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pag Una tirocinante ai tempi del Corona Virus
Una tirocinante
ai tempi del coronavirus
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Immaginavo i miei ultimi mesi in Clan completamente diversi, pensavo a come poter concludere al meglio il mio servizio da scolta, ad una meravigliosa festa di fine anno, all'ultima route dove avrei condiviso la tenda con i compagni di strada, fantasticavo sulla ROSS e l'arricchimento che avrebbe potuto darmi. All'improvviso però mi sono ritrovata a concludere il mio servizio dietro uno schermo, a non fare nessuna festa di gruppo, a dormire in tenda da sola e vedere la mia ROSS annullata. Questo perché la mia, o meglio la nostra, normalità è stata spazzata via a colpi di mascherine e gel per le mani. Alla fine dello scorso anno per quanto riguarda le attività estive l’unica cosa che si salvò fu la route, così dovetti anche rinunciare al mio ultimo campo da scolta in servizio. Tuttavia, ho sempre affrontato i giorni con entusiasmo cercando di estrapolare dalle esperienze rimaste tutto ciò che l’anno dopo mi sarebbe stato utile. Non è stato solo un periodo difficile, lo è stato in uno dei momenti più delicati della vita di uno scout: il passaggio dal Clan (ciò che rappresenta tutte le tue certezze) alla Comunità Capi (contenitore di paure e responsabilità nuove). La mia Partenza fu posticipata molto più avanti rispetto alla norma, non solo perché avevo l'ardente desiderio di partecipare ad una ROSS, ma lo ammetto: avevo paura ed ero arrabbiata. Ero furiosa per essermi persa metà del mio ultimo anno di servizio come scolta, il mio ultimo anno di clan e di non aver potuto fare la ROSS, è stato come se mi avessero rubato tutte le mie piccole ultime emozioni. Dall’altra parte mi ritrovavo davanti una scelta non da poco, prendere la Partenza ed entrare in Comunità Capi nel bel mezzo di una pandemia mondiale, certo si può raccontare come fatto storico ma sul momento mi sono sconfortata. In uno dei testi più famosi di Baden Powell viene detto "Guida da te la tua canoa", io in quel momento non sapevo come fare a guidarla, mi ritrovavo davanti ad una situazione unica nel suo genere e non c'erano episodi passati da cui prendere spunto.
Dopo tanto a gennaio presi coraggio ed entrai in Comunità Capi, la novità mi portava a vivere con gioia ciò che avevo sempre voluto ma senza spensieratezza e leggerezza. Essere capo per la prima volta con il covid non è stato facile, soprattutto per i primi tempi, abituarsi a nuove regole e sapere come gestirle ci portava a proporre sempre le stesse cose ai ragazzi. Sinceramente però la cosa che pesava, e continua a pesare oggi, è il non poter creare contatto, il non potersi toccare. Abbracciarsi, prendersi per mano, donare una carezza, passarsi le stesse cose senza dover per forza lavare o disinfettare le mani, questi sono gesti naturali per l'uomo che questo tempo ci ha portato via. Per quanto riguarda le grandi novità, come ad esempio le riunioni di zona o assemblee varie, io ho vissuto tutto dietro ad uno schermo. Il non poter conoscere e non potersi far conoscere è stato estremamente pesante in certi momenti. In clan immaginavo le mie prime riunioni di zona ricolme di condivisione e scambio di idee, pensavo anche di poter vivere piccoli momenti con chi, come me, era alle prime armi. Non voglio dire che non sia stato così, ma partecipare dal vivo sarebbe stato cento volte più gratificante che dietro ad uno schermo. Nonostante tutto, in conclusione del mio primo anno in comunità capi posso dire che il coronavirus non è stato solo ed esclusivamente negativo. Grazie a ciò ho sentito un fortissimo senso di comunità all'interno del mio gruppo, anche senza potersi toccare qualcuno era sempre lì nei momenti più difficili. Mi sono sentita accompagnata e mai persa di vista, la mia Comunità Capi mi ha dato questa sensazione e io non potrei esserne più felice. Ora come ora le acque si stanno calmando, la nostra normalità ci viene a piccoli pezzi restituita e sappiamo come fronteggiare eventuali problemi. Mi ricorderò sempre che una delle sensazioni più belle di tutto l’anno mi è stata donata da un lupetto poche settimane fa che ha esclamato “Ma quindi Chill la prossima settimana facciamo un bivacco? È tantissimo tempo che non facciamo un bivacco!!” con un sorriso a trentadue denti estremamente contagioso. L’ultima tappa che mi appresto a percorrere come primo anno da capo è il campo, non posso negare di essere agitata allo stesso modo in cui non posso negare che sarà dura, ma immagino già i sorrisi che i lupetti regaleranno a me e alla mia staff. Questo basta, perché siamo lì per la loro felicità. Quello che ho voluto raccontare è un tirocinante ai tempi del coronavirus. Una persona a cui sono state rubate le sue ultime occasioni, ma riparte sempre con il sorriso e l'entusiasmo che ha nel fare il suo servizio, perché poi alla fine anche Baden Powell dice “Sulla tua rotta incontrerai difficoltà e pericoli, banchi di nebbia e tempeste. Ma, senza avventure, la vita sarebbe terribilmente monotona. Se saprai manovrare con attenzione, navigando con fedeltà ed allegra tenacia, non c’è motivo per cui il tuo viaggio non debba essere un completo successo, per piccolo che fosse il ruscello da cui un giorno sei partito.”
Sentieri (mai) interrotti
Proviamoci. Magari con la zona gialla possiamo ipotizzare un consiglio di zona in presenza. Vediamo un po’ come si mette... sarebbe importante incontrarci di nuovo di persona.
Era all’incirca Marzo 2021 quando all’interno del comitato abbiamo iniziato ad ipotizzare la possibilità di vederci in presenza. A maggio, quella che era una possibilità finalmente si è trasformata in concretezza: ci siamo finalmente rivisti!
Dopo una colazione di benvenuto, abbiamo iniziato forse con l’attività di cui sentivamo più la mancanza: il condividere. A turno, abbiamo toccato con mano gli stati d’animo delle nostre comunità capi, ma anche i punti di forza e di debolezza nell’ambito di grandi macro-temi come presenza sul territorio, sostenibilità del servizio, scelta di fede e relazioni. Forniti di evidenziatori, matite e taccuini, abbiamo raccolto le diverse suggestioni, cercando di capire quali potessero essere eventuali percorsi comuni di approfondimento da portare avanti a comunità gemellate. Siamo chiamati a ricostruire quelle che una comunità capi ha definito “relazioni interrotte”, sebbene l’impegno profuso in questi lunghi mesi a tenere accesa la fiamma del nostro servizio verso i ragazzi. Siamo chiamati ad essere capi testimoni all’interno delle nostre Diocesi, dove spesso non mancano incomprensioni e pregiudizi. Siamo chiamati a rimanere nel Suo amore, affinché ognuno di noi possa continuare a riempire di semi i solchi lasciati dietro di noi: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga»
La costruzione del progetto di zona non può prescindere dal passare dalle nostre comunità capi, dal capire su quali strade vogliamo camminare e su quali spunti siamo chiamati a metterci in gioco. E non può prescindere dal tornare al fare scautismo guardandoci negli occhi, assaporando insieme un pezzo di focaccia e un bicchiere di buon vino.