Aerofan #9

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Anno 2 | Numero 9 | Mag./Giu. 2020 | € 12,00

PERIODICO BIMESTRALE - P.I. 15/05/2020 spedizione in abbonamento postale Comma 26, Art. 2, Legge 549/95

LA RIVISTA ITALIANA DI STORIA E TECNICA AERONAUTICA

ALPI EAGLES

La prima pattuglia acrobatica civile italiana

BLOCH MB 200

Un bombardiere alla francese degli Anni ‘30

svenska aeroplan aktiebolaget saab

Gli aerei venuti dal Nord - seconda parte


contattaci infoline: 351.976.71.71 aerofan@luckyplane.it

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nche questa volta cento pagine son volate via in un attimo e lo spazio sulla rivista era già finito prima che ci rendessimo conto di cosa avevamo preparato per la pubblicazione. Tutti i buoni propositi di non fare articoli troppo lunghi sono miseramente venuti meno di fronte ai contenuti. Non si può andare avanti così. O raddoppiamo il numero di pagine, o sdoppiamo la rivista... Nell’attesa di prendere una decisione, vi portiamo indietro nel tempo a bordo di un bel Siai Marchetti SF-260 a fare capriole in cielo insieme alle Alpi Eagles, protagonisti di un’epoca elettrizzante nella storia dell’acrobazia di gruppo, indimenticata e indimenticabile pattuglia acrobatica che, per chi ha avuto la fortuna di assistere alle loro LA RIVISTA ITALIANA DI STORIA E TECNICA AERONAUTICA performance dal vero, rimane nel cuore a dispetto degli anni che passano. Quando i cinque Siai si presentavano sul cielo campo in perfetta formazione e iniziavano il loro carosello, non c’era nessuno sul prato che potesse distogliere gli occhi, nessuno che potesse fare a meno di apprezzare come i cinque piccoli monomotori - a un metro di distanza uno dall’altro - paressero legati tra loro da un filo invisibile. Quando poi il solista si staccava dalla formazione, iniziava un altro spettacolo nello spettacolo fatto di manovre individuali e incroci con il resto della formazione che culminava con il famoso “crazy flight” e l’incrocio “apocalisse”. Ma che ne sanno i più giovani di tutto questo? Niente, probabilmente, Ecco perché qualcuno deve continuare a raccontarlo. Altrimenti a cosa serve Aerofan??? A proposito di attualità (per dire...), vi porteremo poi negli Anni ‘30 alla scoperta del bombardiere in stile francese, forse non propriamente un esempio di design, ma pur sempre degno di essere raccontato. La seconda parte della trattazione riservata agli aeroplani “Made in Sveden”, racconta l’era dei jet militari, culminata con l’iconico Viggen dal rumore assordante e dalla mimetica rigorosamente geometrica, incubo di qualsivoglia modellista incauto che dovesse decidere di riprodurne un esemplare. Soprattutto perché, a Chiusura di un looping dal punto di differenza delle innocue mimetiche a chiazze irregolari, la livrea del Viggen NON varia da un vista del fanalino delle Alpi Eagles. aeroplano all’altro ma, al contrario, è estremamente precisa e quindi non permette licenze poetiche al modellista desideroso di rispettare la corrispondenza del proprio modello con l’aereo reale. Oltre alla rubrica dedicata al Progetto Cicogna, appuntamento ormai fisso su queste pagine, completano questo numero l’inedito racconto di quel giorno che il DC-3 arrivò a Volandia e la storia dell’Helipad sardo di Villa La Contra. Ultima novità, la nuova rubrica Paper Planes, in cui raccontiamo storie di velivoli che “non ce l’hanno fatta” e sono rimasti sui tavoli da disegno o, al massimo, realizzati in scala e nulla più. I motori sono caldi e la pista è libera, è il momento di voltare pagina e partire.

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Buona lettura e ricordate: volare è impossibile! Luciano Pontolillo

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alpi eagles La piccola PAN

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bloch mb 200 Un bombardiere alla francese degli Anni ‘30

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helipad villa la contra Il paradiso dell’ala rotante

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operazione cicogna La scoperta del BR.20

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svenska aeroplan aktiebolaget saab Gli aerei venuti dal Nord - seconda parte

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alpi eagles La piccola PAN

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dc-3 ferry flight L’ultimo volo del Dakota di Volandia

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bloch mb 200 Un bombardiere alla francese degli Anni ‘30

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hawker p.1005 L’aeroplano che non sostituì il Mosquito

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inserto speciale

Il paradiso dell’ala rotante

FIAT G.80 il primo aereo a getto italiano

helipad villa la contra

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operazione cicogna La scoperta del BR.20

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svenska aeroplan aktiebolaget saab Gli aerei venuti dal Nord - seconda parte

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storie di ali italiane


Alpi

eagles La piccola PAN

Luciano Pontolillo

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Le Alpi Eagles in volo sul lago Maggiore.

' i d ea i n i z i a l e d i formare quella che sarebbe diventata la prima pattuglia acrobatica civile italiana, pare risalire ai primi Anni '70 quando, durante una trasferta delle Frecce Tricolori in Inghilterra, i due piloti della pattuglia N u n z i o R u g g i e ro e Vi n ce n zo S o d d u ammirando l'esibizione del Rothmans Aerobatic Team inglese immaginarono di realizzare qualcosa di simile in Italia.

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Alpi

eagles La piccola PAN

Luciano Pontolillo

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Le Alpi Eagles in volo sul lago Maggiore.

' i d ea i n i z i a l e d i formare quella che sarebbe diventata la prima pattuglia acrobatica civile italiana, pare risalire ai primi Anni '70 quando, durante una trasferta delle Frecce Tricolori in Inghilterra, i due piloti della pattuglia N u n z i o R u g g i e ro e Vi n ce n zo S o d d u ammirando l'esibizione del Rothmans Aerobatic Team inglese immaginarono di realizzare qualcosa di simile in Italia.

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Sette anni sarebbero trascorsi da quel momento alla ricerca dei fondi necessari fino a quando, con il decisivo supporto dell'imprenditore Valentino Brazzale di Zanè, nel 1980 l'idea si concretizzava con la nascita della pattuglia “Alpilatte” presso l'aeroporto di Thiene. La scelta del velivolo cadde sul biplano acrobatico di costruzione americana Pitts Special S-2A e nel 1981, dopo un breve periodo di permanenza a Ronchi dei Legionari, arrivarono a Thiene, quattro aerei dipinti di bianco verde e azzurro con i due sponsor principali, Alpilatte e Nordica, ben evidenti sulla fusoliera. Le marche civili degli aeromobili riportavano come prima lettera l'iniziale del nome di uno dei piloti facenti parte del gruppo, tutti ex appartenenti alle Frecce Tricolori: I-ALAT (Angelo Boscolo), I-MLAT (Massimo Montanari), I-NLAT (Nunzio Ruggiero) e I-VLAT (Vincenzo Soddu). Speaker designato e addetto alle Pubbliche Relazioni del gruppo era Renato Rocchi, già storica voce delle Frecce Tricolori per oltre sedici anni, responsabile dell'organizzazione logistica e operativa nonché della pianificazione a terra e di ogni altro aspetto meno noto ma indispensabile per l'attività del gruppo. Il piccolo aeroplano americano, pur essendo un eccellente velivolo acrobatico solista, non si rivelò il mezzo ideale per il programma acrobatico della pattuglia, principalmente a causa della limitata visibilità offerta al pilota dalla piccola capottina e dalla configurazione

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AEROFAN | ALPI EAGLES

La pattuglia Alpilatte, dopo l’incidente di Nunzio Ruggiero, era composta da Angelo Boscolo, Sergio Valori, Pietro Purpura e Vincenzo Soddu (fotografati in quest’ordine, partendo da sinistra, nella fotografia in alto). I Pitts Special furono una scelta poco indovinata per il tipo di acrobazia svolta dalle Alpi Eagles. L’arrivo degli SF-260 segnò la vera nascita della pattuglia.

biplana. Quest'ultima caratteristica, in particolare, limitando drasticamente la visibilità verso l'alto, non permetteva il volo in formazione a quattro elementi in quanto avrebbe costretto il fanalino di coda a volare lontano dal resto del gruppo per mantenerne il contatto visivo. Non a caso le compagini acrobatiche dell'epoca come i Rothmans, i Rayban Gold e i Royal Falcons utilizzavano solo tre Pitts per le evoluzioni in formazione stretta. Il biplano, nei primi tempi di impiego per l'addestramento dei piloti a Ronchi dei Legionari, fu protagonista di un tragico incidente: una mattina di maggio del 1981, pochi giorni dopo l'arrivo dei velivoli, il comandante Ruggiero decise di provare in volo la nuova macchina ma dopo una ventina di minuti di acrobazia, l'aereo precipitò improvvisamente tra i vigneti in località Fratta, provocando la morte del pilota. I tre Pitts superstiti furono utilizzati fino al 1983 quando la pattuglia, che nel frattempo era stata definitivamente battezzata “Alpi Eagles”, sostituì i biplani con quattro SF260, decisamente più adatti alle esigenze del volo acrobatico in formazione, che consentirono al Team di creare finalmente un programma acrobatico completo e variegato mutuato da quello delle Frecce Tricolori, ovviamente rimodulato secondo le caratteristiche tecniche del piccolo monomotore Siai Marchetti. L'ultima uscita con i Pitts avvenne il 1° maggio a Venezia e appena


Sette anni sarebbero trascorsi da quel momento alla ricerca dei fondi necessari fino a quando, con il decisivo supporto dell'imprenditore Valentino Brazzale di Zanè, nel 1980 l'idea si concretizzava con la nascita della pattuglia “Alpilatte” presso l'aeroporto di Thiene. La scelta del velivolo cadde sul biplano acrobatico di costruzione americana Pitts Special S-2A e nel 1981, dopo un breve periodo di permanenza a Ronchi dei Legionari, arrivarono a Thiene, quattro aerei dipinti di bianco verde e azzurro con i due sponsor principali, Alpilatte e Nordica, ben evidenti sulla fusoliera. Le marche civili degli aeromobili riportavano come prima lettera l'iniziale del nome di uno dei piloti facenti parte del gruppo, tutti ex appartenenti alle Frecce Tricolori: I-ALAT (Angelo Boscolo), I-MLAT (Massimo Montanari), I-NLAT (Nunzio Ruggiero) e I-VLAT (Vincenzo Soddu). Speaker designato e addetto alle Pubbliche Relazioni del gruppo era Renato Rocchi, già storica voce delle Frecce Tricolori per oltre sedici anni, responsabile dell'organizzazione logistica e operativa nonché della pianificazione a terra e di ogni altro aspetto meno noto ma indispensabile per l'attività del gruppo. Il piccolo aeroplano americano, pur essendo un eccellente velivolo acrobatico solista, non si rivelò il mezzo ideale per il programma acrobatico della pattuglia, principalmente a causa della limitata visibilità offerta al pilota dalla piccola capottina e dalla configurazione

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La pattuglia Alpilatte, dopo l’incidente di Nunzio Ruggiero, era composta da Angelo Boscolo, Sergio Valori, Pietro Purpura e Vincenzo Soddu (fotografati in quest’ordine, partendo da sinistra, nella fotografia in alto). I Pitts Special furono una scelta poco indovinata per il tipo di acrobazia svolta dalle Alpi Eagles. L’arrivo degli SF-260 segnò la vera nascita della pattuglia.

biplana. Quest'ultima caratteristica, in particolare, limitando drasticamente la visibilità verso l'alto, non permetteva il volo in formazione a quattro elementi in quanto avrebbe costretto il fanalino di coda a volare lontano dal resto del gruppo per mantenerne il contatto visivo. Non a caso le compagini acrobatiche dell'epoca come i Rothmans, i Rayban Gold e i Royal Falcons utilizzavano solo tre Pitts per le evoluzioni in formazione stretta. Il biplano, nei primi tempi di impiego per l'addestramento dei piloti a Ronchi dei Legionari, fu protagonista di un tragico incidente: una mattina di maggio del 1981, pochi giorni dopo l'arrivo dei velivoli, il comandante Ruggiero decise di provare in volo la nuova macchina ma dopo una ventina di minuti di acrobazia, l'aereo precipitò improvvisamente tra i vigneti in località Fratta, provocando la morte del pilota. I tre Pitts superstiti furono utilizzati fino al 1983 quando la pattuglia, che nel frattempo era stata definitivamente battezzata “Alpi Eagles”, sostituì i biplani con quattro SF260, decisamente più adatti alle esigenze del volo acrobatico in formazione, che consentirono al Team di creare finalmente un programma acrobatico completo e variegato mutuato da quello delle Frecce Tricolori, ovviamente rimodulato secondo le caratteristiche tecniche del piccolo monomotore Siai Marchetti. L'ultima uscita con i Pitts avvenne il 1° maggio a Venezia e appena


L'attività in questi primi anni fu particolarmente intensa, oltre che apprezzata, e già alla fine del 1984 vennero superate le 100 manifestazioni aeree. Il successo e la visibilità della compagine acrobatica erano visti molto favorevolmente da diverse industrie italiane e numerose aziende tra le quali Retequattro, Chesterfield, Merit, Fidia Farmaceutici, Frezza e la rivista Volare contribuirono negli anni alle esigenze della formazione con importanti sponsorizzazioni. La stessa Agusta, gruppo industriale di cui nel 1983 la Siai Marchetti era entrata a far parte, sostenne economicamente le Alpi Eagles. Alla guida della pattuglia si susseguirono i comandanti Pietro Purpura nel 1984, Jack Zanazzo nel 1985 e Angelo Boscolo dal 1986 fino allo scioglimento. Nel 1987 la compagine delle Alpi Eagles venne assorbita da una neo costituita azienda finanziaria, la Ithifly, che controllava anche una nuova compagnia aerea civile e la quale, per un periodo e contemporaneamente all'attività acrobatica del team, gestì l'attività di trasporto passeggeri inizialmente del tipo business jet per poi trasformarsi definitivamente nella compagnia aerea di linea che assunse lo stesso nome del Team acrobatico. Verso la fine degli Anni '80 la formazione si arricchì con l'introduzione di un quinto elemento, grazie all'arrivo del

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solista Gian Battista “GB” Molinaro, che rese le esibizioni delle Alpi Eagles ancor più spettacolari. Il ruolo del solista nelle Alpi Eagles, esattamente come per le Frecce Tricolori, consisteva nel riempire i tempi morti dell'esibizione durante i ricongiungimenti della pattuglia al termine di ogni manovra attirando l'attenzione del pubblico con una serie di manovre individuali tra le quali spiccavano la “scampanata” (definita da GB Molinaro “una manovra di tutto riposo” in quanto era la forza di gravità a fare tutto il “lavoro”) e il “volo folle” già appannaggio delle Frecce e reso famoso all'interno della PAN proprio da Molinaro. La durata del programma di volo passò da 20 a 25 minuti, con il decollo e l'atterraggio sempre eseguiti in formazione. Sergio Valori fu sostituito da Vittorio Cumin, già “storico” appartenente alla pattuglia dei Diavoli Rossi. Oltre al solista la pattuglia era quindi composta da: Angelo Boscolo, leader; Vincenzo Soddu e Beppe Liva, gregari sinistro e destro; Vittorio Cumin, fanalino. Al capoformazione spettavano la verifica dei riferimenti sia a terra che in volo e l'impostazione delle manovre, e anche il solista doveva attenersi ai tempi scanditi dal leader. Le migliaia di ore di volo in formazione accumulate dai componenti delle Alpi Eagles permettevano loro di volare in modo istintivo eseguendo le manovre con una

particolare tecnica di variazione prospettica rispetto al pubblico. Tale tecnica consisteva nel far si che la formazione si proponesse al pubblico mantenendo sempre le stesse proporzioni geometriche. Durante un looping o un tonneaux, la formazione a rombo subiva una progressiva deformazione prospettica dovuta al movimento nello spazio; per compensare questo errore, gli aeroplani dovevano variare continuamente la loro posizione relativa. Durante la virata di rientro al termine di una figura, ad esempio, il gregario sinistro avanzava di qualche metro e saliva rispetto al leader, mentre il gregario destro arretrava e scendeva “aumentando il gradino”, come si dice in gergo. Tra le manovre più spettacolari introdotte c'era sicuramente la “apocalisse”, durante la quale il solista incontrava la formazione di quattro mentre questa si rompeva con un'apertura incrociata che pareva “sparpagliare” i 260 in tutte le direzioni, mentre la “bomba” rimaneva la manovra d'eccellenza della tradizione italiana, mutuata dai primi acrobati di Campoformido degli Anni '30. In questa nuova configurazione le Alpi Eagles scrissero le pagine più appassionanti della loro storia, contese tra i più importanti Air Show europei e capaci di entusiasmare

un pubblico abituato a esibizioni di Team acrobatici militari ben più blasonati, e per questo ancora più colpito dalle impeccabili evoluzioni dei piccoli SF-260. Ma i crescenti impegni lavorativi dei componenti unitamente all'incidente occorso alle Frecce Tricolori a Ramstein nel 1988 portarono infine alla sofferta decisione di sospendere l'attività della formazione che effettuò l'ultima esibizione ufficiale sull'aeroporto di Thiene il 14 ottobre 1990. Quel giorno i componenti delle Alpi Eagles diedero il meglio del loro repertorio intrattenendo i 40.000 appassionati presenti sul piccolo campo con un'esibizione veramente impeccabile. In dieci anni di attività la “piccola PAN”, come spesso veniva definito il Team, aveva partecipato ad oltre 900 manifestazioni aeree effettuando più di 1.500 esibizioni acrobatiche, un terzo delle quali all'estero, accumulando oltre 8.000 ore di volo davanti ad un pubblico stimato in oltre 20 milioni di persone. Alla fine degli Anni '90, la mai sopita voglia di continuare ad essere protagonisti nel mondo acrobatico di Angelo Boscolo, Fabio Brovedani, Giuseppe Liva e Gian Battista Molinaro, portò alla formazione di una nuova pattuglia. Abbandonati gli amati SF-260 e rinominata Red Bulls, la formazione venne equipaggiata con quattro ottimi velivoli acrobatici di costruzione russa, precisamente tre Sukhoi

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L'attività in questi primi anni fu particolarmente intensa, oltre che apprezzata, e già alla fine del 1984 vennero superate le 100 manifestazioni aeree. Il successo e la visibilità della compagine acrobatica erano visti molto favorevolmente da diverse industrie italiane e numerose aziende tra le quali Retequattro, Chesterfield, Merit, Fidia Farmaceutici, Frezza e la rivista Volare contribuirono negli anni alle esigenze della formazione con importanti sponsorizzazioni. La stessa Agusta, gruppo industriale di cui nel 1983 la Siai Marchetti era entrata a far parte, sostenne economicamente le Alpi Eagles. Alla guida della pattuglia si susseguirono i comandanti Pietro Purpura nel 1984, Jack Zanazzo nel 1985 e Angelo Boscolo dal 1986 fino allo scioglimento. Nel 1987 la compagine delle Alpi Eagles venne assorbita da una neo costituita azienda finanziaria, la Ithifly, che controllava anche una nuova compagnia aerea civile e la quale, per un periodo e contemporaneamente all'attività acrobatica del team, gestì l'attività di trasporto passeggeri inizialmente del tipo business jet per poi trasformarsi definitivamente nella compagnia aerea di linea che assunse lo stesso nome del Team acrobatico. Verso la fine degli Anni '80 la formazione si arricchì con l'introduzione di un quinto elemento, grazie all'arrivo del

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solista Gian Battista “GB” Molinaro, che rese le esibizioni delle Alpi Eagles ancor più spettacolari. Il ruolo del solista nelle Alpi Eagles, esattamente come per le Frecce Tricolori, consisteva nel riempire i tempi morti dell'esibizione durante i ricongiungimenti della pattuglia al termine di ogni manovra attirando l'attenzione del pubblico con una serie di manovre individuali tra le quali spiccavano la “scampanata” (definita da GB Molinaro “una manovra di tutto riposo” in quanto era la forza di gravità a fare tutto il “lavoro”) e il “volo folle” già appannaggio delle Frecce e reso famoso all'interno della PAN proprio da Molinaro. La durata del programma di volo passò da 20 a 25 minuti, con il decollo e l'atterraggio sempre eseguiti in formazione. Sergio Valori fu sostituito da Vittorio Cumin, già “storico” appartenente alla pattuglia dei Diavoli Rossi. Oltre al solista la pattuglia era quindi composta da: Angelo Boscolo, leader; Vincenzo Soddu e Beppe Liva, gregari sinistro e destro; Vittorio Cumin, fanalino. Al capoformazione spettavano la verifica dei riferimenti sia a terra che in volo e l'impostazione delle manovre, e anche il solista doveva attenersi ai tempi scanditi dal leader. Le migliaia di ore di volo in formazione accumulate dai componenti delle Alpi Eagles permettevano loro di volare in modo istintivo eseguendo le manovre con una

particolare tecnica di variazione prospettica rispetto al pubblico. Tale tecnica consisteva nel far si che la formazione si proponesse al pubblico mantenendo sempre le stesse proporzioni geometriche. Durante un looping o un tonneaux, la formazione a rombo subiva una progressiva deformazione prospettica dovuta al movimento nello spazio; per compensare questo errore, gli aeroplani dovevano variare continuamente la loro posizione relativa. Durante la virata di rientro al termine di una figura, ad esempio, il gregario sinistro avanzava di qualche metro e saliva rispetto al leader, mentre il gregario destro arretrava e scendeva “aumentando il gradino”, come si dice in gergo. Tra le manovre più spettacolari introdotte c'era sicuramente la “apocalisse”, durante la quale il solista incontrava la formazione di quattro mentre questa si rompeva con un'apertura incrociata che pareva “sparpagliare” i 260 in tutte le direzioni, mentre la “bomba” rimaneva la manovra d'eccellenza della tradizione italiana, mutuata dai primi acrobati di Campoformido degli Anni '30. In questa nuova configurazione le Alpi Eagles scrissero le pagine più appassionanti della loro storia, contese tra i più importanti Air Show europei e capaci di entusiasmare

un pubblico abituato a esibizioni di Team acrobatici militari ben più blasonati, e per questo ancora più colpito dalle impeccabili evoluzioni dei piccoli SF-260. Ma i crescenti impegni lavorativi dei componenti unitamente all'incidente occorso alle Frecce Tricolori a Ramstein nel 1988 portarono infine alla sofferta decisione di sospendere l'attività della formazione che effettuò l'ultima esibizione ufficiale sull'aeroporto di Thiene il 14 ottobre 1990. Quel giorno i componenti delle Alpi Eagles diedero il meglio del loro repertorio intrattenendo i 40.000 appassionati presenti sul piccolo campo con un'esibizione veramente impeccabile. In dieci anni di attività la “piccola PAN”, come spesso veniva definito il Team, aveva partecipato ad oltre 900 manifestazioni aeree effettuando più di 1.500 esibizioni acrobatiche, un terzo delle quali all'estero, accumulando oltre 8.000 ore di volo davanti ad un pubblico stimato in oltre 20 milioni di persone. Alla fine degli Anni '90, la mai sopita voglia di continuare ad essere protagonisti nel mondo acrobatico di Angelo Boscolo, Fabio Brovedani, Giuseppe Liva e Gian Battista Molinaro, portò alla formazione di una nuova pattuglia. Abbandonati gli amati SF-260 e rinominata Red Bulls, la formazione venne equipaggiata con quattro ottimi velivoli acrobatici di costruzione russa, precisamente tre Sukhoi

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partire dal 1986 Angelo Boscolo sostituisce Pietro Purpura 8-9nel ruolo diA leader. Gregari destro e sinistro sono rispettivamente Liva e Soddu, mentre Valori è il fanalino. Alla fine degli Anni ‘80 arriva in pattuglia un quinto aeroplano, destinato al nuovo solista “GB” Molinaro, mentre Vittorio Cumin prende il posto di Valori. La formazione “definitiva” delle Alpi Eagles, rimasta invariata fino al termine dell’attività della pattuglia. Da sinistra: Liva, Soddu, Boscolo, Molinaro, Cumin.

ARCHIVIO GIUSEPPE LIVA

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partire dal 1986 Angelo Boscolo sostituisce Pietro Purpura 8-9nel ruolo diA leader. Gregari destro e sinistro sono rispettivamente Liva e Soddu, mentre Valori è il fanalino. Alla fine degli Anni ‘80 arriva in pattuglia un quinto aeroplano, destinato al nuovo solista “GB” Molinaro, mentre Vittorio Cumin prende il posto di Valori. La formazione “definitiva” delle Alpi Eagles, rimasta invariata fino al termine dell’attività della pattuglia. Da sinistra: Liva, Soddu, Boscolo, Molinaro, Cumin.

ARCHIVIO GIUSEPPE LIVA

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siai marchetti sf-260

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e origini dello SF-260 sono da ricercarsi nell'incontro avvenuto a metà degli Anni '50 tra l'ingegner Vietri, impresario edile milanese ma soprattutto appassionato pilota sportivo dedito alle gare aeree, e il valente ingegnere Stelio Frati del Politecnico di Milano. Vietri chiede a Frati di disegnargli un sostituto dello F.4 “Rondone”, l'outsider delle gare dell'epoca, in grado di m i g l i o r a r e l e g i à o t t i m e c a r a t te r i s t i c h e d e l s u o predecessore: il sasso è stato lanciato.

SF-260C I-LELD (n/c 563/41-003), impiegato all’inizio degli Anni ‘80 dalla Scuola di Volo Alitalia di Alghero.

Formazione acrobatica statunitense Team America, attiva negli Anni ‘90. Aviamilano F.250 fotografato a Bresso, in alto, e a Vergiate presso gli stabilimenti Siai Marchetti. In sei mesi si passa dai disegni al taglio del legno e il 15 giugno 1955 il prototipo dello F.8, battezzato “Falco” e immatricolato I-FIUM, prende il volo per la prima volta pilotato da Ettore Wengi. Il Falco introduce tutte le più recenti soluzioni tecniche alcune delle quali particolarmente ardite come l'ala a profilo laminare sottile che negli Stati Uniti verrà introdotta n el settore dell'aviazione leggera solo successivamente. Oltre ad essere di una bellezza unica, la macchina evidenzia fin dall’inizio la totale assenza di difetti contrariamente a quanto ci si aspetterebbe da un prototipo. Lo stesso Frati consegue proprio sul “Falco” il suo brevetto di 1° grado compiendo il primo volo solista il 14 agosto 1956 dopo appena 9 ore di doppio comando. Negli anni che seguono il successo del Falco è inarrestabile e la ditta Aviamilano, appositamente costituita per la realizzazione del velivolo, diventa un punto di riferimento per sportivi ed appassionati che vogliono acquistare un

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SF-260WL libico In volo sul tipico paesaggio “marziano” del paese. Il Governo libico di Gheddafi, negli anni, sostenne militarmente paesi amici e diversi SF260WL furono “girati” alle Forze Aeree di Burkina Faso, Burundi, Nicaragua e Uganda. Nel 1987 il Ciad riportava alle Nazioni Unite la distruzione di otto aeroplani e la cattura di altri nove durante la guerra di confine con la Libia ma, molto probabilmente, alcuni di questi aerei libici furono in qualche modo dirottati verso il mercato civile statunitense.

Linea di montaggio degli SF-260 a Vergiate.

SF-260TP della Philippine Air Force in carico al 17th Attack Sqn che negli anni passati ha impiegato il velivolo armato in operazioni militari antiguerriglia.

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esemplare di questa meraviglia alata. L'ingegner Frati nel frattempo non dorme sugli allori bensì pensa ad un “dopo Falco” che conservi l'impostazione del suo predecessore ma che permetta l'aggiornamento del progetto secondo i nuovi standard costruttivi passando dal legno alle leghe metalliche. Nasce così lo F.250 che diventerà lo SF-260. Inizialmente denominato F.250, il prototipo vola per la prima volta nel 1964 con immatricolazione I-RAIE e il progetto viene acquistato dalla SIAI Marchetti che, in seguito allo studio di alcune migliorie sostanziali tra le quali l'adozione di un motore più potente, inizia a produrlo nel 1966. Con oltre 900 unità realizzate il 260 è l'addestratore italiano di maggior successo del dopoguerra, venduto a 31 nazioni in ogni parte del globo e, grazie alle sue caratteristiche, largamente usato in numerose scuole di volo sia civili che militari. L'ampia visibilità verso l'esterno e le grandi doti acrobatiche unite alle ottime caratteristiche come addestratore basico lo rendono in breve tempo un prodotto interessante anche per le aeronautiche militari, al punto che la SIAI sviluppa prima la versione “M”, apportando modifiche alla strumentazione e adattando il velivolo all'utilizzo di carichi bellici a scopo addestrativo, e in seguito quella espressamente concepita per l'attacco al suolo e l'impiego antiguerriglia in grado di trasportare fino a 300 kg di armamento, denominato SF-260W Warrior. All'inizio degli Anni '70 l'Aeronautica Militare acquista 44 esemplari della versione “AM”, da utilizzare per la selezione e l'addestramento iniziale dei futuri piloti militari italiani, che entrano in linea a partire dal 1976 affidati al 70° Stormo di Latina. Con l'acquisizione della SIAI Marchetti da parte di Aermacchi, avvenuta nel 1997, la ditta di Varese eredita anche il progetto SF-260 decidendo di aggiornarlo d o ta n d o l o d i u n a a v i o n i c a m o d e r n a , c a b i n a p i ù confortevole e in grado di semplificare le operazioni di manutenzione. Il nuovo velivolo, designato “EA”, entra in linea presso il 70° Stormo nell'agosto del 2005 .

Lo SF-260 è stato venduto in ogni parte del globo con oltre 20 Paesi acquirenti. La Libia, con un ordine per 240 macchine e la previsione di assemblarne una parte in uno stabilimento nel deserto appositamente realizzato, è stato senz'altro il cliente numericamente più importante. Le consegne iniziano tra il 1977 e il 1978, ma la fornitura incontra molte difficoltà per l'embargo statunitense che costringe il costruttore a sostituire l'avionica di produzione americana con altra di provenienza francese, generando ritardi nell'allestimento finale delle macchine che rimangono per un lungo periodo allineate sul prato di Vergiate. Tra i clienti civili di rilievo vi è certamente la Scuola di Volo Alitalia, attiva al Alghero dal 1980 al 2007 (vedi Aerofan 4/2019), che impiega le versioni “C” e “D”. Anche la Sabena e la British Midland Airways utilizzano per alcuni anni questo velivolo presso le rispettive Scuole di Volo. Nel 1980 vola infine la versione SF-260TP, caratterizzata da un notevole incremento delle prestazioni grazie all'adozione di un motore turboelica Allison 250-B17 con potenza massima di 420 CV. La differenza, grazie ai 160 hp di potenza in più rispetto alla versione con motore a pistoni, si traduce in un notevole incremento delle prestazioni: velocità da 330 a 420 km/h, velocità di salita da 7,5 a 11 m/s, quota di tangenza da 4.500 a 7.500 m. Le caratteristiche del monomotore Siai ne hanno fatto un candidato privilegiato e selezionato nel tempo da diverse compagini acrobatiche un po’ in tutto il mondo, oltre alle Alpi Eagles: ricordiamo il Team America statunitense; il Martini Team del francese Jacques Bothelin, in seguito passato ai jet e divenuto il Breitling Jet Team; gli Swallows e i Red Devils, le due pattuglie acrobatiche dell’Aeronautica Militare belga, la seconda delle quali tutt’ora attiva. Mutuata dal suo predecessore, il Falco, l’espressione “la Ferrari dei cieli” ben si adatta al 260, apprezzato e ricordato da tutti coloro che hanno avuto la fortuna di volarci come una macchina meravigliosa.

la Ferrari dei Cieli

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Bloch

mb 200 Un bombardiere alla francese degli Anni ‘30

Luca Parrillo

N

ella storia dell'aeronautica europea merita sicuramente menzione il periodo dei cosiddetti “bombardieri alla f rancese”, ossia quell'arco temporale, individuabile nella prima metà degli Anni ‘30, durante il quale i costruttori d'oltralpe divennero celebri per la realizzazione di velivoli di grandi dimensioni e squadrati.

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Bloch

mb 200 Un bombardiere alla francese degli Anni ‘30

Luca Parrillo

N

ella storia dell'aeronautica europea merita sicuramente menzione il periodo dei cosiddetti “bombardieri alla f rancese”, ossia quell'arco temporale, individuabile nella prima metà degli Anni ‘30, durante il quale i costruttori d'oltralpe divennero celebri per la realizzazione di velivoli di grandi dimensioni e squadrati.

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Costruito ancora secondo la formula biplana, il Lioré et Olivier LeO 206 fu una soluzione transitoria usata nell’attesa del vincitore del concorso BN 5.

Trittico del Farman F-222 nella stesura originale.

ventrale che contestualmente fungeva da supporto strutturale per il ruotino di coda del carrello fisso. Concettualmente similare era il parallelo Couzinet 91, il quale, all'atto pratico, apportava solo qualche marginale variazione aerodinamica di dettaglio, come ad esempio l'integrale carenatura di tutti gli elementi del carrello, ed introduceva un diverso disegno alare dal profilo più spesso. Sotto il versante tecnico, questi due aeroplani vennero studiati per ricevere quattro Hispano-Suiza 14 Nbr da 650 hp, ma il competente Ministero decise di imporne, a

progettazione ultimata, la sostituzione con l'Hispano-Suiza 14 Ybrs da 750 cavalli. Poiché il cambio tecnico giunse a costruzione dei prototipi già avviata, l'attività di adattamento al nuovo propulsore determinò notevoli ritardi, col risultato che nel luglio del 1933 entrambi gli apparecchi erano ancora lontani dall'essere ultimati e si dovette annullare l'appuntamento di presentazione, fissato per il successivo mese di agosto, presso l'aeroporto di Villacoublay. Nel gennaio del 1934, comunque, tale situazione di stallo venne risolta direttamente dal governo, che invitò formalmente la Couzinet ad interrompere immediatamente ogni ulteriore attività su entrambi i progetti. Sorte in prospettiva più felice ebbero i disegni targati Farman, la quale, sfruttando l'esperienza ottenuta durante la precedente specifica BN 4 e riciclandone in buona parte gli studi, prese parte al concorso BN 5 sviluppando in successione i quattro diversi modelli quadrimotori in tandem ed a ala alta F-212, F-221, F-222 ed F-223. Volendo spendere due parole su questi aeroplani, possiamo velocemente sottolineare che il Farman F-212 era un massiccio monoplano, derivato dal Farman F-211, e che si caratterizzava per la lunga fusoliera culminante sull'anteriore in un vistoso scalino a due gradini finestrati ed invertiti verso il basso. Propulso da quattro radiali Gnome-Rhône GR 7Kds da 350 hp, l'unico prototipo del Farman F-212 venne portato in volo per la prima volta nel novembre del 1933, ma l'esito dei collaudi fu alquanto insoddisfacente, dato che il mezzo raggiunse la velocità massima di appena 250 km/h.

Il progetto, quindi, venne abbandonato ed al suo posto fu realizzato il più fortunato Farman F-221, ossia un derivato dal Farman F-220 e che era stato infruttuosamente presentato al sopra accennato bando BN 4. Il mezzo era equipaggiato con quattro motori radiali Gnome-Rhône 14 Kbrs da 730 hp di potenza, disposti in tandem all'interno di gondole incastrate tra i montanti alari e sulle quali trovavano innesto le gambe del carrello anteriore ad elementi fissi. Verso la fine del 1933 venne quindi ultimato un prototipo, che fu presentato alle autorità nel marzo del 1934 e che nell'occasione mise in mostra delle buone caratteristiche complessive: ottenuto il benestare dei tecnici, del quadrimotore vennero commissionate dieci unità di serie, che furono inquadrate nel quindicesimo stormo da bombardamento e ivi rimasero in servizio come aerei da trasporto fino allo scoppio della seconda guerra mondiale.

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AEROFAN | BLOCH MB 200

L’incredibile aspetto del velivolo LeO 300 esposto al Grand Palais. L’aereo è presentato come LeO 30 che nel sistema francese indica il modello base.

Il Potez 41 M prima dell’incidente che lo coinvolse nel tardo 1934. Immagine che rappresenta bene le dimensioni del SAB AB.21.


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Costruito ancora secondo la formula biplana, il Lioré et Olivier LeO 206 fu una soluzione transitoria usata nell’attesa del vincitore del concorso BN 5.

Trittico del Farman F-222 nella stesura originale.

ventrale che contestualmente fungeva da supporto strutturale per il ruotino di coda del carrello fisso. Concettualmente similare era il parallelo Couzinet 91, il quale, all'atto pratico, apportava solo qualche marginale variazione aerodinamica di dettaglio, come ad esempio l'integrale carenatura di tutti gli elementi del carrello, ed introduceva un diverso disegno alare dal profilo più spesso. Sotto il versante tecnico, questi due aeroplani vennero studiati per ricevere quattro Hispano-Suiza 14 Nbr da 650 hp, ma il competente Ministero decise di imporne, a

progettazione ultimata, la sostituzione con l'Hispano-Suiza 14 Ybrs da 750 cavalli. Poiché il cambio tecnico giunse a costruzione dei prototipi già avviata, l'attività di adattamento al nuovo propulsore determinò notevoli ritardi, col risultato che nel luglio del 1933 entrambi gli apparecchi erano ancora lontani dall'essere ultimati e si dovette annullare l'appuntamento di presentazione, fissato per il successivo mese di agosto, presso l'aeroporto di Villacoublay. Nel gennaio del 1934, comunque, tale situazione di stallo venne risolta direttamente dal governo, che invitò formalmente la Couzinet ad interrompere immediatamente ogni ulteriore attività su entrambi i progetti. Sorte in prospettiva più felice ebbero i disegni targati Farman, la quale, sfruttando l'esperienza ottenuta durante la precedente specifica BN 4 e riciclandone in buona parte gli studi, prese parte al concorso BN 5 sviluppando in successione i quattro diversi modelli quadrimotori in tandem ed a ala alta F-212, F-221, F-222 ed F-223. Volendo spendere due parole su questi aeroplani, possiamo velocemente sottolineare che il Farman F-212 era un massiccio monoplano, derivato dal Farman F-211, e che si caratterizzava per la lunga fusoliera culminante sull'anteriore in un vistoso scalino a due gradini finestrati ed invertiti verso il basso. Propulso da quattro radiali Gnome-Rhône GR 7Kds da 350 hp, l'unico prototipo del Farman F-212 venne portato in volo per la prima volta nel novembre del 1933, ma l'esito dei collaudi fu alquanto insoddisfacente, dato che il mezzo raggiunse la velocità massima di appena 250 km/h.

Il progetto, quindi, venne abbandonato ed al suo posto fu realizzato il più fortunato Farman F-221, ossia un derivato dal Farman F-220 e che era stato infruttuosamente presentato al sopra accennato bando BN 4. Il mezzo era equipaggiato con quattro motori radiali Gnome-Rhône 14 Kbrs da 730 hp di potenza, disposti in tandem all'interno di gondole incastrate tra i montanti alari e sulle quali trovavano innesto le gambe del carrello anteriore ad elementi fissi. Verso la fine del 1933 venne quindi ultimato un prototipo, che fu presentato alle autorità nel marzo del 1934 e che nell'occasione mise in mostra delle buone caratteristiche complessive: ottenuto il benestare dei tecnici, del quadrimotore vennero commissionate dieci unità di serie, che furono inquadrate nel quindicesimo stormo da bombardamento e ivi rimasero in servizio come aerei da trasporto fino allo scoppio della seconda guerra mondiale.

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AEROFAN | BLOCH MB 200

L’incredibile aspetto del velivolo LeO 300 esposto al Grand Palais. L’aereo è presentato come LeO 30 che nel sistema francese indica il modello base.

Il Potez 41 M prima dell’incidente che lo coinvolse nel tardo 1934. Immagine che rappresenta bene le dimensioni del SAB AB.21.


analizzate proposte del concorso BN 5, il Bloch MB 200 venne concepito dall'Ing. Maurice Roussel secondo la più semplice formula bimotore, strutturata attorno ad una coppia di radiali Gnome-Rhône 14 Kdrs da 760 hp di potenza agganciati al ventre alare e sulle cui gondole trovavano innesto le gambe anteriori del carrello fisso. Similarmente agli altri concorrenti, invece, il disegno proponeva un imponente velivolo dall'ala alta e con le forme molto nette, la cui fusoliera era a sezione rettangolare e terminava sull'anteriore con una grande cabina d'osservazione a cielo aperto interamente finestrata, la quale, a sua volta, si snodava attraverso due livelli a scalino rovesciato. Alquanto insolita ed innovativa era la cabina di pilotaggio, che era stata collocata in posizione sopraelevata rispetto al piano alare e che consentiva al pilota un'ampia visibilità in ogni direzione. Terminata la fase di progettazione, il prototipo, matricolato Bloch MB 200.01, venne ultimato il quattordici maggio del 1933, per essere poi portato in volo a Villacoublay il successivo ventisei luglio ai comandi del collaudatore Heu Zacharie: a quanto risulta, tale iniziale ciclo di prove ebbe esito più che positivo, dato che, nonostante delle prestazioni leggermente inferiori rispetto ai requisiti richiesti, il bimotore si dimostrò stabile e gradevole da pilotare. A fronte del buon risultato, il velivolo fu sottoposto a diversi interventi di rifinitura, in quanto si procedette a rinforzarne il carrello e, soprattutto, si diede nuova conformazione alla sezione anteriore della fusoliera, che perse la ripartizione a livelli in favore di un unico volume a pianta semicircolare. Anche lo scarno armamento difensivo conobbe dei marginali miglioramenti e la postazione difensiva

anteriore, cui ne facevano seguito una dorsale ed una sottostante in posizione ventrale, venne incapsulata all'interno di una cupola mobile combaciante col disegno della nuova prua. Nel settembre del 1933, il Bloch MB 200.01 venne quindi presentato ufficialmente al CEMA e, successivamente, al Groupment des Avions Nouveaux (Raggruppamento di collaudo nuovi aeroplani) dove, a partire dal gennaio del 1934, fu testato per valutazioni operative. Nelle more dei collaudi, tuttavia, furono rilevate non poche criticità circa l'insufficiente armamento di difesa, composto da tre sole mitragliatrici da 7,5 mm, ed in ordine all'inadeguatezza dei motori, di cui, infatti, il competente ministero chiese la sostituzione con degli impianti più potenti. Sulla scorta di tale indicazione, i tecnici adottarono il più performante radiale Gnome-Rhône 14 Krds/jrs da 870 hp, che determinò un aumento della velocità massima a circa

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AEROFAN | BLOCH MB 200

Due Bloch MB 200 parcheggiati all’aerodromo di Sissonne. Bloch MB 200 in forza alla seconda squadriglia del GB I/39 durante la manutenzione: sullo sfondo si può apprezzare un Potez 36.

Bloch MB 200 del GB I/23.

280 km/h e garantì la sottoscrizione di un primo ordinativo di trenta esemplari di serie, la cui costruzione venne ripartita tra la Bloch, appena quattro aerei, e la Potez, che ne realizzò ventisei. Sotto la spinta del riarmo tedesco, nell'estate del 1935 gli ordinativi del Bloch MB 200 salirono sensibilmente e vennero di conseguenza intrapresi i piani industriali per aumentarne la costruzione a circa duecento aeroplani, da realizzarsi presso gli stabilimenti della Bloch (4), Breguet (19), Hanriot (45), Loire (19), Potez (111) e gruppo SNCASO (10). Siffatto imponente programma procedette a ritmi abbastanza spediti, dato che alla fine del 1936 il bimotore era già stato consegnato in 179 unità ed al dicembre del 1937 aveva equipaggiato 22 escadrilles ripartite tra numerosi reparti e prevalentemente dislocati in territorio francese. All'atto pratico, tuttavia, la presenza del Bloch MB 200 in organico all'Armée de l'Air fu sempre limitata ed al settembre del 1939 poco più di una novantina di aerei era in reali condizioni operative: del resto, la comparsa di aeroplani concettualmente più avanzati aveva ben presto relegato il bombardiere a compiti di ricognizione notturna, trasporto e traino bersagli. La limitazione operativa non impedì, tuttavia, che il nove settembre 1939 una squadra di tre bimotori, appartenenti al trentunesimo stormo da bombardamento di stanza a Connantre (sede del distaccamento GB I/31) ed a Marignyle-Grand (sede del GB II/31), venisse utilizzata per una missione di ricognizione diurna sul territorio tedesco a ridosso del confine con il Lussemburgo: i risultati dell’incursione furono disastrosi, dato che tutti e tre i Bloch

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Il Bloch MB 200 numero 6 appartenente alla seconda squadriglia del GB I/31 incidentato nel luglio del 1938 a seguito di un atterraggio di emergenza occorso durante un volo di addestramento.

MB 200 impiegati andarono distrutti per via della flak e della caccia tedesca, alla quale si accredita l'abbattimento di un bimotore ad opera di un Messerschmitt Bf 109D appartenente allo Jgr. 152 e comandato da Hptm. Wilhelm Lessmann (alcuni affermano che, in realtà, in tale occasione sarebbe stato distrutto un Potez 63 che si trovava nella zona di Landau in der Pfalz). Davanti alla sua impietosa obsolescenza ed al pessimo esordio bellico, il Bloch MB 200 venne successivamente impiegato per le sole ricognizioni notturne, che furono concentrate sul monitoraggio del tratto del fiume Reno compreso tra le città di Coblenza e Mannheim. Con l'arrivo di materiale più moderno, ossia il Bloch MB

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analizzate proposte del concorso BN 5, il Bloch MB 200 venne concepito dall'Ing. Maurice Roussel secondo la più semplice formula bimotore, strutturata attorno ad una coppia di radiali Gnome-Rhône 14 Kdrs da 760 hp di potenza agganciati al ventre alare e sulle cui gondole trovavano innesto le gambe anteriori del carrello fisso. Similarmente agli altri concorrenti, invece, il disegno proponeva un imponente velivolo dall'ala alta e con le forme molto nette, la cui fusoliera era a sezione rettangolare e terminava sull'anteriore con una grande cabina d'osservazione a cielo aperto interamente finestrata, la quale, a sua volta, si snodava attraverso due livelli a scalino rovesciato. Alquanto insolita ed innovativa era la cabina di pilotaggio, che era stata collocata in posizione sopraelevata rispetto al piano alare e che consentiva al pilota un'ampia visibilità in ogni direzione. Terminata la fase di progettazione, il prototipo, matricolato Bloch MB 200.01, venne ultimato il quattordici maggio del 1933, per essere poi portato in volo a Villacoublay il successivo ventisei luglio ai comandi del collaudatore Heu Zacharie: a quanto risulta, tale iniziale ciclo di prove ebbe esito più che positivo, dato che, nonostante delle prestazioni leggermente inferiori rispetto ai requisiti richiesti, il bimotore si dimostrò stabile e gradevole da pilotare. A fronte del buon risultato, il velivolo fu sottoposto a diversi interventi di rifinitura, in quanto si procedette a rinforzarne il carrello e, soprattutto, si diede nuova conformazione alla sezione anteriore della fusoliera, che perse la ripartizione a livelli in favore di un unico volume a pianta semicircolare. Anche lo scarno armamento difensivo conobbe dei marginali miglioramenti e la postazione difensiva

anteriore, cui ne facevano seguito una dorsale ed una sottostante in posizione ventrale, venne incapsulata all'interno di una cupola mobile combaciante col disegno della nuova prua. Nel settembre del 1933, il Bloch MB 200.01 venne quindi presentato ufficialmente al CEMA e, successivamente, al Groupment des Avions Nouveaux (Raggruppamento di collaudo nuovi aeroplani) dove, a partire dal gennaio del 1934, fu testato per valutazioni operative. Nelle more dei collaudi, tuttavia, furono rilevate non poche criticità circa l'insufficiente armamento di difesa, composto da tre sole mitragliatrici da 7,5 mm, ed in ordine all'inadeguatezza dei motori, di cui, infatti, il competente ministero chiese la sostituzione con degli impianti più potenti. Sulla scorta di tale indicazione, i tecnici adottarono il più performante radiale Gnome-Rhône 14 Krds/jrs da 870 hp, che determinò un aumento della velocità massima a circa

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AEROFAN | BLOCH MB 200

Due Bloch MB 200 parcheggiati all’aerodromo di Sissonne. Bloch MB 200 in forza alla seconda squadriglia del GB I/39 durante la manutenzione: sullo sfondo si può apprezzare un Potez 36.

Bloch MB 200 del GB I/23.

280 km/h e garantì la sottoscrizione di un primo ordinativo di trenta esemplari di serie, la cui costruzione venne ripartita tra la Bloch, appena quattro aerei, e la Potez, che ne realizzò ventisei. Sotto la spinta del riarmo tedesco, nell'estate del 1935 gli ordinativi del Bloch MB 200 salirono sensibilmente e vennero di conseguenza intrapresi i piani industriali per aumentarne la costruzione a circa duecento aeroplani, da realizzarsi presso gli stabilimenti della Bloch (4), Breguet (19), Hanriot (45), Loire (19), Potez (111) e gruppo SNCASO (10). Siffatto imponente programma procedette a ritmi abbastanza spediti, dato che alla fine del 1936 il bimotore era già stato consegnato in 179 unità ed al dicembre del 1937 aveva equipaggiato 22 escadrilles ripartite tra numerosi reparti e prevalentemente dislocati in territorio francese. All'atto pratico, tuttavia, la presenza del Bloch MB 200 in organico all'Armée de l'Air fu sempre limitata ed al settembre del 1939 poco più di una novantina di aerei era in reali condizioni operative: del resto, la comparsa di aeroplani concettualmente più avanzati aveva ben presto relegato il bombardiere a compiti di ricognizione notturna, trasporto e traino bersagli. La limitazione operativa non impedì, tuttavia, che il nove settembre 1939 una squadra di tre bimotori, appartenenti al trentunesimo stormo da bombardamento di stanza a Connantre (sede del distaccamento GB I/31) ed a Marignyle-Grand (sede del GB II/31), venisse utilizzata per una missione di ricognizione diurna sul territorio tedesco a ridosso del confine con il Lussemburgo: i risultati dell’incursione furono disastrosi, dato che tutti e tre i Bloch

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Il Bloch MB 200 numero 6 appartenente alla seconda squadriglia del GB I/31 incidentato nel luglio del 1938 a seguito di un atterraggio di emergenza occorso durante un volo di addestramento.

MB 200 impiegati andarono distrutti per via della flak e della caccia tedesca, alla quale si accredita l'abbattimento di un bimotore ad opera di un Messerschmitt Bf 109D appartenente allo Jgr. 152 e comandato da Hptm. Wilhelm Lessmann (alcuni affermano che, in realtà, in tale occasione sarebbe stato distrutto un Potez 63 che si trovava nella zona di Landau in der Pfalz). Davanti alla sua impietosa obsolescenza ed al pessimo esordio bellico, il Bloch MB 200 venne successivamente impiegato per le sole ricognizioni notturne, che furono concentrate sul monitoraggio del tratto del fiume Reno compreso tra le città di Coblenza e Mannheim. Con l'arrivo di materiale più moderno, ossia il Bloch MB

MAG/GIU 2020 | AEROFAN

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dati tecnici bloch mb 200 Propulsione: 2 motori radiali Gnome-Rhône 14 Kirs da 870 hp di potenza ciascuno. Prestazioni: Velocità massima: 281 km/h a 4.000 metri di quota. Autonomia massima: 1.000 km. Capacità di carico: 1.200 kg. Dimensioni: Apertura alare: 22,45 m. Lunghezza: 16 m. Altezza: 3,80 m. Peso a vuoto: 4,2 tonnellate. Peso a pieno carico: 6,7 tonnellate. Armamento: 3 mitragliatrici da 7,5 mm dislocate in torretta anteriore, torretta dorsale e torretta ventrale.

Hurricane dell'80° Sqn. e subirono l'abbattimento di un bombardiere: l'operazione venne conseguentemente abbandonata ed il “bottino” francese si limitò alla distruzione di due caccia inglesi per mano dei Dewoitine D.520 di scorta. A seguito di tale insuccesso, i tre esemplari rimasti passarono alle missioni notturne, durante le quali vennero impiegati in qualche timido attacco contro le truppe inglesi presenti nella città siriana di Qatana e contro una colonna di autoveicoli individuata nei pressi della cittadina di Sanamein (Siria meridionale e più propriamente nota come Al-Sanamayn). A causa del collasso delle truppe francesi della zona, i bimotori vennero abbandonati e due di essi vennero successivamente recuperati e rimessi in condizioni operative dalle forze della cosiddetta “Francia Libera”, finendo conseguentemente inquadrati nel Groupe Lorraine a Damasco come velivoli da trasporto fino al maggio del 1942. Nonostante si trattasse di un bombardiere superato già al momento del suo apparire, il Bloch MB 200 conobbe anche un inaspettato “successo” commerciale presso le forze aeree cecoslovacche, bulgare, tedesche e spagnole. Procedendo con ordine, la storia del Bloch MB 200 si intreccia strettamente con la storia dell'aeronautica militare cecoslovacca, che negli anni Trenta si chiamava Československé Letectvo e di cui equipaggiò i reparti operativi con una cinquantina di esemplari costruiti su licenza col nome di Aero MB.200. Sull'argomento occorre, in prima analisi, sottolineare che la Cecoslovacchia, nonostante la giovane età (la sua indipendenza risaliva al 1918), tra gli anni Venti e Trenta aveva sviluppato un'eccellente industria bellica, di cui la componente aeronautica rappresentava sicuramente una delle punte di diamante. In particolare, la scena nazionale era stata nel corso del tempo assorbita da due grandi costruttori: la Avia e l'Aero, i quali si erano distinti soprattutto nella costruzione di

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Un Bloch MB 200 appartenente al GB II/32 in stato di semi abbandono: dal 1939 il gruppo passerà al Lioré et Olivier LeO 451.

210 e soprattutto il Lioré et Olivier LeO 451, entro il 1940 i Bloch MB 200 rimasti vennero ritirati dalla prima linea, andando a ricoprire incarichi di retrovia e scuola aerea, nonché venendo in parte trasferiti come velivoli da collegamento in Marocco, al seguito del gruppo GB I/32 dislocato a Mediouna, ed in Algeria con il GB II/61 schierato a Biskra. Carriera leggermente più lunga e movimentata ebbero, invece, i pochi bombardieri presenti nei territori mandatari francesi di Libano e Siria, dove furono utilizzati nel tentativo

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AEROFAN | BLOCH MB 200

caccia moderni e sempre molto competitivi. Per converso, tali poli industriali non furono capaci di realizzare dei validi plurimotori da bombardamento, per il cui ruolo si era sovente reso necessario ricorrere all'acquisto di materiale straniero. In questo quadro generale, pertanto, nel 1935 una commissione militare cecoslovacca venne incaricata di confrontare il qui descritto Bloch MB 200 con il Potez 540, ossia un contemporaneo e similare bombardiere bimotore. Cercando di riassumere, dopo i collaudi di rito e le prove valutative del caso, il bimotore Bloch venne preferito al concorrente connazionale ed il sette aprile del 1935 il governo cecoslovacco ne acquistò un esemplare quale modello base per la successiva licenza di produzione: ottenuto il timido parere favorevole degli ambienti militari, peraltro non privi di perplessità in ordine al suo effettivo valore bellico, il bombardiere venne affidato in costruzione agli stabilimenti della Aero, da cui la denominazione Aero MB.200, cui vennero affiancate in via sussidiaria le fabbriche della Avia. Contrariamente alla sua economicità di costruzione, la realizzazione del mezzo in mano cecoslovacca procedette lentamente, in quanto gli ingegneri non si limitarono ad eseguirne un'opera di mera copiatura, ma cercarono di modificarlo nel tentativo di migliorarne le caratteristiche operative. Ad esempio, il velivolo venne sottoposto ad un intervento di leggera rifinitura aerodinamica, che venne addolcita nella rastremazione anteriore mediante l'introduzione di un più graduale raccordo tra abitacolo e fusoliera (nei modelli francesi lo stacco tra le due componenti strutturali era decisamente più ruvido). Accanto a tali lavori di dettaglio, il mezzo venne rivisto anche nell'armamento, che fu sostituito con tre mitragliatrici da 7,92 mm, e nell'impianto propulsivo, formato ora da una coppia di Walter K-14, cioè la versione locale del Gnome-Rhône 14 K: a fronte degli adattamenti,

Il relitto di un Bloch MB 200 rinvenuto nel 1942 dalle truppe statunitensi in Nord Africa ed utilizzato come cucina da campo all’interno della base aerea di Oran-la-Senia (Algeria).

di contrastare le forze britanniche l'indomani della capitolazione francese del giugno 1940. In particolare, in Libano erano stati schierati nella base aerea di Rayak sei Bloch MB 200 in seno al terzo gruppo del GB I/39, divenuto, a seguito dell'armistizio francese, un reparto autonomo: qui il nove giugno del 1941 questi apparecchi attaccarono la flotta inglese che aveva imposto il blocco navale alla città costiera libanese di Sidone (in lingua araba Saïda), ottenendo, tuttavia, un risultato alquanto modesto. Nello specifico dell'operazione, infatti, due velivoli andarono perduti in fase di decollo per avarie, mentre i quattro mezzi superstiti vennero intercettati dagli Hawker

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dati tecnici bloch mb 200 Propulsione: 2 motori radiali Gnome-Rhône 14 Kirs da 870 hp di potenza ciascuno. Prestazioni: Velocità massima: 281 km/h a 4.000 metri di quota. Autonomia massima: 1.000 km. Capacità di carico: 1.200 kg. Dimensioni: Apertura alare: 22,45 m. Lunghezza: 16 m. Altezza: 3,80 m. Peso a vuoto: 4,2 tonnellate. Peso a pieno carico: 6,7 tonnellate. Armamento: 3 mitragliatrici da 7,5 mm dislocate in torretta anteriore, torretta dorsale e torretta ventrale.

Hurricane dell'80° Sqn. e subirono l'abbattimento di un bombardiere: l'operazione venne conseguentemente abbandonata ed il “bottino” francese si limitò alla distruzione di due caccia inglesi per mano dei Dewoitine D.520 di scorta. A seguito di tale insuccesso, i tre esemplari rimasti passarono alle missioni notturne, durante le quali vennero impiegati in qualche timido attacco contro le truppe inglesi presenti nella città siriana di Qatana e contro una colonna di autoveicoli individuata nei pressi della cittadina di Sanamein (Siria meridionale e più propriamente nota come Al-Sanamayn). A causa del collasso delle truppe francesi della zona, i bimotori vennero abbandonati e due di essi vennero successivamente recuperati e rimessi in condizioni operative dalle forze della cosiddetta “Francia Libera”, finendo conseguentemente inquadrati nel Groupe Lorraine a Damasco come velivoli da trasporto fino al maggio del 1942. Nonostante si trattasse di un bombardiere superato già al momento del suo apparire, il Bloch MB 200 conobbe anche un inaspettato “successo” commerciale presso le forze aeree cecoslovacche, bulgare, tedesche e spagnole. Procedendo con ordine, la storia del Bloch MB 200 si intreccia strettamente con la storia dell'aeronautica militare cecoslovacca, che negli anni Trenta si chiamava Československé Letectvo e di cui equipaggiò i reparti operativi con una cinquantina di esemplari costruiti su licenza col nome di Aero MB.200. Sull'argomento occorre, in prima analisi, sottolineare che la Cecoslovacchia, nonostante la giovane età (la sua indipendenza risaliva al 1918), tra gli anni Venti e Trenta aveva sviluppato un'eccellente industria bellica, di cui la componente aeronautica rappresentava sicuramente una delle punte di diamante. In particolare, la scena nazionale era stata nel corso del tempo assorbita da due grandi costruttori: la Avia e l'Aero, i quali si erano distinti soprattutto nella costruzione di

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Un Bloch MB 200 appartenente al GB II/32 in stato di semi abbandono: dal 1939 il gruppo passerà al Lioré et Olivier LeO 451.

210 e soprattutto il Lioré et Olivier LeO 451, entro il 1940 i Bloch MB 200 rimasti vennero ritirati dalla prima linea, andando a ricoprire incarichi di retrovia e scuola aerea, nonché venendo in parte trasferiti come velivoli da collegamento in Marocco, al seguito del gruppo GB I/32 dislocato a Mediouna, ed in Algeria con il GB II/61 schierato a Biskra. Carriera leggermente più lunga e movimentata ebbero, invece, i pochi bombardieri presenti nei territori mandatari francesi di Libano e Siria, dove furono utilizzati nel tentativo

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caccia moderni e sempre molto competitivi. Per converso, tali poli industriali non furono capaci di realizzare dei validi plurimotori da bombardamento, per il cui ruolo si era sovente reso necessario ricorrere all'acquisto di materiale straniero. In questo quadro generale, pertanto, nel 1935 una commissione militare cecoslovacca venne incaricata di confrontare il qui descritto Bloch MB 200 con il Potez 540, ossia un contemporaneo e similare bombardiere bimotore. Cercando di riassumere, dopo i collaudi di rito e le prove valutative del caso, il bimotore Bloch venne preferito al concorrente connazionale ed il sette aprile del 1935 il governo cecoslovacco ne acquistò un esemplare quale modello base per la successiva licenza di produzione: ottenuto il timido parere favorevole degli ambienti militari, peraltro non privi di perplessità in ordine al suo effettivo valore bellico, il bombardiere venne affidato in costruzione agli stabilimenti della Aero, da cui la denominazione Aero MB.200, cui vennero affiancate in via sussidiaria le fabbriche della Avia. Contrariamente alla sua economicità di costruzione, la realizzazione del mezzo in mano cecoslovacca procedette lentamente, in quanto gli ingegneri non si limitarono ad eseguirne un'opera di mera copiatura, ma cercarono di modificarlo nel tentativo di migliorarne le caratteristiche operative. Ad esempio, il velivolo venne sottoposto ad un intervento di leggera rifinitura aerodinamica, che venne addolcita nella rastremazione anteriore mediante l'introduzione di un più graduale raccordo tra abitacolo e fusoliera (nei modelli francesi lo stacco tra le due componenti strutturali era decisamente più ruvido). Accanto a tali lavori di dettaglio, il mezzo venne rivisto anche nell'armamento, che fu sostituito con tre mitragliatrici da 7,92 mm, e nell'impianto propulsivo, formato ora da una coppia di Walter K-14, cioè la versione locale del Gnome-Rhône 14 K: a fronte degli adattamenti,

Il relitto di un Bloch MB 200 rinvenuto nel 1942 dalle truppe statunitensi in Nord Africa ed utilizzato come cucina da campo all’interno della base aerea di Oran-la-Senia (Algeria).

di contrastare le forze britanniche l'indomani della capitolazione francese del giugno 1940. In particolare, in Libano erano stati schierati nella base aerea di Rayak sei Bloch MB 200 in seno al terzo gruppo del GB I/39, divenuto, a seguito dell'armistizio francese, un reparto autonomo: qui il nove giugno del 1941 questi apparecchi attaccarono la flotta inglese che aveva imposto il blocco navale alla città costiera libanese di Sidone (in lingua araba Saïda), ottenendo, tuttavia, un risultato alquanto modesto. Nello specifico dell'operazione, infatti, due velivoli andarono perduti in fase di decollo per avarie, mentre i quattro mezzi superstiti vennero intercettati dagli Hawker

MAG/GIU 2020 | AEROFAN

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Helipad

villa

la contra FOTO BORLENGHI

Luca Granella

Q

ueste coordinate, 41° 08' 10'' N - 9° 3 0 ' 55 ' ' E e d i l codice ICAO LIES, corrispondono ad un angolo di terra straordinario situato nel nord della Sardegna ad un'altitudine di 240 metri. Agli inizi degli Anni ‘60 questo lembo vergine di isola venne notato da un facoltoso Principe dalle grandi capacità i m p re n d i to ri a l i : S . A . l 'Ag a K h a n .

38

Karim Aga Khan, navigando in vista di quel territorio mozzafiato a bordo dello yacht Zaira, fu conquistato dai colori e dall'incontaminata natura circostante a ridosso di un mare smeraldo, colore poi usato per identificare quella porzione isolana di terreni incastonata tra terra ed acqua. Osservando quel fazzoletto di paradiso il Principe ebbe l'intuizione che qualche anno più avanti avrebbe regalato al mondo la Costa Smeralda, nome divenuto sinonimo di eccellenza nonché meta ambita dal jet set del globo terracqueo. Incastonato nella magica cornice del Golfo di Liscia di Vacca con vista sulla Marina di Porto Cervo, sorge una delle più esclusive elisuperfici dell'intero panorama europeo: l'Helipad Villa La Contra, che si estende su un podere di circa 3 ettari a ridosso della costa e risalente al 1875 chiamato stazzo Cocilatti. Proprietario e fondatore di questo sito di atterraggio del tutto particolare è Angelo Corda, imprenditore sardo classe 1949, nato in quel della Maddalena. Grande appassionato di elicotteri sin dall'infanzia, ha iniziato fin da giovane ad operare nel settore dell'ala rotante, rivestendo svariate mansioni e maturando quell'esperienza che lo ha condotto nel 2006 a

1

2

NELLO DI SALVO

Il paradiso dell’ala rotante

Storica immagine del Sikorsky S.58 che ha volato per Alisarda durante una stagione estiva negli Anni ‘60 qui ripreso sull’eliporto presso l’Hotel Abi D’oru nel golfo di Marinella.

Porto Cervo Anni ‘90. I due fondatori dell'Helipad Corinna Corda e Tomaso Angelo accanto all’AS 350 Elifriulia atterrato sulla piazzola del Consorzio Costa Smeralda.

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Helipad

villa

la contra FOTO BORLENGHI

Luca Granella

Q

ueste coordinate, 41° 08' 10'' N - 9° 3 0 ' 55 ' ' E e d i l codice ICAO LIES, corrispondono ad un angolo di terra straordinario situato nel nord della Sardegna ad un'altitudine di 240 metri. Agli inizi degli Anni ‘60 questo lembo vergine di isola venne notato da un facoltoso Principe dalle grandi capacità i m p re n d i to ri a l i : S . A . l 'Ag a K h a n .

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Karim Aga Khan, navigando in vista di quel territorio mozzafiato a bordo dello yacht Zaira, fu conquistato dai colori e dall'incontaminata natura circostante a ridosso di un mare smeraldo, colore poi usato per identificare quella porzione isolana di terreni incastonata tra terra ed acqua. Osservando quel fazzoletto di paradiso il Principe ebbe l'intuizione che qualche anno più avanti avrebbe regalato al mondo la Costa Smeralda, nome divenuto sinonimo di eccellenza nonché meta ambita dal jet set del globo terracqueo. Incastonato nella magica cornice del Golfo di Liscia di Vacca con vista sulla Marina di Porto Cervo, sorge una delle più esclusive elisuperfici dell'intero panorama europeo: l'Helipad Villa La Contra, che si estende su un podere di circa 3 ettari a ridosso della costa e risalente al 1875 chiamato stazzo Cocilatti. Proprietario e fondatore di questo sito di atterraggio del tutto particolare è Angelo Corda, imprenditore sardo classe 1949, nato in quel della Maddalena. Grande appassionato di elicotteri sin dall'infanzia, ha iniziato fin da giovane ad operare nel settore dell'ala rotante, rivestendo svariate mansioni e maturando quell'esperienza che lo ha condotto nel 2006 a

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NELLO DI SALVO

Il paradiso dell’ala rotante

Storica immagine del Sikorsky S.58 che ha volato per Alisarda durante una stagione estiva negli Anni ‘60 qui ripreso sull’eliporto presso l’Hotel Abi D’oru nel golfo di Marinella.

Porto Cervo Anni ‘90. I due fondatori dell'Helipad Corinna Corda e Tomaso Angelo accanto all’AS 350 Elifriulia atterrato sulla piazzola del Consorzio Costa Smeralda.

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la scoperta del br.20

ma oramai voliamo con i vapori di benzina; guardiamo in basso nel tentativo di scorgere un terreno adatto ad un atterraggio di emergenza, mentre l'orecchio va al motore che da un momento all'altro, ci aspettiamo, si spegnerà. Proseguiamo con un filo di gas giusto per tenerci sopra la velocità di stallo, ma ecco, riconosciamo le colline dove si trova la pista, forse ce la facciamo, saliamo ancora un po' di quota, ci siamo, allineamento alla pista, se il motore ci pianta adesso ce la dovremmo fare comunque in planata; le ruote toccano la pista, ce l'abbiamo fatta! Con il motore ancora acceso guadagniamo l'hangar ci fermiamo e spegniamo il motore, credo il più grande respiro di sollievo della mia vita. L'indomani siamo in spiaggia e non ci mettiamo troppo tempo a distinguere la massa scura in mare. Per primo va Deliguori munito di maschera (ne abbiamo una sola), e poco dopo ritorna dicendomi che l'ha visto; tocca a me e

mentre nuoto improvvisamente vedo sotto di me una grande sagoma scura. Fa impressione, anzi paura, sembra un fantasma sott'acqua, tutto ricoperto da vegetazione. Mi porto fino al muso dell'aereo e guardando verso la coda distinguo due derive dei piani di coda. Non riesco a capire di che aereo si tratti, ma l'inquietudine alla vista di quel relitto prende il sopravvento e ritorno subito in spiaggia. Questo è stato il mio primo contatto con quello che poi si sarebbe rivelato essere un FIAT B.R.20; io all'epoca sapevo poco degli aerei della seconda guerra mondiale, conoscevo l'S.79, il BF 109, il B-17, insomma quelli più famosi. Il B.R.20 non l'avevo mai visto neanche in fotografia. Passato l'entusiasmo per la mia scoperta ho saputo poi che era un relitto noto e abbastanza frequentato dai pescatori subacquei e che la sabbia che lo ha ricoperto per la maggior parte del tempo ha preservato buona parte delle strutture dalla corrosione.

Angelo Rizzo

L

uglio 1988. Sono in volo con l'istruttore Deliguori per un doppio scopo, lezione di volo a vista e traino pubblicitario. Arrivati sulla linea di costa ci dirigiamo verso Ponente con destinazione Scala dei Turchi in modo da percorrere tutte la spiagge sottostanti e rendere ben visibile il messaggio pubblicitario che stiamo trainando. È una di quelle giornate in cui il mare trasparente e senza increspature lascia intravedere nel fondale le forme più strane di banchi di posidonia o rocce che poi associamo a qualcosa in natura o che siamo soliti vedere quotidianamente. Pur non dovendo distrarci dalla nostra attività di volo, resa piuttosto impegnativa dal traino, tenendo quindi sempre d'occhio velocità, assetto sull'orizzonte artificiale e temperatura dell'acqua, sbirciando in basso sul mare vediamo ora un banco di posidonia a forma di dinosauro, ora delle rocce che sembrano una sedia, ora queste altre che sembrano un aereo… Come, un aereo? Eppure anche l'istruttore sembra confermare la mia prima impressione, e già sappiamo che nel passaggio di ritorno butteremo di nuovo lo sguardo in quel punto per vedere se proveremo la stessa sensazione vedendo quella forma. Intanto proseguiamo oltre Porto Empedocle, sorvoliamo Marinella, Scala dei Turchi e sopra Capo Rossello ci prepariamo ad effettuate un ampia virata verso sinistra portandoci sulla stessa rotta contraria per il ritorno. Come al solito nella nostra zona a quell'ora il vento di Ponente inizia a farsi sentire e così, se all'andata abbiamo dovuto dare più potenza per contrastarlo, al ritorno ce lo

troviamo di coda e quindi sommando alla nostra velocità di crociera quella del vento la costa sotto di noi scorre più velocemente; sorvoliamo lo stesso punto in cui avevamo immaginato la forma dell'aereo ma non riusciamo più a vederlo, in realtà siamo più bassi rispetto all'andata e, complice anche il vento, tutto scorre più velocemente. Ad un certo punto scorgiamo una grande sagoma scura sul fondale, diamo gas e cabriamo per portarci più in alto in modo da migliorare la visuale. Iniziamo a volare in circolo e improvvisamente eccola: una forma di aereo molto definita, le due semiali, le gondole, la fusoliera, i piani di coda… altro che immaginazione, fa impressione, sembra stia volando sott'acqua! Non ci sono dubbi, è un aereo e anche di dimensioni ragguardevoli. Incantati dalla scoperta continuiamo il sorvolo sempre in circolo e con il banner al traino; l'istruttore, non essendo della zona, mi chiede di prendere un riferimento a terra facilmente riconoscibile un modo tale da ritornarci da terra e a nuoto raggiungere l'aereo che si trova tra l'altro molto vicino alla spiaggia. Ad un certo punto però ci assale un dubbio, l'occhio va all'indicatore del carburante: siamo quasi a secco! Cerchiamo di non farci prendere dal panico e con una lenta salita cerchiamo di guadagnare la quota sufficiente a raggiungere la pista, che si trova all'interno di qualche miglio rispetto alla costa, ma lo striscione pubblicitario ci frena troppo e dobbiamo sganciarlo per alleggerirci. Intravediamo una fattoria abitata di nostra conoscenza e decidiamo di sganciare lì il banner e tornare più tardi a riprenderlo. Riprendiamo subito quota, ora siamo molto più leggeri,

42

L'Operazione Cicogna è un progetto di recupero dal mare, restauro ed esposizione del velivolo storico Fiat B.R. 20M di proprietà dell'Aeronautica Militare attualmente insabbiato sul fondale agrigentino. Dopo il recupero ed il restauro conservativo il B.R. 20M sarà l'unico esemplare al mondo fruibile al pubblico. Al fine di portare a termine il progetto l'Associazione Arma Aeronautica, ente morale con più di 30.000 iscritti a livello nazionale, vuole sponsorizzare l'impresa istituendo una raccolta fondi volontaria con donazioni anche di modesta entità. Alle donazioni superiori ai 50 Euro sarà riservata la possibilità di inserire il nominativo del donatore nel Diario di Bordo Operazione Cicogna che verrà esposto insieme al B.R. 20M diventando così anche questo una testimonianza storica. Aerofan segue da vicino l'operazione fornendo tutto il supporto possibile, dando tempestiva comunicazione dei lavori in corso e realizzando una serie di articoli dedicati al B.R. 20 per mantenere vivo l'interesse per il progetto. Per maggiori informazioni: rizzoangelo@msn.com - 347.435.78.17

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la scoperta del br.20

ma oramai voliamo con i vapori di benzina; guardiamo in basso nel tentativo di scorgere un terreno adatto ad un atterraggio di emergenza, mentre l'orecchio va al motore che da un momento all'altro, ci aspettiamo, si spegnerà. Proseguiamo con un filo di gas giusto per tenerci sopra la velocità di stallo, ma ecco, riconosciamo le colline dove si trova la pista, forse ce la facciamo, saliamo ancora un po' di quota, ci siamo, allineamento alla pista, se il motore ci pianta adesso ce la dovremmo fare comunque in planata; le ruote toccano la pista, ce l'abbiamo fatta! Con il motore ancora acceso guadagniamo l'hangar ci fermiamo e spegniamo il motore, credo il più grande respiro di sollievo della mia vita. L'indomani siamo in spiaggia e non ci mettiamo troppo tempo a distinguere la massa scura in mare. Per primo va Deliguori munito di maschera (ne abbiamo una sola), e poco dopo ritorna dicendomi che l'ha visto; tocca a me e

mentre nuoto improvvisamente vedo sotto di me una grande sagoma scura. Fa impressione, anzi paura, sembra un fantasma sott'acqua, tutto ricoperto da vegetazione. Mi porto fino al muso dell'aereo e guardando verso la coda distinguo due derive dei piani di coda. Non riesco a capire di che aereo si tratti, ma l'inquietudine alla vista di quel relitto prende il sopravvento e ritorno subito in spiaggia. Questo è stato il mio primo contatto con quello che poi si sarebbe rivelato essere un FIAT B.R.20; io all'epoca sapevo poco degli aerei della seconda guerra mondiale, conoscevo l'S.79, il BF 109, il B-17, insomma quelli più famosi. Il B.R.20 non l'avevo mai visto neanche in fotografia. Passato l'entusiasmo per la mia scoperta ho saputo poi che era un relitto noto e abbastanza frequentato dai pescatori subacquei e che la sabbia che lo ha ricoperto per la maggior parte del tempo ha preservato buona parte delle strutture dalla corrosione.

Angelo Rizzo

L

uglio 1988. Sono in volo con l'istruttore Deliguori per un doppio scopo, lezione di volo a vista e traino pubblicitario. Arrivati sulla linea di costa ci dirigiamo verso Ponente con destinazione Scala dei Turchi in modo da percorrere tutte la spiagge sottostanti e rendere ben visibile il messaggio pubblicitario che stiamo trainando. È una di quelle giornate in cui il mare trasparente e senza increspature lascia intravedere nel fondale le forme più strane di banchi di posidonia o rocce che poi associamo a qualcosa in natura o che siamo soliti vedere quotidianamente. Pur non dovendo distrarci dalla nostra attività di volo, resa piuttosto impegnativa dal traino, tenendo quindi sempre d'occhio velocità, assetto sull'orizzonte artificiale e temperatura dell'acqua, sbirciando in basso sul mare vediamo ora un banco di posidonia a forma di dinosauro, ora delle rocce che sembrano una sedia, ora queste altre che sembrano un aereo… Come, un aereo? Eppure anche l'istruttore sembra confermare la mia prima impressione, e già sappiamo che nel passaggio di ritorno butteremo di nuovo lo sguardo in quel punto per vedere se proveremo la stessa sensazione vedendo quella forma. Intanto proseguiamo oltre Porto Empedocle, sorvoliamo Marinella, Scala dei Turchi e sopra Capo Rossello ci prepariamo ad effettuate un ampia virata verso sinistra portandoci sulla stessa rotta contraria per il ritorno. Come al solito nella nostra zona a quell'ora il vento di Ponente inizia a farsi sentire e così, se all'andata abbiamo dovuto dare più potenza per contrastarlo, al ritorno ce lo

troviamo di coda e quindi sommando alla nostra velocità di crociera quella del vento la costa sotto di noi scorre più velocemente; sorvoliamo lo stesso punto in cui avevamo immaginato la forma dell'aereo ma non riusciamo più a vederlo, in realtà siamo più bassi rispetto all'andata e, complice anche il vento, tutto scorre più velocemente. Ad un certo punto scorgiamo una grande sagoma scura sul fondale, diamo gas e cabriamo per portarci più in alto in modo da migliorare la visuale. Iniziamo a volare in circolo e improvvisamente eccola: una forma di aereo molto definita, le due semiali, le gondole, la fusoliera, i piani di coda… altro che immaginazione, fa impressione, sembra stia volando sott'acqua! Non ci sono dubbi, è un aereo e anche di dimensioni ragguardevoli. Incantati dalla scoperta continuiamo il sorvolo sempre in circolo e con il banner al traino; l'istruttore, non essendo della zona, mi chiede di prendere un riferimento a terra facilmente riconoscibile un modo tale da ritornarci da terra e a nuoto raggiungere l'aereo che si trova tra l'altro molto vicino alla spiaggia. Ad un certo punto però ci assale un dubbio, l'occhio va all'indicatore del carburante: siamo quasi a secco! Cerchiamo di non farci prendere dal panico e con una lenta salita cerchiamo di guadagnare la quota sufficiente a raggiungere la pista, che si trova all'interno di qualche miglio rispetto alla costa, ma lo striscione pubblicitario ci frena troppo e dobbiamo sganciarlo per alleggerirci. Intravediamo una fattoria abitata di nostra conoscenza e decidiamo di sganciare lì il banner e tornare più tardi a riprenderlo. Riprendiamo subito quota, ora siamo molto più leggeri,

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L'Operazione Cicogna è un progetto di recupero dal mare, restauro ed esposizione del velivolo storico Fiat B.R. 20M di proprietà dell'Aeronautica Militare attualmente insabbiato sul fondale agrigentino. Dopo il recupero ed il restauro conservativo il B.R. 20M sarà l'unico esemplare al mondo fruibile al pubblico. Al fine di portare a termine il progetto l'Associazione Arma Aeronautica, ente morale con più di 30.000 iscritti a livello nazionale, vuole sponsorizzare l'impresa istituendo una raccolta fondi volontaria con donazioni anche di modesta entità. Alle donazioni superiori ai 50 Euro sarà riservata la possibilità di inserire il nominativo del donatore nel Diario di Bordo Operazione Cicogna che verrà esposto insieme al B.R. 20M diventando così anche questo una testimonianza storica. Aerofan segue da vicino l'operazione fornendo tutto il supporto possibile, dando tempestiva comunicazione dei lavori in corso e realizzando una serie di articoli dedicati al B.R. 20 per mantenere vivo l'interesse per il progetto. Per maggiori informazioni: rizzoangelo@msn.com - 347.435.78.17

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saab Svenska Aeroplan Aktiebolaget

Gli aerei venuti dal Nord seconda parte

Paolo Gianvanni

B

Una coppia di Viggen biposto Sk 37. Questo modello era privo di apparato radar.

ellezza e potenza, questa potrebbe essere la frase di sintesi che caratterizza la famiglia di velivoli a getto della SAAB. Le linee incredibili del Draken si contrappongono agli spigoli e alla violenza del Viggen che chiudeva il programma di volo dei saloni di Farnborough decollando alla luce del tramonto; la sua esibizione lasciava il pubblico frastornato dal terribile boato del suo motore e dall'enorme ďŹ ammata che si allungava dietro al caccia impegnato in vertiginose arrampicate.

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saab Svenska Aeroplan Aktiebolaget

Gli aerei venuti dal Nord seconda parte

Paolo Gianvanni

B

Una coppia di Viggen biposto Sk 37. Questo modello era privo di apparato radar.

ellezza e potenza, questa potrebbe essere la frase di sintesi che caratterizza la famiglia di velivoli a getto della SAAB. Le linee incredibili del Draken si contrappongono agli spigoli e alla violenza del Viggen che chiudeva il programma di volo dei saloni di Farnborough decollando alla luce del tramonto; la sua esibizione lasciava il pubblico frastornato dal terribile boato del suo motore e dall'enorme ďŹ ammata che si allungava dietro al caccia impegnato in vertiginose arrampicate.

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J 29 TUNNAN La SAAB ricevette il primo incarico di studio su un velivolo a getto nella primavera del 1945 e sul tavolo dei progettisti si susseguirono vari disegni. Il primo, conosciuto come R 101, era molto simile a Lockheed P-80 di cui all'epoca si ignorava l'esistenza. Quando stava per partire la fase di sviluppo dettagliato, gli americani svelarono il loro caccia e giustamente la SAAB fermò un possibile programma che, quando fosse sfociato in un aereo operativo, sarebbe risultato certamente superato. Nondimeno, per acquisire esperienza sulla propulsione a getto, venne realizzato, come visto prima, il J 21R adattando la cellula base del J 21A; si trattò di un'esperienza preziosa che all'epoca evidenziò la problematica del flusso d'aria nelle prese d'aria sdoppiate con risultato che i progettisti scelsero per il futuro aviogetto un'unica presa d'aria frontale più semplice ed efficiente.

5

Un modello di J 29 viene provato nella galleria a vento durante lo sviluppo del progetto.

7

Insolita immagine di un J 29 col personale di supporto seduto sull’ala. Il caccia non era forse esteticamente elegante, ma aveva un suo fascino che esprimeva ecienza e solidità sempre confermate Ā durante il suo lungo servizio operativo.

SAAB J 29F TUNNAN

6 Alla fine del 1945 prese così forma un primo progetto con presa d'aria frontale, ali ed impennaggi dritti e trave di coda che si prolungava oltre lo scarico del motore ventrale per ottenere la massima spinta del previsto de Havilland Goblin da 1.400 kg di spinta. Per avere un'ala il più fine possibile, il carrello venne concentrato in fusoliera. Fu realizzato un modello del velivolo, ma a quel punto accaddero due fatti decisivi: il primo fu la disponibilità del più potente de Havilland Ghost e l'altro l'acquisizione dei dati raccolti dai

48

AEROFAN | SVENSKA AEROPLAN AKTIEBOLAGET

Il J 29 in produzione. L’impegno della Saab nel programma J29 e la priorità data dal governo svedese al riequipaggiamento della forza aerea costrinsero al decentramento all’estero dei programmi civili.

tecnici tedeschi sull'ala a freccia; in questo gli svedesi furono facilitati per il fatto che molti tecnici avevano familiarità, anche per aver lavorato in Germania, con questa lingua.

MAG/GIU 2020 | AEROFAN

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J 29 TUNNAN La SAAB ricevette il primo incarico di studio su un velivolo a getto nella primavera del 1945 e sul tavolo dei progettisti si susseguirono vari disegni. Il primo, conosciuto come R 101, era molto simile a Lockheed P-80 di cui all'epoca si ignorava l'esistenza. Quando stava per partire la fase di sviluppo dettagliato, gli americani svelarono il loro caccia e giustamente la SAAB fermò un possibile programma che, quando fosse sfociato in un aereo operativo, sarebbe risultato certamente superato. Nondimeno, per acquisire esperienza sulla propulsione a getto, venne realizzato, come visto prima, il J 21R adattando la cellula base del J 21A; si trattò di un'esperienza preziosa che all'epoca evidenziò la problematica del flusso d'aria nelle prese d'aria sdoppiate con risultato che i progettisti scelsero per il futuro aviogetto un'unica presa d'aria frontale più semplice ed efficiente.

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Un modello di J 29 viene provato nella galleria a vento durante lo sviluppo del progetto.

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Insolita immagine di un J 29 col personale di supporto seduto sull’ala. Il caccia non era forse esteticamente elegante, ma aveva un suo fascino che esprimeva ecienza e solidità sempre confermate Ā durante il suo lungo servizio operativo.

SAAB J 29F TUNNAN

6 Alla fine del 1945 prese così forma un primo progetto con presa d'aria frontale, ali ed impennaggi dritti e trave di coda che si prolungava oltre lo scarico del motore ventrale per ottenere la massima spinta del previsto de Havilland Goblin da 1.400 kg di spinta. Per avere un'ala il più fine possibile, il carrello venne concentrato in fusoliera. Fu realizzato un modello del velivolo, ma a quel punto accaddero due fatti decisivi: il primo fu la disponibilità del più potente de Havilland Ghost e l'altro l'acquisizione dei dati raccolti dai

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Il J 29 in produzione. L’impegno della Saab nel programma J29 e la priorità data dal governo svedese al riequipaggiamento della forza aerea costrinsero al decentramento all’estero dei programmi civili.

tecnici tedeschi sull'ala a freccia; in questo gli svedesi furono facilitati per il fatto che molti tecnici avevano familiarità, anche per aver lavorato in Germania, con questa lingua.

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J-32 LANSEN che oltre ai quattro cannoni da 20 mm con 180 colpi ciascuno poteva essere armato con varie combinazioni di razzi e bombe. Con l'aumento del carico bellico emergeva tuttavia l'esiguità della potenza installata e così il velivolo venne certificato per il decollo con la spinta di razzi JATO, una soluzione che però venne superata dalle successive versioni del caccia caratterizzate dalla post-combustione. Questa fu un altro successo dei tecnici svedesi perché il motore Ghost originale non montava il sistema. L'RM 2 divenne l'RM 2B che, su idea di Östen Svantesson, fu sviluppato dalla Flygmotor con un aumento di spinta del 25% rispetto al motore “secco”. Così il 20 marzo 1954 volò il J 29F che combinava il postbruciatore con la nuova ala; aumentavano notevolmente la velocità massima (da 1.025 a 1.060 km/h), il rateo di salita (da 40 a 60 metri al secondo), la tangenza (da 13.700 a 15.500 m) mentre la distanza di decollo scendeva da 1.350 a 790 metri. Tra il 1955 ed il 1958, 308 J 29B ed E furono modificati al nuovo standard F sia dalla SAAB che dall'officina centrale dell'aeronautica e parallelamente 390 motori RM 2 furono aggiornati in RM 2B. L'ultimo programma di rilievo fu, alla fine del 1963, il montaggio dei binari subalari per due missili

aria-aria a guida infrarosso Rb 24 (AIM-9 Sidewinder). L'unico successo all'esportazione del J 29 fu con l'Austria; i primi quindici J 29F, ex aeronautica svedese ricondizionati, furono consegnati nell'autunno 1961 seguiti da altri quindici; questi ultimi erano in grado di montare, al posto dei due cannoni di sinistra, un sistema da ricognizione semplificato composto da tre macchine da presa Vinten direzionabili in volo. I velivoli servirono con gli JagdbomberStaffel 1 e 2 fino al 1972 sostituiti dai SAAB 105. Cinque J29B furono inviati in Congo su richiesta delle Nazioni Unite nel 1961 raggiunti nell'ottobre 1962 da due ricognitori S 29C e, nel gennaio 1963, da altri quattro B, equipaggiando un reparto specifico designato F 22. Gli aerei vennero usati per la difesa aerea, l'attacco alle basi nemiche e il supporto. Due andarono distrutti in incidenti; al termine delle operazioni quattro (compresi i due ricognitori), rientrarono in Svezia e gli altri furono distrutti a Kamina con esplosivo. In Svezia il J29 ha servito a livello operativo fino al maggio 1967 ma alcuni esemplari hanno continuato ad operare per il traino bersagli fino all'agosto 1976. Complessivamente, tra il 1951 ed il 1956, furono consegnati 661 esemplari.

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Formazione di S 29C dell’F 3. È evidente la grande stiva ricavata dallo spazio in precedenza occupato dai quattro cannoni da 20 mm e che poteva contenere fino a sette macchine da presa.

Il rinnovo della linea di velivoli da attacco, ricognizione e caccia notturna, costituita dai SAAB B 18/T 18 e dai Mosquito Mk.19 (J 30), venne affrontato dalla SAAB con una serie di studi concentrati su configurazioni bimotore e addirittura col progetto di un'ala volante, ma nel dicembre 1948 l'aeronautica dette il via libera al progetto 1150 per un monomotore biposto transonico di configurazione convenzionale affidato al team guidato da Arthur Bråsjö. Il velivolo, che poi sarebbe divenuto il SAAB 32 Lansen, doveva inizialmente essere spinto da un motore di concezione nazionale, lo STAL Dovern II (RM 4) da circa 3.300 kg, ma alla fine del 1952 venne deciso in favore del Rolls-Royce Avon Series 100 da costruire su licenza come RM 5. Il primo di quattro prototipi volò il 3 novembre 1952 con un Avon RA.7R da 3.400 kg pilotato da Bengt R. Olow dando il via ad un programma complesso che aveva per oggetto il primo jet biposto svedese, il primo equipaggiato con un sistema radar inserito in fusoliera ed il primo vero aereo con sistemi elettronici e d'arma integrati. Come avvenuto per il J 29, un'ala simile con flap Fowler venne provata sul solito prototipo del Safir (SAAB 202). Il primo modello di produzione A 32A da attacco era spinto da un Flygmotor RM 5A da 3.460 kg (4.700 con la post-combustione). L'armamento si componeva di quattro cannoni Hispano da 20 mm fissi in caccia nel muso mentre al di sotto delle ali potevano essere agganciati alternativamente 24 razzi da 14,5 cm, 12 razzi da 18 cm, 12 bombe da 100 kg o quattro da 250 kg o, per missioni antinave, due missili Rb 04 con homing radar. Al ventre della fusoliera veniva normalmente agganciato un serbatoio conformale da 600 litri; l'equipaggiamento elettronico comprendeva un radar da ricerca PS-43/A, un radar di navigazione PN-50A e PN-51 ed un radar altimetro PH-11/A e un computer di bombardamento SAAB BT 9C.

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La linea di produzione del Lansen, che fu uno dei primi velivoli al mondo con sistemi elettronici e d’arma integrati.

Un A 32A esposto con i vari armamenti compresi bombe da 500 e 250 kg, razzi da 14,5 e 18 cm e missili antinave Rb 04.

Il prototipo della versione da ricognizione S 32C sviluppata per sostituire gli S 18A.


J-32 LANSEN che oltre ai quattro cannoni da 20 mm con 180 colpi ciascuno poteva essere armato con varie combinazioni di razzi e bombe. Con l'aumento del carico bellico emergeva tuttavia l'esiguità della potenza installata e così il velivolo venne certificato per il decollo con la spinta di razzi JATO, una soluzione che però venne superata dalle successive versioni del caccia caratterizzate dalla post-combustione. Questa fu un altro successo dei tecnici svedesi perché il motore Ghost originale non montava il sistema. L'RM 2 divenne l'RM 2B che, su idea di Östen Svantesson, fu sviluppato dalla Flygmotor con un aumento di spinta del 25% rispetto al motore “secco”. Così il 20 marzo 1954 volò il J 29F che combinava il postbruciatore con la nuova ala; aumentavano notevolmente la velocità massima (da 1.025 a 1.060 km/h), il rateo di salita (da 40 a 60 metri al secondo), la tangenza (da 13.700 a 15.500 m) mentre la distanza di decollo scendeva da 1.350 a 790 metri. Tra il 1955 ed il 1958, 308 J 29B ed E furono modificati al nuovo standard F sia dalla SAAB che dall'officina centrale dell'aeronautica e parallelamente 390 motori RM 2 furono aggiornati in RM 2B. L'ultimo programma di rilievo fu, alla fine del 1963, il montaggio dei binari subalari per due missili

aria-aria a guida infrarosso Rb 24 (AIM-9 Sidewinder). L'unico successo all'esportazione del J 29 fu con l'Austria; i primi quindici J 29F, ex aeronautica svedese ricondizionati, furono consegnati nell'autunno 1961 seguiti da altri quindici; questi ultimi erano in grado di montare, al posto dei due cannoni di sinistra, un sistema da ricognizione semplificato composto da tre macchine da presa Vinten direzionabili in volo. I velivoli servirono con gli JagdbomberStaffel 1 e 2 fino al 1972 sostituiti dai SAAB 105. Cinque J29B furono inviati in Congo su richiesta delle Nazioni Unite nel 1961 raggiunti nell'ottobre 1962 da due ricognitori S 29C e, nel gennaio 1963, da altri quattro B, equipaggiando un reparto specifico designato F 22. Gli aerei vennero usati per la difesa aerea, l'attacco alle basi nemiche e il supporto. Due andarono distrutti in incidenti; al termine delle operazioni quattro (compresi i due ricognitori), rientrarono in Svezia e gli altri furono distrutti a Kamina con esplosivo. In Svezia il J29 ha servito a livello operativo fino al maggio 1967 ma alcuni esemplari hanno continuato ad operare per il traino bersagli fino all'agosto 1976. Complessivamente, tra il 1951 ed il 1956, furono consegnati 661 esemplari.

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Formazione di S 29C dell’F 3. È evidente la grande stiva ricavata dallo spazio in precedenza occupato dai quattro cannoni da 20 mm e che poteva contenere fino a sette macchine da presa.

Il rinnovo della linea di velivoli da attacco, ricognizione e caccia notturna, costituita dai SAAB B 18/T 18 e dai Mosquito Mk.19 (J 30), venne affrontato dalla SAAB con una serie di studi concentrati su configurazioni bimotore e addirittura col progetto di un'ala volante, ma nel dicembre 1948 l'aeronautica dette il via libera al progetto 1150 per un monomotore biposto transonico di configurazione convenzionale affidato al team guidato da Arthur Bråsjö. Il velivolo, che poi sarebbe divenuto il SAAB 32 Lansen, doveva inizialmente essere spinto da un motore di concezione nazionale, lo STAL Dovern II (RM 4) da circa 3.300 kg, ma alla fine del 1952 venne deciso in favore del Rolls-Royce Avon Series 100 da costruire su licenza come RM 5. Il primo di quattro prototipi volò il 3 novembre 1952 con un Avon RA.7R da 3.400 kg pilotato da Bengt R. Olow dando il via ad un programma complesso che aveva per oggetto il primo jet biposto svedese, il primo equipaggiato con un sistema radar inserito in fusoliera ed il primo vero aereo con sistemi elettronici e d'arma integrati. Come avvenuto per il J 29, un'ala simile con flap Fowler venne provata sul solito prototipo del Safir (SAAB 202). Il primo modello di produzione A 32A da attacco era spinto da un Flygmotor RM 5A da 3.460 kg (4.700 con la post-combustione). L'armamento si componeva di quattro cannoni Hispano da 20 mm fissi in caccia nel muso mentre al di sotto delle ali potevano essere agganciati alternativamente 24 razzi da 14,5 cm, 12 razzi da 18 cm, 12 bombe da 100 kg o quattro da 250 kg o, per missioni antinave, due missili Rb 04 con homing radar. Al ventre della fusoliera veniva normalmente agganciato un serbatoio conformale da 600 litri; l'equipaggiamento elettronico comprendeva un radar da ricerca PS-43/A, un radar di navigazione PN-50A e PN-51 ed un radar altimetro PH-11/A e un computer di bombardamento SAAB BT 9C.

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La linea di produzione del Lansen, che fu uno dei primi velivoli al mondo con sistemi elettronici e d’arma integrati.

Un A 32A esposto con i vari armamenti compresi bombe da 500 e 250 kg, razzi da 14,5 e 18 cm e missili antinave Rb 04.

Il prototipo della versione da ricognizione S 32C sviluppata per sostituire gli S 18A.


SAAB J 35F DRAKEN

SAAB J 35E DRAKEN 56

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SAAB J 35F DRAKEN

SAAB J 35E DRAKEN 56

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equipaggiamento Ska 24, sviluppato dalla francese OMERA/Segid su specifiche svedesi, distribuito tra il musetto e le ali (al posto dei cannoni). L'aereo disponeva anche di uno dei primi sistemi di ricognizione infrarosso dell'americana EG & G E accoppiato ad una camera Vinten

guida IR. Il sistema era costituito da un nuovo radar di acquisizione LME PS-01 con sistema di puntamento SAAB S7B, sensore di ricerca infrarosso sporgente al di sotto del muso, apparati comunicazione, navigazione e IFF migliorati, integrazione nel sistema di difesa aerea

sostituire gli F-100D, RF-35 (S 35XD) da ricognizione per sostituire gli RF-84F e TF-35 (Sk 35XD) da addestramento. I v e l i v o l i , a d e g u a t i a g l i s t a n d a r d N AT O n e g l i equipaggiamenti e nei piloni, potevano trasportare anche bombe da 1.000 libbre e missili aria-superficie Bullpup,

35F e sei J 35B ex aeronautica svedese per armare lo Squadron 11 a Rovaniemi. Nel 1984-85 seguirono altri Draken portando il totale degli esemplari a 48 per equipaggiare lo Squadron 21. I Draken finlandesi vennero sostituiti nell'agosto 2000 dagli F/A-18 Hornet.

22

contenuti in un pod agganciato alla fusoliera. Complessivamente l'aeronautica svedese ricevette 60 S 35E di cui 32 di nuova costruzione e gli altri ottenuti trasformando dei J 35D. Il modello successivo, il J 35F costruito in 230 esemplari, pur basato sul J 35D, costituiva un sistema d'arma completamente nuovo incentrato sul missile aria-aria americano Hughes Falcon nelle versioni HM55 (Rb 27) e HM58 (Rb 28) rispettivamente a guida radar semi-attiva e a

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nazionale computerizzato STRIL 60. Infine, nel 1985 una sessantina di J 35F furono portati allo standard J 35J con modifiche all'armamento e all'avionica. Il primo cliente all'esportazione avrebbe potuto essere la Svizzera per la sostituzione dei de Havilland Venom, ma in quella gara prevalse il Dassault Mirage III. Così la prima forza aerea estera a immettere in linea il caccia svedese fu quella danese che in più riprese tra il 1970 ed il 1976 comprò 51 Draken nelle versioni F-35 (A 35XD) da attacco per

erano dotati di gancio di ingaggio barriera, avevano un peso massimo al decollo aumentato a 16.500 kg e potevano montare due serbatoi ausiliari più grandi da 1.275 litri. I superstiti furono ritirati nel 1993 dopo aver servito con gli Squadron 725 e 729. La Finlandia comprò nel 1970 12 SAAB 35XS di nuova costruzione basati sui J 35F il cui assemblaggio finale avvenne presso la Valmet ad Halli. Per l'addestramento dei piloti furono noleggiati nel 1972 tre Sk 35C seguiti da sei J

Un TF-35 (Sk 35XD) dell’aeronautica danese primo cliente all’esportazione del Draken.

L'Austria comprò 24 J 35D ricondizionati e ribattezzati J 35O che sono stati usati dal Fliegerregiment 2 fino alla sostituzione nel novembre 2005 con i Northrop F-5E comprati usati dalla Svizzera. Negli Stati Uniti la NTPS (National Test Pilot School) ha operato sei Draken ex danesi che sono stati ritirati nel 2009. Complessivamente furono costruiti 611 Draken nelle varie versioni. L'aeronautica svedese ritirò definitivamente il Draken l'8 dicembre 1998 dopo quasi 40 anni di servizio.

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equipaggiamento Ska 24, sviluppato dalla francese OMERA/Segid su specifiche svedesi, distribuito tra il musetto e le ali (al posto dei cannoni). L'aereo disponeva anche di uno dei primi sistemi di ricognizione infrarosso dell'americana EG & G E accoppiato ad una camera Vinten

guida IR. Il sistema era costituito da un nuovo radar di acquisizione LME PS-01 con sistema di puntamento SAAB S7B, sensore di ricerca infrarosso sporgente al di sotto del muso, apparati comunicazione, navigazione e IFF migliorati, integrazione nel sistema di difesa aerea

sostituire gli F-100D, RF-35 (S 35XD) da ricognizione per sostituire gli RF-84F e TF-35 (Sk 35XD) da addestramento. I v e l i v o l i , a d e g u a t i a g l i s t a n d a r d N AT O n e g l i equipaggiamenti e nei piloni, potevano trasportare anche bombe da 1.000 libbre e missili aria-superficie Bullpup,

35F e sei J 35B ex aeronautica svedese per armare lo Squadron 11 a Rovaniemi. Nel 1984-85 seguirono altri Draken portando il totale degli esemplari a 48 per equipaggiare lo Squadron 21. I Draken finlandesi vennero sostituiti nell'agosto 2000 dagli F/A-18 Hornet.

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contenuti in un pod agganciato alla fusoliera. Complessivamente l'aeronautica svedese ricevette 60 S 35E di cui 32 di nuova costruzione e gli altri ottenuti trasformando dei J 35D. Il modello successivo, il J 35F costruito in 230 esemplari, pur basato sul J 35D, costituiva un sistema d'arma completamente nuovo incentrato sul missile aria-aria americano Hughes Falcon nelle versioni HM55 (Rb 27) e HM58 (Rb 28) rispettivamente a guida radar semi-attiva e a

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nazionale computerizzato STRIL 60. Infine, nel 1985 una sessantina di J 35F furono portati allo standard J 35J con modifiche all'armamento e all'avionica. Il primo cliente all'esportazione avrebbe potuto essere la Svizzera per la sostituzione dei de Havilland Venom, ma in quella gara prevalse il Dassault Mirage III. Così la prima forza aerea estera a immettere in linea il caccia svedese fu quella danese che in più riprese tra il 1970 ed il 1976 comprò 51 Draken nelle versioni F-35 (A 35XD) da attacco per

erano dotati di gancio di ingaggio barriera, avevano un peso massimo al decollo aumentato a 16.500 kg e potevano montare due serbatoi ausiliari più grandi da 1.275 litri. I superstiti furono ritirati nel 1993 dopo aver servito con gli Squadron 725 e 729. La Finlandia comprò nel 1970 12 SAAB 35XS di nuova costruzione basati sui J 35F il cui assemblaggio finale avvenne presso la Valmet ad Halli. Per l'addestramento dei piloti furono noleggiati nel 1972 tre Sk 35C seguiti da sei J

Un TF-35 (Sk 35XD) dell’aeronautica danese primo cliente all’esportazione del Draken.

L'Austria comprò 24 J 35D ricondizionati e ribattezzati J 35O che sono stati usati dal Fliegerregiment 2 fino alla sostituzione nel novembre 2005 con i Northrop F-5E comprati usati dalla Svizzera. Negli Stati Uniti la NTPS (National Test Pilot School) ha operato sei Draken ex danesi che sono stati ritirati nel 2009. Complessivamente furono costruiti 611 Draken nelle varie versioni. L'aeronautica svedese ritirò definitivamente il Draken l'8 dicembre 1998 dopo quasi 40 anni di servizio.

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unità dati volo, autopilota e sistema di navigazione inerziale costruiti in Svezia ma su licenza statunitense. Anche il propulsore (RM-8B) venne ottimizzato per il ruolo aria-aria con l'aggiunta di un terzo stadio al compressore bassa pressione e la sua potenza fu portata a 12.750 kg con post-combustione, rispetto agli 11.800 kg dell'RM 8A. Riguardo all'armamento venne inserito nella cellula un cannone Oerlikon KCA da 30 mm con un rateo di fuoco di 22 colpi al secondo mentre ai piloni alari potevano essere agganciati oltre agli Rb 24 i nuovi Rb 71 (BAe Skyflash) a guida radar. Comunque il JA-37 poteva trasportare anche armamenti per missioni di attacco. Furono costruiti 149 JA 37 e 98 AJ 37, SF 37 e SH 37 furono portati tra il 1993 ed il 1998 allo standard comune multiruolo AJS 37 con carichi utili intercambiabili, nuovo SMS (Store Management System) simile a quello del JAS 39 Gripen che permetteva l'integrazione del missile AIM120 AMRAAM. Parte dei JA 37 sono stati poi aggiornati in JA 37C e JA 37D.

26

Uno JA 37 dell’F 13 mostra il carico massimo di missili aria-aria costituito da quattro Rb 24 e due Rb 71 (BAe Skyflash).

L'ultimo esemplare è stato ritirato ufficialmente dal servizio il 25 novembre 2005. Nel giugno 2007 furono messi a terra anche gli ultimi velivoli usati per test di guerra elettronica in supporto al programma Gripen. La produzione del Viggen si chiuse con un totale di 329 esemplari, ma il velivolo mancò completamente il mercato all'esportazione. La SAAB offrì negli anni '70 il modello 37E Eurofighter nella gara ACF (Air Combat Fighter) dell'USAF poi vinta dall'YF-16 e la possibilità di una commessa indiana di arenò nel 1978 sul veto americano relativo alla tecnologia del motore del velivolo. Il modello SAAB 37X venne proposto senza successo alla Norvegia. Il Viggen fu per lungo tempo l'unico caccia in grado di ottenere “lock-on” radar sull'SR-71 che, con le missioni “Baltic Express” da RAF Mildenhall, UK, era un frequente visitatore delle acque internazionali nel Mar Baltico e il 29 giugno 1987 due JA 37 dell'F13 di Norrköping, poi sostituiti da un'altra coppia dell'F 10 all'epoca basati a Ängelholm, intercettarono e coprirono da possibili minacce esterne un

28 27

Viggen nel loro ambiente, in rullaggio nella neve per raggiungere il tratto di strada predisposto come pista di volo.

Blackbird che aveva subito un'esplosione al motore destro a Mach 3 a 22.860 m di altezza. I quattro piloti svedesi ricevettero per riconoscenza la citazione Air Medal statunitense. In un altro episodio della guerra fredda, un Viggen SH 37, di scorta ad un SF 37 in missione di

ombreggiamento di unità navali russe nel Baltico, si infilò in mare a 700 metri dalla prua dell'incrociatore sovietico Pietro il Grande, della classe Kirov, a circa 110 km a sud-est dell'isola di Gotland. Il pilota, forse sorpreso dall'apparizione di un anfibio Beriev Be-12, non venne recuperato.

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Un Viggen poco noto è quello prodotto da SAAB Barracuda. Si tratta di un decoy (esca) in legno e acciaio che riproduce la sagoma del velivolo dando una risposta radar coerente completata dalla traccia termica prodotta da un bruciatore posto dietro al simulacro. Il decoy, già realizzato in precedenza per rappresentare il J 29 ed il J 35, aveva lo scopo di confondere il nemico sulle basi di riserva usate per il decentramento dei velivoli in caso di guerra.

Un SF 37 da ricognizione col nuovo musetto in cui il radar era sostituito dalla batteria di macchine da presa.

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unità dati volo, autopilota e sistema di navigazione inerziale costruiti in Svezia ma su licenza statunitense. Anche il propulsore (RM-8B) venne ottimizzato per il ruolo aria-aria con l'aggiunta di un terzo stadio al compressore bassa pressione e la sua potenza fu portata a 12.750 kg con post-combustione, rispetto agli 11.800 kg dell'RM 8A. Riguardo all'armamento venne inserito nella cellula un cannone Oerlikon KCA da 30 mm con un rateo di fuoco di 22 colpi al secondo mentre ai piloni alari potevano essere agganciati oltre agli Rb 24 i nuovi Rb 71 (BAe Skyflash) a guida radar. Comunque il JA-37 poteva trasportare anche armamenti per missioni di attacco. Furono costruiti 149 JA 37 e 98 AJ 37, SF 37 e SH 37 furono portati tra il 1993 ed il 1998 allo standard comune multiruolo AJS 37 con carichi utili intercambiabili, nuovo SMS (Store Management System) simile a quello del JAS 39 Gripen che permetteva l'integrazione del missile AIM120 AMRAAM. Parte dei JA 37 sono stati poi aggiornati in JA 37C e JA 37D.

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Uno JA 37 dell’F 13 mostra il carico massimo di missili aria-aria costituito da quattro Rb 24 e due Rb 71 (BAe Skyflash).

L'ultimo esemplare è stato ritirato ufficialmente dal servizio il 25 novembre 2005. Nel giugno 2007 furono messi a terra anche gli ultimi velivoli usati per test di guerra elettronica in supporto al programma Gripen. La produzione del Viggen si chiuse con un totale di 329 esemplari, ma il velivolo mancò completamente il mercato all'esportazione. La SAAB offrì negli anni '70 il modello 37E Eurofighter nella gara ACF (Air Combat Fighter) dell'USAF poi vinta dall'YF-16 e la possibilità di una commessa indiana di arenò nel 1978 sul veto americano relativo alla tecnologia del motore del velivolo. Il modello SAAB 37X venne proposto senza successo alla Norvegia. Il Viggen fu per lungo tempo l'unico caccia in grado di ottenere “lock-on” radar sull'SR-71 che, con le missioni “Baltic Express” da RAF Mildenhall, UK, era un frequente visitatore delle acque internazionali nel Mar Baltico e il 29 giugno 1987 due JA 37 dell'F13 di Norrköping, poi sostituiti da un'altra coppia dell'F 10 all'epoca basati a Ängelholm, intercettarono e coprirono da possibili minacce esterne un

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Viggen nel loro ambiente, in rullaggio nella neve per raggiungere il tratto di strada predisposto come pista di volo.

Blackbird che aveva subito un'esplosione al motore destro a Mach 3 a 22.860 m di altezza. I quattro piloti svedesi ricevettero per riconoscenza la citazione Air Medal statunitense. In un altro episodio della guerra fredda, un Viggen SH 37, di scorta ad un SF 37 in missione di

ombreggiamento di unità navali russe nel Baltico, si infilò in mare a 700 metri dalla prua dell'incrociatore sovietico Pietro il Grande, della classe Kirov, a circa 110 km a sud-est dell'isola di Gotland. Il pilota, forse sorpreso dall'apparizione di un anfibio Beriev Be-12, non venne recuperato.

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Un Viggen poco noto è quello prodotto da SAAB Barracuda. Si tratta di un decoy (esca) in legno e acciaio che riproduce la sagoma del velivolo dando una risposta radar coerente completata dalla traccia termica prodotta da un bruciatore posto dietro al simulacro. Il decoy, già realizzato in precedenza per rappresentare il J 29 ed il J 35, aveva lo scopo di confondere il nemico sulle basi di riserva usate per il decentramento dei velivoli in caso di guerra.

Un SF 37 da ricognizione col nuovo musetto in cui il radar era sostituito dalla batteria di macchine da presa.

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posti e in questo senso era stata decisa l'adozione di motori turbofan all'epoca ancora poco usati. Il 29 aprile 1967 volò la versione da esportazione 105XT spinta da una coppia di General Electric J-85-17B da 1.293 kg e con una capacità massima di 2.000 kg di carichi esterni; per ovviare ai maggiori pesi, la struttura venne rinforzata ed i serbatoi ingranditi per compensare il maggiore consumo dei motori più potenti. Il modello ha avuto un unico successo all'esportazione con l'aeronautica austriaca che nel 1970-72 ricevette in due lotti 40 esemplari designati SAAB 105OE usati per addestramento e appoggio alle truppe a terra ma anche, con la radiazione dei J29 e prima dell'arrivo degli F-5E, per la difesa dello spazio aereo austriaco. L'aereo venne proposto senza esisto alle forze aeree di Svizzera (SAAB 105H) e di Finlandia (SAAB 105S). Nel settembre 1996 volò il primo Sk 60W ottenuto r i m o to r i z z a n d o 9 6 S k 6 0 A , S k 6 0 B e S k 6 0 C dell'aeronautica svedese col Williams International FJ 44 più leggero e meno costoso da gestire e alla fine del 2009 la SAAB ha ricevuto un contratto per l'aggiornamento del cockpit e dei sistemi dei velivoli in linea per renderli più compatibili col JAS 39 Gripen divenuto nel frattempo il principale velivolo da combattimento della forza aerea. L'Sk 60 è tuttora in servizio, ma la sua vita nella Flygvapnet è ormai agli sgoccioli. SAAB ha siglato nel 2014 un accordo di collaborazione con la svizzera Pilatus per l'addestratore PC-21 ed è inoltre partner di Boeing nel programma dell'addestratore T-X dell'USAF.

31

L’aeronautica austriaca è stata l’unico cliente del Saab 105 ed ha usato intensamente il velivolo, anche con compiti di difesa aerea nel periodo tra la radiazione dei J 29 e l’arrivo degli F-5E.

32

La pattuglia acrobatica “Team 60” dell’aeronautica svedese vola dal 1976 con sei Sk 60.

JÖRGEN NILSSON

Nel 1960 la SAAB propose all'aeronautica svedese un addestratore a getto per sostituire il de Havilland Vampire Trainer T.Mk.55 (J 28C). La configurazione era ad ala alta e con posti affiancati mentre l'impianto propulsivo era costituito da una coppia di turbofan francesi Turbomeca Aubisque da 743 kg di spinta. Il via libera al progetto, guidato da Ragnar Härdmark, venne dato nell'aprile 1962 con un contratto per 130 aerei designati in servizio Sk 60. Il primo di due prototipi volò il 1° luglio 1963 nelle mani di Karl-Erik Fernberg e le consegne alla scuola di volo F 5 di Ljungbyhed dell'Sk 60A iniziarono nell'aprile 1966 col primo corso di addestramento avviato nel luglio dell'anno seguente dopo che le prove operative avevano richiesto una serie di modifiche. I 150 Sk 60A della commessa vennero consegnati entro il 1968 e non vennero costruiti altri esemplari anche se furono sviluppate varie versioni trasformando gli aerei esistenti. Dal 1960, 60 divennero Sk 60B da attacco leggero con sei piloni a cui potevano essere agganciati pod cannone Aden da 30 mm o un massimo di 12 razzi da 13,5 cm per un carico massimo esterno di 700 kg. Un'altra ventina furono portati ad uno standard analogo come Sk 60C ma con in più un nuovo musetto allungato per ospitare una macchina da presa panoramica Fairchild KB-18 ed un sensore infrarosso. Infine 10 divennero Sk 60D quadriposto da collegamento con l'eliminazione dei sedili eiettabili e l'aggiunta di altri due sedili fissi posteriori. La modifica non era improvvisata perché, già in sede di progettazione iniziale, SAAB aveva proposto il 105 come executive a 4-5

GIUSEPPE CAPORALE

SAAB 105

Sk 60C da attacco leggero e ricognizione armati con 12 razzi da 13,5 cm.

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posti e in questo senso era stata decisa l'adozione di motori turbofan all'epoca ancora poco usati. Il 29 aprile 1967 volò la versione da esportazione 105XT spinta da una coppia di General Electric J-85-17B da 1.293 kg e con una capacità massima di 2.000 kg di carichi esterni; per ovviare ai maggiori pesi, la struttura venne rinforzata ed i serbatoi ingranditi per compensare il maggiore consumo dei motori più potenti. Il modello ha avuto un unico successo all'esportazione con l'aeronautica austriaca che nel 1970-72 ricevette in due lotti 40 esemplari designati SAAB 105OE usati per addestramento e appoggio alle truppe a terra ma anche, con la radiazione dei J29 e prima dell'arrivo degli F-5E, per la difesa dello spazio aereo austriaco. L'aereo venne proposto senza esisto alle forze aeree di Svizzera (SAAB 105H) e di Finlandia (SAAB 105S). Nel settembre 1996 volò il primo Sk 60W ottenuto r i m o to r i z z a n d o 9 6 S k 6 0 A , S k 6 0 B e S k 6 0 C dell'aeronautica svedese col Williams International FJ 44 più leggero e meno costoso da gestire e alla fine del 2009 la SAAB ha ricevuto un contratto per l'aggiornamento del cockpit e dei sistemi dei velivoli in linea per renderli più compatibili col JAS 39 Gripen divenuto nel frattempo il principale velivolo da combattimento della forza aerea. L'Sk 60 è tuttora in servizio, ma la sua vita nella Flygvapnet è ormai agli sgoccioli. SAAB ha siglato nel 2014 un accordo di collaborazione con la svizzera Pilatus per l'addestratore PC-21 ed è inoltre partner di Boeing nel programma dell'addestratore T-X dell'USAF.

31

L’aeronautica austriaca è stata l’unico cliente del Saab 105 ed ha usato intensamente il velivolo, anche con compiti di difesa aerea nel periodo tra la radiazione dei J 29 e l’arrivo degli F-5E.

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La pattuglia acrobatica “Team 60” dell’aeronautica svedese vola dal 1976 con sei Sk 60.

JÖRGEN NILSSON

Nel 1960 la SAAB propose all'aeronautica svedese un addestratore a getto per sostituire il de Havilland Vampire Trainer T.Mk.55 (J 28C). La configurazione era ad ala alta e con posti affiancati mentre l'impianto propulsivo era costituito da una coppia di turbofan francesi Turbomeca Aubisque da 743 kg di spinta. Il via libera al progetto, guidato da Ragnar Härdmark, venne dato nell'aprile 1962 con un contratto per 130 aerei designati in servizio Sk 60. Il primo di due prototipi volò il 1° luglio 1963 nelle mani di Karl-Erik Fernberg e le consegne alla scuola di volo F 5 di Ljungbyhed dell'Sk 60A iniziarono nell'aprile 1966 col primo corso di addestramento avviato nel luglio dell'anno seguente dopo che le prove operative avevano richiesto una serie di modifiche. I 150 Sk 60A della commessa vennero consegnati entro il 1968 e non vennero costruiti altri esemplari anche se furono sviluppate varie versioni trasformando gli aerei esistenti. Dal 1960, 60 divennero Sk 60B da attacco leggero con sei piloni a cui potevano essere agganciati pod cannone Aden da 30 mm o un massimo di 12 razzi da 13,5 cm per un carico massimo esterno di 700 kg. Un'altra ventina furono portati ad uno standard analogo come Sk 60C ma con in più un nuovo musetto allungato per ospitare una macchina da presa panoramica Fairchild KB-18 ed un sensore infrarosso. Infine 10 divennero Sk 60D quadriposto da collegamento con l'eliminazione dei sedili eiettabili e l'aggiunta di altri due sedili fissi posteriori. La modifica non era improvvisata perché, già in sede di progettazione iniziale, SAAB aveva proposto il 105 come executive a 4-5

GIUSEPPE CAPORALE

SAAB 105

Sk 60C da attacco leggero e ricognizione armati con 12 razzi da 13,5 cm.

AEROFAN | SVENSKA AEROPLAN AKTIEBOLAGET

MAG/GIU 2020 | AEROFAN

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SAAB 105 (Sk 60 RM15/A, B, C)

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dc-3 ferry flight

L’ultimo volo del Dakota di Volandia

Luciano Pontolillo

I

l telefono squilla mentre sto facendo un ultimo controllo dell'attrezzatura da ripresa: “tra quanto tempo puoi essere a Malpensa?”. Ci penso velocemente e rispondo “non meno di un'ora”. “Bene, tra 45 minuti ti aspettano al Terminal 2 per accompagnarti all'aereo”. Non penso. Ra ccolgo tutto e par to.

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dc-3 ferry flight

L’ultimo volo del Dakota di Volandia

Luciano Pontolillo

I

l telefono squilla mentre sto facendo un ultimo controllo dell'attrezzatura da ripresa: “tra quanto tempo puoi essere a Malpensa?”. Ci penso velocemente e rispondo “non meno di un'ora”. “Bene, tra 45 minuti ti aspettano al Terminal 2 per accompagnarti all'aereo”. Non penso. Ra ccolgo tutto e par to.

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davanti ad una sala parto. Il tecnico richiude infine il motore, scende dalla scala e ci conforta con un pollice alzato; tiriamo tutti un sospiro di sollievo tale che il DC-3 probabilmente si muove di qualche centimetro per lo spostamento d'aria… Il volo di trasferimento si svolge infine nel primo pomeriggio, dapprima nella turbolenza della catena appenninica in un clima assolutamente primaverile per finire sulla brughiera lombarda, tra foschia e aria finalmente calma. La turbolenza dei 3.000 piedi, quota

alla quale si svolge la quasi totalità del volo, ci obbliga a una complicata danza per sincronizzare i nostri movimenti con quelli della macchina fotografica, del nostro aereo e del DC-3, in modo da non riportare a casa solo fotografie mosse e video nauseanti. Unico vantaggio rispetto al volo di andata, il fatto di dover mantenere una velocità massima inferiore ai 300 km/h, contro i 500 km/h dell'andata, fattore che ci permette di avere ampio margine per realizzare il reportage del viaggio.

Dopo circa tre ore siamo in vista di Malpensa: la torre autorizza un passaggio “di bandiera” in formazione sul Terminal 1, poi il DC-3 si predispone all'atterraggio mentre noi continuiamo ad orbitare sullo scalo lombardo, in attesa, cercando di scorgere il Dakota mentre posa le ruote sulla pista. Infine lo vediamo: due piccoli sbuffi di fumo sotto le ruote ci confermano il contatto con l'asfalto, mentre la coda rimane alta abbassandosi infine con lo smaltire la velocità fino a che il ruotino di coda tocca la pista a sua volta.

DARIO COCCO

rispettoso silenzio per qualche minuto, poi il DC-3 atterra portandosi sulla piazzola di parcheggio. Le successive due ore sono un carosello di foto, riprese video, salite e discese dall'aereo, mentre tutto viene approntato per il tanto sospirato volo di trasferimento a Malpensa. Una perdita di liquido non immediatamente identificato dal motore sinistro provoca un'ulteriore apprensione, e mentre il tecnico di volo si affretta a sistemare il problema, ci affolliamo intorno aspettando, chiedendo, guardandoci a vicenda come fossimo

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AEROFAN | DC-3 FERRY FLIGHT

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davanti ad una sala parto. Il tecnico richiude infine il motore, scende dalla scala e ci conforta con un pollice alzato; tiriamo tutti un sospiro di sollievo tale che il DC-3 probabilmente si muove di qualche centimetro per lo spostamento d'aria… Il volo di trasferimento si svolge infine nel primo pomeriggio, dapprima nella turbolenza della catena appenninica in un clima assolutamente primaverile per finire sulla brughiera lombarda, tra foschia e aria finalmente calma. La turbolenza dei 3.000 piedi, quota

alla quale si svolge la quasi totalità del volo, ci obbliga a una complicata danza per sincronizzare i nostri movimenti con quelli della macchina fotografica, del nostro aereo e del DC-3, in modo da non riportare a casa solo fotografie mosse e video nauseanti. Unico vantaggio rispetto al volo di andata, il fatto di dover mantenere una velocità massima inferiore ai 300 km/h, contro i 500 km/h dell'andata, fattore che ci permette di avere ampio margine per realizzare il reportage del viaggio.

Dopo circa tre ore siamo in vista di Malpensa: la torre autorizza un passaggio “di bandiera” in formazione sul Terminal 1, poi il DC-3 si predispone all'atterraggio mentre noi continuiamo ad orbitare sullo scalo lombardo, in attesa, cercando di scorgere il Dakota mentre posa le ruote sulla pista. Infine lo vediamo: due piccoli sbuffi di fumo sotto le ruote ci confermano il contatto con l'asfalto, mentre la coda rimane alta abbassandosi infine con lo smaltire la velocità fino a che il ruotino di coda tocca la pista a sua volta.

DARIO COCCO

rispettoso silenzio per qualche minuto, poi il DC-3 atterra portandosi sulla piazzola di parcheggio. Le successive due ore sono un carosello di foto, riprese video, salite e discese dall'aereo, mentre tutto viene approntato per il tanto sospirato volo di trasferimento a Malpensa. Una perdita di liquido non immediatamente identificato dal motore sinistro provoca un'ulteriore apprensione, e mentre il tecnico di volo si affretta a sistemare il problema, ci affolliamo intorno aspettando, chiedendo, guardandoci a vicenda come fossimo

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HAWKER P.1005 L’aeroplano che non sostituì il Mosquito

I

Luca Parrillo

l DeHavilland DH. 98 Mosquito viene meritatamente collocato tra gli aeroplani più riusciti della storia aeronautica e la fama che lo circonda non richiede spiegazioni sul motivo di tanto elogio. Anche se può sembrare strano, tuttavia, all'entrata in servizio del bimotore non tutti erano convinti delle sue potenzialità, tanto che fin da subito si pensò a come sostituirlo con mezzi più evoluti: la circostanza non deve stupire, poiché in quel periodo la rapidità dello sviluppo bellico era così esasperante da poter rendere obsoleto un qualsiasi apparecchio nel giro di appena qualche mese, rendendosi conseguentemente necessaria una progettazione pressoché costante. Su questo sfondo trova collocazione lo Hawker P.1005, che venne concepito come velivolo dalle elevate prestazioni e che finì i suoi giorni come argomento di discussione tra la casa costruttrice ed il competente Ministero britannico. Le origini del programma risalgono agli inizi del 1941,

quando i tecnici della Hawker, guidati da Sydney Camm (1893 – 1966), furono informati che il governo sarebbe stato in procinto di emanare la specifica B.11/41, ossia un bando di gara volto alla realizzazione di un bombardiere veloce per rimpiazzare il sopra menzionato Mosquito Effettivamente, il concorso venne ufficializzato nel successivo giugno 1941 e si prefigurava la nascita di un aereo privo di armamento (la velocità doveva essere la sua principale difesa), in grado di raggiungere i 644 km/h a 7.620 m di quota, parametro poi portato a 692 km/h, nonché capace di trasportare 907 kg di carico bellico con un'autonomia di 2.575 km. La Hawker, quindi, si presentò all'appuntamento forte di un progetto già molto avanzato, che proponeva uno slanciato bimotore dagli impennaggi bi-deriva e che era spinto da una coppia di Napier Sabre da 24 cilindri disposti ad “H” e con circa 2.000 hp di potenza ciascuno. Del mezzo, che ricevette solamente la denominazione interna all'azienda P.1005, fu altresì studiata una versione da

80

caccia pesante mediante l'installazione di sei cannoncini da 20 mm di calibro, ma l'idea venne abbandonata quasi subito. Parimenti priva di continuità fu l'ipotesi di installare una torretta circolare dorsale e retrattile, del diametro di 104 cm e che doveva ospitare quattro mitragliatrici da 7,7 mm, poiché il conseguente decadimento prestazionale sarebbe stato incompatibile con le richieste tecniche ufficiali. Per completezza, va detto che al concorso parteciparono anche la DeHavilland con il DH. 99, poi commutato nel DH. 101 “Super Mosquito” e che, come dice il nome, era una versione ingrandita e potenziata con due Napier Sabre del celebre “Wooden Wonder”, la Miles, con il modello M.39B, ossia un insolito apparecchio dalla configurazione canard, e la Armstrong – Whitworth, con un disegno non noto. Anche se del Miles M.39B verrà costruito un esemplare in scala 5/8 per scopi sperimentali, la competizione vera e propria si ridusse fin dal principio ad un duello tra le p ro p o s te D e H av i l l a n d e d Hawker. All'atto pratico, entrambi i progetti proponevano delle performance paritarie, sicché i commissari ministeriali si trovarono in forte difficoltà nel decidere quale dei due appoggiare: da un lato, infatti, il disegno DeHavilland, costruito interamente in legno, presentava una certa semplicità di fabbricazione, posto che mutuava quasi tutto dal DH. 98 Mosquito e che con esso avrebbe potuto condividere le linee di montaggio, mentre, dall'altro lato, lo Hawker P.1005, dalla costruzione metallica, sembrava essere complessivamente più promettente. Per converso, forti scetticismi vennero sollevati in ordine alla capacità delle rispettive società aeronautiche di poter seguire adeguatamente il bando di gara, dato che la DeHavilland era impegnata in numerosi lavori paralleli, tra cui il caccia a reazione che diventerà il DH. 100 Vampire, mentre la Hawker aveva da portare avanti il Typhoon. Alla fine prevalse l'incertezza e si valutò l'idea di mettere in lin ea ambedue gli apparecchi, ma, poich é l'approvvigionamento del motore Napier Sabre sarebbe stato un problema di non poco conto - la sua limitata

produzione era stata accordata con priorità di fornitura allo Hawker Typhoon - fu chiaro che non ci sarebbero state le possibilità industriali per tenerli entrambi in attività. La DeHavilland preferì di conseguenza defilarsi dal concorso per dedicarsi al miglioramento del Mosquito “originario”, mentre la Hawker proseguì con lo sviluppo della propria proposta e riuscì a farsi finanziare la costruzione di un mock-up in scala 1:1 per prove statiche e di due prototipi, matricole HV266 ed HV270. Anzi, l'interesse nei confronti d e l P. 1 0 0 5 f u t a l e c h e i l 22/10/1941, prima ancora che se ne ultimasse lo studio di dettaglio, ne vennero commissionati 1.000 esemplari, la cui costruzione avrebbe dovuto procedere seguendo il ritmo di almeno un bimotore ogni due Hurricane consegnati. In realtà, gli animi si raffreddarono quasi subito per via della penuria di motori disponibili (venne calcolato che le consegne del Napier Sabre non avrebbero coper to il fabbisogno produttivo del bombardiere prima del 1944) e diverse furono le critiche mosse circa l'opportunità di spendere ri s o r s e p e r u n a e ro p l a n o considerato sostanzialmente inutile: nel febbraio del 1942, pertanto, il contratto venne congelato per un periodo di circa sei mesi. Seppur tra tentennamenti e dibattiti, alla fine il Ministero decise, nell'aprile del 1942, di ritirare la competizione decretando l'abbandono forzato del programma e l'aeroplano, che nemmeno ricevette una designazione ufficiale, rimase confinato al tavolo da disegno. Del bombardiere P.1005 venne quindi parzialmente costruito il solo mock-up, mentre nessuno dei due prototipi commissionati fu minimamente impostato: evidentemente gli stessi tecnici della Hawker erano consapevoli che, contrariamente alle aspettative iniziali, il progetto avrebbe comunque avuto vita breve. A quanto risulta, infine, per cercare di salvare il velivolo si pensò di cambiarne l'unità motrice con due radiali Bristol Centaurus, dando così vita allo Hawker P.1015, ma i relativi calcoli di massima indicarono che non si sarebbero superati i 628 km/h e l'idea non ebbe seguito.

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Luca Parrillo

l DeHavilland DH. 98 Mosquito viene meritatamente collocato tra gli aeroplani più riusciti della storia aeronautica e la fama che lo circonda non richiede spiegazioni sul motivo di tanto elogio. Anche se può sembrare strano, tuttavia, all'entrata in servizio del bimotore non tutti erano convinti delle sue potenzialità, tanto che fin da subito si pensò a come sostituirlo con mezzi più evoluti: la circostanza non deve stupire, poiché in quel periodo la rapidità dello sviluppo bellico era così esasperante da poter rendere obsoleto un qualsiasi apparecchio nel giro di appena qualche mese, rendendosi conseguentemente necessaria una progettazione pressoché costante. Su questo sfondo trova collocazione lo Hawker P.1005, che venne concepito come velivolo dalle elevate prestazioni e che finì i suoi giorni come argomento di discussione tra la casa costruttrice ed il competente Ministero britannico. Le origini del programma risalgono agli inizi del 1941,

quando i tecnici della Hawker, guidati da Sydney Camm (1893 – 1966), furono informati che il governo sarebbe stato in procinto di emanare la specifica B.11/41, ossia un bando di gara volto alla realizzazione di un bombardiere veloce per rimpiazzare il sopra menzionato Mosquito Effettivamente, il concorso venne ufficializzato nel successivo giugno 1941 e si prefigurava la nascita di un aereo privo di armamento (la velocità doveva essere la sua principale difesa), in grado di raggiungere i 644 km/h a 7.620 m di quota, parametro poi portato a 692 km/h, nonché capace di trasportare 907 kg di carico bellico con un'autonomia di 2.575 km. La Hawker, quindi, si presentò all'appuntamento forte di un progetto già molto avanzato, che proponeva uno slanciato bimotore dagli impennaggi bi-deriva e che era spinto da una coppia di Napier Sabre da 24 cilindri disposti ad “H” e con circa 2.000 hp di potenza ciascuno. Del mezzo, che ricevette solamente la denominazione interna all'azienda P.1005, fu altresì studiata una versione da

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caccia pesante mediante l'installazione di sei cannoncini da 20 mm di calibro, ma l'idea venne abbandonata quasi subito. Parimenti priva di continuità fu l'ipotesi di installare una torretta circolare dorsale e retrattile, del diametro di 104 cm e che doveva ospitare quattro mitragliatrici da 7,7 mm, poiché il conseguente decadimento prestazionale sarebbe stato incompatibile con le richieste tecniche ufficiali. Per completezza, va detto che al concorso parteciparono anche la DeHavilland con il DH. 99, poi commutato nel DH. 101 “Super Mosquito” e che, come dice il nome, era una versione ingrandita e potenziata con due Napier Sabre del celebre “Wooden Wonder”, la Miles, con il modello M.39B, ossia un insolito apparecchio dalla configurazione canard, e la Armstrong – Whitworth, con un disegno non noto. Anche se del Miles M.39B verrà costruito un esemplare in scala 5/8 per scopi sperimentali, la competizione vera e propria si ridusse fin dal principio ad un duello tra le p ro p o s te D e H av i l l a n d e d Hawker. All'atto pratico, entrambi i progetti proponevano delle performance paritarie, sicché i commissari ministeriali si trovarono in forte difficoltà nel decidere quale dei due appoggiare: da un lato, infatti, il disegno DeHavilland, costruito interamente in legno, presentava una certa semplicità di fabbricazione, posto che mutuava quasi tutto dal DH. 98 Mosquito e che con esso avrebbe potuto condividere le linee di montaggio, mentre, dall'altro lato, lo Hawker P.1005, dalla costruzione metallica, sembrava essere complessivamente più promettente. Per converso, forti scetticismi vennero sollevati in ordine alla capacità delle rispettive società aeronautiche di poter seguire adeguatamente il bando di gara, dato che la DeHavilland era impegnata in numerosi lavori paralleli, tra cui il caccia a reazione che diventerà il DH. 100 Vampire, mentre la Hawker aveva da portare avanti il Typhoon. Alla fine prevalse l'incertezza e si valutò l'idea di mettere in lin ea ambedue gli apparecchi, ma, poich é l'approvvigionamento del motore Napier Sabre sarebbe stato un problema di non poco conto - la sua limitata

produzione era stata accordata con priorità di fornitura allo Hawker Typhoon - fu chiaro che non ci sarebbero state le possibilità industriali per tenerli entrambi in attività. La DeHavilland preferì di conseguenza defilarsi dal concorso per dedicarsi al miglioramento del Mosquito “originario”, mentre la Hawker proseguì con lo sviluppo della propria proposta e riuscì a farsi finanziare la costruzione di un mock-up in scala 1:1 per prove statiche e di due prototipi, matricole HV266 ed HV270. Anzi, l'interesse nei confronti d e l P. 1 0 0 5 f u t a l e c h e i l 22/10/1941, prima ancora che se ne ultimasse lo studio di dettaglio, ne vennero commissionati 1.000 esemplari, la cui costruzione avrebbe dovuto procedere seguendo il ritmo di almeno un bimotore ogni due Hurricane consegnati. In realtà, gli animi si raffreddarono quasi subito per via della penuria di motori disponibili (venne calcolato che le consegne del Napier Sabre non avrebbero coper to il fabbisogno produttivo del bombardiere prima del 1944) e diverse furono le critiche mosse circa l'opportunità di spendere ri s o r s e p e r u n a e ro p l a n o considerato sostanzialmente inutile: nel febbraio del 1942, pertanto, il contratto venne congelato per un periodo di circa sei mesi. Seppur tra tentennamenti e dibattiti, alla fine il Ministero decise, nell'aprile del 1942, di ritirare la competizione decretando l'abbandono forzato del programma e l'aeroplano, che nemmeno ricevette una designazione ufficiale, rimase confinato al tavolo da disegno. Del bombardiere P.1005 venne quindi parzialmente costruito il solo mock-up, mentre nessuno dei due prototipi commissionati fu minimamente impostato: evidentemente gli stessi tecnici della Hawker erano consapevoli che, contrariamente alle aspettative iniziali, il progetto avrebbe comunque avuto vita breve. A quanto risulta, infine, per cercare di salvare il velivolo si pensò di cambiarne l'unità motrice con due radiali Bristol Centaurus, dando così vita allo Hawker P.1015, ma i relativi calcoli di massima indicarono che non si sarebbero superati i 628 km/h e l'idea non ebbe seguito.

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Concorde Aérospatiale - British Aerospace

La piu ’ completa monografia dedicata all'aereo supersonico a nglo-fra ncese mai realizzata in Italia. La storia e l'impiego raccontati attraverso oltre 200 fotografie, testimonia n ze, testi tecnici e documenti.

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