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pag Ciao, sono un Akela di 21 anni

Ciao,

sono un Akela di 21 anni.

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Ciao, sono Riccardo ho 21 anni e sono uno degli Akela del Valmaremola 2 che ad Assemblea Regionale ha partecipato al gruppo di lavoro “Voce ai capi giovani”. In questi mesi ho avuto modo di ripensare a quello che ho sentito e di cui abbiamo discusso durante il tempo a nostra disposizione. Ascoltando le problematiche esposte, a mio parere, è emersa la mancanza di un collante da parte nostra, mi spiego: ho notato che per un motivo o per un altro noi giovani leve non riusciamo nell’immediato a entrare nell’ottica di come funziona una Co.Ca., su come poter affrontare certe dinamiche all’interno degli staff, con i ragazzi o con i capi più vecchi ed a far coincidere quelli che sono i nostri impegni di studio o lavoro con il servizio che abbiamo deciso di intraprendere. Con un’analisi personale più approfondita su quella che è stata la discussione, ho potuto evincere che i problemi personali con i quali dobbiamo convivere quotidianamente sono la causa del crescente abbandono dello scautismo nei primi anni di comunità capi. Potrebbe essere che da parte di noi giovani ci sia una forte mancanza di confronto e sostegno senza che però proviamo a crearcene o a trovarne uno. Forse perché non ci pensiamo, forse perché non ci conosciamo abbastanza.

Gli eventi a cui partecipiamo, che siano zone o assemblee, non ci permettono di raffrontarci su questi temi per svariati motivi, spesso legati al voler e dover affrontare delle tematiche più urgenti, tralasciando però una parte fondamentale della formazione di noi tirocinanti. È vero che l’associazione mette a nostra disposizione il CFT, ma anche in questa opportunità le cose da imparare e affrontare sono tante e a volte si lasciano indietro momenti nei quali si potrebbe parlare più apertamente e approfonditamente delle problematiche che si riscontrano nel primo anno di attività.

Ovviamente questo sentimento di incomprensione che ci fa sentire inadeguati è anche fomentato da noi stessi. Ritenendoci già estremamente occupati e con una sequela di scadenze e appuntamenti da mantenere, tendiamo a non metterci abbastanza in discussione e, a volte, pretendiamo di essere capiti senza considerare che altri capi prima di noi ci sono passati e che alcuni, invece, continuano il loro servizio barcamenandosi tra lavoro e famiglia. Altre volte, a frenarci, sono degli atteggiamenti di rigetto o di superiorità che assumiamo rispetto alla Co.Ca. perché sicuri, essendo giovani, di riuscire a capire meglio le necessità dei nostri ragazzi o pensando che, essendo appena arrivati, la nostra opinione non verrà presa in considerazione a prescindere.

Soprattutto per quest’ultimo aspetto, è fondamentale che la comunità capi entri in gioco, dimostrandosi aperta e accogliente. Proprio in questo, io e gli altri tirocinanti del mio gruppo, siamo stati fortunati, siamo entrati in una Co.Ca. che ci ha seguiti e che è stata capace di ascoltarci. Chiaro che per noi è stato comunque difficile interfacciarci con chi, fino a qualche mese prima, è stato nostro educatore e che ora è un nostro compagno di staff e di strada. Non so bene da cosa possa essere stata dettata questa aperta accoglienza, forse le età diverse dei componenti della comunità capi ha reso tutto molto più semplice e fluido, ma credo che a prescindere da tutto la cosa fondamentale sia quella di creare un ambiente accogliente e costruttivo... un ambiente di vera correzione fraterna. Non nego che alcune difficoltà le ho avute anche io, credendo di non essere ascoltato all’interno dello staff o della co.ca. ed ero riluttante ad esprimere quelle che erano le mie difficoltà, un po’ per carattere e un po’ perché non volevo sembrare il rompiscatole della situazione. Quando poi ho finalmente deciso che era venuto il momento di esprimere quelle che erano le mie perplessità, tutto si è risolto con una chiacchierata nella quale capii che erano solo mie paure e una scarsa fiducia dettata dall’insicurezza.

È ovvio che magari le nostre idee non si rivelino sempre la soluzione e che questo possa influire negativamente sul nostro servizio e sul nostro stato d’animo, ma sta a noi capire che è del tutto naturale e che bisogna mettersi in cammino per arrivare ad avere un bagaglio culturale ed esperienziale tale da sapere cosa stiamo proponendo.

Concludendo, credo che l’Agesci sia davvero un’associazione di giovani per giovani, ma dobbiamo essere anche i primi a metterci in ascolto e “rubare” il mestiere del capo da chi ci può offrire qualche anno di esperienza in più.

Spero che questa testimonianza possa essere di aiuto. Buona Strada, Riccardo

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