Ridurre il consumo di alcol per diminuirne l’impatto globale sul cancro
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Andrea Sironi Presidente AIRC
60 ANNI DI AIRC
Quest’anno, il 2025, ricorre il sessantesimo anniversario della nostra fondazione. È un compleanno molto importante, che ci induce da un lato a ricordare i fondatori di AIRC, persone di grande visione come Beppe Della Porta e Umberto Veronesi, dall’altro a celebrare i tanti traguardi e risultati conseguiti dalla nostra fondazione. AIRC organizzerà nel corso dell’anno numerose iniziative per celebrare questo traguardo, ma soprattutto per ricordare la strada percorsa e quella che intendiamo percorrere ancora. Per questo motivo, la copertina e l’articolo principale dei numeri di Fondamentale di quest’anno saranno dedicati alle storie dei ricercatori che si sono formati grazie al sostegno di AIRC e che oggi stanno portando avanti la loro attività scientifica attraverso i finanziamenti della nostra Fondazione.
A novembre si sono tenuti per il ventinovesimo anno i Giorni della Ricerca, un’occasione per ricordare quanto la ricerca sia fondamentale per il benessere di tutte e tutti, e come altrettanto necessaria sia la consapevolezza sul ruolo della prevenzione. Intervenendo sui fattori prevenibili, come fumo, alimentazione e sedentarietà, e aderendo alle campagne di vaccinazione e ai programmi di screening oncologici raccomandati, si potrebbero evitare fino al 40 per cento circa delle nuove diagnosi di tumore e fino al 50 per cento delle morti per cancro. Ciò nonostante, i dati riportano ancora una limitata adesione a questi programmi, in parte imputabile a una scarsa consapevolezza che può crescere solo attraverso una costante opera di informazione e sensibilizzazione. Per questo AIRC è impegnata anche nella promozione di buone pratiche di prevenzione primaria, sia attraverso i canali di comunicazione, e questo numero di Fondamentale ne è un esempio, sia all’interno delle istituzioni, la scuola in primis. Nello scorso anno scolastico abbiamo raggiunto oltre 17.000 scuole, e, in rappresentanza dell’impegno di tutti gli studenti e gli insegnanti coinvolti, abbiamo deciso di premiare una di queste scuole in occasione della cerimonia al Quirinale che ha aperto i Giorni della Ricerca, e che raccontiamo nelle pagine di questo numero di Fondamentale Una delle tante iniziative di AIRC rivolte agli studenti è Cancro io ti boccio, un progetto di cittadinanza attiva in cui studenti e studentesse vivono un’esperienza di volontariato distribuendo a scuola i prodotti solidali AIRC e portando in classe percorsi didattici su prevenzione, salute, STEM e ricerca. Cancro io ti boccio torna a gennaio per distribuire le Arance della Salute, il prodotto che dà il nome alla campagna di AIRC dedicata alla prevenzione. Le arance, oltre che a scuola, verranno distribuite dai nostri volontari sabato 25 gennaio in migliaia di piazze italiane, insieme ai vasetti di miele e marmellata. Un’occasione in più per ricordare l’importanza di aderire a uno stile di vita sano e sostenere la ricerca.
Vita da ricercatore
Vincenzo Corbo
I DETTAGLI CHE FANNO LA DIFFERENZA
In questo articolo:
— TUMORE AL PANCREAS
— MODELLI SPERIMENTALI
— 60 ANNI DI AIRC
In occasione dei sessant’anni di AIRC, racconteremo su Fondamentale le storie di scienziati, come Vincenzo Corbo, che abbiamo sostenuto fin dai loro primi passi nella ricerca sul cancro
a cura di Michela Vuga
Il sogno di molti ricercatori è aprire il proprio laboratorio dove potersi dedicare alla ricerca sviluppando le proprie idee. Vincenzo Corbo lo ha realizzato grazie ad AIRC già a 35 anni, nel 2016. “Era davvero solo un sogno quando mi sono laureato in biotecnologie all’Università d egli studi d i Napoli Federico II , e a dire il vero all’epoca non avevo nemmeno le idee tanto chiare. Ma forse è stato un bene, perché ho fatto una scelta dopo l’altra e questo mi ha permesso di costruire la mia carriera puntando agli obiettivi che di volta in volta ritenevo più importanti” racconta Vincenzo. “Mi piaceva fare ricerca e all’inizio osservavo i colleghi più grandi, i Principal Investigator ( PI ), responsabili di progetti di
ricerca indipendente: sapevo che diventare uno di loro non sarebbe stato semplice, c’è una forte selezione. Non tutti quelli che iniziano questo
as. “Se ripercorro la mia storia, mi piace pensare che ci sia qualcosa che si muove dietro le quinte della mia vita. Il mio primo incontro con
Vincenzo ha iniziato il suo percorso nel laboratorio di Aldo Scarpa, uno dei più importanti nel mondo per lo studio del tumore al pancreas
percorso diventano poi PI.” La prima scelta che indirizzò la carriera di Vincenzo fu quella di partecipare al concorso per il dottorato all’Università degli studi di Verona, dove riuscì a entrare nel gruppo di Aldo Scarpa, in uno dei laboratori più importanti a livello internazionale per gli studi di genomica sul tumore del pancre -
il cancro infatti fu proprio con quello del pancreas, e accadde quand’ero giovanissimo, a un’età in cui non ti aspetti che l’amico con cui giochi a basket si ammali. Aveva 19 anni; ricordo che da Maddaloni in provincia di Caserta, dove vivevamo, quel ragazzo venne a Verona che era l’eccellenza in Italia per la cura di que -
sto tumore. Purtroppo, morì nel giro di pochi mesi. Q ualche anno dopo, però, eccomi a Verona a fare ricerca sul tumore del pancreas.”
LA GENOMICA FUNZIONALE
Il punto di svolta della sua vita da ricercatore fu la decisione di andare all’estero. “Era il momento di cambiare ambiente, dimostrare a me stesso e agli altri che potevo funzionare in un altro contesto. E inoltre volevo completare la mia preparazione: avevo un forte background in genomica, ma mi mancavano delle competenze più specifiche nella genomica funzionale, quella che utilizza dei modelli, degli avatar di malattia, per testare le ipotesi.” Con la genomica funzionale, infatti, è possibile verificare il ruolo che un’alterazione genetica ha nella progressione della malattia o nella risposta alla terapia e così via. “Questo consente di capire se le alterazioni che stai studiando sono dei target, dei bersagli, che possono
essere utilizzati a fini terapeutici o a fini prognostici.” Dal 2013 al 2015 Vincenzo si trasferisce dunque negli Stati Uniti, a lavorare con David Tuveson al Cold Spring Harbor Laboratory Cancer Center a New York, considerato l’eccellenza per il modelling di malattia, come si dice in termini tecnici. “Lì ho cominciato a capire che forse poteva esserci uno spazio ‘mio’ per la ricerca che volevo fare, ed è lì che poi ho deciso esattamente che cosa avrei fatto. Fu un un’esperienza immersiva: eravamo tutti molto coinvolti, sempre in laboratorio e sempre a parlare di scienza. Tutto questo tempo trascorso insieme ha creato legami forti e duraturi con tanti dei colleghi di allora.”
LO START-UP GRANT
Il Grant Start-Up di AIRC è un finanziamento di 5 anni, unico nel suo genere perché rivolto a ricercatori di 40 anni o meno che rientrano dall’e-
laboratorio siamo in 8. Le idee non si sviluppano standosene da soli, c’è sempre un contesto” afferma Vincenzo, che proprio nell’ottica di condividere la conoscenza aderisce anche alla Italian Pancreatic Cancer Community, insieme a diversi altri studiosi italiani impegnati nella ricerca su questo tipo di tumore.
UN MICROAMBIENTE CHE
MODELLA LE CELLULE
Le cellule del cancro del pancreas vivono e proliferano immerse in un microambiente ostile, in cui i nutrienti sono pochi, l’ossigeno è scarso e lo stress meccanico è forte. Ma un ambiente così poco ospitale non dovrebbe determinare la morte delle cellule maligne? Al contrario di quanto si sarebbe portati a immaginare, le cellule del tumore del pancreas invece sopravvivono e diventano estremamente aggressive. Com’è possibile? “La nostra ipotesi di partenza è che sia
Le cellule del pancreas vivono in un microambiente ostile. L’ipotesi di Vincenzo è che sia proprio questo ambiente a favorire il tumore
stero per avviare la propria ricerca indipendente in Italia. “I presupposti sono avere delle nuove idee per acquisire una visione più completa di quella che, nel mio caso, può essere la biologia del cancro del pancreas: il bando è stata l’occasione di poter testare le mie ipotesi. Vincerlo nel 2016 è stata una delle più grandi soddisfazioni che io abbia mai avuto!” Successivamente, nel 2023, Vincenzo si è aggiudicato un Investigator Grant, destinato ai ricercatori affermati.
“Nella musica si dice che il secondo album è sempre più difficile del primo, ma anche nella ricerca mantenere una continuità di risultati è molto impegnativo. E, forse proprio per questo, l’Investigator Grant ha appagato e reso felici tutti: scrivere il progetto e inviarlo ad AIRC non è stato solo frutto del mio lavoro, in
/ Vincenzo Corbo
proprio questo ambiente così particolarmente ostile a favorire la malattia, perché fa sì che le cellule tumorali si evolvano verso forme biologicamente più aggressive, riuscendo ad adattarsi anche a condizioni microambientali diverse. Questo, secondo noi, spiegherebbe anche il motivo per cui è così difficile colpirle. Attraverso l’uso dei modelli, veri e propri avatar di malattia, puntiamo a identificare quei circuiti molecolari che consentono alle cellule tumorali di adattarsi a queste condizioni difficili, incluse quelle indotte dalle terapie” spiega Vincenzo. “Alcuni degli avatar che abbiamo messo a punto sono a disposizione dei ricercatori di tutto il mondo, che li possono utilizzare per studiare la malattia e i meccanismi che la sostengono, ma anche per sperimentare nuovi trattamenti.”
UN PODCAST FONDAMENTALE
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DETTAGLI DETERMINANTI
Fuori dal laboratorio, ogni istante libero Vincenzo lo passa in famiglia. Ha 3 bambine: Alice di 7 anni, Flora di 2 e mezzo e Sveva, che ha pochi mesi. “Con Dea, la loro mamma, cerchiamo di trasformare le nostre passioni in qualcosa che possiamo condividere con loro. Inoltre, ci piace viaggiare e fotografare sia la bellezza scenica della natura sia quella architettonica delle città. E così l’ultima meta, qualche mese prima che nascesse Sveva, è stata la Lapponia, all’inseguimento dell’aurora boreale.” Dea dice che Vincenzo è generoso e che questa qualità bilancia la pignoleria che lo porta a essere attento al dettaglio, a volte in modo maniacale: “Un difetto, lo riconosco, nella vita di tutti i giorni, ma un vantaggio nel mio lavoro” conferma sorridendo Vincenzo. “Nella ricerca capita di essere succubi di preconcetti che ci fanno credere di aver ragione a prescindere e dunque ci portano a pensare ‘secondo me è così’. Ma quasi mai un’idea poi si sviluppa come è stata pensata. Spesso le scoperte più belle avvengono facendo attenzione appunto a un dettaglio: solo considerando tutti i particolari si può arrivare a capire se in quello che stiamo osservando in laboratorio c’è davvero qualche cosa di importante. Qualcosa che un domani sarà utile ai pazienti.”
Facciamo il punto
Tumore al fegato
UNO STILE DI VITA SANO PER RIDURRE IL RISCHIO DI TUMORE AL FEGATO
Il fattore di rischio principale per l’epatocarcinoma è l’infezione da virus dell’epatite B o C, ma sono sempre più frequenti i casi di malattia dovuti ad abitudini poco salutari
a cura della redazione
Il tumore del fegato è uno dei più aggressivi e a oggi è ancora difficile da curare: a livello globale è, infatti, il terzo tumore per mortalità e il sesto più frequente. Ma il numero di persone che si ammalano è destinato a crescere ancora. Il motivo? La sempre maggior diffusione di stili di vita caratterizzati da iperalimentazione e scarsa attività fisica. “Siamo di fronte a un nuovo e importante fattore di rischio che si aggiunge a quelli principali già noti per questo tumore, le infezioni croniche da virus dell’epatite B e C. Ma proprio perché questi fattori di rischio li conosciamo e abbiamo gli strumenti per ridurne o abbatterne l’impatto, potremmo fare molto per prevenire il tumore del fegato” afferma Diego Calvisi, professore ordinario di patologia generale e fisiopatologia all’Univer-
sità degli studi di Sassari e ricercatore
AIRC. Le cause principali del carcinoma epatocellulare, o epatocarcinoma, la forma più frequente di tumore del fegato primario – cioè non causato da metastasi –, sono appunto le infezioni croniche dei virus dell’epatite B e dell’epatite C. Per quanto riguarda
ne; per l’epatite C, invece, esistono farmaci efficaci per eradicare il virus. Ma a livello globale queste due infezioni rappresentano ancora un problema enorme, soprattutto nei Paesi più poveri. E anche nel mondo occidentale nei prossimi anni ci si attendono molti nuovi casi di epatocarcinoma, come conseguenza di infezioni dei virus dell’epatite B e C contratte in era prevaccinale. Un altro fattore di rischio noto è il consumo di alcol che, ricordiamo, è una sostanza classificata come sicuramente cancerogena dalla IARC, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro.
IPERALIMENTAZIONE E SEDENTARIETÀ
“La malattia epatica a disfunzione metabolica, in sigla MASLD, è una condizione che colpisce il fegato come risultante una serie di alterazioni del metabolismo. Queste sono dovute alle troppe calorie ingerite, superiori alle nostre reali necessità, e alla sedentarietà. Negli Stati Uniti questa malattia riguarda già il 40 per cento degli adulti” spiega Calvisi.
I casi di tumore al fegato sono in aumento perché stili di vita caratterizzati da iperalimentazione e sedentarietà sono sempre più diffusi
l’epatite B, la vaccinazione obbligatoria introdotta in Italia per i nuovi nati dal 1991 consentirà nel tempo di ridurre drasticamente questa infezio-
La MASLD può evolvere in una condizione più grave, la steatoepatite associata a disfunzione metabolica, in sigla MASH, in cui il fegato va in-
contro a processi di infiammazione e fibrosi che ne compromettono via via la funzionalità fino allo sviluppo di un carcinoma epatico. “Adottare un’alimentazione più in linea con i dettami della dieta mediterranea, con maggiore presenza di alimenti semplici, abbinandola a un’attività fisica regolare, permetterebbe di ridurre in maniera marcata la percentuale di persone che hanno alte probabilità di ammalarsi di un cancro del fegato.”
UN TUMORE DIFFICILE DA CURARE
I nuovi casi stimati in Italia nel 2023 sono 12.200 e la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è del 22 per cento sia negli uomini sia nelle donne, un dato indicativo delle difficoltà nel curare questo tipo di neoplasia: “Innanzitutto perché la maggior parte delle volte la malattia viene scoperta tardi, in quanto non provoca sintomi che spingano a rivolgersi al medico, se non appunto quando è ormai progredita. E per le fasi avanzate a oggi le opzioni terapeutiche sono limitate”. Le diagnosi precoci, ancora poche, avvengono o casualmente, mentre ci si sottopone ad accertamenti per altri motivi, o perché il paziente ha un’epatite cronica e dunque esegue controlli periodici. In questi casi si può intervenire con la resezione chirurgica, il trapianto di fegato oppure con altre metodiche, come la termoablazione e la chemioembolizzazione, che portano alla distruzione della massa tumorale, offrendo una buona aspettativa di vita al paziente. Le recidive restano comunque frequenti: “In più dell’80 per cento dei casi l’epatocarcinoma si sviluppa in un ‘terreno’ già parzialmente compromesso, a causa della cirrosi, e premaligno: pertanto, la rimozione di una lesione tumorale non esclude la comparsa di altre. Inoltre, nell’epatocarcinoma non sono state individuate alterazioni genetiche che possono essere colpite da farmaci molecolari specifici, come avviene per esempio nel carcinoma polmonare. E anche i chemioterapici, validi in altri tipi di tumori, qui non funzionano”. Il trattamento più efficace è il trapianto di fegato, ma non tutti i pazienti sono
candidabili: esistono criteri di selezione e priorità per stabilire, in base alle caratteristiche del tumore e del malato, chi può trarre maggior beneficio dal trapianto.
LE COMBINAZIONI
Un cambiamento significativo nel trattamento delle forme avanzate è stato l’arrivo degli inibitori multichinasici (sorafenib, regorafenib) e, più di recente, l’associazione di un farmaco, bevacizumab, che blocca l’angiogenesi, ovvero la formazione di vasi che il tumore mette in atto per nutrirsi, con un immunoterapico (atezolizumab) che riattiva il sistema immunitario contro il tumore. Proprio su questo tipo di combinazione si è concentrata la ricerca negli ultimi anni, puntando a farmaci in grado di arrestare o addirittura di far regredire l’angiogenesi e indurre una risposta immunitaria contro la malattia. Purtroppo, però, nella migliore delle ipotesi queste combinazioni sono efficaci in circa il 20 per cento dei casi. Un filone di ricerca interessante riguarda le neoplasie che fanno seguito a delle disfunzioni metaboliche e che utilizzano come meccanismi molecolari la sintesi degli acidi grassi. “Sono tumori che abbiamo studiato anche noi, associati all’obesità, all’iperalimentazione e al diabete di tipo 2: al momento sono in corso diversi studi clinici con inibitori dell’acido grasso sintasi (FASN), farmaci che sembrerebbero ottenere delle risposte in questi sottotipi di epatocarcinoma.”
LO STRESS, PUNTO DEBOLE DEL TUMORE AL FEGATO
La cellula tumorale non è una cellula statica, è dinamica e in grado di modificarsi. Per questo farmaci che inizialmente risultano efficaci poi, dopo un periodo che può variare da tumore a tumore, possono non esserlo più. “L’idea di partenza è che ci siano meccanismi di cui la cellula cancerosa ha bisogno per sopravvivere, indipendentemente dalla presenza o meno di una o più mutazioni” spiega Calvisi. “La mia ricerca è focalizzata su due di questi meccanismi: la resistenza allo stress e la traduzione proteica. Nella cellula tumorale i fattori che inducono stress sono tanti, perché la cellula deve
Negli ultimi anni la ricerca si è concentrata su farmaci in grado di fermare o far regredire l'angiogenesi
crescere in un ambiente che non è il suo, deve localizzarsi in un’altra sede, magari deve fronteggiare un trattamento con farmaci che stanno cercando di eliminarla. Quando è sottoposta a uno stress, attiva dei meccanismi per proteggersi, per non morire, producendo una serie di sostanze che vanno sotto il nome di ‘proteine dello stress’. La cellula tumorale, dunque, per sopravvivere si ‘adatta’ allo stress, e noi stiamo studiando dei farmaci che colpiscono appunto quei meccanismi che le permettono di adattarsi e resistere, bloccando quella che tecnicamente si chiama traduzione proteica. Abbiamo infatti scoperto che uno dei maggiori responsabili della risposta allo stress, il fattore da shock termico di tipo 1 (HSF1), può essere efficacemente inibito bloccando l’attività della proteina eIF4A1, responsabile dell’inizio della traduzione proteica. Si tratta di una terapia potenzialmente valida per tutte le cellule tumorali, su cui abbiamo già in corso diversi trial clinici. Questo trattamento avrebbe anche il vantaggio di non colpire le cellule sane.”
CREDERE NELLA RICERCA
Per diversi tipi di tumore, come quello del fegato, le probabilità di sopravvivenza sono ancora basse e soltanto grazie alla ricerca si potrà trovare una cura. Lo testimonia anche Calvisi: “Nel 2016 mi sono ammalato di leucemia linfatica acuta e sono guarito, ma fino a poco tempo fa questa forma di leucemia nell’adulto era considerata inguaribile. La ricerca funziona: in tutti i tipi di cancro, in alcuni più velocemente e in altri più lentamente, può portare a risultati significativi e cambiare la storia di queste malattie”.
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/ Facciamo il punto / Tumore al fegato
Alcol e cancro
Piano globale OMS
RIDURRE IL CONSUMO DI ALCOL PER DIMINUIRNE
L’IMPATTO GLOBALE SUL CANCRO
In questo articolo:
— TUMORI DEL DISTRETTO TESTA-COLLO
— TUMORE AL FEGATO
— TUMORE AL SENO
La scorsa estate l’Organizzazione mondiale della sanità ha lanciato il Piano globale 2022-2030 contro l’alcol. Obiettivo: ridurne il consumo del 20 per cento entro il 2030
Ia cura di Antonino Michienzi
n genere pensiamo al fumo. Pensiamo alla dieta squilibrata e al peso eccessivo. Pensiamo all’inquinamento. Tuttavia, solo raramente quando riflettiamo sui fattori di rischio evitabili per il cancro pensiamo all’alcol. Eppure, il consumo di alcolici è, dopo il fumo e grosso modo a pari merito con l’obesità, il secondo fattore di rischio più significativo per contributo al carico globale di cancro. È per questa ragione che, circa 15 anni fa, l’Organizzazione mondiale della sanità ha preso una posizione netta nei confronti dell’etanolo, inserendo una progressiva riduzione dei consumi di bevande alcoliche tra gli obiettivi di politica sanitaria globale. L’ultimo di questi obiettivi, inserito nel Piano globale 2022-2030 contro l’alcol – che è stato varato la scorsa estate –, punta a tagliare il consumo di alcol di almeno il 20 per cento entro il 2030.
NUMERI IMPORTANTI
Il tema del rapporto fra consumo di alcol e salute è complesso. Soprattutto se lo si guarda in una prospettiva
globale. Sono innumerevoli i modelli di consumo, differenti le politiche – per esempio quelle finalizzate a contrastare gli incidenti –, differen-
ziata perfino la natura dei prodotti. Per esempio, gli alcolici “illegali” o “informali”, che rappresentano il 25 per cento della produzione mondiale, sono pressoché residuali alle nostre latitudini, ma rappresentano una componente importante in alcune aree geografiche.
In linea generale, il rapporto fra alcol e salute è ormai chiaro. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, il consumo di etanolo è direttamente e indirettamente associato a più di due milioni e mezzo di morti l’anno nel mondo. Di questi, più di 700.000 sono causati da traumi di diverso tipo, dagli incidenti agli atti di autolesionismo, circa 470.000 a malattie cardiovascolari e 400.000 a tumori correlati all’alcol. L’etanolo aumenta poi il rischio di contrarre malattie infettive, per esempio agevolando comportamenti a rischio (come il sesso non protetto) o indebolendo il sistema immunitario: in questo modo contribuisce a circa 284.000 morti l’anno.
ALCOL E CANCRO, UNA RELAZIONE CONCLAMATA
Ormai dimostrato è anche il rapporto fra etanolo e cancro. “L’alcol concorre allo sviluppo di diversi tumori” spiega Carlo La Vecchia, docente di statistica medica ed epidemiologia all’Università degli studi di Milano. “È fortemente associato alle neoplasie delle vie digerenti superiori e respiratorie – dunque i tumori del cavo orale, della faringe, della laringe e dell’esofago. Il rischio cresce ancora se si è anche fumatori: in tali casi, l’aumento del rischio può essere oltre 10 volte più alto.”
Per questi tipi di cancro, l’alcol costituisce un fattore di rischio importante: si stima che da un terzo fino al 50 per cento dei tumori del distretto testa-collo sia correlato al consumo di alcolici e al fumo. Per avere una misura, “delle circa 10.000 nuove diagnosi annue di questi tipi di cancro che si hanno in Italia, circa 4.000 sono attribuibili all’alcol” illustra La Vecchia. Una circostanza che mette in chiaro anche il meccanismo principale attraverso cui il consumo di alcol favorisce le neoplasie. “L’etanolo in sé non è cancerogeno” spiega La Vecchia. “A esserlo è il suo primo metabolita: l’acetaldeide. La trasformazione dell’al-
La campagna dell’OMS per la riduzione del consumo di alcol
L'alcol è un fattore di rischio per il cancro del distretto testa-collo, del seno, del fegato, del pancreas e del colon
col in acetaldeide avviene in genere nel fegato, ma questa trasformazione può essere effettuata anche dai batteri della bocca.”
Un altro tipo di cancro fortemente collegato al consumo di alcol è quello del fegato, di cui abbiamo parlato nell’articolo a pagina 8. In tal caso il consumo di alcol raddoppia il rischio di malattia. C’è poi il tumore del pancreas, che, però, è associato solo a consumi elevati. E ancora, quelli del seno e del colon-retto. In tal caso, “l’aumento di rischio in termini relativi è piuttosto basso; tuttavia, considerando la frequenza di queste neoplasie, ciò si traduce in un incremento del rischio assoluto non trascurabile”.
MENO È MEGLIO
D’altro canto è ormai chiaro che non esistono livelli di consumo di alcol che possano essere considerati sicuri dal punto di vista del rischio onco-
TUMORE AL SENO: QUEL RISCHIO
LEGATO ALL’ALCOL
ANCORA POCO
CONOSCIUTO
C’è anche il cancro della mammella tra i tumori la cui insorgenza può essere favorita dal consumo di alcol. Si tratta di un rischio importante, vista la frequenza di questa neoplasia, eppure ignorato dalla gran parte delle donne, secondo numerose ricerche condotte in questo campo. Per esempio, un sondaggio condotto poco prima dell’arrivo della pandemia da ricercatori
logico. “Chiaramente il consumo di alcol ha una connotazione culturale” dice La Vecchia. “Se dovessimo dare delle indicazioni valide per tutti, potremmo dire che chi non beve non dovrebbe iniziare a farlo, mentre chi consuma alcol dovrebbe rispettare i limiti indicati dalle istituzioni sanitarie: 2 unità alcoliche al giorno per gli uomini, 1 per le donne. Se non si superassero questi livelli, si eviterebbe più dell’85 per cento dei tumori associati all’alcol” aggiunge l’epidemiologo, che segnala come in questo campo ormai da anni si osservano miglioramenti in Italia. “Dagli anni Settanta del secolo scorso a oggi, siamo passati da un consumo pro capite di etanolo di circa 25 litri ai poco più di 5 litri attuali. È un merito che bisogna riconoscere agli italiani e che sta già avendo un importante impatto in termini di esiti di salute” conclude. Più complessa è la sfida della riduzio-
dell’Università di Southampton coinvolgendo circa 250 donne inglesi ha mostrato che solo il 19,5 per cento di loro era consapevole del legame fra alcol e tumore del seno. Inoltre, sempre secondo la ricerca, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista BMJ Open, i due terzi di loro consumavano abitualmente alcolici e il 56,6 per cento non riusciva a stimare correttamente la quantità di alcol contenuta in comuni bevande.
Una ricerca condotta in 14 Paesi e pubblicata all’inizio di quest’anno sulla rivista BMC Research Notes, che ha preso in considerazione anche uomini, mostra che solo il 49 per cento dei maschi è conscio del legame
ne dei consumi di alcol su scala globale. “L’alcol rimane l’unica sostanza psicoattiva che crea dipendenza ed esercita un impatto significativo sulla salute della popolazione globale a non essere controllata a livello internazionale con strumenti normativi giuridicamente vincolanti” sottolinea l’OMS. “Questa lacuna limita la capacità dei governi nazionali e subnazionali di regolamentare la distribuzione, la vendita e la commercializzazione dell’alcol.”
Per questo, oltre agli obiettivi legati alla riduzione dei consumi, il Piano d’azione globale punta alla diffusione di politiche nazionali e internazionali finalizzate al controllo e alla regolamentazione dell’alcol e alla messa a punto di interventi terapeutici.
“Per costruire una società più sana e più equa dobbiamo impegnarci urgentemente in azioni coraggiose che riducano le conseguenze negative sanitarie e sociali del consumo di alcol e rendano il trattamento per i disturbi da uso di sostanze accessibile e conveniente” ha affermato il direttore generale dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus.
fra consumo di alcol e cancro e, tra questi, appena il 10 per cento ha idea del nesso con il tumore del seno.
L’assenza di consapevolezza è un problema. Si stima infatti che il consumo regolare di bevande alcoliche sia responsabile di una quota compresa tra il 5 e l’11 per cento delle nuove diagnosi di tumore del seno (in Italia questo corrisponde a 2.500-5.000 nuovi casi all’anno).
Anche livelli relativamente bassi di consumo di alcol possono contribuire al rischio di sviluppare il cancro al seno. Secondo l’OMS, più della metà di tutti i casi di cancro al seno attribuibili all’alcol in Europa sarebbe dovuto a livelli moderati di consumo.
Alimentazione
Sovrappeso in età pediatrica
SOVRAPPESO DA BAMBINI SIGNIFICA MAGGIOR RISCHIO DI CANCRO DA ADULTI
In questo articolo:
— BMI
— DISUGUAGLIANZE
— OKKIO ALLA SALUTE
Nel nostro Paese, la percentuale di bambini e ragazzi sovrappeso e obesi continua ad aumentare.
Un problema che potrebbe condizionarne la salute in età adulta
“Per molti genitori non è semplice rendersi conto che il proprio figlio è in sovrappeso. Oggi si considera normale che un bambino sia un po’ in carne, complici anche le immagini con cui da decenni ci bombarda la pubblicità di prodotti alimentari, mentre spesso si tratta di vero e proprio eccesso ponderale, con il rischio che il bambino in sovrappeso diventi un adolescente in sovrappeso e poi un adulto in sovrappeso.” A parlare è Gabriella Pozzobon, pediatra endocrinologa presso l’Ospedale San Raffaele di Milano e già presidente della Società italiana di medicina dell’adolescenza (Sima).
a cura di Cristina Da Rold
“A oggi non è certo che ci sia un’associazione fra eccesso di peso in età pediatrica e aumentato rischio di tumori già in questa fase. Serve del tempo infatti per vedere gli effetti di un’alterazione metabolica, biochimica e istologica sull’au-
La prima cosa da fare per verificare se i propri bambini sono sovrappeso
è tenere sotto controllo il BMI, con l’aiuto del pediatra
mento del rischio. Gli effetti di essere in sovrappeso da bambini si notano soprattutto a partire dalla giovane età adulta. D’altro canto, l’obesità severa potrebbe comportare rischi aggiuntivi già in adolescenza.”
Negli ultimi 3 decenni, la ricerca ha dimostrato come le origini di molte malattie croniche possano essere ricondotte alla prima infanzia. La letteratura medica è chiara sul fatto che un bambino in sovrappeso avrà alte probabilità di diventare un adulto obsovrappeso od obeso, e tra gli adulti il nesso fra eccesso ponderale e cancro è stato dimostrato da molti studi. In particolare, i ricercatori stanno analizzando sempre di più la correlazione fra tempo passato in sovrappeso e rischio di sviluppare alcuni tipi di neoplasie, soprattutto quelle del tratto digerente. Secondo uno studio pubblicato nel 2019 sull'International Journal of Epidemiology, gli uomini e le donne adulti in sovrappeso da molto tempo hanno un rischio aumentato rispettivamente del 16 e del 15 per cento di sviluppare un tumore, con aumenti particolarmente significativi per quanto riguarda quelli dell’endometrio e, negli uomini, per quelli dei reni e del tratto gastroenterico.
PERCHÉ IL GRASSO AUMENTA IL RISCHIO ONCOLOGICO
Quali sono i meccanismi fisiologici che fanno sì che il grasso in eccesso si traduca in un aumentato rischio di tumore? “Dobbiamo cominciare a usare i termini corretti: il tessuto adiposo, quello che chiamiamo ‘grasso’, non è un tessuto, bensì un organo” spiega Pozzobon. “Come organo, porta a infiammazioni e risposte immunitarie diverse: attiva ormoni come l’insulina e gli estrogeni, provoca un aumento dei fattori di crescita, e tutto questo può avere un impatto sulle risposte
proinfiammatorie e immunitarie e del metabolismo glicolipidico, che sono fattori di rischio del cancro.”
Un adulto di 50 anni che è sempre stato in sovrappeso sin dall’infanzia ha un rischio maggiore di ammalarsi rispetto a un coetaneo che ha iniziato a ingrassare dopo i 40 anni. Per questo la prevenzione fin dall’età pediatrica è fondamentale. Lo dicono decenni di ricerche epidemiologiche, iniziate ai tempi dei primi studi di Michael Marmot e colleghi: le disuguaglianze di salute in età adulta e avanzata sono il frutto di divari socioeconomici ed educativi che hanno avuto origine alla nascita. Il nostro rischio di ammalarci, anche di cancro, è frutto sia di predisposizioni genetiche sia di fattori che accumuliamo nel tempo.
Anche lo zucchero va tenuto sotto controllo, in quanto se assunto in eccesso può provocare la sindrome metabolica, un insieme di disturbi che favorisce l’infiammazione. Non ci sono invece dati sulla correlazione fra il consumo di zucchero e il diabete di tipo 1 (quello che insorge con maggiore frequenza in età pediatrica).
SEMPRE PIÙ BAMBINI SOVRAPPESO
“Negli ultimi 10 anni la percentuale di bambini di 8-9 anni in sovrappeso o obesi è calata pochissimo, e soprattutto si nota che, dopo la flessione degli anni della pandemia, le percentuali hanno ricominciato a salire” continua Pozzobon.
L’Italia rimane tra i Paesi europei in cui il peso dei bambini è tenuto meno sotto controllo. Secondo la rilevazione Okkio alla Salute, condotta dall’Istituto superiore di sanità, il modo di alimentarsi dei ragazzi è peggiorato negli ultimi 5 anni in termini di zuccheri consumati ogni giorno.
Inoltre, secondo l'ultima rilevazione Health Behaviour in School-aged
Children del 2022, gli adolescenti in sovrappeso e obesi in Italia sono sempre di più. Oggi i ragazzi tra gli 11 e i 17 anni con eccesso di peso sono complessivamente il 22,6 per cento: il 18 per cento è in sovrappeso e il 4 per cento obeso. Una crescita che riguarda maschi e femmine, con maggiore prevalenza tra i maschi tra gli 11 e i 13 anni delle regioni del Sud. La presenza maggiore di giovanissimi in sovrappeso si rileva in Campania (in cui il 31 per cento degli adolescenti è in sovrappeso), in Molise (25 per cento), in Sicilia e in Puglia (26 per cento).
C’è inoltre una differenza di genere riguardo al cambiamento di peso negli anni. Tra i maschi, infatti, la quota di persone in eccesso di peso cala gradualmente con l’età, mentre tra le ragazze aumenta.
CHE COSA POSSONO FARE I GENITORI
“Al centro di tutto spesso c’è la scarsa consapevolezza dei genitori rispetto alla dieta dei figli e ai concetti di adiposità, sovrappeso e obesità” ribadisce Pozzobon. In effetti, l’immagine di “sovrappeso” fornita dai media spesso corrisponde a severe forme di obesità, e il fenomeno dell’eccesso ponderale risulta così sottovalutato. Secondo la già citata indagine Okkio alla Salute 2023, l’80 per cento dei genitori di bambini di 8-9 anni in sovrappeso riteneva che i figli avessero un peso nella norma anche quando non era così. La prima cosa da fare è tenere sotto controllo il BMI (in italiano IMC, Indice di massa corporea), normalizzato per età. Il BMI si calcola facilmente: basta avere peso e altezza del bambino e dividere il peso espresso in chilogrammi (Kg) per il quadrato della statura espressa in metri (m). Poi si confronta il valore ottenuto con le apposite tabelle riferite alle varie età pediatriche. Se per gli adulti è disponibile un pratico calcolatore online sul sito del Ministero della salute, per i bambini l’interpretazione del BMI è meno netta, e il pediatra utilizza tabelle con i percentili di crescita.
Fumo e cancro
Stime globali
QUANTO FUMEREMO NEL 2050?
In questo articolo:
— E-CIG
— PREVALENZA
— ANNI DI VITA PERSI
Una ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista The Lancet Public Health ha stimato quanti saranno i fumatori nel 2050, e che impatto questo potrà avere sulla salute della popolazione mondiale
La ricerca scientifica pare abbastanza ottimista sull’impatto che il fumo avrà sulla popolazione mondiale nei prossimi 25 anni. Un lavoro ampio, pubblicato su The Lancet Public Health e basato sui dati del Global Burden of Disease Study del 2021, ha stimato infatti quale sarà la prevalenza del fumo (cioè quante persone in percentuale fumeranno) dal 2022 al 2050 nel mondo, e in che modo questa influirà sull’aspettativa di vita. Risultato: nello scenario di riferimento, è previsto che la prevalenza del fumo diminuisca del 25,9 per cento tra i maschi e del 30 per cento tra le femmine.
a cura della redazione
In questo scenario, l’aspettativa di vita alla nascita aumenterebbe significativamente, passando da 73,6 anni del 2022 a 78,3 anni del 2050. Si tratta di stime che si riferi-
scono alla popolazione mondiale nel suo complesso.
L’aspettativa media attuale italiana è infatti già molto più alta: sfiora gli 84 anni. La revisione si è basata sugli articoli pubblicati negli ultimi 10 anni, per un totale di 1.098 studi considerati, e fornisce stime del futuro impatto sanitario del fumo in diversi scenari, per 204 Paesi e per 365 malattie e lesioni, disaggregati per fascia di età e sesso. Ricordiamo che, oltre a incidere pesantemente sul rischio di sviluppare un cancro al polmone, fumare aumenta la probabilità di ammalarsi di almeno altri 11 tipi di tumore, e ha conseguenze importanti e acclarate a livello cardiovascolare.
I DUE SCENARI
I ricercatori dello studio hanno provato anche a stimare quanti anni di
vita si potrebbero guadagnare se la popolazione mondiale abbandonasse l’abitudine al fumo.
In particolare, sono stati elaborati due diversi scenari. Il primo scenario – Elimination-2023 – immagina che i fumatori attuali diventino ex fumatori dal 2023 in avanti, fino al 2050. In questo caso, l'aspettativa di vita alla nascita aumenterebbe a 77,6 anni tra i maschi e a 81 anni tra le femmine.
Il secondo scenario – Elimination-2050 – presuppone invece che gli individui di età compresa tra 0 e 19 anni nel 2023 non inizino mai a fumare. Inoltre, sempre secondo questo scenario, negli adulti la prevalenza si ridurrebbe in modo lineare a partire dal 2023, arrivando al 5 per cento di fumatori attivi entro il 2050. In questo caso, l’aspettativa di vita nel 2050 salirebbe a 77,1 anni per gli uomini e a 80,8 anni per le donne.
Naturalmente, entrambi gli scenari sono molto ottimistici. Affinché diventino realistici “servono politiche sul tabacco che riescano ad accelerare il ritmo dell’eliminazione del fumo” scrivono gli autori della ricerca. Insomma, non basta quello che stiamo facendo. Serve anche consapevolezza per le future generazioni, che invece a quanto pare non stanno prendendo ancora sul serio il problema del fumo.
OGGI FUMA UNA PERSONA SU 4
Quanto è realistico arrivare a zero fumatori tra le nuove generazioni? Nel 2022 la prevalenza globale del fumo standardizzata per età è stata stimata al 28,5 per cento tra i maschi e al 5,9 per cento tra le femmine. In
Nel nostro Paese i dati sul fumo a oggi sono scoraggianti: fumano il 28,3 per cento degli uomini e il 20 per cento delle donne
Italia i dati sono scoraggianti: fuma il 28,3 per cento degli uomini e il 20 per cento delle donne. Un italiano adulto su 4 è fumatore, e le nuove generazioni non sembrano essere da meno. Fuma infatti il 27,7 per cento dei ragazzi e delle ragazze tra i 18 e i 24 anni e il 28 per cento dei ragazzi e delle ragazze tra i 25 e i 34 anni. L’abitudine al fumo sembra peraltro più diffusa tra le persone meno abbienti (oltre 1 su 3 è fumatrice) rispetto a chi non ha difficoltà economiche (tra queste, fuma una persona su 5). Un rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità del 2024 prevede che nel 2030, praticamente dopodomani, la prevalenza globale del fumo sarà del 30,6 per cento tra gli uomini e del 5,7 per cento tra le donne.
SVAPARE NON È LA SOLUZIONE
Poi c’è l’elefante nella stanza: la sigaretta elettronica. Nel 2016 è stato chiesto a un campione di 94.000 non fumatori britannici quanti di loro svapavano, cioè fumavano sigarette elettroniche. Risultato: una persona su 200, cioè lo 0,5 per cento dei partecipanti al sondaggio. Un dato che è rimasto stabile fino al 2020. Nel 2024, invece, nello stesso gruppo di 94.000 persone, gli svapatori erano il 3,5 per cento, cioè 7 persone su 200. Una crescita significativa, in particolare dopo i lockdown del 2020. Questi risultati sono stati pubblicati a ottobre 2024 sulla rivista The Lancet Public Health. Tra le persone intervistate da gennaio 2023 ad aprile 2024, il 55,6 per cento dei non fumatori abituali che svapavano ha dichiarato di farlo quotidianamente. I dispositivi più utilizzati erano quelli usa e getta (50,2 per cento) e gli e-liquid più comunemente usati contenevano comunque 20 mg/mL o più di nicotina, una quantità considerata pericolosa. Tale aumento è stato in gran parte guidato dai giovani adulti e da chi consumava alcol a livelli elevati.
In Italia svapano 16 su 200 persone tra i 18 e i 24 anni, 15 su 200 tra i 25 e i 34 anni, 8 su 200 tra i 35 e i 44 anni
Smettere di fumare si traduce in un vantaggio in termini di potenziali anni di vita, sia che si smetta a 35 anni che a 75 anni
e 5 su 100 persone che hanno più di 45 anni. Questi numeri comprendono però anche i fumatori cosiddetti duali, cioè chi fuma sia sigarette sia dispositivi elettronici. Solo il 3,1 per cento, cioè 6 adulti su 200, fuma unicamente e-cig. Sono i dati che emergono dalla rilevazione PASSI, raccolti periodicamente a cura dell’Istituto superiore di sanità.
Al momento non ci sono stime precise sugli effetti a lungo termine delle sigarette elettroniche sulla salute, in particolare sul rischio aumentato di tumori, perché le e-cig sono sul mercato da un periodo relativamente breve. Tuttavia, le premesse non sono confortanti. Quasi tutte le sigarette elettroniche contengono una quantità variabile di nicotina (in genere, tra 6 e 20 milligrammi) e molte
altre sostanze delle quali si conoscono ben poco gli effetti. In altre parole, non sappiamo quanto la sigaretta elettronica possa davvero fare meno danni del fumo - né se possa farne di differenti.
Quello che invece possiamo calcolare è la differenza in termini di anni di vita persi tra fumare sigarette e non fumare. Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista American Journal of Preventive Medicine, smettere di fumare si traduce in un vantaggio in termini di potenziali anni di vita, sia che si smetta a 35 anni che a 75 anni. Un fumatore che smette a 35 anni guadagna 8 anni di vita in salute; uno che smette a 45 ne guadagna 5,6; uno che smette a 55 ne guadagna 3,4; e uno che smette a 65 guadagna 1,7 anni.
#sosteneressn
Anche AIRC ha aderito alla campagna di comunicazione #sosteneressn, proposta da Panorama della sanità, AIOM e Fondazione AIOM e presentata al Senato. L’obiettivo è aumentare di 5 euro il prezzo dei pacchetti di sigarette, una vera e propria tassa di scopo, che può generare fino a 13,8 miliardi da destinare immediatamente al finanziamento del Servizio sanitario nazionale. La campagna è stata accolta con grande entusiasmo da parte degli esponenti della politica, dei professionisti e degli addetti ai lavori che hanno risposto alla chiamata. Alla campagna hanno già aderito anche CIPOMO, Istituto Mario Negri, CREA Sanità, SITAB, Cittadinanzattiva, ACC (Alleanza contro il cancro), Ordine dei medici di Roma, SIHTA, PMI sanità, Fondazione Onda, Fondazione Longevitas, Fondazione RES e SIMM.
Guida alle terapie
Vaccini terapeutici a mRNA
CHIAMIAMOLI VACCINI, MA PRECISIAMO “TERAPEUTICI”
In questo articolo:
— TERAPIE PERSONALIZZATE
— IMMUNOTERAPIA
— COVID-19
Lo sviluppo e la produzione su larga scala di prodotti a mRNA contro
Covid-19 ha accelerato anche il
loro percorso verso una possibile applicazione per la cura del cancro a cura di Roberta Villa
Inuovi vaccini a mRNA contro il cancro in corso di sperimentazione non vanno confusi con i prodotti che ci hanno permesso di affrontare la pandemia o con quelli che prevengono infezioni da cui può avere origine un tumore, come quelle da Papillomavirus (HPV) o l’epatite B. Sono piuttosto strumenti che rientrano nell’ambito dell’immunoterapia, cioè di un approccio alle cure oncologiche che mira a risvegliare e potenziare le difese dell’organismo contro il tumore invece che attaccarlo direttamente, come si fa con la chemioterapia, la radioterapia o la chirurgia. Si tratta quindi di medicinali che servono a trattare una malattia già diagnosticata e al momento spesso già trattata con altri approcci, non a evitarne lo sviluppo. Per questo parliamo di vaccini “terapeutici”.
COME FUNZIONANO?
Se si usa il termine “vaccino” è perché, diversamente da altre forme di immunoterapia (come gli inibitori dei check-point immunitari di cui abbiamo parlato nel numero di giugno 2024), il loro meccanismo d’azione è identico a quello dei vaccini rivolti contro le malattie infettive: addestrare, cioè, le difese dell’organismo a riconoscere un bersaglio per poi mettere in atto una risposta specifica; in questo caso, anziché contro virus e batteri, contro le cellule cancerose. Il bersaglio che il sistema immunitario viene addestrato a riconoscere può essere un antigene specifico del tumore o un “neoantigene”, cioè una molecola creata ex novo in seguito a delle mutazioni che insorgono nelle cellule cancerose. Entrambi sono assenti su quelle sane. In altri casi, però, può trattarsi anche di un antigene associato alla malattia, cioè una molecola che si trova pure nei tessuti normali, ma è presente in quantità significativamente maggiori in quelli tumorali. L’antigene stesso può costituire il vaccino (si parla allora di “vaccini peptidici”) oppure può essere prodotto dalle cellule dell’organismo, cui si fornisce una sorta di libretto di istruzioni per farlo, la molecola di mRNA, appunto. Pro-
prio come si è fatto per il coronavirus responsabile della pandemia.
“Su questa tecnologia si lavorava almeno dal 2008” ci tiene a precisare Greta Forlani, professoressa associata di patologia generale presso l’Università degli studi dell’Insubria a Varese. “Non c’è dubbio, tuttavia, che l’esperienza della pandemia ne abbia accelerato lo sviluppo, spingendo a una produzione industriale su larga scala e confermandone la sicurezza.”
PRODOTTI COSTRUITI SU MISURA
Un’altra sostanziale differenza rispetto ai vaccini a mRNA contro Covid-19 è la personalizzazione dei prodotti terapeutici contro il cancro. “La maggioranza dei farmaci che si stanno stu-
diando prevede un prelievo di tessuto tumorale del singolo paziente. A quel punto, viene caratterizzato a livello molecolare e si identificano i bersagli che potrebbero essere più adatti per evocare una risposta immunitaria efficace” prosegue Forlani. “A questo punto si creano le molecole di mRNA che servono a produrre queste proteine e le si inserisce nel vaccino.” Così si stimolano le cellule T del sistema immunitario ad aggredire questi antigeni, che troveranno soltanto, o soprattutto, nel tumore.
Esistono però diversi modi per arrivare a portare il messaggio alle difese interne. “Una strada consiste nel prelevare dal paziente particolari cellule, dette dendritiche, specializzate nel
Sui vaccini terapeutici a mRNA contro il cancro si lavorava dal 2008, ma la pandemia da Covid-19 ne ha accelerato lo sviluppo, e ha permesso di confermarne la sicurezza
presentare l’antigene ad altre componenti del sistema immunitario. Queste devono poi essere fatte crescere in laboratorio, esposte all’mRNA che codifica per l’antigene e infine infuse di nuovo nel paziente” racconta Forlani. “La tecnica usata anche durante la pandemia, che consiste nell’inglobare l’RNA codificante in un involucro di nanoparticelle lipidiche, è però sicuramente più semplice, agevole, sicura e versatile.
“Per la capacità di creare una popolazione di linfociti T specificamente addestrati a riconoscere i ‘marchi di fabbrica’ del tumore, è possibile che questi vaccini siano utili soprattutto per prevenire le recidive di una malattia in remissione. Pattugliando i tessuti, infatti, queste cellule possono riconoscere molto precocemente la ripresa della proliferazione tumorale, spegnendola sul nascere. Ma i dati che abbiamo sono ancora riferiti a numeri troppo piccoli per dirlo con certezza” chiarisce la ricercatrice AIRC.
SPERIMENTAZIONI IN CORSO
Varie aziende stanno già sperimentando questi prodotti contro diversi tipi di tumore, da soli o come adiuvanti della chirurgia, della chemioterapia o dei farmaci immunoterapici inibitori dei check-point immunitari. Tra i primi tumori su cui sono stati sperimentati questi vaccini terapeutici a mRNA c’è il melanoma, noto per essere particolarmente difficile da curare con gli approcci tradizionali e, al contrario, molto ben responsivo alle varie forme di immunoterapia. Ma sono in corso degli studi anche per arrivare a trattare alcune malattie oncologiche particolarmente difficili da curare, come i tumori della testa e del collo e l’adenocarcinoma del pancreas. Il Servizio sanitario del Regno Unito (NHS) ha lanciato una piattaforma, chiamata NHS Cancer Vaccine Launch Pad, per reclutare entro il 2030 fino a 10.000 pazienti oncologici da trattare con prodotti forniti da BioNTech, l’azienda tedesca specializzata nei vaccini a mRNA che ha messo a punto il vaccino anti-Covid poi portato sul mercato in collaborazione con Pfizer. Intanto, in una sperimentazione di fase II del vaccino personalizzato, pazienti ad alto rischio cui è stato aspor-
tato un tumore del colon-retto sono già trattati agli Ospedali universitari di Birmingham, ma altri siti saranno aperti a partire dal 2026.
Alcune aziende stanno cercando una via per mettere a punto un cocktail di mRNA che sia efficace per più pazienti, e non prodotto su misura
“La personalizzazione della cura, creata su misura per il singolo paziente, è particolarmente utile per i melanomi, che hanno un alto tasso di mutazioni e producono molti neoantigeni, tanto da rendere il tumore di ciascun paziente diverso da tutti gli altri” prosegue Forlani.
I risultati dello studio di fase IIb presentati da Moderna all’ultimo congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) a giugno 2024, sono particolarmente incoraggianti: dopo l’intervento di asportazione del melanoma, il vaccino a mRNA personalizzato, aggiunto all’immunoterapia con pembrolizumab, ha permesso di dimezzare il rischio di recidiva o morte e ridurre di oltre il 60 per cento il rischio di metastasi nei 3 anni successivi rispetto ai pazienti che ricevevano solo pembrolizumab.
Per questo si è deciso di ampliare la sperimentazione a livello globale, passando alla fase 3 con l’obiettivo di trovare 1.100 pazienti da coinvolgere nella ricerca. Nel frattempo, l’azienda ha già discusso con l’agenzia regolatoria statunitense, la Food and Drug Administration, dell’eventualità di un’approvazione accelerata del vaccino, dati i risultati fin qui ottenuti, tanto che c’è chi parla di una disponibilità del prodotto oltreoceano già a partire dal 2025. Ma ci sono anche delle difficoltà.
LE SFIDE PER IL DOMANI
“La personalizzazione del trattamento è allo stesso tempo un punto di forza e di debolezza di questa terapia: se da un lato rende potenzialmente più efficace la cura, dall’altro la rende eco-
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nomicamente e logisticamente poco sostenibile per i sistemi sanitari, una volta conclusa la fase sperimentale” commenta Forlani.
Per questo alcune aziende stanno cercando una via intermedia, tentando di individuare il maggior numero di antigeni condivisi tra diversi tipi di neoplasie, così da produrre un cocktail di mRNA che sia efficace per più pazienti, e non prodotto di volta in volta su misura. Per esempio, il vaccino terapeutico contro il tumore del polmone non a piccole cellule su cui sta lavorando BioNTech, BNT116, codifica per 6 diverse molecole che si ritrovano molto spesso in queste malattie. La sperimentazione clinica è ancora in una fase iniziale, in cui si prevede entro il 2028 di coinvolgere 130 pazienti in 7 Paesi per verificare prima di tutto la sicurezza del trattamento. Moderna, invece, ne sta mettendo a punto un altro (mRNA4359) che mira a schierare le cellule T contro 2 molecole che rendono il microambiente intorno alla malattia più favorevole alla sua crescita (PD-L1 e IDO1). Questo avrebbe un’applicabilità più ampia, non solo per il cancro del polmone, ma anche per il melanoma e altri tumori solidi che hanno in comune l’attivazione degli stessi meccanismi bloccati dal vaccino. Per ora, però, è stato somministrato solo a 19 pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule nel Regno Unito. La ricerca va avanti, e lo fa a una velocità incredibile rispetto a una volta, ma comunque ci chiede di rispettare i suoi tempi. Solo così i suoi risultati possono essere affidabili e messi a disposizione di tutti.
Sostegno ai giovani ricercatori
Borse di studio
AIRC SOSTIENE IL FUTURO DELLA RICERCA
In questo articolo:
AIRC, grazie al generoso sostegno dei suoi donatori, investe da sempre nella formazione delle nuove generazioni, offrendo opportunità che alimentano talento e innovazione
Analizzare grandi quantità di dati epigenetici, creare inibitori terapeutici per rallentare la crescita del tumore o mettere a punto modelli polimerici per mimare la risposta immunologica. Questo il cuore del lavoro di ricerca di 3 vincitori di borse di studio
AIRC; così Carlo De Intinis, Luisa Maresca, Grazia Marsico possono portare avanti i loro obiettivi sullo studio e sviluppo di cure sempre più efficaci contro le neoplasie. Abbiamo fatto loro alcune domande per capire di più sulle loro ricerche
CAR-T CONTRO IL TUMORE OVARICO
a cura di Denise Cerrone
Nata a Bari, sin dagli studi universitari Grazia Marsico ha mostrato un interesse per la ricerca scientifica sui temi oncologici. Si è laureata in biotecnologie mediche
all’Università degli studi della sua città nel 2012 e ha completato la sua formazione con un dottorato in ingegneria biomedica, occupandosi nello specifico di ischemia. “Nel 2014, all’Università nazionale d’Irlanda – sotto la guida del professor Pandit, un’autorità nel campo dei biomateriali – mi sono occupata di malattie ischemiche, sviluppando e studiando un idrogel di elastina per applicazioni cardiovascolari. Dopo un’esperienza negli Stati Uniti a inizio pandemia, al Georgia Institute of Technology, in cui mi sono occupata di organoidi di linfomi, sono tornata in Italia, nel laboratorio della dottoressa Velia Siciliano, che mi ha dato l’opportunità di fare domanda e vincere la borsa di studio di AIRC dedicata a chi ha già conseguito un dottorato di ricerca.”
Da gennaio, nel laboratorio della Fondazione istituto italiano di tecnologia di Napoli, Grazia Marsico dedica le sue giornate all’ingegnerizzazione di cellule CAR-T per il trattamento mirato del tumore ovarico. Definite anche un farmaco vivente, le cellule CAR-T sono linfociti T estratti dal paziente che vengono poi modificati e reinfusi nel malato, così da attivare la risposta del sistema immunitario contro il tumore. L’immunoterapia basata sulle cellule CAR-T è considerata una potenziale svolta nel trattamento del cancro, e finora ha mostrato risultati sorprendenti nella lotta contro le neoplasie del sangue come mielomi, leucemie e linfomi. “L’efficacia delle cellule CAR-T nei tumori solidi è spesso limitata dalla disfunzione dei linfociti T, dovuta ai segnali biomeccanici impartiti dal microambiente tumorale. Il mio obiettivo è riuscire a individuare una strategia per superare questo problema e renderle una terapia efficace per il carcinoma ovarico” spiega Marsico.
STUDIARE NUOVI TRATTAMENTI
CONTRO IL MELANOMA
Luisa Maresca, biologa e ricercatrice nata nel 1987, ha conseguito una laurea magistrale in biologia e un dottorato in scienze cliniche e traslazionali presso l’Università degli studi di Pisa. Da sempre orientata alla ricerca on-
AIRC sostiene ogni anno decine di borse di studio destinate alla
formazione di nuovi giovani promettenti ricercatori
cologica, ha iniziato studiando le neoplasie della mammella e dell’ovaio, concentrandosi su mutazioni genetiche e sistemi di riparazione del DNA, elementi chiave nella progressione tumorale, e successivamente ha iniziato a occuparsi di tumori della pelle. “Dopo il dottorato mi sono trasferita a Firenze, dove, grazie a un primo finanziamento AIRC all’Università degli studi della città, ho approfondito lo studio della via di segnalazione di Hedgehog, un importante meccanismo coinvolto nello sviluppo tumorale, e ho caratterizzato inibitori di questa via per bloccare la proliferazione di cellule tumorali di melanoma” racconta Maresca. “Ora dal 2023, grazie a una borsa sempre di AIRC, applico le mie conoscenze allo studio di trattamenti terapeutici contro il melanoma. L’obiettivo è testare nuove combinazioni farmacologiche mai sperimentate prima che agiscano sulla via di Hedgehog e sulla riparazione del DNA potenziandone la risposta immunitaria innata. La cellula tumorale, infatti, tende a sopravvivere riparando i danni al DNA e sfuggendo al sistema immunitario. Con una terapia mirata, possiamo inibire la via di Hedgehog e i meccanismi di riparazione, riprogrammando anche il sistema immunitario per riconoscere le cellule tumorali e sconfiggere la malattia.”
NEOEPITOPI PER POTENZIARE IL SISTEMA IMMUNITARIO
Carlo De Intinis, torinese del 1990, è laureato in biologia con una magistrale in biologia cellulare e molecolare, conseguita all’Università della sua città. Già per la sua tesi di laurea ha iniziato a esplorare il campo della
bioinformatica, che sarebbe diventato il cuore della sua attività. Dopo la magistrale, ha intrapreso un dottorato a Siena presso la GSK, azienda che lavora nel campo della ricerca farmaceutica. In questo contesto ha combinato competenze di data science e immunologia, concentrandosi su analisi dati derivanti dal sequenziamento di RNA. Dal 2020 lavora a Candiolo per l’Istituto italiano di medicina genetica (IIGM) e per la Fondazione del Piemonte per l’oncologia (FPO - IRCCS) come biologo computazionale, e oggi, grazie al contributo di una borsa finanziata da AIRC, si occupa di immunoterapia oncologica. “Qui all’IIGM lavoro in un gruppo interdisciplinare composto da biologi e bioinformatici. Io, come bioinformatico, mi dedico all’elaborazione di enormi quantità di dati di genomica, per contribuire allo sviluppo della conoscenza del sistema immunitario. Ci occupiamo di caratterizzare le risposte immunologiche ai tumori, con l’obiettivo di individuare i meccanismi che possono promuovere l’eradicazione della malattia a lungo termine.”
Questo progetto di ricerca mira, nello specifico, a comprendere come sfruttare i neoepitopi, ossia porzioni di proteine specifiche del tumore, per rendere più efficace l’attività del sistema immunitario nel riconoscere e attaccare le cellule tumorali. Come spiega De Intinis, “stiamo tentando di analizzare il comportamento di risposta della singola cellula, del singolo linfocita T, alla somministrazione di neoepitopi specifici a partire dall’intersezione di grandi quantità di dati derivanti dalla trascrittomica, dalla proteomica e dall’epigenetica”.
Grandi donatori
UNA BORSA DI STUDIO PER CONTRIBUIRE AL PROGRESSO SCIENTIFICO
a cura della redazione Il signor Giuseppe ha scelto di sostenere la ricerca in ricordo di sua moglie. Un modo di aiutare anche i giovani ricercatori a costruirsi un futuro
Alla giovane ricercatrice Mayla Bertagna si illumina il viso quando parla del signor Giuseppe, l’emozione le fa tremare la voce e gli occhi sono lucidi: “Che valore ha per me il sostegno del signor Giuseppe? Infinito! Potrebbe sembrare un’esagerazione, ma vincere questa borsa di studio mi ha dato la possibilità di continuare la ‘mia’ ricerca! Forse ci sarei riuscita comunque, ma lui, con la sua donazione, è stato il punto di svolta, anche per la mia carriera professionale”. Il signor Giuseppe sorride a sua volta, forse un po’ in imbarazzo. È un uomo riservato che in questa dona-
zione ha creduto fermamente, “perché mia moglie avrebbe fatto la stessa cosa, avrebbe condiviso questa decisione”. Ed è proprio a sua moglie Maura, infatti, che è intitolata la borsa di studio che dal 2023 sostiene Mayla Bertagna.
UN INCONTRO PER
CONOSCERE
Siamo a Monza, al Centro di ricerca della Fondazione Tettamanti dove si studiano le leucemie infantili: è qui che lavora Mayla Bertagna ed è qui che il signor Giuseppe la incontra per farsi raccontare come sta procedendo la ricerca. Il signor Giuseppe è molto attento, interessato a ciò che si fa in labora-
torio. Si informa anche sull’ambiente di lavoro, se permette alla ricercatrice di dedicarsi al suo progetto come desidera e se Mayla si trova bene. “Anche quest’anno la visita mi ha entusiasmato, era già accaduto lo scorso anno ma è successo di nuovo! Innanzitutto, perché la dottoressa Bertagna è fantastica e lo dico con convinzione. E poi ho trovato un ambiente che, per quel poco che si può intuire durante una visita, mi ha fatto una buona impressione: ci sono tanti giovani e incontrarli mi offre una prospettiva sul futuro” racconta il signor Giuseppe. “È una bella sensazione, mi fa piacere perché questo sostegno per me è una cosa molto importante, non fatta così tanto per fare.” Anche Mayla Bertagna attendeva con emozione l’appuntamento annuale con il signor Giuseppe, conscia di cosa rappresenti per lui questo sostegno.
GIUSEPPE E MAURA
Il signor Giuseppe è genovese, è in pensione da diversi anni e trascorre molto tempo nell’entroterra ligure: ha un orto e un giardino a cui si dedica, lavorare all’aria aperta lo rilassa ed è lieto di farlo ancora in totale autonomia nonostante il passare degli anni. Con la moglie Maura, Giuseppe ha condiviso vita, lavoro – avevano un negozio di alimentari e gastronomia – e passioni. “Eravamo legati in modo particolare, facevamo tutto insieme e anche gli hobby con il tempo sono diventati simili. Lei ebbe dei problemi di salute: oggi sarebbe diverso perché in questi anni di passi avanti ne sono stati fatti e le cure sono migliorate. Così, sfogliando Fondamentale, lessi di questa iniziativa e mi piacque: contribuire al progresso sostenendo una giovane ricercatrice o un giovane ricercatore mi dava l’idea che, oltre ad aiutare la ricerca, avrei fatto del
bene a più persone, perché avessero un futuro. Avevo chiesto ad AIRC di sostenere preferibilmente una borsa di studio dedicata ai tumori pediatrici e il destino ha voluto che venisse assegnata alla dottoressa Bertagna, che studia le leucemie infantili.”
STUDIARE LA PRE-LEUCEMIA
Mayla Bertagna si è laureata in biotecnologie mediche nel 2017 all’Università degli studi di Milano Bicocca e nel 2019, dopo un periodo di lavoro all’estero, ha intrapreso il programma di dottorato in medicina molecolare e traslazionale presso la Fondazione Tettamanti. Ma perché proprio la ricerca sulle leucemie? “A spingermi in questa direzione sono stati i racconti di mio fratello maggiore, quando era infermiere in un reparto di ematologia: è stata questa sua testimonianza sulle difficoltà che ancora permangono nelle cure, nonostante i grandi progressi, ad appassionarmi.” La ricerca di Mayla Bertagna si concentra sulla leucemia linfoblastica acuta infantile e nello specifico sulla pre-leucemia, la fase che precede la leucemia vera e propria: “Studio i meccanismi molecolari che portano allo sviluppo della malattia: riuscire a bloccarli o a con-
trollarli potrebbe permettere in futuro di prevenire la leucemia”. Investigare questi meccanismi è importante specialmente per le ricadute, dato che la cellula pre-leucemica spesso persiste anche dopo il trattamento ed è la principale causa di recidiva. “Alla fine di questo progetto spero di poter dire qualcosa di più sulla pre-leucemia” afferma decisa.
“Lo spero anch’io” aggiunge il signor Giuseppe. “Che ci siano dei progressi è importante per la dottoressa Bertagna e per il senso di questa donazione; donazione che, col senno di poi, dopo questi incontri che mi permettono di avvicinarmi al mondo della ricerca, penso che rifarei anche se non avessi questo ricordo di mia moglie.”
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Se anche tu, come Giuseppe, desideri sostenere una giovane ricercatrice o un giovane ricercatore, puoi istituire una borsa di studio. Con una donazione di 25.000 o 35.000 euro per 2 o 3 anni in base all’esperienza del ricercatore, contribuirai concretamente alla sua carriera e potrai legare la borsa di studio al tuo nome o alla memoria di una persona cara.
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eleonora.bahadour@airc.it
Tumore colon-retto nei giovani
PERCHÉ IL TUMORE DEL COLON-RETTO ANTICIPA I TEMPI
In questo articolo:
— CANCRO A ESORDIO PRECOCE
— MICROPLASTICHE
— MARCATORI DIAGNOSTICI
In USA si stima che entro il 2030 un terzo delle diagnosi di questo tumore avverrà in persone tra i 20 e i 49 anni. I ricercatori di tutto il mondo, compresi quelli di IFOM, stanno cercando di comprendere le ragioni di questo fenomeno
Èun allarme che negli ambienti della clinica e della ricerca risuona da qualche tempo: sempre più giovani si ammalano di tumore del colon-retto. Negli Stati Uniti, che sono stati i primi a segnalare il fenomeno ormai diffuso in tutto il mondo, negli anni scorsi questa neoplasia è diventata la prima causa di morte per cancro nei maschi di età compresa tra i 20 e i 49 anni, e si stima che entro il 2030 un terzo delle diagnosi di cancro al colon-retto avverrà in questa fascia di età.
a cura di Antonino Michienzi
In realtà, è un aumento che purtroppo riguarda molti tipi di tumore. Rispetto agli anni Novanta del secolo scorso, nel 2019 le nuove diagnosi di cancro in età precoce erano cresciute dell’80 per cento e i decessi dovuti a queste neoplasie del 30 per cento. Il trend sembra destinato a proseguire: le proiezioni per i prossimi 15 anni suggeriscono che i più comuni tumori nella fascia di età 20-49 anni saranno quello al seno, quelli gastrointestinali – in particolare il cancro del colon-retto – e quello ai reni. Il tumore colorettale, tuttavia, ha una peculiarità: mentre per molte neoplasie, come quelle del seno, la mortalità è in discesa, quella del colon-retto a insorgenza giovanile è
COS’È IFOM
IFOM, l’Istituto di oncologia molecolare di AIRC, è un centro di ricerca di eccellenza internazionale dedicato allo studio della formazione e dello sviluppo dei tumori a livello molecolare, nell’ottica di un rapido trasferimento dei risultati scientifici dal laboratorio alla cura del paziente. Fondato nel 1998 a Milano da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, che da allora ne sostiene lo sviluppo, IFOM oggi può contare su 269 ricercatori di 25 diverse nazionalità, e si pone l’obiettivo di conoscere sempre meglio il cancro per poterlo rendere sempre più curabile.
in aumento. Per questo il tema è particolarmente sentito dai ricercatori.
Gianluca Mauri è oncologo all’Ospedale Niguarda di Milano e svolge attività di ricerca in IFOM, nel gruppo di Alberto Bardelli. Da tempo si dedica allo studio di queste malattie ed è il primo autore di un’analisi che di recente ha messo insieme le conoscenze e le sfide che pongono i tumori del colon-retto a insorgenza giovanile. “Sappiano da decenni che esistono tumori al colon-retto a insorgenza precoce” dice Mauri. “In genere però si trattava di forme di tipo ereditario, che, conoscendo la storia familiare di una persona, potevano essere riconosciute precocemente con opportune misure di screening e sorveglianza.”
Ebbene, non sono questi tipi di tumore a essere in aumento. “L’incremento riguarda i casi cosiddetti sporadici, quelli che insorgono in persone che non hanno familiarità per questa neoplasia” aggiunge.
Questi tumori non sembrano molto diversi per caratteristiche biologiche rispetto a quelli che insorgono più tardivamente. Tendono a presentare più di frequente alcune alterazioni nei meccanismi di riparazione del DNA (la cosiddetta instabilità dei microsatelliti) e peculiarità genetiche
La sfida è riuscire a identificare il prima possibile i casi di tumore al colon-retto precoce
(per esempio una minore frequenza di mutazioni nel gene BRAF), ma ciò non è sufficiente a spiegare il cambiamento epidemiologico a cui stiamo assistendo.
“Fondamentalmente non sappiamo ancora se il passaggio dall’adenoma, cioè il piccolo polipo benigno, alla malattia maligna e metastatica, che in genere avviene in 5-10 anni, in questi casi a insorgenza giovanile possa verificarsi molto più velocemente. Non sappiamo se ciò avvenga perché è una malattia più aggressiva o se sia perché essa cresce nel contesto di un sistema immunitario meno reattivo verso le prime cellule cancerose” dice Mauri. Quale che sia la causa biologica, il risultato è evidente sul piano clinico. Nel caso dei tumori a insorgenza giovanile molto più frequentemente la diagnosi avviene in fase avanzata. “D’altro canto, è difficile per un medico pensare che sintomi come dolore addominale o qualche leggero sanguinamento in una persona giovane siano causati da un tumore del colon-retto. Nella stragrande maggioranza dei casi ha ragione: il problema è di natura benigna” commenta Mauri.
Tuttavia, resta una piccolissima quota che, in realtà, sta già convivendo con un cancro colorettale e che, quando la malattia gli sarà diagnosticata – processo che nelle fasce di età più giovani in genere richiede anche fino a un anno –, dovrà affrontare una neoplasia che si è già diffusa. La sfida è identificare il prima possibile questi casi. “Effettuare uno screening di popolazione come avviene per le persone tra i 50 e i 70 anni non è realistico. Il numero delle persone affette da questi tumori è troppo basso per renderlo efficiente. C’è poi un altro problema: lo screening registra già basse adesioni negli over 50, figurarsi tra i più giovani. La ricerca oggi è al lavoro per identificare qualche
marcatore precoce di malattia, ma la strada è lunga” afferma Mauri. Intanto si cerca di rispondere alla domanda che fa da sfondo a questo fenomeno: perché questo aumento?
“Stiamo cercando di capirlo, insieme a moltissimi altri gruppi di ricerca nel mondo” dice Rosaria Chilà, ricercatrice IFOM.
Una delle domande che sta guidando gli esperti è piuttosto semplice: cosa è cambiato negli ultimi decenni che possa giustificare questo aumento?
“Questa domanda ci ha portato a focalizzarci sull’esposoma, quella pletora di sostanze a cui siamo esposti nel corso della nostra vita, dal momento del concepimento in poi: l’inquinamento, l’alimentazione, non ultime le plastiche” dice Chilà.
I ricercatori stanno analizzando molte sostanze, da sole o in combinazione, per verificare se siano capaci di indurre nelle cellule cambiamenti che le avvicinino ad acquisire caratteristiche tumorali.
Le microplastiche rientrano tra gli osservati speciali. Sono ubique e le cellule sono in grado di inglobarle al loro interno. “Senza dimenticare le sostanze plastificanti che i frammenti di plastica si portano dietro e che, in alcuni casi, sono noti cancerogeni” dice Chilà. È improbabile che si individui un solo colpevole. “La nostra idea è che la combinazione di più fattori e, soprattutto, l’esposizione per lungo tempo possa essere la chiave” conclude la ricercatrice.
Occorrerà tempo per avere una migliore comprensione del fenomeno. “Per ora, abbiamo tante ipotesi sia dal punto di vista biologico sia dal punto di vista clinico, e le une influenzano le altre” conclude Mauri. “Nell’immediato, l’unica arma di cui disponiamo per difenderci da questi tumori è una maggiore consapevolezza, che ci consenta quanto meno di anticipare la diagnosi” conclude.
I TRAGUARDI DEI NOSTRI RICERCATORI
In questo articolo:
— FUMO PASSIVO
— CANCRO DELLA MAMMELLA
— RICERCA EPIDEMIOLOGICA
a cura di Camilla Fiz e Jolanda Serena Pisano
IL FUMO PASSIVO AUMENTA IL RISCHIO DI TUMORE AL SENO
Secondo una recente metanalisi, l’esposizione al fumo passivo aumenta il rischio di sviluppare il tumore del seno per le donne non fumatrici. L’incremento della percentuale di rischio è paragonabile a un consumo moderato e quotidiano di alcolici
UN PODCAST FONDAMENTALE
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Il rischio di sviluppare un tumore alla mammella è di quasi il 25 per cento in più per le donne che, pur non fumando, sono esposte al fumo passivo, rispetto a coloro che non lo sono. Il dato è riportato in un’ampia e aggiornata metanalisi condotta dal gruppo di ricerca di Silvano Gallus e Alessandra Lugo presso l’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano. Lo studio è nato dal confronto di più di 60 studi epidemiologici i cui risultati sono stati raccolti nel corso degli ultimi vent’anni. In tutti gli lavori analizzati è stata valutata l’associazione fra esposizione al fumo passivo e insorgenza del tumore al seno. Alcune delle variabili considerate sono il luogo e gli anni di esposizione, ma anche fattori genetici e fi-
siologici, compresa la menopausa. I risultati dello studio, svolto con il sostegno di Fondazione AIRC, sono stati pubblicati sul British Journal of Cancer “Il fumo passivo contiene oltre 4.000 composti, di cui almeno 40 sono potenzialmente cancerogeni per gli esseri umani” spiega Lugo. Sostanze come la nicotina, il benzene o l’arsenico possono raggiungere le cellule del tessuto mammario e indurre alterazioni del DNA che promuovono l’insorgenza neoplastica. Se l’esposizione continua per mesi o anni, il rischio di sviluppare un tumore del seno aumenta in modo progressivo. “Quanto più a lungo si è esposti, tanto più cresce la probabilità che si verifichi una qualche alterazione genetica o epigenetica che non viene riparata e per questo persiste”
spiega Lugo. “Dalla nostra metanalisi emerge che, dopo 40 anni di esposizione al fumo passivo, il rischio di cancro al seno per una donna non fumatrice cresce fino a quasi il 30 per cento in più rispetto a una donna che non è esposta.”
Gran parte degli studi presi in considerazione nell’analisi ha riportato come principali luoghi di esposizione la casa e il posto di lavoro. “Gli ambienti chiusi sono sempre stati di particolare interesse per gli epidemiologi, perché gli effetti del fumo passivo in questi spazi sono più rilevanti rispetto che all’aria aperta.” Alessandra Lugo aggiunge: “Per le persone a cui è richiesto di riportare il proprio tipo di esposizione, per esempio in un questionario di uno studio epidemiologico, è spesso più semplice descrivere quella avvenuta nei luoghi in cui trascorrono la maggior parte del tempo, come appunto la casa e il posto di lavoro”.
Altri risultati della metanalisi relativi alla menopausa sono invece ancora da chiarire. “È emerso che il rischio di tumore al seno associato all’esposizione al fumo passivo sembrerebbe più alto
nelle donne in pre-menopausa rispetto a quelle in post-menopausa, ma la differenza non è statisticamente significativa” riporta Lugo. Rispetto ai risultati sui tempi e i luoghi a maggiore rischio di esposizione, i pochi studi che hanno analizzato queste variabili non permettono di giungere a solide conclusioni, ma indicano degli ambiti di ricerca da approfondire nei prossimi anni. “Questi dati potranno essere confermati soltanto con metanalisi basate su un maggiore numero di studi originali sul tema” commenta la ricercatrice.
Rimane però la certezza che il fumo passivo è uno dei principali fattori di rischio per il tumore alla mammella: comporta un aumento del rischio paragonabile al consumo moderato e quotidiano di alcol (all’incirca un bicchiere di vino o una lattina di birra al giorno). Conclude Lugo: “Il fumo passivo è ancora più rilevante se si considera la sua diffusione a livello globale: il 35 per cento delle donne non fumatrici è esposto a questo fattore di rischio, un numero ben superiore al 25 per cento di donne che consumano bevande alcoliche”.
TUMORE DELLA PROSTATA: A CHI È UTILE IL TEST DEL PSA PER
LA DIAGNOSI PRECOCE
L’esame del PSA, con cui si valuta il livello di antigene prostatico specifico nel sangue, può aiutare a scoprire l’eventuale presenza di un cancro della prostata. Tuttavia, un esito positivo dell’esame può essere dovuto anche a problemi come infezioni, infiammazioni e iperplasia prostatica benigna. Perciò la frequenza con cui dev’essere eseguito l’esame dovrebbe essere stabilita in base alla storia familiare e clinica del paziente, per evitare che un esito positivo per valori di PSA porti a eventuali diagnosi di tumori della prostata e trattamenti in casi in cui non sarebbero necessari, in quanto la malattia è assente o a progres-
sione lenta. Un problema diffuso in Europa: lo ha rilevato un’analisi sull’incidenza e la mortalità di questo tipo di tumore tra il 1980 e il 2017 in 26 Paesi europei, cui ha partecipato Luigino Dal Maso, del Centro di riferimento oncologico (CRO) di Aviano in Friuli-Venezia Giulia, con il sostegno di AIRC. Gli autori sottolineano che il problema della sovradiagnosi potrebbe essere ridotto eseguendo il test del PSA solo in casi specifici. In Italia è consigliato a uomini tra i 50 e i 70 anni che hanno avuto casi di cancro alla prostata in famiglia o manifestano sintomi come sangue nelle urine o difficoltà a urinare.
SABOTARE LA DIVISIONE CELLULARE DIFETTOSA PER TRATTARE I TUMORI?
Per riprodursi, le nostre cellule duplicano il proprio DNA e poi si dividono in due cellule figlie. Durante questo processo si possono verificare errori, portando ad anomalie genetiche. Di solito, però, nelle cellule difettose si avvia il processo di apoptosi, ossia di morte cellulare programmata, evitando l’eventualità che le cellule anomale si duplichino e aumenti il rischio di cancro o altre malattie. Uno dei protagonisti di questo processo è la caspasi-2, enzima che innesca due meccanismi
che portano all’apoptosi quando viene rilevata la presenza di un numero in eccesso di centrosomi, strutture legate alla duplicazione cellulare. A scoprirlo è stato un gruppo guidato anche da Luca Fava, ricercatore sostenuto da AIRC e professore associato del Dipartimento di biologia cellulare, computazionale e integrata (Cibio) dell’Università di Trento. I ricercatori hanno suggerito che conoscere questi meccanismi fondamentali potrebbe in futuro aiutare a trattare i tumori del sangue.
Notizie
... DAL MONDO
a cura della redazione
“AFFAMARE” IL CANCRO PER SCONFIGGERLO?
Bloccare le vie di accesso delle cellule tumorali alle molecole di grasso potrebbe aiutare uno specifico tipo di trattamento contro il cancro a funzionare in modo più efficace. Lo riporta uno studio pubblicato su Cell Chemical Biology. I grassi sono nutrienti essenziali necessari per una sana funzionalità cellulare. Le cellule tumorali sono capaci di “rubare” all’organismo delle risorse, come appunto i grassi, che poi agiscono come carburante ed elementi strutturali per le cellule malate, affinché possano crescere e diffondersi. Utilizzando modelli cellulari, i ricercatori hanno osservato che il blocco dell’accesso delle cellule tumorali ai grassi le rende altamente sensibili a uno specifico tipo di morte cellulare, la ferroptosi, e quindi, di conseguenza, ai farmaci che inducono la ferroptosi. Negli ultimi anni, indurre la ferroptosi era risultato sempre più spesso una valida strada per lo sviluppo di strategie antitumorali innovative. Questi nuovi dati sono promettenti e incoraggiano a replicare la scoperta su altri modelli di cancro. Se confermati, potrebbero gettare le basi per sviluppare strategie su misura per aiutare i farmaci antitumorali a uccidere meglio le cellule cancerose.
OTTIMI RISULTATI PER UN FARMACO IMMUNOTERAPICO
PER IL LINFOMA DI HODGKIN AVANZATO I
l New England Journal of Medicine ha pubblicato i risultati di uno studio clinico di fase 3 che valuta un nuovo trattamento per il linfoma di Hodgkin in stadio avanzato in pazienti pediatrici e adulti. Lo studio ha coinvolto 256 centri negli Stati Uniti e in Canada, per un totale di 994 pazienti, e ha confrontato la sopravvivenza libera da progressione di quelli trattati con N-AVD (il farmaco immunoterapico nivolumab combinato con i chemioterapici doxorubicina, vinblastina e dacarbazina) con quella di chi ha invece ricevuto l’attuale standard di cura (brentuximab vedotin con la stessa combinazione di farmaci dell’altro gruppo di pazienti). Il nuovo trattamento con nivolumab ha mostrato risultati migliori in termini di periodo libero da progressione di malattia (il 92 per cento dei pazienti non ha avuto progressione nei 2 anni a seguire contro l’81 per cento delle precedenti terapie) e di effetti collaterali. Un miglioramento significativo. Questi benefici sono risultati coerenti in tutti i sottogruppi di pazienti predefiniti, anche in base all’età della persona e allo stadio della malattia.
I benefici sono risultati coerenti in tutti i sottogruppi di pazienti
LE PERSONE IN SOVRAPPESO
Anche grazie a studi condotti da ricercatori AIRC sappiamo che sono almeno 12 i tumori attualmente correlati all’obesità: a quelli che colpiscono l’apparato digerente si aggiungono quelli del pancreas, della colecisti, del seno, dell’utero, dell’ovaio e, anche se in misura meno significativa, i tumori della tiroide, del rene e della prostata. Da uno studio che ha coinvolto quasi 27.000 persone sopravvissute a forme di cancro non metastatico, è emerso che coloro che erano sovrappeso o obesi al momento della loro prima diagnosi di cancro erano a più alto rischio di sviluppare un secondo tumore, e in particolare uno tra quelli correlati all’obesità. Il 14 per cento dei soggetti monitorati ha infatti sviluppato un secondo tumore negli anni, e un terzo di questi tumori rientrava, appunto, tra quelli legati all’obesità. Il 42,8 per cento di chi aveva superato un primo cancro era sovrappeso al momento della diagnosi, e il 17,2 per cento era obeso. Le persone in sovrappeso presentavano un rischio del 15 per cento maggiore di un secondo tumore rispetto ai normopeso, mentre le persone obese del 34 per cento, e addirittura un rischio aumentato del 78 per cento di sviluppare un secondo cancro correlato all’obesità. Sono risultati interessanti perché sono dati presi dal Cancer Prevention Study II, un ampio studio prospettico che ha analizzato le stesse persone per 25 anni, dal 1992 al 2017.
SVAPARE E FUMARE INSIEME
SEMBRA AUMENTARE
IL
RISCHIO DI CANCRO AL POLMONE DI BEN 4 VOLTE
Spesso si considera la sigaretta elettronica come un’alternativa innocua alla normale sigaretta, come se svapare fosse sano quanto smettere di fumare o non fumare affatto. Le evidenze scientifiche degli ultimissimi anni ci suggeriscono però che non è così. Il potenziale impatto delle e-cig sul rischio di cancro ai polmoni rimane ancora un terreno per lo più inesplorato, visti i pochi anni trascorsi dalla messa in commercio e la varietà di prodotti a disposizione. Sappiamo però che l’esposizione alla nicotina tramite l’uso di sistemi di erogazione elettronici come le e-cig aumenta il rischio di determinate condizioni polmonari, come per esempio il danno polmonare associato allo svapo. In uno studio pubblicato sul Journal of Oncology Research and Therapy i ricercatori hanno esaminato l’associazione fra svapo e fumo di sigaretta in relazione al rischio di cancro ai polmoni. Lo studio, condotto in Ohio, ha confrontato 4.975 individui con recente diagnosi di carcinoma polmonare con 27.294 persone senza neoplasie. Ne è emerso un rischio 4 volte più alto di tumore ai polmoni tra gli individui che svapavano in combinazione con il fumo cronico rispetto agli individui che fumavano solo sigarette.
L’esposizione alla nicotina tramite e-cig aumenta il rischio di alcune condizioni
Premi Nobel microRNA e proteine
SCOPERTE DA NOBEL E RICERCA SUI TUMORI
In questo articolo:
— MICRORNA — STUDIO DELLE PROTEINE — INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Le scoperte per la chimica e la medicina premiate con il Nobel 2024 hanno portato diversi vantaggi alla ricerca sui tumori, ed è probabile che continueranno a farlo
Ia cura di Camilla Fiz
premi Nobel per la fisiologia o la medicina e quelli per la chimica dello scorso ottobre sono stati assegnati a due scoperte che, oltre ad aver rivoluzionato il mondo della ricerca, stanno aiutando a conoscere meglio il funzionamento delle cellule tumorali e a sviluppare nuovi strumenti diagnostici e terapeutici. Il primo riconoscimento ha premiato il contributo di Victor Ambros e Gary Ruvkun – professori rispettivamente delle Scuole di medicina dell’Università del Massachusetts e di Harvard, negli Stati Uniti – per aver scoperto e compreso il ruolo dei microRNA nella regolazione dei geni. Quello per la chimica è stato invece assegnato a David Baker, professore all’Università di Washington, sempre negli Stati Uniti, che per la prima volta ha progettato nuove proteine al computer. Il premio è stato inoltre condiviso con Demis Hassabis e John M. Jumper – il primo CEO e il secondo ricercatore presso DeepMind, società di proprietà di Google – che hanno continuato lo studio sulle proteine, sviluppando un sistema di intelligenza artificiale che ne prevede la
Dall'alto a sinistra
David Baker, Demis Hassabis, Gary Ruvkun, John Jumper, Victor Ambros
struttura e le interazioni. In entrambi i casi, i Nobel hanno riconosciuto il valore di due percorsi di ricerca iniziati più di trent’anni fa.
MICRORNA, NUOVE RISPOSTE E STRUMENTI PER LA RICERCA ONCOLOGICA
Nel 1993, Ambros e Ruvkun dimostrarono per la prima volta l’esistenza dei microRNA in una specie di verme, il Caenorhabditis elegans, comunemente usato e studiato in laboratorio. La scoperta indicava che la regolazione dei geni fosse più complessa di quanto si pensasse allora, e non fosse un’attività esclusiva degli mRNA, molecole che mediano la trasmissione delle informazioni contenute nei geni. Per quanto fosse rivoluzionaria, la scoperta attirò l’attenzione della comunità scientifica soltanto una decina di anni dopo, quando venne identificato let-7, un microRNA codificato da un gene che è presente in esseri umani,
Ci si aspetta che entrambe le scoperte potranno inizialmente trovare
applicazione soprattutto nella diagnostica dei tumori
rettili, meduse e altri animali. Divenne evidente che la funzione dei microRNA nella regolazione dei geni doveva essere davvero importante, per essersi conservata fino a oggi nel lungo processo evolutivo di specie tanto diverse tra loro.
“Dopo la scoperta dei microRNA, abbiamo compreso molti eventi cellulari a cui non riuscivamo a dare una spiegazione prima” racconta Manuela Ferracin dell’Università di Bologna, che studia queste molecole dai primi anni Duemila. Col tempo, si sono sviluppate nuove tecniche di analisi specifiche per i microRNA e si è iniziato a capire il loro ruolo nei tumori. “Ora sappiamo che la loro attività è alterata in tutte le condizioni patologiche e in modo molto specifico, visto che il profilo di espressione dei microRNA varia a seconda della tipologia di cancro” spiega la ricercatrice. Grazie a questa proprietà, diversi studi clinici stanno testando queste molecole come marcatori per segnalare la presenza di una neoplasia o monitorare la risposta al trattamento, ma anche per fini terapeutici. In uno stato tumorale, ripristinare l’attività alterata di determinati microRNA potrebbe ridurre l’attività di geni che favoriscono lo sviluppo della malattia.
PROTEINE AL COMPUTER, VERSO
UNA
RICERCA OTTIMIZZATA
Fin dagli anni Settanta, i chimici hanno cercato di capire come si organizzano a livello strutturale le proteine, ovvero le unità fondamentali che permettono ogni funzione biologica, in modo da poter poi costruirne di nuove partendo dalle sequenze di amminoacidi. Fu David Baker, nei primi anni Duemila, a riuscire a calcolare nel modo corretto tutte le interazioni chi-
miche e fisiche che avvengono tra gli amminoacidi, per poi progettare una nuova proteina con una struttura tridimensionale. “È stato un salto in avanti enorme per la conoscenza scientifica” afferma Giorgio Colombo, professore di chimica all’Università di Pavia. Negli anni seguenti, sono stati sviluppati nuovi enzimi per indurre reazioni chimiche, fino alle recenti mini-binding protein, che potrebbero essere usate come farmaci biologici antitumorali ad alta specificità di azione. Se a Baker viene riconosciuto soprattutto il contributo teorico, ad Hassabis e Jumper va riconosciuto quello operativo, per aver creato nel 2020 AlphaFold2, un sistema di intelligenza artificiale che prevede la struttura delle proteine e le loro interazioni, con un’accuratezza di risultati mai raggiunta prima. Le applicazioni delle varie versioni di AlphaFold sono soltanto agli inizi, ma stanno già cambiando il settore. “Il programma può velocizzare e ottimizzare il processo di ricerca in laboratorio, dalla sua progettazione alla valutazione dei risultati, senza però sostituirlo” spiega Colombo. AlphaFold potrebbe consentire così di comprendere meglio i meccanismi cellulari, studiare le mutazioni genetiche che favoriscono la crescita tumorale e creare nuovi agenti terapeutici e diagnostici sempre più precisi.
Per quanto riguarda sia i microRNA. sia i sistemi di intelligenza artificiale per costruire e studiare nuove proteine, è ancora presto per vedere i primi risultati nella pratica oncologica, anche se, secondo Ferracin e Colombo, ci si aspetta che entrambe le scoperte potranno inizialmente trovare applicazione soprattutto nella diagnostica dei tumori.
Dieta mediterranea
QUANTE PERSONE SEGUONO LA DIETA MEDITERRANEA OGGI IN ITALIA?
a cura di Riccardo Di Deo
Adottare la dieta mediterranea aiuta a prevenire numerose forme di tumore, ma in Italia questo modello viene seguito pienamente solo dal 5 per cento degli adulti
L’Italia è uno dei Paesi culla della dieta mediterranea. Ancel e Margaret Keys descrissero per la prima volta le caratteristiche di questo modello alimentare proprio percorrendo il nostro Paese, nei primi anni Cinquanta del secolo scorso. La dieta mediterranea si basa sul consumo abbondante di alimenti di origine vegetale come verdura, frutta, legumi, cereali e derivati integrali, olio extra-vergine di oliva come principale fonte di grassi e un apporto moderato di proteine animali, prediligendo pesce, latticini magri, uova e carne bianca.
Gli studi condotti finora, principalmente di natura epidemiologica, hanno confermato che chi segue questo modello ha un rischio più basso di ammalarsi di numerose forme di cancro. Lo mostra, per esempio, una revisione di 83 studi sul tema risalente al 2017, secondo cui questo stile alimentare si associa a un minor rischio di cancro al colon-retto, allo stomaco, al fegato, al distretto testa-collo, al seno e alla prostata, nonché di mortalità per cancro.
Ma se oggi Ancel e Margaret Keys tornassero a percorrere l’Italia, troverebbero ancora le stesse abitudini di allora? Purtroppo no: le abitudini alimentari della popolazione italiana si sono progressivamente allontanate dal modello mediterraneo, un cambiamento che, insieme all’aumento della sedentarietà, ha determinato un incremento dei tassi di sovrappeso e obesità e una maggiore incidenza di malattie croniche, come patologie cardiovascolari, diabete e tumori.
A confermare questa tendenza sono i dati raccolti negli ultimi 10 anni, che evidenziano una bassa o moderata aderenza alla dieta mediterranea in tutti i Paesi del bacino del Mediterraneo, soprattutto tra le fasce più giovani della popolazione. Due recenti studi hanno infatti rilevato che solo il 5 per cento dei bambini delle scuole primarie e il 16 per cento degli studenti delle scuole secondarie aderiscono in modo corretto a questo modello.
Nel 2024, l’Istituto superiore di sanità ha diffuso i risultati dell’indagine ARIANNA (Aderenza alla dieta me-
LE ARANCE DELLA
SALUTE 2025
Adottare uno stile di vita sano aiuta a prevenire il 40 per cento dei tumori. Scegliere le Arance della Salute di AIRC, da oltre trent’anni un simbolo della sana alimentazione, è un gesto che fa bene sia a noi stessi sia all’intera comunità, perché permette di sostenere la ricerca su metodi sempre più efficaci per prevenire, diagnosticare precocemente e curare il cancro. Il 25 gennaio, in migliaia di piazze su tutto il territorio nazionale, sarà possibile ricevere dai nostri volontari reticelle di arance rosse, miele di fiori d’arancio e marmellate di arance, in cambio di una donazione minima rispettivamente di 13 €, 10 € e 8 € che vanno interamente ad AIRC. Contribuiscono alla distribuzione anche bambini e bambine, ragazzi e ragazze di centinaia di istituti scolastici, nell’ambito dell’iniziativa Cancro io ti boccio.
Le Arance della Salute di AIRC possono essere utilizzate come ingrediente di gustose ricette. Ne abbiamo raccolte alcune nella pubblicazione speciale che sarà distribuita insieme ai prodotti solidali, e che sarà dedicata alle azioni quotidiane che ognuno di noi può fare per aiutarsi a rimanere in salute. Sarà possibile continuare poi a sostenere la ricerca in occasione del World Cancer Day del 4 febbraio con le Arance rosse per la Ricerca, un’altra iniziativa che prende il via nei supermercati dopo l’appuntamento nelle piazze. In questo caso, Fondazione AIRC riceve 50 centesimi di euro per ogni reticella di arance venduta dalle insegne aderenti in 10.000 punti vendita.
Per maggiori informazioni, visita il sito airc.it o inquadra il QR Code.
BRANZINO AL PROFUMO DI ARANCIA SU CREMA DI BROCCOLO
Ingredienti per 2 persone:
• 2 filetti di branzino
• 1 arancia (fette e succo)
• Capperi q.b.
• Cipolla q.b.
• 200 g di broccolo
• 1 porro
• Olio extravergine di oliva (EVO)
• Sale e pepe q.b.
• Erbe aromatiche a piacere
Preparazione
diterranea in Italia). L’analisi è nata con l’obiettivo di investigare l’adesione alla dieta e i suoi determinanti socio-demografici in un campione di adulti di età superiore ai 17 anni, attraverso un questionario validato somministrato online. All’indagine hanno partecipato 3.732 adulti volontari, di cui l’87,7 per cento donne e il 71,3 per cento aveva un’età compresa tra i 17 e i 40 anni. La maggioranza degli intervistati (83,8 per cento) ha mostrato un’aderenza moderata alla dieta mediterranea, l’11,3 per cento una bassa aderenza, mentre solo il 5 per cento ha riportato un’ottima adesione.
L’analisi dei dati ha evidenziato una maggiore aderenza al modello mediterraneo tra le donne, i giovani sotto i 40 anni, gli studenti e i non occupati, e in chi segue diete vegane o vegetariane. Al contrario, i lavoratori, a tempo pieno e parziale, mostravano una minore aderenza, probabilmente a causa del ridotto tempo disponibile per la preparazione dei pasti. Questi dati suggeriscono la necessità di implementare strategie di intervento mirate per promuovere una maggiore adesione al modello mediterraneo, che può avere benefici non solo sulla salute umana, ma anche sull’ambiente in cui viviamo.
Preriscaldate il forno a 180 °C. Preparate un foglio di carta forno e adagiate i filetti di branzino. Condite con pepe, olio EVO, fette di arancia, capperi, cipolla tagliata sottilmente, il succo di un’arancia, le erbe aromatiche e un pizzico di sale. Chiudete i cartocci e cuocete in forno per circa 15 minuti.
Nel frattempo, cuocete a vapore il broccolo e il porro per circa 10 minuti.
Frullate il tutto con un filo d’olio EVO, sale e pepe fino a ottenere una crema liscia, aggiungendo acqua se necessario. Versate la crema di broccoli nel piatto, aprite i cartocci e adagiatevi sopra il branzino.
Raccolta fondi
I Giorni della Ricerca
LA CURA SI CHIAMA RICERCA
Per tutto il mese di novembre
AIRC ha mobilitato il Paese per trasformare più rapidamente la ricerca in cura
a cura della redazione
Nel mese di novembre i Giorni della Ricerca hanno dato vita a una vera e propria staffetta a sostegno della ricerca. Una grande mobilitazione partita con la cerimonia al Palazzo del Quirinale alla presenza del Presidente Sergio Mattarella. Il testimone è passato poi via via dalle trasmissioni televisive e radiofoniche della RAI ai media, dagli studenti delle scuole superiori e dell’università agli stadi di calcio della Serie A e della Nazionale, per arrivare a migliaia di volontari, coordinati dagli uffici regionali, impegnati a distribuire i Cioccolatini della Ricerca.
INSIEME
Per 8 giorni, RAI e AIRC hanno unito le forze in una straordinaria campagna di informazione che ha coinvolto contemporaneamente tv, radio, testate giornalistiche, web e social. Tutto il palinsesto – dall’informazione all’intrattenimento, dalla cultura allo sport – ha raccontato gli avanzamenti della ricerca e le sfide del futuro attraverso le storie di ricercatori, medici, volontari e soprattutto di donne e uomini che hanno affrontato la malattia. Uno straordinario esempio di servizio pubblico che si rinnova dal 1995, portando nelle case degli italiani la corretta informazione sul tema cancro per contrastare le fake news e i facili sensazionalismi, attraverso contenuti verificati e portavoce autorevoli.
Domenica 3 Mara Venier ha acceso ufficialmente il numeratore delle donazioni con Domenica In. Il racconto di AIRC ha attraversato tantissime trasmissioni tv e radio, che hanno partecipato con spazi di approfondimenti o rilanciando gli appelli alla donazione in favore dei ricercatori: da Unomattina a Vita in Diretta, da La Volta Buona a Citofonare Rai2, da Checkup a Geo, da Ballando con le Stelle a Da Noi... a Ruota Libera, da Progetto Salute a Caterpillar, da Radio3Scienza a Sabina Style. Antonella Clerici, inoltre, per tutta la settimana ha portato i temi di AIRC nel suo È sempre mezzogiorno. Tanti gli appuntamenti interamente dedicati alla Fondazio-
ne: tra questi lo Speciale Elisir, in cui Michele Mirabella, Benedetta Rinaldi e Francesca Parisella hanno fatto un punto sulle novità e le prossime sfide della ricerca oncologica; e Uno Mattina in Famiglia, dove Beppe Convertini, Ingrid Muccitelli e Monica Setta hanno raccontato storie di ricerca e di rinascita. Anche il game show l’Eredità con Marco Liorni ha dedicato una puntata ad AIRC, coinvolgendo i campioni del quiz accanto ad alcuni ricercatori. Immancabile il contributo di Carlo Conti, che ha confermato la grande capacità di coniugare ascolti, intrattenimento, sensibilizzazione e raccolta fondi con la puntata finale di Tale e Quale Show nel prime time di Rai1. Ospiti speciali Gaia Buonaurio, testimone della ricerca curata a 12 anni per un osteosarcoma, e Stefano Crippa, ricercatore AIRC. Anche l’informazione, il digital e i canali tematici RaiGulp e RaiMovie hanno partecipato alla maratona con contenuti a supporto della campagna.
I CIOCCOLATINI DI AIRC: UN POTENTE STRUMENTO DELLA
RICERCA SUL CANCRO
Microscopi, vetrini, ampolle, guanti e pipette: sono solo alcuni degli strumenti che utilizzano gli scienziati per il loro lavoro. Ma anche una confezione di Cioccolatini della Ricerca può accelerare gli studi nei laboratori, portando nuove risorse. Per questo sabato 9 le volontarie e i volontari AIRC hanno distribuito in 2.000 piazze le confezioni di cioccolato firmato Venchi, a fronte di una donazione mini-
ma di 15 euro. Il cioccolato fondente, se consumato in quantità moderata, può essere un alleato per il benessere fisico. Contiene infatti cacao ricco di molecole con potenziali effetti favorevoli sulla salute. Per tutto novembre, inoltre, i dipendenti di Banco BPM, partner istituzionale di AIRC, hanno proseguito la distribuzione nelle filiali sul territorio e parallelamente è stato possibile ordinarli su Amazon.it per riceverli direttamente a casa.
IL MONDO DEL CALCIO IN CAMPO PER FARE TANTI GOL PER LA RICERCA
I campioni del calcio, le squadre della Serie A Enilive e gli Azzurri hanno rinnovato il loro impegno per AIRC scendendo in campo per la ricerca. Una mobilitazione corale del mondo del pallone possibile grazie al sostegno di FIGC, Lega Serie A, Enilive e AIA, e al supporto dei media sportivi. La squadra di Un Gol per la Ricerca si è presentata con una formazione ancora più competitiva guidata da Gianluigi Buffon, il primo a indossare la nuova maglia con i colori della ricerca della Fondazione. Accanto a lui Francesco Acerbi, Lorenzo De Silvestri, Valentina Giacinti e Claudio Marchisio e i tanti campioni che si sono attivati nella dodicesima giornata di campionato e in occasione della partita di Nations League Italia – Francia.
DAL 3 AL 10 NOVEMBRE RAI E AIRC HANNO AFFRONTATO IL CANCRO
Raccolta fondi
I Giorni della Ricerca
UNO STRAORDINARIO MOTORE DI IMPEGNO SOCIALE
a cura della redazione
“La comunità di AIRC, ogni anno, si fa promotrice dei Giorni della Ricerca, straordinario motore di iniziativa”
Lunedì 28 ottobre si è tenuta al Palazzo del Quirinale l’annuale cerimonia dedicata ai Giorni della Ricerca. Il ministro dell’università e della ricerca Anna Maria Bernini, il ministro della salute Orazio Schillaci, il presidente Andrea Sironi e la direttrice scientifica Anna Mondino di Fondazione AIRC, e Alessio Menga, ricercatore AIRC presso l’Università degli studi del Piemonte Orientale, hanno presentato al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella i risultati di un anno di lavoro per la prevenzione, la diagnosi e la cura del cancro.
“Celebrare l’appuntamento con i ‘Giorni della Ricerca’ in questo luogo amplifica il silenzioso e costante lavoro delle ricercatrici e dei ricercatori rafforzando anno dopo anno la centralità della scienza per il progresso del nostro Paese” ha dichiarato Andrea Sironi.
Un lavoro che non può prescindere dallo sviluppo di tecnologie avanzate e collaborazioni multidisciplinari internazionali che hanno già permesso di raggiungere considerevoli traguardi. Traguardi cui AIRC ha contribuito, come ha sottolineato Anna Mondino: “AIRC è stata motore di avanzamento
scientifico basato su meritocrazia e competitività, supportato dalla partecipazione della società civile. Siamo grati ai donatori e ai volontari attivi su tutto il territorio italiano”.
Anche il Presidente Mattarella ha evidenziato l’importanza della comunità di AIRC, “una comunità che, ogni anno, si fa promotrice dei Giorni della Ricerca, straordinario motore di iniziativa, di conoscenza, di impegno sociale, finalizzato a far progredire il Paese nella cura dei tumori, e dunque nella qualità della vita delle persone”. Al termine della cerimonia, il Presidente della Repubblica ha consegnato 5 importanti riconoscimenti a scienziati e sostenitori di AIRC.
Il premio Guido Venosta è stato assegnato al ricercatore AIRC Mario Paolo Colombo dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano, per aver contribuito a ricerche originali in onco-immunologia e partecipato alla definizione di correlati studi clinici, per aver ricoperto posizioni di responsabilità nella gestione della ricerca e nella sua divulgazione, aver contribuito alla costruzione di reti nazionali per la ricerca oncologica integrate nel panorama internazionale, e per essere stato un punto di riferimento per tanti giovani scienziati.
Inoltre, il premio AIRC Credere nella Ricerca è stato attribuito a Gianluigi Buffon, per aver saputo coinvolgere le giovani generazioni nelle iniziative di divulgazione di Fondazione AIRC; alla famiglia Barilla, esempio di impegno sociale, per la costante e generosa vicinanza alla missione di Fondazione AIRC; all’Istituto Comprensivo Piaget – Majorana, per l’impegno concreto nel sensibilizzare gli studenti e le studentesse sul valore della ricerca scientifica e sull’importanza della cultura della prevenzione nell’ambito del progetto AIRC nelle scuole; e a Penny Italia per la partecipazione attiva al fianco di AIRC sui temi della prevenzione oncologica, comunicando e proponendo ai propri clienti azioni concrete per uno stile di vita salutare, a partire dall’alimentazione.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con i ragazzi dell'IC Piaget – Majorana
Raccolta fondi
Collaborazioni
Roma Marathon: 16 marzo 2025
Milano Marathon: 6 aprile 2025
Torna il progetto #oggicorroperairc: una doppia sfida, sportiva e solidale, grazie alla quale è possibile correre e impegnarsi in un’attività di raccolta fondi benefica ma soprattutto divertente.
Runner di qualsiasi livello, famiglie, amici, colleghi, potranno iscriversi alle diverse gare: maratona (42,195 km), staffetta (4X10 km) o stracittadina (5 km).
Vuoi contribuire a finanziare la ricerca oncologica? Corri o cammina al fianco di Fondazione AIRC. Affrontiamo il cancro. Insieme.
Per informazioni scrivi a: run4.roma@airc.it run4.milano@airc.it
REALTÀ LOCALI: L’ESEMPIO DI GIANNASI
Il nostro lavoro dipende dal sostegno generoso e fiducioso di aziende che condividono i nostri valori e la nostra missione. AIRC, attraverso percorsi virtuosi di collaborazione, offre alle realtà locali, alle imprese nazionali e internazionali, l’opportunità di avere un impatto tangibile sulla comunità, contribuendo al progresso della ricerca oncologica e alla promozione della cultura della prevenzione.
Tramite queste collaborazioni, i valori condivisi dell’azienda e di AIRC trovano realizzazione in progetti di comunicazione e raccolta fondi mirati a raggiungere gli obiettivi della ricerca e migliorare la vita delle persone: la nostra Fondazione mette a disposizione delle imprese contenuti esclusivi sui progressi della ricerca in campo oncologico e informazioni utili sulla prevenzione e sui corretti stili di vita.
Numerose sono state le iniziative di raccolta fondi promosse da imprese virtuose che, grazie al coinvolgimento di clienti e dipendenti, hanno scelto di puntare sul benessere del consumatore e dei loro lavoratori.
Tra queste la speciale iniziativa, organizzata e promossa da Giannasi 1967 che, ogni anno, ha scelto di devolvere l’incasso di un’intera giornata total-
mente ad AIRC: “Sono al fianco della Fondazione, insieme a tutto il mio staff, dal 2007” sottolinea Dorando Giannasi. “Ogni anno mi stupiscono il sostegno e la partecipazione dei nostri clienti in occasione dell’iniziativa dedicata ad AIRC. Sappiamo bene che la ricerca ha bisogno di tempo e risorse, ma grazie alla Fondazione abbiamo visto in questi anni anche tanti importanti passi avanti nella prevenzione e nella cura di questa malattia.” L’impegno di Giannasi ha permesso di raccogliere negli anni l’equivalente di 11 borse di studio, e i fondi raccolti nel 2024 consentiranno di finanziarne un’altra.
Sostenere la ricerca oncologica è un impegno al quale tutti noi siamo chiamati. È per questo che invitiamo professionisti, esercenti e realtà imprenditoriali che costituiscono
il tessuto produttivo italiano a unire gli sforzi, al fianco dei pazienti oncologici e delle loro famiglie, per moltiplicare le risorse necessarie a raggiungere un obiettivo comune: costruire un futuro dove il cancro sia sempre più curabile.
TIGOTÀ A SOSTEGNO DI AIRC
Per il secondo anno torna la mascotte Tiffy a favore della ricerca sui tumori pediatrici. Per tutto febbraio 2025, per ogni peluche acquistato presso tutti i punti vendita, Tigotà donerà 1 € a Fondazione AIRC a favore di un progetto di ricerca Investigator Grant sui tumori infantili.