1
sommario 4
sogno verticale 6 - La nascita dell’astronautica
14
oltre l’atmosfera 16. Il programma spaziale americano w 20. I primi vettori USA 22. Le scimmie della NASA w 24. Mosca sceglie i cani
26
lo spazio a stelle e strisce 28. Sulle ali di Mercurio w 35. La Liberty Bell 7 w 37. Mercury 13 w 38. Gemelli nello Spazio 40. Il primo a fare un salto nello Spazio w 41. Il primo in orbita w 41. Il primo a camminare nel vuoto 45. Sedili eiettabili per la Gemini w 49. Ipotesi di sviluppo
50
arrivano i sovietici 52. Sonde verso la Luna w 56. Il progettista capo Korolev w 59. I primati sovietici 60. Dalle sonde agli astronauti w 65. Il profilo di missione lunare
66
obiettivo luna 68. Il Dio del Sole va sulla Luna w 72. Le sonde lunari w 74. Launch Complex 39 76. L’incidente dell’Apollo 1 w 77. Le missioni Apollo da 4 a 10
84
l’aquila e’ atterrata 86. Gli ultimi preparativi w 89. L’equipaggio dell’Apollo 11 w 93. Abiti lunari 95. Dalla Terra alla Luna e ritorno w 96. La missione Apollo 11 minuto per minuto
112
gli altri esploratori 114. La Luna diventa (quasi) routine w 116. Apollo 13 w 118. Le altre missioni lunari 125. Astronauti americani caduti dal 1964 al 1967
128
gli occhi della nasa 131. Pellicole e trasmissioni TV
w
137. La Svezia va sulla Luna
2
w
141. Il sistema ALOTS
sommario 4
sogno verticale 6 - La nascita dell’astronautica
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oltre l’atmosfera 16. Il programma spaziale americano w 20. I primi vettori USA 22. Le scimmie della NASA w 24. Mosca sceglie i cani
26
lo spazio a stelle e strisce 28. Sulle ali di Mercurio w 35. La Liberty Bell 7 w 37. Mercury 13 w 38. Gemelli nello Spazio 40. Il primo a fare un salto nello Spazio w 41. Il primo in orbita w 41. Il primo a camminare nel vuoto 45. Sedili eiettabili per la Gemini w 49. Ipotesi di sviluppo
50
arrivano i sovietici 52. Sonde verso la Luna w 56. Il progettista capo Korolev w 59. I primati sovietici 60. Dalle sonde agli astronauti w 65. Il profilo di missione lunare
66
obiettivo luna 68. Il Dio del Sole va sulla Luna w 72. Le sonde lunari w 74. Launch Complex 39 76. L’incidente dell’Apollo 1 w 77. Le missioni Apollo da 4 a 10
84
l’aquila e’ atterrata 86. Gli ultimi preparativi w 89. L’equipaggio dell’Apollo 11 w 93. Abiti lunari 95. Dalla Terra alla Luna e ritorno w 96. La missione Apollo 11 minuto per minuto
112
gli altri esploratori 114. La Luna diventa (quasi) routine w 116. Apollo 13 w 118. Le altre missioni lunari 125. Astronauti americani caduti dal 1964 al 1967
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gli occhi della nasa 131. Pellicole e trasmissioni TV
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137. La Svezia va sulla Luna
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141. Il sistema ALOTS
capitolo 1
sogno
verticale Io sono un cittadino della Luna e di Marte. Germania e Stati Uniti, due puntini sulla stessa mappa, per me non fanno differenza. Wernher Von Braun
N
ei primi giorni di maggio del 1945, una jeep dell'US Army si ferma davanti all'Interrogation Camp di Garmisch Partenkirchen, nel sud della Baviera. Un individuo biondo con il braccio sinistro ingessato viene accompagnato all'interno dai militari a m e r i c a n i . A l c o l o n n e l l o i n c a r i c a to dell'interrogatorio hanno detto che sta arrivando lo scienziato tedesco che ha inventato i razzi e quando si vede davanti il biondo gigante trentatreenne scoppia a ridere: “Vi siete sbagliati! Questo non può essere Von Braun. Questo è un ragazzo!”.
4
Germania, 1942. Lancio sperimentale di un missile Vergeltungswa e 2 (arma di rappresaglia 2, da un'idea di Joseph Goebbels per fini di propaganda).
capitolo 1
sogno
verticale Io sono un cittadino della Luna e di Marte. Germania e Stati Uniti, due puntini sulla stessa mappa, per me non fanno differenza. Wernher Von Braun
N
ei primi giorni di maggio del 1945, una jeep dell'US Army si ferma davanti all'Interrogation Camp di Garmisch Partenkirchen, nel sud della Baviera. Un individuo biondo con il braccio sinistro ingessato viene accompagnato all'interno dai militari a m e r i c a n i . A l c o l o n n e l l o i n c a r i c a to dell'interrogatorio hanno detto che sta arrivando lo scienziato tedesco che ha inventato i razzi e quando si vede davanti il biondo gigante trentatreenne scoppia a ridere: “Vi siete sbagliati! Questo non può essere Von Braun. Questo è un ragazzo!”.
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Germania, 1942. Lancio sperimentale di un missile Vergeltungswa e 2 (arma di rappresaglia 2, da un'idea di Joseph Goebbels per fini di propaganda).
2
8
I marinai della corvetta Susquehanna recuperano il proiettile che ha portato i personaggi di Verne sulla Luna. È impressionante la coincidenza di questa illustrazione con la realtà del programma Apollo.
AEROFAN FOCUS | CINQUANT’ANNI FA LA LUNA
3
Fotografia aerea del centro di ricerca scientifica di Peenemünde. Nella notte tra il 17 e il 18 agosto 1943 il Bomber Command della RAF pianificò una missione per colpire la fabbrica delle V2, nome in codice “Operazione Hydra”. Gli inglesi persero 40 bombardieri e il centro venne solo danneggiato, provocando comunque un ritardo di qualche mese nel programma missilistico tedesco. Il raid diede il via all'operazione Crossbow, espressamente studiata per cercare di bloccare lo sviluppo delle armi a lunga gittata tedesche. CINQUANT’ANNI FA LA LUNA | AEROFAN FOCUS
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I marinai della corvetta Susquehanna recuperano il proiettile che ha portato i personaggi di Verne sulla Luna. È impressionante la coincidenza di questa illustrazione con la realtà del programma Apollo.
AEROFAN FOCUS | CINQUANT’ANNI FA LA LUNA
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Fotografia aerea del centro di ricerca scientifica di Peenemünde. Nella notte tra il 17 e il 18 agosto 1943 il Bomber Command della RAF pianificò una missione per colpire la fabbrica delle V2, nome in codice “Operazione Hydra”. Gli inglesi persero 40 bombardieri e il centro venne solo danneggiato, provocando comunque un ritardo di qualche mese nel programma missilistico tedesco. Il raid diede il via all'operazione Crossbow, espressamente studiata per cercare di bloccare lo sviluppo delle armi a lunga gittata tedesche. CINQUANT’ANNI FA LA LUNA | AEROFAN FOCUS
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AEROFAN FOCUS | CINQUANT’ANNI FA LA LUNA
4
Austria, 3 maggio 1945. Il Maj. Gen. Walther Dornberger, a sinistra, comandante del centro ricerche di Peenemünde e il professor Wernher Von Braun al momento della loro consegna alle truppe statunitensi. Alle loro spalle, rispettivamente a sinistra e a destra, il Lt. Col. Herbert Axter e Hans Lindenberg.
5
Luglio 1950. Con il primo lancio di un razzo da Cape Canaveral iniziò un nuovo capitolo dell’esplorazione spaziale. Il Bumper 2 era un vettore a due stadi; il primo era costituito da un razzo V-2, mentre il secondo era un razzo WAC Corporal in grado di raggiungere quasi 400 km di altezza. Lanciato sotto la direzione della General Electric Company, il Bumper 2 è stato utilizzato principalmente per testare le prestazioni dei vettori e per ricerche sull’alta atmosfera.
6
Cinque pionieri della ricerca spaziale posano con modelli in scala dei loro missili creati negli Anni '50. Da sinistra a destra: il dott. Ernst Stuhlinger, membro della squadra di missili tedesca originaria che ha diretto il Research Projects O ce dell’Army Ballistic Missile Agency; Il Maj. Gen. Holger Toftoy, coordinatore degli scienziati tedeschi giunti negli Stati Uniti dopo la guerra; Il prof. Herman Oberth, pioniere dei razzi e mentore di Von Braun; il dott. Wernher Von Braun, Direttore presso l’ABMA della Development Operation Division; il dott. Robert Lusser, responsabile presso l’ABMA della Reliability Engineering. Questa fotografia, scattata il 1 febbraio 1956 da Hank Walker, fu pubblicata nel numero del 27 febbraio 1956 della rivista Life.
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Austria, 3 maggio 1945. Il Maj. Gen. Walther Dornberger, a sinistra, comandante del centro ricerche di Peenemünde e il professor Wernher Von Braun al momento della loro consegna alle truppe statunitensi. Alle loro spalle, rispettivamente a sinistra e a destra, il Lt. Col. Herbert Axter e Hans Lindenberg.
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Luglio 1950. Con il primo lancio di un razzo da Cape Canaveral iniziò un nuovo capitolo dell’esplorazione spaziale. Il Bumper 2 era un vettore a due stadi; il primo era costituito da un razzo V-2, mentre il secondo era un razzo WAC Corporal in grado di raggiungere quasi 400 km di altezza. Lanciato sotto la direzione della General Electric Company, il Bumper 2 è stato utilizzato principalmente per testare le prestazioni dei vettori e per ricerche sull’alta atmosfera.
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Cinque pionieri della ricerca spaziale posano con modelli in scala dei loro missili creati negli Anni '50. Da sinistra a destra: il dott. Ernst Stuhlinger, membro della squadra di missili tedesca originaria che ha diretto il Research Projects O ce dell’Army Ballistic Missile Agency; Il Maj. Gen. Holger Toftoy, coordinatore degli scienziati tedeschi giunti negli Stati Uniti dopo la guerra; Il prof. Herman Oberth, pioniere dei razzi e mentore di Von Braun; il dott. Wernher Von Braun, Direttore presso l’ABMA della Development Operation Division; il dott. Robert Lusser, responsabile presso l’ABMA della Reliability Engineering. Questa fotografia, scattata il 1 febbraio 1956 da Hank Walker, fu pubblicata nel numero del 27 febbraio 1956 della rivista Life.
capitolo 2
oltre l’atmosfera Dobbiamo imparare a navigare nuovi oceani John F. Kennedy
L
a conquista della Luna è sinonimo di NASA (National Aeronautics and Space Administration), l'ente spaziale americano che organizzò e gestì l'impresa con abilità e incredibile rapidità. Nata in piena Guerra Fredda, la NASA dimostrò che il progresso non era necessariamente solo il frutto della ricerca militare e che questa poteva essere orientata per raggiungere obiettivi ben più vasti della deterrenza o di un “semplice” d o m i n i o s u u n c a m p o d i b a tt a g l i a .
14
Joseph Walker fu il primo a pilotare l’aereo-razzo della NASA X-15, il 25 marzo 1960. E ettuò 24 voli, stabilendo il record di altezza il 22 agosto 1963 quando il velivolo raggiunse 354.300 piedi (107,8 km), avvicinandosi più di tutti i suoi predecessori allo Spazio.
capitolo 2
oltre l’atmosfera Dobbiamo imparare a navigare nuovi oceani John F. Kennedy
L
a conquista della Luna è sinonimo di NASA (National Aeronautics and Space Administration), l'ente spaziale americano che organizzò e gestì l'impresa con abilità e incredibile rapidità. Nata in piena Guerra Fredda, la NASA dimostrò che il progresso non era necessariamente solo il frutto della ricerca militare e che questa poteva essere orientata per raggiungere obiettivi ben più vasti della deterrenza o di un “semplice” d o m i n i o s u u n c a m p o d i b a tt a g l i a .
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Joseph Walker fu il primo a pilotare l’aereo-razzo della NASA X-15, il 25 marzo 1960. E ettuò 24 voli, stabilendo il record di altezza il 22 agosto 1963 quando il velivolo raggiunse 354.300 piedi (107,8 km), avvicinandosi più di tutti i suoi predecessori allo Spazio.
IL PROGRAMMA SPAZIALE AMERICANO Inizialmente i protagonisti della conquista dello Spazio furono quasi esclusivamente uomini ed organizzazioni militari col maggiore ente di ricerca civile, la NACA (National Advisory Committee for Aeronautics), confinato a livello di studi e sperimentazioni ma non di gestione di programmi complessi come quelli di vettori e veicoli spaziali. Nel gennaio 1958 il Senate Preparedness Investigation Committee guidato dall'allora senatore Lyndon B. Johnson concluse uno studio con 17 raccomandazioni specifiche compresa quella che richiedeva la creazione di un'agenzia spaziale indipendente. I militari non erano naturalmente d'accordo e anzi incrementarono i loro sforzi per pianificare programmi con la speranza di avere poi un ruolo di particolare rilievo nelle future iniziative spaziali. Ovviamente l'Aeronautica si sentiva particolarmente investita di questa responsabilità e per metà 1958 completò il piano quinquennale già presentato dall'Air Research and Development Command che prevedeva lo sviluppo di satelliti da ricognizione, comunicazioni e meteorologici, capsule recuperabili per la raccolta di informazioni, un sistema sperimentale di navicella con equipaggio, stazioni spaziali abitate ed eventualmente stazioni abitate sulla Luna. Si parlava quindi già chiaramente di volo umano nello spazio. In questo quadro, a fine gennaio 1958, l'ARDC organizzò una conferenza sulla Wright-Patterson Air Force Base, presso Dayton, Ohio, durante la quale 11 società aeronautiche e missilistiche presentarono all'USAF e alla NACA le loro variegate idee per una navicella abitata. Northrop Corporation col concetto di veicolo planante già accettato dall'USAF per il suo progetto Dyna Soar; Avco Manufacturing Corporation e McDonnell Aircraft Corporation con soluzioni minimali balistiche; Republic Aviation con un veicolo triangolare modellato sulla base dello studio di Antonio Ferri (nato a Norcia e giunto negli Stati Uniti nel 1944) del Gruen (poi General) Applied Science Laboratory che prevedeva al rientro il lancio del pilota col paracadute mentre il veicolo andava distrutto; North American offriva qualcosa di simile con una particolare versione del suo aerorazzo X-15, in questo caso non recuperabile al rientro, il cui pilota doveva eiettarsi e scendere col paracadute. Ma se l'USAF mirava alla leadership della corsa spaziale americana, l'US Army non era da meno; acquisito prestigio col lancio del primo satellite americano (Explorer I), invocava un suo ruolo, forte anche delle idee di Wernher Von Braun, padre della V-2 e posto a capo dei Redstone Laboratories poi divenuti Marshall Space Flight Center, che progettava un booster formato da un fascio di motori con una spinta di oltre un milione di libbre. Così nel febbraio 1958 il ministro alla Difesa Neil H. McElroy, su istruzioni del presidente Eisenhower, ordinò la creazione dell'ARPA (Advanced Research Project Agency) per la gestione di tutti gli esistenti progetti spaziali. Tre settimane più tardi, il presidente affermò pubblicamente che l'Aeronautica aveva la responsabilità dello sviluppo a lungo termine della capacità di volo spaziale e l'8 marzo
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AEROFAN FOCUS | CINQUANT’ANNI FA LA LUNA
questa, attraverso la Ballistic Missile Division, propose un programma in undici fasi con l'obiettivo finale del volo umano alla Luna e ritorno. Il primo passo rappresentato da una navicella orbitante abitata venne delineato in una grande conferenza organizzata dall'ARDC a Chicago, Illinois, nel marzo con specialisti tecnici e medici di Aeronautica, NACA ed industria, ma nella Casa Bianca stava maturando una svolta storica nel rispetto della politica “space for peace” ed il 14 aprile Eisenhower presentò al Congresso la proposta di legge per la creazione di un'agenzia, la NASA (National Aeronautical and Space Agency), che avrebbe assorbito la NACA assumendo la responsabilità per tutte le attività spaziali con l'eccezione dei progetti associati esclusivamente a specifiche militari. L'USAF a quel punto cercò di accelerare i tempi almeno per la prima fase del suo programma, la cosiddetta “Manin-Space-Soonest” che prevedeva una navicella balistica inizialmente strumentata, quindi con primati a bordo ed infine con un astronauta; la seconda fase “Man-in-SpaceSophisticated” prevedeva una navicella più pesante con autonomia di volo di 14 giorni; la terza “Lunar Reconnaissance” la discesa sulla Luna di una sonda strumentata e la quarta “Manned Lunar Landing and Return” la discesa sul satellite prima con primati e quindi con astronauti a bordo. Nel giugno l'ARPA assegnò due contratti in concorrenza a North American Aviation e General Electric per la navicella spaziale ed il sistema ambientale di bordo con la realizzazione di simulacri dell'interno della navicella. Un primo passo fu la definizione della forma della navicella che inizialmente riprendeva quella del veicolo di rientro Mark II dei primi missili balistici Atlas. Nei successivi studi, lo schermo termico da piatto divenne convesso per assorbire meglio le altissime temperature del rientro e le forme modificate per migliorare la stabilità anche alle velocità più basse. Il 29 luglio 1958 il presidente Eisenhower siglò il National Aeronautics and Space Act che segnava ufficialmente la nascita della NASA e le velleità di leadership dell'USAF furono definitivamente frustrate dallo stesso Eisenhower che in agosto dispose il trasferimento alla neonata NASA di tutti i fondi assegnati fino a quel momento all'Aeronautica per attività spaziali. In ottobre lo Space Task Group, appositamente creato, inviò le specifiche preliminari per la navicella e i sottosistemi ad oltre 40 possibili fornitori e 38 di questi risposero inviando loro rappresentanti alla conferenza dei possibili appaltatori organizzata a Langley Field il 7 novembre. Le 19 società che espressero a metà novembre il loro interesse ricevettero le specifiche formali riguardanti missione, configurazioni, stabilizzazione e controllo, disegno strutturale, equipaggiamento di bordo, strumentazione e prove, ma senza specifici dettagli su costi e tempi. All'11 dicembre la lista venne ridotta a 11 ditte di cui 8 erano già state impegnate per almeno un anno negli studi di fattibilità dell'USAF. Le società più quotate erano Avco, Convair Astronautics, Lockheed, Martin,
McDonnell, North American, Northrop e Republic; le altre erano Douglas, Grumman e Chance Vought a cui si aggiunse per un breve periodo Winzen Research, specialista in palloni da alta quota, la cui proposta si rivelò tuttavia incompleta. I finalisti furono McDonnell e Grumman, ma essendo quest’ultima molto impegnata in nuovi programmi per la Marina, il 12 gennaio la NASA informò McDonnell della scelta come capocommessa per la realizzazione della navicella Mercury, come era stato nel frattempo battezzato il primo veicolo spaziale americano. I primi tre contratti furono siglati il 5 febbraio 1959 per avviare un programma in cui confluirono presto circa 4.000 sub fornitori compresi 596 sub fornitori diretti di 25 stati ed oltre 1.500 sub fornitori di secondo livello. I contratti prevedevano inizialmente 12 navicelle identiche, ma in realtà McDonnell finì col costruire 20 navicelle ciascuna delle quali ottimizzata per una specifica missione e spesso notevolmente diverse l'una dall'altra. Inoltre furono costruite numerose navicelle semplificate o “boilerplate”, non allo standard di volo spaziale sia dal punto di vista strutturale che da quello degli equipaggiamenti, destinate ai vari test a terra che in volo. Prima del completamento del simulacro, fu necessario risolvere importanti problemi tecnici: tipo di scudo termico, disegno del sistema di salvataggio, forma della parte superiore con il contenitore dell'antenna e del paracadute stabilizzatore. Per lo scudo termico, il Task Group chiese a McDonnell di disegnare la navicella in modo da montare sia uno scudo ablativo che uno al berillio in previsione di voli con entrambe le soluzioni. Il primo scudo ablativo venne
consegnato alla NASA il 22 giugno, realizzato in lana di vetro legata con una resina fenolica modificata e laminata radialmente e alla fine per tutti i voli con equipaggio fu usato solo lo scudo in materiale ablativo. Dal 17 al 19 marzo 1959 presso la McDonnell a St. Louis, il costruttore si presentò allo Space Task Group per la review, ispezione e approvazione del primo mock-up completo che presentava la configurazione “esplosa” nei sette componenti principali. Il Task Group alla fine indicò 34 punti da modificare o studiare e di questi 25 furono approvati immediatamente ed il resto assegnato a gruppi di studio. Riguardo al razzo necessario al lancio della capsula, di fronte alla necessità di usare vettori già esistenti o in fase avanzata di messa a punto, la scelta si ridusse naturalmente ai missili balistici sviluppati dai militari e adattati al nuovo ruolo. Così l'8 dicembre 1958 lo Space Task Group ordinò all'USAF un primo Convair Atlas C con consegna entro sei mesi e nove Atlas D con consegne nell'arco di vari anni; in gennaio furono ordinati all'Army Ordnance Missile Command otto Redstone e due Jupiter tutti costruiti da Chrysler. Considerati gli elevati costi (2,5 milioni di dollari per un Atlas e 1 milione per il Redstone) venne deciso di sviluppare un booster molto più semplice ed economico formato da un fascio di razzi a propellente solido Sergeant (conosciuti anche come Castor o Pollux a seconda delle modifiche apportate), ribattezzato Little Joe, privo di sistemi di guida elettronica e di controllo. Il Little Joe, con un costo pari ad un quinto di quello del Redstone, doveva rivelarsi prezioso per vari test compresi quelli della torre di salvataggio.
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Alla fine degli Anni ‘50 il progresso tecnologico viene riassunto esponendo fianco a fianco davanti allo stabilimento McDonnell il Wright “Spirit of St. Louis” di Charles Lindbergh e la capsula spaziale Mercury.
IL PROGRAMMA SPAZIALE AMERICANO Inizialmente i protagonisti della conquista dello Spazio furono quasi esclusivamente uomini ed organizzazioni militari col maggiore ente di ricerca civile, la NACA (National Advisory Committee for Aeronautics), confinato a livello di studi e sperimentazioni ma non di gestione di programmi complessi come quelli di vettori e veicoli spaziali. Nel gennaio 1958 il Senate Preparedness Investigation Committee guidato dall'allora senatore Lyndon B. Johnson concluse uno studio con 17 raccomandazioni specifiche compresa quella che richiedeva la creazione di un'agenzia spaziale indipendente. I militari non erano naturalmente d'accordo e anzi incrementarono i loro sforzi per pianificare programmi con la speranza di avere poi un ruolo di particolare rilievo nelle future iniziative spaziali. Ovviamente l'Aeronautica si sentiva particolarmente investita di questa responsabilità e per metà 1958 completò il piano quinquennale già presentato dall'Air Research and Development Command che prevedeva lo sviluppo di satelliti da ricognizione, comunicazioni e meteorologici, capsule recuperabili per la raccolta di informazioni, un sistema sperimentale di navicella con equipaggio, stazioni spaziali abitate ed eventualmente stazioni abitate sulla Luna. Si parlava quindi già chiaramente di volo umano nello spazio. In questo quadro, a fine gennaio 1958, l'ARDC organizzò una conferenza sulla Wright-Patterson Air Force Base, presso Dayton, Ohio, durante la quale 11 società aeronautiche e missilistiche presentarono all'USAF e alla NACA le loro variegate idee per una navicella abitata. Northrop Corporation col concetto di veicolo planante già accettato dall'USAF per il suo progetto Dyna Soar; Avco Manufacturing Corporation e McDonnell Aircraft Corporation con soluzioni minimali balistiche; Republic Aviation con un veicolo triangolare modellato sulla base dello studio di Antonio Ferri (nato a Norcia e giunto negli Stati Uniti nel 1944) del Gruen (poi General) Applied Science Laboratory che prevedeva al rientro il lancio del pilota col paracadute mentre il veicolo andava distrutto; North American offriva qualcosa di simile con una particolare versione del suo aerorazzo X-15, in questo caso non recuperabile al rientro, il cui pilota doveva eiettarsi e scendere col paracadute. Ma se l'USAF mirava alla leadership della corsa spaziale americana, l'US Army non era da meno; acquisito prestigio col lancio del primo satellite americano (Explorer I), invocava un suo ruolo, forte anche delle idee di Wernher Von Braun, padre della V-2 e posto a capo dei Redstone Laboratories poi divenuti Marshall Space Flight Center, che progettava un booster formato da un fascio di motori con una spinta di oltre un milione di libbre. Così nel febbraio 1958 il ministro alla Difesa Neil H. McElroy, su istruzioni del presidente Eisenhower, ordinò la creazione dell'ARPA (Advanced Research Project Agency) per la gestione di tutti gli esistenti progetti spaziali. Tre settimane più tardi, il presidente affermò pubblicamente che l'Aeronautica aveva la responsabilità dello sviluppo a lungo termine della capacità di volo spaziale e l'8 marzo
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AEROFAN FOCUS | CINQUANT’ANNI FA LA LUNA
questa, attraverso la Ballistic Missile Division, propose un programma in undici fasi con l'obiettivo finale del volo umano alla Luna e ritorno. Il primo passo rappresentato da una navicella orbitante abitata venne delineato in una grande conferenza organizzata dall'ARDC a Chicago, Illinois, nel marzo con specialisti tecnici e medici di Aeronautica, NACA ed industria, ma nella Casa Bianca stava maturando una svolta storica nel rispetto della politica “space for peace” ed il 14 aprile Eisenhower presentò al Congresso la proposta di legge per la creazione di un'agenzia, la NASA (National Aeronautical and Space Agency), che avrebbe assorbito la NACA assumendo la responsabilità per tutte le attività spaziali con l'eccezione dei progetti associati esclusivamente a specifiche militari. L'USAF a quel punto cercò di accelerare i tempi almeno per la prima fase del suo programma, la cosiddetta “Manin-Space-Soonest” che prevedeva una navicella balistica inizialmente strumentata, quindi con primati a bordo ed infine con un astronauta; la seconda fase “Man-in-SpaceSophisticated” prevedeva una navicella più pesante con autonomia di volo di 14 giorni; la terza “Lunar Reconnaissance” la discesa sulla Luna di una sonda strumentata e la quarta “Manned Lunar Landing and Return” la discesa sul satellite prima con primati e quindi con astronauti a bordo. Nel giugno l'ARPA assegnò due contratti in concorrenza a North American Aviation e General Electric per la navicella spaziale ed il sistema ambientale di bordo con la realizzazione di simulacri dell'interno della navicella. Un primo passo fu la definizione della forma della navicella che inizialmente riprendeva quella del veicolo di rientro Mark II dei primi missili balistici Atlas. Nei successivi studi, lo schermo termico da piatto divenne convesso per assorbire meglio le altissime temperature del rientro e le forme modificate per migliorare la stabilità anche alle velocità più basse. Il 29 luglio 1958 il presidente Eisenhower siglò il National Aeronautics and Space Act che segnava ufficialmente la nascita della NASA e le velleità di leadership dell'USAF furono definitivamente frustrate dallo stesso Eisenhower che in agosto dispose il trasferimento alla neonata NASA di tutti i fondi assegnati fino a quel momento all'Aeronautica per attività spaziali. In ottobre lo Space Task Group, appositamente creato, inviò le specifiche preliminari per la navicella e i sottosistemi ad oltre 40 possibili fornitori e 38 di questi risposero inviando loro rappresentanti alla conferenza dei possibili appaltatori organizzata a Langley Field il 7 novembre. Le 19 società che espressero a metà novembre il loro interesse ricevettero le specifiche formali riguardanti missione, configurazioni, stabilizzazione e controllo, disegno strutturale, equipaggiamento di bordo, strumentazione e prove, ma senza specifici dettagli su costi e tempi. All'11 dicembre la lista venne ridotta a 11 ditte di cui 8 erano già state impegnate per almeno un anno negli studi di fattibilità dell'USAF. Le società più quotate erano Avco, Convair Astronautics, Lockheed, Martin,
McDonnell, North American, Northrop e Republic; le altre erano Douglas, Grumman e Chance Vought a cui si aggiunse per un breve periodo Winzen Research, specialista in palloni da alta quota, la cui proposta si rivelò tuttavia incompleta. I finalisti furono McDonnell e Grumman, ma essendo quest’ultima molto impegnata in nuovi programmi per la Marina, il 12 gennaio la NASA informò McDonnell della scelta come capocommessa per la realizzazione della navicella Mercury, come era stato nel frattempo battezzato il primo veicolo spaziale americano. I primi tre contratti furono siglati il 5 febbraio 1959 per avviare un programma in cui confluirono presto circa 4.000 sub fornitori compresi 596 sub fornitori diretti di 25 stati ed oltre 1.500 sub fornitori di secondo livello. I contratti prevedevano inizialmente 12 navicelle identiche, ma in realtà McDonnell finì col costruire 20 navicelle ciascuna delle quali ottimizzata per una specifica missione e spesso notevolmente diverse l'una dall'altra. Inoltre furono costruite numerose navicelle semplificate o “boilerplate”, non allo standard di volo spaziale sia dal punto di vista strutturale che da quello degli equipaggiamenti, destinate ai vari test a terra che in volo. Prima del completamento del simulacro, fu necessario risolvere importanti problemi tecnici: tipo di scudo termico, disegno del sistema di salvataggio, forma della parte superiore con il contenitore dell'antenna e del paracadute stabilizzatore. Per lo scudo termico, il Task Group chiese a McDonnell di disegnare la navicella in modo da montare sia uno scudo ablativo che uno al berillio in previsione di voli con entrambe le soluzioni. Il primo scudo ablativo venne
consegnato alla NASA il 22 giugno, realizzato in lana di vetro legata con una resina fenolica modificata e laminata radialmente e alla fine per tutti i voli con equipaggio fu usato solo lo scudo in materiale ablativo. Dal 17 al 19 marzo 1959 presso la McDonnell a St. Louis, il costruttore si presentò allo Space Task Group per la review, ispezione e approvazione del primo mock-up completo che presentava la configurazione “esplosa” nei sette componenti principali. Il Task Group alla fine indicò 34 punti da modificare o studiare e di questi 25 furono approvati immediatamente ed il resto assegnato a gruppi di studio. Riguardo al razzo necessario al lancio della capsula, di fronte alla necessità di usare vettori già esistenti o in fase avanzata di messa a punto, la scelta si ridusse naturalmente ai missili balistici sviluppati dai militari e adattati al nuovo ruolo. Così l'8 dicembre 1958 lo Space Task Group ordinò all'USAF un primo Convair Atlas C con consegna entro sei mesi e nove Atlas D con consegne nell'arco di vari anni; in gennaio furono ordinati all'Army Ordnance Missile Command otto Redstone e due Jupiter tutti costruiti da Chrysler. Considerati gli elevati costi (2,5 milioni di dollari per un Atlas e 1 milione per il Redstone) venne deciso di sviluppare un booster molto più semplice ed economico formato da un fascio di razzi a propellente solido Sergeant (conosciuti anche come Castor o Pollux a seconda delle modifiche apportate), ribattezzato Little Joe, privo di sistemi di guida elettronica e di controllo. Il Little Joe, con un costo pari ad un quinto di quello del Redstone, doveva rivelarsi prezioso per vari test compresi quelli della torre di salvataggio.
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Alla fine degli Anni ‘50 il progresso tecnologico viene riassunto esponendo fianco a fianco davanti allo stabilimento McDonnell il Wright “Spirit of St. Louis” di Charles Lindbergh e la capsula spaziale Mercury.
LE SCIMMIE DELLA NASA La grande domanda che si ponevano gli scienziati e gli uomini impegnati nel programma spaziale era come avrebbe reagito il corpo umano a quote molto alte e in assenza di gravità. L'11 luglio 1948 sul White Sands Proving Ground, Nuovo Messico, nella missione Albert I, fu lanciata con una V2 la prima scimmia, Albert, un macaco rhesus, che raggiunse i 62 km di altezza ma che morì per la mancata apertura del paracadute. Seguì una serie di “incidenti di percorso”. Esito fatale per il passeggero ebbe anche l'ultimo volo con primati a bordo sulla V2, quello che costò la vita ad Albert IV il 12 dicembre 1949. Il 21 maggio 1952, Pat (Patricia) e Mike, due scimmie filippine, furono i primi primati a sopravvivere ad un volo spaziale dopo aver raggiunto i 62 km di altezza su un razzo sonda Aerobee. Il 28 maggio 1959 un Jupiter lanciato da Cape Canaveral portò ad oltre 480 km di altezza le scimmie Able (una rhesus) e Baker (scimmia scoiattolo) che furono recuperate in buone condizioni in mare. Purtroppo Able morì il 1° giugno durante l'anestesia per rimuovere gli elettrodi installati sotto la pelle per rilevare i parametri vitali durante il volo. Anche i suini ebbero l'”onore” di aiutare l'uomo nella sua corsa per la conquista dello Spazio. Nell'aprile e nel maggio 1959 la NASA fece quattro test di impatto del sistema di assorbimento di energia in nido d'ape di alluminio della navicella usando come cavie altrettanti maiali Yorkshire sistemati di schiena in cuccette sagomate. Furono registrati picchi di accelerazione da 38 a 58 g prima di rilevare leggere lesioni interne negli animali. I “pig drop” richiamarono ogni volta un pubblico di tecnici e addetti per la loro
spettacolarità e ogni volta i maiali estratti dalla cuccetta si allontanarono con i loro mezzi dando fiducia ai tecnici sull'efficacia del sistema. Dalle scimmie più piccole si passò gradualmente a quelle di maggiori dimensioni ed in particolare agli scimpanzé. Nel gennaio 1960 erano già “qualificati” in supporto al programma Mercury sei esemplari mentre altri erano in corso di “arruolamento” in Africa per entrare nei ranghi degli aspiranti astronauti scimmia; un iter tutt'altro che semplice che prevedeva il rispetto di un preciso protocollo addestrativo. Il 31 gennaio 1961 lo scimpanzé Ham (acronimo di Holloman Aero Med) di quasi 17 chili, proveniente dalla foresta del Camerun, fece il primo test suborbitale della navicella Mercury (missione MR-2) con un volo che, nonostante le disavventure, ebbe un esito positivo. Anziché raggiungere un'altezza di 185 km ed una velocità di circa 7.000 km/h, la navicella toccò i 252 km e i 9.400 km/h ammarando 680 km oltre il punto previsto. Ham non apprezzò molto il trattamento e si ribellò quando, su richiesta dei giornalisti, si cercò di portarlo accanto alla navicella per le fotografie di rito. Divenuto una celebrità, morì il 17 gennaio 1983 ed i suoi resti riposano di fronte alla International Space Hall of Fame di Alamogordo, Nuovo Messico. Il 29 novembre 1961 l'Atlas della missione MA-5, secondo ed ultimo volo di qualificazione orbitale della Mercury, portò invece in orbita lo scimpanzé Enos che per problemi tecnici venne recuperato dopo due delle tre orbite previste. La missione positiva di Enos aprì la strada al primo volo orbitale umano di John Glenn.
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AEROFAN FOCUS | CINQUANT’ANNI FA LA LUNA
Gli scimpanzé Ham e Enos durante l'addestramento a terra davanti ai pannelli con i pulsanti da premere ad ogni impulso ricevuto attraverso i collegamenti elettrici per verificare le capacità di reazione nelle diverse fasi del volo.
Lo scimpanzé Ham con tutto l'equipaggiamento per la missione del 31 gennaio 1961; sono visibili la tuta nelle mani del tecnico, i vari collegamenti ai sensori di rilevazione dei dati fisiologici stesi sul lenzuolo e, dietro il primate, la cuccetta di volo.
10
La piccola Able viene inserita nella capsula per il lancio il 28 maggio 1959, insieme alla più piccola Baker.
12
Il lancio il 21 gennaio 1960 da Wallops Island del Little Joe IV con la capsula Mercury con a bordo la scimmia miss Sam.
CINQUANT’ANNI FA LA LUNA | AEROFAN FOCUS
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LE SCIMMIE DELLA NASA La grande domanda che si ponevano gli scienziati e gli uomini impegnati nel programma spaziale era come avrebbe reagito il corpo umano a quote molto alte e in assenza di gravità. L'11 luglio 1948 sul White Sands Proving Ground, Nuovo Messico, nella missione Albert I, fu lanciata con una V2 la prima scimmia, Albert, un macaco rhesus, che raggiunse i 62 km di altezza ma che morì per la mancata apertura del paracadute. Seguì una serie di “incidenti di percorso”. Esito fatale per il passeggero ebbe anche l'ultimo volo con primati a bordo sulla V2, quello che costò la vita ad Albert IV il 12 dicembre 1949. Il 21 maggio 1952, Pat (Patricia) e Mike, due scimmie filippine, furono i primi primati a sopravvivere ad un volo spaziale dopo aver raggiunto i 62 km di altezza su un razzo sonda Aerobee. Il 28 maggio 1959 un Jupiter lanciato da Cape Canaveral portò ad oltre 480 km di altezza le scimmie Able (una rhesus) e Baker (scimmia scoiattolo) che furono recuperate in buone condizioni in mare. Purtroppo Able morì il 1° giugno durante l'anestesia per rimuovere gli elettrodi installati sotto la pelle per rilevare i parametri vitali durante il volo. Anche i suini ebbero l'”onore” di aiutare l'uomo nella sua corsa per la conquista dello Spazio. Nell'aprile e nel maggio 1959 la NASA fece quattro test di impatto del sistema di assorbimento di energia in nido d'ape di alluminio della navicella usando come cavie altrettanti maiali Yorkshire sistemati di schiena in cuccette sagomate. Furono registrati picchi di accelerazione da 38 a 58 g prima di rilevare leggere lesioni interne negli animali. I “pig drop” richiamarono ogni volta un pubblico di tecnici e addetti per la loro
spettacolarità e ogni volta i maiali estratti dalla cuccetta si allontanarono con i loro mezzi dando fiducia ai tecnici sull'efficacia del sistema. Dalle scimmie più piccole si passò gradualmente a quelle di maggiori dimensioni ed in particolare agli scimpanzé. Nel gennaio 1960 erano già “qualificati” in supporto al programma Mercury sei esemplari mentre altri erano in corso di “arruolamento” in Africa per entrare nei ranghi degli aspiranti astronauti scimmia; un iter tutt'altro che semplice che prevedeva il rispetto di un preciso protocollo addestrativo. Il 31 gennaio 1961 lo scimpanzé Ham (acronimo di Holloman Aero Med) di quasi 17 chili, proveniente dalla foresta del Camerun, fece il primo test suborbitale della navicella Mercury (missione MR-2) con un volo che, nonostante le disavventure, ebbe un esito positivo. Anziché raggiungere un'altezza di 185 km ed una velocità di circa 7.000 km/h, la navicella toccò i 252 km e i 9.400 km/h ammarando 680 km oltre il punto previsto. Ham non apprezzò molto il trattamento e si ribellò quando, su richiesta dei giornalisti, si cercò di portarlo accanto alla navicella per le fotografie di rito. Divenuto una celebrità, morì il 17 gennaio 1983 ed i suoi resti riposano di fronte alla International Space Hall of Fame di Alamogordo, Nuovo Messico. Il 29 novembre 1961 l'Atlas della missione MA-5, secondo ed ultimo volo di qualificazione orbitale della Mercury, portò invece in orbita lo scimpanzé Enos che per problemi tecnici venne recuperato dopo due delle tre orbite previste. La missione positiva di Enos aprì la strada al primo volo orbitale umano di John Glenn.
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Gli scimpanzé Ham e Enos durante l'addestramento a terra davanti ai pannelli con i pulsanti da premere ad ogni impulso ricevuto attraverso i collegamenti elettrici per verificare le capacità di reazione nelle diverse fasi del volo.
Lo scimpanzé Ham con tutto l'equipaggiamento per la missione del 31 gennaio 1961; sono visibili la tuta nelle mani del tecnico, i vari collegamenti ai sensori di rilevazione dei dati fisiologici stesi sul lenzuolo e, dietro il primate, la cuccetta di volo.
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La piccola Able viene inserita nella capsula per il lancio il 28 maggio 1959, insieme alla più piccola Baker.
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Il lancio il 21 gennaio 1960 da Wallops Island del Little Joe IV con la capsula Mercury con a bordo la scimmia miss Sam.
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capitolo 3 lo spazio a
stelle e
strisce Mentre vagavo nello spazio, un pensiero continuava a ronzarmi nella testa: ogni parte di questo razzo è stata fornita da quelli che hanno fatto l'offerta più bassa... John H. Glenn
A
ll’inizio del 1959 la NASA fissò la data del primo volo umano suborbitale per il 26 aprile 1960 e del primo volo orbitale per il primo di settembre dello stesso anno. Le due missioni, precedute da un complesso programma di prove a terra e in volo, avrebbero visto l'impiego della capsula Mercury spinta dai vettori Redstone per il volo suborbitale e Atlas per l’immissione in orbita del primo astronauta americano.
26
Alan B. Shepard Jr. fotografato durante l’addestramento a bordo della capsula Mercury. Il 12 aprile 1961 Shepard fu il primo americano ad e ettuare un volo suborbitalecon la Mercury 7, battezzata “Freedom”.
capitolo 3 lo spazio a
stelle e
strisce Mentre vagavo nello spazio, un pensiero continuava a ronzarmi nella testa: ogni parte di questo razzo è stata fornita da quelli che hanno fatto l'offerta più bassa... John H. Glenn
A
ll’inizio del 1959 la NASA fissò la data del primo volo umano suborbitale per il 26 aprile 1960 e del primo volo orbitale per il primo di settembre dello stesso anno. Le due missioni, precedute da un complesso programma di prove a terra e in volo, avrebbero visto l'impiego della capsula Mercury spinta dai vettori Redstone per il volo suborbitale e Atlas per l’immissione in orbita del primo astronauta americano.
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Alan B. Shepard Jr. fotografato durante l’addestramento a bordo della capsula Mercury. Il 12 aprile 1961 Shepard fu il primo americano ad e ettuare un volo suborbitalecon la Mercury 7, battezzata “Freedom”.
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20 gennaio 1961. I primi sette astronauti del programma Mercury fotografati davanti a un Convair F-106B Delta Dart dell’US Air Force. Da sinistra: M. Scott Carpenter, Gordon Cooper, John H. Glenn Jr., Virgil "Gus" Grissom, Walter Schirra, Alan B. Shepard Jr. Donald K. "Deke" Slayton.
5 3
La linea di produzione delle capsule Mercury presso la McDonnell a St. Louis. Partendo da una struttura base comune, ognuna delle 20 capsule ordinate dalla NASA venne completata con importanti modifiche specifiche sulla base del profilo di missione previsto.
Il 29 luglio 1960 il primo tentativo di portare in orbita una capsula Mercury senza equipaggio con la missione MA-1 fallì miseramente con l’esplosione dell’Atlas poco dopo il lancio. La capsula numero 4 raggiunse un apogeo di 13 km per ricadere in mare a 9,6 km dal punto di lancio. Nella foto appare il suo stato dopo il recupero.
4
Un modello della Mercury completo di torre di salvataggio ripreso nel 1960 all’interno dell’AWT (Altitude Wind Tunnel) del NASA Lewis, poi divenuto NASA Glenn Research Center. Costruito negli Anni ’40, l’AWT venne riconfigurato alla fine degli Anni ‘50 proprio per provare in condizioni di alta quota l’hardware del programma Mercury.
6
Von Braun e gli astronauti del programma Mercury in visita di aggiornamento nel 1959 allo stabilimento Chrysler di Detroit sulla linea del razzo Redstone.
CINQUANT’ANNI FA LA LUNA | AEROFAN FOCUS
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20 gennaio 1961. I primi sette astronauti del programma Mercury fotografati davanti a un Convair F-106B Delta Dart dell’US Air Force. Da sinistra: M. Scott Carpenter, Gordon Cooper, John H. Glenn Jr., Virgil "Gus" Grissom, Walter Schirra, Alan B. Shepard Jr. Donald K. "Deke" Slayton.
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La linea di produzione delle capsule Mercury presso la McDonnell a St. Louis. Partendo da una struttura base comune, ognuna delle 20 capsule ordinate dalla NASA venne completata con importanti modifiche specifiche sulla base del profilo di missione previsto.
Il 29 luglio 1960 il primo tentativo di portare in orbita una capsula Mercury senza equipaggio con la missione MA-1 fallì miseramente con l’esplosione dell’Atlas poco dopo il lancio. La capsula numero 4 raggiunse un apogeo di 13 km per ricadere in mare a 9,6 km dal punto di lancio. Nella foto appare il suo stato dopo il recupero.
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Un modello della Mercury completo di torre di salvataggio ripreso nel 1960 all’interno dell’AWT (Altitude Wind Tunnel) del NASA Lewis, poi divenuto NASA Glenn Research Center. Costruito negli Anni ’40, l’AWT venne riconfigurato alla fine degli Anni ‘50 proprio per provare in condizioni di alta quota l’hardware del programma Mercury.
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Von Braun e gli astronauti del programma Mercury in visita di aggiornamento nel 1959 allo stabilimento Chrysler di Detroit sulla linea del razzo Redstone.
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8 7
Il lancio del primo Big Joe (Atlas D) il 9 settembre 1959, per provare lo scudo termico di una Mercury “boilerplate”, si concluse con un successo parziale per il marcato raggiungimento della velocità prevista (“solo” 23.905 km/h). La capsula ricadde in mare a 1.250 km da Cape Canaveral.
5 maggio 1961. “Gus” Grissom augura buona fortuna al collega Alan Shepard prima dell’imbarco a bordo della calpusa Mercury. Grissom sarà il secondo astronauta a compiere un volo suborbitale il 21 luglio successivo.
9-10
5 maggio 1961. Il Presidente Kennedy, Jackie Kennedy e Lyndon Johnson seguono il lancio della Freedom 7 dalla Casa Bianca. Nella pagina seguente il momento del recupero di Shepard da parte di un elicottero dei Marines.
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CINQUANT’ANNI FA LA LUNA | AEROFAN FOCUS
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Il lancio del primo Big Joe (Atlas D) il 9 settembre 1959, per provare lo scudo termico di una Mercury “boilerplate”, si concluse con un successo parziale per il marcato raggiungimento della velocità prevista (“solo” 23.905 km/h). La capsula ricadde in mare a 1.250 km da Cape Canaveral.
5 maggio 1961. “Gus” Grissom augura buona fortuna al collega Alan Shepard prima dell’imbarco a bordo della calpusa Mercury. Grissom sarà il secondo astronauta a compiere un volo suborbitale il 21 luglio successivo.
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5 maggio 1961. Il Presidente Kennedy, Jackie Kennedy e Lyndon Johnson seguono il lancio della Freedom 7 dalla Casa Bianca. Nella pagina seguente il momento del recupero di Shepard da parte di un elicottero dei Marines.
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AEROFAN FOCUS | CINQUANT’ANNI FA LA LUNA
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MERCURY 13 Alcune aspiranti astronaute americane, all'inizio degli Anni '60, si dimostrarono capaci di superare i medesimi test fisici e psicologici affrontati dai colleghi maschi, ma non furono mai prese in seria considerazione dalla NASA per le missioni spaziali. Mentre gli Stati Uniti, all’alba dell’esplorazione spaziale umana, si ponevano il problema di come selezionare i candidati William Randolph Lovelace II, un medico americano laureato ad Harvard e appassionato di aviazione, aiutò a mettere a punto i vari esperimenti e le linee guida per la scelta dei più promettenti piloti da trasformare in astronauti per il programma Mercury. Lovelace era amico di Jacqueline Cochran, un'aviatrice statunitense pioniera del volo e detentrice di diversi record internazionali, oltre ad essere stata la prima donna a superare la velocità del suono e ad aver attraversato l'Atlantico su un aereo a reazione. Quest'amicizia, unita alla convinzione che il fisico femminile, più minuto e compatto, potesse essere più adatto alle prime capsule spaziali, spinse Lovelace a iniziare un programma di selezione per aspiranti astronaute finanziato dalla Cochran, seppur non riconosciuto dalla NASA. Il programma prevedeva di sottoporre le candidate allo stesso programma di test fisici, psicologici e di simulazione spaziale affrontati dai piloti uomini. La prima fase dei test includeva prove durissime e al limite della sopportazione fisica, che però tredici donne, scelte tra centinaia di profili e su una ventina di candidate finali, superarono egregiamente. La prima risultò essere Geraldyn “Jerrie” M. Cobb, una pilota che nel 1959, a 28 anni, era già dirigente nell'industria aeronautica e aveva alle spalle circa diecimila ore di volo.
Le altre erano Myrtle Cagle, Janet Dietrich, Marion Dietrich, Wally Funk, Sarah Gorelick, Janey Hart, Jean Hixson, Rhea Hurrle, Gene Nora Stumbough, Irene Leverton, Jerri Sloan e Bernice Steadman: avevano età comprese dai 23 ai 41 anni, ed erano tutte piloti con almeno 1.000 ore di volo alle spalle, più di quelle segnate sui libretti di volo di alcuni astronauti poi scelti per il programma Mercury. Denominate “Mercury Thirteen” in contrapposizione al primo gruppo di sette astronauti maschi conosciuti come “Mercury Seven”, alcune candidate superarono anche la Fase II, i test psicologici, effettuati a Oklahoma City. Esse erano Jerrie Cobb, Rhea Hurrle e Wally Funk, anche se a causa di impegni familiari e lavorativi non tutte le donne poterono sostenere questi test. La Cobb superò infine anche la Fase III, condotta a Pensacola presso la Naval School of Aviation Medicine su attrezzature militari, e le altre finaliste si prepararono a seguirne l’esempio. Qualche giorno prima dei test, tuttavia, le donne ricevettero un telegramma con il quale si comunicava che, in assenza di una richiesta ufficiale della NASA di eseguire i test, la Marina degli Stati Uniti non avrebbe consentito l'uso delle sue strutture per un progetto non ufficiale. A nulla valsero gli sforzi delle Mercury 13 di farsi ascoltare dal Presidente Kennedy e dal vice Johnson; lo Spazio, almeno per il momento, era precluso alle donne. La NASA fu oggetto di numerose critiche dopo che la cosmonauta sovietica Valentina Tereshkova divenne la prima donna nello Spazio nel 1963, ma nessuna donna americana fu accettata nell'agenzia spaziale fino al 1978; Sally Ride, la prima americana a superare l'atmosfera, sarebbe stata lanciata soltanto nel 1983.
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Sette protagoniste del programma Mercury 13 vicino allo Space Shuttle Discovery, in una foto del 1995. Da sinistra: Gene Nora Jessen, Wally Funk, Jerrie Cobb, Jerri Truhill, Sarah Rutley, Myrtle Cagle e Bernice Steadman.
Jerrie Cobb durante un test sul Gimbal Rig nell'Attimum Wind Tunnel, presso il Lewis Research Center, nell'aprile del 1960. Cobb fu la prima donna a superare tutte e tre le fasi del Mercury Astronaut Program, nel 1961. CINQUANT’ANNI FA LA LUNA | AEROFAN FOCUS
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MERCURY 13 Alcune aspiranti astronaute americane, all'inizio degli Anni '60, si dimostrarono capaci di superare i medesimi test fisici e psicologici affrontati dai colleghi maschi, ma non furono mai prese in seria considerazione dalla NASA per le missioni spaziali. Mentre gli Stati Uniti, all’alba dell’esplorazione spaziale umana, si ponevano il problema di come selezionare i candidati William Randolph Lovelace II, un medico americano laureato ad Harvard e appassionato di aviazione, aiutò a mettere a punto i vari esperimenti e le linee guida per la scelta dei più promettenti piloti da trasformare in astronauti per il programma Mercury. Lovelace era amico di Jacqueline Cochran, un'aviatrice statunitense pioniera del volo e detentrice di diversi record internazionali, oltre ad essere stata la prima donna a superare la velocità del suono e ad aver attraversato l'Atlantico su un aereo a reazione. Quest'amicizia, unita alla convinzione che il fisico femminile, più minuto e compatto, potesse essere più adatto alle prime capsule spaziali, spinse Lovelace a iniziare un programma di selezione per aspiranti astronaute finanziato dalla Cochran, seppur non riconosciuto dalla NASA. Il programma prevedeva di sottoporre le candidate allo stesso programma di test fisici, psicologici e di simulazione spaziale affrontati dai piloti uomini. La prima fase dei test includeva prove durissime e al limite della sopportazione fisica, che però tredici donne, scelte tra centinaia di profili e su una ventina di candidate finali, superarono egregiamente. La prima risultò essere Geraldyn “Jerrie” M. Cobb, una pilota che nel 1959, a 28 anni, era già dirigente nell'industria aeronautica e aveva alle spalle circa diecimila ore di volo.
Le altre erano Myrtle Cagle, Janet Dietrich, Marion Dietrich, Wally Funk, Sarah Gorelick, Janey Hart, Jean Hixson, Rhea Hurrle, Gene Nora Stumbough, Irene Leverton, Jerri Sloan e Bernice Steadman: avevano età comprese dai 23 ai 41 anni, ed erano tutte piloti con almeno 1.000 ore di volo alle spalle, più di quelle segnate sui libretti di volo di alcuni astronauti poi scelti per il programma Mercury. Denominate “Mercury Thirteen” in contrapposizione al primo gruppo di sette astronauti maschi conosciuti come “Mercury Seven”, alcune candidate superarono anche la Fase II, i test psicologici, effettuati a Oklahoma City. Esse erano Jerrie Cobb, Rhea Hurrle e Wally Funk, anche se a causa di impegni familiari e lavorativi non tutte le donne poterono sostenere questi test. La Cobb superò infine anche la Fase III, condotta a Pensacola presso la Naval School of Aviation Medicine su attrezzature militari, e le altre finaliste si prepararono a seguirne l’esempio. Qualche giorno prima dei test, tuttavia, le donne ricevettero un telegramma con il quale si comunicava che, in assenza di una richiesta ufficiale della NASA di eseguire i test, la Marina degli Stati Uniti non avrebbe consentito l'uso delle sue strutture per un progetto non ufficiale. A nulla valsero gli sforzi delle Mercury 13 di farsi ascoltare dal Presidente Kennedy e dal vice Johnson; lo Spazio, almeno per il momento, era precluso alle donne. La NASA fu oggetto di numerose critiche dopo che la cosmonauta sovietica Valentina Tereshkova divenne la prima donna nello Spazio nel 1963, ma nessuna donna americana fu accettata nell'agenzia spaziale fino al 1978; Sally Ride, la prima americana a superare l'atmosfera, sarebbe stata lanciata soltanto nel 1983.
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Sette protagoniste del programma Mercury 13 vicino allo Space Shuttle Discovery, in una foto del 1995. Da sinistra: Gene Nora Jessen, Wally Funk, Jerrie Cobb, Jerri Truhill, Sarah Rutley, Myrtle Cagle e Bernice Steadman.
Jerrie Cobb durante un test sul Gimbal Rig nell'Attimum Wind Tunnel, presso il Lewis Research Center, nell'aprile del 1960. Cobb fu la prima donna a superare tutte e tre le fasi del Mercury Astronaut Program, nel 1961. CINQUANT’ANNI FA LA LUNA | AEROFAN FOCUS
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IL PRIMO A FARE UN SALTO NELLO SPAZIO
IL PRIMO IN ORBITA
Alan Bartlett Shepard, nato il 18 novembre 1923 a East Derry, New Hampshire, si laureò in Scienze presso l'Accademia navale di Annapolis e divenne pilota dell'US Navy nel 1947 servendo poi con lo Squadron 42 e partecipando a varie crociere nel Mediterraneo. Nel 1950 frequentò la US Navy Test Pilot School di Patuxent River volando su un gran numero di aerei ad alte prestazioni. Il 5 maggio 1961 effettuò a bordo della capsula Freedom il primo volo suborbitale americano e venne poi designato come pilota della MA-10 Freedom 7-II prevista nell'ottobre 1963 ma poi cancellata. Shepard doveva essere il comandante della prima missione Gemini con equipaggio, insieme a Borman, ma a Shepard fu diagnosticata una grave malattia all'orecchio interno e i due astronauti furono sostituiti da Grissom e Young. Grazie ad un intervento chirurgico Shepard guarì e, a 47 anni, astronauta più anziano del programma, tornò nello spazio il 31 gennaio 1971 come comandante dell'Apollo 14 insieme a Roosa e Mitchell. Promosso contrammiraglio, Shepard si ritirò il primo agosto 1974 ed è morto il 21 luglio 1998.
John Herschel Glenn, nato il 18 luglio 1921 a Cambridge, Ohio, si arruolò nel 1941 nel corpo dei Marines e col Marine Fighter Squadron 155 su F4U Corsair, effettuò 57 missioni di guerra durante la campagna delle isole Marshall. Nella guerra di Corea effettuò 63 missioni di supporto a terra volando con gli F9F Panther dei Marine Fighter Squadron 311 e 27 venendo quindi assegnato in exchange ad un reparto di F-86 Sabre dell'USAF presso cui abbatté tre MiG venendo successivamente decorato per le sue 149 missioni in due guerre. Assegnato alla Navy Test Pilot School di Patuxent River, nel luglio 1957 fu protagonista di un volo record transcontinentale da Los Angeles a New York che fu il primo condotto a velocità supersonica. Entrato nella NASA, fu ai comandi della capsula Friendship 7, la prima che usò come vettore l'Atlas e la prima orbitale. Nel gennaio 1964 dette le dimissioni annunciando l'intenzione di correre per la nomina al senato dell'Ohio ma senza successo. Solo in seguito sarebbe divenuto senatore dell'Ohio, nel 1974, 1980, 1986 e 1992. Il 29 ottobre 1998, a 77 anni, Glenn partecipò alla missione STS-95 sullo shuttle Discovery come specialista al carico e come oggetto di studio sull'effetto delle condizioni di mancanza di peso su fisici anziani. Glenn, che era stato ordinato pastore della Chiesa Presbiteriana degli Stati Uniti, è morto l'8 dicembre 2016 a 95 anni.
20
5 maggio 1961. Lancio della capsula Freedom 7 con a bordo Alan Shepard.
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20 febbraio 1962. John Glenn entra nella capsula Friendship 7 prima del lancio.
22
3 giugno 1965. La prima passeggiata spaziale di Ed White.
IL PRIMO A CAMMINARE NEL VUOTO
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L’astronauta Alan B. Shepard Jr. a bordo del suo F-4U Corsair sul ponte della portaerei USS Franklin D. Roosevelt, nella foto piccola in alto, e a bordo di un F-106 Delta Dart.
AEROFAN FOCUS | CINQUANT’ANNI FA LA LUNA
Edward Higgins White, nato il 14 novembre 1930 a San Antonio, Texas, entrò a West Point diplomandosi nel 1952 ed entrando nell'USAF per servire su F-86 ed F-100 in Germania. Rientrato negli Stati Uniti ottenne una laurea in ingegneria aeronautica presso l'Università del Michigan nel 1959, proprio l'anno in cui la NASA selezionò i sette astronauti del programma Mercury. White, che già aspirava a questo incarico, frequentò l'Air Force Test Pilot School di Edwards per poi essere assegnato come pilota sperimentatore all'Aeronautical System Division della Wright Patterson AFB. Qui si trovò varie volte ai comandi degli aerei in cui gli aspiranti astronauti della NASA effettuavano le prove in condizioni di gravità zero; tra i suoi passeggeri vi furono, oltre a Glenn e a Slayton, anche gli scimpanzé Ham e Enos. Nell'aprile 1962 la NASA avviò un nuovo reclutamento per il programma Gemini e il capitano White, grazie ai suoi precedenti, alle qualifiche ottenute ed al perfetto stato fisico che aveva sempre curato, fu tra i nove prescelti. Dopo mesi di addestramento venne scelto come pilota della Gemini 4 che avrebbe avuto come comandante James McDivitt con riserve Frank Borman e James Lovell e, il 3 giugno 1965, White effettuò la prima “passeggiata spaziale” di un astronauta americano. Dopo Gemini IV, White fu scelto come pilota anziano del programma Apollo e perse la vita il 27 gennaio 1967 nell'incendio a terra della capsula Apollo 1 con Virgil “Gus” Grissom e Roger Chaffee.
CINQUANT’ANNI FA LA LUNA | AEROFAN FOCUS
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IL PRIMO A FARE UN SALTO NELLO SPAZIO
IL PRIMO IN ORBITA
Alan Bartlett Shepard, nato il 18 novembre 1923 a East Derry, New Hampshire, si laureò in Scienze presso l'Accademia navale di Annapolis e divenne pilota dell'US Navy nel 1947 servendo poi con lo Squadron 42 e partecipando a varie crociere nel Mediterraneo. Nel 1950 frequentò la US Navy Test Pilot School di Patuxent River volando su un gran numero di aerei ad alte prestazioni. Il 5 maggio 1961 effettuò a bordo della capsula Freedom il primo volo suborbitale americano e venne poi designato come pilota della MA-10 Freedom 7-II prevista nell'ottobre 1963 ma poi cancellata. Shepard doveva essere il comandante della prima missione Gemini con equipaggio, insieme a Borman, ma a Shepard fu diagnosticata una grave malattia all'orecchio interno e i due astronauti furono sostituiti da Grissom e Young. Grazie ad un intervento chirurgico Shepard guarì e, a 47 anni, astronauta più anziano del programma, tornò nello spazio il 31 gennaio 1971 come comandante dell'Apollo 14 insieme a Roosa e Mitchell. Promosso contrammiraglio, Shepard si ritirò il primo agosto 1974 ed è morto il 21 luglio 1998.
John Herschel Glenn, nato il 18 luglio 1921 a Cambridge, Ohio, si arruolò nel 1941 nel corpo dei Marines e col Marine Fighter Squadron 155 su F4U Corsair, effettuò 57 missioni di guerra durante la campagna delle isole Marshall. Nella guerra di Corea effettuò 63 missioni di supporto a terra volando con gli F9F Panther dei Marine Fighter Squadron 311 e 27 venendo quindi assegnato in exchange ad un reparto di F-86 Sabre dell'USAF presso cui abbatté tre MiG venendo successivamente decorato per le sue 149 missioni in due guerre. Assegnato alla Navy Test Pilot School di Patuxent River, nel luglio 1957 fu protagonista di un volo record transcontinentale da Los Angeles a New York che fu il primo condotto a velocità supersonica. Entrato nella NASA, fu ai comandi della capsula Friendship 7, la prima che usò come vettore l'Atlas e la prima orbitale. Nel gennaio 1964 dette le dimissioni annunciando l'intenzione di correre per la nomina al senato dell'Ohio ma senza successo. Solo in seguito sarebbe divenuto senatore dell'Ohio, nel 1974, 1980, 1986 e 1992. Il 29 ottobre 1998, a 77 anni, Glenn partecipò alla missione STS-95 sullo shuttle Discovery come specialista al carico e come oggetto di studio sull'effetto delle condizioni di mancanza di peso su fisici anziani. Glenn, che era stato ordinato pastore della Chiesa Presbiteriana degli Stati Uniti, è morto l'8 dicembre 2016 a 95 anni.
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5 maggio 1961. Lancio della capsula Freedom 7 con a bordo Alan Shepard.
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20 febbraio 1962. John Glenn entra nella capsula Friendship 7 prima del lancio.
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3 giugno 1965. La prima passeggiata spaziale di Ed White.
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L’astronauta Alan B. Shepard Jr. a bordo del suo F-4U Corsair sul ponte della portaerei USS Franklin D. Roosevelt, nella foto piccola in alto, e a bordo di un F-106 Delta Dart.
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Edward Higgins White, nato il 14 novembre 1930 a San Antonio, Texas, entrò a West Point diplomandosi nel 1952 ed entrando nell'USAF per servire su F-86 ed F-100 in Germania. Rientrato negli Stati Uniti ottenne una laurea in ingegneria aeronautica presso l'Università del Michigan nel 1959, proprio l'anno in cui la NASA selezionò i sette astronauti del programma Mercury. White, che già aspirava a questo incarico, frequentò l'Air Force Test Pilot School di Edwards per poi essere assegnato come pilota sperimentatore all'Aeronautical System Division della Wright Patterson AFB. Qui si trovò varie volte ai comandi degli aerei in cui gli aspiranti astronauti della NASA effettuavano le prove in condizioni di gravità zero; tra i suoi passeggeri vi furono, oltre a Glenn e a Slayton, anche gli scimpanzé Ham e Enos. Nell'aprile 1962 la NASA avviò un nuovo reclutamento per il programma Gemini e il capitano White, grazie ai suoi precedenti, alle qualifiche ottenute ed al perfetto stato fisico che aveva sempre curato, fu tra i nove prescelti. Dopo mesi di addestramento venne scelto come pilota della Gemini 4 che avrebbe avuto come comandante James McDivitt con riserve Frank Borman e James Lovell e, il 3 giugno 1965, White effettuò la prima “passeggiata spaziale” di un astronauta americano. Dopo Gemini IV, White fu scelto come pilota anziano del programma Apollo e perse la vita il 27 gennaio 1967 nell'incendio a terra della capsula Apollo 1 con Virgil “Gus” Grissom e Roger Chaffee.
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24 23
23 marzo 1965. Accensione motori del Gemini-Titan 3, la prima con astronauti a bordo del programma Gemini.
25
Giugno 1965. Le famiglie degli astronauti White e McDivitt in visita al centro controllo missione di Houston.
26
7 Giugno 1965. Dopo quattro giorni di missione e 62 orbite intorno alla Terra, la capsula Gemini 4 ammara nell'Oceano Atlantico.
27
16 dicembre 1965. La capsula Gemini 6, dopo il rientro seguito al rendezvous con la Gemini 7, viene recuperata dalla portaerei USS Wasp. Per la prima volta nella storia, l’ammaraggio venne trasmesso in diretta televisiva. Schirra e Sta ord uscirono dalla loro capsula solo dopo essere stati portati a bordo della portaerei.
Virgil Grissom e John Young lasciano il Pad 19 dopo una giornata di allenamento pre-lancio nel marzo del 1965. CINQUANT’ANNI FA LA LUNA | AEROFAN FOCUS
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23 marzo 1965. Accensione motori del Gemini-Titan 3, la prima con astronauti a bordo del programma Gemini.
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Giugno 1965. Le famiglie degli astronauti White e McDivitt in visita al centro controllo missione di Houston.
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7 Giugno 1965. Dopo quattro giorni di missione e 62 orbite intorno alla Terra, la capsula Gemini 4 ammara nell'Oceano Atlantico.
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16 dicembre 1965. La capsula Gemini 6, dopo il rientro seguito al rendezvous con la Gemini 7, viene recuperata dalla portaerei USS Wasp. Per la prima volta nella storia, l’ammaraggio venne trasmesso in diretta televisiva. Schirra e Sta ord uscirono dalla loro capsula solo dopo essere stati portati a bordo della portaerei.
Virgil Grissom e John Young lasciano il Pad 19 dopo una giornata di allenamento pre-lancio nel marzo del 1965. CINQUANT’ANNI FA LA LUNA | AEROFAN FOCUS
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fotografato dalla navicella Gemini 9A, mostra la fallita 34 L'ATDA, apertura delle coperture protettive che ha impedito l'aggancio
33
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dei due veicoli spaziali. Il comandante Tom Sta ord definì l'ATDA "An angry alligator". Poco dopo aver raggiunto l'orbita il 3 giugno 1966, il pilota della Gemini 9A Tom Sta ord si prepara per il rendez-vous con l’Augmented Target Docking Adapter.
35
5 giugno 1966. "Che magnifica astronave", fu la prima frase pronunciata dall’astronauta Eugene Cernan uscendo dalla Gemini 9 per e ettuare la sua EVA, durata oltre due ore.
Neil Armstrong, già comandante dell’equipaggio di riserva della missione Gemini 5, fu nominato comandante titolare della successiva Gemini 8, divenendo il primo astronauta americano civile a volare nello spazio.
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fotografato dalla navicella Gemini 9A, mostra la fallita 34 L'ATDA, apertura delle coperture protettive che ha impedito l'aggancio
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dei due veicoli spaziali. Il comandante Tom Sta ord definì l'ATDA "An angry alligator". Poco dopo aver raggiunto l'orbita il 3 giugno 1966, il pilota della Gemini 9A Tom Sta ord si prepara per il rendez-vous con l’Augmented Target Docking Adapter.
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5 giugno 1966. "Che magnifica astronave", fu la prima frase pronunciata dall’astronauta Eugene Cernan uscendo dalla Gemini 9 per e ettuare la sua EVA, durata oltre due ore.
Neil Armstrong, già comandante dell’equipaggio di riserva della missione Gemini 5, fu nominato comandante titolare della successiva Gemini 8, divenendo il primo astronauta americano civile a volare nello spazio.
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IPOTESI DI SVILUPPO
36
18 luglio 1966. Primo piano dell'astronauta Michael Collins, pilota della missione Gemini 10, che e ettua le regolazioni e i controlli finali durante il conto alla rovescia prima del lancio. In fondo a destra è visibile il comandante John W. Young.
A. Abrahamson,Robert T. Herres, Robert Lawrence e 38 DonaldJames H. Peterson, astronauti designati del programma MOL in
Quando nella gara per l'Apollo, McDonnell Aircraft venne sconfitta da North American Aviation, la società cercò di assicurarsi nuovi contratti presentando varie alternative alla NASA. Già nell'agosto 1961 McDonnell aveva proposto, nell'ambito del programma Mercury, l'uso della Gemini, allora sempre conosciuta come Mercury Mark II, per voli circumlunari con l'aggiunta di uno stadio Centaur. Un programma di massima prevedeva il primo di due cosiddetti “fly-by” lunari nel marzo 1965 ed il secondo nel maggio successivo. Il lancio era previsto con un Titan II con una capsula pesante 3.170 kg, circa 270 kg in più rispetto alla versione orbitale, per l'imbarco di un sistema di navigazione inerziale di riserva e di uno schermo termico rinforzato per il rientro a 11 km/secondo anziché i normali 8 km/sec. Nel settembre dello stesso anno venne proposta addirittura una missione di discesa sulla Luna con la Gemini lanciata con un Saturn C-3 ad un costo previsto di un ventesimo rispetto quello dell'Apollo. Il lander era aperto, pesante 4.372 kg o 3.284 in dipendenza del propellente usato (immagazzinabile o criogenico), e successivamente alleggerito, e sarebbe stato lanciato a parte con un Titan II per essere poi unito alla capsula in orbita. Come tempistica veniva indicato il gennaio 1966. Nel settembre 1962 McDonnell presentò la Gemini come Lunar Logistics and Rescue Vehicle da lanciare con un Saturn V e nel maggio 1964 tornò a proporre una missione circumlunare da lanciare con un Saturn IB in sostituzione delle missioni circumlunari dell'Apollo. L'incendio dell'Apollo 1 portò ad una revisione completa del programma in termini di sicurezza e in questo ambito McDonnell ripescò il progetto del 1962
come Lunar Rescue Vehicle con la capsula Gemini B allora in fase di costruzione per le necessità del Manned Orbiting Laboratory dell'USAF. Gli scenari erano due: soccorso in orbita lunare o sul suolo lunare. Nel primo caso la capsula poteva essere lanciata senza equipaggio con un Saturn V su una rotta translunare per agganciarsi automaticamente all'Apollo in avaria; i tre astronauti di questa ultima si sarebbero trasferiti con una passeggiata spaziale per poi prendere la via del ritorno. Nel secondo caso, una Gemini denominata Lunar Surface Survival Shelter sarebbe stata lanciata prima della missione Apollo allunando nell'area di discesa. Se il lander fosse andato in avaria, i due astronauti avrebbero raggiunto l'LSSS attendendo la missione di soccorso mentre l'altro astronauta sul modulo di comando sarebbe rientrato sulla Terra da solo. Il soccorso sarebbe venuto da una Gemini Lunar Surface Rescue Spacecraft senza equipaggio che sarebbe scesa automaticamente vicino all'LSSS per il recupero. L'LSRS disponeva di tre stadi motore: uno di inserimento in orbita lunare, uno di discesa sul suolo lunare ed uno di decollo. Infine nell'agosto 1969 venne presentata alla NASA la proposta della Big Gemini o “Big G” riutilizzabile, in grado di fornire una grande capacità per vari profili di missione compresi quelli assegnati ad Apollo e Space Shuttle, ma essenzialmente destinata al rifornimento di stazioni orbitanti. McDonnell pubblicizzava due versioni base: la Min-Mod Big G ottenuta con minime modifiche della Gemini B con una capacità di nove passeggeri e una più grande, Advanced Big G, a 12 posti.
una foto del 1967 con un modello del Titan IIIC della missione.
39 37
48
Il pilota della missione GT-12, l’ultima con equipaggio del programma Gemini, Edwin E. “Buzz” Aldrin Jr., si esercita con le macchine fotografiche e altre attrezzature che lui e il pilota James A. Lovell utilizzeranno durante la permanenza in orbita dall’11 al 15 novembre 1966.
AEROFAN FOCUS | CINQUANT’ANNI FA LA LUNA
Vista in sezione della BigG riutilizzabile per missioni di rifornimento a stazioni orbitanti. Il disegno mostra la sezione di carico di ben 37 metri cubi con in alto la postazione dell'addetto all'attracco alla stazione. E' evidente anche il tunnel pressurizzato di collegamento tra il vano di carico e il compartimento passeggeri che a sua volta comunica direttamente con la capsula Gemini B.
40
Simulacro della Big Gemini con il grande vano aggiuntivo alle spalle di quella che in pratica era la capsula Gemini basica. La proposta di McDonnell voleva rappresentare un'alternativa più economica ai programmi Apollo e Space Shuttle.
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IPOTESI DI SVILUPPO
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18 luglio 1966. Primo piano dell'astronauta Michael Collins, pilota della missione Gemini 10, che e ettua le regolazioni e i controlli finali durante il conto alla rovescia prima del lancio. In fondo a destra è visibile il comandante John W. Young.
A. Abrahamson,Robert T. Herres, Robert Lawrence e 38 DonaldJames H. Peterson, astronauti designati del programma MOL in
Quando nella gara per l'Apollo, McDonnell Aircraft venne sconfitta da North American Aviation, la società cercò di assicurarsi nuovi contratti presentando varie alternative alla NASA. Già nell'agosto 1961 McDonnell aveva proposto, nell'ambito del programma Mercury, l'uso della Gemini, allora sempre conosciuta come Mercury Mark II, per voli circumlunari con l'aggiunta di uno stadio Centaur. Un programma di massima prevedeva il primo di due cosiddetti “fly-by” lunari nel marzo 1965 ed il secondo nel maggio successivo. Il lancio era previsto con un Titan II con una capsula pesante 3.170 kg, circa 270 kg in più rispetto alla versione orbitale, per l'imbarco di un sistema di navigazione inerziale di riserva e di uno schermo termico rinforzato per il rientro a 11 km/secondo anziché i normali 8 km/sec. Nel settembre dello stesso anno venne proposta addirittura una missione di discesa sulla Luna con la Gemini lanciata con un Saturn C-3 ad un costo previsto di un ventesimo rispetto quello dell'Apollo. Il lander era aperto, pesante 4.372 kg o 3.284 in dipendenza del propellente usato (immagazzinabile o criogenico), e successivamente alleggerito, e sarebbe stato lanciato a parte con un Titan II per essere poi unito alla capsula in orbita. Come tempistica veniva indicato il gennaio 1966. Nel settembre 1962 McDonnell presentò la Gemini come Lunar Logistics and Rescue Vehicle da lanciare con un Saturn V e nel maggio 1964 tornò a proporre una missione circumlunare da lanciare con un Saturn IB in sostituzione delle missioni circumlunari dell'Apollo. L'incendio dell'Apollo 1 portò ad una revisione completa del programma in termini di sicurezza e in questo ambito McDonnell ripescò il progetto del 1962
come Lunar Rescue Vehicle con la capsula Gemini B allora in fase di costruzione per le necessità del Manned Orbiting Laboratory dell'USAF. Gli scenari erano due: soccorso in orbita lunare o sul suolo lunare. Nel primo caso la capsula poteva essere lanciata senza equipaggio con un Saturn V su una rotta translunare per agganciarsi automaticamente all'Apollo in avaria; i tre astronauti di questa ultima si sarebbero trasferiti con una passeggiata spaziale per poi prendere la via del ritorno. Nel secondo caso, una Gemini denominata Lunar Surface Survival Shelter sarebbe stata lanciata prima della missione Apollo allunando nell'area di discesa. Se il lander fosse andato in avaria, i due astronauti avrebbero raggiunto l'LSSS attendendo la missione di soccorso mentre l'altro astronauta sul modulo di comando sarebbe rientrato sulla Terra da solo. Il soccorso sarebbe venuto da una Gemini Lunar Surface Rescue Spacecraft senza equipaggio che sarebbe scesa automaticamente vicino all'LSSS per il recupero. L'LSRS disponeva di tre stadi motore: uno di inserimento in orbita lunare, uno di discesa sul suolo lunare ed uno di decollo. Infine nell'agosto 1969 venne presentata alla NASA la proposta della Big Gemini o “Big G” riutilizzabile, in grado di fornire una grande capacità per vari profili di missione compresi quelli assegnati ad Apollo e Space Shuttle, ma essenzialmente destinata al rifornimento di stazioni orbitanti. McDonnell pubblicizzava due versioni base: la Min-Mod Big G ottenuta con minime modifiche della Gemini B con una capacità di nove passeggeri e una più grande, Advanced Big G, a 12 posti.
una foto del 1967 con un modello del Titan IIIC della missione.
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Il pilota della missione GT-12, l’ultima con equipaggio del programma Gemini, Edwin E. “Buzz” Aldrin Jr., si esercita con le macchine fotografiche e altre attrezzature che lui e il pilota James A. Lovell utilizzeranno durante la permanenza in orbita dall’11 al 15 novembre 1966.
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Vista in sezione della BigG riutilizzabile per missioni di rifornimento a stazioni orbitanti. Il disegno mostra la sezione di carico di ben 37 metri cubi con in alto la postazione dell'addetto all'attracco alla stazione. E' evidente anche il tunnel pressurizzato di collegamento tra il vano di carico e il compartimento passeggeri che a sua volta comunica direttamente con la capsula Gemini B.
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Simulacro della Big Gemini con il grande vano aggiuntivo alle spalle di quella che in pratica era la capsula Gemini basica. La proposta di McDonnell voleva rappresentare un'alternativa più economica ai programmi Apollo e Space Shuttle.
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capitolo 4
arrivano i
sovietici Verrà il momento in cui un'astronave con esseri umani a bordo partirà dalla Terra e intraprenderà un viaggio verso pianeti lontani, verso mondi remoti. Sergej Korolev
I
l programma spaziale sovietico, come quello americano, nacque come diretta derivazione del rispettivo programma missilistico militare e, così come nel caso degli Stati Uniti decisiva fu la spinta di Von Braun, altrettanto avvenne per l'Unione Sovietica con Sergej Pavlovic Korolev, il quale riuscì ad imporre il suo missile balistico R-7 sugli altri progetti.
50
Il razzo vettore N-1 completo ripreso nell'hangar di assemblaggio. In primo piano è visibile l'impressionante sistema propulsivo del primo stadio composto da due corone di razzi NK-33.
capitolo 4
arrivano i
sovietici Verrà il momento in cui un'astronave con esseri umani a bordo partirà dalla Terra e intraprenderà un viaggio verso pianeti lontani, verso mondi remoti. Sergej Korolev
I
l programma spaziale sovietico, come quello americano, nacque come diretta derivazione del rispettivo programma missilistico militare e, così come nel caso degli Stati Uniti decisiva fu la spinta di Von Braun, altrettanto avvenne per l'Unione Sovietica con Sergej Pavlovic Korolev, il quale riuscì ad imporre il suo missile balistico R-7 sugli altri progetti.
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Il razzo vettore N-1 completo ripreso nell'hangar di assemblaggio. In primo piano è visibile l'impressionante sistema propulsivo del primo stadio composto da due corone di razzi NK-33.
2
Luna 1, qui ripresa all’interno della carenatura dell’R-7, fu il primo veicolo spaziale a raggiungere la seconda velocità cosmica, ma mancò la Luna di quasi 6.000 chilometri.
3-4
La sonda Luna 2 e le due sfere contenute in essa che avrebbero dovuto aprirsi sotto la spinta di una carica esplosiva per disseminare il suolo lunare di elementi pentagonali con le insegne dell’URSS.
6
54
AEROFAN FOCUS | CINQUANT’ANNI FA LA LUNA
Le immagini scattate da Luna 3, sviluppate e trasformate in segnali elettrici per l’invio sulla Terra a bordo della sonda, erano di qualità piuttosto scadente ma vennero rielaborate al computer per ricostruire un primitivo atlante della faccia nascosta della Luna.
5
Luna 3 presentata all’ammirazione dei russi inorgogliti dai successi dell’astronautica nazionale; alle spalle è visibile l’ogiva dell’R-7 usata in quelle imprese spaziali.
7
Dall’aspetto bu o, con le telecamere che sembravano due occhi, il rover di Lunokhod 1 coprì in 11 mesi oltre 10 km dimostrando la validità dell’esplorazione con sonde automatiche.
8
Una delle immagini panoramiche su 360° inviate dalla sonda Luna 9 che scese nell’Oceano delle Tempeste il 3 febbraio 1966 precedendo di circa quattro mesi l’americana Surveyor 1.
CINQUANT’ANNI FA LA LUNA | AEROFAN FOCUS
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Luna 1, qui ripresa all’interno della carenatura dell’R-7, fu il primo veicolo spaziale a raggiungere la seconda velocità cosmica, ma mancò la Luna di quasi 6.000 chilometri.
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La sonda Luna 2 e le due sfere contenute in essa che avrebbero dovuto aprirsi sotto la spinta di una carica esplosiva per disseminare il suolo lunare di elementi pentagonali con le insegne dell’URSS.
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Le immagini scattate da Luna 3, sviluppate e trasformate in segnali elettrici per l’invio sulla Terra a bordo della sonda, erano di qualità piuttosto scadente ma vennero rielaborate al computer per ricostruire un primitivo atlante della faccia nascosta della Luna.
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Luna 3 presentata all’ammirazione dei russi inorgogliti dai successi dell’astronautica nazionale; alle spalle è visibile l’ogiva dell’R-7 usata in quelle imprese spaziali.
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Dall’aspetto bu o, con le telecamere che sembravano due occhi, il rover di Lunokhod 1 coprì in 11 mesi oltre 10 km dimostrando la validità dell’esplorazione con sonde automatiche.
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Una delle immagini panoramiche su 360° inviate dalla sonda Luna 9 che scese nell’Oceano delle Tempeste il 3 febbraio 1966 precedendo di circa quattro mesi l’americana Surveyor 1.
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IL PROGETTISTA CAPO KOROLEV La Russia ha una grande tradizione in materia di missilistica che risale alla pubblicazione nel 1903 di uno studio sui razzi a propellenti liquidi opera di Konstantin Tsiolkovsky, ma quando si parla di astronautica moderna, il pensiero va all'uomo che per anni, lavorando nell'ombra, fu il corrispondente sovietico di Von Braun. Sergej Pavlovic Korolev nacque il 12 gennaio 1907 a Zhitomir in Ucraina. Sin da giovane la passione per il volo lo portò a diventare pilota e a progettare a 17 anni il suo primo velivolo, un aliante chiamato K-5. Frequentò l'Istituto Politecnico di Kiev e quindi l'MVTU (Università tecnica a più alto livello di Mosca): Nel settembre 1931 fondò a Mosca, insieme a Friedrich Tsander, il GIRD (gruppo per le ricerche sulla spinta a reazione). Nel giugno 1938 venne arrestato nell'ambito delle purghe staliniane, condannato a 10 anni e internato nel campo di lavoro di Kolyma.
Dopo un anno di trattamento molto duro, fu spostato nella “sharashka”, una prigione speciale per tecnici e scienziati, dove potè continuare i suoi studi di missilistica. A causa delle sue condizioni sanitarie precarie venne trasferito nel settembre 1940 nell'ufficio progettistico di Tupolev a Mosca. Nel 1942, di fronte all'avanzata tedesca, il team di Tupolev fu evacuato a Omsk e Korolev fu mandato al TsKB-16 a Kazan come vicedirettore delle prove in volo pur restando allo stato di detenuto, fino a luglio 1944. A Kazan, Korolev ricominciò a coltivare la passione per i razzi e nel novembre 1944 gli venne assegnato un team di 60 tecnici. Il 13 maggio 1946 Stalin firmò il decreto che lanciava lo sviluppo di missili balistici sovietici e Korolev venne nominato capo costruttore del neonato Istituto di ricerca scientifico NII-88 creato per copiare la V2.
Il motorista Glushko fu a sua volta nominato capo del GDL-OKB per lo sviluppo dei motori per i razzi di Korolev che venne messo in diretta concorrenza con Helmut Gröttrup, che aveva lavorato con Von Braun preferendo poi Mosca a Washington, posto alla guida di un gruppo di tecnici tedeschi provenienti dalla fabbrica di V2 di Mittlewerke. Si trattava di due grandi ingegneri e Korolev, in evidente difficoltà, ebbe l'intuito di fare sue alcune delle idee di Gröttrup, vincendo le commesse governative e creando il mitico R-7 (SS-6 Sapwood) nato come missile balistico e poi divenuto il lanciatore spaziale per eccellenza, che è giunto fino ai giorni nostri sviluppato nel Soyuz. Nonostante i problemi iniziali di motori e di pesi, l'R-7 fu lanciato con successo il 21 agosto 1957; il razzo avrebbe portato in orbita il 4 ottobre lo Sputnik, primo satellite
10
12 9
56
Sergej Pavlovic Korolev nella cabina di uno degli alianti che progettò e costruì alla fine degli Anni ’20.
AEROFAN FOCUS | CINQUANT’ANNI FA LA LUNA
artificiale e, il 12 aprile 1961, il primo astronauta della Storia Yuri Gagarin. Tutti i passi successivi, con le versioni migliorate dell'R7 e con capsule con equipaggio sempre più sofisticate, videro l'apporto fondamentale di Korolev che, dopo l'avvio dei voli umani il 12 aprile 1961, si rivolse alla conquista dei pianeti e a questo scopo progettò il gigantesco N1 con un carico utile di 75 tonnellate. La sua morte improvvisa, il 14 gennaio 1966, durante l'intervento per la rimozione di un tumore, costituì un terremoto per l'astronautica sovietica ed il successore Vasili Mishin non fu in grado di ripetere i suoi successi. È interessante ricordare che, per ragioni di sicurezza e segretezza, Korolev rimase sempre nell'ombra, indicato semplicemente come “progettista capo” e firmandosi negli articoli come “K. Sergeev”.
Foto segnaletica dopo l’arresto nel giugno 1938 nell’ambito delle grandi purghe ordinate da Stalin che privarono l’Unione Sovietica di un prezioso patrimonio di scienziati ed ingegneri proprio alla vigilia del Secondo Conflitto Mondiale.
Korolev insieme a Yuri Gagarin. L’improvvisa morte di Korolev, nel gennaio 1966, segnò in pratica la fine del programma sovietico di esplorazione della Luna con astronauti.
11
Korolev in una foto di gruppo insieme ai primi astronauti russi.
13
Helmut Gröttrup, il tecnico tedesco ex compagno di Von Braun che per vari anni si confrontò con Korolev per la guida del programma missilistico di Mosca, ripreso nel 1958 a Brema dopo il suo rientro in patria.
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IL PROGETTISTA CAPO KOROLEV La Russia ha una grande tradizione in materia di missilistica che risale alla pubblicazione nel 1903 di uno studio sui razzi a propellenti liquidi opera di Konstantin Tsiolkovsky, ma quando si parla di astronautica moderna, il pensiero va all'uomo che per anni, lavorando nell'ombra, fu il corrispondente sovietico di Von Braun. Sergej Pavlovic Korolev nacque il 12 gennaio 1907 a Zhitomir in Ucraina. Sin da giovane la passione per il volo lo portò a diventare pilota e a progettare a 17 anni il suo primo velivolo, un aliante chiamato K-5. Frequentò l'Istituto Politecnico di Kiev e quindi l'MVTU (Università tecnica a più alto livello di Mosca): Nel settembre 1931 fondò a Mosca, insieme a Friedrich Tsander, il GIRD (gruppo per le ricerche sulla spinta a reazione). Nel giugno 1938 venne arrestato nell'ambito delle purghe staliniane, condannato a 10 anni e internato nel campo di lavoro di Kolyma.
Dopo un anno di trattamento molto duro, fu spostato nella “sharashka”, una prigione speciale per tecnici e scienziati, dove potè continuare i suoi studi di missilistica. A causa delle sue condizioni sanitarie precarie venne trasferito nel settembre 1940 nell'ufficio progettistico di Tupolev a Mosca. Nel 1942, di fronte all'avanzata tedesca, il team di Tupolev fu evacuato a Omsk e Korolev fu mandato al TsKB-16 a Kazan come vicedirettore delle prove in volo pur restando allo stato di detenuto, fino a luglio 1944. A Kazan, Korolev ricominciò a coltivare la passione per i razzi e nel novembre 1944 gli venne assegnato un team di 60 tecnici. Il 13 maggio 1946 Stalin firmò il decreto che lanciava lo sviluppo di missili balistici sovietici e Korolev venne nominato capo costruttore del neonato Istituto di ricerca scientifico NII-88 creato per copiare la V2.
Il motorista Glushko fu a sua volta nominato capo del GDL-OKB per lo sviluppo dei motori per i razzi di Korolev che venne messo in diretta concorrenza con Helmut Gröttrup, che aveva lavorato con Von Braun preferendo poi Mosca a Washington, posto alla guida di un gruppo di tecnici tedeschi provenienti dalla fabbrica di V2 di Mittlewerke. Si trattava di due grandi ingegneri e Korolev, in evidente difficoltà, ebbe l'intuito di fare sue alcune delle idee di Gröttrup, vincendo le commesse governative e creando il mitico R-7 (SS-6 Sapwood) nato come missile balistico e poi divenuto il lanciatore spaziale per eccellenza, che è giunto fino ai giorni nostri sviluppato nel Soyuz. Nonostante i problemi iniziali di motori e di pesi, l'R-7 fu lanciato con successo il 21 agosto 1957; il razzo avrebbe portato in orbita il 4 ottobre lo Sputnik, primo satellite
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Sergej Pavlovic Korolev nella cabina di uno degli alianti che progettò e costruì alla fine degli Anni ’20.
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artificiale e, il 12 aprile 1961, il primo astronauta della Storia Yuri Gagarin. Tutti i passi successivi, con le versioni migliorate dell'R7 e con capsule con equipaggio sempre più sofisticate, videro l'apporto fondamentale di Korolev che, dopo l'avvio dei voli umani il 12 aprile 1961, si rivolse alla conquista dei pianeti e a questo scopo progettò il gigantesco N1 con un carico utile di 75 tonnellate. La sua morte improvvisa, il 14 gennaio 1966, durante l'intervento per la rimozione di un tumore, costituì un terremoto per l'astronautica sovietica ed il successore Vasili Mishin non fu in grado di ripetere i suoi successi. È interessante ricordare che, per ragioni di sicurezza e segretezza, Korolev rimase sempre nell'ombra, indicato semplicemente come “progettista capo” e firmandosi negli articoli come “K. Sergeev”.
Foto segnaletica dopo l’arresto nel giugno 1938 nell’ambito delle grandi purghe ordinate da Stalin che privarono l’Unione Sovietica di un prezioso patrimonio di scienziati ed ingegneri proprio alla vigilia del Secondo Conflitto Mondiale.
Korolev insieme a Yuri Gagarin. L’improvvisa morte di Korolev, nel gennaio 1966, segnò in pratica la fine del programma sovietico di esplorazione della Luna con astronauti.
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Korolev in una foto di gruppo insieme ai primi astronauti russi.
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Helmut Gröttrup, il tecnico tedesco ex compagno di Von Braun che per vari anni si confrontò con Korolev per la guida del programma missilistico di Mosca, ripreso nel 1958 a Brema dopo il suo rientro in patria.
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18
Un esemplare del lander LK a suo tempo usato per le prove a terra ed ora esposto in museo. Sono ben visibili il finestrino circolare più grosso per la visione esterna nella fase di allunaggio e, sopra, quello più piccolo per le manovre di rendez-vous col LOK.
19
Il modulo orbitale LOK, che corrispondeva al CSM dell’Apollo, era composto da tre parti. Dall’alto in basso: il modulo abitativo con all’estremità superiore il motore di controllo di assetto e di rendez-vous e l’arpione per l’aggancio al modulo di discesa al suo rientro; il modulo di discesa per il rientro sulla Terra; il modulo propulsivo. Alla base del modulo di discesa vi era la stiva equipaggiamenti con i thruster per il rendez-vous.
20
Due disegni dell’LK con una vista parziale dell’interno che mostrano la posizione dell’unico astronauta. Sul tetto vi è la piattaforma con la grata in nido d’ape per l’aggancio al LOK circondata dagli ugelli del sistema di controllo. CINQUANT’ANNI FA LA LUNA | AEROFAN FOCUS
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Un esemplare del lander LK a suo tempo usato per le prove a terra ed ora esposto in museo. Sono ben visibili il finestrino circolare più grosso per la visione esterna nella fase di allunaggio e, sopra, quello più piccolo per le manovre di rendez-vous col LOK.
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Il modulo orbitale LOK, che corrispondeva al CSM dell’Apollo, era composto da tre parti. Dall’alto in basso: il modulo abitativo con all’estremità superiore il motore di controllo di assetto e di rendez-vous e l’arpione per l’aggancio al modulo di discesa al suo rientro; il modulo di discesa per il rientro sulla Terra; il modulo propulsivo. Alla base del modulo di discesa vi era la stiva equipaggiamenti con i thruster per il rendez-vous.
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Due disegni dell’LK con una vista parziale dell’interno che mostrano la posizione dell’unico astronauta. Sul tetto vi è la piattaforma con la grata in nido d’ape per l’aggancio al LOK circondata dagli ugelli del sistema di controllo. CINQUANT’ANNI FA LA LUNA | AEROFAN FOCUS
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IL PROFILO DI MISSIONE LUNARE
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Le enormi dimensioni del vettore spaziale N-1. In questo caso si tratta probabilmente di un simulacro ingegneristico per le prove di compatibilità con le strutture di lancio. La sezione bianca, alta oltre 43 metri compresa la torre di salvataggio, corrispondeva al complesso lunare L-3.
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22
Il corpo conico dell’N-1 prima dell’aggancio della sezione L-3 al di sopra del serbatoio sferico di cherosene del terzo stadio visibile in primo piano.
23
Due N-1 eretti a Baikonur; probabilmente l’esemplare in primo piano è un simulacro ingegneristico usato per le prove.
24
3 luglio 1969. L’esplosione dell’N-1 al suo secondo lancio che distrusse il complesso di lancio a Baikonur. Ben visibile la nube del sistema di salvataggio che portò il LOK a distanza di sicurezza.
Lo N-1/L-3 era alto 105 metri e pesava oltre 2.700 tonnellate. Il primo stadio (Block A) aveva un diametro alla base di 16,8 metri, che diventavano 22,3 con i quattro stabilizzatori estesi, e un diametro all'estremità superiore di 11 metri. Alto 30 metri, conteneva un serbatoio di cherosene del diametro di 10,5 metri ed uno di ossigeno liquido di 12,8 metri. Nella base erano montati 30 motori Kuznetsov NK-33 di cui 24 posti in cerchio lungo la periferia della base su una struttura del diametro di 14 metri e sei montati in un cerchio interno. Ogni motore produceva 154 tonnellate di spinta con un impulso specifico di 331 secondi e complessivamente il primo stadio sviluppava una spinta di 4.620 tonnellate per una combustione di due minuti. Il controllo in beccheggio e imbardata era ottenuto attraverso la variazione di potenza tra motori contrapposti mentre il controllo in rollio era affidato a quattro motori indipendenti da 7 tonnellate di spinta ciascuno. Il secondo stadio (Block B) aveva un diametro alla base di 10,3 metri e all'estremità superiore di 7,6 metri ed era alto 20,5 metri. I serbatoi sferici interni del cherosene e dell’ossigeno liquido avevano un diametro rispettivamente di 7 e 8,5 metri. Lo stadio aveva otto motori NK-43 simili a quelli del primo stadio ma con ugelli più larghi per la diversa quota di utilizzo, con una potenza di 179 tonnellate e impulso specifico di 346 secondi. La potenza complessiva era di 1.432 tonnellate per 130 secondi. Il controllo di assetto era simile a quello del primo stadio ma per il controllo in rollio vi erano solo tre motori da 6 tonnellate ciascuno. Il terzo stadio (Block V) aveva un diametro alla base di 7,6 metri e all'estremità superiore di 6 metri ed era alto 11,5 metri. Il serbatoio sferico del cherosene aveva un diametro di 4,9 metri, quello dell’ossigeno liquido di 5,9 metri. Lo stadio aveva quattro motori NK-39 con una potenza di 41 tonnellate e impulso specifico di 353 secondi. La potenza complessiva era di 164 tonnellate per 400 secondi. Il controllo di assetto era simile a quello degli altri due stadi ma per il controllo in rollio vi erano quattro thruster ciascuno da 200 chili. Il razzo disponeva di un sistema di controllo KORD che rilevava eventuali malfunzionamenti delle batterie di motori e interveniva automaticamente per spegnere quelli in avaria e quelli diametralmente opposti per conservare la simmetria della spinta e continuare il volo; nello stesso tempo il sistema prolungava il funzionamento dei motori efficienti per ovviare alla perdita di potenza. In questo modo il KORD garantiva il raggiungimento dell'orbita bassa terrestre con l'avaria di due motori del primo stadio (quattro motori spenti) o di un motore del secondo stadio (due spenti).
Al di sopra dei tre stadi della sezione conica, veniva inserito il complesso L-3 (lungo 30 metri) all'interno di una carenatura alta 43,2 metri compresa la torre di salvataggio. Lo L-3 si componeva, dall'alto in basso, della torre di salvataggio, del modulo orbitale Lunniy Orbitalny Korabl (veicolo spaziale orbitale lunare) con agganciato il razzo, del lander Lunniy Korabl (veicolo lunare) pesante 5,5 tonnellate con agganciato il motore Block D e del motore Block G. Quest’ultimo, costituito da un singolo razzo Kuznetsov NK-31 a ossigeno liquido e cherosene praticamente uguale all'NK-39 del primo stadio, aveva il compito di spingere il complesso oltre l'orbita terrestre portandolo su una traiettoria translunare per essere poi sganciato dopo una combustione di 480 secondi. Il Block D doveva servire per le correzioni durante il volo di avvicinamento alla Luna. Effettuati gli ultimi controlli, l'orbiter si doveva separare dal complesso LK/Block D con il razzo che dava l'impulso finale. Ad una distanza dal suolo lunare variabile tra 1,5 e 2 chilometri il Block D si sarebbe dovuto separare impattando la Luna mentre lo LK effettuava la manovra di allunaggio rallentando grazie al suo motore Block E Yangel a camera singola regolabile in potenza da 2,05 tonnellate e alimentato da tetrossido di azoto e dimetilidrazina asimmetrica. In caso di emergenza era disponibile anche un motore di riserva a due ugelli. Il Block E, a differenza dell'Apollo, serviva anche per il decollo dalla Luna, fase in cui si accendevano entrambi i sistemi, normale e di emergenza, con quest’ultimo che si disinseriva se entrambi risultavano operativi. Lo LK aveva un sistema di controllo di assetto ridondante con due unità indipendenti ciascuna con otto piccoli motori sviluppati da V. Stepanov: quattro da 40 kg per controllo in beccheggio e imbardata e quattro da 10 kg per il rollio. Aveva un'autonomia di 72 ore di cui 48, secondo i piani, da passare sul suolo lunare. L'equipaggiamento EVA era sufficiente per circa un'ora e mezza. Sul dorso dell'LK vi era un semplice sistema di attracco con pannello a nido d’ape in cui si incastrava un arpione posto sul tetto del LOK. Questo, pur essendo simile, presentava numerose differenze rispetto agli analoghi Soyuz ed L-1, era privo di pannelli solari e faceva affidamento su un sofisticato sistema di celle a combustibile. Lungo 10 metri con un diametro massimo di 2,9 metri, pesava 9.850 kg ed era dotato di un sistema propulsivo Block I con un motore a due ugelli da 3,3 tonnellate per lasciare l'orbita lunare e rientrare verso la Terra.
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IL PROFILO DI MISSIONE LUNARE
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Le enormi dimensioni del vettore spaziale N-1. In questo caso si tratta probabilmente di un simulacro ingegneristico per le prove di compatibilità con le strutture di lancio. La sezione bianca, alta oltre 43 metri compresa la torre di salvataggio, corrispondeva al complesso lunare L-3.
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Il corpo conico dell’N-1 prima dell’aggancio della sezione L-3 al di sopra del serbatoio sferico di cherosene del terzo stadio visibile in primo piano.
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Due N-1 eretti a Baikonur; probabilmente l’esemplare in primo piano è un simulacro ingegneristico usato per le prove.
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3 luglio 1969. L’esplosione dell’N-1 al suo secondo lancio che distrusse il complesso di lancio a Baikonur. Ben visibile la nube del sistema di salvataggio che portò il LOK a distanza di sicurezza.
Lo N-1/L-3 era alto 105 metri e pesava oltre 2.700 tonnellate. Il primo stadio (Block A) aveva un diametro alla base di 16,8 metri, che diventavano 22,3 con i quattro stabilizzatori estesi, e un diametro all'estremità superiore di 11 metri. Alto 30 metri, conteneva un serbatoio di cherosene del diametro di 10,5 metri ed uno di ossigeno liquido di 12,8 metri. Nella base erano montati 30 motori Kuznetsov NK-33 di cui 24 posti in cerchio lungo la periferia della base su una struttura del diametro di 14 metri e sei montati in un cerchio interno. Ogni motore produceva 154 tonnellate di spinta con un impulso specifico di 331 secondi e complessivamente il primo stadio sviluppava una spinta di 4.620 tonnellate per una combustione di due minuti. Il controllo in beccheggio e imbardata era ottenuto attraverso la variazione di potenza tra motori contrapposti mentre il controllo in rollio era affidato a quattro motori indipendenti da 7 tonnellate di spinta ciascuno. Il secondo stadio (Block B) aveva un diametro alla base di 10,3 metri e all'estremità superiore di 7,6 metri ed era alto 20,5 metri. I serbatoi sferici interni del cherosene e dell’ossigeno liquido avevano un diametro rispettivamente di 7 e 8,5 metri. Lo stadio aveva otto motori NK-43 simili a quelli del primo stadio ma con ugelli più larghi per la diversa quota di utilizzo, con una potenza di 179 tonnellate e impulso specifico di 346 secondi. La potenza complessiva era di 1.432 tonnellate per 130 secondi. Il controllo di assetto era simile a quello del primo stadio ma per il controllo in rollio vi erano solo tre motori da 6 tonnellate ciascuno. Il terzo stadio (Block V) aveva un diametro alla base di 7,6 metri e all'estremità superiore di 6 metri ed era alto 11,5 metri. Il serbatoio sferico del cherosene aveva un diametro di 4,9 metri, quello dell’ossigeno liquido di 5,9 metri. Lo stadio aveva quattro motori NK-39 con una potenza di 41 tonnellate e impulso specifico di 353 secondi. La potenza complessiva era di 164 tonnellate per 400 secondi. Il controllo di assetto era simile a quello degli altri due stadi ma per il controllo in rollio vi erano quattro thruster ciascuno da 200 chili. Il razzo disponeva di un sistema di controllo KORD che rilevava eventuali malfunzionamenti delle batterie di motori e interveniva automaticamente per spegnere quelli in avaria e quelli diametralmente opposti per conservare la simmetria della spinta e continuare il volo; nello stesso tempo il sistema prolungava il funzionamento dei motori efficienti per ovviare alla perdita di potenza. In questo modo il KORD garantiva il raggiungimento dell'orbita bassa terrestre con l'avaria di due motori del primo stadio (quattro motori spenti) o di un motore del secondo stadio (due spenti).
Al di sopra dei tre stadi della sezione conica, veniva inserito il complesso L-3 (lungo 30 metri) all'interno di una carenatura alta 43,2 metri compresa la torre di salvataggio. Lo L-3 si componeva, dall'alto in basso, della torre di salvataggio, del modulo orbitale Lunniy Orbitalny Korabl (veicolo spaziale orbitale lunare) con agganciato il razzo, del lander Lunniy Korabl (veicolo lunare) pesante 5,5 tonnellate con agganciato il motore Block D e del motore Block G. Quest’ultimo, costituito da un singolo razzo Kuznetsov NK-31 a ossigeno liquido e cherosene praticamente uguale all'NK-39 del primo stadio, aveva il compito di spingere il complesso oltre l'orbita terrestre portandolo su una traiettoria translunare per essere poi sganciato dopo una combustione di 480 secondi. Il Block D doveva servire per le correzioni durante il volo di avvicinamento alla Luna. Effettuati gli ultimi controlli, l'orbiter si doveva separare dal complesso LK/Block D con il razzo che dava l'impulso finale. Ad una distanza dal suolo lunare variabile tra 1,5 e 2 chilometri il Block D si sarebbe dovuto separare impattando la Luna mentre lo LK effettuava la manovra di allunaggio rallentando grazie al suo motore Block E Yangel a camera singola regolabile in potenza da 2,05 tonnellate e alimentato da tetrossido di azoto e dimetilidrazina asimmetrica. In caso di emergenza era disponibile anche un motore di riserva a due ugelli. Il Block E, a differenza dell'Apollo, serviva anche per il decollo dalla Luna, fase in cui si accendevano entrambi i sistemi, normale e di emergenza, con quest’ultimo che si disinseriva se entrambi risultavano operativi. Lo LK aveva un sistema di controllo di assetto ridondante con due unità indipendenti ciascuna con otto piccoli motori sviluppati da V. Stepanov: quattro da 40 kg per controllo in beccheggio e imbardata e quattro da 10 kg per il rollio. Aveva un'autonomia di 72 ore di cui 48, secondo i piani, da passare sul suolo lunare. L'equipaggiamento EVA era sufficiente per circa un'ora e mezza. Sul dorso dell'LK vi era un semplice sistema di attracco con pannello a nido d’ape in cui si incastrava un arpione posto sul tetto del LOK. Questo, pur essendo simile, presentava numerose differenze rispetto agli analoghi Soyuz ed L-1, era privo di pannelli solari e faceva affidamento su un sofisticato sistema di celle a combustibile. Lungo 10 metri con un diametro massimo di 2,9 metri, pesava 9.850 kg ed era dotato di un sistema propulsivo Block I con un motore a due ugelli da 3,3 tonnellate per lasciare l'orbita lunare e rientrare verso la Terra.
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65
capitolo 5 obiettivo
luna Se qualcuno di noi muore, la gente deve accettare la realtà. La conquista dello Spazio è un’impresa che vale il rischio della vita. Virgil I. Grissom
L
a corsa verso la Luna ricevette un impulso decisivo il 25 maggio del 1961, quando il presidente John Fitzgerald Kennedy, nel corso di una riunione di una sessione speciale del Congresso, con un discorso ritenuto da molti poco più di una promessa irrealizzabile espresse la volontà americana di sbarcare sul nostro satellite.
66
Ultimato l’assemblaggio all’interno del Vehicle Assembly Building, un razzo Saturn V inizia il viaggio verso la piattaforma di lancio trasportato sulla Mobile Launcher Platform.
capitolo 5 obiettivo
luna Se qualcuno di noi muore, la gente deve accettare la realtà. La conquista dello Spazio è un’impresa che vale il rischio della vita. Virgil I. Grissom
L
a corsa verso la Luna ricevette un impulso decisivo il 25 maggio del 1961, quando il presidente John Fitzgerald Kennedy, nel corso di una riunione di una sessione speciale del Congresso, con un discorso ritenuto da molti poco più di una promessa irrealizzabile espresse la volontà americana di sbarcare sul nostro satellite.
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Ultimato l’assemblaggio all’interno del Vehicle Assembly Building, un razzo Saturn V inizia il viaggio verso la piattaforma di lancio trasportato sulla Mobile Launcher Platform.
2
4
70
3
Il primo stadio del Saturn V (S-IC-D) viene posizionato nel banco prova dinamico del Marshall Space Flight Center per prove di resistenza strutturale. Il veicolo monta il simulacro di un motore F-1, mentre le altre quattro posizioni dei motori sono occupate da simulatori di peso.
5
Motori J-2 per i vettori Saturn IB e Saturn V sono allineati nell'area di assemblaggio dello stabilimento produttivo della Rocketdyne a Canoga Park, in California. Cinque motori J-2 fornivano oltre 450.000 kg di spinta al secondo stadio del Saturn V.
14 aprile 1965, Kennedy Space Center. Il dott. Kurt H. Debus, direttore del centro, durante il suo discorso in occasione dell’inaugurazione del Vehicle Assembly Building. Sulla destra è visibile parte di un trasportatore cingolato per i razzi Saturn.
Von Braun in piedi davanti ai cinque motori f-1 del Dynamic Test Vehicle del Saturn V in mostra presso il centro spaziale di Huntsville, Alabama.
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6
Il Marshall Space Flight Center svolse un ruolo cruciale nello sviluppo degli enormi razzi Saturn negli Anni '60. Molte strutture uniche erano utilizzate per lo sviluppo e il test dei razzi Saturn. A ettuosamente soprannominato "The Arm Farm", il simulatore di Random Motion/Lift-O è stato sviluppato per testare i meccanismi dei bracci mobili che bloccavano il razzo in posizione fino al momento del decollo.
7
Un motore J-2 viene provato al banco. Sviluppato sotto la direzione del Marshall Space Flight Center, era alimentato da idrogeno e ossigeno liquido. Un singolo J-2 era installato sul secondo stadio del Saturn IB e sul terzo del Saturn V, mentre un gruppo di cinque spingeva il secondo stadio del Saturn V.
8
13 gennaio 1969, Manned Spacecraft Operations Building. Il Lunar Module 4 viene spostato in posizione per l'accoppiamento con lo Spacecraft Lunar Module Adapter 13. Il Modulo Lunare 4 volerà sull'Apollo 10 (Spacecraft 106/Saturn 505).
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Il primo stadio del Saturn V (S-IC-D) viene posizionato nel banco prova dinamico del Marshall Space Flight Center per prove di resistenza strutturale. Il veicolo monta il simulacro di un motore F-1, mentre le altre quattro posizioni dei motori sono occupate da simulatori di peso.
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Motori J-2 per i vettori Saturn IB e Saturn V sono allineati nell'area di assemblaggio dello stabilimento produttivo della Rocketdyne a Canoga Park, in California. Cinque motori J-2 fornivano oltre 450.000 kg di spinta al secondo stadio del Saturn V.
14 aprile 1965, Kennedy Space Center. Il dott. Kurt H. Debus, direttore del centro, durante il suo discorso in occasione dell’inaugurazione del Vehicle Assembly Building. Sulla destra è visibile parte di un trasportatore cingolato per i razzi Saturn.
Von Braun in piedi davanti ai cinque motori f-1 del Dynamic Test Vehicle del Saturn V in mostra presso il centro spaziale di Huntsville, Alabama.
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Il Marshall Space Flight Center svolse un ruolo cruciale nello sviluppo degli enormi razzi Saturn negli Anni '60. Molte strutture uniche erano utilizzate per lo sviluppo e il test dei razzi Saturn. A ettuosamente soprannominato "The Arm Farm", il simulatore di Random Motion/Lift-O è stato sviluppato per testare i meccanismi dei bracci mobili che bloccavano il razzo in posizione fino al momento del decollo.
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Un motore J-2 viene provato al banco. Sviluppato sotto la direzione del Marshall Space Flight Center, era alimentato da idrogeno e ossigeno liquido. Un singolo J-2 era installato sul secondo stadio del Saturn IB e sul terzo del Saturn V, mentre un gruppo di cinque spingeva il secondo stadio del Saturn V.
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13 gennaio 1969, Manned Spacecraft Operations Building. Il Lunar Module 4 viene spostato in posizione per l'accoppiamento con lo Spacecraft Lunar Module Adapter 13. Il Modulo Lunare 4 volerà sull'Apollo 10 (Spacecraft 106/Saturn 505).
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LUNAR ORBITER
LE SONDE LUNARI La NASA esplorò la Luna con l'invio di tre serie di sonde lunari robotizzate al fine di studiare in dettaglio aspetti fondamentali per il successivo arrivo degli astronauti. Il programma Ranger fu avviato nel 1959 con lo scopo principale di fotografare la superficie lunare. Come vettore di lancio fu scelto il razzo Atlas, al quale fu aggiunto un ulteriore stadio motorizzato per raggiungere la Luna. Inviare una sonda sul nostro satellite in quegli anni era una sfida estremamente ardua e infatti il programma dimostrò da subito le sue criticità, con ben cinque lanci falliti. Solo al sesto lancio la Ranger riuscì ad arrivare sul suolo lunare presso il Mare della Tranquillità, ma la missione fu un parziale fallimento a causa di un guasto tecnico alle fotocamere. Finalmente il 31 luglio 1964 la Ranger 7, durante la fase di discesa precedente lo schianto sulla superficie, trasmise le prime foto del nostro satellite. La NASA ottenne oltre 4.000 foto del suolo lunare, poi diffuse in tutto il mondo. Ulteriori due missioni Ranger furono coronate da pieno successo. La seconda serie di sonde, battezzate Surveyor, ebbe lo scopo di dimostrare la fattibilità di un allunaggio da parte di una navicella. Surveyor 1 fu lanciata il 30 maggio 1966 e il 2 giugno toccò il suolo lunare; da subito le sue immagini si rivelarono molto più nitide e interessanti di quelle inviate dalle precedenti sonde russe. In totale furono programmati sette lanci, cinque dei quali coronati da successo. Andarono perse Surveyor 2, distrutta in fase di allunaggio, e Surveyor 4 a causa dell’interruzione delle comunicazioni.
Fu inoltre testata la consistenza del suolo lunare tramite un braccio robotizzato, dimostrando che un allunaggio e il successivo decollo di una navicella erano possibili, anche con un eventuale equipaggio umano a bordo. Il compito delle sonde Lunar Orbiter fu invece la determinazione del migliore punto di discesa per le navicelle del programma Apollo. A tale scopo la Kodak preparò speciali sistemi di ripresa fotografica ad alta risoluzione, per eseguire una mappatura completa e dettagliata del suolo lunare, mentre le sonde orbitavano attorno alla Luna a bassa quota. I tecnici della Kodak, per evitare l'effetto mosso, dato che la sonda sorvolava il territorio lunare a velocità elevatissima, svilupparono una speciale fotocamera accoppiata ad uno scanner che in funzione della quota e della velocità, faceva avanzare la pellicola durante l'esposizione, azzerando così l'effetto del veloce movimento della sonda. In totale furono lanciate cinque Lunar Orbiter che fotografarono estesamente il suolo lunare tra l'agosto del 1966 e lo stesso mese dell’anno successivo, scattando oltre 2.000 fotografie ad alta risoluzione. Il sistema di ripresa della Kodak si dimostrò eccezionalmente valido, riportando nitide e dettagliate immagini al punto che in alcune foto i tecnici della NASA riuscirono a riconoscere la sonda Surveyor 1 posata sulla Luna.
9
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20 novembre 1969. L’Apollo 12 allunò nell'Oceano delle Tempeste a circa 200 metri dalla sonda Surveyor 3, scesa sulla Luna il 19 aprile 1967.L’astronauta Charles Conrad Jr. recuperò la telecamera e altri componenti della sonda per riportarli sulla Terra. CINQUANT’ANNI FA LA LUNA | AEROFAN FOCUS
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LUNAR ORBITER
LE SONDE LUNARI La NASA esplorò la Luna con l'invio di tre serie di sonde lunari robotizzate al fine di studiare in dettaglio aspetti fondamentali per il successivo arrivo degli astronauti. Il programma Ranger fu avviato nel 1959 con lo scopo principale di fotografare la superficie lunare. Come vettore di lancio fu scelto il razzo Atlas, al quale fu aggiunto un ulteriore stadio motorizzato per raggiungere la Luna. Inviare una sonda sul nostro satellite in quegli anni era una sfida estremamente ardua e infatti il programma dimostrò da subito le sue criticità, con ben cinque lanci falliti. Solo al sesto lancio la Ranger riuscì ad arrivare sul suolo lunare presso il Mare della Tranquillità, ma la missione fu un parziale fallimento a causa di un guasto tecnico alle fotocamere. Finalmente il 31 luglio 1964 la Ranger 7, durante la fase di discesa precedente lo schianto sulla superficie, trasmise le prime foto del nostro satellite. La NASA ottenne oltre 4.000 foto del suolo lunare, poi diffuse in tutto il mondo. Ulteriori due missioni Ranger furono coronate da pieno successo. La seconda serie di sonde, battezzate Surveyor, ebbe lo scopo di dimostrare la fattibilità di un allunaggio da parte di una navicella. Surveyor 1 fu lanciata il 30 maggio 1966 e il 2 giugno toccò il suolo lunare; da subito le sue immagini si rivelarono molto più nitide e interessanti di quelle inviate dalle precedenti sonde russe. In totale furono programmati sette lanci, cinque dei quali coronati da successo. Andarono perse Surveyor 2, distrutta in fase di allunaggio, e Surveyor 4 a causa dell’interruzione delle comunicazioni.
Fu inoltre testata la consistenza del suolo lunare tramite un braccio robotizzato, dimostrando che un allunaggio e il successivo decollo di una navicella erano possibili, anche con un eventuale equipaggio umano a bordo. Il compito delle sonde Lunar Orbiter fu invece la determinazione del migliore punto di discesa per le navicelle del programma Apollo. A tale scopo la Kodak preparò speciali sistemi di ripresa fotografica ad alta risoluzione, per eseguire una mappatura completa e dettagliata del suolo lunare, mentre le sonde orbitavano attorno alla Luna a bassa quota. I tecnici della Kodak, per evitare l'effetto mosso, dato che la sonda sorvolava il territorio lunare a velocità elevatissima, svilupparono una speciale fotocamera accoppiata ad uno scanner che in funzione della quota e della velocità, faceva avanzare la pellicola durante l'esposizione, azzerando così l'effetto del veloce movimento della sonda. In totale furono lanciate cinque Lunar Orbiter che fotografarono estesamente il suolo lunare tra l'agosto del 1966 e lo stesso mese dell’anno successivo, scattando oltre 2.000 fotografie ad alta risoluzione. Il sistema di ripresa della Kodak si dimostrò eccezionalmente valido, riportando nitide e dettagliate immagini al punto che in alcune foto i tecnici della NASA riuscirono a riconoscere la sonda Surveyor 1 posata sulla Luna.
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20 novembre 1969. L’Apollo 12 allunò nell'Oceano delle Tempeste a circa 200 metri dalla sonda Surveyor 3, scesa sulla Luna il 19 aprile 1967.L’astronauta Charles Conrad Jr. recuperò la telecamera e altri componenti della sonda per riportarli sulla Terra. CINQUANT’ANNI FA LA LUNA | AEROFAN FOCUS
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LAUNCH COMPLEX 39 Per le missioni Apollo la NASA dovette procedere alla costruzione di una serie di nuovi edifici e strutture appositamente concepite per il lancio del razzo Saturn. In prima istanza fu necessario costruire un nuovo Launch Control Center, per ospitare i computer e tutti gli uffici e i reparti tecnici necessari per l'assemblaggio e il lancio del razzo. Per l'assemblaggio e il carico del Saturno V, la NASA costruì nel 1963 un edificio conosciuto come Vehicle Assembly Building che, alla data della sua consegna nel 1966, con i suoi 3.664.000 metri cubi risultava essere uno dei più grandi edifici realizzati dall'Uomo. L'edificio, progettato per resistere a uragani e tempeste tropicali, era alto 160 metri, lungo 218 e largo 157, posizionato all'interno del Launch Complex 39 del Kennedy Space Center, direttamente connesso alle due rampe corrispondenti, denominate 39A e 39B, posizionate a distanza di sicurezza dalle altre strutture e collegate ad esse con una strada lunga poco più di 5 km. I razzi venivano trasportati dal VAB alla piazzola di lancio per mezzo di piattaforme di lancio mobili, le Mobile Launcher Platforms, aventi una lunghezza di 49 metri , una larghezza di 41 e un'altezza di 7,6 per un peso di oltre 4.100 tonnellate. La piattaforma e il razzo erano portate in posizione di lancio impiegando il Crawler-Transporter, uno speciale veicolo cingolato lungo 40 metri e largo 35, con un'altezza variabile tra i 6 e gli 8 metri, in grado di muoversi ad una velocità di 1,6 km/h. Pesante oltre 2.700 tonnellate, questo veicolo era dotato di speciali sistemi di livellamento per mantenere orizzontale la piattaforma e il razzo durante la movimentazione del complesso.
10-11
Il Vehicle Assembly Building, dal quale è appena uscito il Mobile Launcher Pad con un Saturn V. Nella fotografia grande, sullo sfondo, sono visibili i Launch Pad 39A e B. Il Launch Complex 39 al termine del programma Apollo è stato usato, con opportune modifiche, per il programma Space Shuttle.
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LAUNCH COMPLEX 39 Per le missioni Apollo la NASA dovette procedere alla costruzione di una serie di nuovi edifici e strutture appositamente concepite per il lancio del razzo Saturn. In prima istanza fu necessario costruire un nuovo Launch Control Center, per ospitare i computer e tutti gli uffici e i reparti tecnici necessari per l'assemblaggio e il lancio del razzo. Per l'assemblaggio e il carico del Saturno V, la NASA costruì nel 1963 un edificio conosciuto come Vehicle Assembly Building che, alla data della sua consegna nel 1966, con i suoi 3.664.000 metri cubi risultava essere uno dei più grandi edifici realizzati dall'Uomo. L'edificio, progettato per resistere a uragani e tempeste tropicali, era alto 160 metri, lungo 218 e largo 157, posizionato all'interno del Launch Complex 39 del Kennedy Space Center, direttamente connesso alle due rampe corrispondenti, denominate 39A e 39B, posizionate a distanza di sicurezza dalle altre strutture e collegate ad esse con una strada lunga poco più di 5 km. I razzi venivano trasportati dal VAB alla piazzola di lancio per mezzo di piattaforme di lancio mobili, le Mobile Launcher Platforms, aventi una lunghezza di 49 metri , una larghezza di 41 e un'altezza di 7,6 per un peso di oltre 4.100 tonnellate. La piattaforma e il razzo erano portate in posizione di lancio impiegando il Crawler-Transporter, uno speciale veicolo cingolato lungo 40 metri e largo 35, con un'altezza variabile tra i 6 e gli 8 metri, in grado di muoversi ad una velocità di 1,6 km/h. Pesante oltre 2.700 tonnellate, questo veicolo era dotato di speciali sistemi di livellamento per mantenere orizzontale la piattaforma e il razzo durante la movimentazione del complesso.
10-11
Il Vehicle Assembly Building, dal quale è appena uscito il Mobile Launcher Pad con un Saturn V. Nella fotografia grande, sullo sfondo, sono visibili i Launch Pad 39A e B. Il Launch Complex 39 al termine del programma Apollo è stato usato, con opportune modifiche, per il programma Space Shuttle.
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18
14 ottobre 1968. Gli astronauti Walter Schirra, a destra, e Donn Eisele durante la prima trasmissione televisiva in diretta dallo spazio, a bordo dell’Apollo 7.
19 14
16
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9 novembre 1967. La portaerei USS Bennington a anca il modulo di comando dell’Apollo 4 durante le operazioni di recupero nell'Oceano Pacifico a nord-ovest di Honolulu.
Il Command/Service Module 020 fotografato durante la preparazione della missione Apollo 6.
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Il vettore Saturn IB pronto per il lancio della missione Apollo 5, il 22 gennaio 1968. In tutto, sono stati e ettuati nove voli Saturn IB, che si sono conclusi con il progetto Apollo-Soyuz Test nel luglio 1975.
17
11 ottobre 1968. Il terzo stadio (S-IVB) del Saturn V fotografato dal modulo di comando dell’Apollo 7 durante le manovre simulate di attracco, ad un'altitudine approssimativa di 200 km sopra l'Oceano Atlantico al largo della Florida. La distanza tra la navicella Apollo e lo S-IVB è di circa 30 metri. Il disco tondo bianco all'interno dei pannelli aperti dell'S-IVB è un docking target simulato simile a quello che sarà utilizzato per l’attracco durante le missioni lunari.
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21-27 dicembre 1968. Nel corso della missione Apollo 8 vengono scattate numerose fotografie del lato nascosto della Luna.
27 dicembre 1968. L'equipaggio dell'Apollo 8 al suo arrivo a bordo della portaerei USS Yorktown. Da sinistra: Frank Borman, James Lovell e William Anders.
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14 ottobre 1968. Gli astronauti Walter Schirra, a destra, e Donn Eisele durante la prima trasmissione televisiva in diretta dallo spazio, a bordo dell’Apollo 7.
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9 novembre 1967. La portaerei USS Bennington a anca il modulo di comando dell’Apollo 4 durante le operazioni di recupero nell'Oceano Pacifico a nord-ovest di Honolulu.
Il Command/Service Module 020 fotografato durante la preparazione della missione Apollo 6.
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Il vettore Saturn IB pronto per il lancio della missione Apollo 5, il 22 gennaio 1968. In tutto, sono stati e ettuati nove voli Saturn IB, che si sono conclusi con il progetto Apollo-Soyuz Test nel luglio 1975.
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11 ottobre 1968. Il terzo stadio (S-IVB) del Saturn V fotografato dal modulo di comando dell’Apollo 7 durante le manovre simulate di attracco, ad un'altitudine approssimativa di 200 km sopra l'Oceano Atlantico al largo della Florida. La distanza tra la navicella Apollo e lo S-IVB è di circa 30 metri. Il disco tondo bianco all'interno dei pannelli aperti dell'S-IVB è un docking target simulato simile a quello che sarà utilizzato per l’attracco durante le missioni lunari.
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21-27 dicembre 1968. Nel corso della missione Apollo 8 vengono scattate numerose fotografie del lato nascosto della Luna.
27 dicembre 1968. L'equipaggio dell'Apollo 8 al suo arrivo a bordo della portaerei USS Yorktown. Da sinistra: Frank Borman, James Lovell e William Anders.
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Visione d’insieme della Mission Operations Control Room presso il Mission Control Center, Edificio 30, durante la missione orbitale dell’Apollo 9. Quando è stata scattata questa fotografia, era in corso una diretta televisiva dalla navicella in orbita intorno alla Terra.
22
Il modulo di comando/servizio fotografato dal modulo lunare il quinto giorno della missione orbitale terrestre Apollo 9. Al centro del CSM è visibile il meccanismo di aggancio, mentre l'antenna a banda S ad alto guadagno sporge in basso a sinistra dalla paratia di poppa del modulo di servizio.
23
Il modulo lunare Apollo 9 in configurazione di allunaggio fotografato dai Command and Service Module. All'interno del LM c'erano gli astronauti James A. McDivitt e Russell L. Schweickart.
24
Vista del modulo di comando e servizio e del modulo lunare agganciati tra loro durante l’EVA e ettuata dall’astronauta David Scott, pilota del modulo di comando.
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Visione d’insieme della Mission Operations Control Room presso il Mission Control Center, Edificio 30, durante la missione orbitale dell’Apollo 9. Quando è stata scattata questa fotografia, era in corso una diretta televisiva dalla navicella in orbita intorno alla Terra.
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Il modulo di comando/servizio fotografato dal modulo lunare il quinto giorno della missione orbitale terrestre Apollo 9. Al centro del CSM è visibile il meccanismo di aggancio, mentre l'antenna a banda S ad alto guadagno sporge in basso a sinistra dalla paratia di poppa del modulo di servizio.
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Il modulo lunare Apollo 9 in configurazione di allunaggio fotografato dai Command and Service Module. All'interno del LM c'erano gli astronauti James A. McDivitt e Russell L. Schweickart.
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Vista del modulo di comando e servizio e del modulo lunare agganciati tra loro durante l’EVA e ettuata dall’astronauta David Scott, pilota del modulo di comando.
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capitolo 6 l’aquila e’
atterrata Ci sono solo due problemi da risolvere quando si va sulla luna: primo, come arrivarci; e secondo, come tornare indietro. La chiave sta nel non partire prima di aver risolto entrambi i problemi. Neil A. Armstrong
A
febbraio del 1969, visti i successi delle precedenti missioni Apollo, i vertici della NASA ritennero di poter procedere con la missione più importante, quella che avrebbe portato finalmente gli astronauti a calcare il suolo lunare. In preparazione del lancio dell'Apollo 11, i lavoratori del Vehicle Assembly Building del Kennedy Space Center iniziarono ad assemblare le parti del razzo Saturn V; il primo stadio venne montato sulla piattaforma di lancio mobile il 21 febbraio, mentre il secondo e il terzo stadio vennero aggiunti il 4 e il 5 marzo.
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16 luglio 1969. Alle 9:32 l’apollo 11 accende i motori e si innalza dal Pad A del Launch Complex 39 del Kennedy Space Center.
capitolo 6 l’aquila e’
atterrata Ci sono solo due problemi da risolvere quando si va sulla luna: primo, come arrivarci; e secondo, come tornare indietro. La chiave sta nel non partire prima di aver risolto entrambi i problemi. Neil A. Armstrong
A
febbraio del 1969, visti i successi delle precedenti missioni Apollo, i vertici della NASA ritennero di poter procedere con la missione più importante, quella che avrebbe portato finalmente gli astronauti a calcare il suolo lunare. In preparazione del lancio dell'Apollo 11, i lavoratori del Vehicle Assembly Building del Kennedy Space Center iniziarono ad assemblare le parti del razzo Saturn V; il primo stadio venne montato sulla piattaforma di lancio mobile il 21 febbraio, mentre il secondo e il terzo stadio vennero aggiunti il 4 e il 5 marzo.
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16 luglio 1969. Alle 9:32 l’apollo 11 accende i motori e si innalza dal Pad A del Launch Complex 39 del Kennedy Space Center.
NEIL ALDEN ARMSTRONG Nacque a Wapakoneta, nello Stato dell’Ohio, il 5 agosto 1930. Ufficiale della United States Navy, Armstrong partecipò alla Guerra di Corea volando 78 missioni. Dopo la guerra, conseguì una laurea di primo livello presso la Purdue University e volò come pilota collaudatore presso il National Advisory Committee for Aeronautics, dove effettuò più di 2.400 ore di volo a bordo di numerosi tipi di velivoli. Tra questi Armstrong effettuò 7 voli a bordo dell'X15, raggiungendo l'altitudine massima di 68,2 km e la velocità di punta di Mach 5,74 (6.615 km/h). Entrò a far parte del NASA Astronaut Corps nel 1962. La sua prima missione spaziale fu in qualità di comandante nella missione Gemini 8, diventando uno dei primi astronauti civili. Fu designato comandante dell’Apollo 11, la sua seconda e ultima missione spaziale, in seguito alla quale Armstrong, così come i suoi due compagni di missione Collins e Aldrin, ricevette la Medaglia presidenziale della libertà dal presidente Richard Nixon. MICHAEL COLLINS Nacque il 31 ottobre 1930 al numero 16 di via Tevere a Roma, durante l’impiego militare all'ambasciata statunitense in Italia del padre. Prima di diventare astronauta, Collins si era laureato presso la United States Military Academy; arruolatosi nell'USAF, pilotò i caccia F-86 Sabre prima sulla George AFB in California e successivamente presso la base aerea di ChambleyBussieres in Francia. Nel 1960 fu accettato alla Experimental Flight Test Pilot School sulla Edwards AFB. Nel 1963, entrò a far parte del terzo gruppo di astronauti della NASA che contava quattordici membri, volando nello spazio due volte, la prima sulla Gemini 10 e la seconda sull’Apollo 11 in qualità di pilota del Modulo di Comando. Dopo essersi ritirato dalla NASA nel 1970, Collins fu Assistente Segretario di Stato per gli affari pubblici e successivamente direttore del National Air and Space Museum e sottosegretario dello Smithsonian Institution. EDWIN EUGENE “BUZZ” ALDRIN JR. Nacque a Montclair il 20 gennaio 1930. Dopo la laurea in ingegneria meccanica conseguita presso la United States Military Academy nel 1951 prestò servizio nell’USAF partecipando tra l’altro a 66 missioni di combattimento in Corea, abbattendo due MiG-15. Dopo il dottorato in astronautica conseguito presso il Massachusetts Institute of Technology, Aldrin venne selezionato come membro del terzo gruppo di astronauti della NASA, primo astronauta con un dottorato. Il suo primo volo spaziale ebbe luogo nel 1966 con la missione Gemini 12 durante la quale trascorse più di cinque ore in attività extraveicolari. Tre anni dopo, Aldrin mise piede sulla Luna, alle 03:15:16 del 21 luglio, 19 minuti dopo Armstrong. Il suo soprannome storico, “Buzz”, è stato legalizzato ufficialmente come suo primo nome nel 1988, ed è stato utilizzato dalla Walt Disney per uno dei personaggi della saga Toy Story, l'astronauta giocattolo Buzz Lightyear.
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NEIL ALDEN ARMSTRONG Nacque a Wapakoneta, nello Stato dell’Ohio, il 5 agosto 1930. Ufficiale della United States Navy, Armstrong partecipò alla Guerra di Corea volando 78 missioni. Dopo la guerra, conseguì una laurea di primo livello presso la Purdue University e volò come pilota collaudatore presso il National Advisory Committee for Aeronautics, dove effettuò più di 2.400 ore di volo a bordo di numerosi tipi di velivoli. Tra questi Armstrong effettuò 7 voli a bordo dell'X15, raggiungendo l'altitudine massima di 68,2 km e la velocità di punta di Mach 5,74 (6.615 km/h). Entrò a far parte del NASA Astronaut Corps nel 1962. La sua prima missione spaziale fu in qualità di comandante nella missione Gemini 8, diventando uno dei primi astronauti civili. Fu designato comandante dell’Apollo 11, la sua seconda e ultima missione spaziale, in seguito alla quale Armstrong, così come i suoi due compagni di missione Collins e Aldrin, ricevette la Medaglia presidenziale della libertà dal presidente Richard Nixon. MICHAEL COLLINS Nacque il 31 ottobre 1930 al numero 16 di via Tevere a Roma, durante l’impiego militare all'ambasciata statunitense in Italia del padre. Prima di diventare astronauta, Collins si era laureato presso la United States Military Academy; arruolatosi nell'USAF, pilotò i caccia F-86 Sabre prima sulla George AFB in California e successivamente presso la base aerea di ChambleyBussieres in Francia. Nel 1960 fu accettato alla Experimental Flight Test Pilot School sulla Edwards AFB. Nel 1963, entrò a far parte del terzo gruppo di astronauti della NASA che contava quattordici membri, volando nello spazio due volte, la prima sulla Gemini 10 e la seconda sull’Apollo 11 in qualità di pilota del Modulo di Comando. Dopo essersi ritirato dalla NASA nel 1970, Collins fu Assistente Segretario di Stato per gli affari pubblici e successivamente direttore del National Air and Space Museum e sottosegretario dello Smithsonian Institution. EDWIN EUGENE “BUZZ” ALDRIN JR. Nacque a Montclair il 20 gennaio 1930. Dopo la laurea in ingegneria meccanica conseguita presso la United States Military Academy nel 1951 prestò servizio nell’USAF partecipando tra l’altro a 66 missioni di combattimento in Corea, abbattendo due MiG-15. Dopo il dottorato in astronautica conseguito presso il Massachusetts Institute of Technology, Aldrin venne selezionato come membro del terzo gruppo di astronauti della NASA, primo astronauta con un dottorato. Il suo primo volo spaziale ebbe luogo nel 1966 con la missione Gemini 12 durante la quale trascorse più di cinque ore in attività extraveicolari. Tre anni dopo, Aldrin mise piede sulla Luna, alle 03:15:16 del 21 luglio, 19 minuti dopo Armstrong. Il suo soprannome storico, “Buzz”, è stato legalizzato ufficialmente come suo primo nome nel 1988, ed è stato utilizzato dalla Walt Disney per uno dei personaggi della saga Toy Story, l'astronauta giocattolo Buzz Lightyear.
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2
Il Lunar Landing Research Facility era un'area del Langley Research Center della NASA a Hampton, in Virginia, utilizzata per simulare l’allunaggio del LEM. Completato nel 1965 ad un costo di 3,5 milioni di dollari fu utilizzato da 24 astronauti, tra cui Neil Armstrong e Buzz Aldrin, per esercitarsi ad a rontare e risolvere i problemi di pilotaggio che avrebbero eventualmente incontrato negli ultimi 50 metri di discesa sulla superficie della Luna.
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7
3
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Il Lunar Landing Simulator fu il primo simulatore del LEM impiegato presso il Lunar Landing Research Facility. La fotografia, realizzata con un esposizione multipla durante una sessione di allenamento notturno, illustra bene la traiettoria finale dell’allunaggio.
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4
L’area di simulazione realizzata presso il Marshall Space Flight Center dove sono furono e ettuati i test del Lunar Roving Vehicle, durante una valutazione del veicolo proposto dalla Bendix Corporation, che non ebbe seguito. Sullo sfondo è visibile l'impianto Arm Farm.
6
Il Motor Vessel Retriever della NASA era un Landing Craft Utility della seconda Guerra Mondiale trasferito alla NASA dall'US Army e utilizzata per addestrare gli astronauti nelle operazioni di recupero in mare dei moduli di comando. Operava principalmente a Galveston Bay e nel Golfo del Messico.
"Il Lunar Landing Research Vehicle era una macchina volubile e rischiosa, ma molto utile”. Così Neil Armstrong descrisse in seguito il veicolo che permise agli astronauti di allenarsi e cacemente nelle operazioni di allunaggio in assenza di gravità. Proprio Armstrong fu il primo a sperimentare il carattere volubile del velivolo il 6 maggio 1968 quando, a bordo di uno dei primi due LLRV, perse il controllo e fu costretto ad eiettarsi a pochi metri dal suolo, rimanendo incolume, mentre il velivolo andò completamente distrutto. Armstrong completò i suoi voli di addestramento solo quattro settimane prima della missione Apollo 11, compiendo in totale 29 voli, otto dei quali in giugno.
Neil Armstrong davanti al Lunar Excursion Module Simulator con il quale e ettuò l’allenamento finale alle procedure di allunaggio.
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Il Lunar Landing Research Facility era un'area del Langley Research Center della NASA a Hampton, in Virginia, utilizzata per simulare l’allunaggio del LEM. Completato nel 1965 ad un costo di 3,5 milioni di dollari fu utilizzato da 24 astronauti, tra cui Neil Armstrong e Buzz Aldrin, per esercitarsi ad a rontare e risolvere i problemi di pilotaggio che avrebbero eventualmente incontrato negli ultimi 50 metri di discesa sulla superficie della Luna.
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Il Lunar Landing Simulator fu il primo simulatore del LEM impiegato presso il Lunar Landing Research Facility. La fotografia, realizzata con un esposizione multipla durante una sessione di allenamento notturno, illustra bene la traiettoria finale dell’allunaggio.
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L’area di simulazione realizzata presso il Marshall Space Flight Center dove sono furono e ettuati i test del Lunar Roving Vehicle, durante una valutazione del veicolo proposto dalla Bendix Corporation, che non ebbe seguito. Sullo sfondo è visibile l'impianto Arm Farm.
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Il Motor Vessel Retriever della NASA era un Landing Craft Utility della seconda Guerra Mondiale trasferito alla NASA dall'US Army e utilizzata per addestrare gli astronauti nelle operazioni di recupero in mare dei moduli di comando. Operava principalmente a Galveston Bay e nel Golfo del Messico.
"Il Lunar Landing Research Vehicle era una macchina volubile e rischiosa, ma molto utile”. Così Neil Armstrong descrisse in seguito il veicolo che permise agli astronauti di allenarsi e cacemente nelle operazioni di allunaggio in assenza di gravità. Proprio Armstrong fu il primo a sperimentare il carattere volubile del velivolo il 6 maggio 1968 quando, a bordo di uno dei primi due LLRV, perse il controllo e fu costretto ad eiettarsi a pochi metri dal suolo, rimanendo incolume, mentre il velivolo andò completamente distrutto. Armstrong completò i suoi voli di addestramento solo quattro settimane prima della missione Apollo 11, compiendo in totale 29 voli, otto dei quali in giugno.
Neil Armstrong davanti al Lunar Excursion Module Simulator con il quale e ettuò l’allenamento finale alle procedure di allunaggio.
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DALLA TERRA ALLA LUNA E RITORNO
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Un tecnico della NASA al lavoro sul tetto della “white room”, la stanza attraverso la quale gli astronauti dell'Apollo 11 entreranno nella capsula che li porterà sulla Luna.
Dopo il lancio del vettore Saturn V, nel corso del quale gli astronauti erano sottoposti ad una accelerazione di 4,5 g, e avvenuta la separazione dei due primi stadi, la navicella Apollo entrava in orbita terrestre; qui gli astronauti eseguivano le verifiche tecniche necessarie per il viaggio translunare ed effettuavano l'operazione di aggancio del CM con il LEM, che doveva essere estratto dal terzo stadio, quindi il pilota del CM eseguiva una rotazione di 180° riavvicinandosi al terzo stadio dalla parte opposta per agganciarsi con il LEM che a questo punto veniva estratto definitivamente. Una volta ottenuto il via libera da Houston, il motore del terzo stadio veniva acceso per il breve tempo necessario ad imprimere al gruppo LEM/CM la corretta accelerazione per l'immissione nella traiettoria di viaggio verso la Luna, quindi il terzo stadio si separava e veniva abbandonato alla deriva. Tutte queste operazioni erano state pianificate in modo tale che, in caso di qualsiasi guasto o problema tecnico, la navicella avrebbe comunque avuto la possibilità di un rientro di emergenza nell'atmosfera terrestre. A metà del tragitto verso la Luna, il motore del CM veniva acceso per un breve periodo permettendo l'inserimento dell'Apollo in orbita lunare a circa 110 km di altezza dal suolo, posizione considerata ideale per lo sgancio e la discesa del LEM. Una volta in orbita ed effettuate le verifiche tecniche, i due astronauti destinati a scendere sulla superficie si trasferivano all'interno del LEM e quest'ultimo si staccava dal CM. Tali attività venivano eseguite durante il sorvolo della parte nascosta della Luna, in completo silenzio radio, volando per un breve periodo in formazione con lo scopo di eseguire verifiche tecniche e controlli visivi reciproci. In particolare il pilota del CM, l'unico che non sarebbe sceso sulla Luna, verificava la corretta estensione delle gambe di atterraggio del LEM e dei sensori di atterraggio. Una volta ripristinate le comunicazioni radio con il centro spaziale di Houston, il LEM iniziava la sua discesa versa il suolo selenico. Dopo l'allunaggio e l'espletamento della missione di esplorazione e raccolta dei campioni di rocce, gli astronauti decollavano con la sola parte superiore del LEM ricongiungendosi con il CM, una volta trasferiti all'interno del quale il LEM veniva sganciato e lasciato cadere sul suolo lunare mentre il CM iniziava il suo viaggio di rientro sulla Terra seguendo una precisa traiettoria che avrebbe consentito, con eventuali opportune rettifiche di rotta, l'abbandono del modulo di servizio e il ritorno nell'atmosfera intercettando il corretto angolo di rientro. Questa operazione doveva essere eseguita con la massima precisione avendo gli astronauti margini risicati, in quanto la traiettoria corretta aveva appena 2 gradi di ampiezza; un errore avrebbe determinato la distruzione della capsula a causa dell'attrito con l'atmosfera oppure un rimbalzo verso lo Spazio infinito. Una volta imboccato correttamente il corridoio di rientro, durante il quale non c'era possibilità di comunicare con la Terra e gli astronauti venivano sottoposti ad accelerazioni fino a 5 g positivi, avveniva l'apertura dei paracadute freno e l'ammaraggio nell'Oceano Pacifico.
Il pilota del modulo di comando Apollo 11 15-16 Michael Collins durante una sessione di allenamento nel simulatore e l’equipaggio dell’Apollo 11 al termine di un test di countdown.
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La sala controllo missione di Houston poco prima del lancio dell’Apollo 11.
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DALLA TERRA ALLA LUNA E RITORNO
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Un tecnico della NASA al lavoro sul tetto della “white room”, la stanza attraverso la quale gli astronauti dell'Apollo 11 entreranno nella capsula che li porterà sulla Luna.
Dopo il lancio del vettore Saturn V, nel corso del quale gli astronauti erano sottoposti ad una accelerazione di 4,5 g, e avvenuta la separazione dei due primi stadi, la navicella Apollo entrava in orbita terrestre; qui gli astronauti eseguivano le verifiche tecniche necessarie per il viaggio translunare ed effettuavano l'operazione di aggancio del CM con il LEM, che doveva essere estratto dal terzo stadio, quindi il pilota del CM eseguiva una rotazione di 180° riavvicinandosi al terzo stadio dalla parte opposta per agganciarsi con il LEM che a questo punto veniva estratto definitivamente. Una volta ottenuto il via libera da Houston, il motore del terzo stadio veniva acceso per il breve tempo necessario ad imprimere al gruppo LEM/CM la corretta accelerazione per l'immissione nella traiettoria di viaggio verso la Luna, quindi il terzo stadio si separava e veniva abbandonato alla deriva. Tutte queste operazioni erano state pianificate in modo tale che, in caso di qualsiasi guasto o problema tecnico, la navicella avrebbe comunque avuto la possibilità di un rientro di emergenza nell'atmosfera terrestre. A metà del tragitto verso la Luna, il motore del CM veniva acceso per un breve periodo permettendo l'inserimento dell'Apollo in orbita lunare a circa 110 km di altezza dal suolo, posizione considerata ideale per lo sgancio e la discesa del LEM. Una volta in orbita ed effettuate le verifiche tecniche, i due astronauti destinati a scendere sulla superficie si trasferivano all'interno del LEM e quest'ultimo si staccava dal CM. Tali attività venivano eseguite durante il sorvolo della parte nascosta della Luna, in completo silenzio radio, volando per un breve periodo in formazione con lo scopo di eseguire verifiche tecniche e controlli visivi reciproci. In particolare il pilota del CM, l'unico che non sarebbe sceso sulla Luna, verificava la corretta estensione delle gambe di atterraggio del LEM e dei sensori di atterraggio. Una volta ripristinate le comunicazioni radio con il centro spaziale di Houston, il LEM iniziava la sua discesa versa il suolo selenico. Dopo l'allunaggio e l'espletamento della missione di esplorazione e raccolta dei campioni di rocce, gli astronauti decollavano con la sola parte superiore del LEM ricongiungendosi con il CM, una volta trasferiti all'interno del quale il LEM veniva sganciato e lasciato cadere sul suolo lunare mentre il CM iniziava il suo viaggio di rientro sulla Terra seguendo una precisa traiettoria che avrebbe consentito, con eventuali opportune rettifiche di rotta, l'abbandono del modulo di servizio e il ritorno nell'atmosfera intercettando il corretto angolo di rientro. Questa operazione doveva essere eseguita con la massima precisione avendo gli astronauti margini risicati, in quanto la traiettoria corretta aveva appena 2 gradi di ampiezza; un errore avrebbe determinato la distruzione della capsula a causa dell'attrito con l'atmosfera oppure un rimbalzo verso lo Spazio infinito. Una volta imboccato correttamente il corridoio di rientro, durante il quale non c'era possibilità di comunicare con la Terra e gli astronauti venivano sottoposti ad accelerazioni fino a 5 g positivi, avveniva l'apertura dei paracadute freno e l'ammaraggio nell'Oceano Pacifico.
Il pilota del modulo di comando Apollo 11 15-16 Michael Collins durante una sessione di allenamento nel simulatore e l’equipaggio dell’Apollo 11 al termine di un test di countdown.
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La sala controllo missione di Houston poco prima del lancio dell’Apollo 11.
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tuta pressurizzata per la prima passeggiata lunare dell'Uomo. La videocamera contenuta nel MESA venne estratta ed attivata iniziando a trasmettere le prime immagini dal suolo lunare. Erano quasi le cinque del mattino quando Armstrong iniziò a scendere incerto i pioli della scala del LEM, ostacolato dalla pesante attrezzatura. Dopo 109 ore e 7 minuti dal lancio, la telecamera eseguì egregiamente il suo lavoro trasmettendo in diretta a più di 600 milioni di persone lo storico momento in cui Armstrong poggiò per la prima volta un piede sulla Luna, non prima di una piccola esitazione sull'ultimo gradino. A suggello di questo storico momento l'altrettanto storica f rase storica “È un piccolo passo per un uomo, ma un balzo gigantesco per l'umanità”. Armstrong passeggiò da solo sulla Luna scattando foto e iniziando a raccogliere rocce lunari per 19 minuti prima di essere raggiunto da Aldrin che posizionò anche una seconda telecamera per permettere al mondo di vedere in diretta le operazioni dei due astronauti. Il cielo appariva nero, molto più scuro della notte terrestre più buia. Attorno a loro la “magnificent desolation”, come la definì Aldrin, di sabbia e rocce. La luce solare era intensissima e le ombre nette. Armstrong dirà: “Ha una bellezza tutta sua”. In questo deserto i passi dei due astronauti risultavano alquanto incerti, simili a dei piccoli e buffi balzi, mentre Armstrong proseguiva nella descrizione del suolo: “La superficie è molto fine e polverosa. Aderisce in strati sottili alla suola e ai lati dello scarpone quasi fosse polvere di carbone. I piedi affondano per meno di un centimetro, ma posso vedere le mie impronte… Non mi sembra sia molto difficile muoversi come si pensava. Camminare sulla Luna è più facile delle simulazioni
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fatte a terra. Siamo atterrati in un posto piatto e il getto del retrorazzo non ha fatto nessun cratere”. Anche Aldrin nel f rattempo era impegnato a raccogliere campioni di rocce e ad eseguire alcuni esperimenti. Tra i più importanti dei 6 previsti da un apposito comitato scientifico, un esperimento riguardava il carotaggio del suolo lunare mentre un altro era destinato a indagare sulla composizione del vento solare per mezzo di un foglio di alluminio con il quale catturare particelle solari. Mentre Aldrin lavorava a queste attività scientifiche, Armstrong allestì il sistema LRRR, composto da una serie di specchi speciali che sarebbero stati successivamente impiegati per riflettere un raggio laser inviato dalla Terra con lo scopo di monitorare costantemente la distanza TerraLuna. Dopo 2 ore e 14 minuti il tempo a disposizione degli astronauti volgeva ormai al termine e, una volta raccolto il materiale da riporre sul LEM, iniziarono le procedure di rientro. Prima di risalire i gradini del modulo lunare, gli astronauti rimossero una copertura mettendo in vista, attaccata ad una gamba del LEM, una targa con inciso un messaggio a ricordo del primo sbarco sulla Luna di un uomo: “Qui, uomini dal pianeta Terra posero piede sulla Luna per la prima volta, luglio 1969 d.C. Siamo venuti in pace, a nome di tutta l'umanità”. Finalmente per gli astronauti era giunto un meritato periodo di riposo, seppur in posizione verticale date le limitate dimensioni del LEM, ma la stanchezza era tale che Armstrong e Aldrin riuscirono ugualmente a riposare per quasi otto ore prima di essere svegliati dal centro di controllo di Houston per iniziare il viaggio di ritorno verso la Terra. Dopo due ore e mezzo di controlli
e preparativi per il decollo, a 124h 22’ dal lancio, lo stadio di risalita del LEM si staccò regolarmente dalla parte inferiore, seguendo inizialmente una traiettoria verticale fino a un'altitudine di circa 75 metri dal suolo, per poi inclinarsi gradualmente assumendo la posizione orizzontale nel punto più basso di un'orbita ellittica, con altezze di 15 e 67 km. Il momento del decollo era stato determinato con la massima precisione per ottimizzare la rotta per il rendez-vous con il modulo di comando. Furono momenti par ticolarmente convulsi, in modo particolare per Collins, come rivelò successivamente, poiché se nella fase di decollo dalla Luna qualcosa fosse andato storto l'ordine era di rientrare abbandonando al loro destino i suoi compagni; peraltro nulla avrebbe potuto fare per aiutarli. La procedura di aggancio tra Columbia ed Eagle avvenne dopo 4,5 ore dal decollo dalla Luna e fu particolarmente laborioso, prevedendo un'altra rotazione dello stadio superiore del LEM per l'attracco. Dopo l'aggancio Armstrong e Aldrin si spostarono sul modulo di comando per iniziare le operazioni di sgancio del modulo lunare, abbandonato e destinato a schiantarsi sulla superficie, mentre gli astronauti riprendevano la strada di casa. Dopo tre giorni di viaggio e poco prima di entrare nell'orbita terrestre, i tre astronauti abbandonarono anche il modulo di servizio, per poi inserirsi con precisione nel punto di rientro sulla Terra attraversando l'atmosfera alla velocità di 40.000 km/h. Il rallentamento della capsula iniziò a circa 7.000 metri con l'apertura di una prima serie di paracadute prima dell'apertura, attorno ai 3.000 metri, dei tre grandi paracadute principali che stabilizzarono la velocità di discesa attorno ai 35 km/h. Dopo 195h 18’ dal lancio, alle 16:50 GMT del 24 luglio, la
capsula di rientro toccò l'acqua dell'Oceano Pacifico con buona precisione rispetto quanto preventivato, in particolare considerando che, a seguito dell'arrivo del maltempo, all'ultimo minuto fu deciso di cambiare il punto di ammaraggio portandolo a 24 km di distanza dalla portaerei USS Hornet. Un elicottero SH-3D, decollato dalla portaerei americana, raggiunse il luogo dell'ammaraggio e alcuni sommozzatori si lanciarono in mare stabilizzando innanzi tutto la capsula cingendo il modulo di comando con un grande galleggiante arancione prima di aprire i portelli ed aiutare i tre astronauti ad uscire. Abbigliati con le speciali tute di isolamento biologico, Armstrong, Aldrin e Collins furono issati a bordo dell'elicottero; la storica missione, durata 8 giorni, 3 ore e 19 minuti, era terminata. Per gli astronauti però non era ancora tempo per i festeggiamenti, poiché appena giunti sulla portaerei furono accompagnati nella Mobile Quarantine Facility, a l l ’ i n te r n o d e l l a q u a l e d ove tte ro r i m a n e re i n isolamento per ben 21 giorni. Il primo a congratularsi con gli astronauti fu il presidente Richard Nixon, direttamente a bordo della Hornet. Finalmente il 10 agosto terminò il periodo di quarantena trascorso nella Base di Houston e gli esploratori spaziali poterono abbracciare le famiglie e godersi il meritato successo che si concretizzò con due parate a New York e a Chicago alle quali si stima assistettero più di sei milioni di americani festanti, preludio questo di una serie innumerevole di partecipazioni a cene di gala e convegni, culminate in un tour mondiale che toccò una ventina di paesi dal 29 settembre al 5 novembre di quello storico 1969.
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tuta pressurizzata per la prima passeggiata lunare dell'Uomo. La videocamera contenuta nel MESA venne estratta ed attivata iniziando a trasmettere le prime immagini dal suolo lunare. Erano quasi le cinque del mattino quando Armstrong iniziò a scendere incerto i pioli della scala del LEM, ostacolato dalla pesante attrezzatura. Dopo 109 ore e 7 minuti dal lancio, la telecamera eseguì egregiamente il suo lavoro trasmettendo in diretta a più di 600 milioni di persone lo storico momento in cui Armstrong poggiò per la prima volta un piede sulla Luna, non prima di una piccola esitazione sull'ultimo gradino. A suggello di questo storico momento l'altrettanto storica f rase storica “È un piccolo passo per un uomo, ma un balzo gigantesco per l'umanità”. Armstrong passeggiò da solo sulla Luna scattando foto e iniziando a raccogliere rocce lunari per 19 minuti prima di essere raggiunto da Aldrin che posizionò anche una seconda telecamera per permettere al mondo di vedere in diretta le operazioni dei due astronauti. Il cielo appariva nero, molto più scuro della notte terrestre più buia. Attorno a loro la “magnificent desolation”, come la definì Aldrin, di sabbia e rocce. La luce solare era intensissima e le ombre nette. Armstrong dirà: “Ha una bellezza tutta sua”. In questo deserto i passi dei due astronauti risultavano alquanto incerti, simili a dei piccoli e buffi balzi, mentre Armstrong proseguiva nella descrizione del suolo: “La superficie è molto fine e polverosa. Aderisce in strati sottili alla suola e ai lati dello scarpone quasi fosse polvere di carbone. I piedi affondano per meno di un centimetro, ma posso vedere le mie impronte… Non mi sembra sia molto difficile muoversi come si pensava. Camminare sulla Luna è più facile delle simulazioni
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fatte a terra. Siamo atterrati in un posto piatto e il getto del retrorazzo non ha fatto nessun cratere”. Anche Aldrin nel f rattempo era impegnato a raccogliere campioni di rocce e ad eseguire alcuni esperimenti. Tra i più importanti dei 6 previsti da un apposito comitato scientifico, un esperimento riguardava il carotaggio del suolo lunare mentre un altro era destinato a indagare sulla composizione del vento solare per mezzo di un foglio di alluminio con il quale catturare particelle solari. Mentre Aldrin lavorava a queste attività scientifiche, Armstrong allestì il sistema LRRR, composto da una serie di specchi speciali che sarebbero stati successivamente impiegati per riflettere un raggio laser inviato dalla Terra con lo scopo di monitorare costantemente la distanza TerraLuna. Dopo 2 ore e 14 minuti il tempo a disposizione degli astronauti volgeva ormai al termine e, una volta raccolto il materiale da riporre sul LEM, iniziarono le procedure di rientro. Prima di risalire i gradini del modulo lunare, gli astronauti rimossero una copertura mettendo in vista, attaccata ad una gamba del LEM, una targa con inciso un messaggio a ricordo del primo sbarco sulla Luna di un uomo: “Qui, uomini dal pianeta Terra posero piede sulla Luna per la prima volta, luglio 1969 d.C. Siamo venuti in pace, a nome di tutta l'umanità”. Finalmente per gli astronauti era giunto un meritato periodo di riposo, seppur in posizione verticale date le limitate dimensioni del LEM, ma la stanchezza era tale che Armstrong e Aldrin riuscirono ugualmente a riposare per quasi otto ore prima di essere svegliati dal centro di controllo di Houston per iniziare il viaggio di ritorno verso la Terra. Dopo due ore e mezzo di controlli
e preparativi per il decollo, a 124h 22’ dal lancio, lo stadio di risalita del LEM si staccò regolarmente dalla parte inferiore, seguendo inizialmente una traiettoria verticale fino a un'altitudine di circa 75 metri dal suolo, per poi inclinarsi gradualmente assumendo la posizione orizzontale nel punto più basso di un'orbita ellittica, con altezze di 15 e 67 km. Il momento del decollo era stato determinato con la massima precisione per ottimizzare la rotta per il rendez-vous con il modulo di comando. Furono momenti par ticolarmente convulsi, in modo particolare per Collins, come rivelò successivamente, poiché se nella fase di decollo dalla Luna qualcosa fosse andato storto l'ordine era di rientrare abbandonando al loro destino i suoi compagni; peraltro nulla avrebbe potuto fare per aiutarli. La procedura di aggancio tra Columbia ed Eagle avvenne dopo 4,5 ore dal decollo dalla Luna e fu particolarmente laborioso, prevedendo un'altra rotazione dello stadio superiore del LEM per l'attracco. Dopo l'aggancio Armstrong e Aldrin si spostarono sul modulo di comando per iniziare le operazioni di sgancio del modulo lunare, abbandonato e destinato a schiantarsi sulla superficie, mentre gli astronauti riprendevano la strada di casa. Dopo tre giorni di viaggio e poco prima di entrare nell'orbita terrestre, i tre astronauti abbandonarono anche il modulo di servizio, per poi inserirsi con precisione nel punto di rientro sulla Terra attraversando l'atmosfera alla velocità di 40.000 km/h. Il rallentamento della capsula iniziò a circa 7.000 metri con l'apertura di una prima serie di paracadute prima dell'apertura, attorno ai 3.000 metri, dei tre grandi paracadute principali che stabilizzarono la velocità di discesa attorno ai 35 km/h. Dopo 195h 18’ dal lancio, alle 16:50 GMT del 24 luglio, la
capsula di rientro toccò l'acqua dell'Oceano Pacifico con buona precisione rispetto quanto preventivato, in particolare considerando che, a seguito dell'arrivo del maltempo, all'ultimo minuto fu deciso di cambiare il punto di ammaraggio portandolo a 24 km di distanza dalla portaerei USS Hornet. Un elicottero SH-3D, decollato dalla portaerei americana, raggiunse il luogo dell'ammaraggio e alcuni sommozzatori si lanciarono in mare stabilizzando innanzi tutto la capsula cingendo il modulo di comando con un grande galleggiante arancione prima di aprire i portelli ed aiutare i tre astronauti ad uscire. Abbigliati con le speciali tute di isolamento biologico, Armstrong, Aldrin e Collins furono issati a bordo dell'elicottero; la storica missione, durata 8 giorni, 3 ore e 19 minuti, era terminata. Per gli astronauti però non era ancora tempo per i festeggiamenti, poiché appena giunti sulla portaerei furono accompagnati nella Mobile Quarantine Facility, a l l ’ i n te r n o d e l l a q u a l e d ove tte ro r i m a n e re i n isolamento per ben 21 giorni. Il primo a congratularsi con gli astronauti fu il presidente Richard Nixon, direttamente a bordo della Hornet. Finalmente il 10 agosto terminò il periodo di quarantena trascorso nella Base di Houston e gli esploratori spaziali poterono abbracciare le famiglie e godersi il meritato successo che si concretizzò con due parate a New York e a Chicago alle quali si stima assistettero più di sei milioni di americani festanti, preludio questo di una serie innumerevole di partecipazioni a cene di gala e convegni, culminate in un tour mondiale che toccò una ventina di paesi dal 29 settembre al 5 novembre di quello storico 1969.
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11 aprile 1969, Kennedy Space Center. Nel Manned Spacecraft Operations Building, l’Apollo Spacecraft 107 Command and Service Module viene spostato dal work stand 134 per l’accoppiamento con lo Spacecraft Lunar Module Adapter 14 in preparazione della missione Apollo 11.
15 luglio 1969. La notte prima del lancio, l'equipaggio dell'Apollo 11 partecipò a una conferenza stampa a circuito chiuso tenuta in condizioni di semi-isolamento per evitare di esporre gli astronauti a possibili malattie all'ultimo minuto.
20
15 luglio 1969. Wernher Von Braun posa orgoglioso davanti al suo razzo Saturn V, che tra poche ore porterà i primi uomini a calcare il suolo lunare.
21
16 luglio 1969. Una famiglia americana accampata nelle vicinanze del Kennedy Space Center attende il lancio dell’Apollo 11.
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11 aprile 1969, Kennedy Space Center. Nel Manned Spacecraft Operations Building, l’Apollo Spacecraft 107 Command and Service Module viene spostato dal work stand 134 per l’accoppiamento con lo Spacecraft Lunar Module Adapter 14 in preparazione della missione Apollo 11.
15 luglio 1969. La notte prima del lancio, l'equipaggio dell'Apollo 11 partecipò a una conferenza stampa a circuito chiuso tenuta in condizioni di semi-isolamento per evitare di esporre gli astronauti a possibili malattie all'ultimo minuto.
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15 luglio 1969. Wernher Von Braun posa orgoglioso davanti al suo razzo Saturn V, che tra poche ore porterà i primi uomini a calcare il suolo lunare.
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16 luglio 1969. Una famiglia americana accampata nelle vicinanze del Kennedy Space Center attende il lancio dell’Apollo 11.
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Vista ravvicinata della placca che rimase sulla Luna in 29 commemorazione della storica missione. La placca, coperta da un sottile foglio di acciaio inossidabile durante il volo, era fissata alla scaletta di accesso al LEM e recava la famosa frase: “Here men from planet Earth first set foot on the Moon July 1969, A.D. We came in peace for all mankind”.
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14 106
L'astronauta Buzz Aldrin alle prese con il Passive Seismic Experiment Package. Più indietro è visibile il Laser Ranging Retro-Reflector e, in fondo, alla sinistra della bandiera americana si intravede la Apollo Lunar Camera.
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32-33
21 luglio 1969. La Terra sorge all’orizzonte mentre l’ascend module del LEM si dirige verso il punto di rendez-vous con il modulo di comando. La grande area di colore scuro sullo sfondo è il Mare di Smyth.
L’interno del modulo di comando dell’Apollo 11, oggi conservato presso il National Air and Space Museum, mostra gli appunti scritti dagli astronauti a matita intorno agli strumenti e il “tecnologico” calendario utilizzato nel corso della missione.
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Vista ravvicinata della placca che rimase sulla Luna in 29 commemorazione della storica missione. La placca, coperta da un sottile foglio di acciaio inossidabile durante il volo, era fissata alla scaletta di accesso al LEM e recava la famosa frase: “Here men from planet Earth first set foot on the Moon July 1969, A.D. We came in peace for all mankind”.
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L'astronauta Buzz Aldrin alle prese con il Passive Seismic Experiment Package. Più indietro è visibile il Laser Ranging Retro-Reflector e, in fondo, alla sinistra della bandiera americana si intravede la Apollo Lunar Camera.
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21 luglio 1969. La Terra sorge all’orizzonte mentre l’ascend module del LEM si dirige verso il punto di rendez-vous con il modulo di comando. La grande area di colore scuro sullo sfondo è il Mare di Smyth.
L’interno del modulo di comando dell’Apollo 11, oggi conservato presso il National Air and Space Museum, mostra gli appunti scritti dagli astronauti a matita intorno agli strumenti e il “tecnologico” calendario utilizzato nel corso della missione.
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24 luglio 1969. Il presidente Richard Nixon sul ponte della USS Hornet in attesa dell'arrivo dell'equipaggio dell'Apollo 11.
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35
24 luglio 1969. Gli aero soccorritori giunti sul luogo dello splashdown dell’Apollo 11, dopo aver aiutato gli astronauti a salire sul battellino di salvataggio attendono l’arrivo dell’elicottero per il recupero con il verricello.
24 luglio 1969. 36-38 L’equipaggio dell'Apollo 11 al suo arrivo sulla portaerei Hornet riceve il primo saluto dal Presidente Nixon.
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24 luglio 1969. Il presidente Richard Nixon sul ponte della USS Hornet in attesa dell'arrivo dell'equipaggio dell'Apollo 11.
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24 luglio 1969. Gli aero soccorritori giunti sul luogo dello splashdown dell’Apollo 11, dopo aver aiutato gli astronauti a salire sul battellino di salvataggio attendono l’arrivo dell’elicottero per il recupero con il verricello.
24 luglio 1969. 36-38 L’equipaggio dell'Apollo 11 al suo arrivo sulla portaerei Hornet riceve il primo saluto dal Presidente Nixon.
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capitolo 7
gli altri
esploratori Ehi gente, sarà stato un piccolo passo per Neil, ma per me è uno grande! Charles Conrad
C
on il successo dell'Apollo 11 l'obiettivo posto dal Presidente Kennedy sette anni prima di mandare un equipaggio umano sulla Luna e di riportarlo indietro sano e salvo si era dunque realizzato, per di più entro il termine del decennio, come promesso. Ma il programma Apollo era ben più ambizioso, prevedendo ulteriori nove missioni oltre a quella portata a termine da Armstrong e dal suo equipaggio, con contenuti tecnologici e scientifici di complessità sempre maggiore da effettuarsi nei cinque anni successivi.
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11 dicembre 1972. L'astronauta Eugene A. Cernan, comandante della missione Apollo 17, esegue una breve verifica del Lunar Roving Vehicle prima dell’inizio dell’attività extraveicolare.
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gli altri
esploratori Ehi gente, sarà stato un piccolo passo per Neil, ma per me è uno grande! Charles Conrad
C
on il successo dell'Apollo 11 l'obiettivo posto dal Presidente Kennedy sette anni prima di mandare un equipaggio umano sulla Luna e di riportarlo indietro sano e salvo si era dunque realizzato, per di più entro il termine del decennio, come promesso. Ma il programma Apollo era ben più ambizioso, prevedendo ulteriori nove missioni oltre a quella portata a termine da Armstrong e dal suo equipaggio, con contenuti tecnologici e scientifici di complessità sempre maggiore da effettuarsi nei cinque anni successivi.
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11 dicembre 1972. L'astronauta Eugene A. Cernan, comandante della missione Apollo 17, esegue una breve verifica del Lunar Roving Vehicle prima dell’inizio dell’attività extraveicolare.
APOLLO 13 La missione decollò l'11 aprile 1970 alle ore 13:13 CST. Comandante dell'Apollo 13 era l'astronauta James Lovell, in sostituzione di Alan Shepard, nominato in un primo momento.Per Lovell, che aveva già volato su Gemini 7, Gemini 12 e Apollo 8, si trattò del quarto volo nello spazio, e fu il primo astronauta a raggiungere tale traguardo. Pilota del modulo di comando fu nominato in un primo momento Ken Mattingly, mentre l'incarico di pilota del modulo lunare venne conferito a Fred Haise. Mattingly fu poi sostituito dal pilota di riserva del modulo di comando, Swigert, a causa di un sospetto contagio di rosolia. Durante l'accensione del secondo stadio uno dei cinque motori J-2, quello centrale, accusò delle oscillazioni pogo e il computer spense automaticamente il propulsore prima che potesse causare danni al veicolo spaziale; per sopperire alla mancanza di spinta il controllo missione decise di far funzionare i rimanenti quattro motori più a lungo del previsto. Anche il motore J-2 del terzo stadio venne fatto funzionare più a lungo e, alla fine, la deviazione dalla traiettoria dell'orbita prevista fu minima e ininfluente per il proseguimento della missione. L'Apollo 13 Avrebbe dovuto essere la terza missione a sbarcare sulla Luna dopo quelle di Apollo 11 e 12, ma diventò invece la più drammatica e complessa operazione di salvataggio di tutto il programma spaziale americano. Il giorno 14 aprile, alle 03:07:53 UTC, dopo 55h dal lancio della missione e ad una distanza di 321.860 km dalla Terra, il Controllo Missione chiese all'equipaggio di miscelare l'ossigeno nei serbatoi per impedirne la stratificazione, una procedura standard durante le missioni lunari ma che purtroppo in questa circostanza innescò una sequenza di eventi catastrofici; i cavi che collegavano il motore al miscelatore interferirono creando una scintilla che, nell'ambiente ricco di ossigeno del serbatoio, incendiò l'isolamento del cavo. Il serbatoio 2 esplose danneggiando diverse parti del modulo di servizio, incluso il serbatoio dell'ossigeno numero 1, riducendo notevolmente la disponibilità di energia elettrica e di ossigeno. All’improvviso la laconica comunicazione del comandante Lowell “Houston, we have a problem”, risuonò sinistra nel centro di controllo missione. La perdita di entrambi i serbatoi dell'ossigeno del modulo di servizio decretò l'interruzione immediata della missione. L'incertezza circa l'integrità dell'unico propulsore che equipaggiava il modulo di comando e servizio suggerì di eseguire un passaggio attorno alla Luna e di riprendere la rotta verso la Terra, utilizzando quindi una Free Return Trajectory circumlunare. Gli astronauti si trasferirono all'interno del LM, divenuto una scialuppa di salvataggio. Uno dei problemi principali consisteva nel fatto che il LEM era predisposto per ospitare due persone per due giorni, mentre ora si trovava a dover ospitare tre persone per quattro giorni di viaggio. I filtri dell'anidride carbonica del LEM non erano sufficienti per un carico di lavoro simile ed i filtri di ricambio del CM non erano compatibili, così un team di ingegneri e tecnici della NASA dovette improvvisare un adattatore di fortuna
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utilizzando esclusivamente materiali ed oggetti presenti sulla navicella, istruendo poi gli astronauti a distanza su come costruirsi il filtro. Durante la traiettoria di ritorno, mentre sorvolava la faccia nascosta della Luna, l'altitudine dell'Apollo 13 rispetto al suolo lunare risultò superiore di circa 100 km rispetto a tutte le precedenti missioni Apollo (e anche alle successive), rappresentando tuttora il record di distanza dalla Terra per un volo con equipaggio: 400.171 km. Il ritorno, durato quattro giorni, fu freddo, scomodo e carico di tensione. Poco prima della fine della missione gli astronauti fecero ritorno nella capsula dell'Apollo per il rientro a terra, mentre il modulo lunare fu sganciato e bruciò durante l'attraversamento degli strati alti dell'atmosfera. Il 17 aprile, alle ore 13:07, il CM “Odyssey”, nome involontariamente azzeccato, ammarò nelle acque dell'Oceano Pacifico, non prima di aver regalato un ultimo brivido al mondo intero che seguiva minuto per minuto la missione: la prolungata interruzione del contatto via radio durante la fase di rientro, che di norma non superava i 3 minuti, nel caso dell'Apollo 13 durò oltre 6 minuti, facendo temere il peggio. L'equipaggio venne infine recuperato e portato a bordo della portaerei USS Iwo Jima. Il modulo di comando, in seguito ai problemi e all'esperienza acquisita con la missione Apollo 13, subì tre modifiche sostanziali che riguardarono la struttura interna del serbatoio e l'aggiunta di un terzo serbatoio d'ossigeno e di una terza batteria.
5
14 aprile 1970. La signora Marilyn, moglie dell'astronauta James Lovell, chiacchiera con il dott. Charles A. Berry, Flight Surgeon della NASA. I due si trovavano in una speciale area di osservazione che si a accia sulla Flight Control Room dove, pochi minuti dopo lo scatto di questa fotografia, sarebbe giunto l’allarme da parte dell’equipaggio dell’Apollo 13.
7
17 aprile 1970. James Lovell viene issato a bordo di un elicottero dalla USS Iwo Jima, nave di recupero principale per la missione. Lovell fu l'ultimo dei tre membri dell'equipaggio dell'Apollo 13 ad essere recuperato.
6
L’astronauta Swigert alle prese con il Portable Life Support System, ribattezzato "mail box", l’apparato studiato dai tecnici del Manned Spacecraft Center per purificare l’aria del modulo lunare utilizzando i filtri del modulo di comando.
8
18 aprile 1970. Il presidente Richard Nixon e i membri dell'equipaggio dell'Apollo 13 durante la cerimonia post-missione presso la base aerea di Hickam, nelle Hawaii. Da sinistra: Fred Haise, James Lovell e John L. Swigert.
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APOLLO 13 La missione decollò l'11 aprile 1970 alle ore 13:13 CST. Comandante dell'Apollo 13 era l'astronauta James Lovell, in sostituzione di Alan Shepard, nominato in un primo momento.Per Lovell, che aveva già volato su Gemini 7, Gemini 12 e Apollo 8, si trattò del quarto volo nello spazio, e fu il primo astronauta a raggiungere tale traguardo. Pilota del modulo di comando fu nominato in un primo momento Ken Mattingly, mentre l'incarico di pilota del modulo lunare venne conferito a Fred Haise. Mattingly fu poi sostituito dal pilota di riserva del modulo di comando, Swigert, a causa di un sospetto contagio di rosolia. Durante l'accensione del secondo stadio uno dei cinque motori J-2, quello centrale, accusò delle oscillazioni pogo e il computer spense automaticamente il propulsore prima che potesse causare danni al veicolo spaziale; per sopperire alla mancanza di spinta il controllo missione decise di far funzionare i rimanenti quattro motori più a lungo del previsto. Anche il motore J-2 del terzo stadio venne fatto funzionare più a lungo e, alla fine, la deviazione dalla traiettoria dell'orbita prevista fu minima e ininfluente per il proseguimento della missione. L'Apollo 13 Avrebbe dovuto essere la terza missione a sbarcare sulla Luna dopo quelle di Apollo 11 e 12, ma diventò invece la più drammatica e complessa operazione di salvataggio di tutto il programma spaziale americano. Il giorno 14 aprile, alle 03:07:53 UTC, dopo 55h dal lancio della missione e ad una distanza di 321.860 km dalla Terra, il Controllo Missione chiese all'equipaggio di miscelare l'ossigeno nei serbatoi per impedirne la stratificazione, una procedura standard durante le missioni lunari ma che purtroppo in questa circostanza innescò una sequenza di eventi catastrofici; i cavi che collegavano il motore al miscelatore interferirono creando una scintilla che, nell'ambiente ricco di ossigeno del serbatoio, incendiò l'isolamento del cavo. Il serbatoio 2 esplose danneggiando diverse parti del modulo di servizio, incluso il serbatoio dell'ossigeno numero 1, riducendo notevolmente la disponibilità di energia elettrica e di ossigeno. All’improvviso la laconica comunicazione del comandante Lowell “Houston, we have a problem”, risuonò sinistra nel centro di controllo missione. La perdita di entrambi i serbatoi dell'ossigeno del modulo di servizio decretò l'interruzione immediata della missione. L'incertezza circa l'integrità dell'unico propulsore che equipaggiava il modulo di comando e servizio suggerì di eseguire un passaggio attorno alla Luna e di riprendere la rotta verso la Terra, utilizzando quindi una Free Return Trajectory circumlunare. Gli astronauti si trasferirono all'interno del LM, divenuto una scialuppa di salvataggio. Uno dei problemi principali consisteva nel fatto che il LEM era predisposto per ospitare due persone per due giorni, mentre ora si trovava a dover ospitare tre persone per quattro giorni di viaggio. I filtri dell'anidride carbonica del LEM non erano sufficienti per un carico di lavoro simile ed i filtri di ricambio del CM non erano compatibili, così un team di ingegneri e tecnici della NASA dovette improvvisare un adattatore di fortuna
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utilizzando esclusivamente materiali ed oggetti presenti sulla navicella, istruendo poi gli astronauti a distanza su come costruirsi il filtro. Durante la traiettoria di ritorno, mentre sorvolava la faccia nascosta della Luna, l'altitudine dell'Apollo 13 rispetto al suolo lunare risultò superiore di circa 100 km rispetto a tutte le precedenti missioni Apollo (e anche alle successive), rappresentando tuttora il record di distanza dalla Terra per un volo con equipaggio: 400.171 km. Il ritorno, durato quattro giorni, fu freddo, scomodo e carico di tensione. Poco prima della fine della missione gli astronauti fecero ritorno nella capsula dell'Apollo per il rientro a terra, mentre il modulo lunare fu sganciato e bruciò durante l'attraversamento degli strati alti dell'atmosfera. Il 17 aprile, alle ore 13:07, il CM “Odyssey”, nome involontariamente azzeccato, ammarò nelle acque dell'Oceano Pacifico, non prima di aver regalato un ultimo brivido al mondo intero che seguiva minuto per minuto la missione: la prolungata interruzione del contatto via radio durante la fase di rientro, che di norma non superava i 3 minuti, nel caso dell'Apollo 13 durò oltre 6 minuti, facendo temere il peggio. L'equipaggio venne infine recuperato e portato a bordo della portaerei USS Iwo Jima. Il modulo di comando, in seguito ai problemi e all'esperienza acquisita con la missione Apollo 13, subì tre modifiche sostanziali che riguardarono la struttura interna del serbatoio e l'aggiunta di un terzo serbatoio d'ossigeno e di una terza batteria.
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14 aprile 1970. La signora Marilyn, moglie dell'astronauta James Lovell, chiacchiera con il dott. Charles A. Berry, Flight Surgeon della NASA. I due si trovavano in una speciale area di osservazione che si a accia sulla Flight Control Room dove, pochi minuti dopo lo scatto di questa fotografia, sarebbe giunto l’allarme da parte dell’equipaggio dell’Apollo 13.
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17 aprile 1970. James Lovell viene issato a bordo di un elicottero dalla USS Iwo Jima, nave di recupero principale per la missione. Lovell fu l'ultimo dei tre membri dell'equipaggio dell'Apollo 13 ad essere recuperato.
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L’astronauta Swigert alle prese con il Portable Life Support System, ribattezzato "mail box", l’apparato studiato dai tecnici del Manned Spacecraft Center per purificare l’aria del modulo lunare utilizzando i filtri del modulo di comando.
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18 aprile 1970. Il presidente Richard Nixon e i membri dell'equipaggio dell'Apollo 13 durante la cerimonia post-missione presso la base aerea di Hickam, nelle Hawaii. Da sinistra: Fred Haise, James Lovell e John L. Swigert.
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Gli astronauti AlanShepard, in primo piano, ed Edgar Mitchell nel simulatore di missione del modulo lunare Apollo al Kennedy Space Center durante l'addestramento prevolo per l'Apollo 14, nel mese di luglio del 1970.
11
4 novembre 1970. Alan Shepard, in primo piano, e ettua una simulazione di utilizzo del Modular Equipment Transporter in condizioni di assenza di gravità a bordo di un KC-135 della base aerea di Patrick insieme al collega Edgar Mitchell.
31 luglio 1971. 12 L'astronauta James Irwin lavora al Lunar Roving Vehicle durante
9
9 novembre 1970. Una veduta dall'alto del Launch Complex 39 presso il Kennedy Space Center, che mostra il veicolo spaziale Apollo 14 (Spacecraft 110 / Lunar Module 8 / Saturn 509) in trasferimento dal Vehicle Assembly Building al Pad A.
la prima EVA della missione Apollo 15 presso il sito di atterraggio di Hadley-Apennine, con il Mount Hadley sullo sfondo. Il LRV era soprannominato “Moonbuggy”.
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Gli astronauti AlanShepard, in primo piano, ed Edgar Mitchell nel simulatore di missione del modulo lunare Apollo al Kennedy Space Center durante l'addestramento prevolo per l'Apollo 14, nel mese di luglio del 1970.
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4 novembre 1970. Alan Shepard, in primo piano, e ettua una simulazione di utilizzo del Modular Equipment Transporter in condizioni di assenza di gravità a bordo di un KC-135 della base aerea di Patrick insieme al collega Edgar Mitchell.
31 luglio 1971. 12 L'astronauta James Irwin lavora al Lunar Roving Vehicle durante
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9 novembre 1970. Una veduta dall'alto del Launch Complex 39 presso il Kennedy Space Center, che mostra il veicolo spaziale Apollo 14 (Spacecraft 110 / Lunar Module 8 / Saturn 509) in trasferimento dal Vehicle Assembly Building al Pad A.
la prima EVA della missione Apollo 15 presso il sito di atterraggio di Hadley-Apennine, con il Mount Hadley sullo sfondo. Il LRV era soprannominato “Moonbuggy”.
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14 7 agosto 1971. Il modulo di comando Apollo 15, pochi istanti prima dello splashdown nell'Oceano Pacifico, mostra come uno dei tre paracadute principali non si sia dispiegato correttamente.
L’equipaggio dell'Apollo 16. Da sinistra: Thomas Mattingly II, John Young e Charles Duke.
18
12 dicembre 1972. L'astronauta scienziato Harrison Schmitt raccoglie campioni lunari durante la seconda EVA della missione Apollo 17. Lo gnomone in primo piano forniva un riferimento verticale e la scala di colori blu, arancione e verde serviva per determinare le dimensioni e la posizione degli oggetti nelle fotografie ravvicinate. La scala colorata era inoltre utilizzata per determinare con precisione la tonalità colore delle fotografie.
17
Il modulo di comando e servizio dell’Apollo 17 fotografato dal modulo lunare durante il rendez-vous al termine della missione sulla superficie del satellite. Eugene Cernan è stato l’ultimo astronauta a lasciare il suolo lunare.
19 dicembre 1972. L’arrivo dell’equipaggio di Apollo 17 a bordo della USS Ticonderoga, segna la fine del programma Apollo. Da sinistra: Cernan, Evans e Schmitt.
23 aprile 1972. L'astronauta John W. Young, comandante dell'Apollo 16, con un sacchetto porta campioni nella mano sinistra durante la terza e ultima EVA della missione. Notare come la Extravehicular Mobility Unit di Young sia ricoperta dalla polvere accumulata durante le lunghe passeggiate sul suolo lunare.
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14 7 agosto 1971. Il modulo di comando Apollo 15, pochi istanti prima dello splashdown nell'Oceano Pacifico, mostra come uno dei tre paracadute principali non si sia dispiegato correttamente.
L’equipaggio dell'Apollo 16. Da sinistra: Thomas Mattingly II, John Young e Charles Duke.
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12 dicembre 1972. L'astronauta scienziato Harrison Schmitt raccoglie campioni lunari durante la seconda EVA della missione Apollo 17. Lo gnomone in primo piano forniva un riferimento verticale e la scala di colori blu, arancione e verde serviva per determinare le dimensioni e la posizione degli oggetti nelle fotografie ravvicinate. La scala colorata era inoltre utilizzata per determinare con precisione la tonalità colore delle fotografie.
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Il modulo di comando e servizio dell’Apollo 17 fotografato dal modulo lunare durante il rendez-vous al termine della missione sulla superficie del satellite. Eugene Cernan è stato l’ultimo astronauta a lasciare il suolo lunare.
19 dicembre 1972. L’arrivo dell’equipaggio di Apollo 17 a bordo della USS Ticonderoga, segna la fine del programma Apollo. Da sinistra: Cernan, Evans e Schmitt.
23 aprile 1972. L'astronauta John W. Young, comandante dell'Apollo 16, con un sacchetto porta campioni nella mano sinistra durante la terza e ultima EVA della missione. Notare come la Extravehicular Mobility Unit di Young sia ricoperta dalla polvere accumulata durante le lunghe passeggiate sul suolo lunare.
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22 marzo 1967. Il Maj. Michael J. Adams accanto al primo X-15. Adams fu selezionato per il programma X-15 nel 1966 e ettuando il suo primo volo il 6 ottobre.
Lo sfortunato equipaggio dell’Apollo 1. Da sinistra: Virgil Grissom, Edward White e Roger Cha ee.
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Clifton Williams a bordo di un C-135 in cui era montato un simulacro di capsula Gemini per prove in assenza di gravità. In mano ha una Hand-Held Maneuvering Unit come quella utilizzata da Ed White durante la prima EVA.
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Elliot See e Charles Bassett in una foto u ciale della NASA.
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La piccola targa commemorativa lasciata sulla Luna presso il sito di atterraggio Hadley-Apennine dall’equipaggio dell’Apollo 15 in memoria di 14 astronauti statunitensi e cosmonauti sovietici deceduti. I nomi, posti sulla targa in ordine alfabetico, sono: Charles A. Bassett II, Pavel I. Belyayev, Roger B. Cha ee, Georgi Dobrovolsky, Theodore C. Freeman, Yuri A. Gagarin, Edward G. Givens Jr., Virgil I. Grissom, Vladimir Komarov, Viktor Patsayev, Elliot M. See Jr., Vladislav Volkov, Edward H. White II e Clifton C. Williams Jr.
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22 marzo 1967. Il Maj. Michael J. Adams accanto al primo X-15. Adams fu selezionato per il programma X-15 nel 1966 e ettuando il suo primo volo il 6 ottobre.
Lo sfortunato equipaggio dell’Apollo 1. Da sinistra: Virgil Grissom, Edward White e Roger Cha ee.
AEROFAN FOCUS | CINQUANT’ANNI FA LA LUNA
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Clifton Williams a bordo di un C-135 in cui era montato un simulacro di capsula Gemini per prove in assenza di gravità. In mano ha una Hand-Held Maneuvering Unit come quella utilizzata da Ed White durante la prima EVA.
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Elliot See e Charles Bassett in una foto u ciale della NASA.
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La piccola targa commemorativa lasciata sulla Luna presso il sito di atterraggio Hadley-Apennine dall’equipaggio dell’Apollo 15 in memoria di 14 astronauti statunitensi e cosmonauti sovietici deceduti. I nomi, posti sulla targa in ordine alfabetico, sono: Charles A. Bassett II, Pavel I. Belyayev, Roger B. Cha ee, Georgi Dobrovolsky, Theodore C. Freeman, Yuri A. Gagarin, Edward G. Givens Jr., Virgil I. Grissom, Vladimir Komarov, Viktor Patsayev, Elliot M. See Jr., Vladislav Volkov, Edward H. White II e Clifton C. Williams Jr.
capitolo 8
gli occhi della
nasa
Nella mia mente sono rimaste una serie di immagini delle cose più strane e lontane dalla normalità terrestre. Ricordo il cielo nero come la pece, la desolazione della superficie lunare. Buzz Aldrin
C
ome abbiamo potuto rivivere le grandi conquiste spaziali in prima persona, pur non avendo mai partecipato direttamente ad alcuna missione? La risposta a questa domanda, apparentemente banale, è una sola: grazie a l l e a p pa re cch i a t u re fo to g ra fi ch e e televisive appositamente sviluppate per l'impiego nello Spazio e utilizzate nei programmi Mercury, Gemini e Apollo. Senza di esse oggi potremmo “vedere” lo Spazio e la Luna solo attraverso la lettura delle testimonianze dei protagonisti diretti.
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L'astronauta Alan Bean fotografato dal comandante Charles Conrad durante la missione Apollo 12, il 20 novembre 1969, utilizzando un’apparecchio fotografico Hasselblad Data Camera. Ben visibile l’Hasselblad 500EL fissata alla tuta spaziale di Bean con una speciale imbracatura.
capitolo 8
gli occhi della
nasa
Nella mia mente sono rimaste una serie di immagini delle cose più strane e lontane dalla normalità terrestre. Ricordo il cielo nero come la pece, la desolazione della superficie lunare. Buzz Aldrin
C
ome abbiamo potuto rivivere le grandi conquiste spaziali in prima persona, pur non avendo mai partecipato direttamente ad alcuna missione? La risposta a questa domanda, apparentemente banale, è una sola: grazie a l l e a p pa re cch i a t u re fo to g ra fi ch e e televisive appositamente sviluppate per l'impiego nello Spazio e utilizzate nei programmi Mercury, Gemini e Apollo. Senza di esse oggi potremmo “vedere” lo Spazio e la Luna solo attraverso la lettura delle testimonianze dei protagonisti diretti.
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L'astronauta Alan Bean fotografato dal comandante Charles Conrad durante la missione Apollo 12, il 20 novembre 1969, utilizzando un’apparecchio fotografico Hasselblad Data Camera. Ben visibile l’Hasselblad 500EL fissata alla tuta spaziale di Bean con una speciale imbracatura.
PELLICOLE E TRASMISSIONI TV
1
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10 maggio 1966. L'astronauta Thomas Sta ord controlla la fotocamera Maurer da 16mm che verrà utilizzata per documentare il rendez-vous con il bersaglio Agena durante la missione Gemini 9.
Il primo apparecchio foto/cine appositamente progettato per le missioni spaziali fu la Maurer Data Acquisition Camera, una fotocamera in grado di realizzare anche filmati su pellicola 16mm. Impiegata a partire dal programma Gemini, venne utilizzata in particolare durante le missioni Apollo per le riprese effettuate dal LEM durante l'avvicinamento e l'atterraggio. Inoltre, tutti i filmati girati sulla superficie lunare, da non confondere con i video televisivi, vennero girati con il DAC. Durante la missione Apollo 11 il DAC fu utilizzato invece per scattare fotografie in stop motion con l'impostazione di 1 fotogramma per secondo per quasi tutta la permanenza degli astronauti sulla superficie lunare. Pochi di coloro che vissero di persona l'allunaggio dell'Apollo 11 dimenticheranno mai il momento in cui videro Neil Armstrong fare il suo “piccolo passo” quel 20 luglio 1969. Le immagini sfocate e grigie che per due ore furono trasmesse dal Mare della Tranquillità rimasero impresse negli occhi di tutti, quella notte. L’apparecchio che permise quella trasmissione televisiva era l’Apollo Lunar Television Camera. Costruita dalla Westinghouse, era un sistema apparentemente semplice costituito da una sorta di scatola che misurava 28 x 15 x 7,5 cm, pesava poco più di 3 chili e consumava 6,25 watt. Era in grado di operare a 10 o 0,65
Due apparecchi utilizzati sul volo orbitale Gemini 3 del 1965. A sinistra, una fotocamera sequenziale McDonnell da 16mm con obiettivo da 25mm f/1.9. A destra, una fotocamera Hasselblad modificata, con magazzino da 70mm e obiettivo Zeiss Planar 80mm f/2.8.
fotogrammi al secondo, a seconda del livello di luce, e aveva quattro obiettivi intercambiabili. La telecamera, montata sul LEM all'interno del Modularized Equipment Storage Assembly, trasmise in diretta i primi passi degli astronauti mentre scendevano lungo la scala del LEM. La telecamera venne quindi staccata e montata su un treppiede a poca distanza dal LEM per mostrare i progressi delle attività extra veicolari. La LTC venne utilizzata per la sola missione Apollo 11 e solo sulla superficie lunare, anche se venne imbarcata come telecamera di riserva su Apollo 13 e 14. Utilizzata su Apollo 12 e 14, la Westinghouse Lunar Color Camera era montata sul LEM all'interno del MESA, esattamente come la LTC dell'Apollo 11, e prevedeva lo stesso impiego con in più però la possibilità di trasmettere immagini a colori. Sfortunatamente il suo debutto, durante la missione Apollo 12, venne compromesso quando l'astronauta Alan Bean puntò inavvertitamente la telecamera verso il sole mentre si preparava a montarla sul treppiede. Questa azione provocò un sovraccarico nel sistema della telecamera rendendola inutilizzabile per il resto della missione. Durante la missione Apollo 14 invece, nonostante alcuni problemi di luminosità e contrasto dell'immagine, la LCC funzionò abbastanza bene.
3
Settembre 1968. L'equipaggio dell'Apollo 7 in posa con le apparecchiature foto/cine che impiegheranno durante la missione: una fotocamera Hasselblad e una Maurer DAC. Da sinistra: Walter M. Schirra Jr., Walter Cunningham e Donn F. Eisele.
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10 maggio 1966. L'astronauta Thomas Sta ord controlla la fotocamera Maurer da 16mm che verrà utilizzata per documentare il rendez-vous con il bersaglio Agena durante la missione Gemini 9.
Il primo apparecchio foto/cine appositamente progettato per le missioni spaziali fu la Maurer Data Acquisition Camera, una fotocamera in grado di realizzare anche filmati su pellicola 16mm. Impiegata a partire dal programma Gemini, venne utilizzata in particolare durante le missioni Apollo per le riprese effettuate dal LEM durante l'avvicinamento e l'atterraggio. Inoltre, tutti i filmati girati sulla superficie lunare, da non confondere con i video televisivi, vennero girati con il DAC. Durante la missione Apollo 11 il DAC fu utilizzato invece per scattare fotografie in stop motion con l'impostazione di 1 fotogramma per secondo per quasi tutta la permanenza degli astronauti sulla superficie lunare. Pochi di coloro che vissero di persona l'allunaggio dell'Apollo 11 dimenticheranno mai il momento in cui videro Neil Armstrong fare il suo “piccolo passo” quel 20 luglio 1969. Le immagini sfocate e grigie che per due ore furono trasmesse dal Mare della Tranquillità rimasero impresse negli occhi di tutti, quella notte. L’apparecchio che permise quella trasmissione televisiva era l’Apollo Lunar Television Camera. Costruita dalla Westinghouse, era un sistema apparentemente semplice costituito da una sorta di scatola che misurava 28 x 15 x 7,5 cm, pesava poco più di 3 chili e consumava 6,25 watt. Era in grado di operare a 10 o 0,65
Due apparecchi utilizzati sul volo orbitale Gemini 3 del 1965. A sinistra, una fotocamera sequenziale McDonnell da 16mm con obiettivo da 25mm f/1.9. A destra, una fotocamera Hasselblad modificata, con magazzino da 70mm e obiettivo Zeiss Planar 80mm f/2.8.
fotogrammi al secondo, a seconda del livello di luce, e aveva quattro obiettivi intercambiabili. La telecamera, montata sul LEM all'interno del Modularized Equipment Storage Assembly, trasmise in diretta i primi passi degli astronauti mentre scendevano lungo la scala del LEM. La telecamera venne quindi staccata e montata su un treppiede a poca distanza dal LEM per mostrare i progressi delle attività extra veicolari. La LTC venne utilizzata per la sola missione Apollo 11 e solo sulla superficie lunare, anche se venne imbarcata come telecamera di riserva su Apollo 13 e 14. Utilizzata su Apollo 12 e 14, la Westinghouse Lunar Color Camera era montata sul LEM all'interno del MESA, esattamente come la LTC dell'Apollo 11, e prevedeva lo stesso impiego con in più però la possibilità di trasmettere immagini a colori. Sfortunatamente il suo debutto, durante la missione Apollo 12, venne compromesso quando l'astronauta Alan Bean puntò inavvertitamente la telecamera verso il sole mentre si preparava a montarla sul treppiede. Questa azione provocò un sovraccarico nel sistema della telecamera rendendola inutilizzabile per il resto della missione. Durante la missione Apollo 14 invece, nonostante alcuni problemi di luminosità e contrasto dell'immagine, la LCC funzionò abbastanza bene.
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Settembre 1968. L'equipaggio dell'Apollo 7 in posa con le apparecchiature foto/cine che impiegheranno durante la missione: una fotocamera Hasselblad e una Maurer DAC. Da sinistra: Walter M. Schirra Jr., Walter Cunningham e Donn F. Eisele.
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AEROFAN FOCUS | CINQUANT’ANNI FA LA LUNA
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La Lunar Television Camera installata sull’Apollo 11.
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23 aprile 1972. Il cratere del Nord Ray fotografato dall'equipaggio dell'Apollo 16 dal Lunar Roving Vehicle, sul quale è montata una Lunar Color Camera.
13
23 aprile 1972. L’Ascend Module del LEM "Orion" accende il motore ripreso dalla telecamera montata sul Lunar Roving Vehicle. Controllata a distanza dal Mission Control Center della NASA a Houston, la telecamera permise per la prima volta di osservare da Terra il decollo del LEM.
L’ideatore delle Lunar Cameras, Stan Lebar, con una Apollo Lunar Television Camera nella mano sinistra e una Lunar Color Camera nella mano destra. Quest’ultimo apparecchio era equipaggiato con un obiettivo zoom Angenieux 6x25.
1
4 ottobre 1966. L'astronauta Edwin E. Aldrin Jr.durante l’addestramento a gravità zero svolto a bordo di un KC-135 dell’USAF in preparazione della missione Gemini 12. Il curioso apparecchio con il quale si sta esercitando è una fotocamera astronomica ultravioletta Maurer S-13, già utilizzata durante la missione Gemini 11 per fotografare la radiazione UV di stelle nelle lunghezze d’onda da 2.000 a 4.000 Angstrom.
1
La fotocamera astronomica ultravioletta Maurer S-13 utilizzava pellicole in bianco e nero da 70mm ed era equipaggiata con un obiettivo UV f3.3.
Gennaio 1971. L’astronauta Edgar Mitchell sistema una Lunar Color Camera nel corso della missione Apollo 14.
CINQUANT’ANNI FA LA LUNA | AEROFAN FOCUS
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23 aprile 1972. L’Ascend Module del LEM "Orion" accende il motore ripreso dalla telecamera montata sul Lunar Roving Vehicle. Controllata a distanza dal Mission Control Center della NASA a Houston, la telecamera permise per la prima volta di osservare da Terra il decollo del LEM.
L’ideatore delle Lunar Cameras, Stan Lebar, con una Apollo Lunar Television Camera nella mano sinistra e una Lunar Color Camera nella mano destra. Quest’ultimo apparecchio era equipaggiato con un obiettivo zoom Angenieux 6x25.
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4 ottobre 1966. L'astronauta Edwin E. Aldrin Jr.durante l’addestramento a gravità zero svolto a bordo di un KC-135 dell’USAF in preparazione della missione Gemini 12. Il curioso apparecchio con il quale si sta esercitando è una fotocamera astronomica ultravioletta Maurer S-13, già utilizzata durante la missione Gemini 11 per fotografare la radiazione UV di stelle nelle lunghezze d’onda da 2.000 a 4.000 Angstrom.
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La fotocamera astronomica ultravioletta Maurer S-13 utilizzava pellicole in bianco e nero da 70mm ed era equipaggiata con un obiettivo UV f3.3.
Gennaio 1971. L’astronauta Edgar Mitchell sistema una Lunar Color Camera nel corso della missione Apollo 14.
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Hasselblad 500EL simile a quelle modificate per l’impiego sulla Luna, utilizzata inizialmente per l’addestramento degli astronauti a terra. Sui due magazzini porta pellicola da 70mm sono visibili le targhette con le istruzioni per l’esposizione nelle varie condizioni di luce. relative alla preparazione degli astronauti 20-21 Due immaginiCharles Conrad e Alan Bean in vista della loro imminente missione lunare dell'Apollo 12. In alto, gli astronauti si allenano a Flagsta , in Arizona, ancora in “borghese”, mentre nella foto in basso simulano l’attività EVA completamente equipaggiati. Entrambi indossano le Hassies modificate per l’impiego sulla superficie lunare.
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Le Hasselblad “lunari”, la 500EL standard dotata di ottica da 60mm e in configurazione con l’ottica tele da 500mm espressamente studiata per la fotografia di particolari geologici interessanti.
AEROFAN FOCUS | CINQUANT’ANNI FA LA LUNA
16
L’astronauta Walter Schirra mostra ad alcuni colleghi la prima Hasselblad da lui modificata per l’impiego nello spazio. Sul tavolo è visibile una comune Hasselblad 500C.
18
Un tecnico Hasselblad esegue la manutenzione di un magazzino porta pellicola da 70mm permettendo di apprezzare la complessità dei meccanismi interni.
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Hasselblad 500EL simile a quelle modificate per l’impiego sulla Luna, utilizzata inizialmente per l’addestramento degli astronauti a terra. Sui due magazzini porta pellicola da 70mm sono visibili le targhette con le istruzioni per l’esposizione nelle varie condizioni di luce. relative alla preparazione degli astronauti 20-21 Due immaginiCharles Conrad e Alan Bean in vista della loro imminente missione lunare dell'Apollo 12. In alto, gli astronauti si allenano a Flagsta , in Arizona, ancora in “borghese”, mentre nella foto in basso simulano l’attività EVA completamente equipaggiati. Entrambi indossano le Hassies modificate per l’impiego sulla superficie lunare.
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Le Hasselblad “lunari”, la 500EL standard dotata di ottica da 60mm e in configurazione con l’ottica tele da 500mm espressamente studiata per la fotografia di particolari geologici interessanti.
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L’astronauta Walter Schirra mostra ad alcuni colleghi la prima Hasselblad da lui modificata per l’impiego nello spazio. Sul tavolo è visibile una comune Hasselblad 500C.
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Un tecnico Hasselblad esegue la manutenzione di un magazzino porta pellicola da 70mm permettendo di apprezzare la complessità dei meccanismi interni.
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“Ci sono cose che semplicemente non possono essere descritte e lo sbarco sulla Luna è una di questeâ€? Buzz Aldrin
Noi ci abbiamo provato ugualmente...
“Ci sono cose che semplicemente non possono essere descritte e lo sbarco sulla Luna è una di questeâ€? Buzz Aldrin
Noi ci abbiamo provato ugualmente...
luigino caliaro Il Dio del Sole va sulla Luna Le sonde lunari Launch Complex 39 L’incidente dell’Apollo 1 Le missioni Apollo da 4 a 10 Gli ultimi preparativi Abiti lunari Dalla Terra alla Luna e ritorno La missione Apollo 11 minuto per minuto
paolo gianvanni Il programma spaziale americano I primi vettori USA Le scimmie della NASA Mosca sceglie i cani Sulle ali di Mercurio La Liberty Bell 7 Gemelli nello Spazio Il primo a fare un salto nello Spazio Il primo in orbita Il primo a camminare nel vuoto Sedili eiettabili per la Gemini Ipotesi di sviluppo Sonde verso la Luna Il progettista capo Korolev Dalle sonde agli astronauti Il profilo di missione lunare
luciano pontolillo La nascita dell’astronautica Mercury 13 I primati sovietici L’equipaggio dell’Apollo 11 La Luna diventa (quasi) routine Apollo 13 Le altre missioni lunari Astronauti americani caduti dal 1964 al 1967 Pellicole e trasmissioni TV La Svezia va sulla Luna Il sistema ALOTS
la differenza tra fare un libro e un libro fatto bene finito di stampare nel mese di luglio 2019
Il miglior computer che si possa mettere a bordo delle navi spaziali è l'uomo, ed è l'unico che può venire prodotto in grandi quantità da personale non addestrato. Wernher Von Braun
PRODOTTO IN ITALIA
Lp1902
€ 20
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