La Metallurgia Italiana - Aprile 2018

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Metallurgia Italiana

International Journal of the Italian Association for Metallurgy

n. 4 Aprile 2018 Organo ufficiale dell’Associazione Italiana di Metallurgia. Rivista fondata nel 1909


in evidenza

P R E M I O DE CARLI

2018

L’AIM bandisce il concorso per l’assegnazione del Premio Felice De Carli, consistente in una somma dell’importo di 1500 Euro e in una medaglia di ricordo recante l’effige del prof. Felice De Carli. Per concorrere al premio occorre presentare domanda, anche a mezzo e-mail, con il testo di uno o più articoli originali del concorrente oltre che il curriculum vitae e l’elenco dei lavori già pubblicati o in corso di stampa. La domanda va inviata alla Segreteria AIM, e-mail: info@aimnet.it, entro il 31 luglio 2018.

La consegna del premio avverrà nel corso del 37° Convegno Nazionale AIM, che si terrà a Bologna dal 12 al 14 settembre 2018. Per informazioni e candidature: Associazione Italiana di Metallurgia www.aimnet.it - info@aimnet.it


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n. 4 Aprile 2018 Organo ufficiale dell’Associazione Italiana di Metallurgia. Rivista fondata nel 1909

International Journal of the Italian Association for Metallurgy Organo ufficiale dell’Associazione Italiana di Metallurgia. House organ of AIM Italian Association for Metallurgy. Rivista fondata nel 1909

Direttore responsabile/Chief editor: Mario Cusolito

n. 4 Aprile 2018

Direttore vicario/Deputy director: Gianangelo Camona Comitato scientifico/Editorial panel: Livio Battezzati, Christian Bernhard, Massimiliano Bestetti, Wolfgang Bleck, Franco Bonollo, Bruno Buchmayr, Enrique Mariano Castrodeza, Emanuela Cerri, Lorella Ceschini, Mario Conserva, Vladislav Deev, Augusto Di Gianfrancesco, Bernd Kleimt, Carlo Mapelli, Jean Denis Mithieux, Marco Ormellese, Massimo Pellizzari, Giorgio Poli, Pedro Dolabella Portella, Barbara Previtali, Evgeny S. Prusov, Emilio Ramous, Roberto Roberti, Dieter Senk, Du Sichen, Karl-Hermann Tacke, Stefano Trasatti Segreteria di redazione/Editorial secretary: Valeria Scarano Comitato di redazione/Editorial committee: Federica Bassani, Gianangelo Camona, Mario Cusolito, Ottavio Lecis, Carlo Mapelli, Valeria Scarano Direzione e redazione/Editorial and executive office: AIM - Via F. Turati 8 - 20121 Milano tel. 02 76 02 11 32 - fax 02 76 02 05 51 met@aimnet.it - www.aimnet.it

Anno 110 - ISSN 0026-0843

Storia della metallurgia e beni culturali / Archaeological and historical artefacts Study of the conservation state of european street furniture in painted cast irons C. Soffritti, L. Calzolari, A. Balbo, F. Zanotto, C. Monticelli, A. Fortini, G.L. Garagnani 5 Massi-frantoio rinvenuti in scavo presso la miniera di magnetite di Pietra Bianca 2 (Biella) A. Gattiglia, M. Rossi, P. de Vingo

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Indoor and outdoor atmospheric corrosion monitoring of cultural heritage assets E. Angelini, C. E. Arroyave Posada, E. Di Francia, S. Grassini, L. Iannucci, L. Lombardo, M. Parvis 34 Attualità industriale / Industry news

siderweb

Manifestazioni AIM

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Arte e fotografia: la vita del metallo, il fascino della trasformazione a cura di Lucrezia Roda

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LA COMMUNITY DELL’ACCIAIO

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Scenari / Experts’ Corner FOLD a cura di Matteo Berra

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Atti e notizie / Aim news Review of the book “Early Indian metallurgy” (2017) - Paul T. Craddock by A. Giumlia-Mair 58 Rubrica dai Centri

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l’editoriale La Metallurgia Italiana L’applicazione delle tecniche di indagine chimica e microstrutturale, sia tradizionali che innovative, che oggi vengono condotte sui manufatti di interesse archeologico e storico-artistico può portare un contributo fondamentale per una migliore conoscenza delle leghe metalliche e delle loro lavorazioni, dalla più remota antichità a tempi storici relativamente recenti. Le informazioni acquisite possono fornire sia all’archeologo che allo storico dell’arte un sicuro aiuto di tipo strumentale per la lettura dei reperti. Un fine specifico è quello di approfondire ulteriormente, ed in modo sistematico, le conoscenze riguar-

Prof. Gian Luca Garagnani Università di Ferrara

danti i processi estrattivi, le tecnologie metallurgiche adottate per la fabbricazione degli oggetti e l’evoluzione di queste nel corso dei secoli. L'applicazione di queste metodologie analitiche impone tuttavia la soluzione preliminare di alcuni problemi. Infatti, data l'unicità dei beni artistici in studio, è preferibile disporre di "tecniche non distruttive", tali cioè da fornire il maggior numero di dati senza danneggiare il manufatto ed avere indicazioni fondamentali su difetti ed alterazioni presenti nel materiale, anche se in modo più qualitativo che quantitativo. Le "tecniche distruttive" affrontano invece il problema dell'analisi sacrificando frammenti più o meno consistenti del manufatto da studiare; danno informazioni di tipo quantitativo, con precisione ed accuratezza spesso notevolmente elevate. Le tecniche oggi impiegate, grazie al loro continuo perfezionamento, richiedono frammenti di sempre minor entità. Oltre alla caratterizzazione microstrutturale dei manufatti, è interessante anche lo studio sistematico delle scorie, delle inclusioni non metalliche e delle impurezze in tracce, che può fornire informazioni utili sulle miniere utilizzate, sugli scambi commerciali, sulle condizioni termiche e chimiche dei processi metallurgici, e quindi permette di formulare ipotesi attendibili sulle condizioni di funzionamento dei forni e sulle tecniche di riduzione adottate nell’antichità. Le moderne metodologie scientifiche contribuiscono dunque a risolvere problemi che concernono l'origine, la provenienza, la datazione, l'autenticità, o anche l'identificazione di eventuali successive manomissioni dei manufatti; nello stesso tempo è possibile conoscere l'influenza che hanno avuto le condizioni ambientali sui processi di alterazione e corrosione, e quindi risalire ai meccanismi di degrado al fine di definire le appropriate metodologie di restauro e conservazione del nostro Patrimonio Culturale.

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La Metallurgia Italiana - n. 4 2018


Storia della metallurgia e beni culturali Study of the conservation state of European street furniture in painted cast irons C. Soffritti, L. Calzolari, A. Balbo, F. Zanotto, C. Monticelli, A. Fortini, G.L. Garagnani This work evaluates the state of conservation of four painted and partially corroded post-mounted luminaries in cast irons, dating back to the nineteenth and the twentieth centuries and coming from foundries located in Italy and France. The form, distribution and size of graphite in the cast irons were evaluated by optical microscopy, in accordance with the standard EN ISO 945-1:2008. The same technique was also used to determine the constituents of the microstructures. The corrosion attack morphology, the patina stratification and the main corrosion products were characterized by scanning electron microscopy, equipped with variable pressure technology (VPSEM) and energy dispersive spectroscopy (EDS), diffuse reflectance FT-IR (DRIFT) spectroscopy and X-ray diffractometry (XRD). The protectiveness of the ancient paints was evaluated by electrochemical impedance spectroscopy (EIS). In order to check the reliability of the technique, EIS measurements were also performed on plates in modern gray cast iron with the current standard painting cycle of Neri S.p.A. (Longiano, FC, Italy), during neutral salt spray testing for 83 days (corresponding to 2000 h). The metallographic analyses showed that the microstructures were consistent with the procedures employed for manufacturing complex shape casting with variable wall thickness. On the corroded surfaces the graphitization of the cast irons was detected. This phenomenon was accompanied by the deposition of thick corrosion layers, containing lepidocrocite, goethite and impurities from the corrosive environment. No historical paints were recognized, suggesting the removal of the deteriorated paint layers, before the application of modern paint systems. Finally, the electrochemical characterization established the poor protectiveness offered by the paints on the post-mounted luminaries.

KEYWORDS: STREET FURNITURE, CAST IRONS, MICROSTRUCTURE, GRAPHITIZATION, PAINTING

INTRODUCTION In the literature, street furniture was defined for the first time by Baron Haussmann (urbanist, Prefect of Paris, France, from 1853 to 1870 CE) as ‘the group of objects or accessories which, installed in the urban space, performs a functional service for the community’. Bassi Neri and Bazzocchi [1] further considered that ‘safety, hygiene, comfort and entertainment were the requirements of the nascent bourgeoisie, and the modern city needed to respond to them. The city layout changed radically in those years, making it possible to introduce new purposely-created elements’. Thus, street furniture was a class of objects created to ease life in urban settlements, which has evolved with the human necessities during the years, and nowadays is an integral part of the city. Street lamps, benches, balconies, grids, fountains and gazebos are only some of the elements that compose the whole category and which have an ancient origin [2]. During the second half of the nineteenth century and the first decades of the twentieth century, many items intended for illumination and urban décor, as well as many architectural accessories, were made of cast iron. However, street furniture was not exclusively composed of cast iron: wrought iron was preferred for ornamental manufacturing up to the second half of the eighLa Metallurgia Italiana - n. 4 2018

C. Soffritti, L. Calzolari, A. Balbo, F. Zanotto, C. Monticelli A. Fortini,G.L. Garagnani “A. Daccò” Corrosion and Metallurgy Study Centre, Department of Engineering, University of Ferrara, Via Saragat 4a, I-44122 Ferrara, Italy

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Archaeological and historical artefacts teenth century. Over centuries, other materials were also used, such as concrete for street lamps and stone for balconies and grids. Nevertheless, cast iron alloys brought street furniture to a massive diffusion [3]. Atmospheric corrosion of ferrous alloys and deterioration of protective coatings is a serious problem for the safeguard of cultural heritage exposed to the action of natural weathering and urban pollution. Metal corrosion occurs at the surface/moisture film interface and air pollutants and particulate matter, which partially dissolve and ionize in the moisture film, can accelerate it. Solid and/or gaseous pollutants, such as SO2, NOx and CO2, under the effects of O2, temperature, humidity and sunlight may also react to form new secondary pollutants [4]. Cast irons have good resistance to atmospheric corrosion thanks to more or less corrosion-resistant phases (graphite, phosphorous eutectic and, to a lesser extent, carbides and carbide eutectic) that are largely or completely absent from steel [5]. The rate of atmospheric corrosion of cast iron is lower than that of steel, especially in the presence of high concentrations of pollutants [6]. At relative humidity (RH) lower than ~65%, atmospheric corrosion rates are usually relatively low. However, at RH above ~70%, unalloyed cast irons suffer of generalized corrosion involving the formation of mixtures of oxides and hydrated oxides similar to those in steel. In polluted atmospheres, the corrosion layer also contains sulfates, chlorides and nitrates. These corrosion rates tend to decrease with increasing exposure duration due to the formation of an adherent and highly protective layer of corrosion products [5]. The historical street furniture composed of cast irons was usually exposed to the atmosphere for fifty or even one hundred and more years, but for the majority of its exposure the surfaces were protected by paints with active pigments able to provide cathodic protection or anodic passivation [7]. Corroded surfaces of cast irons tend to crumble and flake: this phenomenon is more evident under the paint layers. The electrochemical impedance spectroscopy (EIS) is proven to be a useful technique for estimating the rate of atmospheric corrosion of metals [8–12]. It has a great advantage as a non-

destructive tool for studying the electrochemical reaction on the metal surface and for identifying cracks and/or porosity on the surface layers. In the last three decades, EIS has been successfully used for the evaluation of the protective efficiency of organic coatings and its change during exposure to corrosive environments [13] by specially designed monitoring probes, during laboratory tests as well as field trials [14–16]. Letardi et al. performed in situ EIS measurements with a special “contact probe” to determine the effectiveness of some protective coatings applied on artificially patinated coupons and real monuments [17,18]. The same probe arrangement is adopted by Balbo et al. to monitor the corrosion rate, in the presence of synthetic rainwater, of bronze and gilded bronze coupons produced with the ancient techniques employed during the Renaissance period [19]. More recently, solid state probes are designed and used in EIS measurements to evaluate the level of corrosion protection afforded by the paint coating on a steel sculpture (Toku sculpture, Canberra-Nara Peace Park, Canberra, Australia) [20]. Our study evaluates the state of conservation of four painted and partially corroded post-mounted luminaries in cast irons, dating back to the nineteenth and the twentieth centuries and coming from foundries located in Italy and France. The results of the investigations on the cast irons microstructure are presented. Microstructural features are used for evaluating manufacturing procedures. The study of the corrosion attack morphology, the patina stratification and the main corrosion products is also performed to elucidate the corrosion process. Finally, the electrochemical characterization is carried out for estimating the protectiveness of paints applied on the surface of the examined artefacts. MATERIALS AND METHODS In order to preserve the objects from further damage, most of the investigations were carried out on fragments collected from the artefacts. A summary of characteristics of the studied fragments, i.e. the origin, the year of manufacturing, the nationality of the foundries, together with the performed experimental procedure (conventional/non-destructive/in situ) are listed in Tab. 1.

Tab. 1 – Summary of the studied fragments with information on year of manufacturing, nationality of the foundries and performed experimental analyses (conventional/non-destructive/in situ). / Elenco dei frammenti analizzati, con indicazione dell’anno di produzione della nazionalità della fonderia di provenienza e della tipologia di tecnica utilizzata su ciascun frammento. Investigations Fragment

Year

Nationality of the foundry

Conventional

In situ

Non-destructive

Metallography

SEM/EDS

1_Enna

1880-1890

Italy

x

x

2_Bergamo

1900

n.r.

x

x

3_Imola

1929

Italy

x

x

4_Nice

1930

France

x

x

XRD

x

FT-IR

EIS

x

x

x

x

x x

x

n.r. = non reported 6

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Storia della metallurgia e beni culturali The microstructural characterization was performed on some representative fragments obtained from the longitudinal section (sample observed in the direction of the metal surface) and from the cross section (sample observed across the thickness of the metal). The fragments were embedded in cold mounting resin, polished and analyzed by conventional metallographic techniques. The analyses of the cast irons microstructure before chemical etching were carried out by a Leica MEF4M optical microscope (OM) (Leica, Wetzlar, Germany), to determine the form, distribution and size of graphite, in accordance with the standard EN ISO 945-1:2008. The microstructure was analyzed after chemical etching with Nital 4 (4% nitric acid in ethanol) by both optical microscopy and scanning electron microscopy. The scanning electron microscope was a Zeiss EVO MA 15 (Zeiss, Oberkochen, Germany) equipped with an energy dispersive microprobe (EDS), operating in variable pressure conditions (VPSEM). The patina stratigraphy was investigated on the cross sections, in non-etched conditions, by VPSEM/EDS. The coating thickness was non-uniform and difficult to be correctly estimated due to the degradation conditions. It resulted to be around 200 μm in all cases, with the exception of 2_Bergamo sample which was thinner (about 100 μm). Both paints and corrosion products collected from the fragments were analyzed by diffuse reflectance FT-IR (DRIFT) spectroscopy with a Thermo-Scientific Nicolet iS50 spectrometer (Thermo Fisher Scientific, Waltham, USA). The spectrometer was purged with dry, CO2-free air generated with a Balston 75-52 unit and a deuterated triglycine sulfate (DTGS) detector was used to investigate the region from 4000-400 cm-1 with a resolution of 4 cm-1. Paint samples were obtained by abrading the painted post surfaces with a SiC abrasive sampling stick and the scrapings were analyzed on SiC substrate. The samples of corrosion products were directly collected from post surfaces and, before the analysis, were ground and mixed with potassium bromide. In addition, the samples collected from the surfaces of the fragments were analyzed by X-ray diffraction (XRD) technique. The XRD spectra were acquired by a Bruker D8 diffractometer (Bruker, Billerica, USA), using a Cu Ka radiation source with a 40 kV accelerating voltage and a 40 mA filament current: Θ–2Θ scans from 6° to 130° were

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performed, with a 0.02° step size and a 10 s dwell time. The protectiveness of paints of the samples 1_Enna and 2_Bergamo was evaluated by electrochemical impedance spectroscopy (EIS). In order to check the reliability of the technique, EIS measurements were also performed on samples in modern gray cast iron (plates 5.5 x 10 cm in size, approximately), subjected to the current standard painting cycle (thickness about 200 μm) of Neri S.p.A. (Longiano, FC, Italy). The modern gray cast iron samples were monitored by collecting EIS spectra during exposure to neutral salt spray test (5% sodium chloride dissolved in deionized water), after 15, 42 and 83 days (corresponding to 360, 1000 and 2000 hours). The tests were performed by using an EIS probe for in situ electrochemical characterization of coatings on outdoor real components and structures (similar to that already used in [19]), that was placed in contact with the samples by interposing a cloth soaked with a natural mineral water having constant conductivity (222 μS·cm-1 at 20 °C). The spectra were recorded after about 20 min monitoring of the open circuit potential (EOCP), when the EOCP variations were lower than 2 mV/10 min. For these tests, a PAR EG&G 273A potentiostat (Princeton Applied Research, Princeton, USA) was used, coupled with a FRA Solartron 1260 frequency response analyzer (Ametek, Berwyn, USA), under the following experimental conditions: ±10 mV rms alternating potential signal; 1MHz – 1 mHz frequency range. RESULTS Microstructural characterization The optical micrographs of the microstructure observed on the cross sections of cast irons before chemical etching are shown in Fig. 1. In accordance with the standard EN ISO 9451:2008, samples 1_Enna (Fig. 1a), 2_Bergamo (Fig. 1b) and 3_Imola (Fig. 1c) were characterized by lamellar graphite of Type B (rosette grouping with random orientation). For samples 1_Enna and 2_Bergamo, the graphite lamellae were between 0.12 and 0.25 mm in length, while on sample 3_Imola lamellae lengths in the range of 0.06 and 0.12 mm were measured. The sample 4_Nice (Fig. 1d) showed Type D lamellar graphite (fine, randomly oriented graphite flakes in the interdendritic position) with length shorter than 0.015 mm.

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Archaeological and historical artefacts

Fig. 1 – Optical micrographs of the microstructure observed on the cross sections of cast irons before chemical etching: (a) sample 1_Enna; (b) sample 2_Bergamo; (c) sample 3_Imola; (d) sample 4_Nice. / Micrografie ottiche rappresentative della microstruttura delle ghise in sezione trasversale ed in assenza di attacco metallografico: (a) campione 1_ Enna; (b) campione 2_Bergamo; (c) campione 3_Imola; (d) campione 4_Nice.

Fig. 2 – Optical micrographs of the microstructure observed on the cross sections of sample 1_Enna (a, b) and sample 2_Bergamo (c, d), after chemical etching. / Micrografie ottiche rappresentative della microstruttura dei campioni 1_Enna (a, b) e 2_Bergamo (c, d) in sezione trasversale e dopo attacco metallografico.

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Storia della metallurgia e beni culturali

Fig. 3 – VPSEM backscattered electron images of the cross section of the corrosion patina, observed on the surface of the sample 2_Bergamo: (a) overview of the patina; (b) detail of the inner layer. / Micrografie VPSEM in modalità elettroni retrodiffusi rappresentative della patina di corrosione osservata sulla superficie del campione 2_Bergamo: (a) visione generale della patina di corrosione; (b) dettaglio dello strato interno di corrosione.

Fig. 2 shows the optical micrographs of 1_Enna and 2_Bergamo cross sections after chemical etching. In the first case (Fig. 2a and b), the microstructure was characterized by the presence of pearlite, ferrite close to the graphite rosettes (white areas in Fig. 2a), steadite (eutectic of iron phosphide Fe3P and iron, Fig. 2b), and impurities in the form of polygonal shape particles. The semi-quantitative EDS analyses highlighted that the amounts of sulfur and manganese detected in these polygonal shape par-

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ticles were higher than in the metal matrix. In the 2_Bergamo sample (Fig. 2c and d), characterized by a pearlitic microstructure with uniformly distributed steadite, a higher amount of impurities than that observed on the cross section of the sample 1_ Enna was detected. The microstructures of the cross sections of samples 3_Imola and 4_Nice were similar to that of the sample 2_Bergamo, but with very few impurities.

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Archaeological and historical artefacts

Fig. 4 – VPSEM backscattered electron images (upper left corner), layered image of X-ray maps (upper center) and maps of elemental distribution in the cross section of the sample 3_Imola. / Micrografia VPSEM in modalità elettroni retrodiffusi (in alto a sinistra), sovrapposizione di mappe di raggi X (in alto al centro) e mappe rappresentative della distribuzione degli elementi chimici nella sezione trasversale del campione 3_Imola.

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Storia della metallurgia e beni culturali Characterization of the corrosion phenomena An example of the stratigraphy of the corrosion patina observed on the surfaces of the examined cast irons is shown in the VPSEM backscattered electron images of Fig. 3. Two distinct layers of corrosion products were recognizable: an inner layer (indicated by letter A in Fig. 3a) characterized by non-uniform penetration inside the less noble alloy phase (Fig. 3b), and an external one on the top (indicated by letter B in Fig. 3a). The VPSEM/EDS mapping of the corrosion patina and paint on the cross section of the sample 3_Imola is reported in Fig. 4. The EDS maps measured on the inner layer of corrosion suggested that the selective attack of the matrix essentially produced iron corrosion products. Inside the outer corrosion layer, iron oxides were visible, admixed with elements from the corrosive environment (e.g. K and Al from particulate matter). The EDS maps also highlighted that the corrosion patina was overlain by a multilayer paint. Beginning from the outer corrosion layer, the paint was composed of a Pb-rich layer, a S- and Ba-rich layer, and a Ti-rich layer. The VPSEM/EDS mapping performed on the sample 2_Bergamo showed that the stratification of the corrosion products and paint was similar to that observed on sample 3_Imola. In the 1_Enna and 4_Nice samples the EDS maps on the layers of corrosion products were similar to those in Fig. 4. However, in the paint layer of 1_Enna sample only Ba-, S- and O-rich parti-

cles (likely BaSO4) were detected, whereas Zn-rich particles were identified in the paint layer of the sample 4_Nice. The FT-IR spectra of the paint samples are showed in Fig. 5a. The paints spectra were complicated by the presence of additional components in the paint formulation, such as the pigments, extenders and dryers that exhibited their specific absorption peaks, making the identification of the paints a complex task. In all spectra the typical vibration of aliphatic functional groups was present, related to symmetric and asymmetric C-H stretching and C-H deformation bands (occurring respectively at 2926 cm-1 and 2856 cm-1 and at 1452-1413 cm-1) and a large band centered around 3400 cm-1 related to OH stretching. The samples 1_Enna and 2_Bergamo showed a strong and intense peak at 1733 cm-1 related to the stretching of the carbonyl group. In addition to a strong band present in the region 1285-1175 cm-1 involving the stretching of the carboxylic group bonds, a further IR band near 1030 cm-1, related to the stretching of O-C bond in the O-CH2 group, was observed. These findings suggested that these coatings were alkyd resins. The sample 2_Bergamo Red Layer collected from the layer beneath the paint, showed, in the low energy portion of the spectrum, three peaks at 550, 529 and 429 cm-1 related to the presence of minium (Pb3O4).

Fig. 5 – FT-IR spectra of (a) paints and (b) corrosion products collected on post-mounted luminaries exposed outdoor. / Spettri FT-IR relativi alle vernici (a) e ai prodotti di corrosione (b), visibili sulla superfice dei lampioni oggetto di studio.

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Archaeological and historical artefacts In Fig. 5b, the FT-IR spectra collected on the corrosion products scraped from the post surfaces are reported. All the spectra appeared quite similar: the peak at 1022 cm-1 and the shoulder at 1127 cm-1 were related to the in plane Fe-O-H bending, while the peaks at 760 and 476 cm-1 were related to the out of plane Fe-O-H bending. All these characteristic peaks indicated the presence of lepidocrocite (Îł-FeOOH) [21,22] in all the samples. The peaks at 884 and 623 cm-1 also suggested the occurrence of a small amount of goethite (Îą-FeOOH) [21,22]. The large band in the range 3100-3600 cm-1 was related to OH stretching of hydroxyl groups of both goethite and lepidocrocite, but it was also probably related to the vibration of water in crystal structure, as confirmed by the presence of a shoulder at 1650 cm-1. The shoulder detected at 529 cm-1 on the samples 1_Enna, 2_

Bergamo and 4_Nice could be related to the presence of minium, but the XRD spectra highlighted the presence of the crystalline form of this compound, together with anatase (TiO2), only in the samples 2_Bergamo and 3_Imola. The spectra also indicated the presence of some organic compounds (band at 2800-3000 cm-1 and peaks around at 1480 and 1380 cm-1) probably due to the deposition of organic substances or to the residues of the original paint. In all samples, the VPSEM/EDS observations highlighted the presence of both flower-like pattern and the foam-like morphology of the lepidocrocite (Fig. 6a), and the cloudy or cotton-ball-like microstructure associated to the goethite (Fig. 6b).

Fig. 6 – VPSEM images of the corrosion products observed on the surface of the examined samples: (a) detail of lepidocrocite; (b) detail of goethite. / Micrografie VPSEM rappresentative dei prodotti di corrosione osservati sulla superfice dei campioni indagati: (a) dettaglio della lepidocrocite; (b) dettaglio della goethite.

Electrochemical characterization Fig. 7 shows the EIS spectra in Nyquist format, recorded on 1_ Enna and 2_Bergamo samples (carrying the original paint layers, Fig. 7a) and on the plates in modern gray cast iron with the standard Neri S.p.A. coating (Fig. 7b), the latter after 15, 42 and 83 days of exposure to the salt spray test. The EIS spectra mainly showed two time constants: the high frequency (HF) one corresponds to the semicircle at frequencies higher than 103 Hz (for the ancient samples) or 101 Hz (for the modern one) and the low frequency (LF) one is related to the arc

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at frequencies lower than 1 Hz (for the ancient samples) or 10-1 Hz (for the modern one). For a defective organic coating [23,24], the HF time constant is linked to the porous coating properties, while the LF one to the charge transfer at the bottom of the coating pores. In the case of the sample 2_Bergamo also a third time constant was detectable at intermediate frequencies (around 102 Hz), which could be related to the dielectric properties of the corrosion product layer formed underneath the protective coating [25,26]. The shape of the spectrum of 1_Enna sample did not exclude that this time constant was also present but overlapped to the LF one. La Metallurgia Italiana - n. 4 2018


Storia della metallurgia e beni culturali The HF range of the EIS spectra related to the coating dielectric properties were analyzed by using a simple parallel R-C circuit, to evaluate the coating pore resistance, Rpore, and the coating capacitance, Cc [25]. The corrosion behavior of the metal substrate was evaluated by estimating the polarization resistance value, Rp, as the limit of the LF capacitive semicircle for frequency tending

to 0. Rp is known to be inversely proportional to the corrosion rate [25]. All the obtained parameters are reported in Table 2. For the modern gray cast iron sample exposed to the salt spray test for 15 days, the second semicircle in the Nyquist plot was characterized by too few scattered data, thus the Rp value was not evaluated.

Fig. 7 – EIS spectra in Nyquist format, recorded on (a) 1_Enna and 2_Bergamo samples and on the plates in modern gray cast iron (b). / Spettri EIS, sotto forma di diagrammi di Nyquist, registrati (a) sui campioni 1_Enna e 2_Bergamo, e sulle lastrine in ghisa grigia moderna (b). Tab. 2 – Values of Rpore (Ω·cm2), Cc (F·cm-2) and Rp (Ω·cm2) obtained from EIS fitting with the adopted equivalent circuit. / Valori di Rpore (Ω·cm2), Cc (F·cm-2) e Rp (Ω·cm2) ottenuti dopo fitting dei dati EIS mediante il circuito equivalente adottato. Sample

Rpore (Ω·cm2)

Cc (F·cm-2)

Rp (Ω·cm2)

Modern gray cast iron after 15 days in salt spray test

3.9 ·107

1.7 ·10-10

-

Modern gray cast iron after 83 days in salt spray test

2.1 ·107

2.0 ·10-10

9.8 ·107

1_Enna

6.3 ·104

7.0 ·10-11

2.4 ·106

2_Bergamo

4.0 ·104

1.7 ·10-10

2.6 ·106

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Archaeological and historical artefacts Rpore values of the coating on the modern gray cast iron remained higher than107 Ω·cm2 until the end of the exposure to the salt spray test. The corresponding Cc values only slightly increased during the test indicating that it offered a high barrier effect against water absorption [27]. Rpore values of the ancient paints were more than two orders of magnitude lower than those of the modern one, suggesting that they were affected by many pores and cracks. The Cc value of 1_Enna sample was smaller than those measured on the modern paint, while that of 2_Bergamo was equal. Capacitances are proportional to the dielectric constant of the coatings (ε) and inversely proportional to their thickness. Dry conditions are present in both ancient paints, due to their persistence in indoor conditions for many years and due to the short measurement time in contact with mineral water. These conditions induce low coating ε values and justify the low Cc value measured on 1_Enna sample, as this ancient and the modern coatings have comparable thickness. In the case of 2_Bergamo, Cc is comparable to those measured on the modern paint and this could be connected to the lower coating thickness. The estimated Rp values of the ancient samples were more than one order of magnitude lower than that on modern gray cast iron at the end of salt spray test exposure, evidencing the higher corrosion rates of the underlying metal due to the scarce residual protectiveness of the ancient coatings. DISCUSSION This work evaluates the conservation state of European street furniture in painted and partially corroded cast iron artefacts. All examined cast irons can be classified as gray cast irons. The distribution of the lamellar graphite of Type B in samples 1_Enna, 2_Bergamo and 3_Imola is frequently encountered on alloys solidified with an intermediate degree of undercooling, whereas the distribution of type D and the very fine graphite lamellae of the sample 4_Nice forms typically under a relatively high degree of undercooling [28]. All metalworks show microstructures with high steadite contents. It is known that the presence of steadite is due to the addition of phosphorus. This element lowers the melting point and improves the fluidity of cast iron alloys, thus favoring the manufacturing of complex shape castings with thin wall thickness (e.g. castings for European street furniture) [28]. The study of the patina stratification, the main corrosion products and corrosion attack morphology suggests that a specific corrosion phenomenon occurred. In an outdoor environment, where paints are partially removed and/or damaged, acidic rainwater starts to corrode cast iron alloys. As the ferrous matrix corrodes, the more noble graphite further promotes the attack of the surrounding metal by the galvanic coupling effect. The graphitic corrosion residue is impregnated with corrosion products of iron: lepidocrocite, characterized by a flower-like pattern and a foamlike morphology, and goethite with a cloudy or cotton-ball-like microstructure (as identified by FT-IR and VPSEM/EDS). The affected surfaces show a compact layer of graphite, rust and impurities (as confirmed by the scanning electron microscope observations), that may inhibit further damage. The cast iron elements retain their appearance and shape, but undergo a mechanical 14

weakening. This phenomenon is referred to in the literature as graphitization, graphitic or spongy corrosion [5,7,28]. The examinations of paints applied on the surfaces of cast irons indicate the use of pigments (TiO2 and likely BaSO4), alkyd resins and minium as a passivating primer layer. According to the literature, the most common coating system detected on historical ironworks was a traditional oil paint composed of turpentine solvent, linseed oil binder, pigments and additives, mainly driers. These were usually applied over a primer containing pigments: red ochre with a small proportion of white lead in the seventeenth and early eighteenth centuries, and red lead (minium) in linseed oil primers in the late eighteenth and nineteenth centuries. Red lead formed lead soaps with linseed oil, which became an elastic and tough film, impervious to water. At least two slowdrying linseed-oil based finish layers were applied over a red lead primer [7]. From the 1930s on, the most common replacement for traditional oil paints was the painting with alkyd resins. These materials provided the advantage of a higher layer thickness from one application and faster drying than the traditional oils [4]. The electrochemical characterization of paints further confirmed the capability of EIS technique in evaluating the conservation state of ancient painted artefacts [9,11,12] and the barrier property variations in modern coatings even when not detectable by visual observation [29]. CONCLUSIONS Our study investigates the state of conservation of four painted and partially corroded post-mounted luminaries, dating back to the nineteenth and the twentieth centuries and coming from foundries located in Italy and France. The microstructure of the cast irons was consistent with the procedures employed for manufacturing complex shape casting with variable wall thickness. The Italian castings were composed of lamellar graphite of Type B and with lamellae between 0.06 and 0.25 mm in length. For the samples 2_Bergamo and 3_Imola, the microstructure was pearlitic with a high amount of steadite and manganese sulfides. The microstructure of the sample 1_Enna was similar, but with ferrite close to the graphite rosettes. The French casting had lamellar graphite of Type B, with lamellae length shorter than 0.015 mm and a microstructure similar to that of samples 2_Bergamo and 3_Imola. The study of the patina stratification, the main corrosion products and corrosion attack morphology indicated the graphitization of cast irons. This phenomenon was accompanied by the deposition of thick layers of corrosion, containing lepidocrocite, goethite and impurities from the corrosive environment. On the examined fragments, no historical paints were detected, suggesting the removal of the deteriorated paint layers from the surfaces, before the application of modern paint systems. Finally, the electrochemical characterization established the poor protectiveness offered by the paints on the post-mounted luminaries.

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Storia della metallurgia e beni culturali ACKNOWLEDGEMENTS Dr Raffaella Bassi Neri and Dr Antonio Neri, NERI Foundation – The Italian Museum of Cast Iron (Longiano, FC, Italy), are gratefully acknowledged for providing the cast iron artefacts investigated in the present work.

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Storia della metallurgia e beni culturali Massi-frantoio rinvenuti in scavo presso la miniera di magnetite di Pietra Bianca 2 (Biella) A.Gattiglia - M. Rossi - P. de Vingo I massi-frantoio, mezzi tecnologici per la frantumazione/macinazione del minerale in sinergia con frantumatori manuali litici o metallici, sono noti in siti archeologici dalla preistoria al medioevo e in fonti iconografiche protomoderne. A pochi metri dagli ingressi della miniera di magnetite di Pietra Bianca 2 (alta val Sessera, Biella) sono presenti cinque massi-frantoio, quattro dei quali rinvenuti in scavo nel 2017 tra i blocchi di crollo dei muri di una forgia tardosettecentesca. La presenza, accanto alla forgia, dei resti di un forno di riduzione diretta suggerisce tuttavia che i massi-frantoio risalgano a età pre-/protomoderna e che i fabbri del XVIII secolo li abbiano reimpiegati come materiale edilizio, così come si osserva nel vallone del Fournel (Hautes-Alpes, Francia). Per il Piemonte questi reperti rappresentano in ogni caso una novità tecnologica, qui indagata da più punti di vista (petrografico, funzionale, lessicale) al fine di fornirne un più preciso inquadramento crono-culturale.

KEYWORDS: ARCHEOLOGIA MINERARIA, MASSO-FRANTOIO MANUALE, FRANTUMATORE MANUALE, COMMINUZIONE MANUALE, ALTA VAL SESSERA, ETÀ PRE-/PROTOMODERNA, FONTI ICONOGRAFICHE IL SITO In alta val Sessera (Biella), nella regione di Pietra Bianca soprastante l’area archeo-siderurgica attrezzata di Rondolere, è nota da tempo una miniera di magnetite preindustriale (Pietra Bianca 2, PB2, 1 253-1 273 m) [1, p. 157-159; 2, p. 281283; 3, p. 151-152]. Durante l’età moderna lo sfruttamento è documentato a due riprese: da una infeudazione perpetua del duca Emanuele Filiberto del 1570 [4], a cui si possono collegare le escavazioni caratterizzate da assenza di fori di barramina (un cantiere sotterraneo, una trincea a cielo aperto con camere di abbattimento laterali), e da un permesso di coltivazione ventennale del re Vittorio Amedeo III risalente al 1784 [5, p. 85, 89 (nota 5)], a cui vanno ricondotte le escavazioni a polvere pirica (due cantieri più profondi, una galleria, un traverso banco). Di quest’ultima fase estrattiva esistono riscontri tanto archeologici, quanto chimico-petrografici: nel cantiere più profondo si sono infatti rinvenuti frammenti di un piatto e di un coperchio in ceramica a taches noires di fine XVIII secolo [6, p. 60, 64 (fig. 35a/D)], mentre analisi di laboratorio hanno dimostrato che la magnetite di PB2 ha alimentato l’alto forno di Rondolere, attivo nel periodo 1788-1804 [7; 8; 9; 10; 3, p. 152-153, 179]. Sul versante immediatamente sottostante la miniera si trovano vari resti di occupazione legati all’estrazione [2, p. 281-283] (fig. 1): – ruderi di quattro piccole costruzioni in pietra a secco (E1, E2, E3, E4, 1 243-1 250 m), incassati nel pendio mediante il taglio di terrazzini artificiali e collegati da sentieri (S1, S2, S3), costruiti anche con blocchi mineralizzati o recanti fori di barramina, La Metallurgia Italiana - n. 4 2018

provenienti dall’interno della miniera; – bassi muri di terrazzamento (M1, M2) delimitanti una piazzola (PT) antistante l’ingresso del traverso banco (TB, 1 254 m); – discariche minerario-metallurgiche di varia composizione (DM1, DM2, DM3, 1 235-1 261 m); – iscrizione rupestre «İ784 / P •» su di un masso delimitante E4 (IR, 1 248 m: dato il contesto, «P» può essere abbreviazione di «Permissione») [11, p. 110; 6, p. 26]; – piccolo masso in monzonite con faccia superiore lievemente concava e artificialmente lisciata (MF1, 1 249 m).

Anna Gattiglia, Maurizio Rossi Il Patrimonio Storico-Ambientale (AIPSAM), Corso Tassoni 20, I-10143 Torino; Collaboratori del Dipartimento di Studi Storici, Università degli Studi di Torino, Via Sant’Ottavio 20, I-10124 Torino

Paolo de Vingo Dipartimento di Studi Storici, Università degli Studi di Torino, Via Sant’Ottavio 20, I-10124 Torino

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Archaeological and historical artefacts

Fig. 1 - Miniera Pietra Bianca 2. Planimetria quotata delle strutture esterne con evidenziazione in rosso dei massi-frantoio rinvenuti in posto (MF1) o tra i materiali di crollo dell’edificio E1 (MF2, MF3, MF4, MF5). 1÷142 = vertici plani-altimetrici; CT1 = ingresso di cantiere di abbattimento pre- o protomoderno (ante 1671); DM1 = falda detritica con frammenti di pareti di forno di riduzione preo protomoderno (= F) e minerale magnetitico (= M); DM2÷DM3 = discariche con minerale magnetitico; E1÷E4 = ruderi di edifici minerari moderni (1784-1804); IR = masso con iscrizione rupestre (1784); M1÷M2 = muri moderni (1784-1804); PC = piattaforma contemporanea (2003); PT = piazzola all’ingresso del traverso-banco moderno; S1÷S3 = sentieri; TB = ingresso del traverso-banco moderno (1784-1804). Sui margini sono indicate le coordinate del reticolo UTM-WGS84. / Pietra Bianca 2 mine. Measured site plan of the outer structures with highlighting in red of the anvil-stones found in situ (MF1) or among the rubble of building E1 (MF2, MF3, MF4, MF5). 1÷142 = planimetric and altimetric stations; CT1 = entrance to the pre-/proto-modern stope (ante 1671); DM1 = debris layer with fragments of the walls of the pre-/proto-modern bloomery furnace (= F) and magnetite ore (= M); DM2÷DM3 = spoil banks with magnetite ore; E1÷E4 = ruins of modern mining buildings (1784-1804); IR = boulder with carved inscription (1784); M1÷M2 = modern walls (1784-1804); PC = contemporary platform (2003); PT = area at the entrance to the modern crosscut; S1÷S3 = paths; TB = entrance to the modern crosscut (1784-1804). The coordinates of the grid UTM-WGS84 are indicated in the margins. 18

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Storia della metallurgia e beni culturali La vicinanza di MF1 alla miniera (25 m al massimo) e la sua somiglianza con blocchi lapidei adibiti alla frantumazione manuale del minerale, noti da altri siti archeo-minerari delle Alpi Occidentali [12, p. 89-91; 13, p. 41-42] e da fonti iconografiche di area tirolese e lorenese [14, p. 113, 270; 15, p. 36-37, 78; 16, p. 38; 17, p. 234 (n. 8); 18, p. 594 (fig. 154a)], inducono ad attribuire al reperto la funzione di masso-frantoio. Alla fine del XVIII secolo la comminuzione era ormai affidata da più di due secoli a frantoi idro-meccanici a pestelli [19, p. 219223; 20, p. 58-66; 21, p. 3, sez. I, tav. IX ], come hanno anche specificamente dimostrato le ricerche storico-archeologiche in alta val Sessera [5, p. 68-69, 72, 75; 22, p. 93-98]: l’impianto di PB2 va quindi ricondotto a una fase estrattiva precedente. Lo stesso vale per la discarica DM1, che in stratigrafia si frappone tra l’humus e il deposito colluviale derivante in parte da morena pedogenizzata che costituisce la copertura olocenica del versante, formando una falda a conoide di oltre 70 m² al cui apice sta il terrazzino artificiale di E1. Oltre che da micascisti autoctoni (20%) e ganga con minerale magnetitico (30%), lo scheletro di

DM1 è infatti formato per il 50% da blocchi e blocchetti di argilla indurita termoalterata, rossiccia o grigia scura, talora scorificata, che le analisi chimiche hanno riconosciuto come frammenti del rivestimento interno di un forno metallurgico giunto a 1200 °C di temperatura [7]: dato il contesto, si ritiene che si tratti un forno di riduzione diretta della magnetite di età pre-/protomoderna, le cui macerie sarebbero state allontanate lungo il pendio dai minatori tardosettecenteschi. LO SCAVO ARCHEOLOGICO Tenuto conto della distribuzione di tali macerie sul versante e dell’assenza fra esse di resti riconducibili al fondo del forno, si è ipotizzato che le fondazioni di questo non siano andate completamente distrutte, ma si trovino ancora sepolte nelle vicinanze o al di sotto di E1 o E2. È infatti verosimile che, se i ruderi dell’impianto fusorio pre-/protomoderno esistevano ancora nel 1784, essi siano stati spianati per far posto alle nuove costruzioni.

Fig. 2 - Edificio E1. Distribuzione dei materiali archeologici rinvenuti nello strato di crollo PCv, con quote indicate in m (per le quote reali occorre sommare 1240 m). Grigio chiaro = massi frantoio; beige = blocchi con fori di barramina; magenta = minerale magnetitico; rosso = minerale ferromagnetico polverulento (?ematite terrosa); salmone = argilla termoalterata; ciano = scorie; +++ = carboni di legna; grigio scuro = manufatti in acciaio; nero = ceramiche; verde = frantumatore manuale 5971:3 rinvenuto nel sottostante strato LSBc e contorni degli impianti in elevato della forgia tardosettecentesca che erano ricoperti dallo strato PCv (F2 = banco di forgia, F4 = banco da lavoro). / Building E1. Distribution of archaeological material found in the rubble layer PCv, with levels indicated in metres (for actual levels, add 1,240 m). Light grey = anvil-stones; beige = boulders with gad holes; magenta = magnetite ore; red = pulverised ferromagnetic mineral (?earthy haematite); salmon pink = thermally altered clay; cyan = slag; +++ = charcoal; dark grey = steel artefacts; black = pottery; green = hand-held hammerstone 5971:3 found in the underlying LSBc layer and outlines (elevation) of the structures of the late eighteenth-century forge which were covered by the PCv layer (F2 = forge workbench, F4 = workbench). La Metallurgia Italiana - n. 4 2018

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Archaeological and historical artefacts Allo scopo di verificare tale ipotesi, nel 2017 è stato avviato lo scavo archeologico del terrazzino di E1 (1 243 m). L’intervento, condotto dal Dipartimento di Studi Storici dell’Università degli Studi di Torino, si svolge nel quadro del programma Piemonte archeo-minerario (http://www.aipsam.org/rete/rete.htm), con il sostegno dell’Unione Montana dei Comuni del Biellese Orientale e di EZ Real Estate (proprietario dei terreni in cui si trova il sito archeo-minerario). E1 si è rivelato come un edificio a pianta rettangolare con superficie interna di 4x2 m² (fig. 2). Sono venuti in luce, allineati contro il muro Nord, gli impianti di una forgia della fine del XVIII secolo (banco di forgia, banco da lavoro con probabile base per incudine, lastricati, accumuli di residui siderurgici) [http://www.fastionline.org/excavation/micro_view.php?fst_ cd=AIAC_4495&curcol=sea_cd-AIAC_9350; 23], mentre le fondamenta del forno non sono per ora state localizzare. La totale assenza di argilla termoalterata sui muri e sulle altre strutture tardosettecentesche conferma comunque che tale materiale non ha relazione con il funzionamento della forgia, ma è eredità di un impianto anteriore. Sotto l’humus, l’interno del vano era occupato da un ammasso di pietrame edilizio (= PCv, ‘pietrame caotico a vacui’), con spessore massimo di 0.68 m e volume complessivo stimabile ≤ 4 m³, formatosi per deterioramento postfunzionale e progressivo crollo naturale delle fasce superiori dei muri perimetrali di E1 a causa dell’erosione e della forza di gravità. Lo strato si componeva di blocchi e meno frequenti blocchi lastroidi ultradecimetrici in giacitura caotica (talora ulteriormente dislocati dalla vegetazione), privi di segni di sbozzatura a fine edilizio e di tracce di legante, con ampi e profondi vacui e scarsa matrice di limo debolmente sabbioso bruno ad abbondante componente di origine vegetale, senza malta disgregata. La natura petrografica è varia: prevalgono i micascisti del substrato, per lo più a spigoli vivi, in parte prelevati dallo sterile della miniera (5 hanno fori di barramina), frammisti con blocchi subarrotondati in gneiss massicci, monzoniti e rare metabasiti, provenienti dalla copertura colluviale del versante, ma di originario apporto morenico. Secondo la documentazione storica, nel 1807 la miniera era già improduttiva da alcuni anni [3, p. 152-153]: l’abbandono della forgia installata presso l’ingresso del traverso banco deve perciò risalire ai primi anni del XIX secolo e, più precisamente, al più tardi al 1804, anno di scadenza della concessione di Vittorio Amedeo III; il crollo delle strutture deve essere iniziato poco dopo

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tale anno, perdurando sino all’epoca attuale. Lo strato PCv inglobava sporadici materiali archeologici riferibili alle attività lavorative (e anche culinarie) delle maestranze: 21082 g di minerale magnetitico, 53 g di possibile ematite, 637 g di scorie di vario tipo, 1150 g di carboni di legna, resti di 7 chiodi da calzatura, 4 chiodi da carpenteria, 1 scalpello da fabbro, 1 barretta, 1 lamiera, 1 borchietta e 1 semilavorato in acciaio, 2 frammenti di ceramica invetriata arancio e 1 frammento di ceramica nuda tornita del tardo XVIII secolo, 1 frammento di ceramica a taches noires dell’ultimo ventennio del XVIII secolo simile a quella rinvenuta nella miniera, 1 frammento osseo di probabile Ruminante parzialmente combusto dopo spolpatura. Vi erano però anche materiali che è oggettivamente difficile inquadrare in una forgia tardosettecentesca: 3 frammenti di ugelli in terracotta scorificata, apparentemente simili agli esemplari dei bassi forni altomedievali di Les Boulies a Boécourt (Jura svizzero, 550-650 d.C.) [24, p. 58-63] e di Mont Chemin a Martigny (Valais, 545-669 d.C.) [25, p. 49, 56-58], 187 frammenti della già ricordata argilla indurita termoalterata e 4 blocchi lapidei caratterizzati dalla presenza di incavi artificiali arrotondati lisci, più o meno grandi, profondi ed evidenti, aventi forma di vaschette (fig. 2, 4, 5, 6). Questi blocchi, denominati MF2, MF3, MF4 e MF5, stavano in un’area ristretta del settore Sud-Est di E1, nel livello più superficiale dello strato, in giacitura inclinata, disordinatamente frammisti a pietrame ordinario; MF2, MF4 e MF5 erano gli uni vicini agli altri, MF2 e MF5 addirittura embricati; data la posizione di ritrovamento, è probabile che provengano dai muri perimetrali Nord-Est di E1, settore in cui si trova la soglia di un’apertura (F8) di cui non è per ora nota la funzione. Sono simili a MF1, per quanto più profondamente scavati, e per le stesse ragioni di quello potevano avere funzione di massi-frantoio. Nello strato sottostante al crollo (= LSBc, ‘limo sabbioso bruno carbonioso’), ai piedi del banco di forgia F2 (fig. 2), è inoltre stato raccolto un ciottolo subarrotondato in gneiss massiccio con quarzo e pirosseno sodico (reperto 5971:3; determinazione petrografica di P. Rossetti), alcune delle cui superfici, contigue tra loro, sono molto lisce e ricoperte da una patina rossiccia cosparsa di puntiformi microcicatrici da percussione: la forma e le dimensioni ergonomiche del reperto (in cm, 14.5x9.5x8, peso 2291 g; fig. 4, 8), che si presta a essere impugnato, inducono a riconoscervi un frantumatore manuale e a ipotizzare che esso sia stato usato in sinergia con i massi-frantoio.

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Storia della metallurgia e beni culturali I MASSI-FRANTOIO I cinque massi prescelti per servire alla comminuzione manuale sono dei poliedri irregolari concavi-convessi con un numero imprecisabile di facce non modificate mediante sbozzatura. La natura geologica di quattro di essi (due gneiss massicci, due monzoniti; determinazioni petrografiche di M. Biasetti) parrebbe indicare che si siano selezionati i più duri litotipi locali, sennonché MF5 è un micascisto fissile e piuttosto fragile. Nella

descrizione che segue i reperti sono assimilati per comodità a poliedri irregolari a sei facce, indicate con le lettere A-F. Le vaschette artificiali si trovano di norma su di una sola faccia piana (denominata A), che proprio per questa sua caratteristica è stata più delle altre ritenuta idonea all’uso; fanno eccezione MF2, che ha vaschette anche sulla faccia C, debolmente ondulata e contigua ad A (con cui forma un angolo di circa 90°), e MF5, la cui faccia A è fortemente ondulata. I contorni delle vaschette non sono perfettamente circolari, bensì lievemente ellittici (fig. 7).

Fig. 3 - Masso-frantoio in posto MF1, con fenomeni di distacco di schegge gelive (6880:1). / Anvil-stone in situ MF1, with detachment of frost-shattered shards (6880:1).

MF1 (fig. 1, 3). Masso in monzonite di apporto morenico. Subarrotondato. In posto poco a monte di E1, a circa 7 m di distanza in direzione della miniera, fra le strutture E2 ed E3, a lato del sentiero S3; faccia A rivolta verso l’alto. Immerso nell’humus attuale; non ancora sottoposto a scavo ma verosimilmente poggiante sulla copertura colluviale, che, non inglobando frammenti di roccia con fori di barramina, deve essersi formata prima dell’inizio dello sfruttamento minerario tardosettecentesco; la posizione coincide probabilmente con l’area in cui avveniva la frantumazione manuale del minerale in età pre- o protomoderna. Faccia A: piana, con ampio risalto a calotta occupante circa un terzo della superficie; tra la parte piana e la calotta si insinua una fessura geliva ad andamento orizzontale. Facce laterali (solo in parte visibili) generalmente subarrotondate; la metà Nord della faccia Ovest e la parte inferiore della faccia Nord La Metallurgia Italiana - n. 4 2018

mostrano però vecchie cicatrici di distacco di schegge gelive, smussate o localmente ancora acute/subacute; una scheggia geliva distaccatasi dal lato verticale della calotta è discesa a terra, disponendosi di coltello accanto al masso. Una vaschetta a contorno ellittico e pareti inclinate nella faccia A; l’incavo artificiale è meno evidente e meno profondo di quelli di MF2, MF3, MF4 e MF5, in quanto localizzato sul fondo di una conchetta naturale del masso. Dimensioni (in cm): faccia A = 60x51, superficie con vaschetta = 45x27, calotta = 38x25, altezza da terra della faccia A = 12÷26. Dimensioni della vaschetta (misure dirette in cm): assi 11x10, profondità 1.2.

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Archaeological and historical artefacts

Fig. 4 - Massi-frantoio rinvenuti in scavo. In alto, MF2, MF3, MF4 e MF5 dopo l’asportazione dell’humus. Al centro, MF2 all’atto del rinvenimento e dopo il recupero. In basso, particolare di due delle vaschette di MF2 e ipotesi di funzionamento in sinergia con il frantumatore 5971:3. / Anvil-stones found during the excavation. Above, MF2, MF3, MF4 and MF5 after removal of the topsoil. Centre, MF2 at the moment of discovery and after recovery. Below, detail of two of the basins of MF2 and hypothetical functioning together with the hand-held hammerstone 5971:3.

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Storia della metallurgia e beni culturali

Fig. 5 - Massi-frantoio rinvenuti in scavo. In alto, MF3 all’atto del rinvenimento e particolare delle sue vaschette. Al centro e in basso, MF4 e MF5 dopo il recupero e particolari delle loro vaschette. / Anvil-stones found during the excavation. Above, MF3 at the moment of discovery and detail of its basins. Centre and below, MF4 and MF5 after recovery and details of their basins.

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Archaeological and historical artefacts MF2 (= reperto 5890:7; fig. 1, 2, 4, 6). Ciottolone in gneiss massiccio di apporto morenico. Subarrotondato tendente ad arrotondato. Reimpiegato nei muri della forgia tardosettecentesca e successivamente coinvolto nel loro crollo; poggiante sullo spigolo formato dalle facce E ed F; faccia A rivolta a Est, faccia C rivolta a Ovest. Immerso per 0÷4 cm nel sedimento associato ai materiali lapidei di crollo. Proveniente dal muro M14 o dallo spazio soprastante la soglia F8. Faccia A: piana con risalto marginale piano dovuto a scistosità e brevi fessure inframillimetriche lungo i piani di scistosità. Faccia B: lievemente ondulata, usurata. Faccia C: lievemente ondulata, solo in parte lisciata nelle vaschette. Faccia D: lievemente ondulata, usurata, come B ma con pieghe smussate su parte della superficie. Faccia E: lievemente ondulata, usurata, come B ma con depressione marginale subarrotondata al confine con A. Faccia F = piana, usurata. I margini subarrotondati di

buona parte della faccia C si differenziano dagli altri, che sono arrotondati e privi di discontinuità: la faccia C si è infatti formata per il distacco di una grande calotta del ciottolone originario, evento relativamente antico e non attribuibile ad azione umana. Tre vaschette a contorno ellittico e pareti inclinate, di cui la n. 1 nella faccia A, le n. 2 e 3 nella faccia C. Dimensioni massime delle facce (in cm): A = 39x25, B = 26x25, C = 50x31, D = 36x26, E = 36x24, F = 42x29. Dimensioni delle vaschette (misure indirette in cm): n. 1, assi = 9.3x8.2, profondità = 2.8; n. 2, assi = 13.4x12.2, profondità = 3.6; n. 3, assi = 6.6x5.6, profondità = 1.4.

Fig. 6 - Massi-frantoio rinvenuti in scavo. Rappresentazioni microtopografiche a isoipse (equidistanza = 1 mm; rilievo mediante laser scanner). / Anvil-stones found during the excavation. Microtopographies with contour lines (equidistance = 1 mm; laser scanning survey).

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Storia della metallurgia e beni culturali MF3 (= reperto 5880:5; fig. 1, 2, 5, 6). Blocco lastroide in gneiss massiccio con un livello quarzoso su di un margine, di apporto morenico. Subacuto. Reimpiegato nei muri della forgia tardosettecentesca e successivamente coinvolto nel loro crollo; poggiante sulle facce E ed F; faccia A rivolta a Ovest. Immerso per 0÷10 cm nel sedimento associato ai materiali lapidei di crollo. Proveniente dal muro M13 o dal muro M14. Faccia A: piana, debolmente rugosa, lisciata all’interno delle vaschette ma non nelle areole circostanti, con fratture marginali. Faccia B: margini subacuti, localmente acuti per fratture recenti. Faccia C: irregolare, in parte subacuta, in parte subarrotondata, con pronunciata cresta mediale. Faccia D: piana, margini subacuti. Faccia E: margini subarrotondati con frattura subacuta. Faccia F: irregolare con superfici di frattura subacute, fessure inframillimetriche lungo i piani di scistosità e pigmentazioni arancio-giallastre formatesi verosimilmente per il prolungato interramento nel terreno ferruginoso della forgia. Tre vaschette a contorno ellittico e pareti inclinate nella faccia A; la n. 2 interessa marginalmente il livello quarzoso. Dimensioni massime delle facce (in cm): A = 45x41, B = 26x13, C = 46x14, D = 25x11, E = 46x9, F = 48x15. Dimensioni delle vaschette (misure indirette in cm): n. 1, assi = 10.5x9.7, profondità = 2.1; n. 2, assi = 8.8x6.8, profondità = 1.0; n. 3, assi = 6.9x6.6, profondità = 0.9. MF4 (= reperto 5780:1; fig. 1, 2, 5, 6). Ciottolone in monzonite di apporto morenico. Subarrotondato. Reimpiegato nei muri della forgia tardosettecentesca e successivamente coinvolto nel loro crollo; poggiante sulla faccia B; faccia A rivolta a Ovest. Immerso per 0÷10 cm nel sedimento associato ai materiali lapidei di crollo. Proveniente dal muro M14 o dallo spazio soprastante la soglia F8. Faccia A: piana, solo lievemente ondulata, lisciata nella vaschetta n. 1 e su parte delle areole circostanti. Faccia B: vagamente piramidale, non lisciata. Faccia C: presenta una concavità presso il confine con A, lisciata nella parte adiacente alla vaschetta. Faccia D: lievemente convessa, con solchi e altre depressioni

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lineari da subacute a subarrotondate. Faccia E: originariamente liscia e convessa, mostra oggi una depressione mediamente rugosa causata dal distacco subrecente di parte della calotta. Faccia F: piana, lisciata, con margine subacuto lungo una faccia obliqua intermedia con C. Una vaschetta a contorno ellittico e pareti inclinate nella faccia A. Dimensioni massime delle facce (in cm): A = 34x32, B = 30x28, C = 30x26, D = 42x36, E = 32x32, F = 32x27. Dimensioni della vaschetta (misure indirette in cm): n. 1, assi = 12.2x11.7, profondità = 5.0. MF5 (= reperto 5790:31; fig. 1, 2, 5, 6). Lastrone in micascisto del substrato locale a marcata scistosità innescata da grosse lamelle di mica. Prevalentemente subarrotondato, con un margine acuto formatosi a seguito di una recente fratturazione longitudinale parallela ai piani di scistosità (impossibile precisare se naturale o artificiale). Reimpiegato nei muri della forgia tardosettecentesca e successivamente coinvolto nel loro crollo; poggiante sulla faccia A; faccia F (opposta ad A) rivolta a Ovest. Immerso per 0÷20 cm nel sedimento associato ai materiali lapidei di crollo. Proveniente dal muro M14. Faccia A: fortemente ondulata con fessure longitudinali lungo i piani di scistosità, mediamente rugosa con frequenti gradinetti dovuti alla scistosità; interno della vaschetta marcatamente più liscio, nonostante la conformazione gradinata dovuta alla scistosità. Faccia B: acuta, ossidata. Facce C, D, E: subarrodondate. Faccia F: irregolare, con estesa fratturazione secondo la scistosità e compresenza di due superfici differenti per andamento ed età. Una vaschetta a contorno ellittico e pareti inclinate nella faccia A. Dimensioni massime (in cm) = 80x55, spessore massimo = 12 (con forte assottigliamento verso la faccia B); prima della fratturazione poteva trattarsi di un lastrone trapezoidale con base maggiore = 70, base minore = 42, altezza = 58, spessore maggiore di quello attuale. Dimensioni della vaschetta (misure indirette in cm): assi = 9.3x9.1, profondità = 2.6.

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Archaeological and historical artefacts

Fig. 7 - Confronto tipometrico tra le vaschette dei massi-frantoio di PB2, le coppelle di un masso in gneiss di Santa Maria di Doblazio (Pont Canavese, Torino) e la coppella su lastrina in micascisto eclogitico, con probabile funzione metallurgica, dalla Bòira Fusca (Cuorgné, Torino). / Typometric comparison between the basins of the anvil-stones of PB2, the cup-marks of a gneiss boulder from Santa Maria di Doblazio (Pont Canavese, Turin) and the cup-mark on a thin slab of eclogitic micaschist, with probable metallurgical function, from Bòira Fusca (Cuorgné, Turin).

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Storia della metallurgia e beni culturali

Fig. 8 - Probabile frantumatore manuale (5971:3) ricavato da un ciottolo in gneiss massiccio di formato ergonomico, con alcune superfici molto lisce e ricoperte da una patina rossiccia localmente interessata da microcicatrici puntiformi da percussione. / Probable hand-held hammerstone (5971:3) made from an ergonomically-shaped gneiss pebble with some extremely smooth surfaces, covered by a reddish patina with areas of punctiform micro-scars caused by percussion.

LA TERMINOLOGIA L’archeologia mineraria italiana non dispone per ora di un lessico tecnico univoco, consolidato e condiviso dagli studiosi. Per definire impianti, utensili, lavorazioni, maestranze, minerali e così via e per descrivere i processi minerari, mineralurgici e metallurgici si impiega una quantità esagerata di lemmi, in parte acriticamente mutuati dalle fonti storiche. Anche restando in un ambito cronologico relativamente ristretto come quello medievale-moderno, queste propongono una grande varietà terminologica, con sfumature dialettali difficili da uniformare: si può scorrere ad esempio il lessico della siderurgia indiretta raccolto da E. Baraldi per i secoli XII-XVII nella sola area bresciano-bergamasca [26]. Trovandosi nella necessità di denominare i mezzi tecnologici descritti al capitolo precedente, che nell’archeologia mineraria piemontese rappresentano probabilmente una novità, è perciò parso opportuno approfondire gli aspetti terminologici a essi legati. Nella bibliografia archeo-mineraria, gli impianti per la frantumazione manuale del minerale sono definiti mortiers, meules o enclumes in francese, mortar stones in inglese, Unterslagsblöcke, Unterlagplatten o Erzmühle in tedesco, incudini in italiano; gli utensili impiegati sono denominati percuteurs, masses, marteaux, broyeurs o pilons in francese, pestles, hammer

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stones o rock-crushing hammers in inglese, Schlägel in tedesco, macinelli o pestelli in italiano [27, p. 185-186 (fig. 58); 12, p. 89-91; 13, p. 41; 28, p. 58-63; 29, p. 282; 30, p. 83, 85; 31, p. 25-39; 32, p. 102 (fig. 17)]. Nell’italiano archeologico corrente, ‘mortaio’ è normalmente il contenitore di pietra, terracotta, porcellana o metallo in cui si frantumano manualmente, con l’aiuto di un ‘pestello’ litico, ligneo o metallico o di un ‘percussore’ litico, sia derrate alimentari crude o cotte da cui ottenere farine o salse, sia piccole quantità di minerali nella fabbricazione di coloranti, medicamenti o cosmetici. Tanto ‘mortaio’, quanto ‘pestello’ e ‘percussore’ hanno usi codificati e non risultano perciò idonei a indicare i reperti in questione, che hanno inoltre dimensioni maggiori rispetto agli oggetti comunemente designati da tali termini. Per gli impianti di PB2, si è quindi adottata una espressione, ‘masso-frantoio’, che pare ben tenere conto delle caratteristiche materiali, formali e dimensionali degli oggetti, con il trattino di unione deputato a sottolineare il legame forma-funzione. Per indicare l’utensile, da ‘masso-frantoio’ pare discendere in modo lineare il termine ‘frantumatore’. ‘Masso-frantoio’ ha inoltre assonanza con ‘Scheidstein’, traducibile letteralmente come ‘pietra per la separazione’, che compare nel 1529 in relazione alla miniera Saint-Nicolas a la Croix-aux-Mines (Vosges, Francia) [15, p. 78], ma è assente con tale accezione nei dizionari tedeschi (cf. ad esempio [33]).

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Archaeological and historical artefacts Anche l’adozione del termine ‘vaschetta’ per designare gli incavi artificiali dei massi-frantoio richiede una spiegazione. La forma a coppa e una certa rassomiglianza che tali incavi hanno con quei petroglifi che in archeologia sono denominati ‘coppelle’ avrebbe potuto indurre a optare per questo lemma. Si è invece volutamente evitato di farlo, per non creare confusione, né con le coppelle-petroglifi (in archeologia rupestre il lemma è in uso dal 1880 [34, p. 128]), che, eccettuati rarissimi casi, non hanno di norma funzioni mineralurgico-metallurgiche, né con le coppellecrogioli adibite alla raffinazione dei metalli preziosi (ambito in cui il termine è in uso da prima del 1347 [35, p. 281]), le quali non hanno parte nella metallurgia del ferro. Oltre che funzionale, la differenza tra gli incavi dei massi-frantoio e le coppellepetroglifi è anche tipometrica: nei diagrammi di dispersione di fig. 7, che mettono a confronto le dimensioni delle 9 vaschette di PB2 e di una popolazione all’incirca equivalente di 11 coppelle realizzate su gneiss (ossia su di un supporto petrograficamente simile a MF2 e MF3), appare evidente come le prime siano non solo mediamente più grandi, ma anche proporzionalmente più profonde delle seconde: mentre infatti nelle coppelle, e non solo nel qui riportato esempio di Santa Maria di Doblazio a Pont Canavese (valle Orco, Torino) [36, p. 38, 75-82], il rapporto tra profondità e assi è generalmente < ¼ con alta correlazione lineare positiva (0.7÷0.8), nelle vaschette di PB 2 esso è sovente > ¼ con inferiore correlazione lineare (0.5÷0.6). Per completare il confronto, va notato che in entrambi i diagrammi si colloca in posizione alquanto eccentrica una delle poche coppelle a probabile funzione metallurgica, collegabile alla zecca clandestina attiva nel X secolo nella grottina Bòira Fusca a Cuorgné (valle Orco, Torino, reperto 283:3) [37, p. 50-51]. LE FONTI ARCHEOLOGICHE DALLA PREISTORIA AL MEDIOEVO Allo stato attuale della ricerca i massi-frantoio noti dalle fonti archeologiche sono poco numerosi. In età pre-/protostorica se ne conoscono in relazione al trattamento dei solfuri misti. In Europa R.F. Tylecote enumera tra i siti più antichi Missa Ateya (Burgas, Bulgaria, mortar stone con 17 vaschette del 4700 a.C., non vidimus) e Cabrières (Hérault, Francia, due mortar stones utilizzati su due lati nel calcolitico antico e recente) [28, p. 60-61; cf. 38, p. 21]. A Cabrières, accanto a meules, non descritte dagli autori, si sono rinvenuti galets à cupules in basalto o in quarzo, ovali, di dimensioni < 20 cm e di spessore ≤ 3.5 cm, caratterizzati da una faccia recante al centro un incavo più o meno profondo, da mettere in relazione con l’arricchimento del minerale argentifero (Pioch-Farrus) o cuprifero (Roque-Fenestre) che ha prodotto sabbie fini o grosse [39, p. 226, 230; 38, p. 23-25]. Saint-Véran - les Clausis (Hautes-Alpes, Francia), miniera da cui si estraeva bornite alla cerniera fra calcolitico e bronzo antico, evidenzia un processo mineralurgico più complesso, testimoniato da un grande blocco in serpentinite (1.3 m x 1.0 m, spesso 0.5 m), tre frammenti di meules (una in quarzo, due in calcescisto), un mortier intero in calcescisto (35.5 cm x 21. 5 cm, spesso 28

6.5-8 cm), una quarantina di frantumatori in serpentinite, in calcescisto o in «riebeckite»[!] e otto pierres à cupules, di cui sei in «riebeckite» [!] e due in serpentinite (lunghe 9-11 cm, larghe 6-9 cm, spesse 4-8 cm). Il reperto intero era utilizzato sia per l’arricchimento del minerale, sia per la frantumazione delle scorie di fonderia mirante a recuperare le piccole sferule di metallo che vi restavano imprigionate; la faccia concava mostra sia cicatrici sparse puntiformi originate dalla frantumazione (concassage), sia superfici lisce create dalla macinazione (broyage) [40, p. 105 (fig. 9)]: si evidenziano così differenze funzionali, oltre che dimensionali, fra i diversi mezzi tecnologici impiegati [38, p. 24; 40, p. 101-102, 105]. Secondo H. Barge, i migliori confronti Saint-Véran li trova a Mount Gabriel (Munster, Irlanda), miniera di malachite dell’età del bronzo con un’ampia area di trattamento dotata di lastre in arenaria utilizzate come piani di frantumazione (stone slabs), presso il maggiore dei quali (98 cm x 79 cm, spesso 16 cm), erano abbandonati oltre 800 frantumatori rotti [40, p. 108; cf. 29, p. 282]. In età classica, massi-frantoio sono noti nel distretto minerario del Laurion (Lavreotiki, Attica, Grecia), dove dal V secolo a.C. si estraeva piombo argentifero con un ciclo operativo molto avanzato, comprendente una prima comminuzione manuale con frantumatori in acciaio su grandi massi di marmo o calcare, che produceva sabbie grosse, un successivo passaggio di queste sotto pestelli in acciaio in grandi mortai in pietra e, infine, una macinazione in mulini in trachite azionati da più uomini, da cui si ottenevano grani < 1 mm che venivano poi idroclassati [41, p. 59-62; 42, p. 1862; 43, p. 127, 213, 216-218, 220, 227 (fig. 103, 10-4), 426]. Strabone (64/63 a.C - 20/21 d.C.), nel tratteggiare il declino delle miniere del Laurion, quasi abbandonate sotto la dominazione romana, descrive il processo di rifusione delle vecchie scorie, dalle quali si otteneva ancora argento puro nonostante che la tecnologia del V secolo le avesse giudicate inutili (Geographia, IX, 1, 23) [43, p. 417]. Gli studiosi hanno cercato di ricostruire il ciclo produttivo dei solfuri misti avvalendosi di autori come Diodoro Siculo (90/8020 a.C. circa) o Plinio il Vecchio (23-79 d.C.). Il primo descrive in dettaglio la prima frantumazione del minerale con pestelli in acciaio entro mortai in pietra e il successivo passaggio sotto macine azionate da tre persone, con cui si trasformavano le ghiaie grosse in ghiaie fini o in polveri che erano poi idroclassate (Bibliotheca historica, III, XII-XIV). Il secondo così tratta la comminuzione: «Quod effossum est, tunditur, lauatur, utitur, molitur. Farinam a pila scudem uocant; argentum, quod exit a fornace, sudorem» (Naturalis historia, XXXIII, 69: si noti che scudes ricorda scheiden). Efficaci nella descrizione, entrambi gli autori si riferiscono però a minerali auriferi o argentiferi dell’Egitto, anche se è vero che nelle regioni europee e mediterranee i trattamenti erano standardizzati. Per i minerali ferriferi, la cui fusione in età romana avveniva per riduzione diretta, non si hanno indicazioni precise riguardo alla comminuzione [44, p. 1086-1087]. Rari sono i riferimenti alla granulometria del minerale ferrifero prima della diffusione dei manuali di età moderna e ancora Agricola, quando nel De re metallica descrive la frantumazione [19, p. 208], sembra avere La Metallurgia Italiana - n. 4 2018


Storia della metallurgia e beni culturali presente il passo pliniano (v. infra). Durante l’alto medioevo, nei siti siderurgici di età longobarda Val Gabbia I e II (Bienno, Brescia) l’ematite si presentava «in pezzatura centimetrica forse già a bocca di miniera» [45, p. 26]. Nel medioevo spiccano i siti francesi di Brandes-en-Oisans (Isère) e di L’Argentière-la-Bessée (Hautes-Alpes), esemplarmente studiati, rispettivamente, da M.-C. Bailly-Maître e B. Ancel. A Brandes, fra XIII e inizio XIV secolo il primo arricchimento dei solfuri di piombo argentifero in ganga baritica avveniva mediante mortiers, percuteurs e broyeurs in arenaria. Gli oltre 150 blocchi su cui si realizzavano manualmente frantumazione (concassage) e macinazione (broyage) avevano concavità su di una o due facce e misure relativamente standardizzate (lunghezza dei lati 15÷50 cm, spessore 8÷25 cm, peso 25÷40 kg). Le centinaia di utensili – percuteurs, caratterizzati da incavi per le dita e broyeurs, caratterizzati da striature d’usura – pesano 850÷1600 g. L’osservazione degli scarti granoclassati delle discariche, delle superfici dei frantoi e della loro distribuzione areale, talora presso piccole canalizzazioni, fa ipotizzare che il minerale più ricco fosse frantumato a secco, quello meno ricco in acqua [12, p. 23, 8991; 46, p. 16 (tav. XX), 119-123; 47, p. 202-203]. La presenza di utensili ergonomici è già segnalata nel 1901 in un pionieristico studio di H. Müller, il quale annota in un taccuino, con qualche rivelatrice incertezza lessicale, la presenza di «plusieurs marteaux ou concasseurs broyeurs à avec cupules pour la préhension» [47, p. 209]. Una parte del minerale arricchito era sottoposto a macinazione sotto mole idrauliche (diametro 0.95 m, spessore 0.15 m), probabilmente quando nella ganga quarzo o gneiss erano associati alla più tenera barite [12, p. 91-92; 46, 119-120, 124-126; 47, p. 202-203, 222, 226]. A L’Argentière-la-Bessée, enclumes de cassage sono state ritrovate in stretto collegamento con le miniere dei secoli XIXIII (davanti all’ingresso del reticolo Saint-Roch), ma anche reimpiegate come materiale edilizio in muri del XIX secolo (edifici minerari del Gorgeat nel vallone del Fournel) [13, p. 41-42]: queste ultime costituiscono i migliori elementi di paragone per i massi-frantoio di PB2. LE FONTI STORICHE IN ETÀ POSTMODERNA Per compensare la povertà di dati archeologici sull’arricchimento dei minerali in età medievale e moderna è utile ricorrere a documenti storici, letterari, tecnici, amministrativi, giuridici, finanziari, notarili. Molte sono in effetti le conoscenze storiche sulla metallurgia fra XII e XVII secolo, ma, come si comprende dagli esempi qui di seguito proposti, le fonti sono avare di notizie su quei processi che erano considerati talmente ovvi da non richiedere soverchie spiegazioni. Altro ostacolo è la rarità dei manuali tecnici premoderni. Il primo quindicennio del XVI secolo è un cruciale periodo di passaggio, in cui coesistono l’arricchimento manuale e quello mediante frantoi idromeccanici a pestelli, operanti a secco o in acqua [48, p. 106-108 (nota 92)]. Le prime raffigurazioni dei nuovi frantoi idromeccanici risalgono appunto al 1505/1515 [18,

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p. 598 (fig. 157)]. Del 1521 è una pala d’altare in cui il pittore Hans Hesse ha rappresentato le miniere argentifere di Annaberg-Buchholz (Sachsen, Germania), documentandone l’intero ciclo lavorativo. L’addetto all’arricchimento lavora su di un parallelepipedo litico poggiante su di un tozzo supporto ligneo e tiene con una mano un blocco di minerale, mentre con l’altra aziona un mazzuolo in acciaio, producendo ghiaie grosse che vanno ad ammucchiarsi ai suoi piedi entro un piccolo spiazzo subcircolare contornato da sassi [18, p. 594, 596]. Nel 1529 Heirich Groff ritrae venti operai cernitori (schaideurs) in uno dei disegni acquarellati con cui illustra il funzionamento della grande miniera argentifera Saint-Nicolas a la Croix-auxMines. La didascalia recita «Les schaideurs separens la bonne myne appart» e gli addetti lavorano al riparo di tettoie lignee, seduti su ceppi, frantumando il minerale con snelli mazzuoli in acciaio su lastre subcircolari (Scheidsteine) poggianti a loro volta su ceppi o su tavole lignee a scomparti. Con la punta del mazzuolo un lavorante ha prodotto sulla lastra una piccola cicatrice [15, p. 36-37, 78]. Fra 1554 e 1556 i codici manoscritti relativi alla miniera argentifera di Schwaz (Tirol, Austria) e lo stesso Agricola (v. infra) illustrano una procedura di lavoro molto simile. Un disegno acquarellato del codice 3313 (Bochum, 1554) raffigura un capanno polifunzionale in legno denominato Cram: in un annesso funziona una cucina, mentre all’interno e all’esterno del vano principale tre operai sono intenti a frantumare il minerale con mazzette in acciaio. Un po’ incongruamente, quello che lavora all’esterno è seduto a cavalcioni dello stesso masso sul quale batte [16, p. 38; 17, p. 234, 306, 468 (Cram)]. Più accurato è il corrispondente disegno del codice Dipauliana 856 (Innsbruck, 1556), in cui, fermo restando l’uso di mazzette in acciaio, l’operaio appare seduto a terra, con le spalle al capanno e le gambe divaricate intorno al masso-frantoio [14, p. 113, 270 (Kram)]; il medesimo codice testimonia l’utilizzazione a Schwaz del frantoio idromeccanico a quattro pestelli [14, tav. XXI; 17, p. 181; 49, p. 943]. Fondamentali sono comunque, con le loro eloquenti descrizioni scritte, i trattati di Biringuccio e Agricola. Vannoccio Biringuccio (1480-?1539) è uno dei precursori rinascimentali dell’incipiente metodo sperimentale. Di scarsa erudizione classica, nella sua opera De la pirotechnia, edita postuma nel 1540, si attiene a osservazioni basate su esperienze personali. Nel capitolo De la miniera del ferro et sva natvra afferma che il minerale (la miniera) dell’Elba è così puro che basta un fuoco modesto per ricavarne ferro dolcissimo: «solo le basta vna semplice fucina, & vn par di mantaci [...] hauendola prima rotta in pezzetti come noci, & dintorno fattoli vna clausura in forma di circulo di piu grossi pezzi di miniera, ouero daltre pietre mortigne qual sol vi si mettano, per che retenghino il carbone el fuocho stretto». In generale, «chi far vuole il ferro dolce & buono per virtu dela miniera oltre al modo & al carbone, deue prima prouedere a vn prattico & intelligente sceglitore, quale con diligentia scelga la pura dala impura, & col inditio [iuditio] de locchio & con il romperle le separi, & dipoi al forno aperto 29


Archaeological and historical artefacts le ricuocha» [50, p. 16v-17r (libro I, capitolo VI)]. Nel capitolo Del metodo di preparare li metalli avanti le fusioni ribadisce che «tutte le miniere di qual sorte si voglia [...] han dibisogno desser conosciute dali prattici & buoni sceglitori [...] accio in questa prima preparatione importantissima sappino discernere le buone dalle triste, & quale e sasso, & quale e miniera & in questo vsino con el rompere & tagliare»; inoltre, «le miniere aride & mal disposte» vanno prima arrostite e «tutte a voler far bene vogliano esser suttilmente macinate» [50, p. 47r-47v (libro III, capitolo II)]. L’autore non chiarisce quale tecnica usare per la comminuzione e non descrive frantoi idromeccanici: si desumerebbe tuttavia che il minerale ferrifero è sufficiente triturarlo sino alle dimensioni della ghiaia grossa [cf. 51, p. 41: minerale e carbone devono essere «ben frantumati ma non pulverulenti»], mentre per gli altri minerali occorre scendere alla ghiaia fine. Georgius Agricola alias Georg Bauer (1494-1555), di solida formazione classica, profondo conoscitore di filologia e filosofia abituato al pensiero sistematico, è considerato il padre della scienza mineraria. I suoi De re metallica libri XII, editi postumi nel 1556 ma terminati nel 1550, sono ben illustrati. Le osservazioni sull’arricchimento si trovano nel libro VIII, dedicato alla preparazione dei minerali per la fusione. Si propone qui la versione italiana di Michelangelo Florio, edita nel 1563, che rispetta quasi alla lettera quella latina del 1556: «solendo la natura le piu uolte generar i metalli impuri e mescolati con terre, e sughi congelati, & sodi, & con pietre, ei fa mestieri, prima che le uene metallice si cuochino, da quelle separar le dette cose [...] La onde al presente son per trattare come le uene si discernano, si pestan co’ martelli, e con le palle [co’ pestelli]: come le s’abbruciano, si macinino & facciano in farina: come quelle si uagliano, si lauino s’infuochino, & ardano [Itaque quibus modis uenae discernantur, tundantur malleis, urantur, tundantur pilis, molantur in farinam, cribrentur, lauentur, torreantur, crementur]». Due i metodi di arricchimento che l’autore registra. Se si segue il primo, «quei sassi che con la uena ricca son congiunti, a finche non si perda punto di metallo, ancora essi bisogna che si pestino, si tritino, e lauino [sunt tundenda, comminuenda, lauanda] [...] l’officio di scegliere il metallo rozzo, e le uene nobili, e migliori, non pur gl’huomini, ma i fanciulli, e le donne ancora fanno» [52, p. 228; cf. 19, p. 208]. «E quantunque i cauatori dentro nei pozzi, e ne le mine habbiano scelte, e separate [...] le cose cauate, non di meno le uene de metalli tratte, & portate fuori, con i martelli si deono spezzare, e ben bene sminuzzolare [malleis in partes frangendae sunt, uel minutim contundendae, comminuendaeque] [...] Gli sceglitori sopra ciascuna tauola mettono una larga & dura pietra [Discretores autem cuique abaco durum & latum lapidem imponunt] [...] la parte dinanzi doue siede lo sceglitore è aperta. Et alcuni di detti sceglitori con un martel largo, ma non molto grosso uanno spezzando la uena de l’oro, e de l’argento posta sopra quella pietra larga che s’è detto, & sminuzzolata che l’hanno molto bene, la mettono in un uaso [52, p. 230; cf. 19, p. 210]. Alcuni altri di loro piglion la massa dela uena che non

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ha molt’oro, ne molto argento, e mettonla sopra la pietra detta, e col martello minutissimamente la uan pestando: e come l’è benissimo trita, la raccolgono insieme, e mettonla ne uasi» [52, p. 231; cf. 19, p. 210-211]. Il secondo metodo prevede che «I pezzi de le uene grandi, e dure si rompano, e pestano molto bene prima che s’abbrucino», come avviene a Goslar (Harz, Niedersachsen, Germania), ove si frantuma la pirite: «magnis malleis tundunt pyritas» [19, p. 211], dove M. Florio traduce erroneamente «pyritas» con «pietre focaie» [52, p. 231]. Nel paese «de la gran Germania, che Vestfalia si chiama, e ne la parte de la Germania bassa che Eifalia si nomina, i lauoranti al’incontro pigliano i pezzi de le uene prima abbruciate, e postigli in un’aia tonda di durissime lastre ben lastricata, gli uan pestando e tritando con alcuni ferramenti c’hanno forma quasi di martelli [...] Trite c’han molto bene le uene, le uan raunando insieme con le granate [= scope], e portonle a la fucina [52, p. 232, cf. 19, p. 212] [...] Ma con piloni ferrati si pestano le uene, a cio il metallo discerner si possa da le pietre, e da sassi del tetto» [52, p. 239, cf. 19, p. 219]. Da qui il testo prosegue con la descrizione del frantoio idromeccanico a pestelli, definito nell’indice «Machina qua uenae siccae pilis praeferratis tunduntur». CONCLUSIONI Gli scavi archeologici a PB2 sono in fase iniziale, avendo sinora interessato una sola delle quattro costruzioni esistenti all’esterno della miniera, mentre all’interno di questa i campionamenti sedimentari e antracologici sono appena iniziati. La sequenza cronologica del sito non è perciò ancora nota nei dettagli. Ciò nonostante, i dati storico-archeologici disponibili, pur nella loro laconicità, suggeriscono concordemente che gli impianti di frantumazione di PB2 siano retaggio di attività mineralurgiche di età pre-/protomoderna che, a parte la coincidenza topografica, nulla hanno in comune con le attività estrattive tardosettecentesche. È invece probabile il collegamento con i resti di forno di riduzione diretta che non trovano posto nella forgia (frammenti di argilla indurita termoalterata e di ugelli in terracotta). Tenendo conto che MF1 non pare avere subito spostamenti, si può ipotizzare che anche i massi-frantoio rinvenuti tra i materiali di crollo di E1 stessero in precedenza un poco più a monte, presso MF1 stesso, in posizione intermedia tra la miniera e l’area in cui doveva sorgere il forno di riduzione, oggi occupata dai ruderi di E1 ed E2. Risalirebbero alla fine del XVIII secolo il loro rimaneggiamento e il loro reimpiego in E1, con funzione di materiale edilizio (come si verifica nel vallone del Fournel a L’Argentière-la-Bessée).

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Storia della metallurgia e beni culturali Anvil-stones found in excavation by the magnetite mine at Pietra Bianca 2 (Biella) KEYWORDS: MINING ARCHAEOLOGY, ANVIL-STONE, HAND-HELD HAMMERSTONE, MANUAL COMMINUTION, UPPER SESSERA VALLEY, PRE-/PROTOMODERN ERA, ICONOGRAPHIC SOURCES Anvil-stones, used for crushing/grinding ore together with hand-held hammerstones or metal hammers, have been found at archaeological sites dating from the prehistoric era to medieval times and are known from proto-modern iconographic sources. A few metres away from the entrances to the magnetite mine at Pietra Bianca 2 (Upper Sessera valley, Biella) there are five anvil-stones, four of which were found during an excavation in 2017 amid collapsed rubble from the walls of a late eighteenth-century forge. However, the presence, next to the forge, of the remains of a bloomery furnace suggests that the anvil-stones date to the pre-/protomodern era and that eighteenth-century smiths reused them as building material, as has been observed in the Fournel gorge (Hautes-Alpes, France). In the case of Piedmont, these finds represent a new technological discovery which is examined in this paper from several perspectives (petrographic, functional and lexical analysis) in order to provide a more precise chronological and cultural framework.

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Archaeological and historical artefacts Indoor and outdoor atmospheric corrosion monitoring of cultural heritage assets E. Angelini, C. E. Arroyave Posada, E. Di Francia, S. Grassini, L. Iannucci, L. Lombardo, M. Parvis The conservation state of Cultural Heritage (artefacts stored in museums, historical buildings, etc.) can be severely affected by the environmental conditions which they are exposed to. For this reason, a proper monitoring system is typically required in such locations in order to detect potentially unsafe conditions and to monitor the main atmospheric parameters as temperature and relative humidity, and/or the presence of aggressive gases. In this paper a wireless sensors network, designed and developed at Politecnico di Torino, has been employed for two long-lasting monitoring campaigns in Colombia. The architecture has been deployed both inside museums and outside on historical sites proving its capabilities. The solution is composed of small sensing nodes with volume lower than 8 cm3 and dimensions of 2.5x1.5 cm, which are capable of acquiring temperature and relative humidity for a time in excess of three years. The nodes are battery operated and communicate wireless to small Arduino-based concentrators connected to the Internet and to a cloud storage. Data from all the nodes are made available on the curator’s smart phones in real time, so that the entire site can be monitored from everywhere. The nodes have the capability of locally storing all the measurements for quality assurance and if either the internet connection is not available or the power supply is missing, the proposed system has the possibility of off-line manually uploading data to the cloud after having transferred them from the nodes to a battery-operated receiver. The monitoring campaigns, still in progress, are carried out in two historical sites: the National Museum of Colombia in Bogotà and the historical site of the Puente di Boyacá in Tunja.

KEYWORDS:CULTURAL HERITAGE, ENVIRONMENTAL MONITORING, METALLIC ARTEFACTS INTRODUCTION The conservation state of cultural heritage (artefacts stored in museums, historical buildings, etc.) can be severely affected by the environmental conditions they are exposed to [1-3]. Thus, a proper monitoring system is required in such locations in order to detect potentially unsafe conditions and to monitor the main atmospheric parameters as temperature and relative humidity, and possibly the presence of aggressive gases which could damage the artefact. This paper describe deployment and use of a wireless sensors network, which has been designed and developed at Politecnico di Torino [4,5, 6]. The system has been employed for two long-lasting monitoring campaigns in Colombia in the frame of an Internationalization Project Italia-Colombia, between the Politecnico di Torino, the Antonio Narino University of Bogotà, and in collaboration with the Colombian Ministry of Culture. To this aim, the authors developed a complete solution which is composed of small sensors and of all the components required to gather and provide the measured data to the final user. The proposed solution is capable of measuring temperature and relative humidity and employs readily available components and can be easily adapted to different areas where a rapid monitoring system deployment and an easy maintenance is required. 34

The monitoring campaigns, still in progress, are carried out in two historical sites located in Colombia: the National Museum of Colombia (Bogotà) and the historical site of the Puente di Boyacá (Tunja).

E. Angelini, E. Di Francia, S. Grassini Dipartimento di Scienza Applicata e Tecnologia, Politecnico di Torino, Italy

C. E. Arroyave Posada Vicerrectoría de Ciencia, Tecnología e Innovación, Universidad Antonio Narino, Bogotá,Colombia

L. Iannucci, L. Lombardo, M. Parvis Dipartimento di Elettronica e Telecomunicazioni, Politecnico di Torino, Italy

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Storia della metallurgia e beni culturali THE MONITORING SYSTEM Fig. 1 shows the monitoring system tailored to meet the constraints required for Cultural Heritage applications, for both indoor and outdoor. It consists in a flexible and easily-configurable wireless sensor network based on small battery-powered sensing nodes, able to measure continuously Temperature (T) and Relative Humidity (RH).

The nodes can transmit the data to a dedicated receiver using a wireless radio link working with a proprietary protocol in the 2.4 GHz band. The wireless range is 10 - 30 meters, according to the environment and the presence of obstacles. The dedicated receiver is designed to connect to Internet, so that it is possible to implement a remote data access based on a dedicated cloud infrastructure, when a power supply and an Internet connection are available in the monitored location.

Fig. 1 – Environmental monitoring system 3 layer architecture

The low power consumption of the sensing nodes and the optimization of the transmission protocol allow one to achieve a quite long operative sensor life ranging from 1 to 3 years according to the selected battery and to the sampling rate. The simplified block diagram of the nodes is shown in Fig. 2, together with the image of a realized prototype. The core of the sensing node is System-on-Chip CC2510 (by Texas Instrument), which features a 8-bits low-power microcontroller and a 2.4 GHz radio transceiver. The firmware running on the microcontroller performs all the operations required for collecting and transmitting the data. A non-volatile flash memory allows an onboard permanent data storage, guaranting a permanent backup of more than 125000 measurements. Temperature and relative humidity are measured by a digital sensor type SHT21 (by Sensirion), which provides an uncertainty of 0.3 °C and 2% for T and RH, respectively. The sensor communicates with the microcontroller using a I2C interface and it is periodically disabled in order to reduce power consumption. The node sampling rate can be La Metallurgia Italiana - n. 4 2018

selected by the user from 1 s to 3600 s. The clock crystal is used for generating the microcontroller main clock and the transceiver carrier, while an antenna allows the wireless communication. The nodes are battery operated and enclosed in a 3D-printed box (25 x 16 mm), which can be realised in different shape, material and color in order to be compatible and less invasive for the different environments. Sensor nodes work autonomously without any attendance for all their operative life, storing the data in the non-volatile internal memory. If an on-line receiver is positioned within the operative range of the nodes, they continuously transmit the acquired data and the receiver pushes such data on the cloud using the Internet connection. In locations where this approach is not possible, an USB receiver can be connected to a laptop for periodically downloading the data. These features of the monitoring system have proven to be useful in the Cultural Heritage field, because they make the system flexible, accurate and secure against tampering and data loss. 35


Archaeological and historical artefacts

(a)

(b)

Fig. 2 - The simplified block diagram of the sensor node (a), sensor prototype (b) INDOOR MONITORING CAMPAIGN The indoor monitoring campaign has been carried out at the National Museum of Colombia. This National Museum is the oldest in the country and one of the oldest in the continent, built in 1823. Its fortress architecture is built in stone and brick; the plant includes arches, domes and columns forming a sort of Greek cross over which 104 prison cells were distributed, with solid wall façade. It was known as the Panóptico and served as a prison until 1946. In 1948 was adapted for National Museum and restored in 1975. The museum hosts a collection of more than 20000 artefacts, pre-Colombian archaeological and ethnographic artefacts, paintings and textiles belonging to different historical periods. Several artefacts are affected by degradation processes, and the monitoring activity aims to determine if there is a correlation between the conservation state, in particular of metallic and textile artefacts, and the environmental conditions inside the showcases. Six sensor nodes have been placed in different locations inside the museum, showcases and deposits. The locations have been

selected taking into account the different materials that constitute the artefacts, their conservation state and the type of enclosure they are stored within. The monitoring system was deployed in July 2017 and the environmental monitoring activity is still in progress. In order to acquire meaningful information on the indoor environment, Cubased reference specimens were exposed to the indoor atmosphere inside several showcases. The reference specimens are both as-received or coated with a Cu nanostructured thin film deposited by plasma sputtering, in order to increase their reactivity. This allows one to observe surface degradation phenomena and to analyse them as a function of time. Fig. 3 shows two of the showcases, under study, with bronze and gold artefacts, where the sensor nodes S35 and S45 have been placed. Sensor S35 is located in room 13, “Custodia”, a large room at the first floor. The image inset also shows a details of the Cu coupons. Sensor S45 is located in room 6, Boveda ‘El oficio del Orfebre’, in the showcase ‘Tumba de pozo con camara’, an armored room, at the ground floor.

(a) (b) Fig. 3 – Sensors and Cu reference samples positioning in the National Museum of Colombia. (a) sensor S35 located in room 13; (b) sensor S45 located in room 6. 36

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Storia della metallurgia e beni culturali

(a)

(b) Fig. 4 – Temperature (T) and Relative Humidity (RH) trends recorded by (a) S35 located in room 13 and (b) S45 located in armored room 6.

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Archaeological and historical artefacts In Fig. 4 the temperature and relative humidity data recorded by means of nodes S35 and S45 for more than two months, from July 2017 to half september 2017, are reported. The experimental findings show clearly the circadian variation of temperature: excursions along the monitoring period are of about two Celsius degrees for room 13 and of less than 1°C for the armored room 6 which has a lower air circulation. In room 13 the variation of the temperature is from 16 to 21°C, but the variation of relative humidity is negligible and remains around 60%. Data collected from node S45 show that when the armored room 6 is opened, four times a week, T and RH exhibit moderate variations and that, when the room remains closed, the values slowly return to the baseline values, T=19°C, RH 62%. Relative humidity reaches sligtly higher values with respect to the other monitored rooms, due to the fact that the armored room is in the ground floor meanwhile the other monitoring sites are located at the first floor of the building. Both the environmental conditions may be considered quite safe for the conservation of the artefacts. However the microscopic examination of the surfaces of the copper reference samples highlights a difference in the reactivity of the two-nanostructured copper samples.

Fig. 5 shows the FESEM images of the copper nanostructured specimens after three months of exposure in both the rooms respectively. The morphological analysis highlights the quite safe environmental conditions inside the showcase of room 13. As a matter of facts, no significant corrosion presence can be observed onto the surface of the Cu nanostructured film, which maintains its well-defined nanostructure. Meanwhile the relative humidity fluctuations of the showcase in the armored room 6, cannot be considered totally safe for the artefacts conservation, even if the atmosphere is not aggressive enough to induce localized corrosion attacks on the copper reference samples, which can significantly affect the artefacts stability and long-time conservation. However, due to the higher susceptibility to atmospheric corrosion, the Cu-nanostructured layer shows a localized attack which leads to a coalescence of the copper nanoclusters and a subsequent detachment. The presence of corrosion attacks, with dimensions of few micrometers, may be attributed to the presence of a slightly higher aggressive air, due to the fact that the armored room si closed most of the time.

Fig. 5 – FESEM images of the Cu nanostructured reference samples exposed for 3 months close to node S35 located in room 13, and to node S45 located in the armored room 6. OUTDOOR MONITORING CAMPAIGN The outdoor monitoring campaign has been carried out at the Campo de Boyacá, also known as Puente de Boyacá, an historical site located at 110 km east of Bogotá, crossing Teatinos river. This site gained a large popularity in Colombia as numerous monuments have been erected in the surroundings of a small bridge (the Puente de Boyacá) to commemorate the historic battle of 7th August 1819, known as the Battle of Boyacá, which granted independence to New Granada. The bridge was built in the early 18th century, and was dedicated as National Monument and memorial of independence in 1920. The other National Monuments present in the park are a triumphal arch, an obelisk and a flags square. Moreover, the metallic 38

statue of Francisco de Paula Santander, the monument of Pedro Pascasio Martínez and, on the hill, the Von Miller Monument are also part of this important historical site. The Von Miller Monument, shown in Fig. 6, is a bronze monument composed by five allegoric female figures, symbolic of Colombia, Venezuela, Peru, Ecuador and Bolivia, holding Simón Bolívar (1783-1830), the liberator from the Spanish government and the first president of Gran Colombia. The bronze statues of the Von Miller monument are apparently in a quite good conservation state even if tourists are allowed to climb the monument, risking of removing the surface patina grown on the metal by the interaction with the atmosphere. However, this anthropic damage is less important respect to La Metallurgia Italiana - n. 4 2018


Storia della metallurgia e beni culturali the atmospheric conditions the statues are exposed to. Actually, the monument is located at an altitude of about 2800 m and is exposed to a subtropical climate. In this geographical region, temperature remains all over the year in the range 7- 17°C, with an alternation of more or less dry and rainy seasons, but with a

high possibility of rain every day. As a matter of facts, the relative humidity can reach 90-100% every day all over the year, leaving the monument exposed to atmospheric corrosion in very aggressive conditions.

Fig. 6 – The Simon Bolivar bronze statue in the Puente de Boyacå, an historical site built in the early 18th century, memorial of independence in 1920.

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Archaeological and historical artefacts The monitoring activity started in July 2017 at the Puente de Boyacá. The measurement data, acquired by the node S49 on the Von Miller Monument (Simon Bolivar statue) for more than two months, are reported in Fig. 7. The collected data show very large daily variations of both temperature and relative humidity of about 20°C and 50 %RH. Specifically, the measurements let one to observe how the humidity can get close to 100% during the night with the risk of water condensation on the statues.

These environmental conditions are very harsh, being the site at 2800 m on the sea level in a tropical region, and can severely affect the conservation of the metallic staues maily due to the possibility of repeated water condensation.

Fig. 7 – Temperature and relative humidity recorded by the sensor S49 at Puente de Boyacá (Von Miller Monument).

CONCLUSIONS The presented system reveals to satisfy the typical requirements for Cultural Heritage monitoring both indoor and outdoor. It has been very effective in the monitoring activities providing accurate data useful for evaluating the climatic conditions closed to the artefacts. This information especially if coupled with the deployment of coupon to observe the presence of aggressive componds, can be used by conservators and curators for improving the artifact conservation and detecting possible unsafe situations. The campaign

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is still in progress and new data are continuously collected by the monitoring system in order to better evaluate the environmental conditions along a more extended time period. Acknowledgements The research has been financially supported by Compagnia di San Paolo, in the frame of an “Internationalization Project ItalyColombia”, with the Antonio Narino University of Bogotà, and in collaboration with the Colombian Ministry of Culture.

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Storia della metallurgia e beni culturali REFERENCES [1] [2] [3] [4] [5] [6]

D. Camuffo et. al, “Environmental monitoring in four European museums”, Atmospheric Environment, Vol.35, supp.1, 2001, pp. S127-S140. A. Kumar; H. Kim; G. P. Hancke, “Environmental Monitoring Systems: A Review”, IEEE Sensors Journal, vol. 13, no. 4, pp. 13291339, 2013. N. Kularatna, B.H. Sudantha “An Environmental Air Pollution Monitoring System Based on the IEEE 1451 Standard for Low Cost Requirements”, IEEE Sensors Journal, vol. 8, no. 4, pp. 415-422, 2008. E. Angelini, S. Corbellini, D. Fulginiti, S. Grassini, M. Parvis, “Innovative monitoring campaign of the environmental conditions of the Stibbert museum in Florence”, Applied Physics A, 2016, 122 S. Grassini, E. Angelini, A. Elsayed, S. Corbellini,L. Lombardo, M. Parvis “Cloud Infrastructure for Museum Environmental Monitoring”, Proceedings of I2MTC 2017, pp. 1840, 1845. L. Lombardo, S. Corbellini, M. Parvis, A. Elsayed, E. Angelini, S. Grassini, "Wireless Sensor Network for Distributed Environmental Monitoring", IEEE Transactions on Instrumentation and Measurement, 2018, DOI: 10.1109/TIM.2017.2771979.

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in evidenza

Scuola

Metallurgia delle polveri Imola, 19-20 aprile 2018 Maerne di Martellago, 10-11 maggio 2018 Scuola organizzata dal Centro di Studio Metallurgia delle Polveri e Tecnologie Additive della

con il supporto di

Nei principali paesi industrializzati la metallurgia delle polveri è una tecnologia consolidata. Questa posizione riconosciuta favorisce l’organizzazione di corsi di formazione tecnico-scientifica sui processi e sui requisiti richiesti per una corretta scelta e una valida progettazione dei materiali e dei componenti sinterizzati. Le grandi organizzazioni internazionali di categoria (APMA - Asian Powder Metallurgy Association, APMI - American Powder Metallurgy Association, MPIF - Metal Powder Industries Federation, EPMA - European Powder Metallurgy Association) sono i maggiori enti che, per statuto, sono impegnati in queste attività, finalizzate a favorire la diffusione delle conoscenze specifiche e gli incrementi delle possibili utilizzazioni. Dopo il successo delle edizioni del 2012 e del 2015, AIM è lieta di presentare una nuova edizione della Scuola di Metallurgia delle Polveri, con la finalità immutata di favorire la diffusione di conoscenze rigorose e aggiornate su una tecnologia competitiva, la cui affermazione può contribuire – nel suo piccolo – allo sviluppo economico nazionale. Rispetto all’edizione precedente, la durata della Scuola è stata aumentata da due a quattro giorni; i primi due saranno ospitati da Sacmi a Imola, i secondi due da Pometon a Maerne di Martellago. Il programma copre la maggior parte delle tematiche e dei processi della Metallurgia delle Polveri e si chiuderà con degli interventi di rappresentanti di alcune industrie molto qualificate, che proporranno casi di studio recenti o le tendenze di sviluppo nei settori in cui operano. AIM, SACMI e Pometon si augurano che l’impegno profuso per l’organizzazione del Corso – anche da parte dei docenti, tutti specialisti del settore – sia adeguatamente riconosciuto attraverso un’ampia partecipazione di tecnici e studiosi interessati alla metallurgia delle polveri. Per informazioni ed iscrizioni: AIM · Associazione Italiana di Metallurgia Tel. 02-76021132 / 02-76397770 · E-mail: aim@aimnet.it · www.aimnet.it

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Le manifestazioni AIM AIM meetings and events 2018 AUMENTO DELLA PRODUTTIVITÀ DEGLI STAMPI ATTRAVERSO UN CONTROLLO SPECIFICO DELLA FATICA TERMICA GdS - Centro P Bergamo, 9-10 maggio METALLURGIA DELLE POLVERI Scuola di - Centro MP Maerne di Martellago (VE) c/o POMETON, 10-11 maggio METALLURGIA DI BASE PER I TRATTAMENTI TERMICI Corso - Centro TTM Milano, 16-17-23 maggio LA NEBULOSA CONFORMITÀ MACCHINE 'TRA CONFINI E REALTÀ' GdS - Centro AS Brescia, 24 maggio PROFILATI ESTRUSI DI ALLUMINIO: PERCHÉ? CONVENIENZA E UTILITÀ NEI VARI SETTORI APPLICATIVI GdS - Centri ML e LPM Milano, 7 giugno ICS 2018 - 7TH INTERNATIONAL CONGRESS ON SCIENCE & TECHNOLOGY IN STEELMAKING Convegno Internazionale e 26° CONVEGNO NAZIONALE TRATTAMENTI TERMICI Convegno Venezia, 13-15 giugno PROBLEMATICHE DEI MATERIALI NEI CICLI COMBINATI TRADIZIONALI ED INNOVATIVI GdS - Centro ME Milano, 28 giugno RADDRIZZATURA E TENSIONI RESIDUE DEL GETTO GdS - Centro P Ceregnano (RO) c/o TMB, giugno MATERIALI METALLICI E PROCESSI PRODUTTIVI INNOVATIVI PER L'AEROSPAZIO Convegno - Centri ML, MFM e MP Napoli, 19-20 luglio

METALLURGY SUMMER SCHOOL - 2a edizione Corso -COMET Bertinoro (FC), 22-25 luglio 37° CONVEGNO NAZIONALE AIM Convegno – SEGR Bologna, 12-14 settembre EOSC 2018 - 8TH EUROPEAN OXYGEN STEELMAKING CONFERENCE Convegno Internazionale Taranto, 10-12 ottobre LA PREVENZIONE E LA GESTIONE DELLE MALATTIE PROFESSIONALI GdS - Centro AS Brescia, 25 ottobre TRATTAMENTI TERMICI DEGLI ACCIAI PER STAMPI A CALDO E A FREDDO PER IL SETTORE AUTOMOTIVE GdS - Centro TTM Ivrea c/o Confindustria Canavaese, 11 ottobre GLI ACCIAI INOSSIDABILI - 10a EDIZIONE Corso - SEGR Milano, 17-18-24-25 ottobre/7-8-14-15 novembre LA PRODUZIONE DI GETTI PER APPLICAZIONI STRUTTURALI. ASPETTI METALLURGICI E DI PROCESSO GdS - Centro P Travagliato (BS) c/o IDRA, 9 novembre UTENSILI DIAMANTATI GdS - Centro MP Vicenza, 15 novembre CLEAN TECH - 4TH EUROPEAN CONFERENCE ON CLEAN TEHNOLOGIES IN THE STEEL INDUSTRY Convegno Internazionale Bergamo, 28-29 novembre RIVESTIMENTI - 1° modulo Rivestimenti PVD e CVD Corso modulare - Centro R Roma, novembre

Per ulteriori informazioni rivolgersi alla Segreteria AIM e-mail: info@aimnet.it oppure visitare il sito internet www.aimnet.it

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Industry news Arte e fotografia: la vita del metallo, il fascino della trasformazione a cura di: Lucrezia Roda “ Ci hanno insegnato fin da piccoli che la differenza fra il mondo animale e vegetale da una parte e quello minerale dall’altra sta nel fatto che quest’ultimo è, al contrario degli altri, sostanzialmente statico. Le cose non stanno in questi termini, ci suggerisce Lucrezia Roda, il cui sguardo di fotografa amante delle ricerche più insolite si è soffermato su un materiale apparentemente “freddo”, il metallo, per scoprirne una vitalità che si presenta, a chi sa scorgerla, in molte sorprendenti sembianze. Il punto di partenza è stato fin da subito quello di andare oltre una semplice descrizione – che avrebbe semmai confermato la fissità del materiale – per indagare verso altre direzioni, utilizzando come filo conduttore la creatività. Così è nato “Steel Life”, lavoro realizzato all’interno di diverse fabbriche dove il metallo, passando attraverso la forza del fuoco e dell’acqua, si trasforma, si modella, acquista una momentanea plasticità prima di tornare alla sua originaria consistenza. […] La scoperta di questa vitalità ha indotto la fotografa a proseguire la sua ricerca, concentrandola su particolari scoperti attraverso le lenti di un microscopio, per osservare da vicino quello che si è rivelato un vero e proprio microcosmo. E’ nato così “About Metal (about me)”, un progetto che alterna immagini caratterizzate da colori tenui, segni decisi, graffi e contrasti a penombre cupe e misteriose, sagome che si ritrovano in uno spazio che ricorda le tele degli artisti informali e che, meglio di molte parole, spiega che l’astrazione non è un modo di negare la realtà ma di osservarla in un modo nuovo […] ” E’ con queste parole che Roberto Mutti, critico fotografico, decide di descrivere le immagini di Lucrezia Roda, fotografa e giovane artista brianzola, artefice di vari progetti artistici realizzati all’interno di diverse aziende attive nel settore metallurgico. Com’è nata l’idea di sviluppare un progetto fotografico ponendo come soggetto il metallo?

perlopiù decontestualizzato, che rendono il metallo protagonista della scena.

I luoghi della produzione industriale e i suoi materiali sono da sempre stati oggetto di particolare attenzione da parte dei fotografi; dagli inizi della produzione industriale fino alla contemporaneità sono state realizzate innumerevoli (e meravigliose) serie fotografiche in questo settore. Nel mio caso specifico la curiosità verso una ricerca di questo genere è probabilmente da attribuirsi non lontano dalle mie stesse radici: provengo da una famiglia che opera nel settore metallurgico, è stato perciò per me un passo spontaneo quello di avvicinarmi ad un luogo “familiare” con mezzi interpretativi a me usuali.

Che cosa l’ha colpita maggiormente di questi processi di lavorazione?

Ci parli del progetto che l’ha fatta avvicinare a questo mondo, “Steel Life”. La mia ricerca fotografica in questo ambito, che non è da considerarsi di tipo documentario, bensì interpretativo, inizia proprio con STEEL-LIFE nel 2014. Il progetto, proseguito poi fino al 2016, è stato realizzato all’interno di diverse aziende attive nel settore metallurgico. Il punto di partenza è stato l’azienda di famiglia, le Trafilerie san Paolo, per poi proseguire verso ulteriori fasi di lavorazione, all’intero di un’acciaieria, il Laminatoio del Caleotto a Lecco, ed infine ritraendo i processi di lavorazione finale all'interno di diverse sedi del gruppo Agrati. La serie - che ho dedicato alla mia famiglia ed in particolare a mio nonno - è composta da 27 immagini, selezionate fra le migliaia scattate, all’interno delle quali si alternano visioni d’insieme (che svelano i luoghi e i processi della lavorazione) e dettagli del materiale, 44

A colpirmi maggiormente è stata l’affascinante trasformazione della materia, il passare da uno stato solito e gelido a quello malleabile ed incandescente, per essere variato ancora ed ancora in un ipnotico gioco alchemico. L’immaginario collettivo vuole che l’idea del metallo sia quella di un materiale freddo e monocromatico, ed era così anche per me, prima di conoscerne il percorso di lavorazione: mi è invece apparsa come materia viva ed in continuo mutamento formale e cromatico. Ne ho ricercato la bellezza sottolineandone le forme geometriche pure, le precise ripetizioni accostate a colori saturi e accesi. Si accennava anche ad alcune immagini realizzate mediante l’uso di un microscopio, può dirci qualcosa di più a riguardo? Grazie all’uso di un microscopio ottico ho osservato e immortalato diversi oggetti metallici non più considerandoli dal punto di vista industriale, bensì da quello personale. Ancora una volta il metallo si è rivelato in grado di stupirmi, poiché neppure con la più fervida immaginazione sarei stata in grado di immaginare le molteplici visioni che mi si sono presentate. Gli ingrandimenti, che variano dal 200% al 1000%, sono stati realizzati su oggetti ai quali, probabilmente ignorandone totalmente la provenienza industriale, siamo abituati a dare un valore La Metallurgia Italiana - n. 4 2018


Attualità industriale affettivo, come ad esempio una penna stilografica, il proprio orologio, un orecchino o un anello... E’ nato così “ABOUT METAL (about me)”, una ricerca che, indagando sul non visibile, ha dato vita a una serie immagini, testi, video, suoni, in grado di raccontare qualcosa di più su questa materia... e su di me. “STEEL-LIFE” Di fronte al metallo incandescente, al bagliore del fuoco, al fragore degli attrezzi e alla meraviglia di osservare come la materia poteva piegarsi al volere di chi ne sapeva modificare la forma, gli antichi greci immaginavano che tutto non potesse essere opera dell’uomo ma avvenisse nella fucina di un dio, Efesto. Facile sorridere di questo mito ma neppure l’uomo moderno ne è stato del tutto immune avendo da par suo, all’inizio della rivoluzione industriale, idealizzato la fabbrica trasformandola in una enfatica eppur affascinante metafora del progresso: “Noi canteremo – si legge nel 1909 nel Manifesto del Futurismo – il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche, le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi”. Quando Lucrezia Roda ha iniziato a inquadrare nel mirino della sua fotocamera la realtà delle Trafilerie San Paolo non pensava certo a queste suggestioni: figlia di un’epoca contemporanea che alle spinte emotive contrappone una visione linearmente scientifica, si è trovata di fronte a quegli stessi bagliori e rumori che avevano impressionato i nostri antenati e ha accettato la sfida. Per lei tutto questo non poteva essere banalmente descritto perché in quel caso la fotografia si sarebbe trasformata in un semplice rispecchiamento degli aspetti reali perdendo così gran parte della sua capacità evocativa. Scegliendo di usarla come un linguaggio interpretativo ha così deciso di farsi guidare dall’intuizione di considerare la fabbrica come il luogo dove si realizza il fascino un po’ misterioso della trasformazione. Il metallo si fa incandescente, scorre rapido in un percorso che lo indirizza dallo

stato indefinito alla forma che dovrà assumere e in questo tragitto ci regala le meraviglie di un caleidoscopio con i colori che si inseguono, le geometrie che si moltiplicano, le luci che ora si appiattiscono sulle superfici, ora ne esaltano la plasticità. L’obiettivo di Lucrezia Roda si sofferma su particolari apparentemente insignificanti – una miriade di minuteria metallica sfusa che ricopre completamente un piano, decine di teste di bulloni che creano una composizione simile nella struttura a un alveare – per trasformarli in materia viva con cui viene spontaneo confrontarsi. La fotografa ci accompagna con mano sicura in questo labirinto e ci invita a scoprire con lei che, viste in una prospettiva frontale, quelle barre metalliche a sezione quadrata accostate l’una sull’altra sembrano dipinti astratti. Anche il filo metallico, sulla cui superficie la luce gioca creando piacevoli effetti multicolori, trasfigura la circolarità delle sue matasse in un dinamismo avvincente per il nostro sguardo che lo insegue affascinato. Quando poi la fotografa amplia la sua visione, ecco che ci mette di fronte a ruote, tubi, rotaie, forni, vasche, macchinari avvolti da fumi e vapori: non importa se non ne conosciamo i meccanismo di funzionamento purché comprendiamo che quello è il luogo dove l’uomo sa trasformare la materia piegandola alle sue esigenze. E allora ci accorgiamo della grande capacità evocativa della fotografia quando è usata, come in questo caso, con pregevole consapevolezza: nata nell’età industriale, sa più di ogni altra disciplina raccontare il fascino di cui la modernità si è fatta portatrice. Senza dimenticare, ma aggiornandolo, il mito di Efesto.” - Roberto Mutti

Lucrezia Roda a Mia Photo Fair 2018 (fiera d’arte internazionale, dedicata alla fotografia e all’immagine in movimento) dove, selezionata fra gli artisti nella categoria Proposta MIA, ha presentato ultimamente i propri progetti. La Metallurgia Italiana - n. 4 2018

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Industry news

Un’anteprima del progetto “ABOUT METAL (about me)”, ingrandimenti di oggetti metallici visti al microscopio ottico.

“ABOUT METAL (about me)” : sopra, il retro delle opere con il loro significato “nascosto” sotto, l'installazione video. A destra: “STEEL-LIFE #10”.

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Attualità industriale

“STEEL-LIFE #1” Fuoco e acqua: dettaglio di una barra d’acciaio che si presta alla trasformazione. (Dal progetto “STEEL-LIFE”, Laminatoio del Caleotto, 2015)

“STEEL-LIFE #3” vasca di decapaggio. (Dal progetto “STEEL-LIFE”, Trafilerie san Paolo, 2016)

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Industry news

“STEEL-LIFE #5” i luoghi della trasformazione. (Dal progetto “STEEL-LIFE”, Laminatoio del Caleotto, 2015)

“STEEL-LIFE #13” cromatismi. (Dal progetto “STEEL-LIFE”, Trafilerie san Paolo, 2016)

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Attualità industriale

“STEEL-LIFE #17”, l’incaglio: un incidente di percorso (dal progetto “STEEL-LIFE”, Laminatoio del Caleotto, 2016)

“STEEL-LIFE #8”, (dal progetto “STEEL-LIFE”, Trafilerie san Paolo, 2016)

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Industry news

“Rhea”, ingrandimento al 500%. Dal progetto “ABOUT METAL (about me)”, 2018.

“Ares”, ingrandimento al 500%. Dal progetto “ABOUT METAL (about me)” , 2018. 50

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Attualità industriale

“Nymphaea, II”, ingrandimento al 500%. Dal progetto “ABOUT METAL (about me)” , 2018.

BIO Lucrezia Roda è una giovane fotografa italiana nata e cresciuta ad Erba, nel comasco. Ha intrapreso studi classici, coltivando parallelamente il suo interesse verso il mondo della fotografia. Nel 2011 inizia la propria formazione fotografica presso l’IIF - Istituto Italiano di Fotografia a Milano. Nel 2015 decide di spostarsi dal buio delle sale di posa al buio delle sale teatrali: spinta dal proprio amore per il palcoscenico e per la vita dietro le quinte, si iscrive presso l’Accademia del Teatro alla Scala, specializzando le proprie competenze nell’ambito teatrale. Lavora dal 2013 come fotografa di scena. Da sempre amante dell’arte in tutte le sue forme e con un debole per l’arte concettuale, negli ultimi anni si avvicina al mondo della fotografia fine-art. Proveniente da una famiglia attiva nel settore metallurgico, ha deciso di concentrare le proprie ricerche fotografiche sul mondo dei metalli e sulla loro lavorazione. Inaugura nel 2016 la sua prima mostra personale con il progetto fotografico “Steel Life”, una ricerca sul metallo come materia in trasformazione, che prosegue nel 2018 attraverso le lenti di un microscopio con “About Metal (about me)”.

www.lucreziaroda.com

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Experts’ corner FOLD a cura di Matteo Berra

Matteo Berra nasce a Milano nel 1977; consegue una laurea specialistica in scultura all’Accademia di Belle Arti di Brera. Frequenta come studente in scambio l’Accademia Nazionale di Atene e la UCLA di Los Angeles. Ricopre il ruolo di tutor del corso di scultura a Brera, mentre parallelamente alla propria carriera artistica é consulente di vari artisti e assistente dello scultore Giancarlo Marchese. Dal 2011 al 2015 insegna alla Catholic University of Daegu in Corea del Sud. Rientrato in Italia inizia una proficua collaborazione con architetti su progetti che vedono la scultura pensata perché si integri e viva con l’architettura ospitante. Continua la carriera artistica collaborando con gallerie di Milano e New York esponendo in gallerie e musei di Europa, Asia e Stati Uniti. Nel 2001 ha vinto il Premio Tenchio di Como e nel 2011 il Primo Premio alla Biennale Sea Art Festival.

Innanzi tutto, cos’è “Fold”? “Fold” è una scultura di quattro metri di base e 24 metri di altezza che si inserisce sulla facciata ad angolo di un palazzo. L’ho pensata e sviluppata appositamente rispetto alla situazione esistente, in modo tale che non risulti come un elemento aggiunto, ma piuttosto come un completamento. Tutta la superficie della scultura è composta da tondini lisci da sei millimetri di diametro di AISI 316L. Come è nata l’idea di “Fold”? Da tempo collaboro con l’Arch. Fabrizio Zambelli, titolare dello Studio Architettura Zambelli di Bergamo. Abbiamo già realizzato altri progetti che integrano elementi scultorei all’interno dell’architettura e abbiamo una buona sinergia. Quando l’Arch. Zambelli è stato incaricato di dirigere l’operazione di recupero di questo edificio mi ha detto di preparare alcuni progetti di sculture da presentare al committente. Quindi ho preparato diversi progetti, di complessità crescente. Quindi ci siamo incontrati con Giorgio Pozzi, amministratore delegato della società e lui senza esitazioni ha scelto “Fold”, che era anche il progetto più grande ed ambizioso di quelli 52

presentati. La sua pronta approvazione non è arrivata a caso, essendo Giorgio Pozzi un amante dell’arte internazionale e promotore di arte e design Made in Italy tramite la sua “Officina della Scala”, come ha dimostrato anche in questa occasione. Quindi da lì siamo partiti e dopo tutti i passaggi burocratici ed ingegneristici necessari, siamo finalmente giunti alla fase operativa e “Fold” sta per diventare realtà. Qual era l’intento nel progettare “Fold”? Come dicevo, non intendevo realizzare semplicemente un’aggiunta o un decoro, qualcosa che semplicemente venisse apposto e sovrapposto all’architettura preesistente. Io credo che architettura e scultura siano discipline gemelle, che lavorano su valori comuni con mezzi ed intenti differenti. Quindi volevo che “Fold” fosse appunto un completamento dell’esistente, la chiusura del discorso iniziato dall’architettura dell’edificio, una sorta di chiave di lettura. Un approccio, se vogliamo fare dei riferimenti all’arte contemporanea, vicino a quello di Gordon Matta Clark, con cui l’edificio diventa materia della scultura. Quindi dal

mio punto di vista, tutto l’edificio fa parte della scultura, che rappresenta il dettaglio legante di tutto il discorso. E di cosa parla tutto questo “discorso”? “Fold” è una sorta di “gomito” del palazzo. Le forme semplici e lineari delle facciate convergono nella scultura, ma invece di risolversi in uno spigolo netto, trovano continuità l’una nell’altra in maniera fluida. Questo fa una grossa differenza. La differenza che passa tra mura perimetrali tracciate ed apposte con la mera logica della convenienza, rispetto ad un unicum architettonico, che si sviluppa, si muove e si declina con logica ed armonia. In “Fold” è come se si rivelasse la natura dell’edificio, l’architettura ci mostra le ossa, la carne, la pelle, la sua natura organica. Nel far questo quindi ci rivela la sua natura umana, quale prodotto dell’esigenza e dell’ingegno. Spigoloso pronipote della caverna, il condominio ne condivide ancora sotto pelle le forme sinuose delle rocce arrotondate dall’erosione, scolpite dal vento e dall’acqua, abrase dal sole. Lo sforzo dell’uomo di nascondere la propria mortalità dietro la meravigliosa geometria della linea La Metallurgia Italiana - n. 4 2018


Scenari

“Fold" render Susanna Mariani per Studio Zambelli courtesy: Matteo Berra-Officina della Scala

retta è anelito divino si, ma impossibile, e togliendo la polvere emergono ancora le montagne, i boschi e l’uomo è ancora cavernicolo. Sembra che ci siamo allontanati molto dal palazzo di Milano, e forse lo scopo migliore che si può prefiggere l’arte è proprio quello di portare lontano, costruire ponti con significati altri, diversi, inaspettati, a volte nuovi, a volte arcaici. Perché l’acciaio inox e soprattutto perché lavorato con questa tecnica? L’acciaio è stata una scelta sia poetica che funzionale. L’acciaio è un materiale che ha visto Milano protagonista nel secolo scorso, nella sua produzione, nelle produzioni che avevano nell’acciaio il loro epicentro. Abbiamo quindi che nell’area nord di Milano, che si estende attorno al nostro luogo di intervento avevano sede la Falck, fondamentale produttrice di acciaio e ghisa, la Breda, importantissima trasformatrice di prodotti siderurgici, o La Metallurgia Italiana - n. 4 2018

l’Hangar Bicocca, dove l’acciaio diventava aerei. Quindi “Fold” è anche un omaggio a questo mondo, a questa Italia, a questo nostro atteggiamento del fare, del fare meglio ma anche del fare insieme, costituendo filiere virtuose. Quando l’Italia lavora così, ha pochi concorrenti al mondo. Funzionalmente la scelta è ricaduta sull’acciaio perché quando si produce qualcosa per l’esterno non ci sono alla fine moltissimi materiali che ci assicurino una buona resa durevole nel tempo. Progettando un’opera di questo tipo la prospettiva temporale diventa molto importante. L’orizzonte si sposta molto, la scultura è esposta agli agenti atmosferici quotidianamente, quindi serve un materiale che sia in grado di invecchiare bene e lentamente. Il 316L è stato scelto proprio per le sue caratteristiche che lo rendono in grado di affrontare il tempo. Inoltre è un materiale molto attuale, altamente tecnologico, che già da molti anni lavora con l’architettura

in maniera molto proficua. Direi che è uno dei materiali simbolo degli ultimi decenni, come il mattone in cotto per il romanico o il legno per l’architettura tradizionale asiatica. Inoltre trovo che l’acciaio sia semplicemente molto bello. Esteticamente è un materiale che mi soddisfa moltissimo. La tecnica di lavorazione invece è frutto della mia ricerca scultorea. Sono vent’anni che lavoro tanto il ferro e l’acciaio. L’ho affrontato e declinato in diverse maniere nel corso degli anni e progressivamente sono andato a sviluppare questo approccio analitico alla costruzione della forma, che ha delle implicazioni formali e poetiche che mi interessano molto. Potremmo dire che in pratica lavoro come una stampante 3D, ma il computer è il mio cervello e le mie mani costruiscono, strato per strato, usando i tondini di acciaio.

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Experts’ corner In che modo questo completa il “discorso” di cui parlavi prima, del rapporto tra la scultura e l’architettura”? Immagina che si tratti di un libro, dove il “discorso” di prima, rappresenta la trama generale. Questa tecnica invece rappresenta le singole parole, che andranno a scrivere il libro, sono quelle che fanno sviluppare la trama. Siamo inoltre d’accordo che il modo in cui racconti la storia, è forse più importante della storia stessa. Quindi una tecnica non vale l’altra. Nel caso specifico forma e tecnica sono inscindibili, perché qualora tu realizzassi la stessa forma con un’altra tecnica, racconterebbe un’altra storia. uesta tecnica porta l’eco della natura, della stratificazione delle rocce, del tempo e della sua registrazione. Tutta la scultura è la conseguenza di una registrazione passo passo di una forma che cambia, dalla base alla cima. Come assistere alla formazione di un’onda in riva al mare. Immaginiamo che i diversi istanti dell’onda rimangano fissati e si sovrappongano. Abbiamo quindi una combinazione di forma, cambiamento e memoria, che in definitiva è un po’ la ricetta della vita, se vogliamo. Anche questa volta siamo andati un po’ lontano. A livello pratico, perché credi che abbiano deciso di inserire “Fold” in un’operazione immobiliare? Non è una scelta comune. Direi che è una scelta unica. Inoltre considera che non c’è solo “Fold”. Io realizzerò una installazione di circa sessanta metri quadri anche sul soffitto del vano scale, e ci sono poi le opere di altri artisti. Giorgio Pozzi ha voluto alzare l’asticella ed ha pensato ad un Art Building. Va dato a lui il plauso di questa scelta. Da questa prospettiva “Fold” rappresenta la punta di diamante del progetto, è l’annuncio che stiamo facendo le cose in maniera diversa, che si punta più in alto. A livello pratico che cosa comporta la realizzazione di una scultura così imponente? 54

Fortunatamente sono abituato a progettare installazioni di grandi dimensioni, ma naturalmente questo progetto le ha superate tutte, per complessità e dimensione. È interessantissimo per me lavorare in un team così diversificato, dove bisogna rapportarsi con ingegneri, architetti, investitori, carpentieri e via discorrendo. Si impara molto, dovendo trovare la soluzione che si adegui alle esigenze di tutti, preservando al contempo la natura del progetto. Nella pratica si tratta quindi di una operazione di misura e ragionamento, dove bisogna ascoltare le esigenze di tutti e trovare una soluzione valida, sperando di trovare la stessa predisposizione all’ascolto anche nelle controparti. Ho avuto la fortuna di trovare sul campo, oltre ai già citati Arch. Zambelli e Giorgio Pozzi, anche l’Ing. Davide Arrigoni, che ha progettato la struttura e la carpenteria Baldo Altemio, nella persona del Sig. Eros Baldo, che l’ha realizzata, con i quali c’è stato un rapporto di intesa fantastico. Poi non posso non ricordare il Dott. Renato Nemfardi ed il Dott. Carlo Mapelli, docente al Politecnico di Milano, che mi ha dato un sacco di consigli utili. Sono molto contento perché ho sentito molto entusiasmo attorno al progetto da parte dei collaboratori coinvolti e dei professionisti a cui mi sono rivolto. Mentre per la realizzazione della scultura? La realizzazione della scultura la affronterò completamente da solo. Non per il desiderio di immolarmi sull’altare della saldatura, ma bensì perché credo che anche questo dettaglio contribuisca a dare un significato ben preciso all’opera. La realizzazione della scultura richiederà una mole di lavoro piuttosto importante. Leggo lo stupore sul volto dell’interlocutore ogni volta che dico che lo farò tutto io. Ebbene io non sono né Ercole, né Superman, né un mago, ma una persona normale di quarant’anni. La scultura sarà una sorta di testimonianza della quantità di lavoro che una persona è in grado di svolgere in una decina di mesi. I miei interlocutori stupiti non si rendono conto che anche loro fanno

la stessa mole di lavoro, solo che nella maggior parte dei casi, non ne rimane traccia, almeno non visivamente. Le ore di telefonate, al computer, in auto, la maggior parte della nostra vita ci scivola addosso, non ne abbiamo memoria, non rimane. La scultura sarà spero un poco anche questo. Farà vedere a tutti quanto fanno in una decina di mesi, ma senza rendersene conto. La tecnica dei tondini sovrapposti inoltre fa eco a questo intento espressivo. I tondini vengono sovrapposti a mano e guidati a comporre la forma, i gesti si materializzano direttamente nella forma. Questa scultura è un documento del suo processo. Le linee del razionalismo architettonico si scontrano con l’organicità dell’esperienza umana. L’ideale della razionalità si confronta con le scelte anche piccole del quotidiano, con l’apparente ripetitività dei gesti quotidiani, di cui spesso perdiamo il disegno generale, il fine. La scultura ci ricorda anche questo, che comunque stiamo costruendo qualcosa, ogni giorno, una nuova riga del nostro racconto. Quattromila e più file di tondini, ventiquattro chilometri di materiale sono un viaggio, di cui la scultura è il resoconto. Quali altri progetti stai portando avanti? Naturalmente prosegue la mia produzione di sculture di dimensioni più gestibili e la sperimentazione con abbinamenti di materiali e lavorazioni diversi per approfondire le possibilità espressiva di questo tipo di approccio al metallo. Inoltre sempre con Giorgio Pozzi, abbiamo sviluppato su sua idea, un tavolo scultura, che si chiama Meteorite. In pratica una mia scultura diventa il basamento di un tavolo che porta un piano in marmo incredibilmente esclusivo di Antolini Italy e la struttura viene assemblata dalla ditta Baldo Altemio. Lo abbiamo presentato già con un incredibile successo a Scope Miami Art Basel, all Art Palm Beach e ad Aprile 2018 sarà al Salone del Mobile di Milano. Una nota divertente è che un esemplare di Meteorite si trovava in esposizione nella hall del Park Hyatt Hotel di Milano nei giorni di visita di Obama, che risiedeva proprio in quel Hotel. La Metallurgia Italiana - n. 4 2018


Scenari

“Meteorite 2017" courtesy: Matteo Berra- Officina della Scala

Sembra che il tuo lavoro si spinga oltre i confini dell’arte contemporanea e che si contamini volentieri con architettura e design. Il mio lavoro è fortemente radicato nella scultura e nell’arte contemporanea. Credo però che le contaminazioni e le collaborazioni arricchiscano e spingano a

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trovare soluzioni nuove e all’avanguardia. Non ho quindi paura di inserire il mio lavoro in contesti quali il design o l’architettura. Il design mi interessa perché mi permette in un certo senso di educare il gusto del pubblico al mio approccio scultoreo. Nell’architettura invece trovo una spalla che mi permette di osare, adottando soluzioni che difficilmente la

sola scultura permetterebbe. Mi piace quando il mio approccio alla scultura colonizza, abita, prende possesso degli spazi dell’architettura. Ci sono delle potenzialità enormi, ho un sacco di idee che spero riuscirò a sviluppare e per le quali spero di riuscire a trovare le giuste occasioni per realizzarle.

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Experts’ corner

“Ombra” acciaio inox AISI 304

“Ombra” acciaio inox AISI 304

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Atti e notizie Calendario degli eventi internazionali International events calendar

QUOTE SOCIALI AIM 2018 (ANNO SOLARE) Benemeriti (quota minima) 1.750,00 € Sostenitori (quota minima)

March 11-15, Phoenix, USA TMS 2018 147th Annual Meeting & Exhibition April 12-13, Friedrichshafen, Germany European Conference on Heat Treatment - Nitriding and Nitrocarburizing April 30 - May 3, Houston, USA Offshore Technology Conference (OTC) 2018 May 19-26, Perth, Australia ALTA 2018 Nickel-Cobalt-Copper, Uranium-REE-Li and Gold-PM Conference & Exhibition May 23-25, Brno, Czech Republic 27th International Conference on Metallurgy and Materials, METAL 2018 May 30-31, Haifa, Israel Technological Innovation in Metals Engineering (TIME 2018)

750,00 €

Ordinari (solo persona)

70,00 €

Seniores

25,00 €

Juniores

15,00 €

La quota dà diritto di ricevere la rivista dell’Associazione, La Metallurgia Italiana (distribuita in formato digitale). Ai Soci viene riservato un prezzo speciale per la partecipazione alle manifestazioni AIM e per l’acquisto delle pubblicazioni edite da AIM.

June 3-6, Pittsburgh, USA 2018 Superalloy 718 & Derivates: Energy, Aerospace, and Industrial Applications

Per ulteriori informazioni, iscrizioni, rinnovi:

June 5-7, Erfurt, Germany International Trade Show + Conference for Additive Manufacturing

AIM, Via F. Turati 8

June 5-7, Greenville, USA 4th International Conference on HTSE in Automotive Applications

Tel.: 02 76021132/76397770,

June 10-13, Helsingør, Denmark 4th International Congress on 3D Materials Science (3DMS 2018)

e-mail: amm.aim@aimnet.it

June 18-21, Gaithersburg, USA Additive Manufaturing Benchmarks 2018 (AM-Bench 2018)

20121 Milano fax: 02 76020551 www.aimnet.it

July 8-13, Paris, France, THERMEC July 15-21, Paris France International Conference on Composites or Nano Engineering (ICCE-26) Semptember 5-8, Las Vegas, USA MEI2018 (Mining Expo International) September 9-13, Oxford, United Kingdom Eurosuperalloys 2018 September 12-14, Xi’ An, China 25TH IFHTSE September 13-14, Aachen, Germany Metallurgie im Wandel 4.0 October 14-18, Seattle, USA Furnace Tapping 2018 Conference October 16-19, Stockholm, Sweden 3rd Ingot Casting, Rolling and Forging Conference, ICRF 2018

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Aim news Review of the book “Early Indian metallurgy” (2017) - Paul T. Craddock by: A. Giumlia-Mair, AGM Archeoanalisi, Merano (BZ), Italy The topic of the volume “Early Indian Metallurgy - The production of Lead, Silver and Zinc through Three Millennia in North West India”, just published by Archetype Publications in London, discusses of archaeological data and analytic results, collected in several decades of research in three zinc, lead and silver mines in India. The author of the volume is Paul T. Craddock, former Head of Metallurgy in the Department of Scientific Research of the British Museum in London, a well-known scholar that in the past published several important books on topics regarding the field of ancient metallurgy. Several chapters have been written in collaboration with other scholars. The 3rd 4th and 5th chapters, on the historical researches on the various sites, on the geology and geography and on mining have as co-author Lalit K. Gurjar. Lynn Willies is co-author of the chapters on mining (together with L.K. Gurjar) and on the various operations carried out in and around the mines, for example, drainage, timbering, air supply and beneficiation. The 7th chapter on the scientific examination of the samples from the different mines is the result of the efforts of several scholars: A.P. Middleton, C.R. Cartwright, K. Eckstein, I.C. Freestone, D.R. Hook and N.D. Meeks. On the front page the authors of the volume are given as P.T.Craddock as main author, with K.T.M. Hegde, L.K.

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Gurjar and L. Willies. Oddly, K.T.M. Hegde only appears in the volume as member of the survey expedition and perhaps of the excavation, but not as

co-author of any of the chapters. The date of the beginnings of large mining operations in the area of the Aravalli Hills in Rajasthan in North West

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Atti e notizie Indian is the Mauryan period (4th - 2nd century BC), but there may have been small scale workings in earlier periods as well. The mines studied for this research are three, all are located in the area of the Aravalli Hills: Zawar is located on the hills, and Dariba and Agucha in the plains. In the first chapter the author writes about the history of this research (that begun as early as 1982), and illustrates the surveying methods, the sampling and the methods of analyses employed for the various materials. Chapter 2, with the title “Early Metallurgy in the Aravalli Hills and Rajasthan”, provides some very short notes on the limited knowledge we possess on Indian metallurgy of silver from Harappan times (Reedy 1997, 104; Agrawal and Seshadri 1998), Mohenjo Daro and Afghanistan (Allchin and Allchin 1982), and on Latin and Greek sources that discuss Indian ore deposits and trade (Giumlia-Mair et al. 2009). After this brief excursus on the early period, titled “Prehistory”, but also covering Classical times until the 2nd century AD, the chapter jumps directly to the “Records of 19th century copper production”, which is described in great detail, and to sections called “Lead and Zinc”, “Lead” and finally “Zinc” again. Perhaps choosing a different title for this chapter, and other headings for the various paragraphs, (especially “Lead and Zinc”, “Lead” and “Zinc”), and subdividing the text in a different way would have helped organizing this rather messy chapter, otherwise containing useful information. Chapter 3, written with L.K. Gurjar, covers the history of the three mines and describes the related monuments. At Zawar there are no early occupation remains, but some Iron Age ceramic fragments were recovered in the vicini-

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ty (Kharakwal 2001, 189). The authors hypothesize that the Mauryian state was involved in the establishment of the large scale mining operations in the Zawar mine, where a large number of workers were employed, however no traces of occupation or architectural remains dated to periods before the 14th century AD were found (Hooja, 2006, 331). The Zawar mines were apparently first exploited for the production of zinc oxide to be used in medicine, and only in later times as silver and zinc mines. The mining activities at the RajpuraDariba silver mines begun in Mauryan times, but very little is known on their early history (Jain and Rakesh 1984). The Rampura-Agucha mines were exploited in three different phases: in the pre-Mauryan and Mauryan period (3rd century BC), in the Sunga and Kushan period (2nd century BC - 3rd century AD), and in the Gupta period (3rd 6th century AD) (Gandhi 1983; Tiwari and Kavdia 1984; Nagarch and Trivedi 1981). Chapter 4 gives an excellent overview of the geography and geology of the Aravalli Hills and discusses their mineral resources (Roy et al. 1980; Gandhi 2000; Krishnaswamy 1988). In chapter 5 the various investigations carried out in the three mines are described in detail, with many significant and rather stunning photographs of the ancient galleries, of details such as ladders, wooden supports, waste heaps, pillars, wooden launders, bridges, traces of firesetting etc. The text goes through the various parts and the lodes of the three mines and discusses the diverse finds (Willies 1989; Willies et al. 1984; Craddock et al. 1989). The rich wood finds were sampled for radiocarbon dating, and dates between the 9th century BC and the 17th century AD were established in Zawar, mid

2nd millennium BC to the mid first millennium AD at Rajpura-Dariba, and mid to late first millennium BC to the 2nd century BC at Rampura-Agucha. Beside wood, some ceramics (p. 58) and even baskets (p. 79) have been salvaged. The splendid and very precise drawings of shafts, workings, arches and fireset hollows, together with the plans and sections of the mines, deserve a special mention, and perfectly integrate the photographic documentation. The reconstructions of mining scenes and operations are less impressive. Chapter 6 elucidates the surveys and excavations of the surface sites: smelting remains, zinc distillation plants, furnaces, retorts, cupellation remains, tuyeres, crucibles, cupels and all sorts of vitrified residues, and related buildings are listed and discussed in great detail (for an earlier discussion see for example Hegde et al. 1986). The photographic documentation is excellent, but, certainly because of the large number of illustrations, some of the photos had, regrettably, to be quite reduced in size. Chapter 7 presents the scientific examination with very exhaustive data on slags, furnace remains, retorts for the distillation of zinc, the remains of cupellation, refractories, various residues, such as fillers and ashes, remains of lead smelting identified on ceramic materials, as well as minerals and metals recovered on the sites, including the production of bronze alloys at Dariba, where silver and lead were smelted (see also earlier publications Craddock et al. 2013; Craddock and Eckstein 2003; Freestone et al. 1991). Aim of the analyses were the identification of the ores and raw materials, the kind of preparation processes, the reconstruction of the metallurgical processes and determination of their temperatures

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Aim news and duration, the kind of materials produced, the chronological and spatial evolution and changes in the processes, the recycling of the materials. The fascinating and very complete documentation will be extremely useful for any researcher studying similar materials. The scientific language is kept as simple as possible and it is easily understandable. The various types of slag, furnace lining, zinc-rich crusts, ashes etc. are accurately described, the composition is given in tables, and the materials are richly illustrated with colour photos, diagrams and micrographs. In chapter 8 mining and beneficiation are illustrated by following the evolution of the mining activities through the centuries, and discussing the evidences by comparing them with the very detailed information given in the Arthaśāstra, a text written in the 4th century BC by Kautilya, who was minister of the first Mauryan emperor Chandragupta. The Arthaśāstra describes the organization and the bureaucracy of mines, but also prospection, refining, alloying and mine administration. This important chapter describes the mining methods, haulage, tools, firesetting, timbering, ventilation, drainage and beneficiation. A striking difference from ancient Western mines

is the complete lack in India of technical devices for haulage and draining, set in motion by animal- or waterpower, as in the known contemporary Western counterparts. Ventilation was controlled by lighting fires under one of parallel shafts, creating thus a rising air draught, while drainage was managed by simple human labour force. The pre-smelting preparations, such as calcining, roasting, and briquetting are presented in chapter 9. A details section on the various kinds of fuel (wood, dung, charcoal, charcoal characteristics, charcoal production and supply) (compare for example Rehder 2000, 55-62) follows. Bellows, tuyeres, hearths and furnaces are also reviewed and investigated in this essential chapter that exhaustively and competently scrutinizes the smelting processes of copper and lead. In chapter 10 the silver and lead production of Dariba and Agucha are discussed and compared with the information given in the Arthaśāstra, and with the reconstructions of cupellation hearths in ancient times in the West (for example in the Greek silver mine of Laurion, 4th - 5th century BC). Later Indian descriptions of the cupellation process and of assaying methods con-

clude this chapter. The production of brass and zinc are the topic of chapter 11. The author first reports on ancient mentions of brass in India, then lists early descriptions of brass production both in Indian and in Latin and Greek texts, and reconstructs the cementation processes (Kharakwal 2001; Craddock and Eckstein 2003). The second part of this chapter is dedicated to the production of zinc as metal, the early brass production and finally the processes in use at Zawar (Hegde et al. 1986). Chapter 12 describes the extinction and revival of the Indian metallurgical industry in the 17th - 21st century AD, and chapter 13 gives a summary and overview on Indian silver and zinc production, on Chinese zinc production and on zinc in Europe. This volume represents an important step forward in our knowledge of metallurgy in India through the centuries, but it is also a compendium of what we know on silver and zinc metallurgy in the West. As such this excellent book is a must for any archaeometallurgical library, and can be a useful tool for any scholar working on this wide field.

REFERENCES Agrawal D.P. and Seshadri R., The metallurgical tradition of the Harappans, in: V. Tripathi ed., Archaeometallurgy in India, Sharada Publishing House, Delhi, 10-16. Allchin B. and Allchin F.R., 1982, The Rise of Civilization in India and Pakistan, Cambridge University Press, Cambridge. Craddock P.T., Freestone I.C., Gurjar L.K., Middleton A. and Willies L., 1989, The production of lead, silver and zinc in ancient India, in Hauptmann A., Pernicka E. and Wagner G.A. eds., Old World Archaeometallurgy, Der Anschnitt, Beiheft 7, Bochum, 51-70. Craddock P.T. and Eckstein K., 2003, Production of brass in antiquity by direct reduction, in: Craddock P.T. and Lang J. eds., Mining and Metal Production through the Ages, British Museum Publications, London, 216-230. Craddock P.T., Cartwright C., Eckstein K., Freestone I., Gurjar L., Hook D., Middleton A. and Willies L., 2013, “Simple sophistication: Mauryan silver production in north west India”, British Museum Technical Bulletin 7, 79-93.

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Columns - Study groups Attività dei Comitati Tecnici CT CORROSIONE (C) (riunione del C.T. – 6 novembre 2017) Manifestazioni in corso di organizzazione - La prossima edizione delle Giornate Nazionali della Corrosione si farà a Palermo presso la cittadella universitaria dal 3 al 5 luglio 2019. I coordinatori locali Di Quarto e Santamaria verificheranno la possibilità di tenere la sessione plenaria di apertura presso una sede più prestigiosa. Iniziative future - Si sta valutando la possibilità di organizzare a Venezia l’importante convegno Eurocorr, che raduna solitamente oltre 1000 delegati, che potrebbero salire fino a 1300: l’unica location potrebbe essere il Lido, con il Palazzo del Cinema e il Casinò, ma i costi sono molto elevati e bisogna valutare attentamente la situazione e gli allestimenti necessari, anch’essi molto cari, in modo da stabilire una quota di iscrizione accettabile. In alternativa, la Germania presenterà la candidatura di Berlino. - In occasione dei 10 anni dalla scomparsa del prof. Pedeferri si pensa di organizzare una GdS sulla corrosione del calcestruzzo. - Un’altra manifestazione dovrebbe essere organizzata in memoria del prof. Bertolini, ma in questo caso non sono state ancora formulate proposte concrete. CT ACCIAIERIA (A) CT FORGIATURA (F) (riunione congiunta dei C.T. – 8 febbraio 2018) I due CT si riuniscono in seduta congiunta per creare sinergie e generare iniziative con contenuti di elevata qualità: non si tratta di una fusione ma solo di una collaborazione temporanea. Manifestazioni in corso di organizzazione - Il Corso Itinerante Solidificazione e Colata Continua si terrà a marzo 2018. Per questioni di sicurezza e gestione delle visite tecniche nelle cinque acciaierie che hanno dato disponibilità, il numero massimo di partecipanti è fis62

sato in 60 persone. Iniziative future - Il CT Acciaieria sta organizzando per la primavera 2018, in collaborazione con il CT LPM (Lavorazioni Plastiche dei Metalli) la GdS “Difettosità in Colata Continua e Lingotti”, con l’obiettivo di spiegare come intercettare le difettosità tipiche di questi due processi, la loro metallurgia e le tecnologie per prevenire o contenere le difettosità. - Rampinini, presidente del CT Forgiatura, descrive i contenuti della GdS sull’analisi del rischio di produzione e contrattuale, da organizzarsi congiuntamente tra i due CT presenti. La giornata può svilupparsi in forma di dibattito/relazione sull’analisi di un contratto di fornitura tipico di una forgiatura. Occorre definire il rischio aziendale utilizzando specifiche tecniche, analisi dei costi e basandosi sulla norma UNI 9001:2015. I contenuti sono certamente condivisibili anche dalle acciaierie, e interessano i clienti finali dei prodotti. Viene confermata la presenza di broker assicurativi e di esperti IT per la sicurezza dei dati sensibili. Durante la discussione si decide di trattare l’aspetto relativo alle responsabilità dei dipendenti che appongono firme sui documenti inviati ai clienti finali, soprattutto quelli in possesso di qualifiche particolari (PnD e tecnici specializzati). Si definirà un comitato ristretto tra i due CT per la finalizzazione del programma. - Si discute anche del Corso “Pillole per Preposti”, che potrebbe essere rivolto anche al personale non formato con specifiche competenze tecniche siderurgiche. Stato dell’arte e notizie - Sono stati presentati tre nuovi membri per il CT Acciaieria e un nuovo membro per il CT Forgiatura. CT METALLI LEGGERI (ML) (riunione del C.T. – 16 febbraio 2018)

Il coordinatore Barbarossa definisce nel dettaglio relatori e argomenti delle presentazioni, così come il programma completo della giornata. - A Napoli nei giorni 19 e 20 luglio è confermato il Workshop “Materiali metallici e processi produttivi innovativi per l’aerospazio”. Si stanno definendo gli ultimi interventi mancanti chiedendo anche la partecipazione di enti importanti a livello nazionale. Stato dell’arte e notizie - Le cariche nel CT sono arrivate a scadenza. Secondo quanto discusso in precedenza, con votazione unanime alla Presidenza viene confermato Maurizio Grillo, mentre vengono eletti come Vicepresidente Amelia Montedoro, già segretaria del CT, e come Segretario Federico Casarotto. - Alcuni membri del CT sono impegnati a presentare memorie nelle sessioni del 37° Convegno Nazionale AIM. CT MATERIALI PER L’ENERGIA (ME) (riunione del 06 aprile 2018) Manifestazioni in corso di organizzazione - La GdS “Problematiche dei materiali nei cicli combinati tradizionali e innovativi” si terrà a Milano il 28 giugno 2018. Il programma è definito e la bozza di locandina è stata preparata dai coordinatori Pinciroli e Cristiani, anche se mancano ancora i nominativi di alcuni relatori. Iniziative future - Si conferma la GdS “Leghe di Nickel e Superleghe” per settembre con sede a Milano; i dettagli saranno definiti a breve. - Resta viva ma non ancora definita l’idea di una GdS su “Materiali per l’eolico”

Manifestazioni in corso di organizzazione - La data del 7 giugno viene scelta per la GdS “Estrusi di alluminio per un mercato che vuole qualità, competenza e valore aggiunto”; la sede sarà Milano. La Metallurgia Italiana - n. 4 2018


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La fatica termica Aumento della produttività degli stampi attraverso un controllo specifico della fatica termica

9-10 maggio 2018 Bergamo Kilometro Rosso Organizzata da

Ad oggi il Comitato Tecnico Pressocolata compie quasi 20 anni. All’interno del Comitato tutti i suoi componenti hanno sempre lavorato con passione e permettetemi di dire con “Tenacia”, promuovendo numerose Giornate di Studio, che sono state interessanti e proficue per i partecipanti. Nel corso di questi anni i temi affrontati sono stati diversi e diversificati. Oggi con queste giornate sulla Fatica Termica ci siamo posti un obiettivo ambizioso: ne parliamo esaminando il problema da diverse e complementari sfaccettature, ma sempre con lo stesso spirito critico e più completo possibile. Credo che partecipare alle Giornate sia gratificante e culturalmente importante per tutti gli attori della pressocolata. Potrete vedere ed ascoltare, nelle presentazioni, sfumature che forse non avete mai preso in considerazione oppure che per svariati motivi avete sottovalutato o parzialmente ignorato. Benvenuti quindi a tutti, anche stavolta pensiamo non rimaniate delusi ma che usciate dalle giornate con “qualcosa in più” che vi permetterà di avere , speriamo, un approccio ai problemi della pressocolata più completo.

Per informazioni ed iscrizioni:

Fulvio Piana - Coordinatore delle Giornate

AIM · Associazione Italiana di Metallurgia Tel. 02-76021132 / 02-76397770 · E-mail: info@aimnet.it · www.aimnet.it

#aggiornamento #formazione #metallurgia #fatica #faticatermica #produttività #pressocolata


convegno nazionale trat tamenti termici

7th international congress on science and technology of steelmaking & xxvi convegno nazionale trattamenti termici the challenge of industry 4.0 13-15 June 2018 Venice - Italy

introduction

The 7th International Congress on Science and Technology of Steelmaking (ICS 2018) will be organized by AIM, the Italian Association for Metallurgy, in Italy in June 2018. ICS 2018 will provide a forum for researchers and manufacturers involved in the scientific and technical developments of steelmaking. This meeting is aimed at creating an opportunity for a technical exchange at an international level among the numerous experts involved in the steelmaking. AIM will host as an integral part of ICS 2018 its traditional Conference on Heat Treatments - XXVI Convegno Nazionale Trattamenti Termici - which will start on 13 June, with a whole day in Italian language for Italian technicians and researchers. It will go on the following days with technical sessions exclusively in English language on massive HT, applications, coating & surface engineering, process & plants and stainless steels. The program of ICS 2018 will feature sessions on: • Continuous Casting - Fluid Flow & Solidification • Continuous Casting - Mold Fluxes • Continuous Casting - Slab Quality Control • EAF Steelmaking • Electro Slag Remelting • Hot Metal Pretreatment • Industry 4.0 & Automation • Non-metallic inclusions • Oxygen Steelmaking • Process Fundamentals • Products & Technology • Secondary Refining • Sustainability & Environment, Recycling & Use of by-Products We kindly invite you to participate in ICS 2018 and are looking forward to meeting you in Venice!

congress venue

The Conference will be held in Venice Mestre mainland, at NH LAGUNA PALACE (Viale Ancona 2, Mestre, Venice - Italy).

language

registration is open!

Register online on the Congress website www.aimnet.it/ics2018.htm best before April 30, 2018.

registration fees

(early bird registration fees by april 30, 2018) Speaker (Presenter) Session Chairperson Committee member Participant (non-Presenter) Student Exhibitor / Sponsor

NON MEMBER

€ 560

€ 680

€ 700

€ 820 € 390 € 720

FREE

€ 600

Congress registration fees include • Admittance to technical sessions and to the exhibition • Congress bag with electronic proceedings • Social event on June 14 • Coffee breaks • Lunches For non-members the fee includes AIM Membership for the last three quarters of 2018 and for the year 2019.

exhibition & sponsorship opportunities

As an integral element of the event, ICS 2018 will feature an Exhibition that will enable excellent exposure for company products, technologies, innovative solutions or services. At this opportunity the Organizers will set an area strategically located. This area will be a focal point of the Congress, so that enough time will be available to guarantee a perfectly targeted potential customer’s environment. Companies will be able to reinforce their participation and enhance their corporate identification by taking advantage of the benefits offered to them as Sponsor of the Congress. Companies interested in exhibiting and/or sponsoring the event may contact: e-mail: commerciale@siderweb.com tel: +39 0302540006 - fax +39 030254004

ics 2018 is sponsored by HEAT TREATMENT

The official language of the Congress will be English.

organising secretariat

MEMBER

GROUP

ASSOCIAZIONE ITALIANA DI METALLURGIA via Filippo Turati, 8 • 20121 Milan • Italy tel: +39 0276021132 • fax: +39 0276020551 e-mail: aim@aimnet.it • www.aimnet.it

www.aimnet.it/ics2018.htm


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