessna O-1 “Mekong Mauler” effettua un passaggio sulla linea di volo al termine della manifestazione.


museo

volante Il 2 giugno la collezione Marchi Sorlini ha aperto le porte al pubblico

Luciano Pontolillo

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l tre sessanta velivoli hann o partecipato all’evento del Museo Volante Marchi Sorlini sull’aviosuperficie San Martino a Ceresara, ormai consueto raduno dedicato ad aeroplani storici restaurati e volanti.

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Il Cessna O-1 “Mekong Mauler” effettua un passaggio sulla linea di volo al termine della manifestazione.


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8

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Pitts S-2B Special (c/n 5140) I-PITS. Il Pitts Special è un biplano leggero acrobatico a carrello fisso progettato da Curtis Pitts negli Anni ‘40 ed ancora oggi prodotto dall'azienda statunitense Aviat Aircraft Inc. È uno dei più conosciuti e longevi aerei acrobatici del mondo.

Boeing Stearman PT-17 N53750 “Noisy Boy”. Dopo essere stato impiegato come addestratore primario per tutta la durata della seconda Guerra Mondiale, l’aeroplano fu completamente revisionato ed entrò nel registro civile nel marzo 1946 con 1.760 ore di servizio militare al proprio attivo. È stato utilizzato per lavori agricoli dal 1946 al 1978. Nel 1998, anno in cui è stato restaurato e riportato alle condizioni originali, il velivolo aveva accumulato 7.026 ore di volo.

L’Aeronca 65-CA N36658 Serial Number C-17321 è stato costruito nel 1941. Ha volato regolarmente negli Stati Uniti fino a quando nel 1954, a seguito di un incidente in atterraggio, è stato accantonato. Nel 1984 è stato restaurato e da allora è sempre stato mantenuto in e cienza. Il motore è l’originale Continental A65.

Yak-52 della pattuglia acrobatica Yakitalia. L’esemplare con marche LY-GFC è stato costruito in Romania nel 1990 con C/N 9010401. Abbandonato dai russi in Lituania nel 1990 con appena 126 ore di volo, è rimasto inutilizzato fino al 2001 quando è stato riportato in condizioni di volo.

Hunting Percival Jet Provost appartenente alla collezione Volafenice, giunto in volo da Reggio Emilia in formazione con lo MB.326E della stessa organizzazione (foto a pagina 80).

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Mudry CAP.10B n/c 222 del 1988 in decollo.

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Pitts S-2B Special (c/n 5140) I-PITS. Il Pitts Special è un biplano leggero acrobatico a carrello fisso progettato da Curtis Pitts negli Anni ‘40 ed ancora oggi prodotto dall'azienda statunitense Aviat Aircraft Inc. È uno dei più conosciuti e longevi aerei acrobatici del mondo.

Boeing Stearman PT-17 N53750 “Noisy Boy”. Dopo essere stato impiegato come addestratore primario per tutta la durata della seconda Guerra Mondiale, l’aeroplano fu completamente revisionato ed entrò nel registro civile nel marzo 1946 con 1.760 ore di servizio militare al proprio attivo. È stato utilizzato per lavori agricoli dal 1946 al 1978. Nel 1998, anno in cui è stato restaurato e riportato alle condizioni originali, il velivolo aveva accumulato 7.026 ore di volo.

L’Aeronca 65-CA N36658 Serial Number C-17321 è stato costruito nel 1941. Ha volato regolarmente negli Stati Uniti fino a quando nel 1954, a seguito di un incidente in atterraggio, è stato accantonato. Nel 1984 è stato restaurato e da allora è sempre stato mantenuto in e cienza. Il motore è l’originale Continental A65.

Yak-52 della pattuglia acrobatica Yakitalia. L’esemplare con marche LY-GFC è stato costruito in Romania nel 1990 con C/N 9010401. Abbandonato dai russi in Lituania nel 1990 con appena 126 ore di volo, è rimasto inutilizzato fino al 2001 quando è stato riportato in condizioni di volo.

Hunting Percival Jet Provost appartenente alla collezione Volafenice, giunto in volo da Reggio Emilia in formazione con lo MB.326E della stessa organizzazione (foto a pagina 80).

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