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Storie di una cucina dimenticata

di Rosanna Scardi

TANTE RICETTE RACCOLTE E RACCONTATE NEL RICETTARIO INCREDIBILE DI ALBERTO CAPATTI

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Alberto Capatti, è uno dei più noti storici della gastronomia italiana ed è stato il primo rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche a Pollenzo: nel suo “Piccolo atlante dei cibi perduti, storie di cucina dimenticata” (Slow Food Editore, 16,50 euro) raccoglie 80 schede-racconto che riportano in vita cibi e ricette dagli anni ’30 in poi, attinti come da un negozio di antiquariato.

Capatti, questi piatti stravaganti sono arrivati ai giorni nostri?

Certo, ci sono piatti con la polenta e i fagioli che si sono trasmessi, ricette che mostrano una trasmissione continua e lenta, i cibi dimenticati e perduti sono per me, per definizione, approcci al cibo, alla preparazione e agli ingredienti anomali. Ne ho trovati di tutti i colori, Ilaria Rattazzi negli anni ‘80 consiglia di spalmare lo yogurt sulla

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faccia prima di dormire perché facilita il sonno e la bellezza, lo suggerisce anche come rimedio per una sbronza; in un ricettario d’alto profilo del 1938, ristampato nel ’70, come “La cucina pratica” di Mario Borrini, cuoco di transatlantici, si riportano i maccheroni all’inglese, bolliti e serviti nella fondina con accanto un piattino con riccioli di burro, da aggiungere a discrezione. Per la prima volta la pasta era all’italiana e non più versata su contorni e in margine alle verdure.

Ci sono ricette che si sono rivelate futuriste?

Sì, come l’arrosto in casseruola vegetariano. Ne parla il libro “Cucina vegetariana” scritto nel 1932 dal duca Enrico Alliata di Salaparuta. È una miscela di lenticchie, fagioli, piselli, usato ancora oggi. La polpetta di carne o l’hamburger si possono imitare cuocendo legumi. L’autore mi dà un meraviglioso sistema di piatti vegetariani, aggiungendo un’appendice sul crudismo. Per quell’epoca era una singolarità.

Qual è il piatto più singolare?

Il cuor di bue alla comunista, trovato nel ricettario di Reggio Emilia “La cuciniera maestra”, quando il termine “comunista” non aveva il significato che avrà in seguito, ma voleva dire popolare. Il cuore è spaccato in due senza dividere le due parti per facilitarne la cottura, poi si mette in un bagno con acqua, molto vino bianco e un bicchiere di grappa; si lascia cuocere per quattro ore e garantisco che è delizioso. Pesa un chilo e mezzo e sfama una bella tavolata. Ma nessuno oggi si sognerebbe di chiedere al macellaio un cuor di bue.

E poi ci sono occhio, orecchie, sangue che per noi non esistono più.

L’occhio di vitello, lessato, raffreddato e cotto allo spiedo con fettine di lardo, oppure alle uova, fritto o alla parmigiana, è ripetibilissimo. Mio nipote, lo chef Momi, dal ristorante a Blevio, sul Lago di Como, me lo ha preparato e servito in una sorta di lungo bicchiere: l’occhio era in fondo e mi guardava. Le orecchie di maiale, lessate ai funghi o fritte, sono andate perdute, mentre le zampe di pollo le ritrovo, farcite, nei supermercati a Firenze. Il sangue del maiale macellato in casa è citato col cioccolato fondente, in un dolce napoletano, il sanguinaccio, ma oggi è interdetto, dunque un ricordo nostalgico.

E le rane?

La rana toro di origine asiatica ha soppiantato negli allevamenti la rana di fiume. “La pacciada” di Luigi Veronelli e Gianni Brera, nel 1973, ne menziona 15 ricette: fritte dorate, nel risotto, nella zuppa, in frittata; nella sua infanzia a Milano Veronelli ricorda il venditore con la sua borsa strapiena di rane che, nelle strade, richiamava l’attenzione dei clienti.

I cibi dimenticati cosa possono insegnarci oggi?

Ci fanno capire quanto la fantasia, in cucina, sia estremamente importante, anche nel linguaggio. Un esempio è la minestra col fischio, ovvero d’eccellenza, citata nel libro “Alla ricerca dei sapori perduti nell’Appennino Bolognese” del 1993 a cura di Giorgio Maioli e Giancarlo Roversi. Una minestra banale, preparata con sugo di pancetta a dadini e conserva di pomodoro. Se invito qualcuno a cena e gli propongo una minestra col fischio si chiederà dove e cosa sia. Allora, il gioco è fatto.

Il frigorifero come ha rivoluzionato la cucina?

La sua introduzione ha radicalmente cambiato il tempo in cucina, dal punto della conservazione e della disponibilità. Non ci sono stagioni con i piselli, che sono sempre in freezer. Il frigo del 1954 aveva solo una cassetta con ghiaccio ed era un contenitore con tanti allestimenti: i cibi con odori marcati come il formaggio o profumi intensi come la frutta andavano in alto; in basso, quelli che avevano bisogno di freddo intenso, come la carne cruda. Le massaie di allora avevano sistemi e manutenzioni del frigorifero che sono andate perdute. Poi i surgelati hanno creato una nuova cucina.

Il capitolo finale è dedicato alle nonne. Cosa rappresentano?

Le nonne sono tradizione e trasmissione di un sapere perduto. Nella loro cucina si trova l’impossibile, come il gatto arrosto nelle province di Vicenza e Padova o l’olio autarchico prodotto ai tempi del duce, preparato in casa con i grassi disponibili. Le nonne vincono sempre.

Veniamo ad altre stranezze: cosa ci dice di lucertole e della sogliola al ferro da stiro? Le code di lucertola brodettate rappresentano una bizzarria. La sogliola al ferro da stiro è pura fantasia, che ho trovato in “Cuochifatui” di Pier Paolo Cornieti: suggerisce di mettere la sogliola lavata e preparata, dunque il filetto, dentro un panno e di cuocerla mettendo sopra il ferro. Poi la si “stira”. Bastano, a seconda della temperatura del vapore, 3-4 minuti.

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