Fondamentale ottobre 2024

Page 1


La rivista di divulgazione scientifica più diffusa in Italia

Sommario

FONDAMENTALE ottobre 2024

Tumore

FONDAMENTALE

Anno LII - Numero 4 Ottobre 2024 - AIRC Editore

DIREZIONE E REDAZIONE

Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro ETS

Viale Isonzo, 25 - 20135 Milano tel. 02 7797.1 - airc.it - redazione@airc.it Codice fiscale 80051890152

Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 128 del 22 marzo 1973. Stampa Rotolito S.p.A.

DIRETTORE RESPONSABILE

Daniele Finocchiaro

COORDINAMENTO EDITORIALE

Anna Franzetti, Simone Del Vecchio REDAZIONE

Simone Del Vecchio, Jolanda Serena Pisano PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE kilowatt.bo.it

TESTI

Cristina Da Rold, Riccardo Di Deo, Fabio Di Todaro, Camilla Fiz, Massimo Temporelli, Roberta Villa, Michela Vuga, Annalisa Zizzi FOTOGRAFIE

Simone Comi 2024, Simone Durante 2021, Giulio Lapone 2019, Getty Images, Marco Onofri 2024.

Fondamentale è stampato su carta certificata e proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici.

TANTI MODI PER AIUTARE

LA RICERCA

• con conto corrente postale n. 307272;

• con carta di credito, telefonando al numero verde 800 350 350, in funzione tutti i giorni 24 ore su 24 o collegandosi al sito airc.it;

• con un piccolo lascito nel suo testamento; per informazioni, airc.it/lasciti oppure tel. 02 77 971;

• in banca:

BPER Banca S.p.A.

IBAN: IT36 S05387 01665 0000 4243 3665

Banco BPM

IBAN: IT18 N050 3401 633 00000000 5226

Intesa Sanpaolo

IBAN IT14 H030 6909 4001 00000103 528;

Banca Monte dei Paschi di Siena

IBAN IT87 E 01030 01656 00000 1030151;

Unicredit PB S.p.A.

IBAN IT96 P020 0809 4230 0000 4349176;

• con un ordine di addebito automatico in banca o su carta di credito (informazioni al numero verde 800 350 350)

SEI UN’AZIENDA?

Scopri come possiamo collaborare. Scrivi a partnership@airc.it

ATTENTI ALLE TRUFFE

AIRC non effettua la raccolta fondi “porta a porta”, con incaricati che vanno di casa in casa. Nel caso dovesse succedere, stanno tentando di truffarvi. Denunciate subito la truffa chiamando il numero unico per le emergenze 112.

DIAGNOSI SEMPRE PIÙ PRECOCI PER AFFRONTARE IL TUMORE

PIÙ DIFFUSO IN ITALIA

Questo numero di Fondamentale è dedicato, come di consueto in questo periodo, al tumore al seno e alla ricerca per affrontare questa malattia. Negli ultimi anni i progressi nelle cure hanno consentito un aumento costante della sopravvivenza per questo tipo di cancro: la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi in Italia ha raggiunto l’88 per cento delle pazienti, un risultato davvero importante, ma ancora non sufficiente per abbassare la guardia. Il tumore della mammella è peraltro la neoplasia più diffusa in assoluto nel nostro Paese, con oltre 55.000 casi ogni anno – più di mille ogni settimana –, e nel solo 2022 oltre 15.000 donne hanno perso la vita per via di questa malattia. Ecco perché AIRC ha promosso anche nel 2024 la campagna Nastro Rosa, per raccogliere fondi a favore della ricerca su questa forma di tumore. Ne parliamo nell’articolo principale di questo numero, in cui raccontiamo la storia di Benedetta, una delle pazienti che hanno beneficiato dei progressi delle cure e che oggi possono testimoniare l’importanza della ricerca.

Come noto, uno degli strumenti migliori per aumentare l’efficacia delle cure è rappresentato dalla possibilità di diagnosi sempre più tempestive e precise. In Fondamentale di ottobre discutiamo del contributo che in tal senso potrebbe venire dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale, ma anche dei limiti e delle potenziali criticità che ancora caratterizzano un simile approccio.

L’importanza di una diagnosi tempestiva è peraltro testimoniata da uno studio coordinato dal ricercatore AIRC Luigino Dal Maso, di cui parliamo in questo numero. Secondo i ricercatori, infatti, il 99 per cento delle donne con cancro alla mammella diagnosticato in fase iniziale ha un’aspettativa di vita uguale a quella di chi non si è mai ammalato. Per questo motivo è fondamentale farsi controllare se si nota qualcosa di anomalo, e in ogni caso sottoporsi sempre agli esami consigliati per la propria fascia d’età. Un articolo di questo numero è dedicato proprio a fare il punto sullo screening che utilizza la mammografia e alla valutazione in corso sull’opportunità di anticipare le fasce di età cui questo esame diagnostico si rivolge. Aderire agli screening per la diagnosi precoce organizzati dal Sistema sanitario nazionale è il modo più semplice che tutti noi abbiamo per prenderci cura della nostra salute. Concludo questo editoriale ricordando che tra poche settimane, nel mese di novembre, si terranno i Giorni della Ricerca, una campagna di grande importanza per la nostra Fondazione, che beneficia della partnership straordinaria della RAI, la quale ci affianca in numerose iniziative. Un resoconto completo di tutte le attività legate ai Giorni della Ricerca sarà pubblicato sul numero di gennaio di Fondamentale. Buona lettura!

Tumore al seno

LIBERA DI PENSARE AL FUTURO

In questo articolo:

NASTRO ROSA

A Benedetta è stato diagnosticato un tumore al seno a 25 anni. Dopo averlo affrontato con grande determinazione, oggi è mamma di due bambine. Insieme ad Alessandra Gennari, direttrice del reparto che ha curato Benedetta, ci racconta la sua storia a cura di Michela Vuga

Un dolore al seno destro che non passa, una visita medica con ecografia da cui non emerge niente di anomalo e un’altra a distanza di 6 mesi che evidenzia un piccolo nodulo ma si conclude con un “signorina, non ha nulla, non si preoccupi”. “Non so che cosa dentro di me a quel punto mi spinse ad andare dal mio medico di famiglia, che mi fece un’impegnativa urgente per una visita senologica all’Ospedale Maggiore della Carità di Novara. Oltre al dolore, avevo una secrezione sieroematica dal capezzolo” ricorda Benedetta. “Mi visitarono, fecero una serie di esami e mi prescrissero un antibiotico. Tornai a casa in un certo senso rincuorata, perché l’antibiotico si prescrive per le infezioni.” Dieci giorni dopo il responso fu un altro: carcinoma mammario. “A 25 anni pensi a tutto, di certo non a un tumore. Ero incapace di render-

mene conto. Realizzai ciò che avevo solo dopo l’intervento di mastectomia totale” continua Benedetta tornando a quei giorni del febbraio 2020, terribili anche perché il ricovero coincise con il lockdown per la pandemia di Covid-19. Oggi Benedetta ha 29 anni, è sposata con Marco e hanno 2 bambine: Sole, nata nel marzo 2022, e Noa, del settembre 2023. Tutte e due allattate al seno sinistro: “Quando è nata Noa stavo ancora allattando Sole e per un mese le ho allattate entrambe. Poi ho continuato con la più piccola e non ho ancora smesso”.

LA PANDEMIA

“Un carcinoma della mammella quando si hanno poco più di vent’anni è inaspettato, nessuna è preparata” racconta Alessandra Gennari, che dirige il reparto di oncologia in cui è stata curata Benedetta, è professoressa ordinaria di oncologia medica all’Università del Piemonte Orientale e ricercatrice AIRC. “Gli esami dimostrarono che si trattava di una forma operabile, il tumore era esteso ma solo minimamente invasivo e dunque, come indicato dalle linee guida, dopo la mastectomia totale con l’asportazione dell’areola e del capezzolo, la chemioterapia non sarebbe stata necessaria.” Durante la pandemia, all’Ospedale Maggiore della Carità di Novara furono garantite tutte le attività dell’area oncologica, dunque una volta fatta la diagnosi non vi furono ritardi, ma Benedetta dovette affrontare tutto da sola. Sua madre l’accompagnò in ospedale ma non poté rimanere. “Fu molto difficile e una volta dimessa ero comunque chiusa in casa per via del lockdown, non potevo uscire e distrarmi. Oltretutto quelli che credevo amici erano spariti. L’aiuto che ricevetti dalla psiconcologa dell’ospedale, Sara Rubinelli, fu determinante per affrontare quel primo periodo.” Un altro punto di riferimento furono le donne con tumore mammario conosciute attraverso i gruppi Facebook. “Parlavamo di tutto, non solo della malattia, e ci confidavamo su come avevano reagito familiari, amici, compagni e mariti, su come ci sarebbe piaciuto essere sostenute, con quali parole e quali comportamenti. Il tumore può avvicinare

NASTRO ROSA AIRC 2024

Benedetta ha prestato il suo volto all’edizione 2024 della campagna Nastro Rosa AIRC, un’occasione per ricordarci che il grande traguardo di arrivare a curare tutte le donne colpite da tumore al seno è a portata di mano. Nel corso dell’intero mese di ottobre, informazioni e consigli a tema cancro al seno saranno disponibili sia attraverso il sito nastrorosa.it sia sui canali social di AIRC, utilizzando l’hashtag #nastrorosaairc. I partner della campagna

contribuiranno con iniziative di sensibilizzazione e raccolta fondi, sostenendo AIRC e la ricerca sul tumore al seno e mettendo a disposizione la propria rete per distribuire, insieme ai nostri uffici regionali, le spille con il simbolo della campagna: un nastro rosa incompleto, come l'obiettivo che non è stato ancora raggiunto pienamente. Le spillette, a fronte di una donazione minima di 2€, si potranno trovare in migliaia di farmacie e punti di distribuzione in tutta Italia.

Per scoprire quali, visita il sito nastrorosa.it fino al 31 ottobre.

Il tumore di Benedetta era operabile, esteso ma poco invasivo, dunque nel suo caso dopo la mastectomia non è stata necessaria la chemioterapia

o allontanare le persone, io cercavo di trasmettere speranza e coraggio.”

PROGRAMMARE IL FUTURO

“Benedetta stupì tutti per la sua determinazione. Voleva capire se sarebbe potuta diventare mamma e allattare, un atteggiamento che dimostrava una grande capacità di distaccarsi dalla malattia e di programmare il futuro. Lei ha saputo mettere in ordine le proprie priorità” ricorda Gennari. Benedetta dopo l’intervento chirurgico non ha avuto bisogno di altre terapie, ma questa non è la normalità. Nella maggior parte dei casi le pazienti devono fare chemioterapia e trattamenti ormonali che possono compromettere la fertilità. “Molto spesso, nelle giovani donne che affrontano un tumore del seno e non hanno figli, la maternità viene sacrificata ‘nel

raccontarglielo. “Marco non mi ha mai fatto pesare nulla, per lui sono perfetta così come sono, dice che ho una forza pazzesca. È stato l’unico a farmi andare oltre le mie paure, partendo da una semplice domanda posta con sincerità e insistenza: ‘Come stai?’. Quella è stata la chiave che mi ha fatto aprire, lui mi ha ascoltata. E mi sono innamorata.” Nel giro di pochi mesi si sono sposati e poi sono nate le bambine. “Il mio desiderio era allattarle, temevo di non riuscirci solo con il seno sinistro e Sole all’inizio faceva fatica ad attaccarsi. Aveva un problema al frenulo della lingua ma, una volta risolto, tutto è andato per il meglio.” E se in alcuni momenti la paura del tumore riaffiora, Benedetta la contiene: “Si fanno i controlli, mio marito è accanto a me, a volte mi fa promettere che non mi ammalerò

"Alle donne che affrontano un tumore al seno dico: non chiudetevi, apritevi e chiedete aiuto"

pensiero’: la mente non è polarizzata sul fatto che è possibile ricavare una finestra temporale per congelare gli ovociti o mettere in quiescenza le ovaie. Le pazienti sono concentrate solo sui trattamenti per il tumore, sul salvarsi la vita. Questo atteggiamento deve cambiare: dobbiamo contribuire a creare una nuova mentalità, forti del fatto che abbiamo a disposizione farmaci molto potenti e nuove strategie di combinazione che portano alla guarigione in molti casi. Le donne devono essere libere di poter pensare alla loro vita e a una maternità futura, che non comporta rischi maggiori né per la donna né per il bambino.”

L’INCONTRO

CON MARCO

Benedetta rientrò al lavoro dopo diversi mesi dall’intervento e, durante un’assemblea in cui era delegata sindacale, conobbe Marco. Quasi tutti i colleghi erano al corrente della sua malattia, compreso lui, che però fece finta di non sapere nulla, lasciandole il tempo di decidere quando e come

più e mi fa tanta tenerezza! Glielo prometto, abbiamo due figlie piccole e guardiamo avanti”.

I TRAGUARDI RAGGIUNTI

Per il tumore del seno sono stati raggiunti risultati importanti, che Alessandra Gennari sintetizza ricordando che “fino a una ventina di anni fa, oltre alla chirurgia, avevamo solo la chemioterapia, ma poi è arrivato il trastuzumab, il primo anticorpo monoclonale. E abbiamo capito che se avessimo avuto un target biologico, ovvero un bersaglio a cui mirare, avremmo potuto guarire pazienti che altrimenti sarebbero morte nell’arco di due anni”. Ed è in questa direzione che si è mossa la ricerca, puntando a individuare caratteristiche del singolo tumore che potessero essere inibite in modo specifico per bloccarne la crescita. Il progetto di Alessandra Gennari sostenuto da AIRC è sul cancro al seno triplo negativo, una delle forme più aggressive, che viene più di frequente diagnosticata nelle donne

UN PODCAST FONDAMENTALE

Questo articolo è disponibile in versione podcast. Scopri dove ascoltarlo inquadrando il QR Code.

che hanno meno di 40 anni: l’obiettivo è identificare i fattori in grado di predire la risposta delle pazienti all’immunoterapia, perché non in tutte questo trattamento è efficace e non è chiaro cosa lo ostacoli. “L’immunoterapia sta cambiando la storia di questo tumore quando è in fase precoce” continua Gennari. “Per le forme avanzate abbiamo gli anticorpi immunoconiugati, in cui il farmaco chemioterapico è legato a un anticorpo che lo rilascia direttamente nella cellula cancerosa: sono farmaci che hanno rivoluzionato la cura offrendo vantaggi nella sopravvivenza che non si erano mai visti, ed è importante poterli proporre alle pazienti.”

SAPER ASCOLTARE

Per Benedetta, chi affronta un tumore deve poter contare sui propri familiari e sulle altre persone vicine, e in questo senso l’ascolto, anche da parte dei medici, è quanto mai importante, molto più del voler sostenere con le parole chi è ammalato: “Per esempio, io mi sentivo dire che il peggio era passato, che avevo anche il seno rifatto, frasi che non volevano essere cattive ma non erano incoraggianti, perché suonavano quasi come un richiamo: tu adesso stai bene e sei un’ingrata a lamentarti. Alle donne che affrontano un tumore del seno dico: non chiudetevi, non fingete che vada tutto bene, apritevi e chiedete aiuto. Non abbiate vergogna di raccontare”.

Cariche istituzionali AIRC

Nuove nomine

UNA NUOVA DIRETTRICE SCIENTIFICA PER AFFRONTARE LE SFIDE DI DOMANI

In questo articolo:

— PROGRESSI DELLA RICERCA

— MEDICINA PERSONALIZZATA

— MEDICI-RICERCATORI

Federico Caligaris Cappio, direttore scientifico di AIRC dal 2016, ha passato il testimone ad Anna Mondino, per 26 anni ricercatrice AIRC presso l’Istituto scientifico San Raffaele

a cura della redazione

"Credo di poter affermare che, grazie ad AIRC, negli ultimi anni la ricerca oncologica italiana è cresciuta a livello internazionale. Lo testimonia anche il fatto che oggi molti ricercatori italiani ricoprono ruoli di prestigio sia all’interno di società scientifiche, sia di gruppi di lavoro dedicati alle linee guida per le terapie oncologiche.” È uno dei capitoli più importanti del bilancio che Federico Caligaris Cappio traccia al termine del suo incarico di direttore scientifico di Fondazione AIRC, che ha ricoperto dal 2016 fino ad agosto di quest’anno. Dal primo settembre il testimone è passato ad Anna Mondino, che all’Istituto scientifico San Raffaele di Milano è stata responsabile dell’Unità di attivazione dei linfociti all’interno della Divisione di immunologia, e

tist, dedicato ai giovani medici-ricercatori, e il Southern Italy Scholars, per coloro che intendono fare ricerca presso un ente nel Meridione ma promuovendo una rete di collaborazioni con altri gruppi nel resto dell’Italia o all’estero. “Poter accompagnare i giovani che vogliono dedicarsi alla ricerca, e creare le opportunità giuste per i talenti, è parte della ragione per cui ho accettato la direzione scientifica di AIRC” afferma Mondino.

L’ECOSISTEMA DELLA RICERCA

docente a contratto di patologia e immunologia. Con AIRC ha un legame profondo: “La Fondazione ha creduto in me fin da quando, appena laureata in biologia all’Università di Torino, mi ha assegnato una borsa di studio, e poi, qualche anno dopo, mi ha dato l’opportunità di rientrare dagli Stati Uniti grazie a un grant rivolto ai giovani ricercatori desiderosi di ripor-

tare la loro progettualità in Italia: il mio sogno era di utilizzare i linfociti T e di modificarli geneticamente per renderli più capaci di riconoscere i tumori. Era il 1998 e potei così avviare il mio laboratorio al San Raffaele”. Proprio ripensando al suo percorso, Anna Mondino ci tiene a sottolineare che vuole perseverare nell’attenzione che AIRC ha verso le nuove generazioni, come già avvenuto con la direzione di

"Poter accompagnare i giovani che vogliono dedicarsi alla ricerca è parte del motivo per cui ho accettato la direzione scientifica di AIRC"

Caligaris Cappio, che ha visto da un lato potenziare i bandi per i finanziamenti già esistenti e dall’altro crearne di nuovi: il Next Gen Clinician Scien-

Ma non è solo l’attenzione ai giovani ad accomunare i due direttori scientifici: lo è anche l’impegno nel rafforzare e migliorare il modo in cui si fa ricerca. In quest’ottica, uno dei provvedimenti voluti da Federico Caligaris Cappio all’inizio del suo incarico fu portare da 3 a 5 gli anni di finanziamento ai progetti, allineando così AIRC agli standard internazionali. “Concedere più tempo è stato un passaggio fondamentale e ha portato a risultati tangibili: il numero di lavori scientifici dei ‘nostri’ ricercatori è cresciuto raggiungendo gli oltre 2.000 studi pubblicati all’anno, una cifra che ci colloca al secondo posto in Europa subito dopo Cancer Research UK, ente no profit britannico. Inoltre, nel periodo 2016-2023, c’è stato un incremento di più del 30 per cento degli studi in cui si ringrazia AIRC per il sostegno. Sono segnali di quanto la ricerca oncologica italiana sia brillante e con molte potenzialità.” Anna Mondino è pienamente d’accordo e vede il futuro della ricerca targata AIRC all’interno di quello che definisce un “ecosistema”: “Penso a un insieme di elementi che lavorano in sinergia. Università, ospedali e centri di ricerca ad alta specializzazione tecnologica capaci sia di supportare attività di ricerca competitiva e ricercatori e medici ‘visionari’, sia di trasferire le domande cliniche al laboratorio e i risultati della ricerca al letto del paziente”. In questo senso ci sono percorsi che potremmo definire obbligati per far sì che il lavoro dei ricercatori non si fermi alla scoperta ma venga trasformato in una cura. Per affrontarli, però, il no profit non è an-

Fino a qualche anno fa la medicina personalizzata era

un'utopia.

Oggi è la direzione che si sta dimostrando essere

la più valida

cora ben attrezzato, a differenza delle aziende farmaceutiche. “Servono tanto coraggio, tanta energia e una rete di investitori che creda fermamente nel valore della ricerca. L’obiettivo per me, indubbiamente ambizioso, è dunque mettere la ricerca all’interno di un percorso virtuoso circolare, di un ecosistema appunto. Credo che in Italia ci siano i presupposti giusti e che AIRC sia la sorgente della mentalità di fare sistema. Questo è un altro motivo che mi ha spinto ad accettarne la direzione scientifica.”

DOVE SIAMO ARRIVATI…

Ma in che direzione sta andando la ricerca oncologica? “Uno dei cambiamenti più significativi degli ultimi anni è di certo il fatto che per alcune tipologie di tumore oggi esistono cure efficaci o trattamenti in grado di trasformare la neoplasia in una malattia cronica” afferma Mondino. Fino a qualche anno fa la cura “cucita” sul paziente era poco più di un’utopia, mentre oggi la medicina personalizzata è la direzione che si sta dimostrando essere la più valida: “Questo è potuto accadere grazie a un salto tecnologico quantico che ha permesso di passare da un’analisi, diciamo, più generale del cancro a un’analisi di singole cellule del malato, per identificare mutazioni genetiche sensibili a farmaci mirati o a immunoterapia specifica per il tumore del paziente”. In questo scenario Caligaris Cappio ha avuto il coraggio e la lungimiranza di lanciare dei bandi finanziati dai proventi del 5 per mille dedicati alla ricerca sulle metastasi, sdoganando un tema difficile ma che si è rivelato strategico per un cambio di passo diagnostico e terapeutico. “Per fare un esempio” racconta Caligaris Cappio “è all’interno di questi progetti

che è stata aperta la strada per utilizzare con successo nei tumori solidi le CAR-T, la forma più innovativa di immunoterapia che era già impiegata per alcuni tipi di leucemie in pazienti che non rispondevano ad alcun altro trattamento, ma che nessuno era ancora riuscito ad applicare nei tumori solidi.” I ricercatori AIRC hanno dato un contributo decisivo anche in altri ambiti, come nel caso della messa a punto di terapie chemo-free, che non prevedono la somministrazione della chemioterapia, o della biopsia liquida per monitorare l’efficacia di una cura e capire se la malattia sia ancora presente (si parla in questo caso di malattia minima residua) anche quando la diagnostica per immagini risulta negativa.

… E IN CHE DIREZIONE ANDIAMO

“Abbiamo imparato che la malattia oncologica è declinata in maniera

diversa in ogni singolo paziente, e quanto sia importante conoscerla per poterla curare nel modo più appropriato” spiega Mondino. “AIRC è in prima linea nella formazione di ricercatori e di physician-scientist, i medici scienziati, perché stare in laboratorio e confrontarsi tutti i giorni con un’ipotesi sperimentale, verificarne la validità tramite esperimenti e risultati, modifica il modo di pensare alla malattia e al malato. Si tratta di un cambiamento culturale che AIRC ha riconosciuto e ha abbracciato sostenendo percorsi formativi dedicati.” L’impulso dato da Federico Caligaris Cappio a Fondazione AIRC nasce, come ha sempre raccontato, dalla volontà di restituire ciò che gli ha dato il suo lavoro di oncoematologo impegnato nella ricerca traslazionale, quella che traduce le scoperte del laboratorio in cure per il paziente. Anna Mondino ne raccoglie oggi il testimone: “La ricerca, il chiedermi il perché delle cose, è nel mio DNA. Il laboratorio è stato per me una seconda famiglia, in cui il metodo scientifico e lo studio sono stati finalizzati alla conoscenza e alla cura. Mi è stata offerta una grande opportunità e, come raccomando sempre ai giovani, quando vi si presenta un’opportunità, se è qualcosa in cui credete, fate un passo avanti”. Buon lavoro, Anna!

Federico Caligaris Cappio, direttore scientifico di Fondazione AIRC dal 2016 al 2024

Diagnosi precoce

Intelligenza artificiale

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE PUÒ MIGLIORARE LA DIAGNOSI PRECOCE DI CANCRO AL SENO

In questo articolo:

— FALSI POSITIVI

— MAMMOGRAFIA

— RADIOMICA

Molti studi hanno evidenziato l’utilità

dell’intelligenza artificiale quale secondo parere per la diagnosi del tumore al seno. In futuro, questi metodi potrebbero essere un supporto prezioso per il personale medico

Molte cliniche negli Stati Uniti stanno iniziando a offrire ai pazienti un nuovo servizio: far analizzare le loro mammografie non solo da un radiologo in carne e ossa, ma anche da un modello di intelligenza artificiale (IA). Secondo gli ospedali e le aziende che li mettono a disposizione, questi strumenti sono capaci di accelerare il lavoro dei radiologi e di individuare il cancro più precocemente rispetto alle sole mammografie standard. Chiaramente si tratta di uno screening “extra”, per ora sperimentale, offerto quindi solo a pagamento.

a cura di Cristina Da Rold

In Italia una donna su 8 si ammala di tumore alla mammella nel corso della propria vita. Sottoporsi ai programmi di screening mammografici per la diagnosi precoce di tumore al seno è la prima potente arma a

disposizione di tutte le pazienti per superare la malattia. Si stima infatti che lo screening mammografico riduca la mortalità di circa il 40 per cento nei 10 anni successivi alla diagnosi, e che la mammografia correttamente letta permetta di rilevare lesioni anche molto piccole prima che diventino palpabili dalla donna.

L’affidabilità dell’esame dipende però necessariamente dalla esperienza dello specialista radiologo che lo effettua. Inoltre, i falsi positivi – cioè i falsi allarmi, i casi di anomalie che sembravano lesioni cancerose e in-

umano. Quando si parla di intelligenza artificiale si intende la capacità di un software, cioè di un algoritmo, di essere allenato da una persona a individuare determinate caratteristiche, per esempio delle lesioni tumorali alle mammelle. Mentre l’occhio umano e l’attenzione possono essere influenzati per esempio dalla stanchezza e dai turni molto lunghi, l’algoritmo non si stanca mai. Se è addestrato correttamente a individuare una serie di parametri indicatori della possibile presenza di un tumore, li segnala.

L'intelligenza artificiale confronta l'immagine con quelle raccolte in altre pazienti e identifica le caratteristiche simili a quelle osservate in precedenza in donne con tumore al seno

vece non lo sono – sono molti, ogni anno. Stando ai dati dell’Osservatorio nazionale screening, si stima che circa il 20 per cento delle donne che si sottopongono per 20 anni allo screening mammografico e vengono invitate a un approfondimento non abbiano in realtà un tumore.

L’intelligenza artificiale, come strumento di supporto al radiologo, potrebbe fare per molte donne la differenza, minimizzando l’errore

In linea di principio, un algoritmo IA rileva la malattia tumorale allo stesso modo di un radiologo: confronta l’immagine con quelle raccolte in altre pazienti e identifica eventuali caratteristiche simili a quelle osservate in precedenza nelle donne con cancro della mammella. Ciò è reso possibile addestrando l’algoritmo con l’ausilio di un numero imponente di immagini diagnostiche. Questo metodo si chiama deep learning, una

forma di apprendimento automatico che utilizza reti neurali dotate della capacità di interpretare le immagini in più fasi, proprio come fa il nostro cervello.

Un progetto dell’azienda Kheiron Medical Technologies e dell’Imperial College di Londra ha provato a utilizzare un sistema di intelligenza artificiale già disponibile in commercio in aggiunta alla doppia lettura standard delle mammografie. Risultato: l’algoritmo ha rilevato fino al 13 per cento in più di tumori al seno rispetto agli esseri umani nei programmi di screening esaminati. Questo perché il sistema individua tessuti potenzialmente cancerosi che i “lettori” umani faticano invece a notare. I risultati sono stati raccontati in un articolo pubblicato su Nature Medicine nel 2023 e hanno mostrato che l’uso dell’intelligenza artificiale come lettore aggiuntivo può migliorare la diagnosi precoce del cancro al seno con caratteristiche prognostiche rilevanti, con un numero di falsi positivi minimo o nullo.

In Ungheria, dove si è svolto lo studio, viene di prassi eseguita la doppia lettura di ogni mammografia da parte di due radiologi, che insieme decidono, in base al sospetto di tessuto canceroso, se chiedere alla donna di tornare per ulteriori accertamenti. In questo studio, i ricercatori hanno utilizzato un sistema di intelligenza artificiale come lettore aggiuntivo per le mammografie di 25.065 donne in 4 centri di screening da aprile 2021 a gennaio 2023. Dopo che le mammografie sono state studiate come al solito da due radiologi, sono state poi esaminate attraverso il sistema di IA. Lo strumento ha segnalato i potenziali falsi negativi a un terzo lettore umano, che ha deciso se richiamare o no la donna per un controllo. Nel complesso, il lettore IA ha riscontrato 24 tumori in più rispetto alla lettura umana standard – un aumento relativo del 7 per cento – e ha portato a richiamare 70 donne in più. I controlli aggiuntivi hanno individuato ulteriori 30 tumori, aumentando il tasso relativo di rilevamento del cancro del 13 per cento. L’83 per cento di questi tumo-

Secondo

alcuni studi, l'IA potrebbe essere in grado anche di ridurre i falsi positivi, così da diminuire gli esami non necessari

ri aggiuntivi scoperti utilizzando il sistema di intelligenza artificiale erano invasivi: la diagnosi precoce per queste donne è stata cruciale. Un articolo pubblicato nel numero di agosto 2023 della rivista Lancet Oncology ha riportato i risultati di uno studio randomizzato e controllato denominato MASAI. La squadra di ricercatori svedesi ha diviso un campione ampio di donne in due gruppi di uguali dimensioni. Le 40.000 mammografie del primo gruppo sono state esaminate utilizzando esclusivamente l’intelligenza artificiale, mentre le 40.000 mammografie del secondo gruppo sono state esaminate da due radiologi in carne e ossa. I tassi di rilevamento del cancro sono risultati leggermente più elevati nel

gruppo analizzato dall’algoritmo rispetto al gruppo esaminato dai due radiologi: 244 tumori individuati contro 203.

Un mese dopo, a settembre 2023, The Lancet Digital Health ha pubblicato i risultati di un altro studio svedese, secondo il quale utilizzare l’intelligenza artificiale, anziché un radiologo, come secondo parere per la lettura indipendente delle mammografie funziona meglio. Il tasso di rilevamento del cancro è stato più alto del 4 per cento rispetto a quando la seconda lettura è stata fatta da un radiologo.

Inoltre, in uno studio retrospettivo pubblicato sulla rivista Radiology ad aprile 2024, un team di ricercatori della Washington University School

of Medicine di St Louis e di Whiterabbit.ai, una società di intelligenza artificiale, ha osservato che l’IA era in grado di ridurre il numero di falsi positivi, portando a una diminuzione sia dei richiami sia delle biopsie non necessarie.

L’intelligenza artificiale potrebbe anche permettere di sfruttare l’enorme risorsa che sono i dati numerici legati all’immagine radiologica. Si parla in questo senso di “radiomica“ e “radiogenomica”, e significa utilizzare sistemi di IA per convertire le immagini acquisite durante l’esame diagnostico – una risonanza magnetica o una TAC – in numeri che descrivono molte caratteristiche del tumore in esame, per esempio forma, struttura dei tessuti, dimensioni. I software possono così studiare l’eventuale associazione fra i dati ottenuti dalle immagini e quelli molecolari e genomici della neoplasia, per avere un quadro preciso e personalizzato dello specifico tumore di quella specifica persona.

Guida alle terapie

Chirurgia ricostruttiva

UNA CHIRURGIA DEL TUMORE AL SENO SEMPRE MENO INVASIVA

In questo articolo:

— TUMORE AL SENO — ENDOSCOPIA

— LINFONODO SENTINELLA

Il percorso per migliorare la qualità di vita delle pazienti con tumore della mammella è iniziato già negli anni Settanta, con le ricerche sostenute da AIRC di Umberto Veronesi, e prosegue ancora oggi con tecniche sempre meno invasive

a cura di Roberta Villa

Il fenomeno riguarda molti tumori, ma è consolidato e particolarmente evidente quando si parla di cancro al seno: maggiori sono le possibilità di cura, maggiore è l’attenzione che i medici possono dedicare agli effetti dei trattamenti sulla qualità della vita successiva, che può essere lunga e spesso equivalente a quella di chi non ha mai ricevuto la stessa diagnosi. Per questo, oggi che tante donne riescono a superare il tumore al seno, è importante dare loro la possibilità di sentirsi davvero guarite, senza troppe cicatrici sul corpo e nella psiche.

La ricerca scientifica si concentra ancora e prima di tutto su come estendere ai tumori al seno ancora difficili da curare i risultati positivi sinora ottenuti nella maggioranza dei casi. Il secondo e sempre più importante obiet-

tivo, però, è riuscire a ottenere ottimi risultati pagando il minor prezzo possibile in termini di benessere della paziente. Le due cose non sono in netta contrapposizione come avveniva un tempo. Per esempio, l’ordine tradizionale delle cure prevedeva come prima arma il bisturi, a cui seguivano radio e chemioterapia, mentre oggi, invertendo quando ritenuto utile la sequenza dei trattamenti, si possono sia migliorare gli esiti sia ridurre l’estensione dell’intervento.

Iniziare subito la terapia medica con farmaci innovativi o con la chemioterapia, come talvolta si preferisce fare adesso, permette infatti da un lato di ottenere migliori percentuali di sopravvivenza e di riconoscere subito i medicinali che funzionano (e quelli che eventualmente al contrario non lo fanno) su quella specifica paziente, per proseguire la terapia dopo l’asportazione della neoplasia; dall’altro lato questo trattamento, chiamato “neoadiuvante”, permette anche di ridurre le dimensioni del tumore da asportare in sala operatoria, con un’operazione meno impegnativa.

demolitivo, ma di essere all’inizio di un percorso in cui verrà posta estrema attenzione sia a garantirle la più lunga sopravvivenza possibile, sia a ridurre disagi fisici e conseguenze estetiche, con il loro possibile impatto psicologico.

RISPARMIARE I LINFONODI

Tra i disturbi fisici più comuni e fastidiosi per le donne operate al seno, per esempio, c’è il progressivo gonfiore della mano e del braccio omolaterali, definito “linfedema”. Nel corso dell’intervento, infatti, possono essere asportati i linfonodi ascellari, il che causa un mancato drenaggio dell’arto. Eppure, oggi sappiamo che in alcuni casi queste ghiandole possono anche essere risparmiate senza compromettere gli esiti della cura. Lo ha dimostrato uno studio coordinato da Oreste Davide Gentilini, responsabile della Breast Unit dell’Ospedale San Raffaele di Milano, e sostenuto da AIRC.

“Prima di tutto occorre sottolineare che i linfonodi si asportano per ottenere maggiori informazioni sull’andamento della malattia, non per fermarne la diffusione, come troppo spesso si crede” spiega il chirurgo. “Oggi, grazie alle più evolute tecniche di imaging e alla migliore conoscenza che abbiamo della biologia del tumore, i dati che si possono ottenere dall’esame istologico dei linfonodi sono meno rilevanti, e questo anche se il cosiddetto ‘linfonodo sentinella’ – asportato ed esaminato durante l’intervento – risulta positivo. Anzi, con lo studio SOUND (Sentinel

Un obiettivo sempre più importante è riuscire a ottenere ottimi risultati di cura nel tumore al seno garantendo la miglior qualità della vita possibile

Oggi, nella maggior parte dei casi, una donna che scopre di avere un nodulo maligno sa perciò di non dover andare incontro a un intervento

node vs Observation after Axillary Ultrasound), recentemente pubblicato su JAMA Oncology, insieme ad altri colleghi italiani abbiamo dimo-

strato che se il diametro del tumore è inferiore a 2 centimetri, e l’ecografia dell’ascella non mostra immagini sospette, si può evitare anche l’analisi intraoperatoria di questo unico linfonodo sentinella.”

MASSIMO BENEFICIO CON IL MINIMO DANNO

Non è la prima volta che una svolta significativa nel trattamento del tumore al seno avviene nel nostro Paese. Come molti sanno, parte da Milano negli anni Settanta del secolo scorso anche la prima, storica sperimentazione che proponeva un trattamento meno aggressivo di questa malattia. Con una pubblicazione sulla più importante rivista medica del mondo, il New England Journal of Medicine, Umberto Veronesi cercò di convincere anche i più scettici che in molti casi non fosse necessario un intervento demolitivo come la mastectomia radicale, considerata fino a quel momento sempre indispensabile per estirpare la malattia. Nei tumori al seno di dimensioni inferiori a 2 centimetri e senza linfonodi ascellari ingrossati, l’approccio tradizionale non garantiva un minor numero di recidive né una maggiore sopravvivenza rispetto alla tecnica (detta “quadrantectomia”) messa a punto all’Istituto nazionale dei tumori di Milano. Questa operazione si limitava ad asportare la parte di seno dove si trovava il nodulo e a svuotare i linfonodi del cavo ascellare, per poi procedere con la radioterapia. “Pur limitandone l’estensione, l’intervento manteneva una sua radicalità” spiega Gentilini. “Oltre alla ghiandola, si asportava anche la pelle, il tessuto sottocutaneo e la fascia del muscolo pettorale. Oggi, in Italia, per tradizione si continua a parlare di “quadrantectomia”, ma l’operazione in sé è molto più contenuta e simile a quella che negli Stati Uniti si chiama “lumpectomy”, cioè asportazione del nodulo. Forse la definizione più corretta è quella che si usa nel resto d'Europa: ‘wide local excision’, cioè un’ampia asportazione locale.”

TECNICHE E STRUMENTI

INNOVATIVI

Il tentativo di limitare al minimo necessario l’impatto chirurgico si è avvalso di ulteriori strumenti: in alcuni centri si sperimentano i robot, in altri (ancora molto pochi) è entrata in uso un’ulteriore tecnica mininvasiva, l’endoscopia, già comune per la chirurgia addominale e toracica.

“Basta un’incisione di 3,5 centimetri lateralmente al solco del seno per effettuare l’asportazione del nodulo e, nella stessa seduta chirurgica, inserire la protesi per ricostruire la mammella” prosegue il chirurgo. “Può sembrare tecnicamente difficile operare in un campo più ristretto, ma in realtà la visione è migliore e ingrandita. Certo, occorre una fase di formazione dell’operatore, il che ha finora rallentato l’introduzione di questo approccio in

spesso, non appena è possibile, queste strutture sono risparmiate dalla chirurgia, che fa il possibile per preservare fin dall’inizio l’integrità dell’aspetto esteriore.

LA RICOSTRUZIONE NON DEVE ASPETTARE

“In quel 30-40 per cento di donne che ancora oggi devono deve essere sottoposte a mastectomia, a meno di casi molto particolari, la ricostruzione deve essere effettuata subito, nel corso del primo intervento, con lembi di tessuto autonomi o con una protesi” precisa Gentilini. “Mentre in passato si preferiva inserire la protesi sotto il muscolo pettorale, per proteggerla meglio, ora sappiamo che la si può posizionare nella sede naturale, con un effetto migliore e una ripresa più rapida.”

Nelle donne che ancora oggi devono sottoporsi a mastectomia, la ricostruzione deve essere effettuata subito, nel corso del primo intervento

altri centri, insieme alla necessità di procurarsi la tecnologia necessaria.”

A ogni modo, la tecnica mininvasiva non è utilizzabile in tutti i casi: si adatta a seni e tumori di piccole dimensioni, soprattutto per interventi preventivi, come quelli di chi, sulla scia del caso mediatico di Angelina Jolie, presenta mutazioni genetiche familiari che aumentano moltissimo il rischio di sviluppare un cancro.

A questa soluzione ricorre negli Stati Uniti circa la metà delle donne che scoprono di essere portatrici di mutazioni BRCA1, BRCA2 o similari, mentre in Italia e in molti altri Paesi solo circa una su 10 adotta la prevenzione chirurgica, anche se la percentuale aumenta a mano a mano che si introducono approcci meno invasivi e si ottengono risultati cosmetici migliori. Esiste per esempio la possibilità di effettuare tatuaggi che riproducono l’areola e soluzioni tridimensionali che mimano il capezzolo, ma sempre più

L’esperto rassicura sui rischi legati alle protesi stesse, di cui si è parlato molto in passato: sussiste un aumento del rischio di sviluppare un linfoma anaplastico a grandi cellule, ma è minimo. È bene comunque sapere che, soprattutto con alcuni modelli, questo rischio esiste e, se si verifica un accumulo di liquido nella sede dell’intervento senza altri segni di infiammazione, occorre rivolgersi subito al medico. Ma si tratta di un’evenienza rarissima, pari a un caso ogni 30.000 donne portatrici di protesi, largamente bilanciata dai vantaggi della ricostruzione.

LE TERAPIE PER IL TUMORE AL SENO

Come anticipato nell’articolo, la chirurgia è solo una delle tappe del percorso terapeutico per le donne con un cancro della mammella. Per maggiori informazioni sui diversi trattamenti utilizzati, è disponibile un approfondimento sul sito airc.it inquadrando il QR Code.

Diagnosi precoce

Screening per tumore al seno

LO SCREENING A PARTIRE DAI 45 ANNI È SEMPRE PIÙ IMPORTANTE

In questo articolo:

— MAMMOGRAFIA

— PIANO NAZIONALE DELLA PREVENZIONE — LINEE GUIDA

Le diagnosi precoci di tumore al seno nelle donne con meno di 50 anni sono in aumento da tempo, ma in molte Regioni italiane lo screening non è ancora stato allargato alle donne dai 45 anni in su. E intanto i numeri delle adesioni restano migliorabili

a cura della redazione

Circa un tumore al seno su 5 è diagnosticato prima dei 50 anni. Non era così all’inizio di questo millennio, ma il numero di giovani donne che si ammalano è andato via via aumentando a causa principalmente di cambiamenti nello stile di vita. In particolare, incide sul rischio di ammalarsi il fatto che si fanno meno figli, si allatta di meno al seno, le abitudini alimentari sono diventate meno salutari, si fa meno attività fisica e le donne in sovrappeso sono sempre più numerose.

L’incremento dei tumori al seno a esordio precoce è un fenomeno sotto osservazione da tempo e che ha spinto la comunità scientifica a intervenire, tanto che molte linee guida suggeriscono l’opportunità di abbassare a 45 anni l’inizio dello screening per la diagnosi precoce di

questa malattia. Qual è la situazione in Italia? Andiamo con ordine. Tra le grandi conquiste della nostra sanità pubblica ci sono i 3 screening oncologici gratuiti per la diagnosi precoce del tumore del seno, del colon-retto e della cervice uterina. Dal 2001 questi esami sono inseriti nei LEA, i Livelli essenziali di assistenza, ovvero rientrano tra le prestazioni che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini. A oggi i LEA prevedono lo screening per il carcinoma della mammella per le donne all’interno della fascia di età 50-69 anni, il periodo della vita in cui il rischio di sviluppare questo tumore è più elevato, e non per le donne più giovani o più anziane. Perché allora in alcune Regioni lo screening gratuito viene proposto già dai 45 anni e fino ai 74? Perché non possono farlo tutte? In molti casi l’ostacolo è normativo.

LO SCREENING DAI 45 ANNI

“L’allargamento dello screening alle donne nelle fasce d’età dai 45 ai 49 anni e dai 70 ai 74 è previsto dal Piano nazionale della prevenzione 2022-2025 ed era già stabilito in quello precedente del 2014-2019. Ma le Regioni che sono in piano di rientro, proprio per la situazione finanziaria in cui versano, sono tenute a erogare solamente le prestazioni previste dai LEA e, dunque, viene loro negata la possibilità di estenderlo” spiega Paola Mantellini, direttrice dell’Osservatorio nazionale screening. “Le Regioni che non sono in piano di rientro e che hanno ampliato la fascia di età lo hanno fatto con risorse proprie, cioè hanno destinato una parte delle risorse del Servizio sanitario regionale a questa attività. La prima ad abbassare l’età di inizio dello screening è stata l’Emilia-Romagna, seguita da Piemonte, Toscana, Basilicata e Friuli Venezia Giulia. Altre Regioni, come il Veneto e la Lombardia, hanno iniziato allargando ai 74 anni e ora stanno aprendo alle donne dal quarantacinquesimo anno d’età.” La situazione è, dunque, a macchia di leopardo: in Emilia Romagna è stato invitato allo screening il 98 per cento delle donne tra i 45 e i 49 anni, in Toscana il 65 per cento, in Friuli il 60, in Piemonte il 28, il 45 in Basilicata e Lombardia,

1 su 2

DONNE CHE

HANNO RICEVUTO L'INVITO

ALLO SCREENING MAMMOGRAFICO IN ITALIA

mentre nelle Marche, in Liguria e in Campania l’offerta è limitata solo ad alcune aziende sanitarie.

LE LINEE GUIDA ITALIANE

L’Osservatorio nazionale screening e il Gruppo italiano per lo screening mammografico (GISMa) hanno elaborato le linee guida italiane sullo screening e la diagnosi del tumore della mammella nel 2022, con il contributo di tutte le società scientifiche di settore e con le associazioni delle donne. Il documento sottolinea l’importanza, per le donne nella fascia di età 45-49 anni, di sottoporsi allo screening mammografico a intervallo annuale o biennale. Dai 50 anni in poi, la mammografia invece è prevista con cadenza biennale, perché nella maggior parte dei casi permette di evidenziare i tumori in fase iniziale, senza aumentare i rischi da radiazioni. Di recente negli Stati Uniti la Preventive Task Force, l’ente che stila le raccomandazioni in materia di prevenzione, ha proposto di abbassare la soglia di inizio dello screening ai 40 anni: avrebbe senso farlo anche in Italia? “Le raccomandazioni statunitensi sono state costruite usando criteri molto diversi rispetto a quelli con cui sono state redatte le linee guida europee e quelle italiane, e non sono paragonabili nemmeno da un punto di vista metodologico” chiarisce Paola Mantellini. In particolare, negli Stati Uniti è stato tenuto conto della popolazione afroamericana in cui si regi-

DONNE INVITATE ALLO SCREENING HANNO ADERITO

stra una maggiore incidenza di tumori triplo-negativi (tra i più aggressivi e complessi da curare) e anche una maggiore mortalità per tumore della mammella. Quest’ultima è inoltre legata a diseguaglianze sociali più marcate, che determinano spesso ritardi nella diagnosi e nell’inizio della terapia. Accedere a un’età più giovane allo screening può migliorare questa situazione. “Le linee guida europee e quelle italiane non raccomandano lo screening tra i 40 e i 44 perché, in base della metodologia utilizzata, non ci sono sufficienti evidenze scientifiche che supportino questo tipo di scelta. I nostri obiettivi restano dunque garantire lo screening a tutte le donne dai 50 ai 69 anni e poi allargarlo anche a quelle dai 45 ai 49 e dai 70 ai 74. Obiettivi che non abbiamo ancora raggiunto.”

LE ITALIANE E LO SCREENING

La diagnosi precoce effettuata grazie allo screening, unita a trattamenti sempre più mirati ed efficaci, ha portato negli anni a un aumento della sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi di tumore del seno, che in Italia oggi raggiunge l’88 per cento e supera il 90 per cento se la malattia è individuata negli stadi iniziali. Aderire allo screening è dunque molto importante. “Nel 2022, 87 italiane su 100 tra quelle aventi diritto allo screening hanno ricevuto l’invito: è un buon risultato, considerando che a livello europeo il target da raggiungere en-

tro il 2025 è il 90 per cento” spiega Paola Martellini. “Ci tengo a sottolineare l’exploit delle Regioni del Sud, passate dal 58 per cento delle donne invitate nel 2012 al 71,6 per cento del 2022. Ritengo che nei prossimi anni sarà possibile ridurre ulteriormente la forbice con il Nord e il Centro, dove oggi l’offerta tocca rispettivamente il 95 e il 94 per cento.” Ma poi le donne vanno a fare la mammografia? Il dato medio di adesione è del 50 per cento, che corrisponde, nel 2022, a 1.815.693 donne. Anche nell’adesione si registra una differenza tra le diverse aree d’Italia: è del 57,5 per cento al Nord, del 50 per cento al Centro e del 36 per cento al Sud. “C’è stato un miglioramento, ma indubbiamente al Sud la situazione è ancora critica e c’è molto lavoro da fare.” I problemi sono innanzitutto di tipo organizzativo e quindi attribuibili a chi eroga il servizio, cioè all’azienda sanitaria:

per esempio, dare appuntamento per la mammografia in una sede lontanissima da casa è un deterrente; per favorire la partecipazione è necessaria un’ottima organizzazione. Un altro problema riguarda la sensibilità: “Sappiamo che ci sono dei determinanti di partecipazione, ovvero delle situazioni che condizionano l’adesione da parte delle donne: per esempio il basso livello di istruzione, le difficoltà economiche, l’appartenere a popolazioni che vengono da Paesi a forte pressione migratoria”. Sono aspetti su cui possono incidere le scelte di politica sanitaria e l’alfabetizzazione della popolazione, in particolare per quanto riguarda la cosiddetta health literacy, cioè la capacità di ottenere e capire le informazioni sanitarie che ci riguardano per poter poi accedere ai servizi. “L’health literacy in Italia è bassa, quindi è necessario continuare a lavorare sulla comunicazione per

Nelle Regioni del Sud, la percentuale di donne invitate a fare lo screening mammografico è salita in 10 anni dal 58 al 71,6 per cento

UN PODCAST FONDAMENTALE

Questo articolo è disponibile in versione podcast. Scopri dove ascoltarlo inquadrando il QR Code.

cercare di far comprendere alle persone l’importanza dello screening.” È stato calcolato che la mammografia porti a una riduzione della mortalità del 20 per cento: “Le vite si salvano perché lo screening si integra con tutto il percorso successivo della presa in carico, dal completamento della diagnosi al trattamento. E questo è quanto mai vero in Italia, che, ricordo, è tra i Paesi europei con il miglior tasso di sopravvivenza per il tumore della mammella” conclude Mantellini. Garantire al più presto lo screening alle donne a partire dai 45 anni è dunque un obiettivo molto importante, ma lo è altrettanto colmare i vuoti che ancora esistono.

Notizie

... DAL MONDO

a cura della redazione

CON PERCEPTION NASCE UN MODELLO PER PREDIRE

LA RISPOSTA ALLE TERAPIE

Usare le caratteristiche cellulari dei tumori già diagnosticati per aiutare i clinici a prevedere la risposta alle terapie dei nuovi pazienti. È l’obiettivo di un gruppo di ricercatori dell’Istituto Sanford Burnham Prebys di La Jolla e del National Cancer Institute di Bethesda, che ha elaborato un modello computazionale, Perception, in grado di stimare l’efficacia di uno schema terapeutico (e il possibile sviluppo di resistenze) nel singolo paziente. Il sistema, descritto sulla rivista Nature Cancer, è stato sviluppato grazie all’intelligenza artificiale per elaborare una previsione sulla base delle informazioni omiche (presenza di fattori di trascrizione, molecole di RNA messaggero) provenienti dalla cellula tumorale. Il modello, messo a punto grazie ai dati ottenuti dai pazienti, si è dimostrato efficace nel predire la risposta alle cure in malati affetti da mieloma multiplo, tumori al seno e al polmone. “La qualità della previsione aumenta con la qualità e la quantità dei dati che ne costituiscono il fondamento” hanno spiegato i ricercatori. “Il nostro obiettivo è creare uno strumento clinico in grado di prevedere la risposta al trattamento dei singoli pazienti affetti da cancro in modo sistematico e basato sui dati.”

IMMUNOTERAPIA

IN GRAVIDANZA: NUOVI DATI

DI SICUREZZA, MA SE POSSIBILE MEGLIO EVITARLA '

LIl modello è stato messo a punto grazie ai dati ottenuti dai pazienti

uso degli inibitori dei checkpoint immunitari nelle donne colpite da un tumore durante la gravidanza paragonato ad altri trattamenti non è associato a una maggiore frequenza di effetti avversi per quanto riguarda l’esito della gestazione o la salute del neonato. A documentarlo un gruppo di ricercatori francesi, al termine di uno studio randomizzato condotto su oltre 3.500 donne e pubblicato su Jama Network Open. L’unica differenza è stata rilevata nell’incremento dei parti pretermine tra le donne trattate con combinazioni di farmaci immunoterapici anti PD-1 e anti CTLA-4 (dato non rilevato nelle pazienti trattate singolarmente con uno dei due). I ricercatori hanno però registrato 3 eventi legati con ogni probabilità all’iperattivazione del sistema immunitario: in un caso si è registrato un aborto spontaneo, negli altri due i neonati hanno sviluppato rispettivamente una polmonite e una forma di ipotiroidismo congenito. I risultati, sebbene preliminari, hanno portato a ridimensionare il possibile impatto dell’immunoterapia sulle gestanti. Tuttavia, visti i possibili, seppur molto rari, eventi avversi correlati alla risposta immunitaria, “l’uso degli inibitori dei checkpoint immunitari, soprattutto se in combinazione, dovrebbe essere evitato durante la gravidanza, purché le circostanze lo consentano”. La valutazione finale dovrebbe avvenire “caso per caso, sulla base dell’urgenza oncologica”.

TUMORE DELL’ESOFAGO:

DIAGNOSI PRECOCE, NUOVE

SPERANZE ATTRAVERSO IL DEEP LEARNING

Anche per i tumori dell’esofago vale il principio secondo cui quanto più precoce è la diagnosi, tanto maggiori sono le possibilità di superare la malattia. Un risultato però difficile da ottenere, dal momento che nelle fasi iniziali la neoplasia esofagea è spesso asintomatica. E questo riduce le probabilità di scovare precocemente questa forma di cancro, che continua a far registrare tassi di sopravvivenza a 5 anni piuttosto modesti (17 per cento la media tra i due sessi). Un aiuto potrebbe giungere dall’intelligenza artificiale. Uno studio condotto da un gruppo di gastroenterologi dell’ospedale cinese di Taizhou – pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine –ha infatti dimostrato che, quando la gastroscopia è supportata da un sistema di deep learning, cioè di tecnologie analitiche e fisiche addestrate a riconoscere la malattia e le lesioni precancerose, il tasso di rilevazione dell’esame endoscopico risulta doppio. Con una sensibilità (capacità di rilevare la malattia) e una specificità (probabilità di distinguere i soggetti sani dai pazienti oncologici o da coloro che avevano già una lesione precancerosa) rispettivamente dell’89,7 e del 98,5 per cento.

Questa neoplasia nelle

fasi iniziali è spesso asintomatica

GUARDIA ALTA PER MANTENERE

INALTERATO IL “GUARDIANO”

TP53 M

antenere inalterata l’integrità del gene TP53, una sorta di cane da guardia in grado di proteggere diversi organi del nostro corpo dal rischio di insorgenza di tumori. È questo uno degli obiettivi primari della comunità scientifica, consapevole di quanto l’alterazione del gene (e dunque anche della proteina prodotta, p53) incida sul rischio oncologico. Oltre il 40 per cento di tutti i casi di cancro, infatti, presenta una mutazione del gene nel tessuto neoplastico. Da qui il grande interesse nei confronti di TP53, che ha portato oltre 300 scienziati provenienti da 49 Paesi a riunirsi a Trieste a maggio in occasione del 19° workshop internazionale dedicato a p53 (con il supporto di Fondazione AIRC). I lavori sono stati guidati del Comitato scientifico composto da Giannino Del Sal (Università degli Studi di Trieste, ICGEB-Trieste, IFOMETS Milano), Lawrence Banks (ICGEB, Trieste), Giovanni Blandino (Istituto nazionale tumori Regina Elena, Roma) e Gerry Melino (Università degli studi di Roma Tor Vergata). Da oltre quarant’anni la proteina è al centro della ricerca oncologica mondiale e studi approfonditi sui meccanismi e sulle possibili alterazioni stanno avvicinando sempre più la possibilità di sviluppare nuove terapie capaci di potenziare l’attività dell’oncosoppressore, o colpirlo, nel momento in cui si presenta alterato. La trasmissione della mutazione da un genitore a un figlio è alla base dell’insorgenza della sindrome di Li-Fraumeni, una malattia ereditaria rara che predispone all’insorgenza di neoplasie multiple (seno, tessuti molli e ossa, tumori cerebrali e della corteccia surrenale, leucemie) e a esordio precoce.

I TRAGUARDI DEI NOSTRI RICERCATORI

In questo articolo:

— DIAGNOSI PRECOCE

— IMMUNOTERAPIA

— MIELOMA MULTIPLO

a cura di

GUARIRE DOPO IL TUMORE

ALLA MAMMELLA E AL COLON-RETTO

Secondo i risultati di un ampio studio epidemiologico condotto in Italia, quasi la totalità dei pazienti con diagnosi di tumore mammario o colorettale al primo stadio guarisce della malattia. Oltre ai risultati positivi, questo studio è una buona occasione per riflettere sul significato della parola guarigione

Aqualunque età, i tumori alla mammella e al colon-retto hanno probabilità di guarigione e di sopravvivenza molto alte quando vengono diagnosticati al primo stadio. In sintesi, è questo il principale risultato di un ampio studio in cui, per la prima volta in Italia, si sono calcolati diversi indicatori di guarigione per fase di malattia su un campione di quasi un milione di persone con questi tipi di tumore. “Queste stime sono il frutto del miglioramento dei sistemi di prevenzione e delle terapie negli ultimi anni e sono in linea con i numeri europei” afferma Luigino Dal Maso, epidemiologo del Centro di riferimento oncologico di Aviano, in Friuli Venezia

UN PODCAST FONDAMENTALE

Questo articolo è disponibile in versione podcast. Scopri dove ascoltarlo inquadrando il QR Code.

Giulia, e coordinatore del progetto insieme a Stefano Guzzinati del Registro tumori del Veneto. I risultati dello studio, svolto con il sostegno di Fondazione AIRC, sono stati pubblicati sull’International Journal of Cancer Prima di leggere i dati è però importante chiarire cosa si intende per guarigione in questo ambito, visto che, come commenta il ricercatore, “questa parola assume significati molto diversi a seconda del punto di vista”. Infatti, se per i pazienti guarire può significare riacquisire la quotidianità precedente alla malattia, per gli epidemiologi è associato a indicatori come il recupero di un’aspettativa di vita paragonabile a quella di persone che non si sono

Camilla Fiz e Jolanda Serena Pisano

ammalate. Tali indicatori possono essere misurati usando metodi statistici consolidati. “Tra tutte le persone vive dopo una diagnosi di tumore, abbiamo stimato la percentuale di pazienti che recuperano la stessa aspettativa di vita della popolazione generale” spiega Luigino Dal Maso. “Abbiamo visto che l’87,5 per cento circa delle donne oggi in vita cui è stato diagnosticato il tumore alla mammella guarirà. La percentuale aumenta fino a circa il 99 per cento nelle donne la cui neoplasia è stata individuata al primo stadio, mentre si riduce negli stadi successivi.” Per quanto riguarda i pazienti con tumore colorettale i risultati sono simili: per diagnosi avvenute al primo stadio, gli epidemiologi stimano che guarisca il 90 per cento circa di tutti coloro che ricevono una diagnosi in questo stadio. Sommati ai risultati di altri indicatori, come quelli della sopravvivenza, del tempo e della probabilità di guarigione, “i numeri che abbiamo ottenuto sono coerenti tra loro. Quasi la totalità dei pazienti che hanno ricevuto la diagnosi al primo stadio guarisce dalla malattia”. Tuttavia, guarire non significa che queste persone non debbano più svolgere monitoraggi o trattamenti, se necessari. Come specifica Luigino Dal Maso: “Nel tempo, l’aspettativa di vita diventa la stessa della popolazione generale,

proprio perché uomini e donne che hanno avuto il tumore continuano a seguire i percorsi terapeutici e di sorveglianza raccomandati dai medici curanti che seguono i protocolli nazionali”. In conclusione, i risultati dello studio rispecchiano i miglioramenti delle terapie per il tumore mammario e colorettale, ma lanciano anche due messaggi di prevenzione. Per individuare l’eventuale presenza di un cancro al seno e al colon-retto al primo stadio, massimizzando il risultato delle terapie, “è importante svolgere gli screening nelle fasce di età e con la frequenza consigliate dal Servizio sanitario nazionale in ciascuna Regione” precisa il ricercatore. È cruciale sottolinearlo soprattutto nel caso del tumore al colon-retto, visto che in media meno del 30 per cento delle persone idonee in Italia partecipa allo screening e solo una minoranza delle diagnosi avviene al primo stadio. Inoltre, viene ribadita l’importanza di seguire abitudini e comportamenti salutari: non fumare, svolgere attività fisica, mangiare in modo vario ed equilibrato ed evitare il consumo di alcol. “Tutte queste indicazioni non valgono solo prima di sviluppare la malattia, ma anche e soprattutto dopo la diagnosi e quando si è guariti” conclude Luigino Dal Maso.

CONOSCERE MEGLIO I TUMORI PER RENDERE PIÙ EFFICACE

L’IMMUNOTERAPIA

L’immunoterapia è un trattamento che “rieduca” il sistema immunitario affinché elimini più efficacemente le cellule tumorali. Ne esistono diverse tipologie, e negli ultimi anni alcune di queste hanno dimostrato di poter nettamente aumentare la sopravvivenza di determinati pazienti con certi tipi di cancro. In oltre 8 casi su 10, però, l’immunoterapia non dà risposte durature. Per migliorarne l’efficacia è essenziale capire meglio i meccanismi con cui i tessuti tumorali eludono la risposta immunitaria. A que-

sto scopo, Michele Ceccarelli e altri ricercatori a livello internazionale, con il supporto anche di AIRC, hanno analizzato dati biologici (come l’insieme dei geni e di proteine che ne derivano) di 1.056 campioni tumorali di 10 diversi tipi di cancro. Il gruppo di ricerca ha individuato una serie di molecole e meccanismi alla base della resistenza all’immunoterapia, aprendo la strada alla possibilità sia di realizzare nuovi trattamenti che sfruttino questi elementi come bersagli, sia di migliorare alcune terapie esistenti.

VERSO UNA POTENZIALE NUOVA TERAPIA PER IL MIELOMA MULTIPLO

Il mieloma multiplo è un tumore che origina nel midollo osseo e ogni anno colpisce circa 5.700 persone in Italia. Può essere affrontato utilizzando diversi trattamenti, spesso in combinazione, ma in certi casi la malattia non risponde più alle terapie. Un gruppo di ricerca internazionale che includeva alcuni ricercatori sostenuti da AIRC, tra cui Annamaria Gullà, ha scoperto uno dei meccanismi di resistenza ai trattamenti di questo tumore. Secondo i risultati dello studio, il mieloma multiplo potreb-

be rendersi invisibile al sistema immunitario in seguito alla perdita di un gene chiamato GABARAP. Il gruppo di ricercatori ha anche dimostrato che la combinazione di due farmaci, bortezomib e rapamicina, potrebbe rendere il tumore nuovamente aggredibile dal sistema immunitario. Se questi risultati venissero confermati da ulteriori studi, potrebbero consentire di migliorare l’efficacia del trattamento del mieloma multiplo e quindi l’aspettativa di vita di molti pazienti.

Programma Physician Scientist

MEDICI-RICERCATORI, UNA MISSIONE PER SCONFIGGERE

I TUMORI

In questo articolo:

— MEDICI-RICERCATORI

— COLLABORAZIONI

— ANATOMIA PATOLOGICA

Il bilancio del primo anno di attività del programma Physician Scientist, che consente a specializzandi in oncologia medica e anatomia patologica di avviare un percorso di ricerca in IFOM

Il fonendoscopio e il microtomo non andranno nel cassetto. Invece di essere utilizzati tutti i giorni, però, potranno rimanere a riposo qualche ora, a vantaggio del microscopio e del computer. In un’epoca caratterizzata dalla penuria di camici bianchi, c’è comunque il rischio di prosciugare un serbatoio già carente. L’obiettivo del programma Physician Scientist è infatti tra i più ambiziosi. “Vogliamo formare e valorizzare la figura del medico-ricercatore, con un obiettivo preciso: offrire sempre più speranze ai pazienti oncologici” afferma Alberto Bardelli, direttore scientifico di IFOM e promotore assieme a Fondazione AIRC e all’Università degli studi di Milano di questo progetto, il cui obiettivo è avvicinare i risultati di laboratorio al letto dei pazienti.

GLI OBIETTIVI DEL PROGRAMMA PHYSICIAN

SCIENTIST

a cura della redazione

Partito poco più di un anno fa, Physician Scientist è un programma rivolto (per il momento) a medici specializzandi o appena specializzati in oncologia medica e anatomia patologica in uno dei seguenti poli sanitari del capoluogo lombardo: il Grande ospedale metropolitano

di Niguarda, l’Istituto nazionale dei tumori (INT), l’Istituto europeo di oncologia (IEO) e l’Azienda socio sanitaria territoriale Santi Paolo e Carlo. Si punta a cogliere la sensibilità dei camici bianchi del domani nei confronti della ricerca, da cui passano tutte le speranze di veder crescere gli indicatori cardine della cura dei tumori, a partire dalla sopravvivenza globale. Per migliorare i numeri, però, è necessario far cadere i veli su cosa accade nelle singole cellule e nel microambiente di un organo quando una cellula evolve in chiave neoplastica e si modifica per resistere alle terapie e diffondersi in altre sedi. “Questo è un progetto che avevo in mente dal primo giorno in cui sono diventato direttore scientifico di IFOM” aggiunge Bardelli, che è anche ordinario di istologia all’Università degli studi di Torino. “Nel contesto attuale, gli studenti di medicina e gli specializzandi hanno poche opportunità di avvicinarsi alla ricerca. Questo perché i percorsi universitari sono orientati in maniera quasi esclusiva a un approccio applicativo. A ciò occorre aggiungere la distanza tra le strutture di formazione e quelle di ricerca e la carenza di medici, che determina continue offerte di lavoro e ritmi difficilmente compatibili con altre attività. In un simile contesto, con i medici in formazione che possono iniziare a lavorare come strutturati già dagli ultimi anni di specializzazione, trovare chi ha voglia di dedicarsi anche alla ricerca è diventato quasi un’impresa.”

LE TESTIMONIANZE DEI PRIMI MEDICI RICERCATORI

Ispirandosi al modello degli Stati Uniti, in cui è più frequente imbattersi in camici bianchi che al mattino lavorano in corsia e al pomeriggio in laboratorio, Fondazione AIRC e IFOM stanno provando a invertire la rotta. Il contributo del no profit è fondamentale per integrare gli stipendi dei ricercatori: un passaggio necessario se si vuole evitare che tutti gli specialisti (o quasi) finiscano per optare esclusivamente per la pratica clinica. Per il momento sono 10 i camici bianchi che hanno aderito al progetto. Nel segno della flessibilità, le loro settimane trascorrono tanto nel turbinio

"L'auspicio è quello di poter arrivare anche in altre zone d'Italia o di essere un modello per altri enti di ricerca"

delle corsie e dei laboratori ospedalieri quanto nello studio e nella riflessione che contraddistinguono l’attività di ricerca. “Quasi 3 anni fa stavo per finire la specializzazione in oncologia ed ero interessato ad approfondire anche l’ambito della ricerca preclinica e traslazionale, oltre che clinica” racconta Gianluca Mauri, 34 anni, tra i primi a scommettere sul programma Physician Scientist. “Sono due i progetti su cui sto lavorando: la comprensione dei meccanismi che inducono il tumore del colon-retto a diventare resistente alla chemioterapia e la ricerca delle cause che stanno portando questa malattia a essere sempre più diffusa negli adulti con meno di 50 anni. Il mio obiettivo è tornare in ospedale, possibilmente con qualche conoscenza in più da mettere al servizio dei miei pazienti.”

Sulla stessa lunghezza d’onda Hajdhica Thanasi, 40 anni, che sta completando il percorso di formazione specialistica in anatomia patologica all’INT. “Sebbene chi fa il mio lavoro non sia abituato al contatto quotidiano con i pazienti, pensare di abbandonare la professione medica è molto difficile. Qui però sto acquisendo le capacità che mi permetteranno di portare avanti la ricerca in ospedale, oltre a una serie di nozioni che potranno rendermi una specialista più preparata. L’auspicio è coniugare ricerca e pratica clinica, anche una volta terminato il progetto. Il nostro lavoro si sta evolvendo con grande rapidità. Al pari degli oncologi, gli anatomopatologi sono sempre più specializzati su singole forme di cancro. Io punto a diventare una emolinfopatologa. L’esperienza nella diagnosi dei tumori del sangue e del sistema linfatico è fondamentale, a maggior ragione oggi che abbiamo un ampio ventaglio di terapie con un’efficacia senza precedenti.”

LE AMBIZIONI PER IL FUTURO

Ora che la macchina si è messa in moto, ci auguriamo di vederla marciare a ritmi sempre più sostenuti. “Con Fondazione AIRC e l’Università degli studi di Milano abbiamo aperto una breccia: la speranza è di poter arrivare anche in altre zone d’Italia o di essere quantomeno un modello per altri enti di ricerca” conclude Bardelli. “In una fase caratterizzata da una forte carenza di camici bianchi, scommettere sulla figura del medico-ricercatore è un’idea lungimirante. La combinazione delle competenze di questa nuova generazione di medici e l’integrazione tra metodo scientifico e metodologia clinica consentiranno di sviluppare approcci innovativi per la diagnosi e la terapia dei tumori.”

COS’È IFOM

IFOM, l'Istituto di oncologia molecolare di AIRC, è un centro di ricerca di eccellenza internazionale dedicato allo studio della formazione e dello sviluppo dei tumori a livello molecolare, nell’ottica di un rapido trasferimento dei risultati scientifici dal laboratorio alla cura del paziente. Fondato nel 1998 a Milano da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, che da allora ne sostiene lo sviluppo, IFOM oggi può contare su 269 ricercatori di 25 diverse nazionalità, e si pone l’obiettivo di conoscere sempre meglio il cancro per poterlo rendere sempre più curabile.

UNA GRANDE DONAZIONE PER ESSERE PARTE DELLA "CATENA" DELLA RICERCA

cura

Susanna è una donna pragmatica e realista, la cui forza ed energia sono contagiose. Gestisce un’attività di famiglia tramandata dal bisnonno, è sposata con Roberto da 22 anni e da 18 è mamma di Luca.

Susanna conosce da tempo AIRC e si reca sempre in piazza in occasione delle Arance della Salute e dell’Azalea della Ricerca. Ma qualche anno fa la sua motivazione a sostenere AIRC si è fatta più forte e personale. Nel 2022, durante un’autopalpazione, Susanna avverte un nodulo al seno. A una prima visita sembra benigno, ma dopo due mesi, in seguito a una mammografia, le viene diagnosticato un tumore mammario.

A giugno dello stesso anno, Susanna viene operata, poi inizia la terapia.

In quel momento ha a che fare per la prima volta con i “miracoli” della ricerca: le viene dato un nuovo farmaco antitumorale, combinato con una terapia ormonale. Niente chemioterapia, dunque, ma una cura innovativa. “Se mi fossi ammalata solo 8 mesi prima, avrei dovuto fare la chemio e per il mio tipo di tumore sarebbe stata meno efficace.”

Un giorno, nella sala di attesa dell’oncologo, Susanna nota la rivista Fondamentale, la sfoglia e pensa: “Io non sono un medico, né un ricercatore; allora cosa posso fare per dare una mano?”. Decide, dunque, di fare una grande donazione ad AIRC. “Ho preso il telefono e ho chiamato. Non sapevo a cosa sarei andata incontro, avevo solo una cifra da donare; mai avrei pensato di sentirmi così coinvolta, di

provare una così grande gioia nel fare qualcosa che può aiutare altre persone, o di poter conoscere i ricercatori e capire che fanno il loro lavoro anche grazie a tutti i donatori.”

Susanna ha inoltre visitato IFOM, durante un evento organizzato per i Grandi Donatori: “Un laboratorio unico, sembrava di essere sulla Luna! Tutti questi scienziati mi hanno mostrato apparecchiature mai viste e spiegato che la ricerca è un continuo provare per cercare di scoprire cose nuove. La loro è una sinergia meravigliosa: un gruppo di giovani di varie parti del mondo con una forte passione per ciò che fanno. Conoscerli mi ha fatto sentire parte di una catena importantissima ed è stata una bella sensazione. Ecco cos’è il donatore: una parte di un processo che ha come scopo la cura del cancro”.

VUOI FARE UNA GRANDE DONAZIONE A SOSTEGNO DI IFOM?

Se anche tu, come Susanna, desideri fare una grande donazione per la ricerca oncologica, puoi sostenere le attività di IFOM. Con un contributo a partire da 10.000 € garantirai continuità al lavoro di oltre 200 ricercatori e assicurerai loro le migliori strumentazioni. Potrai inoltre ricordare il tuo nome o quello di una persona cara in una targa che sarà esposta in IFOM per tutto il 2025.

Per maggiori informazioni contatta Eleonora Bahadour dell’Ufficio Grandi Donatori: 02 7797 318 eleonora.bahadour@airc.it

a
di Annalisa Zizzi
Susanna con suo figlio Luca

Psiconcologia

Tumore al seno

SERVE PIÙ SOSTEGNO PSICOLOGICO PER LE DONNE CON TUMORE AL SENO

In questo articolo:

— QUALITÀ DI VITA

— EFFETTI COLLATERALI

— ASSISTENZA PSICONCOLOGICA

Le pazienti con cancro al seno metastatico lamentano un maggiore senso di abbandono rispetto a quelle con la malattia localizzata. Stress, ansia e depressione i disturbi più frequenti

a cura di Fabio Di Todaro

Ammalarsi di cancro comporta spesso l’insorgere di una serie di conseguenze che possono intaccare la salute mentale delle pazienti e dei pazienti. Un discorso ancora più valido quando si parla di tumore della mammella, sia per l’impatto che questa forma di cancro può avere sulla percezione della propria femminilità (indipendentemente dall’età in cui insorge), sia perché le donne che riescono a superare la fase critica della malattia aumentano sempre di più. Far fronte ai loro bisogni assistenziali, però, a partire da quelli che riguardano la qualità della vita e la salute mentale, è una sfida che si sta rilevando particolarmente complessa.

CHE VA OLTRE IL CORPO

Sul piano scientifico, le ricadute psicologiche della più diffusa forma di cancro sono note. L’esperienza clinica e il consolidamento dei dati raccolti all’interno di una letteratura ormai estesa hanno portato a individuare almeno 3 momenti critici: la gestione della diagnosi, l’impatto della chirurgia e le preoccupazioni legate al rischio di recidiva. I problemi che si possono presentare variano a seconda dell’età della paziente, del tipo di trattamento che riceve e delle caratteristiche della malattia, che espongono la paziente a una maggiore o minore probabilità che il tumore possa ripresentarsi. Questi aspetti riguardano però perlopiù la fase subito successiva alla comparsa del cancro nella propria vita, mentre la concreta ipotesi di rendere cronicizzabile la malattia, visto il tasso di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi che sfiora il 90 per cento, sta facendo emergere bisogni finora poco indagati. “Tutti gli sforzi iniziali sono sempre volti a migliorare la sopravvivenza delle pazienti“ afferma Gabriella Farina, a capo dell’Unità operativa complessa di oncologia medica dell’Ospedale Fatebenefratelli e oftalmico di Milano. “Oggi però che abbiamo compiuto significativi progressi in

ANCORA POCA ATTENZIONE ALLA

SALUTE MENTALE DELLE DONNE

Su quest’ultimo aspetto c’è ancora da lavorare. I risultati di un’indagine condotta dalla Società internazionale di psiconcologia (IPOS), pubblicati a maggio sulla rivista Jco Global Oncology, parlano chiaro. Nella routine ci si continua a occupare perlopiù della prevenzione e gestione delle ricadute della malattia, degli effetti fisici tardivi e di eventuali condizioni croniche concomitanti. Risultato: “Anche nei

Lo stress prolungato e l'ansia colpiscono soprattutto le pazienti di tumore al seno più giovani, per via dei timori legati alla famiglia e alla vita professionale

questo senso, siamo di fronte a una fase nuova. Da un lato dobbiamo continuare a offrire sempre maggiori speranze di guarigione, dall’altro fare in modo che anche nel periodo di convivenza con la malattia la qualità di vita delle pazienti possa essere la migliore possibile.”

Paesi ad alto reddito i bisogni psicosociali delle persone che convivono con un tumore non trovano adeguata risposta nella sopravvivenza post-trattamento”, è quanto messo nero su bianco dagli autori del lavoro. Stress prolungato e ansia sono condizioni che spesso attanagliano le malate fin

dai primi istanti successivi alla diagnosi. “Problemi che colpiscono in particolare le pazienti più giovani, indipendentemente dal tipo di malattia da cui sono colpite e dalle possibilità terapeutiche” dichiara Angela Piattelli, psiconcologa nell’Unità operativa complessa di oncologia dell’Azienda ospedaliera di Cosenza e presidente della Società italiana di psiconcologia (SIPO). “A determinarli sono soprattutto i timori legati alla famiglia e alla vita professionale. È inevitabile che chi ha davanti una prospettiva di vita più lunga sia maggiormente preoccupato per i possibili riflessi della malattia sulla propria vita e su quella delle persone più care.” Al di là dell’età, invece, nel tempo quasi un terzo delle donne che hanno avuto un tumore al seno inizia a soffrire di depressione. Da sole o combinate, queste condizioni hanno un impatto sulla qualità della vita. Non solo: “il rischio che rileviamo è quello di una ridotta aderenza alle terapie e ai controlli” aggiunge Farina, vicepresidente della SIPO. “Di conseguenza, la probabilità che il cancro si ripresenti diventa più alta. A ciò occorre aggiungere il progressivo aumento degli effetti collaterali nella malattia metastatica per l’uso prolungato dei farmaci di ultima generazione, che, essendo molto efficaci, tengono sotto controllo il tumore anche per anni.”

TUMORE AL SENO: UNA MALATTIA

Questi effetti determinano però un contraccolpo sul benessere psicologico delle pazienti, a partire da quelle più svantaggiate. “Particolarmente pesanti da sopportare sono soprattutto i disturbi ginecologici, la stanchezza cronica, deficit dell’attenzione e della memoria e una ridotta qualità del sonno.” La durata senza fine delle terapie, la difficile gestione delle rica-

La priorità è rappresentata dalle donne chiamate a convivere con un tumore al seno metastatico. Si stima siano almeno 37.000 quelle presenti in Italia, ma il dato è incerto. “La mancanza di un registro dedicato alle pazienti con cancro metastatico è il primo anello debole di que -

Occorre mettere le donne con tumore

al seno metastastico nelle condizioni

ideali

per portare avanti la propria
vita, professionale e non solo

dute, delle tossicità e delle interazioni tra i farmaci rappresentano una sfida nuova, legata alla possibilità di cronicizzare la malattia metastatica (da cui oggi non si guarisce). Per queste ragioni, prendersi cura del benessere psicologico delle donne è un aspetto tutt’altro che secondario. “Il loro diritto a vivere al meglio la fase della vita che ha inizio con la malattia viaggia a braccetto con il nostro dovere di garantire le più alte probabilità di sopravvivenza.”

SUPPORTO

PSICOLOGICO:

A CHE PUNTO SIAMO IN ITALIA?

Una quota compresa tra il 30 e l’80 per cento dei malati di cancro sviluppa una forma di disagio psicologico. “In Italia siamo però ancora molto lontani dal garantire una congrua ed equa assistenza psiconcologica” allarga le braccia Piattelli, tra le autrici dell’ultimo censimento dei servizi erogati nel nostro Paese. I dati riportati nell’ultimo rapporto sulla

sta catena” aggiunge Farina. “Nel loro caso, la paura prevalente è non avere una nuova opzione terapeutica disponibile nel momento in cui si dovesse registrare una significativa ripresa della malattia.” Nell’ultimo decennio, però, la quota di studi che hanno indagato lo stato di salute delle donne con un tumore al seno metastatico è cresciuta. “Parliamo di casi tra loro talvolta molto diversi, perché tale può essere la prognosi: variabile tra pochi

mesi e oltre 10 anni” chiarisce Icro Meattini, radioterapista responsabile della breast unit dell’Azienda ospedaliero-universitaria Careggi di Firenze e unico italiano tra i firmatari di un manifesto (pubblicato sullo European Journal of Cancer ) con le priorità che riguardano l’assistenza alle donne affette da questa forma di cancro. “Lo stigma e la visione fatalistica che accompagnano ancora questa forma di tumore spesso frenano la ricerca e l’erogazione di informazioni e cure.” Rispetto alle altre pazienti, chi è alle prese con la malattia metastatica segnala un maggiore senso di abbandono e una ridotta assistenza, soprattutto per quanto concerne le terapie di supporto. “Il loro è un percorso complesso, con un carico importante di ricadute fisiche ed emotive” aggiunge Farina. “Molte di queste donne spesso continuano per esempio a vedere penalizzata la propria carriera professionale. Occorre metterle nelle condizioni ideali affinché possano portare avanti la propria attività, in una modalità flessibile e che tenga conto delle limitazioni della salute fisica e psicologica.”

condizione dei malati oncologici stilato dalla Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (FAVO) segnalano un peggioramento – meno strutture e meno personale dedicato – rispetto all’ultima rilevazione del 2012. “Le breast unit prevedono che lo psiconcologo faccia parte del team multidisciplinare. Nel caso della malattia metastatica, però, il supporto tende a ridursi, perché la paziente frequenta l’ospedale in maniera più occasionale. Servirebbe una rete con il territorio, affinché la donna possa esternare i propri bisogni al momento opportuno e

trovare una risposta adeguata anche lontano dal centro di cura.” Diversi i limiti da superare. “Dobbiamo imparare a fare i conti con pazienti croniche che possono essere però ancora giovani. Il carico è ulteriormente appesantito da necessità pratiche e da bisogni di tipo informativo, che possono limitare notevolmente la persona nelle sue attività e costituire anche un problema di natura sociale ed economica” chiosa Piattelli. “La consapevolezza è il primo passo, poi servono più finanziamenti e professionisti formati in maniera adeguata.”

CONSUMARE SOIA IN SERENITÀ

a cura di Riccardo Di Deo

È diffusa la credenza che il consumo di soia aumenti il rischio di sviluppare tumori al seno a causa della presenza di fitoestrogeni. Gli studi a oggi disponibili evidenziano al contrario un potenziale ruolo protettivo

Tofu, tempeh, miso, salsa di soia, edamame e bevande a base di soia sono alcune delle numerose forme in cui è possibile trovare in commercio la soia.

I semi di soia si classificano ai primi posti tra i vegetali per il contenuto di proteine e sono una buona fonte di fibre e di minerali come ferro, calcio e potassio. Si distinguono da quelli di altre leguminose per un maggiore apporto di grassi, principalmente insaturi, quindi benefici per la salute. Oltretutto, contengono buone quantità di fitosteroli, molecole in grado di contribuire all’abbassamento dei livelli di colesterolo nel sangue. Un altro primato della soia è quello di essere tra gli alimenti più ricchi di fitoestrogeni, composti di origine vegetale che hanno una struttura chimica e una funzione simili a quelle degli estrogeni prodotti dall’organismo umano. Per via di questa somiglianza, è nata l’ipotesi che il consumo di alimenti a base di soia potesse aumentare il rischio di sviluppare

tumori al seno, o peggiorare la prognosi di chi si è già ammalato. Numerosi studi negli anni hanno indagato i possibili effetti sulla salute dei fitoestrogeni, e i risultati hanno evidenziato che sono molecole in grado di apportare vantaggi al sistema cardiovascolare, aiutare le donne in menopausa a ridurre i sintomi più fastidiosi, come le vampate di calore e le sudorazioni notturne, diminuire il rischio di osteoporosi e offrire un effetto protettivo contro vari tipi di tumore.

Per ciò che riguarda in particolare il rischio di sviluppare un cancro, l’attenzione degli esperti si è rivolta soprattutto ai tumori più sensibili agli estrogeni, come per esempio quelli del seno, dell’endometrio e della prostata. Seppure con qualche saggia cautela, dagli studi sembra emergere che una dieta ricca di fitoestrogeni (e quindi di legumi, frutta e verdura) offra qualche protezione anche a chi ha già avuto una diagnosi di tumore, in particolare per quanto riguarda il

tumore del seno. Per quanto attiene le associazioni con altri tipi di cancro non abbiamo ancora dati affidabili, ma la ricerca prosegue. Nella fattispecie del tumore del seno, il legame è studiato con grande attenzione in Cina e in altri Paesi asiatici dove il consumo di soia, e quindi di fitoestrogeni, è particolarmente elevato e di certo superiore a quello delle diete occidentali. Da tali studi emerge una diminuzione del rischio di cancro al seno indipendentemente dal fatto che la malattia sia positiva o negativa per la presenza del recettore degli estrogeni (ER), uno dei punti critici quando si cerca di capire l’effetto dei fitoestrogeni sulla proliferazione del tumore. Le cellule ER+ sono infatti sensibili all’azione degli estrogeni, che ne possono stimolare la crescita. In base a risultati di esperimenti di laboratorio, è sorto il dubbio che anche i fitoestrogeni potessero agire come promotori del tumore o potessero interferire in qualche modo con l’azione delle terapie ormonali contro il cancro. Se così fosse, le donne con una precedente diagnosi di tumore ER+ dovrebbero

evitare qualsiasi cibo contenente tali sostanze.

In realtà, gli studi negli esseri umani hanno raggiunto conclusioni differenti. Gli esperti dell’American Cancer Society spiegano per esempio che gli estrogeni della soia non paiono avere un effetto negativo sul rischio di sviluppare un tumore del seno, anzi: in base ai dati ottenuti su popolazioni asiatiche, sembrano ridurlo. L’effetto protettivo potrebbe essere legato alla capacità degli isoflavoni di bloccare gli estrogeni umani presenti nel sangue.

A oggi, non c’è quindi motivo di evitare di consumare la soia, così come non c’è motivo di considerarla un alimento indispensabile se si preferisce non includerla nella propria dieta. Resta sempre valido il suggerimento per chi ha avuto una diagnosi di tumore di far comunque riferimento al proprio oncologo per capire cosa è meglio portare a tavola e, per tutti, di prestare attenzione alle etichette dei prodotti derivati della soia, poiché questi possono avere un contenuto eccessivo di zuccheri, sale o grassi aggiunti.

BURGER DI SOIA CON VERDURE

ALLA CURCUMA

Ingredienti per 3-4 persone (circa 4-6 burger)

• 400 g di soia in scatola (peso sgocciolato)

• 2 zucchine

• 2 carote

• 1 cipolla

• 1 spicchio d’aglio

• 50 g di farina di ceci

• 1 cucchiaio di curcuma in polvere

• Sale e pepe q.b.

• Olio extravergine di oliva q.b.

• Acqua q.b.

Preparazione

In una padella, fate soffriggere nell’olio EVO una cipolla precedentemente tritata. Aggiungete carote e zucchine tagliate a cubetti e condite con curcuma, pepe e un pizzico di sale. Lasciate cuocere per circa 8-9 minuti.

Nel frattempo, sciacquate la soia in scatola sotto acqua corrente per eliminare il sale presente nel liquido in cui è conservata.

Ultimata la cottura delle verdure, trasferite tutti gli ingredienti in un frullatore, aggiungete uno spicchio d’aglio e frullate fino a ottenere un composto omogeneo.

Regolate eventualmente di sale e pepe e aggiungete la farina di ceci per ottenere un impasto della consistenza desiderata in modo da riuscire a formare dei burger.

Formate 4-6 burger e cuoceteli in padella con un filo d’olio a fuoco medio-alto per 4-5 minuti per lato.

Vite per la ricerca

Florence Nightingale

FLORENCE NIGHTINGALE, LA PRIMA INFERMIERA MODERNA

In questo articolo:

— SCIENZA INFERMIERISTICA

— STORIA DELLA MEDICINA

— IGIENE

L’impegno e le competenze statistiche di questa donna di nobili origini hanno migliorato le condizioni di vita di migliaia di pazienti e hanno posto le basi per la scienza infermieristica come oggi la conosciamo

a cura di Massimo Temporelli

In questa puntata della rubrica Vite per la ricerca, raccontiamo la storia di una vera e propria visionaria, una donna che fondò l’infermieristica moderna, salvando milioni di vite: Florence Nightingale. Nightingale nacque il 12 maggio 1820 a Firenze e proprio da qui arriva il suo nome, anche se in realtà la nostra protagonista apparteneva a una nobile e ricca famiglia britannica. Al di là degli araldi e delle tenute, Florence ereditò dalla famiglia uno spirito liberale e una mentalità molto aperta. In un bel documentario della BBC a lei dedicato si scopre che “Florence e sua sorella maggiore Parthenope trassero vantaggio dalle idee avanzate del padre sull’istruzione delle donne. Studiarono storia, ma-

tematica, italiano, letteratura classica e filosofia, e fin da giovane Florence, la più portata per lo studio tra le due ragazze, mostrò una straordinaria abilità nel raccogliere e analizzare dati che avrebbe utilizzato con grande effetto nella vita successiva”.

Ciò che invece non andava a genio a Nightingale era l’enfasi posta sull’abilità nella gestione domestica, tipica dei primi dell’Ottocento. Florence preferiva leggere i grandi filosofi e impegnarsi in seri discorsi politici e sociali con suo padre e più in generale con gli adulti, cercando di dare il suo contributo ai più importanti temi della sua epoca.

Una questione in particolare le stava a cuore, secondo le sue stesse parole: “I pensieri e i sentimenti che ho ora posso ricordarli fin da quando avevo 6 anni. Una professione, un mestiere, un’occupazione necessaria, qualcosa che riempia e impieghi tutte le mie facoltà, ho sempre sentito che fosse essenziale per me, è quello che ho sempre desiderato. Il primo pensiero che ricordo, e l’ultimo, era il lavoro di infermieristica; e in mancanza di questo, il lavoro nell’ambito dell’educazione, ma più l’educazione dei cattivi che dei giovani…”.

Una vocazione quantomeno singolare, come scrive il biografo Lytton Strachey nel suo Eminenti Vittoriani: “Non solo era quasi inimmaginabile in quei giorni per una donna agiata farsi strada nel mondo e vivere in indipendenza, ma la particolare professione per la quale Florence era chiaramente predisposta, sia per istinto che per capacità, era all’epoca un mestiere particolarmente disonorevole. Una ‘infermiera’ significava allora una rozza vecchia donna, sempre ignorante, di solito sporca, spesso brutale, con vestiti sordidi e ammucchiati…”.

Proprio così: fino alla metà dell’Ottocento, il mestiere di infermiera godeva di poco prestigio, anzi era un lavoro umile e che non necessitava di alcuna competenza. Solo grazie alla visione e alla caparbietà di Florence Nightingale questa professione sarebbe cambiata per sempre, diventando quella che è oggi.

Con tali premesse, era inevitabile che i genitori non fossero affatto

contenti della scelta della figlia; anzi, erano preoccupati per la sua sorte. In particolare, la madre a volte con gli amici ammetteva sconfortata: “Siamo anatre che hanno covato un cigno selvatico”.

Ma la signora Nightingale si sbagliava; non avevano covato un cigno, ma un’aquila, capace di guardare tutto dall’alto e capire cose che altri non potevano nemmeno immaginare. Nel 1854 scoppiò la guerra in Crimea, che vide l’Inghilterra impegnata in prima linea. Florence decise di dare

Il nome di Florence

Nightingale riformò completamente la vita e l’organizzazione degli ospedali militari al fronte, tanto che, in pochi mesi, nella sede dove prestava servizio il tasso di mortalità scese drasticamente.

Quando tornò in patria, ormai era chiaro a tutti che era necessario applicare ovunque la strada da lei

Nightingale

è diventato un simbolo di amore e compassione verso gli altri, e il suo metodo ha cambiato la storia dell'assistenza sanitaria

il suo contributo, naturalmente a suo modo. Con circa 40 infermiere da lei formate, partì verso il fronte per andare a risolvere i tanti problemi organizzativi e sanitari che ormai erano diventati insopportabili e decimavano migliaia di soldati. Arrivata al fronte, Florence implementò immediatamente una serie di riforme, in primis migliorando l’igiene e assicurandosi che l’ospedale fosse sempre pulito. Poi istituì delle lavanderie, per garantire che i pazienti avessero lenzuola pulite, e migliorò la nutrizione dei malati, introducendo anche attività ricreative per migliorarne il morale.

A riprova della sua passione, Florence spese tutta se stessa nella professione, non solo dal punto di vista intellettuale ed economico, ma con azioni dirette e spossanti sul campo. Si prese cura dei soldati feriti sia di giorno sia di notte, portando con sé una lampada per illuminare il cammino attraverso le corsie buie dell’ospedale. Questa immagine è diventata iconica e oggi questa grande pioniera viene spesso ricordata come “la dama con la lampada” o “la signora con la lanterna”. Grazie alle sue azioni, Florence

tracciata, anche all’interno dei confini nazionali. Così, nonostante la stanchezza dei tanti anni al fronte, Florence si impegnò per riorganizzare l’intero sistema del Dipartimento medico dell’esercito, dall’istruzione degli ufficiali medici alle norme di procedura ospedaliera. La sua azione, lentamente ma inesorabilmente, passò dall’ambito militare a quello civile. Creò anche un fondo, noto come il “Nightingale Fund”, per la formazione di infermiere, e poi la Nightingale Training School per le infermiere, gettando le basi per l’educazione infermieristica professionale. La sua attività non fu solo pratica: lasciò molti scritti. La sua opera più famosa, Notes on Nursing del 1859, è ancora oggi considerata un classico e uno dei testi fondamentali dell’assistenza infermieristica moderna.

Il suo nome è diventato un simbolo di amore e compassione verso gli altri, il suo metodo scientifico applicato a questo campo ha davvero cambiato la storia della cura e la sua eredità vive ancora attraverso il lavoro di coloro che continuano a seguire le sue orme nel campo dell’assistenza sanitaria.

LA COLLABORAZIONE PER LA RICERCA SCIENTIFICA: IL PRIMO EVENTO CONGIUNTO AIRC-IFOM

In questo articolo:

— RICERCA DI BASE — RICERCA TRASLAZIONALE — COMUNITÀ SCIENTIFICA

Il convegno ha consentito a ricercatori da tutta Italia e ad alcuni speaker internazionali di grande rilievo di confrontarsi sui temi più attuali e rilevanti della ricerca sul cancro

Ogni convegno scientifico è cruciale per il progresso della ricerca, perché stimola discussioni, domande e incontri che possono far nascere futuri studi e collaborazioni. È in quest’ottica che il 26 e il 27 giugno 2024, presso IFOM, l’Istituto di oncologia molecolare di AIRC, si è tenuto il primo convegno co-organizzato dalla direzione scientifica di AIRC e di IFOM. Un evento dedicato a tutti i temi più attuali nell’ambito dell’oncologia, come ricorda il titolo molto ampio del Joint Meeting: “From Biological Mechanisms to New Therapies”, “Dai meccanismi biologici alle nuove terapie”. A prendervi parte, oltre 340 tra le più brillanti menti nell’ambito della ricerca oncologica in Italia, nonché keynote speaker internazionali di grande rilievo, quali John E. Dick (Princess Margaret Cancer Center, University Health Network, Toronto, Canada), Nickolas Papadopoulos (Johns Hopkins University, Baltimora, USA) e Alexander Y. Rudensky (Ludwig Center for Cancer Immunotherapy Memorial Sloan-Kettering Cancer Center, New York, USA).

“Questo primo meeting congiunto di AIRC e IFOM ha consentito alle ricercatrici e ricercatori i cui progetti sono finanziati da AIRC di presentare i risultati raggiunti e

a cura di Jolanda Serena Pisano

contribuirà a far emergere nuove idee e collaborazioni tra le migliori scienziate e scienziati italiani che lavorano nel campo dell’oncologia, creando nuove opportunità di confronto e networking. Sono orgoglioso ed entusiasta che IFOM abbia ospitato questo importante incontro, che ci auguriamo sia il primo di una serie” ha commentato Alberto Bardelli, direttore scientifico di IFOM, che ha posto le basi dell’evento e lo ha presieduto insieme a Federico Caligaris-Cappio, direttore scientifico di AIRC dal 2016 all’agosto 2024. Daniele Finocchiaro, consigliere delegato di Fondazione AIRC, intervenendo in apertura dei lavori ha ricordato inoltre che l’impatto di questi incontri e della ricerca “si estende molto al di là dei muri di questa conferenza, perché ogni scoperta, ogni collaborazione ci porta più vicino a ridurre la sofferenza e migliorare vite, e questa è la nostra missione”. L’evento ha dato spazio a interventi di ricercatori con diversa esperienza, suddivisi in 3 momenti tematici:

“Understanding cancer mechanisms” (comprendere i meccanismi dei tumori), “Translating discoveries into the clinics” (tradurre le scoperte in clinica), e “Immunology and immunotherapy” (immunologia e immunoterapia). “La vastità dei temi riflette l’interesse di AIRC nel finanziare la ricerca di qualità, sia focalizzata sui meccanismi alla base della funzionalità cellulare e molecolare, sia dedita alle applicazioni cliniche. Quindi, abbiamo scelto una configurazione che consentisse di trattare quanti più argomenti possibili nell’ambito della ricerca sui tumori in Italia, con l’obiettivo finale di favorire il senso di comunità, il confronto scientifico e lo scambio tra generazioni di persone più senior e più junior dal punto di vista scientifico” ci ha raccontato Francesca Demichelis, professoressa ordinaria di biologia molecolare e di-

rettrice del Laboratorio di oncologia computazionale e funzionale, Centro di biologia integrativa, dell’Università degli studi di Trento. Demichelis, infatti, è stata membro dello steering committee, il comitato di ricercatori di grande rilievo che, con il supporto della Direzione scientifica di AIRC e del direttore scientifico di IFOM, tra il 2023 e il 2024 ha contribuito a strutturare l’evento e selezionare gli interventi. Un lavoro impegnativo, dal momento che il comitato ha esaminato gli oltre 600 progetti di ricerca supportati da AIRC e 177 abstract di studi scientifici presentati da giovani ricercatori AIRC. “È chiaro che non si può dare spazio a tutti nell’arco di due giorni, quindi è stato necessario fare delle scelte. Purtroppo, ma anche per fortuna, perché ciò significa che c’è molta buona scienza in Italia” ha commentato Demichelis. La ricercatrice, al fianco di un gruppo di ricerca dalle competenze miste e in collaborazione con altri istituti anche internazionali, si occupa da circa vent’anni di identificare biomarcatori, ovvero caratteristiche molecolari che potrebbero essere potenziali bersagli terapeutici, in particolare in tumori solidi come il cancro alla prostata. Una expertise importante, a cui si è sommata quella degli altri membri dello steering committee, in ordine

studi di Pavia), Massimiliano Pagani (IFOM) e Claudio Tripodo (Università degli studi di Palermo).

“I 3 elementi principali che abbiamo discusso sono stati la definizione del tema del convegno, i criteri di selezione degli speaker e l’opportunità di equilibrare il parterre tra ricercatori senior e junior” racconta ancora Demichelis. “Abbiamo dottorandi e dottorati molto bravi, e dar loro voce conferisce una marcia in più all’evento.” Una delle giovani ricercatrici scelte per presentare il suo lavoro è stata Teresa Noviello, che partecipa a uno dei programmi speciale AIRC 5 per mille per lo studio delle metastasi. Dottorata in bioinformatica, oggi si occupa di analizzare dati per individuare caratteristiche tumorali che possano essere sfruttate per migliorare alcune terapie, in particolare per quanto riguarda i melanomi metastatici. Nel corso del convegno, Noviello ha illustrato i dati preliminari di una di queste analisi. Come ci ha spiegato, “in circa il 60 per cento dei casi, i pazienti con melanoma metastatico presentano metastasi cerebrali. Queste si comportano in modo molto diverso dalle metastasi non cerebrali, soprattutto per quanto riguarda la risposta all’immuno-

"L'impatto di questi incontri e della ricerca si estende molto al di là dei muri di questa conferenza, perché ogni scoperta ci porta più vicino a ridurre la sofferenza e migliorare vite"

alfabetico: Alessandra Boletta (Università Vita-Salute San Raffaele), Lucia Del Mastro (Ospedale Policlinico San Martino – IRCCS per l’Oncologia), Emilio Hirsch (Università degli studi di Torino), Franco Locatelli (Ospedale pediatrico Bambino Gesù), Alberto Mantovani (Università Humanitas), Andrea Mattevi (Università degli

terapia. Abbiamo quindi studiato 10 pazienti, con melanoma metastatico sia cerebrale sia extracerebrale, per identificare marcatori, soprattutto di natura genetica ed epigenetica, che potrebbero essere sfruttati per sviluppare nuove terapie da affiancare alle strategie immunoterapiche già impiegate per il trattamento di pazienti con

metastasi”. Marcatori di questo tipo, infatti, consentirebbero di colpire le metastasi cerebrali in modo specifico, migliorando l’efficacia delle terapie e riducendone la tossicità.

In effetti, “senza la ricerca di base, che studia come e perché si verificano gli eventi che influiscono sullo sviluppo e sull’evoluzione tumorale, la ricerca applicata non sarebbe possibile” spiega Francesco Cecconi, professore ordinario in biochimica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e ricercatore presso la Fondazione policlinico universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma. Cecconi conosce bene la ricerca di base, poiché nel corso degli anni ha spaziato in diversi ambiti, dalla biologia del sistema nervoso al metabolismo cellulare. “Insieme al mio gruppo, ci muoviamo dove ci porta la ricerca” racconta. I suoi ultimi lavori, in particolare, riguardano l’autofagia selettiva, cioè il meccanismo con cui le cellule digeriscono gli organelli (per esempio i mitocondri) danneggiati o malfunzionanti. Ed è di questo che ha parlato in occasione dell’AIRC-IFOM Joint Meeting. “Nel tempo, abbiamo scoperto che le molecole che regolano l’autofagia sono coinvolte anche in alcuni processi cellulari che influiscono sulla proliferazione delle cellule tumorali” spiega. “Il nostro modello di studio è prevalentemente il medulloblastoma,

pionieri nello studio dei microRNA nell’epatocarcinoma.” Fornari ha poi proseguito il suo lavoro in questo ambito, e dal 2020 è sostenuta da un Investigator Grant di AIRC, un bando dedicato ai ricercatori affermati e che le ha consentito di assumere 4 giovani dottorandi.

Gli obiettivi del progetto di ricerca, come ha illustrato Fornari in occasione dell’AIRC-IFOM Joint Meeting, sono due. Da un lato, individuare quali meccanismi consentano alle cellule cancerose di sopravvivere nelle condizioni avverse che si creano spesso all’interno di una massa tumorale, come scarso apporto di nutrienti e di ossigeno. “Queste cellule riescono a riprogrammare il proprio metabolismo e a sopravvivere anche in un ambiente più ostile. Il nostro scopo

"L'evento è stato davvero un successo. Si percepiva un senso di comunità, di scienza, di scambio, sia tra i ricercatori sia con i colleghi di AIRC"

un tipo di cancro cerebrale, ma nel corso di queste indagini di ricerca di base troviamo disfunzioni molecolari condivise con altre neoplasie. Per esempio, come è emerso da quanto ho presentato nel convegno, sono diversi i tumori in cui è alterata l’espressione di un gene appena scoperto che risulta capace di regolare il numero di mitocondri nella cellula. Questi sono i centri metabolici della cellula e la loro disfunzione è spesso coinvolta nello sviluppo di tumori.”

Tra gli speaker dell’evento c’era anche Francesca Fornari, ricercatrice presso Alma Mater Studiorum Università di Bologna, a Rimini. Laureata in biotecnologie farmaceutiche all’Università di Bologna, la sua carriera nella ricerca è iniziata proprio grazie a un bando AIRC, nel 2005. “Il progetto di ricerca, in collaborazione tra Bologna e Ferrara, riguardava i microRNA, piccole molecole che regolano l’espressione dei geni, che all’epoca erano appena stati scoperti. Così, siamo stati tra i

è identificare le molecole coinvolte in questa riprogrammazione e usarle come bersagli terapeutici, in combinazione con altri farmaci già usati per trattare l’epatocarcinoma.” Dall’altro lato, “questo tipo di tumore non presenta mutazioni geniche che indirizzino verso un farmaco o un altro. Se nel sangue esistessero biomarcatori in grado di individuare la migliore strategia terapeutica per ogni paziente, si potrebbero aumentare le probabilità di successo delle terapie”.

“All’evento ho visto scienza di altissimo livello” sottolinea infine Fornari che, come Cecconi e Noviello, riferisce anche di essersi scambiata i contatti con altri ricercatori con cui svolgere ricerche in futuro. In generale, l’evento è stato considerato molto positivamente, come ha evidenziato anche Demichelis: “L’evento è stato davvero un successo. Si percepiva una sensazione di comunità, di scienza, di scambio, sia tra i ricercatori sia con i colleghi di AIRC”.

Campagne AIRC

a cura della redazione

LA CURA SI CHIAMA RICERCA

Tornano dal 28 ottobre al 17 novembre i Giorni della Ricerca, per ricordarci che terapie sempre più efficaci dipendono dal nostro sostegno al lavoro degli scienziati

In Italia ogni giorno oltre 1.000 persone si ammalano di cancro. Un’emergenza su cui resta sempre fondamentale porre l’attenzione. Per questo a novembre i Giorni della Ricerca AIRC, attraverso tanti eventi sul territorio e sui media, tornano a ricordarci l’importanza di continuare a sostenere i ricercatori, per sviluppare cure sempre più efficaci per tutti i tipi di cancro.

Inaugurerà la campagna la cerimonia al Quirinale alla presenza dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ai Giorni sarà poi dedicata la maratona RAI per AIRC che dal 3 al 10 novembre porterà in tv, radio, sulle testate giornalistiche e su web e social, le storie di ricercatori, medici e persone che hanno affrontato o stanno affrontando la malattia.

RAI e AIRC danno così vita a uno straordinario esempio di servizio pubblico con l’obiettivo di informare e ricordare l’importanza di donare a favore della ricerca. Tra i protagonisti ci sarà anche Carlo Conti: “Sono al fianco di Fondazione AIRC da più di 10 anni perché ammiro il coraggio degli scienziati che cercano nuove cure per fornire risposte a chi lotta con la malattia, e anche per l’affetto nei confronti di Sandra Mondaini e Raimondo Vianello, storici testimoni

della lotta al cancro. Durante i Giorni della Ricerca sarò ancora una volta in prima fila insieme ad Antonella Clerici e a tante colleghe e colleghi, tutti insieme daremo vita alla staffetta di raccolta fondi RAI per AIRC con l’obiettivo di informare il pubblico e coinvolgerlo al sostegno dei nostri 6.000 ricercatori”.

Carlo Conti ci tiene a sottolineare anche un altro aspetto della lunga collaborazione tra RAI e AIRC: “Insieme, abbiamo contribuito a sdoganare la parola cancro portandola all’attenzione del grande pubblico. Una parola che fino a qualche decennio fa era un vero tabù, non si poteva nemmeno pronunciare, tanto più nelle trasmissioni di spettacolo. Abbiamo dimostrato di poterla portare nella prima serata di Rai1 a Tale&Quale Show, dove non facciamo informazione scientifica. Sappiamo bene quanto il cancro impatti sulla vita delle persone e credo che parlarne anche in un varietà possa essere di supporto a chi sta vivendo questa esperienza direttamente o indirettamente. Posso dire con certezza che il pubblico da casa ha apprezzato moltissimo la nostra scelta e ha partecipato con straordinaria generosità sostenendo AIRC”. Un invito che siamo certi accetteranno in tanti anche quest’anno.

GLI

APPUNTAMENTI DEI GIORNI

• 28 ottobre: cerimonia al Quirinale

• 3-10 novembre: RAI per AIRC

• 6-7 novembre: AIRC nelle scuole

• 9 novembre: Cioccolatini della Ricerca

• 8, 9, 10 e 17 novembre: Un Gol per la Ricerca

Partecipa da protagonista ai Giorni della Ricerca, inquadra il QRCode, informati e sostieni da subito il lavoro dei ricercatori

AIRC

Nastro Rosa

UNA SQUADRA DI AZIENDE PER CURARE TUTTE LE DONNE

a cura della redazione

Da oltre 30 anni The Estée Lauder Companies promuove la Breast Cancer Campaign a livello internazionale e dal 2015 ha scelto di essere main partner della campagna Nastro Rosa di AIRC, finanziando 6 borse di studio triennali sul tumore al seno. Un impegno esemplare a sostegno della ricerca oncologica italiana, fatto proprio anche da altre aziende partner del Nastro Rosa AIRC, tra cui Acqua Vitasnella, ALDI, Chiquita, Coccinelle, Glade, che hanno scelto di finanziare il percorso di giovani ricercatrici e ricercatori impegnati a trovare cure sempre più efficaci per le forme più aggressive di tumore al seno. Ma le aziende partner del Nastro Rosa AIRC giocano un ruolo importante anche nella sensibilizzazione sull’importanza della prevenzione e di una sana cultura del benessere, attraverso iniziative di raccolta fondi e comunicazione rivolte al grande pubblico. Per l’edizione 2024 della campagna Nastro Rosa, il Gruppo Estée Lauder Companies promuove una campagna di sensibilizzazione in oltre 2.500 profumerie e realizza a Milano un Charity Dinner a sostegno di AIRC. Ralph Lauren, attraverso l’iniziativa Pink Pony, devolve ad AIRC una percentua-

le del ricavato di una serie di prodotti dedicati e invita dipendenti e clienti a partecipare alla raccolta fondi in favore di AIRC. Anche Miss Chiquita diventa ambasciatrice della campagna e, nel mese di ottobre, cambia la sua posa tradizionale per simulare il gesto dell’autopalpazione e creare un movimento di sensibilizzazione sull'importanza della prevenzione. Acqua Vitasnella torna a proporre l’edizione in limited edition con etichetta rosa delle bottigliette da 0,50 L per continuare a sensibilizzare le proprie consumatrici, mentre ALDI distribuisce nei propri punti vendita una selezione di prodotti, tra cui la melagrana e il farro, donando ad AIRC parte del ricavato dalla vendita. Interflora rinnova il proprio impegno dedicando ad AIRC una selezione di piante e fiori e coinvolgendo i propri fioristi nella distribuzione delle spillette Nastro Rosa. Tra il 2 e il 4 ottobre, Coccinelle donerà ad AIRC il 100 per cento del ricavato dalla vendita della borsa Beat Soft Mini dalla shape a cuore, disponibile nei colori Rosewood, Brandy e Grenadine Red, omaggiando le clienti con un nastro in pelle rosa in limited edition che in esclusiva sarà disponibile anche sull’eshop AIRC a fronte di una donazione. Oltre a sostenere la ricerca sul cancro al seno, Glade sensibilizzerà i consumatori sull’importanza della prevenzione attraverso materiali dedicati, così come Veepee che, insieme ad alcuni dei brand presenti sull’e-commerce, sosterrà la ricerca e proporrà una campagna informativa. Si aggiungono nuove aziende alla squadra dei partner del Nastro Rosa AIRC. Cassa Centrale Banca contribuirà a finanziare un progetto di ricerca My First AIRC Grant

per un giovane ricercatore a lavoro sul tumore al seno. Marcolin ha scelto invece di sostenere una borsa di studio biennale e di coinvolgere i dipendenti in un percorso di informazione sui temi della prevenzione. Anche il gruppo Dr. Max ha deciso di finanziare una borsa di studio biennale per giovani ricercatori e di sensibilizzare le persone attraverso la creazione di contenuti educativi, online e in farmacia, per promuovere la prevenzione.

I PARTNER PER LE SPILLETTE

NASTRO ROSA

Anche quest’anno, Federfarma Nazionale ha scelto di patrocinare la campagna Nastro Rosa, invitando le 19.000 farmacie associate ad aderire alla distribuzione delle iconiche spillette. Promuoveranno l’iniziativa presso i rispettivi network di farmacie anche Alliance Healthcare, Dr. Max, Farmacie Apoteca Natura, Gruppo Farvima, Mia Farmacia, Neoapotek, So.Farma.Morra Group. Sarà possibile trovare la spilletta simbolo della campagna Nastro Rosa AIRC in numerosi esercizi commerciali: grazie al Gruppo Gabrielli nei supermercati e superstore a insegna Oasi e Tigre, in numerosi punti vendita Max Factory e presso i principali centri dentistici Bludental in Italia.

Giulia Venturi, ricercatrice AIRC sostenuta da Ferrarelle con il brand Vitasnella

Trieste Next

a cura della redazione

AIRC VI ASPETTA A TRIESTE NEXT

Dal 27 al 29 settembre, Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro diventa protagonista di Trieste Next, il festival scientifico giunto ormai alla sua 13^ edizione.

In piazza Unità, all’interno della Città della Conoscenza – oltre 2.000 mq di laboratori di divulgazione scientifica e animazione –, ci sarà infatti anche il laboratorio ideato da AIRC Lancio nel Bilancio. L’obiettivo di Lancio nel Bilancio è raccontare come la nostra fondazione distribuisce i fondi provenienti dalle donazioni e raccontare quanto sia importante sostenere la

ricerca contro il cancro. Attraverso il simbolico lancio di una moneta nel bilancio di AIRC, si segue il percorso che ogni donazione compie per finanziare la migliore ricerca sul cancro in Italia e per sensibilizzare e informare i cittadini sul ruolo fondamentale della prevenzione oncologica. Un modo di ricordare come ogni singolo euro destinato ad AIRC sia un dono prezioso, un gesto straordinario che la nostra Fondazione gestisce con passione e diligenza per alimentare una struttura complessa, solida e rigorosa, al servizio della ricerca e del bene comune.

Fondazione AIRC parteciperà inoltre al ricco programma di lectio magistralis e talk di divulgazione del festival.

Venerdì 27 settembre, in mattinata, si terrà un appuntamento per gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado, “Diversi da chi?” Divulgatori AIRC aiuteranno i partecipanti a scoprire l’enigmatico e affascinante mondo del DNA, per cercare di capire meglio chi siamo e da dove veniamo e quale sia l’eredità comune di tutte le forme di vita che hanno vissuto, vivono e vivranno sul nostro pianeta.

Domenica 29 settembre, alle 11:30, i ricercatori AIRC Giulio Caravagna dell’Università degli studi di Trieste e Marilena Iorio dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano, insieme a Vanessa Nicoli, delegato per la divulgazione scientifica e la terza missione dell’Università degli studi di Trieste, dialogheranno sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale e delle nuove tecnologie al servizio della ricerca sul cancro.

Sempre domenica 29 settembre, alle 15:00, il ricercatore AIRC e presidente di Fondazione AIOM Franco Perrone parlerà dell’impatto che la nuova legge sull’oblio oncologico potrà avere sulla vita delle tante persone che oggi vivono in Italia dopo aver superato un cancro. Insieme a lui Giacomo, ex paziente oncologico e testimonial AIRC.

Queste sono solo alcune delle occasioni per incontrare AIRC al Trieste Next. Per scoprire il programma completo delle iniziative, rimanete in contatto con noi sui nostri canali digitali.

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.