aprile 2023
In questo numero:
FONDAMENTALE
Anno LI - Numero 2
Aprile 2023 - AIRC Editore
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Andrea Sironi Presidente AIRCUn investimento in cui credere
Care lettrici e cari lettori, si avvicina anche quest’anno il periodo della dichiarazione dei redditi. Dal 2005, compilare questo documento è diventata un’occasione per sostenere la causa cui più si tiene, come, nel nostro caso, la ricerca oncologica. Da allora, ogni anno oltre 1,6 milioni di persone scelgono di destinare una piccola parte delle loro imposte direttamente ad AIRC, anziché allo Stato, inserendo o facendo inserire all’interno della dichiarazione il codice fiscale della Fondazione.
Un’enorme responsabilità che ogni anno cerchiamo di onorare al meglio, finanziando con quei fondi la prosecuzione di centinaia di progetti di ricerca d’eccellenza e, a partire dal 2018, quella dei programmi speciali per lo studio delle metastasi.
È una grande sfida, quella alle metastasi. Come raccontiamo nell’articolo principale di questo numero, oltre il 90 per cento delle morti da cancro è dovuto proprio ai tumori metastatici. Per questo abbiamo deciso di dedicare i programmi speciali 5 per mille, il bando più ambizioso che AIRC abbia mai avviato, alla ricerca mirata a comprendere meglio questo fenomeno e trovare cure sempre più efficaci.
I programmi attivi in questo momento sono 8, ma i ricercatori che vi partecipano sono centinaia su tutto il territorio nazionale, perché queste progettualità prevedono di mettere in rete e far cooperare decine di gruppi che lavorano nelle strutture di ricerca italiane. E quanto sia importante per AIRC la collaborazione tra ricercatori lo dimostra il meeting organizzato per far dialogare tra loro i coordinatori dei programmi 5 per mille, di cui parliamo nelle pagine successive.
I primi frutti degli sforzi profusi si stanno già vedendo. In questo numero citiamo le nuove scoperte del programma coordinato da Alberto Bardelli, che prosegue nella sua strada per arrivare a rendere sensibili all’immunoterapia i tumori del colon-retto, il secondo tipo di neoplasia più diffuso nel nostro Paese.
Continuare a sostenere il lavoro dei ricercatori, ricordandosi di destinare il proprio 5 per mille alla ricerca oncologica di AIRC, è quindi un investimento in cui credere con grande fiducia, per avvicinarci sempre di più alla messa a punto di terapie efficaci per contrastare ogni tipo di tumore.
La ricerca del 5 per mille su Fondamentale
Gli articoli contrassegnati dal simbolo qui a destra sono dedicati ai risultati di alcuni dei Programmi speciali e progetti finanziati da AIRC grazie alle donazioni del 5 per mille. Per info: www.programmi5permille.airc.it
Rebus metastasi, così stiamo affrontando il rompicapo più difficile
Costituiscono ancora la principale sfida nella lotta al cancro, ma grazie alla ricerca stiamo imparando a combatterle
a cura di ANTONINO MICHIENZI
C’è un termine che fa più paura della parola cancro: è metastasi. I tumori metastatici sono quelli che si sono diffusi al di fuori della sede primaria e hanno invaso altri organi. Oggi sono responsabili di oltre il 90 per cento della mortalità associata al cancro e rappresentano la principale sfida nella lotta ai tumori, anche se negli ultimi anni la ricerca ha compiuto importanti progressi nella cura di alcune di queste neoplasie.
UN NEMICO DIFFICILE
“Tutto inizia con una cellula normale, che si trova nella sua sede anatomica e rispetta le regole fisiologiche legate alla sua funzione”
spiega Chiara Bonini, docente all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, vicedirettore della Divisione di ricerca di immunologia, trapianti e malattie infettive al San Raffaele, nonché responsabile di uno dei programmi speciali AIRC per lo studio delle metastasi sostenuto con i fondi del 5 per mille. “Questa cellula si trasforma e, pur rimanendo in quella sede, comincia a mostrare le caratteristiche tumorali, come la capacità di proliferare in maniera incontrollata e sfuggire ai meccanismi di morte programmata. Infine, acquisisce ulteriori competenze che
le permettono di vivere al di fuori dal suo ambiente, di attraversare immune il sistema sanguigno e infine di colonizzare altre sedi.”
Questa è una delle ragioni per cui le metastasi sono così difficili da aggredire: “Sono un segnale di malattia sistemica, non più limitata a una zona anatomica precisa e quindi impossibile da estirpare con la chirurgia”.
CELLULE SPECIALI?
Il primo grande interrogativo che riguarda queste cellule va al cuore della loro natura: “Le proprietà metastatiche sono caratteristiche proprie di alcune cellule tumorali che, per così dire, nascono con il piede sbagliato o, piuttosto, sono qualcosa di acquisito, magari proprio durante il processo di metastatizzazione?” si chiede Stefano Piccolo, professore ordinario all’Università di Padova e anche lui responsabile di un programma speciale 5 per mille di AIRC.
È una domanda chiave a cui facciamo ancora fatica a rispondere. “A oggi non sembra che ci siano differenze genetiche tra le cellule del tumore primario e quelle metastatiche. O, almeno, non abbiamo identificato geni master che guidino il processo di metastatizzazione” spiega ancora Piccolo.
“È ormai chiaro però che le metastasi riciclano programmi di attività cellulare impiegati in alcune fasi di tipo rigenerativo, per esempio durante il riparo delle ferite
o alcune fasi dello sviluppo” continua Piccolo. “Grazie a questi programmi, la cellula riesce ad aumentare la propria vitalità e ad acquisire abilità funamboliche, come la capacità di crescere, di camuffarsi, di entrare in uno stato di quiescenza per sfuggire alla chemioterapia, di interagire in modo proficuo con un territorio che non le è proprio.”
L’IMPORTANZA DELL’ECOSISTEMA
“Potremo capire se le cellule metastatiche abbiano qualche specificità che le differenzia fin dall’inizio dalle cellule tumorali soltanto quando riusciremo a guardare, interagire e interferire con quelli che sono i fattori che determinano il processo metastatico” dice Piccolo.
Si tratta di un cambio di prospettiva decisivo: le metastasi infatti non sono entità autonome, ma un “organismo” che si rapporta con un ecosistema fatto di altre cellule con cui instaura molteplici rapporti di simbiosi.
Il consorzio guidato da Stefano Piccolo sta studiando questo dialogo tra le cellule tumorali e l’ambiente circostante, tenendo conto di come le cellule metastatiche si spingono a vicenda e si schiacciano per farsi spazio tra i tessuti. Questi stimoli puramente meccanici hanno profonde influenze sul comportamento delle cellule. Il modo in cui le diverse cellule si spingono l’una con l’altra, e il grado di rigidità del loro microambiente, sono infatti segnali che vengono tradotti
Le metastasi causano oltre il 90 per cento delle morti oncologiche e rappresentano la principale sfida nella lotta al cancro
dalle cellule attraverso l’uso di particolari molecole, che ne aumentano le capacità “camaleontiche” tipiche delle cellule più maligne: possono stimolare la crescita o determinarne l’uscita dallo stato di letargo, detta quiescenza, in cui entrano una volta raggiunta la loro nuova sede o, ancora, attivare meccanismi di resistenza alle terapie. Decifrare questo linguaggio potrebbe permetterci di interferire con il dialogo tra metastasi e ambiente circostante, così da far regredire la malattia o mantenere le metastasi in uno stato di letargo perenne.
“Grazie alle nuove tecnologie, oggi è possibile indagare ogni singola cellula che compone l’ecosistema metastatico, studiando per ciascuna di esse centinaia e, forse fra qualche tempo, migliaia di geni. Inoltre, siamo in grado di farlo mantenendo la struttura naturale delle metastasi, preservando quindi la complessità del loro ambiente. Oggi abbiamo dunque modo di guardare il nemico in faccia, e anche i suoi complici e il loro ruolo.”
INFLUENZE RECIPROCHE
A lungo si è pensato che il processo di metastatizzazione riguardasse solo le fasi più avanzate della malattia. Di recente, la ricerca ha prodotto molte prove secondo cui, in
realtà, fin dalle prime fasi ci sono cellule che abbandonano il tumore primario. Non si tratta di poche cellule impazzite, ma di milioni di cellule che escono dal tumore primario ed entrano nel flusso sanguigno e nel sistema linfatico. Solo una piccolissima parte di esse riesce a sopravvivere a questo viaggio e ad adattarsi una volta arrivata nel nuovo organo. Qui le cellule metastatiche entrano nello stato di quiescenza cui si accennava sopra, che può durare anni o tutta la vita.
Alberto Bardelli, professore ordinario all’Università di Torino e direttore scientifico di IFOM – Istituto Fondazione di oncologia molecolare, coordina un programma 5 per mille AIRC che punta a capire in che modo, lungo il percorso della malattia, le cellule tumorali e quelle del sistema immunitario cambiano insieme.
“È un aspetto fondamentale” dice Bardelli. “Per definizione, quando la malattia è metastatica significa che ha evaso il sistema immunitario. Il rapporto tra tumori e sistema immunitario può essere riassunto in tre fasi: nella prima il sistema immunitario controlla il tumore, che cresce lentamente o addirittura regredisce; nella seconda si ha uno stato di equilibrio in cui non prevale nessuna delle due forze; nella terza il
cancro vince il braccio di ferro ed evade il sistema immunitario: siamo nella fase metastatica.”
Comprendere cosa porti il sistema immunitario a perdere il controllo e identificare metodi per ripristinarlo sono oggi alcune delle principali sfide contro le metastasi.
UN IDENTIKIT DIFFICILE
Chiara Bonini lo sta facendo con strategie altamente innovative: “Il nostro progetto prevede di generare in laboratorio linfociti T del paziente e ingegnerizzarli in modo che riconoscano un elemento specifico delle cellule tumorali” spiega Bonini. In alcuni tumori del sangue lo si fa da qualche anno con le cosiddette CAR-T (acronimo di Chimeric Antigen Receptors). “In tal caso le cellule T vengono tipicamente modificate per riconoscere CD19, una molecola espressa sulla superficie delle cellule di quasi tutti i tumori a cellule B. Ma anche sui linfociti B sani, che vengono quindi eliminati” aggiunge Bonini.
Nel caso dei tumori solidi le cose sono più complicate. Tra i principali ostacoli c’è proprio la difficoltà di identificare un bersaglio che consenta di colpire le cellule del tumore risparmiando quelle sane.
Su questo fronte si stanno percorrendo diverse strade: “Oltre alle CAR, si sta studiando l’efficacia dei cosiddetti TCR, o ‘T cell receptor’, molecole che sono in grado di identificare una cellula tumorale non solo grazie alle proteine di superficie, ma anche a quelle presenti al suo interno” illustra la ricerca-
trice. “Tra i potenziali target dei TCR ci sono i neoantigeni, molecole capaci di stimolare una risposta immunitaria perché espresse esclusivamente dalla cellula tumorale. Altri approcci stanno puntando ai geni iperespressi dalle cellule cancerose: non si tratta di cercare mutazioni specifiche, ma iperespressioni, vale a dire un’intensificazione dell’attività di alcuni geni. Tipicamente, si parla di geni che, terminata la vita embrionale, vengono spenti e che nelle cellule tumorali si riaccendono” spiega Bonini.
UN COLPO AL CERCHIO… Contrassegnare univocamente le cellule tumorali è, però, solo una delle sfide legate al trattamento delle metastasi. Un’ulteriore complicazione consiste nello scardinare il bozzolo che le protegge e impedisce l’ingresso delle terapie. Poi, potrà essere necessario disinnescare la loro capacità di addormentare il sistema immunitario.
Problemi che mettono in luce uno degli insegnamenti che sta arrivando dalla lotta alle metastasi, cioè che, probabilmente, per ottenere risultati bisognerà adottare approcci diversi che si integrino l’un l’altro, e che siano in grado sì di colpire le metastasi, ma allo stesso tempo di intervenire sull’ecosistema a cui appartengono.
Il gruppo di Chiara Bonini, per esempio, sta puntando a sviluppare virus geneticamente modificati per portare all’interno dell’ambiente metastatico citochine immunostimolatorie. Si tratta di molecole capaci di colpire il tumore, attivare le difese im-
Grazie alle nuove tecnologie, oggi è possibile indagare ogni singola cellula che compone l’ecosistema metastatico, studiando per ciascuna di esse centinaia e, forse fra qualche tempo, migliaia di geni.
munitarie e allo stesso tempo modificare il microambiente e spianare la strada ad altre terapie.
Anche Stefano Piccolo sta lavorando a una manovra a tenaglia: sta cercando di individuare strategie che “ammorbidiscano” il microambiente in cui si trovano le cellule tumorali, spegnendo in tal modo le spinte che favoriscono le metastasi. Somministrate
prima dei trattamenti standard, queste molecole potrebbero ripristinare l’efficacia di cure a cui il paziente non risponde più. In modo analogo il gruppo di Alberto Bardelli, come raccontato più nel dettaglio a pagina 20 di questo numero, sta cercando di cambiare i connotati di tumori che non rispondono all’immunoterapia per renderli sensibili a questo approccio terapeutico. Decine di altri ricercatori AIRC e migliaia di scienziati in tutto il mondo stanno lavorando a soluzioni alternative per conoscere sempre più in dettaglio le metastasi, in uno scambio proficuo tra ricerca
di base e clinica. L’obiettivo è riprodurre nei tumori metastatici i risultati clinici che abbiamo già ottenuto nei tumori in fase più precoce.
“Dobbiamo conoscerle sempre più in profondità. Siamo convinti che le metastasi nascondano uno scrigno di opportunità terapeutiche” conclude Piccolo.
Per combattere le metastasi, sarà necessario colpirle e allo stesso tempo intervenire sul loro ecosistema
Uniti per la ricerca sulle metastasi
L’evento Cross-Fertilization ha riunito i responsabili dei programmi speciali 5 per mille AIRC per lo studio delle metastasi. Due giorni intensi di scambi e confronti per fare il punto della ricerca
a cura di CAMILLA FIZ
Fare ricerca significa anche scambio, dialogo, condivisione. “Altrimenti è come se la mano destra non sapesse cosa fa la sinistra” spiega il direttore scientifico di AIRC Federico Caligaris Cappio al convegno CrossFertilization, cioè fertilizzazione trasversale. L’evento ha riunito, per la prima volta, i responsabili e i ricercatori degli 8 programmi speciali AIRC per lo studio delle metastasi, finanziati grazie ai contributi del 5 per mille e coordinati da Alberto Bardelli, Maria Chiara Bonini, Robin Foà, Michele Maio, Alberto Mantovani, Stefano Piccolo, Maria Rescigno e Alessandro Maria Vannucchi. Tenutosi a gennaio 2023 presso la sede di IFOM, l’Istituto di oncologia molecolare di AIRC, l’incontro è stato organizzato per permettere agli scienziati di confrontarsi sui propri risultati e discutere le prospettive future dei loro progetti. In questo articolo, per motivi di spazio, presentiamo a titolo esemplificativo solo alcuni dei lavori presentati durante l’evento. Maggiori informazioni sono disponibili sul sito programmi5permille.airc.it.
Possiamo prevedere la storia del tumore?
Le cellule tumorali si trasformano ed evolvono in continuazione per adattarsi ai cambiamenti esterni, sviare l’effetto dei farmaci, modificare il microambiente e formare metastasi. Ciascuna di queste modifiche lascia, però, una traccia sotto forma di alterazioni genetiche. Queste tracce formano una sorta di “storico” del progresso tumorale, e possono essere usate ai fini della ricerca. Parte proprio da qui il progetto coordinato da Alessandro Maria Vannucchi dell’Università di Firenze. “La nostra indagine unisce la ricerca clinica a quella computazionale tramite la collaborazione di diverse unità. Preleviamo le informazioni dai migliaia di pazienti partecipanti agli studi clinici e sfruttiamo le più moderne piattafor-
I responsabili degli 8 programmi 5 per mille AIRC per lo studio delle metastasi
me digitali e sistemi di sequenziamento del DNA per identificare le anomalie del genoma delle cellule tumorali” spiega Alessandro Maria Vannucchi, che vorrebbe applicare questo approccio a diverse forme di neoplasie mieloidi. Una volta trovate le alterazioni genetiche, l’obiettivo è costruire dei modelli che aiutino a prevedere sia il rischio di metastatizzazione per ciascun paziente, sia quali tumori passeranno dalla forma cronica a quella acuta.
Possiamo prevedere la risposta alle terapie?
Le alterazioni del DNA delle cellule tumorali, però, non avvengono soltanto nella struttura del loro DNA, ma anche “sopra”. Queste alterazioni, dette epigenetiche, non inducono cambiamenti nella struttura del genoma, ma nel modo in cui esso viene letto, e contribuiscono così a delineare la storia delle cellule tumorali e dell’ambiente che le circonda, detto microambiente. “Grazie a un precedente finanziamento AIRC, abbiamo dimostrato che il profilo epigenetico delle cellule tumorali è correlato al tipo di progressione neoplastica e al riconoscimento delle cellule tumorali da parte del sistema immunitario del paziente” ricorda Michele Maio dell’Università degli studi di Siena. “Ora vogliamo estendere le analisi e identificare le mutazioni epigenetiche, anche delle metastasi e del microambiente, responsabili di una diversa risposta alle terapie.” Il gruppo di ricerca intende etichettare le alterazioni epigenetiche del DNA affinché siano riconoscibili e caratterizzino il paziente per la sua responsività alle terapie immunologiche. “Abbiamo due obiettivi: definire un profilo epigenetico delle metastasi del melanoma, attraverso un complesso approccio computazionale, ed estendere le indagini al glioblastoma e mesotelioma.” Al momento sono già in corso studi clinici, derivati dal progetto di ricerca, sulla capacità dei
farmaci epigenetici di rendere efficacia l’immunoterapia in pazienti con melanoma e cancro del polmone che non ne hanno tratto beneficio.
Come estendere l’efficacia delle cure?
Le immunoterapie sono tutti quei trattamenti che mirano a risvegliare la capacità dell’organismo di difendersi dal tumore, “rieducando” il sistema immunitario a tenere sotto controllo ed eliminare efficacemente le cellule trasformate. Una delle immunoterapie oggi più promettenti sono gli inibitori dei checkpoint immunitari, farmaci che sbloccano il sistema immunitario per riattivarlo e direzionarlo contro il tumore. Una parte dei pazienti non risponde però a questo trattamento, un problema che il gruppo di Maria Rescigno, dell’Humanitas Research Hospital di Rozzano, sta cercando di affrontare: “Stiamo sperimentando un vaccino in grado di preparare il sistema immunitario a riconoscere meglio le cellule tumorali, in modo che possa combatterle con più efficacia una volta ‘sbloccato’ dai farmaci immunoterapici. L’obiettivo è aumentare il numero dei pazienti che rispondono agli inibitori dei checkpoint immunitari” rac-
conta Rescigno. Dopo aver compreso come produrre il vaccino, il gruppo ha condotto degli esperimenti preclinici su cellule immunitarie umane e su animali di laboratorio. I risultati sono promettenti riguardo l’efficacia e la sicurezza del farmaco: “Per il prossimo anno saremo pronti a rilasciare il vaccino, a cui seguiranno gli studi osservazionali su pazienti di melanoma e osteosarcoma” conclude Maria Rescigno.
Il convegno procede attraverso gli interventi dei ricercatori, a cui seguono domande, consigli e scambi di opinioni. “Questa prima edizione dell’incontro è andata oltre le mie aspettative. È stato un successo” ammette il prof. Federico Caligaris Cappio in conclusione, ricordando che “la coordinazione della ricerca è un servizio per il Paese”. Infatti, se negli ultimi anni si sono approfonditi gli studi su singoli aspetti delle metastasi, come le trasformazioni fisiche, le mutazioni genetiche o il sistema immunitario, oggi di queste indagini specifiche e parziali si iniziano a raccogliere i frutti. E si progetta il modo di unire i pezzi per raggiungere uno sguardo d’insieme. Diventa così fondamentale che la comunità scientifica sia unita, perché mano destra e sinistra non solo comunichino, ma collaborino per trovare soluzioni e strategie sempre più efficaci.
Un’occasione di condividere risultati, prospettive e idee per il futuro, ed esplorare nuove opportunità di collaborazione
Rilanciare gli screening per aumentare le possibilità di cura
Uno studio coordinato dagli specialisti dell’Università
Alma Mater di Bologna evidenzia come il numero di diagnosi di cancro del colon-retto in stadio avanzato sia aumentato dopo le prime due ondate della pandemia.
Un dato che – per questa come per altre neoplasie – viene registrato anche in altri Paesi
a cura di FABIO DI TODARO
Le conseguenze della pandemia di Covid-19 iniziano a farsi sentire negli ambulatori e nei reparti di oncologia di quasi tutti gli ospedali della Penisola. Nel 2022 infatti le diagnosi sono aumentate, così come i casi di malattia avanzata. Una tendenza che per ora è stata osservata in particolare nei tumori più frequenti, come quel-
li che colpiscono le porzioni terminali dell’apparato digerente: il colon e il retto. Il dato emerge da uno studio italiano pubblicato sulla rivista Jama Network Open. Tra marzo del 2020 e dicembre del 2021, le forme di cancro più gravi sono aumentate (+8,6 per cento) rispetto a un periodo precedente (20182020) di durata sovrapponibile. Secondo gli esperti, questa è la conseguenza di due aspetti: la sospensione dei pro-
grammi di screening nei primi mesi dell’emergenza sanitaria e il timore dei pazienti a recarsi negli studi medici e negli ospedali in presenza di sintomi sospetti. “Più un tumore viene diagnosticato in fase avanzata, minori sono le probabilità di guarigione” afferma Paolo Boffetta, docente di epidemiologia dei tumori all’Università Alma Mater di Bologna. “La prima fase della pandemia potrebbe aver determinato una battuta d’arresto nel miglioramento dei tassi di sopravvivenza registrato in Italia nell’ultimo decennio.”
Diagnosi più avanzate durante la pandemia
A scattare l’istantanea per il tumore del colon-retto è stato un gruppo di specialisti di diversi centri di riferimento sparsi lungo lo Stivale. I ricercatori hanno confrontato i dati tratti da quasi diciottomila pazienti assistiti in 81 ospedali: alcuni (10.142 persone) erano stati operati prima dell’avvento della pandemia, altri (7.796) hanno dovuto fare i conti con la malattia tra il 2020 e il 2021. Tra questi ultimi, le diagnosi tardive –e le forme di cancro maggiormente aggressive – sono risultate più frequenti. “Abbiamo osservato fin da subito un aumento dei pazienti con metastasi a distanza” dichiara Matteo Rottoli, specialista dell’Unità operativa complessa di chirurgia del tratto alimentare del Poli-
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! PROGRESSI DELLA RICERCA"
Nelle scorse settimane la Food and Drug Administration – l’ente che autorizza l’immissione in commercio di nuovi farmaci negli Stati Uniti – ha dato il via libera alla somministrazione di una terapia bersaglio nei pazienti con un tumore del colon-retto metastatico caratterizzato da una amplificazione del gene HER2. L’uso dei farmaci che sfruttano questa caratteristica genetica come
clinico Sant’Orsola di Bologna. “È verosimile che questo andamento si consolidi anche negli anni a venire” aggiunge il coordinatore della ricerca.
Così la malattia è più difficile da curare
Gli oncologi stimano che fino alla primavera del 2021 nel nostro Paese potrebbero essere “sfuggite” oltre 9.000 lesioni del colon-retto, tra tumori e adenomi avanzati (forme destinate a evolvere in tumori maligni). Ma il problema non sembra riguardare soltanto questa forma di cancro. Lo si evince dalle conclusioni di una metanalisi pubblicata sullo European Journal of Epidemiology. La revisione di studi, coordinata da Boffetta, ha evidenziato come fino a ottobre del 2020 in tutto il mondo si sia registrato un calo delle indagini diagnostiche ef-
bersaglio era già stato approvato dall’Agenzia italiana del farmaco per alcune forme di tumore al seno e allo stomaco. L’amplificazione del gene HER2 si può trovare inoltre in alcune neoplasie alle vie biliari, all’ovaio, alla vescica e al pancreas. Sono stati gli specialisti del Cancer Center del Grande ospedale metropolitano Niguarda di Milano e dell’Irccs Istituto tumori di Candiolo a scoprire nel 2012 che questa alterazione genetica era riscontrabile anche nel 3-5 per cento di tumori del colon-retto. La scoperta è avvenuta nell’ambito
fettuate (-37,3 per cento) e delle diagnosi vere e proprie (-27 per cento) di tumore. Nel lavoro sono stati presi in considerazione i dati riguardanti le malattie più diffuse: seno, pelle e organi degli apparati gastrointestinale (esofago, stomaco, intestino, pancreas, fegato) e genitourinario (rene, vescica, prostata, corpo e collo dell’utero, ovaio, testicolo, pene). È quindi quasi scontato che le malattie saranno diagnosticate in stadio più avanzato, con un conseguente impatto negativo sull’esito delle cure.
Rilanciare lo screening
Da qui l’importanza di rilanciare lo screening di popolazione per la diagno-
di uno studio sostenuto da Fondazione AIRC e gli scienziati sono tutt’ora impegnati nella ricerca di nuovi metodi per contrastare il tumore del colon-retto metastatico all’interno di uno dei Programmi 5 per mille AIRC. La combinazione approvata negli Stati Uniti è composta da trastuzumab e tucatinib, che possono essere somministrati a pazienti con malattia non operabile e progredita dopo uno o due trattamenti chemioterapici. In Italia, al momento, questa terapia viene offerta nell’ambito di studi clinici o off-label.
si precoce del tumore del colon-retto. Il programma è ripartito già nel 2021, pur con evidenti differenze tra una Regione e l’altra. L’indagine consiste nella raccolta (a casa) di un campione di feci e nella ricerca (in laboratorio) di tracce di sangue non visibili a occhio nudo. La malattia si sviluppa infatti lentamente a partire da piccole formazioni benigne (polipi), che possono sanguinare diversi anni prima della comparsa di altri disturbi. Con una cadenza biennale, l’esame viene offerto gratuitamente dal Servizio sanitario nazionale a uomini e donne tra i 50 e i 69 anni, ed è in grado – eventualmente seguito dalla colonscopia e dalla rimozione dei polipi – di determinare una riduzione della mortalità compresa tra
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Da inizio pandemia alla primavera 2021 in Italia potrebbero essere sfuggite oltre 9.000 lesioni del colon-retto
SCREENING ONCOLOGICI
Tumore colon-retto
Il calo degli esami nel 2020 secondo un grafico dell’Osservatorio nazionale screening
il 9 e il 32 per cento.
Con 48.100 nuove diagnosi nel 2022, il tumore del colon-retto si è confermato tra i più frequenti: secondo soltanto a quello al seno (55.700 casi) e davanti a quelli al polmone (43.900), alla prostata (40.500) e alla vescica (29.200). A esserne più colpiti sono soprattutto gli uomini (26.000 diagnosi) e in un’età sempre più precoce. L’aumento delle diagnosi (+1,5 per cento rispetto al 2021) sostiene l’ipotesi che nell’anno trascorso siano stati scoperti tumori già presenti nei mesi precedenti. Ma non solo. Su questo trend
incide anche il peggioramento degli stili di vita, amplificato dalla pandemia. Il fumo di tabacco, l’obesità, la sedentarietà e l’abuso di alcol rientrano tra i fattori di rischio del tumore del colon-retto, la cui sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi si attesta tra il 65 (uomini) e il 66 (donne) per cento. Sono 513.500 le persone viventi in Italia dopo la scoperta di questa malattia. La diffusione dello screening e le conoscenze sull’importanza della prevenzione primaria hanno determinato nel tempo un aumento delle diagnosi precoci di tumore del colon-retto, e, di conseguenza, della sopravvivenza. Ancora oggi però il 20 per cento dei casi di malattia – poco più di 9.000 diagnosi attenendosi alle stime del 2022 – viene
scoperto quando il cancro si è già insediato anche in altri organi. Nel caso specifico, le sedi più frequenti di metastasi sono il fegato, i polmoni, il peritoneo e il cervello. Come si tratta il tumore del colon-retto metastatico? L’approccio è cucito su misura del paziente. Se la malattia è limitata al fegato o ai polmoni ed è operabile, si ricorre a un intervento il più possibile radicale e alla chemioterapia. Se invece in partenza non ci sono le condizioni per un intervento, si può effettuare una chemioterapia preoperatoria per ridurre le dimensioni delle metastasi e renderle asportabili con il bisturi. Per i casi in cui non sia possibile operare, sono stati sviluppati farmaci in grado di prolungare la sopravvivenza e migliorare la qualità della vita dei pazienti. Il primo passo da compiere è l’analisi del profilo molecolare del tessuto. La presenza o meno di alcune mutazioni – a carico dei geni RAS e BRAF, rilevabili nel 35-40 per cento dei casi – apre la strada all’utilizzo di un cocktail di chemioterapici in combinazione con un farmaco a bersaglio molecolare. A queste opportunità si è da poco aggiunta l’immunoterapia, sebbene in un gruppo limitato di pazienti (quelli con un tumore metastatico caratterizzato dall’instabilità dei microsatelliti o da un deficit di riparazione del mismatch, come descritto più nel dettaglio a pagina 20) e dopo il fallimento di una chemioterapia. L’immunoterapia sembra essere efficace anche se somministrata prima dell’intervento a una ristretta categoria di pazienti affetti da un tumore del retto. Per questa ultima opzione, però, la ricerca dovrà fornire ulteriori riscontri.
FACCIAMO IL PUNTO
Tumore del pancreas
Tante idee per combattere il tumore più letale
La morte dell’ex calciatore Gianluca Vialli ha riacceso i riflettori sul tumore del pancreas, una delle forme di cancro più difficili da curare. Il tempo, però, non sta trascorrendo invano. La scoperta delle caratteristiche biologiche della malattia è il primo passo per mettere a punto terapie più efficaci
a cura della REDAZIONE
14.500 nuovi casi soltanto nel 2022, l’1 per cento in più rispetto all’anno precedente.
Un trend di crescita che, segnalano gli epidemiologi, prosegue dall’inizio del secolo. E che preoccupa non poco, considerando che il tumore del pancreas ha un tasso di mortalità molto alto: sono 12.900 gli italiani che per questa causa hanno perso la vita nel 2021. Un aumento dei casi in valore assoluto, con ogni probabilità, porterà questa malattia in meno di un decennio a diventare la seconda causa di morte per cancro – preceduta soltanto
dal tumore del polmone, le cui diagnosi annue in Italia sono però circa tre volte superiori (43.700 nel 2022). La sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi per l’adenocarcinoma del pancreas si assesta infatti tra l’11 e il 12 per cento. “Nel trattamento del tumore del pancreas siamo in ritardo” ammette Giampaolo Tortora, direttore del Comprehensive Cancer Center della Fondazione Policlinico universitario Gemelli di Roma. “Tra le corsie e i laboratori, però, negli ultimi anni abbiamo acquisito diverse conoscenze. Informazioni che, al momento, non si sono ancora tradotte in benefici per
6.600 uomini colpiti da tumore al pancreas nel 2022
i pazienti, ma che con ogni probabilità contribuiranno a definire trattamenti più efficaci.”
TUMORE DEL PANCREAS: A CHE PUNTO SIAMO?
Negli ultimi anni, anche coloro che non hanno avuto direttamente a che fare con il tumore del pancreas hanno potuto comprendere quanto difficile sia curare questa malattia, attraverso le esperienze di diversi personaggi famosi che non sono riusciti a superarla. L’ultimo della lista è stato Gianluca Vialli, ma prima di lui il tumore del pancreas aveva determinato la morte di altre perso-
IL PANCREAS
Il pancreas è un organo ghiandolare situato in profondità nell’addome, tra lo stomaco e la colonna vertebrale. Produce ormoni importanti come l’insulina e il glucagone e vari enzimi utili alla digestione.
7.900 donne colpite da tumore al pancreas nel 2022
FACCIAMO IL PUNTO Tumore del pancreas
Gianluca Vialli, calciatore, allenatore e dirigente sportivo, è morto di recente per un tumore al pancreas
nalità di spicco: Giacinto Facchetti, Luciano Pavarotti, Mariangela Melato. La loro esperienza ha fatto cadere i veli su una malattia di cui prima si parlava con timore. Dietro le storie di questi pazienti, si cela qualche piccolo passo in avanti, com’è inevitabile che sia quando si parla di una patologia che offre ancora poche speranze. “La storia di Vialli ci parla anche di una diagnosi tempestiva, che ha permesso di operarlo e dunque di garantirgli una soprav-
Gianluca Vialli è stato l’ultimo di una serie di persone famose morte a causa del tumore al pancreas
vivenza più lunga, che in questi casi può arrivare anche al 40 per cento dopo cinque anni dalla diagnosi” aggiunge Tortora. “Vialli ha potuto trascorrere così il periodo della malattia con una discreta qualità di vita, che gli ha permesso anche di ottenere un grande successo professionale.”
UNA MALATTIA AD ALTO GRADO DI COMPLESSITÀ
Il triste epilogo che ha riguardato l’ex centravanti di Cremonese, Sampdoria, Ju-
6.300 uomini morti nel 2021 per questo tumore in Italia
ventus e Chelsea ha portato un po’ tutti a ripetersi una domanda: perché è così difficile curare il tumore del pancreas? Il pancreas è una ghiandola con una duplice funzione: produce sia enzimi digestivi
(tripsinogeno, chimotripsinogeno, proelastasi, procarbossipeptidasi, amilasi e lipasi pancreatica) sia specifici ormoni che regolano il livello di zuccheri nel sangue (insulina e glucagone), la digestione e lo svuotamento gastrico (polipeptide pancreatico e somatostatina). Diversi sono i tumori che possono colpire quest’organo, ma il più diffuso (e quello su cui ci concentriamo in queste pagine) è l’adenocarcinoma pancreatico, ben più grave rispetto a un tumore neuroendocrino. “A rendere questa forma di cancro difficilmente curabile sono almeno tre caratteristiche: la velocità di disseminazione delle cellule malate, la posizione profonda dell’organo, che rende spesso inefficace un esame di screening di primo livello come l’ecografia dell’addome, e l’assenza di sintomi specifici nelle fasi iniziali della malattia” afferma Tortora, che alla ricerca e alla cura del tumore del pancreas ha dedicato l’intera carriera: alle università di Napoli (Federico II) e di Verona, prima di approdare nella Capitale. All’inizio del suo percorso, ha vissuto, grazie al contributo di Fondazione AIRC, anche un’esperienza quinquennale al National Cancer Institute di Bethesda. “Segni tipici del tumore al pancreas sono l’ittero e il dolore a barra nella zona lombare. Nel momento in cui lo si riconosce, però, il cancro è quasi sempre avanzato. Non abbiamo ancora
6.600 donne morte nel 2021 per questo tumore in Italia
dei marcatori che permettano di organizzare uno screening ampio e facilmente accessibile.”
CHEMIOTERAPIA ANCORA IMPRESCINDIBILE
Che si possa ricorrere o meno all’intervento, la chemioterapia è protagonista della gestione dell’adenocarcinoma pancreatico. L’approccio al momento più efficace nella malattia localmente avanzata (non operabile, ma non ancora metastatica) è quello cosiddetto del “panino”. Metafora che gli esperti utilizzano per illustrare una strategia composta da chemio (per rimpicciolire la massa), intervento e ancora chemioterapia (al fine di ridurre il rischio di metastasi). Così facendo, in alcuni casi, la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi può passare dall’8 al 20-30 per cento (con un intervento di successo). Come anticipato, però, il difficile arriva nel momento in cui il tumore ha già generato delle metastasi. “Nella gestione della malattia metastatica si utilizzano diverse combinazioni di farmaci: gemcitabina e Nab-paclitaxel o un cocktail di tre principi attivi denominato Folfirinox” prosegue Tortora. “Finora né l’impiego dei farmaci biologici né il ricorso all’immunoterapia hanno dato i risultati sperati. L’alterazione di più vie di trasmissione dei segnali cellulari ci porta a ritenere che sarà molto difficile
sviluppare un unico farmaco efficace. Abbiamo bisogno di conoscere a fondo l’identikit della malattia prima di poter immaginare la giusta combinazione di diverse molecole.”
MA LA RICERCA
VA AVANTI
Il tempo, però, non sta trascorrendo invano. “Oggi sappiamo che questo tumore è spesso avvolto da una capsula fibrosa che delimita un microambiente tumorale” chiarisce Tortora. “Qui ci sono cellule del sistema immunitario corrotte e molecole che aiutano le cellule tumorali a mimetizzarsi e a difendersi dall’attacco dei farmaci. Stiamo lavorando per modificare questo habitat e renderlo accessibile agli anticorpi monoclonali e agli inibitori del checkpoint immunitario. L’obiettivo è rendere l’immunoterapia efficace nel tumore del pancreas avanzato come già lo è per diverse altre ma-
11% sopravvivenza netta a 5 anni dalla diagnosi per gli uomini
lattie metastatiche: a partire dal melanoma, con cui si può convivere anche per 7-10 anni.” Accanto a questa linea di ricerca, c’è quella che riguarda il counseling rivolto ai parenti di primo grado delle persone già ammalatesi e a chi convive con una condizione (sindrome di Lynch, familiarità al melanoma, mutazione del gene Palb2, pancreatite cronica ereditaria, sindrome di PeutzJeghers) che può predisporre allo sviluppo dell’adenocarcinoma panceatico. Attraverso una sorveglianza attiva, che al momento è garantita da pochi centri e in via sperimentale, l’obiettivo è anticipare una quota significativa di diagnosi per rendere la malattia più semplice da trattare.
IL FARMACO OLAPARIB
Olaparib è un medicinale già in uso nelle donne con tumori al seno e all’ovaio che ha dimostrato di poter prolungare la vita dei pazienti portatori di una mutazione dei geni BRCA (1 e 2). Alcuni studi, tra cui il più recente pubblicato nel dicembre scorso sul Journal of Clinical Oncology, ne hanno sperimentato l’efficacia anche nei pazienti con tumore al pancreas. I risultati dimostrano che, nelle persone trattate, il periodo medio trascorso senza una recidiva è stato di 7,4 mesi, rispetto ai 3,8 mesi di coloro che avevano ricevuto un placebo, anche se purtroppo a fronte di effetti collaterali non trascurabili. Per ora l’Agenzia italiana del farmaco ha deciso di non renderlo rimborsabile.
12% sopravvivenza netta a 5 anni dalla diagnosi per le donne
La ricerca è al lavoro per modificare il microambiente tumorale e rendere l’immunoterapia più efficace
La ricerca in viaggio con iCARE-2
Si incontrano le storie dei giovani ricercatori vincitori delle borse di studio
iCARE-2, cofinanziate da Unione europea e AIRC
a cura della REDAZIONE
AMilano, l’1 e il 2 dicembre, si sono riuniti i ricercatori vincitori delle borse di studio iCARE-2, promosse da Fondazione AIRC e dall’Unione europea. Un evento utile a condividere i risultati delle proprie ricerche, confrontarsi e conoscersi di persona, dopo anni di incontri attraverso uno schermo.
“Nella ricerca di base è molto difficile vedere il fine ultimo. Però ho grande fiducia nella mia ricerca e penso potrà contribuire a salvare delle vite”
afferma Nadine Landolina, vincitrice di una borsa di studio per un progetto di immunoterapia. Per ciascuno degli assegnatari, iCARE-2 è stata un’occasione di crescita. Quello che rimane al termine del percorso è un grande senso di riconoscenza, mista alla comprensibile incertezza per il futuro.
MECCANOBIOLOGIA, IMMUNOTERAPIA E NANOPARTICELLE
“Avevo già intenzione di intraprendere un’esperienza all’estero e la borsa di studio iCARE-2 me ne ha dato l’opportunità.” Subito dopo il dot-
torato all’IIT di Genova, Marco Cassani è volato al St. Anne’s University Hospital di Brno, in Repubblica Ceca. Il suo progetto si basa su scoperte all’avanguardia per la terapia contro il cancro: l’uso di nanoparticelle per trasportare i farmaci nelle cellule, l’immunoterapia per risvegliare il sistema immunitario e la meccanobiologia, che studia le trasformazioni fisiche e meccaniche delle cellule tumorali. “La mia ricerca si focalizza su due aspetti. Il primo è scoprire come i processi meccanobiologici influenzino le cellule sia neoplastiche sia del sistema immunitario. Il secondo vuole sfruttare questi meccanismi per migliorare la somministrazione delle nanomedicine e attivare il sistema immunitario contro le cellule tumorali.” L’ambizione del progetto è conoscere meglio la meccanica delle cellule cancerose per attaccarle in due
modi: attraverso il sistema immunitario e con medicine racchiuse in nanoparticelle.
SVOLTA COMPUTAZIONALE NELLA RICERCA SUL GLIOBLASTOMA
Francesco Pasqualetti non nasce come ricercatore, ma come medico. È responsabile del percorso neuro-oncologico all’Azienda ospedaliera di Pisa, dove cura i malati di glioblastoma. “Dopo anni di frustrazioni nel prospettare ai pazienti, spesso miei coetanei, prognosi terribili ho deciso di provare a migliorarle con la ricerca.” Grazie alla borsa di studio iCARE-2, il suo progetto ha preso forma all’Università di Oxford. “La letteratura sul glioblastoma dimostra purtroppo risultati del tutto fallimentari: da 30 anni non ci sono miglioramenti concreti della prognosi. Perciò abbiamo valutato un approccio nuovo, di tipo com-
putazionale.” L’idea è combinare l’intelligenza artificiale con la biopsia liquida. “Con il contributo di molti enti ospedalieri, preleviamo campioni di sangue dai pazienti per estrarre marcatori specifici, i microRNA esosomiali. In seguito, con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, potremo elaborare più campioni in contemporanea per classificare i pazienti e identificare una terapia mirata per le loro caratteristiche. Non l’ha mai fatto nessuno prima.” Anche per questo, le difficoltà sono state molte. La Brexit e la pandemia hanno rallentato il corso già lento della ricerca, ritardando gli esperimenti e le consegne dei campioni, ma l’entusiasmo di tutti i colleghi ha permesso di andare avanti. “Dopo 4 tentativi falliti nell’isolare questi marcatori del sangue, inizieremo a breve le analisi computazionali sui pazienti. Contiamo che saranno 80 i soggetti studiati entro la fine della primavera.” È un cambiamento drastico nell’approccio di ricerca sul glioblastoma, che lascia lo studio delle singole mutazioni per focalizzarsi sul complesso. Pasqualetti conferma: “Potrebbe significare l’inizio di una terapia mirata del glioblastoma,
come avviene già per il cancro al seno o al polmone. Identificando prima di ogni intervento chi risponderà bene alla radioterapia e chi necessiterà della chirurgia, si potrà preservare la vita di molti pazienti”.
SENTIERI INESPLORATI
DEL LINFOMA DI HODGKIN
Queste borse di studio sono state cofinanziate da AIRC e dal programma di ricerca e innovazione dell’Unione europea Horizon 2020 mediante il contratto Marie Skłodowska Curie numero 800924
“Il linfoma di Hodgkin è difficile da studiare, perché presenta poche cellule tumorali” spiega Luisa Tasselli, ricercatrice all’Università di Perugia, che ha appena terminato il suo progetto finanziato dalla borsa iCARE-2. È come se in questa tipologia di cancro fosse difficile identificare il bersaglio. “Siamo partiti dallo studio delle mutazioni nel fattore di trascrizione STAT6, un regolatore dell’attività del DNA, che sostiene la crescita tumorale ed è presente nel 30 per cento dei pazienti. Adesso stiamo ricercando altre mutazioni anche nelle parti del genoma non codificanti, mai studiate finora.” Per adesso gli esperimenti sono stati condotti su linee cellulari, ma Luisa è fiduciosa nelle prossime applicazioni sui malati. “Sono già in corso numerosi trial clinici per verificare sui pazienti con linfoma di Hodgkin il significato di studi simili.” In questo progetto Luisa Tasselli ha portato a Perugia le conoscenze acquisite negli anni passati a Standford. Per il futuro le piacerebbe aprire un proprio laboratorio o entrare in un’istituzione internazionale. Con un po’ di dispiacere ammette: “In entrambi i casi è probabile che mi debba spostare di nuovo”.
Iricercatori iCARE-2 riuniti a Milano per il meeting
Tanti progetti di ricerca diversi, sostenuti grazie ai fondi di AIRC e dell’Unione europea
...dal Mondo
batteri
nei confronti delle terapie
NATURE E CELL REPORTS
Per rendersi invisibili ai farmaci di ultima generazione, i tumori utilizzerebbero anche alcuni microrganismi che li circondano e che, producendo determinate molecole infiammatorie, annullerebbero la risposta immunitaria dell’organismo. Così da spianare la strada alla replicazione e alla diffusione delle cellule tumorali anche a distanza. Due studi condotti dai ricercatori del Fred Hutchinson Cancer
Microrganismi alleati del tumore ostacolano la risposta terapeutica
Center di Seattle – pubblicati sulle riviste Nature e Cell Reports – confermano come il microambiente tumorale rappresenti uno dei target a cui puntare soprattutto quando i trattamenti disponibili si rivelano inefficaci. Dietro la mancata risposta terapeutica, potrebbero celarsi come alleati della malattia proprio i microrganismi. Una scoperta che pone in relazione lo studio dei microbiomi (l’insieme dei geni delle specie microbiche che convivono in un determinato organo) con l’origine dei tumori. L’ipotesi della presenza di un microbiota tumorale, confermata in uno di questi studi per il tumore del colon-retto, è considerata più che plausibile anche per i tumori al seno, al polmone e al pancreas.
Verso una radioterapia “breve” per il tumore al seno?
JOURNAL OF CLINICAL ONCOLOGY
Da 3-5 settimane a 5 giorni: tanto potrebbe durare un ciclo di radioterapia nelle donne sottoposte a un intervento conservativo per asportare un tumore al seno. Alle radiazioni si ricorre per evitare la comparsa di recidive, soprattutto quando non si asporta l’intera ghiandola. Un trattamento efficace, ma non sempre privo di effetti collaterali: per questo sarebbe importante poter accorciare i tempi della cura. Un’ipotesi plausibile, a leggere le conclusioni di uno studio coordinato dai radioterapisti dell’ospedale Bellaria di Bologna e dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Modena e pubblicato sul Journal of Clinical Oncology. Il loro lavoro, condotto su oltre 3.000 pazienti di diversa nazionalità, ha dimostrato come un trattamento localizzato a una parte del seno (radioterapia a fasci esterni) permetta di ridurre la durata complessiva della radioterapia, senza peggiorare la frequenza e l’entità degli effetti collaterali. L’efficacia del trattamento andrà verificata con ulteriori studi.
I
come “scudo”
CAR-T: nuove evidenze per i tumori solidi
Gli investimenti non profit nella lotta al cancro
JOURNAL OF CLINICAL ONCOLOGY
La ricerca sul cancro non può prescindere dai finanziamenti non profit garantiti dalle università e dagli enti del terzo settore. Queste, in sintesi, le conclusioni
dal1980
SCIENCE ADVANCES
Già da qualche anno l’uso delle CAR-T (linfociti T dei pazienti ingegnerizzati per essere più aggressivi nei confronti delle cellule tumorali) garantisce una opportunità di cura per alcuni tumori del sangue (leucemia linfoblastica acuta) e del sistema linfatico (alcune forme di linfoma non-Hodgkin). La comunità scientifica sta però cercando di capire se e come la stessa modalità di cura possa essere efficace anche nel trattamento dei tumori solidi. Una possibile applicazione è stata descritta in uno studio preclinico (su modelli animali) pubblicato sulla rivista Science Advances. A firmarlo un gruppo di ricercatori dell’Università della Pennsyl-
vania che ha applicato un gel conte nente cellule CAR-T umane sui mar gini chirurgici di animali di laborato rio operati per asportare un tumore al seno particolarmente aggressivo (triplo negativo) o un adenocarcino ma del pancreas. Obiettivo: valutare la capacità delle CAR-T di eliminare le cellule tumorali potenzialmente
1.200.000 anni di vita guadagnati fino a oggi
vato nel gruppo di controllo – ha de terminato la scomparsa del residuo tumorale in quasi tutti i casi e non ha provocato complicanze chirurgi che né effetti collaterali nel periodo di osservazione.
dal1980
1.200.000 anni di vita guadagnati fino a oggi
Usare le CAR-T dopo
l’intervento per provare a eliminare le cellule tumorali non rimosse
La strada per rendere il tumore del colon-retto sensibile all’immunoterapia
Un progetto di ricerca guidato dal direttore scientifico di IFOM Alberto Bardelli sta facendo progressi nel rendere efficaci in un numero più ampio di pazienti i farmaci che attivano il sistema immunitario
a cura della REDAZIONE
La scorsa estate in molti giornali in giro per il mondo comparve l’immagine di 4 giovani adulti dal volto sorridente. Erano 4 dei 12 partecipanti a una sperimentazione clinica appena presentata al congresso annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO). I pazienti, tutti affetti da cancro al retto in stadio localmente avanzato, erano stati curati con un farmaco immunoterapico, uno di quei trattamenti che funzionano risvegliando il sistema immunitario contro il tumore. In tutti i pazienti la terapia aveva fatto regredire il tumore senza lasciarne traccia (almeno fino al momento in cui è stato reso noto lo studio). Un risultato notevole, se si considera che il trattamento consueto per quel tipo di tumore prevede il ricorso alla chemioterapia e/o alla radioterapia, seguito spesso dall’asportazione di una porzione dell’intestino.
C’era un’altra ragione per cui la notizia fece il giro del mondo: i tumori del colon e del retto, nella stragrande maggioranza dei casi, non rispondono all’immunoterapia, mentre per quei 12 pazienti l’efficacia era elevatissima. Ciò era avvenuto perché i tumori di quelle persone presentavano una peculiarità molecolare definita instabilità dei microsatelliti, che indica un deficit di funzionalità del sistema di riparazione del DNA delle cellule. Come abbiamo raccon-
tato nel numero di ottobre di Fondamentale, era stato il gruppo di Alberto Bardelli, professore ordinario all’Università di Torino e direttore scientifico di IFOM, a scoprire, nell’ambito di uno studio pubblicato nel 2017 su Nature, che l’instabilità dei microsatelliti rende questo tipo di tumori del colon-retto sensibili all’immunoterapia o, come si dice in gergo, “caldi”, in opposizione a quelli “freddi” in cui l’immunoterapia non funziona. Questa caratteristica riguarda però solo circa il 5 per cento dei tumori del colon-retto metastatici.
“Il passo successivo è stato capire come imparare da questa frazione di pazienti che risponde ai farmaci per aiutare la gran parte dei malati di cancro al colon-retto in cui, invece, l’immunoterapia è inefficace” dice Bardelli.
Ne è nata una sperimentazione denominata Arethusa, che ha mostrato in un piccolo campione di pazienti che l’uso di un farmaco, il cui nome è temozolomide, è in grado di aumentare il numero di mutazioni nei tumori al colon-retto rendendoli sensibili all’immunoterapia. “Questo approccio è potenzialmente in grado di trasformare alcuni dei tumori ‘freddi’ in tumori ‘caldi’” prosegue Bardelli.
Adesso è stato compiuto un ulteriore passo in questo percorso di ricerca.
Il gruppo di Bardelli ha infatti osservato che in una piccola frazione di tumori del colon-retto con microsatelliti stabili (MSS) sono presenti anche
cellule con instabilità dei microsatelliti. Inoltre, ha dimostrato su animali di laboratorio che questa frazione può essere accresciuta attraverso l’uso di appositi farmaci, rendendo in tal modo il tumore sensibile all’immunoterapia.
Se fosse confermato in indagini condotte sull’uomo, questa strategia potrebbe consentire in futuro di utilizzare i farmaci immunoterapici in una quota più ampia di pazienti con cancro del colon-retto.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Cancer Cell, si inserisce nel programma speciale 5 per mille sostenuto da AIRC e guidato da Bardelli: “La domanda a cui cerca di rispondere questa ricerca è perché nella gran parte dei pazienti con cancro del colon-retto l’immunoterapia non è efficace” spiega Bardelli. “Mentre esiste una frazione di pazienti con cancro al colon che risponde brillantemente ai farmaci immunoterapici.”
Nell’ambito del programma 5 per mille, è stata realizzata dalla unit IFOM guidata da Silvia Marsoni una piattaforma (AlfaOmega) che coinvolge oltre 15 centri tra Italia e Spagna e consente di raccogliere e analizzare il tessuto tumorale prelevato dai pazienti. “Da tempo osserviamo la presenza di piccole ‘isole’ caratterizzate da instabilità dei microsatelliti in tumori che in grande maggioranza non hanno questa caratteristica” illustra il direttore scientifico di IFOM. “In questo nuovo studio, il cui primo autore è Vito Amodio, ci siamo chiesti se sia possibile ampliare questa piccola componente sensibile all’immunoterapia a scapito della porzione del tumore refrattaria.”
L’ISTITUTO COS’È IFOM
IFOM, Istituto fondazione di oncologia molecolare, è un centro di ricerca di eccellenza internazionale dedicato allo studio della formazione e dello sviluppo dei tumori a livello molecolare, nell’ottica di un rapido trasferimento dei risultati scientifici dal laboratorio alla cura del paziente. Fondato nel 1998 a Milano da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, che da allora ne sostiene lo sviluppo, IFOM oggi può contare su 269 ricercatori di 25 diverse nazionalità, e si pone l’obiettivo di conoscere sempre meglio il cancro per poterlo rendere sempre più curabile.
I ricercatori sono riusciti a creare in animali di laboratorio il mix delle due differenti tipologie di tumore, mescolando le due frazioni in diverse proporzioni. Soprattutto, hanno identificato un farmaco (la 6-tioguanina usata in alcune forme di leucemia) in grado di far guadagnare terreno alla componente instabile. “Partendo da frazioni molto piccole, dell’ordine anche dell’1 per cento, di tumore con instabilità dei microsatelliti, siamo riusciti ad arricchire questa componente fino a raggiungere una quota sufficiente a rendere il tumore sensibile all’immunoterapia” spiega ancora Alberto Bardelli.
La sfida successiva sarà verificare l’efficacia di tale approccio nell’uomo. “Ma siamo ancora lontani da questa fase applicativa” mette in guardia il ricercatore.
Una pecularietà molecolare, l'instabilità dei microsatelliti, rende alcuni tumori del colonretto sensibili all'immunoterapia
I TRAGUARDI DEI NOSTRI
... continua su: airc.it/traguardi-dei-ricercatori
Vaccino SARS-CoV-2 nei casi di leucemia
Il vaccino anti SARS-CoV-2 può proteggere i pazienti con leucemia a cellule capellute dalle forme più gravi di Covid-19. Uno studio sostenuto da Fondazione AIRC e coordinato da Enrico Tiacci dell’Università degli studi di Perugia ha approfondito la relazione tra la risposta al vaccino o all’infezione virale nei pazienti con questa forma tumorale. I ricercatori hanno osservato gli effetti del Covid-19 nel periodo tra marzo 2020 e dicembre 2021 in 58 persone con leucemia a cellule capellute, di cui 37 non vaccinate. Il decorso dell’in -
fezione è stato prevalentemente positivo, ma, come era prevedibile, è peggiorato nei soggetti con leucemia più aggressiva, in età avanzata, con patologie concomitanti e in quelli non vaccinati. La maggior parte dei pazienti vaccinati ha avuto invece una forma lieve di Covid-19. I ricercatori hanno quindi rilevato, anche nei pazienti con leucemia a cellule capellute, una funzione protettiva del vaccino contro le forme più gravi di infezione.
Ridurre gli effetti collaterali
Una nuova formulazione potrebbe ridurre gli effetti collaterali della chemioterapia con cisplatino ad alte dosi nei tumori della testa e del collo. Lo dimostra uno studio pubblicato sulla rivista Journal of Materials Chemistry B, sostenuto da AIRC e coordinato da Valerio Voliani. I ricercatori hanno combinato il cisplatino con il rutenio, un metallo con proprietà antitumorali, sperimentando i composti in diverse composizioni: liberi o incapsulati all’interno di nanoparticelle. Si tratta di piccole struttu-
Diagnosi più precise con le vescicole
La tomografia computazionale a raggi X è un sistema diagnostico utilizzato per identificare tumori e metastasi, ma spesso può comunicare dei risultati falsamente positivi e rilevare in modo confuso il contorno della massa neoplastica. Il segnale di positività è rilasciato dalle molecole contenenti gli agenti di contrasto, come lo ioexolo. Tuttavia, l’efficacia della diagnosi è molto soggettiva perché questi agenti possono raggiungere anche cellule sane. Un recente studio coordinato da Paolo Ciana dell’Università degli studi di Milano e sostenuto da AIRC potrebbe ora
re costruite per trasportare il farmaco nelle cellule tumorali e degradarsi. In modelli cellulari, gli studiosi hanno così provato a incapsulare entrambi i composti, a lasciarli liberi o a incapsulare il cisplatino con il rutenio libero. Quest’ultima composizione si è rivelata la migliore: ha prodotto un effetto sinergico, aumentando l’efficacia dei singoli trattamenti. Tale strategia potrebbe in futuro permettere di ridurre le dosi e gli effetti collaterali e di estendere la chemioterapia ai pazienti fragili e anziani.
aver identificato un metodo per aumentarne la specificità. I ricercatori hanno infatti utilizzato vescicole extracellulari, prodotte abitualmente da molti tipi di cellule ed estratte dal sangue dei pazienti, per trasportare lo ioexolo solo nelle cellule tumorali, aumentando la specificità della diagnosi. Gli esperimenti sono stati condotti in animali di laboratorio, e i risultati, se confermati, potrebbero permettere di identificare con maggiore precisione la sede e i contorni della neoplasia. In questo modo si comprenderebbe meglio la prognosi e si faciliterebbero le decisioni cliniche.
CONSIGLI PER I PAZIENTI Disturbi del sonno
Cancro e sonno: l’importanza di dormire bene
L’insonnia e altri disturbi del sonno sono sintomi molto frequenti nei pazienti oncologici, ma sono ancora sottovalutati e poco diagnosticati. Curarli potrebbe permettere di migliorare l’efficacia delle terapie e la qualità della vita.
a cura di MICHELA VUGA
Più della metà dei malati di cancro dorme male, ma pochi provano davvero a trovare un rimedio. Da un lato perché si dà comprensibilmente priorità alle terapie oncologiche, e quindi il problema del sonno passa in secondo piano; dall’altro perché non si è consapevoli di quanto la mancanza di riposo notturno abbia ripercussioni negative sulla salute psicofisica. Curare un disturbo del sonno in un paziente oncologico può migliorare la risposta alle terapie e ridurre gli effetti collaterali del trattamento. Diminuisce infatti il rischio di comorbidità e di complicanze, migliora l’umore e l’ener-
gia e, in definitiva, sembra aumentare la probabilità di sopravvivenza.
Non è un’esagerazione: il sonno, insieme all’alimentazione corretta e all’attività fisica, è uno dei fattori cui porre attenzione per mantenerci in salute. Contribuisce infatti alla regolazione di molti sistemi, da quello cardiovascolare a quello cognitivo, e influisce sull’infiammazione, sul metabolismo e sulla produzione di ormoni che controllano la riparazione cellulare e il sistema immunitario.
La Società europea di oncologia medica (ESMO) sta per pubblicare le Linee guida sul trattamento dell’insonnia in oncologia e Laura Palagini, responsabile dell’Ambulatorio di medicina del sonno dell’Azienda ospedaliera universitaria pisana, fa parte della task force che le ha redatte: “L’insonnia è il disturbo del sonno più frequente nei malati di cancro: può manifestarsi con la difficoltà ad addormentarsi, a dormire in modo continuativo durante la notte o
a dormire a sufficienza. L’insonnia si ripercuote poi sulla vita diurna, provocando sonnolenza, stanchezza, irritabilità, mancanza di concentrazione e attenzione, e difficoltà a prendere decisioni. Inoltre, soffrire d’insonnia favorisce da un lato la depressione, condizione certamente frequente tra i pazienti oncologici, dall’altro la fatigue (la stanchezza legata al cancro). Trattando l’insonnia è possibile quindi intervenire su tutti questi disturbi”.
Curare l’insonnia “cura” le emozioni
Diversi elementi possono contribuire allo sviluppo di un disturbo del sonno. Può essere lo stesso tumore a causare problemi, ma anche gli effetti collaterali di alcuni farmaci e trattamenti, i cambiamenti fisici causati dalla chirurgia, il dolore, altri problemi di salute non correlati al cancro e una predisposizione a sviluppare l’insonnia. Anche il ricovero in ospedale può rendere più difficile dormire bene, a volte banalmente per un letto scomodo, e infine, ma non per questo meno importanti, ci sono la paura, l’ansia e lo stress legati alla malattia e al timore di non guarire.
“Non dormire, passare tanto tempo a letto dopo le terapie, spesso rimuginando pensieri negativi, e rimanere sempre in casa perché si è stanchi so-
no tutti comportamenti che favoriscono l’alterazione o la vera e propria distruzione del ciclo sonno-veglia” spiega Palagini. “Il sonno va ‘costruito’ durante il giorno. È questo uno degli obiettivi della terapia cognitivo comportamentale dell’insonnia: si tratta di una versione ridotta e adattata di quella specifica per la depressione, e punta al cambiamento dei comportamenti per far sì che la persona stia a letto solo il tempo necessario a dormire. Serve a ristrutturare i ritmi circadiani e anche ad allontanare la paura di non riuscire a dormire.”
Altre conseguenze di un’insonnia non curata possono essere la negatività di pensiero (in primis per quanto concerne la patologia) e di emozioni, che si traducono in ansia, avvilimento e senso di impotenza. “Curando l’insonnia si ‘curano’ anche le emozioni, perché alla base ci sono circuiti neurali in comune. Ripristinando il riposo notturno, quindi, si influisce positivamente sulla regolazione del sistema dello stress e delle emozioni.” Quando ci si rende conto di non dormire bene, bisogna riferirlo al proprio medico e rivolgersi a uno specialista del sonno. Questi potrà prescrivere eventuali farmaci o della melatonina, che può essere utile nel ristabilire il ciclo sonno-veglia ma che non deve mai essere autoprescritta.
I disturbi del sonno nei pazienti oncologici possono avere diverse cause.
Può essere il tumore a determinare dei problemi, oppure gli effetti collaterali dei trattamenti, il dolore o anche altri problemi di salute non legati al cancro
Il legame sonno-cancro
Molti studi hanno indagato i legami esistenti tra cancro e ritmi circadiani, scanditi dall’orologio interno dell’organismo in sintonia con il ciclo lucebuio. Nel 2019 l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) ha classificato il lavoro notturno – quindi a turni e prolungato nel tempo – come “probabilmente cancerogeno per l’uomo” (Gruppo 2A). In particolare, potrebbe aumentare il rischio di sviluppare tumori della mammella, della prostata e del colon-retto.
“Non ci sono prove che esista un rapporto causa-effetto tra alterazione dei ritmi circadiani e sviluppo dei tumori. Di certo c’è una correlazione” precisa Maria Paola Mogavero, neurologa all’IRCCS Istituto San Raffaele di Milano. “C’è ancora molto da capire su questo argomento. Oggi sappiamo che, a livello molecolare, i geni circadiani coinvolti nel controllo del ciclo sonnoveglia sono anche coinvolti in processi di carcinogenesi a livello di diversi organi. L’alterazione di un gene circadiano potrebbe forse determinare un’alterazione dei meccanismi di riparazione
del DNA o una variazione della produzione di melatonina, un ormone che influisce anche sul controllo delle cellule neoplastiche.”
Un altro promettente filone di ricerca, chiamato cronoterapia, è partito dall’osservazione che ogni cellula ha un suo orologio biologico diverso da quello della cellula di un altro organo. Alcuni ricercatori stanno quindi provando a somministrare determinati chemioterapici o radioterapici negli orari della giornata in cui si verifica la massima attività biologica della cellula tumorale che devono colpire. In questo modo si migliora l’efficacia dei farmaci e si riducono gli effetti collaterali del trattamento. Il fenomeno è stato osservato in particolare per il carcinoma della mammella e del colon-retto.
Molti studi stanno poi indagando la correlazione tra le apnee ostruttive del sonno (OSA) e l’insorgenza a lungo termine di determinati tumori, in particolare quelli della prostata nell’uomo e del seno nelle donne. Nell’OSA, le vie aeree si chiudono completamente ote volte durante il sonno, riducendo i livelli di ossigeno nel sangue e provocando, tra l’altro, stress ossidativo e infiammazione sistemica. Al momento però non è ancora noto quali possano essere i meccanismi scatenati dall’OSA che facilitano l’insorgenza del cancro. Lo sviluppo di un tumore è legato a molte variabili, dalla predisposizione genetica individuale ai fattori ambientali fino allo stile di vita, che possono interagire tra di loro e che variano da persona a persona. “Non bisogna trarre conclusioni affrettate, la strada per comprendere il rapporto tra sonno e cancro dal punto di vista organico è di certo ancora lunga” sottolinea Mogavero. È invece oggi già chiaro che, per chi affronta un tumore, la cura dei disturbi del sonno e in particolare dell’insonnia aiuta a stare meglio e ad avere più energie per affrontare la malattia.
Quando ci si rende conto di non dormire bene, è importante riferirlo al proprio medico e rivolgersi a uno specialista del sonno. Dormire bene può migliorare la risposta alle terapie e ridurre gli effetti collaterali
Il sostegno alla ricerca, un percorso che cresce nel tempo
rante i durissimi quattro anni di convivenza con la malattia di Pierita.
dava grande serenità, ci confidò all’inizio del 2020.
a cura della REDAZIONE
Donazioni ricorrenti per vent’anni, poi, alla morte della moglie Pierita, la decisione di sostenere una borsa di studio a lei dedicata e di destinare a Fondazione AIRC una parte dei propri averi dopo la morte.
Quello di Amedeo è stato un lungo e coerente percorso di sostegno alla ricerca sul cancro, con un obiettivo ben chiaro: contribuire a realizzare un futuro migliore, senza cancro, in particolare senza i tumori femminili, i cui effetti aveva avuto modo di vedere du-
“Se n’è andata dopo aver sopportato un immenso dolore con coraggio e dignità. E io voglio gridare al mondo il mio amore per lei e onorare la sua memoria” ci disse quando nel 2017 lo incontrammo perché aveva deciso di intitolare a lei una borsa di studio. Da qualche mese, anche Amedeo si era ammalato di cancro: un tumore neuroendocrino che, nonostante le migliori terapie disponibili al momento, ha continuato ad avanzare e nel giro di pochi anni ha portato via anche lui.
Così, negli ultimi anni di vita, Amedeo ha deciso di combattere una doppia battaglia contro la malattia, una sul suo corpo, un’altra proiettata nel futuro, per gli altri. Ha disposto un importante lascito in favore di AIRC, perché il suo impegno nel sostenere la ricerca oncologica potesse continuare anche dopo la morte. Aver nominato AIRC sua erede universale era una cosa di cui era felice e che gli
Amedeo ha disposto un lascito a favore di AIRC perché il suo impegno nel sostenere la ricerca potesse continuare anche dopo la morte
Oggi l’impegno di Amedeo sostiene diversi progetti di ricerca finanziati da AIRC. Uno di questi è quello di Pier Paolo Di Fiore, che dirige l’Unità di carcinogenesi molecolare e biologia delle cellule staminali all’Istituto europeo di oncologia di Milano. Di Fiore studia i meccanismi alla base del cancro al seno e in particolare l’endocitosi. “È un po’ la logistica della cellula, o il sistema di trasporto” spiega il ricercatore. L’endocitosi comprende infatti “diversi processi che istruiscono i singoli componenti su quale sia il posto, all’interno della cellula, in cui devono posizionarsi e funzionare”. La cellula può essere anche pensata come una città, in cui la rete che permette alle persone e agli oggetti di trovarsi nel posto giusto al momento giusto è fondamentale. “Se si verificano alterazioni in questo sistema, l’intero meccanismo cellulare può impazzire, dando vita al cancro. Nel caso del tumore al seno, abbiamo identificato diverse molecole che possono alterare questi processi: una, denominata Epsina3, in circa un terzo dei tumori si ‘direziona’ in maniera sbagliata; un’altra, Numb, è coinvolta nella genesi delle cellule staminali tumorali, che costituiscono il motore del cancro” spiega Di Fiore.
Intervenire su questi meccanismi può ripristinare il corretto traffico nella cellula.
Se desideri legare il tuo nome o quello di una persona a te cara alla realizzazione di un futuro libero dal cancro, puoi scegliere anche tu, come Amedeo, di fare testamento a favore della ricerca oncologica.
Per ogni domanda specifica puoi contattare Chiara Cecere.
Di Fiore non ha avuto l’opportunità di conoscere Amedeo, ma è consapevole dell’importanza del suo gesto: “Il sostegno che arriva alla ricerca attraverso le donazioni e i lasciti solidali è decisivo. I finanziamenti pubblici spesso sono scarsi; soprattutto sono erratici e ciò non rende possibile la pianificazione, che è l’anima della ricerca. Senza gli enti che raccolgono le donazioni dei privati, gran parte della ricerca oncologica e dei suoi risultati non esisterebbero”.
NUTRIZIONE Sazietà Polpette di lenticchie e quinoa al sugo
Sentirsi sazi senza eccedere, è possibile?
a cura di RICCARDO DI DEO
Il concetto di sazietà, che nella lingua italiana si esprime con un solo termine, in inglese viene più propriamente distinto in due parole, “satiation” e “satiety”. Satiation è il senso di appagamento che ci induce a terminare un pasto ed è una regolazione a breve termine. Con satiety si intende invece la sazietà vera e propria tra la fine di un pasto e l’inizio del successivo.
La distinzione è utile per capire l’insieme di sistemi fisiologici che forniscono segnali di sazietà al cervello, regolando il nostro consumo di cibo. I primi a inviare questi segnali sono i recettori all’interno del cavo orale, che si attivano al passaggio degli alimenti. Mangiare lentamente masticando più volte aiuta quindi a stimolare il senso di sazietà.
Anche la distensione delle pareti dello stomaco, provocata dal cibo, produce segnali che vengono trasmessi al
!GRAZIE! "
Il 28 gennaio centinaia di migliaia di persone sono venute a trovarci in circa 3.000 piazze per le Arance della Salute e in oltre 1.000 scuole nell’ambito dell’iniziativa Cancro io ti boccio. Lì hanno trovato i nostri 20.000 volontari e tantissimi studenti e insegnanti pronti a distribuire reticelle di Arance
sistema nervoso. Per questo portare in tavola alimenti voluminosi e dalla bassa densità energetica, come frutta e verdura, così come bere acqua, permette di raggiungere un senso di appagamento durante il pasto, riducendo l’apporto energetico complessivo.
La composizione nutrizionale del pasto e i conseguenti tempi di digestione modulano invece la sensazione di sazietà tra i pasti. Un corretto apporto di proteine e il consumo di cibi ricchi in fibra, come cereali integrali e legumi, permetteranno di modulare sia l’appagamento a breve termine, sia la sazietà.
Oggi il modo in cui mangiamo è influenzato anche da fattori psicologici e sociali, come la facilità di accesso ad alimenti gradevoli al palato. Per questo promuovere il consumo di cibi in grado di stimolare maggiormente i segnali di sazietà è un valido aiuto per controllare quanto mangiamo e, di conseguenza, il nostro peso corporeo.
della Salute e barattoli di miele e marmellata, anche grazie al prezioso lavoro di coordinamento dei nostri Comitati regionali. Uno sforzo enorme che ci ha permesso di raccogliere circa 3 milioni di euro. Ci teniamo a ringraziare tutti coloro che hanno partecipato, per aver contribuito anche quest’anno a rendere il cancro sempre più curabile.
Tempo di preparazione e cottura: 40 minuti
Ingredienti (10 polpette):
• 80 g di lenticchie rosse
• 80 g di quinoa
• 1 cipolla rossa
• 1 cucchiaino di origano
• ½ cucchiaino di pepe
• 250 g di salsa di pomodoro
• Olio extravergine d’oliva q.b.
Preparazione
Versare in una pentola una parte di quinoa e due di acqua, portare a ebollizione e cuocere con un coperchio per circa 10 minuti. Spegnere quindi il fuoco e lasciar riposare per 5 minuti. Nel frattempo, dedicarsi alla cottura delle lenticchie. Tagliare a dadini una cipolla e soffriggerla con un filo d’olio extravergine d’oliva. Aggiungere poi le lenticchie e dopo una breve cottura unire l’acqua fino a sommergerle completamente. Coprire le lenticchie e lasciar cuocere per circa 10 minuti.
In un contenitore unire la quinoa e le lenticchie, precedentemente frullate con un mixer. Aromatizzare con origano secco e pepe e mescolare bene tutti gli ingredienti fino a ottenere un impasto omogeneo.
Non resta che formare delle polpette tonde e cuocerle: sistemarle in una padella con un filo d’olio, lasciarle rosolare su tutti i lati per qualche minuto e unire la salsa di pomodoro. Saranno pronte in meno di 10 minuti.
Alcuni alimenti stimolano di più i segnali di sazietà e aiutano così a controllare il pesoLinfoma di Hodgkin
Avere mia mamma vicino è stata la mia fortuna più grande
a cura della REDAZIONE
Durante la lotta contro il cancro, la mia fortuna più grande è stata avere mia mamma vicino, dalla prima all’ultima diagnosi.” Francesca scopre di avere un linfoma di Hodgkin a soli 26 anni. In una mattina di giugno 2021 si sveglia con una forte tachicardia e, anche se non è la prima volta, si preoccupa e corre subito al pronto soccorso. Inizialmente i medici pensano sia una polmonite, ma esami più approfonditi rivelano in breve tempo la diagnosi di tumore. Troppo debole per sottoporsi a un’operazione chirurgica, inizia un percorso di chemioterapia seguita dal
L’Azalea della Ricerca
gruppo di Alessandro Rambaldi, direttore della Divisione di ematologia e ricercatore AIRC, presso l’ospedale Papa Giovanni XXIII a Bergamo. In quel momento capisce di avere bisogno di isolarsi e del supporto di sua madre al suo fianco. “Mi ha curata, amata, protetta, consolata come solo una mamma sa fare. In ogni seduta di chemioterapia, ogni medicazione, ogni ricovero, ogni visita, la sua mano era stretta alla mia.” Mamma Antonella ricorda di esserle stata accanto con ottimismo e fiducia: “Ci hanno rafforzato l’amore, la complicità e la convinzione di dover pensare sempre al domani”. A settembre 2022 l’ultimo controllo è negativo: Francesca è guarita, può tor-
II volontari AIRC saranno presenti in migliaia di piazze in tutta Italia domenica 14 maggio, in occasione della Festa della mamma. Con un contributo minimo di 18 euro distribuiranno l’Azalea della Ricerca, per raccogliere risorse fondamentali per la ricerca sui tumori che colpiscono le donne. Per informazioni da fine aprile visita il sito www.lafestadellamamma.it
nare a sorridere alla vita. “La malattia mi ha reso ancora più empatica e sensibile di prima, e mi ha aiutato a capire quali sono le cose davvero importanti. Ho cambiato la mia scala di priorità e non ho mai vissuto così appieno.” Prima della diagnosi di linfoma di Hodgkin non avrebbe mai pensato di potersi ammalare di tumore, ma ora sa cosa significa e sente soprattutto l’esigenza di ascoltare chi vive un momento difficile. “Durante la malattia mi è mancato molto non conoscere qualcuno che avesse vissuto la mia esperienza e mi potesse dare la forza di far fronte al presente. Infatti i giovani conoscono molto poco il cancro e pensano che non potrà mai toccarli. Invece dobbiamo parlarne il più possibile e aiutare la ricerca.” Per supportare chi sta vivendo la sua stessa esperienza, ha creato la pagina Instagram Pillole di Fra. Lo ha fatto perché sa quanto siano fondamentali la vicinanza e l’affetto dei cari, della famiglia e, nel suo caso, in modo particolare di sua mamma: “Sono sincera quando dico che non so se ce l’avrei fatta senza di lei”.
“
Circondata dall’affetto di sua mamma e dei suoi cari, Francesca è guarita dal linfoma di Hodgkin. Ora si è resa conto di quanto sia importante ascoltare chi ha bisogno per infondergli speranzaRACCOLTA FONDI Partner ed eventi
A RA NCE R OSSE PER LA R ICERC A : LA G RA NDE
DISTRIBUZIONE OR GA NIZZ ATA A SOSTE G NO DI A IRC
Quasi 60 insegne della Grande distribuzione e della Distribuzione organizzata, a partire dal 4 febbraio e in occasione del World Cancer Day, hanno aderito all’iniziativa Arance Rosse per la Ricerca AIRC, con l’obiettivo di sensibilizzare i consumatori sui temi della sana alimentazione e sostenere la migliore ricerca in Italia. Per ogni confezione di arance rosse distribuita in due settimane, gli oltre 9.000 supermercati e ipermercati aderenti hanno donato 0,50 € a Fondazione AIRC, per garantire continuità al lavoro dei 6.000 scienziati AIRC impegnati a trovare soluzioni sempre più efficaci per prevenire, diagnosticare precocemente e curare il cancro. Un impegno corale, che ha permesso di distribuire circa 870.000 reticelle per un totale di oltre 435.000 € raccolti. Un risultato che dimostra il ruolo attivo delle aziende del settore nella promozione della salute e del benessere dei consumatori. AIRC rivolge un ringraziamento speciale alle insegne che hanno aderito alla campagna: ALDI; Apulia Distribuzione (Carrefour); Bennet; Carrefour; Consorzio Coop Nordovest (Coop Liguria, NovaCoop e Coop Lombardia); Consorzio Coralis; CRAI (AMA
CRAI, CRAI Sardegna, CRAI Tirreno); Despar; Etruria Retail (Carrefour); Iper La Grande i; Gruppo Gabrielli; Gruppo Rossetto; Gruppo VéGè (GDA, GFE, Gruppo Arena, Fratelli Morgese, Multicedi, Piccolo, Supertosano); Lidl; MD; PAM PANORAMA; Penny; Selex Gruppo Commerciale (Arca, Alfi, Cadoro, CDS, Cedi Marche, Cedi Gros, Dimar, Italmark SRL, L’abbondanza, Maxi Dì, GMF, Megamark, Rialto, Superemme, Super Elite, Unicomm); Realco (Sigma); Sogegross (Basko, Doro, Ekom); Supercentro (Sisa); Supermercati Visotto; Unes supermercati.
B ER GA MO E B RESCI A , DOVE L’A RTE SOSTIENE LA RICERC A
Contribuire alla ricerca con la cultura è possibile: Brescia e Bergamo, nominate “Capitale della cultura 2023”, offrono due imperdibili appuntamenti con l’arte. A Brescia, nelle sale di Palazzo Martinengo, fino all’11 giugno si potrà visitare la mostra “Lotto, Romanino, Moretto, Ceruti” con i capolavori dei maestri bresciani e bergamaschi del Rinascimento. A Bergamo, presso l’Accademia Carrara, fino al 4 giugno sarà possibile ammirare la prima esposizione in Italia delle opere di Cecco, il misterioso allievo modello di Caravaggio. L’1 per cento del ricavato dai biglietti delle mostre sarà devoluto ad AIRC per finanziare la ricerca sul cancro. E non finisce qui: altre iniziative in supporto di AIRC proseguiranno fino a gennaio ‘24. Per info: tel. 02 77971.
In alto: Il fabbricante di strumenti musicali di Cecco del Caravaggio. A sinistra: MadonnaconilBambino, san Giovanni Battista e santa Caterina di Lorenzo Lotto.
Non c’è futuro nel pessimismo
risultati della ricerca a beneficio dei pazienti è il profondo significato clinico e sociale della pluridecennale missione di AIRC.
Alivello mondiale, viene diagnosticato un cancro ogni 28 secondi (dati Organizzazione mondiale della sanità) e in Italia sono oltre 1.000 i nuovi casi di cancro al giorno: nel nostro Paese vi sono state durante lo scorso anno circa 390.700 nuove diagnosi di tumore, di cui 205.000 uomini e 185.700 donne (dati 2022 AIOM/AIRTUM). Approfondire la conoscenza dei meccanismi molecolari del cancro per trasferire i
L’avere affrontato il problema cancro attraverso la ricerca, studiando i meccanismi che caratterizzano la cellula tumorale e la sua trasformazione a partire da una cellula normale, ha portato a importanti successi, perché è stato possibile tradurre i risultati della ricerca in reali benefici per i pazienti. La ricerca viene giudicata in termini di pubblicazioni scientifiche ma, ancora più in concreto, in termini di ricadute vantaggiose per i pazienti, quali le linee guida per la diagnosi e la terapia di diverse neoplasie e le innovazioni capaci di cambiare il modo con cui i medici affrontano e trattano determinati tipi di tumore. Lo sviluppo di schemi di prevenzione per contrastare l’insorgenza di alcuni tipi di cancro, l’individuazione di nuove modalità di diagnosi sempre più precoce e di nuovi fattori prognostici, e l’identificazione di approcci terapeutici innovativi, mirati ed efficaci, quale per esempio l’immunoterapia, hanno impresso negli ultimi anni una notevole accelerazione al controllo della malattia neoplastica. Oggi siamo in grado di diagnosticare più accuratamente e di curare pazienti che fino a un decennio or
sono non erano considerati curabili, e disponiamo di trattamenti che assicurano per alcuni tipi di tumore la guarigione o la trasformazione di una patologia grave in una malattia cronica con la possibilità di convivervi a lungo. I dati presentati di recente dalla Cancer Statistics 2023 dell’American Cancer Society dimostrano come negli USA, e quindi, si prevede, in tutto il mondo occidentale, la mortalità per cancro si stia progressivamente riducendo, con una diminuzione del 33 per cento a partire dal 1991. Questo importante risultato è stato reso possibile anche dagli investimenti in ricerca negli anni passati.
La percentuale sopra riportata non rende però ragione del fatto che il termine cancro sottende almeno oltre 200 tipi diversi di tumore, ognuno con una propria evoluzione, storia naturale e risposta ai trattamenti, e che le nostre conoscenze registrano una profonda disparità tra le diverse tipologie. Di conseguenza, accanto a un numero ancora limitato di tumori con eccellenti prospettive di guarigione, permangono troppe situazioni irrisolte e spesso molto impegnative per le neoplasie su cui le nostre conoscenze sono attualmente troppo limitate.
La riduzione di mortalità indica che la ricerca può sconfiggere il pessimismo. Al contempo, la consapevolezza che questa riduzione non riguarda ancora tutti i tipi di tumore detta la necessità di continuare a fare ricerca, dedicandosi alle tante situazioni che ancora non hanno risposte efficaci, quali i tumori cerebrali, i tumori pancreatici e i tumori ovarici. AIRC si propone di definire le migliori modalità operative per fare la differenza nell’affrontare i problemi oncologici cruciali a tutt’oggi insoddisfatti.
La mortalità per cancro è sempre più bassa, ma per i tumori più difficili da curare è necessario continuare a fare ricerca
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