La rivista di divulgazione scientifica più diffusa in Italia
VOLONTARIATO
personal fundraising è
modo
la ricerca VACCINO ANTI-HPV Dalla Scozia arrivano nuove evidenze sulla sua efficacia LORIS DE CECCO Alla ricerca di terapie sempre più efficaci per i tumori testa-collo NUMERO 3 - GIUGNO 2024 Numero 3giugno 2024Anno LIIAIRC EditorePoste Italia ne spa Sped. in Abb. Postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 LO/MIISSN 2035-4479
Il
un
semplice di sostenere
FONDAMENTALE giugno 2024
Loris De Cecco
Tumori distretto testa-collo
Vaccino
Fumo
Lasciti
I
Recensioni
Alzheimer
Jennifer
Particolato
Inibitori
Modalità
Bilancio d’esercizio
Personal
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FONDAMENTALE
Anno LII - Numero 3
Giugno 2024 - AIRC Editore
DIREZIONE E REDAZIONE
Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro ETS
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I vaccinati contro l’HPV sono ancora troppo pochi
RACCOLTA FONDI
Fondamentale è stampato su carta certificata e proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici.
Sommario
PREVENZIONE
12 Loris
viaggio verso l’ignoto
06 Personal fundraising: un modo di raccogliere fondi per AIRC alla portata di tutti
36 12/
De Cecco in
RICERCA E CURA
SCREENING ONCOLOGICI
HPV 14/ NOTIZIE FLASH
dal mondo 16/ STILI DI VITA
...
e cancro 19/ TESTIMONIANZE
testamentari 22/ SPERIMENTAZIONE ANIMALE
20/ RUBRICHE
24/ IFOM
traguardi dei nostri ricercatori
26/ VITE PER LA RICERCA
e cancro
Emmanuelle Charpentier 28/ AMBIENTE E CANCRO
Doudna ed
30/ GUIDA ALLE TERAPIE
atmosferico
33/ ALIMENTAZIONE
dei check-point immunitari
34/ BILANCIO AIRC
di cottura
36/ VOLONTARIATO
2023
37/ TESTIMONIANZA
fundraising
38/ COLLABORAZIONI
09/
PUNTO
FACCIAMO IL
06/ VITA DA RICERCATORE
TANTI MODI PER AIUTARE
LA RICERCA
• con conto corrente postale n. 307272;
• con carta di credito, telefonando al numero verde 800 350 350, in funzione tutti i giorni 24 ore su 24 o collegandosi al sito airc.it;
• con un piccolo lascito nel suo testamento; per informazioni, airc.it/lasciti oppure tel. 02 77 971;
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ATTENTI ALLE TRUFFE
AIRC non effettua la raccolta fondi “porta a porta”, con incaricati che vanno di casa in casa. Nel caso dovesse succedere, stanno tentando di truffarvi. Denunciate subito la truffa chiamando il numero unico per le emergenze 112.
UN FUTURO ANCORA MIGLIORE
IAndrea Sironi Presidente AIRC
n questo numero di Fondamentale pubblichiamo alcuni dati relativi al bilancio 2023 approvato lo scorso mese di aprile dagli organi della nostra Fondazione. È l’occasione per fare il punto sulla situazione economico-finanziaria di AIRC e sulla capacità di far fronte alla nostra missione istituzionale: rendere il cancro sempre più curabile.
Vi sono alcuni punti importanti che emergono da una lettura dei dati di bilancio che vale la pena di evidenziare. Anzitutto, l’attività di raccolta fondi, cresciuta del 5 per cento rispetto al 2022, prosegue con successo, con un totale di oltre 170 milioni. Questo incremento di quasi 8 milioni di euro è legato a un aumento di tutte le principali fonti di raccolta (5 per mille, manifestazioni nazionali, lasciti, contributi da imprese e individui). In particolare, la raccolta frutto delle manifestazioni nazionali di piazza è cresciuta di oltre il 17 per cento. Il merito di questo aumento è di tutti coloro che hanno partecipato a queste campagne, sia come donatori, sia come volontari. A tutti loro, e in particolare ai nostri 17 comitati regionali, va il mio più sentito ringraziamento e l’augurio di poter continuare con questo impegno anche per il 2024.
In secondo luogo, a fronte di finanziamenti pubblici alla ricerca scientifica decisamente inferiori a quelli di altri Paesi europei, i dati di bilancio mostrano chiaramente come AIRC continui a svolgere, con erogazioni pari a oltre 140 milioni euro, il ruolo di spina dorsale del finanziamento della ricerca oncologica nel nostro Paese. Sono ormai 6.000 i ricercatori AIRC che ogni anno beneficiano di un finanziamento della nostra fondazione e che grazie a questo contributo possono continuare a svolgere con successo la propria attività scientifica. Come noto, negli ultimi anni abbiamo incrementato i fondi destinati ai più giovani, con bandi dedicati in modo specifico a scienziati con meno di 40 anni.
Tutto questo viene peraltro realizzato con un elevato grado di efficienza, con un’incidenza delle spese che supera di poco il 15 per cento dei fondi raccolti. In altri termini, per ogni 100 euro raccolti, quasi 85 vengono destinati al finanziamento della ricerca e alla divulgazione. Si tratta di un livello di efficienza molto migliore di quello della gran parte delle istituzioni simili in Italia e in Europa. Infine, i dati di stato patrimoniale mostrano come la nostra fondazione sia particolarmente solida, con un elevato livello di patrimonializzazione, a garanzia degli impegni pluriennali assunti nei confronti dei nostri ricercatori e della capacità di sostenere eventuali opportunità di investimento che si dovessero cogliere in futuro.
In conclusione, possiamo essere soddisfatti dell’attività svolta nel corso del 2023. Ora si tratta di impegnarsi tutti a fondo per far sì che il 2024 sia un anno ancora migliore!
Federico Caligaris Cappio
Direttore scientifico AIRC
PERCHÉ COSÌ
GIOVANI?
Nel 2017 e 2018 AIRC ha lanciato i programmi 5 per mille sulla malattia metastatica, programmi che stanno migliorando la comprensione di alcuni meccanismi che favoriscono la formazione di metastasi, e che hanno permesso di iniziare a sviluppare terapie innovative per alcune categorie di pazienti. In questo contesto generale, i ricercatori si imbattono anche in nuovi e spesso inaspettati problemi.
Uno di questi è l’incremento dei tumori solidi in età giovanile, cioè l’aumentata incidenza (e aggressività) di tumori classicamente tipici delle persone di età media o avanzata e che invece vengono diagnosticati in numero crescente in adolescenti e giovani adulti (tra 15 e 39 anni) o comunque in soggetti con meno di 50 anni di età. Un esempio per tutti è rappresentato dalle neoplasie dell’intestino. Il problema è stato ampiamente riportato dai media, ne abbiamo parlato anche sul numero di gennaio di Fondamentale, ed è osservato in tutti i Paesi in cui la qualità e la durata della vita sono più avanzate. Anche se i numeri non sembrano essere così drammatici come inizialmente suggerito, si tratta tuttavia di un problema emergente a cui è stato di recente dedicato un intero numero del Journal of Clinical Oncology, prestigiosa rivista dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), e che induce gli oncologi a porsi una serie di interrogativi. La prima e ovvia domanda è: perché in questa fascia di età? Cosa provoca una simile anticipazione anagrafica? Non vi è a tutt’oggi una risposta convincente. Rari casi sono legati alla presenza di anomalie genetiche, note responsabili di una familiarità aumentata, e la ricerca è attivamente impegnata nel cercare altre anomalie genetiche o epigenetiche, probabili o verosimili, ma a tutt’oggi sconosciute. Un’ ipotesi che sta guadagnando consensi suggerisce che una causa importante sia una sorta di invecchiamento precoce di alcuni giovani per motivi ancora ignoti. Anche questo meccanismo ha probabilmente cause genetiche che si stanno studiando, e può essere favorito da abitudini alimentari scorrette, responsabili di obesità soprattutto in età infantile e adolescenziale.
La seconda domanda è: perché questi tumori sono particolarmente aggressivi?
La spiegazione più valida è legata alla ritardata diagnosi. I giovani pensano che la diagnosi precoce con gli screening e l’attenzione a segni e sintomi insoliti non li riguardi (“Alla mia età non capita!”). Il tumore è clinicamente aggressivo e le risposte cliniche sono modeste perché la malattia viene diagnosticata quando ormai è (spesso) molto avanzata, in fase metastatica e dunque particolarmente difficile da trattare.
L’insieme di queste osservazioni sottolinea alcuni aspetti a cui AIRC è molto sensibile. Innanzitutto, l’importanza fondamentale della ricerca scientifica per affrontare le sfide che il cancro pone e per chiarire i troppi aspetti ancora ignoti. In secondo luogo, il profondo valore della diagnosi precoce. È la ricerca che implementa la cultura della prevenzione, indagando gli aspetti ancora oscuri dello sviluppo dei tumori e individuando nuovi marcatori e nuove possibilità diagnostiche, che a loro volta possono potenziare e migliorare gli screening, a cui però è indispensabile aderire.
Vita da ricercatore
Loris De Cecco
LORIS DE CECCO IN VIAGGIO VERSO L’IGNOTO
In questo articolo:
— TUMORI TESTA-COLLO — TERAPIE PERSONALIZZATE — PROFILAZIONE MOLECOLARE
Il ricercatore di origini friulane, grande appassionato di Star Trek, ci racconta come è arrivato a occuparsi dei tumori testa-collo, e i progressi ottenuti negli anni nel comprendere meglio queste malattie
"Na cura di Michela Vuga
oi ricercatori siamo la frontiera verso l’ignoto… avete presente Star Trek? Il capitano Kirk con il suo equipaggio va all’esplorazione del cosmo alla ricerca di altre forme di vita e di civiltà, fino ad arrivare ‘laddove nessun uomo è mai giunto prima’. Questo è il nostro lavoro, una sfida continua per andare dove nessuno ha mai pensato, nessuno ha mai osato.” La metafora è di Loris De Cecco, biologo del Dipartimento di oncologia sperimentale presso la Fondazione IRCCS Istituto nazionale dei tumori di Milano, dove studia gli aspetti molecolari dei tumori della testa e del collo, ma anche di quelli cerebrali pediatrici. “A spingermi verso la ricerca oncologica è stato quanto successo a mio padre: si ammalò di tumore alla prostata, inizialmente rispose molto bene alle cure, ma poi arrivò una recidiva. Il cancro progrediva e nulla riuscì a bloccarlo. Io stavo terminando gli studi in biologia all’Università di Trieste.
6 / Fondamentale / Giugno 2024 / Vita da ricercatore / Loris De Cecco
Mi laureai nel 1998 e ottenni una borsa di studio dell’Istituto dei tumori di Milano per lavorare presso il nascente IFOM, l’Istituto di oncologia molecolare di AIRC allora appena fondato.”
DA UNO A TANTISSIMI GENI
Loris ricorda questo inizio di carriera come un periodo straordinario, perché erano anni di grande cambiamento. “Nella sede di IFOM era tutto in costruzione: praticamente solo il secondo piano era agibile, quello che ospitava laboratori all’avanguardia. Ed è lì che iniziai a lavorare. Si apriva un mondo nuovo per l’oncologia, perché per la prima volta si andava oltre ad approcci gene by gene classici degli anni Novanta del secolo scorso, in cui si studiava il singolo gene per vedere cosa succedeva dal punto di vista molecolare. Era possibile invece fare una profilazione molto più estesa, che avrebbe portato a una comprensione più fine dei tumori. E questo era proprio ciò a cui aspiravo.”
La novità assoluta erano le prime piattaforme di microarray, che consentivano di studiare appunto più geni in una volta, prerogativa che
consentiva di costruire direttamente i nostri gene chip. In questo modo, partendo da un campione di RNA, potevamo analizzare da principio l’espressione di 1.000-1.500 geni, per poi nel giro di poco arrivare a 15.000, una quantità incredibile a quell’epoca! Il mio lavoro iniziale è stato mettere a punto le metodologie per sfruttare al meglio queste nuove tecnologie, nonché l’analisi dei dati”.
DAL TUMORE DEL SENO A QUELLI DELLA TESTA E DEL COLLO
Loris in quegli anni si occupa principalmente di trascrittomica (disciplina che studia l’intero profilo degli RNA messaggeri di una cellula) e pubblica molti studi sugli aspetti molecolari relativi all’espressione genica di diversi tipi di tumori, come quelli di ovaio, colon e seno; su quest’ultimo è incentrata la tesi del suo dottorato di ricerca, che ottiene nel 2009. “È ovvio che sul tumore della mammella, il più frequente tra le donne, si faceva e si fa molta ricerca, perché le persone che si ammalano sono tante e vorremmo curarle tutte. Ma in istituto incontravo anche i clinici che trattavano i tumori meno frequenti, come quelli della testa e del collo. Ricordo i loro occhi pieni di tristezza mentre mi chiedevano: ‘Cosa possiamo fare? Cosa diciamo a queste persone?’. Finché a un certo punto percepii con chiarezza tutta l’urgenza di trovare delle risposte, e così iniziai a occuparmene.”
La sfida era, e lo è tutt’oggi, notevole, perché i tumori cosiddetti testa-collo (che colpiscono cavo orale, orofarin-
"A un certo punto percepii con chiarezza tutta l'urgenza di trovare delle risposte per i tumori testa-collo, e così iniziai a occuparmene."
oggi fa sorridere ma che 25 anni fa era “fantasmagorica”, come la definisce Loris: “Eravamo tra i primi ad avere uno spotter, uno strumento che ci
ge, faringe e laringe) presentano difficoltà sia biologicamente sia dal punto di vista dei trattamenti. Nel 2015 il gruppo di Loris De Cecco, guidato da
UN PODCAST FONDAMENTALE
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Silvana Canevari, fu il primo a suddividere questi tumori in sei sottotipi molecolari, ognuno con caratteristiche biologiche specifiche. Un risultato importante, ottenuto grazie al supporto di AIRC e pubblicato sulla rivista Oncotarget, a cui sono seguiti altri studi che hanno permesso di individuare potenziali trattamenti associati a questi sottotipi molecolari. “Spesso mia moglie dice che il mio lavoro è quello di mettere assieme nel posto giusto i vari pezzi del puzzle. E in effetti è quello che abbiamo fatto: inizialmente con il cetuximab, un anticorpo monoclonale che inibisce il fattore di crescita EGFR e che è risultato efficace per trattare il sottotipo CL3 ipossico di tumori testa-collo, e più di recente scoprendo che il sottotipo CL6 risponde all’immunoterapia.”
NIENTE AVVIENE PER CASO
Per arrivare a questi risultati ci sono voluti circa quindici anni: “Per me la scoperta non avviene per caso, ma è frutto di un percorso, del lavoro che porta a comprendere come sono caratterizzati molecolarmente i tumori. È questo il passaggio chiave che può poi permettere di indirizzare il singolo paziente verso il trattamento specificamente più efficace. Il mio progetto di ricerca sostenuto da AIRC si concentra proprio sull’individuazione di biomarcatori che consentano un approccio di cura personalizzato”. Attraverso la profilazione molecolare, Loris punta a stratificare i pazienti in gruppi con caratteristiche molecolari omogenee, per poi individuare
Giugno 2024 / Fondamentale / 7 / Vita da ricercatore / Loris De Cecco
"Il mio lavoro è quello di mettere assieme nel posto giusto i vari pezzi del puzzle."
chi potrà trarre beneficio dall’immunoterapia. L’obiettivo sarà quindi mettere a punto strumenti per monitorare nel tempo l’evoluzione della malattia in questi pazienti.
GLI INCONTRI IMPORTANTI
Un punto di riferimento internazionale per i tumori testa-collo è Ruud Brakenhoff, professore di immunologia del cancro all’Università di Amsterdam, le cui pubblicazioni
Loris ha sempre seguito con grande interesse. “Molti tra gli studi più importanti avevano la sua firma, quindi per me era una sorta di mito. E poi accadde una cosa bellissima: grazie a un progetto europeo Horizon 2020, ho avuto modo di lavorare con lui! Al nostro primo incontro ero un po’ emozionato, ma, a sorpresa, lo era anche lui, che mi accolse con un ‘finalmente!’. Perché, così come io seguivo la sua produzione scientifica,
L'obiettivo di Loris è stratificare i pazienti con caratteristiche molecolari omogenee, per poi capire chi trarrà beneficio dall'immunoterapia
lui seguiva la mia, e mi disse subito di essere stato molto impressionato dalla nostra classificazione dei 6 sottotipi e delle relative firme molecolari. È stato un momento molto significativo per me.”
Altri incontri importanti sono quelli che Loris ha fatto lavorando all’Istituto dei tumori di Milano, a partire da Marco Pierotti, il suo “papà scientifico” e supervisor ai tempi del dottorato. “In seguito, sono stato molto fortunato a incontrare Silvana Canevari, che mi ha seguito quando ero post-doc, Lisa Licitra, con cui lavoro per la ricerca sui tumori testa-collo, e Maura Massimino, con cui collaboro per gli studi sui tumori del cervello nei bambini. Sono persone eccezionali dal punto di vista scientifico, da quello umano e per la loro dedizione ai pazienti. Lavorare con loro mi rende ancora più orgoglioso dei risultati che abbiamo ottenuto. E poi devo ringraziare il mio team: se ho fatto qualcosa di buono lo devo ai ragazzi che lavorano con me.”
GABRIELA, LA MIA ISPIRATRICE
Gabriela Paroni è la moglie di Loris, ricercatrice presso l’Istituto Mario Negri di Milano. Si sono conosciuti all’università, sposati nel 2003 e da sempre condividono la passione per la ricerca. “Lei è la mia ispiratrice: ha un carattere deciso, è sempre stata accanto a me, nessun altro mi avrebbe tollerato. Agli inizi, in IFOM, stavo in laboratorio dalle 10 del mattino alle 3 di notte, lavoravo tantissimo per mettere a punto le metodiche che servivano a studiare la profilazione dei geni. E lei alle nove di sera si presentava con la pizza e mangiava insieme a me. Solo lei capiva quanto era importante per me ciò che stavo facendo.”
Loris e Gabriela sono di origini friulane, lui di Braulins, una piccola frazione del comune di Trasaghis vicino a Gemona, mentre lei è di Bertiolo, vicino a Codroipo. Appena possono, ritornano ai loro paesi, luoghi di grande incanto dove possono rilassarsi e a cui sono affezionati. Infine, dopo la ricerca oncologica e i paesaggi friulani, c’è una terza passione che hanno in comune: quella per Star Trek.
8 / Fondamentale / Giugno 2024
/ Vita da ricercatore /
Loris De Cecco
Facciamo il punto
Tumori distretto testa-collo
TUMORI TESTA-COLLO:
CURE SEMPRE
PIÙ EFFICACI E MAGGIORE ATTENZIONE ALLA QUALITÀ DELLA VITA
In questo articolo:
— QUALITÀ DI VITA
— PAPILLOMAVIRUS (HPV)
— IMMUNOTERAPIA
Chirurgia e radioterapia sempre più mirate e immunoterapia rappresentano le opzioni di trattamento preferenziali. Ma i pazienti oggi necessitano anche di adeguate cure di supporto, durante e dopo aver concluso le terapie
a cura di Fabio Di Todaro
Il fine ultimo non è soltanto permettere ai malati di vivere di più a lungo. Migliorare la qualità della vita dei pazienti è un obiettivo altrettanto importante per i ricercatori. Un assunto che vale anche nella gestione dei tumori del distretto testa-collo (quelli che colpiscono gli organi del cavo orale, la faringe, la laringe, le cavità nasali e i seni paranasali, le ghiandole salivari e si estendono ai linfonodi del collo). “Purtroppo questi pazienti spesso sono chiamati a fare i conti con le conseguenze a lungo termine della malattia e dei relativi trattamenti” afferma Lisa Licitra, direttore della Struttura complessa oncologia medica 3 tumori testa-collo dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano. “Dobbiamo fare di più, come comunità scientifica e istituzioni sanitarie, per offrire più possibilità di gestire questi aspetti.”
Giugno 2024 / Fondamentale / 9 / Facciamo il punto / Tumori distretto testa-collo
OLTRE LE TERAPIE ONCOLOGICHE
Risalgono a meno di due anni fa le prime raccomandazioni europee per il follow-up a medio e lungo termine di questi malati. L’obiettivo è consentire loro di tornare a una vita quanto più possibile prossima a quella che avevano prima di fare i conti con il cancro. Oltre alla necessità di un follow-up, finalizzato a intercettare eventuali recidive, via via meno stringente, nel documento pubblicato sulla rivista Oral Oncology si fa menzione di tutti quegli aspetti di supporto a cui anche l’Unione europea chiede di porre attenzione per una gestione olistica della malattia oncologica. Nel caso dei tumori del distretto testa-collo, vanno considerate per esempio la logopedia, la riabilitazione neurologica e muscoloscheletrica, la gestione del dolore e delle possibili ripercussioni legate alla nutrizione e alla digestione, il monitoraggio della salute orale e dell’udito e il supporto psicologico. Un altro tema da valutare inoltre è il supporto ai malati per aiutarli a evitare di consumare alcolici e prodotti a base di tabacco, aspetti particolarmente critici per questa categoria di persone.
Questioni che i pazienti e i loro caregiver conoscono bene, ma di cui finora il Servizio sanitario nazionale non si è quasi mai fatto carico. Con ricadute inevitabili. “Parliamo di malattie che colpiscono perlopiù gli uomini e gli strati sociali della popolazione più svantaggiati” aggiunge Licitra, unica italiana tra i ricercatori che hanno stilato le raccomandazioni europee. “Gli uomini hanno minor propensione al rapporto con i medici, e i nostri pazienti spesso non dispongono di grandi risorse economiche. Questo rende particolarmente difficile seguirli, una volta terminate le terapie oncologiche.”
TRATTAMENTI SEMPRE PIÙ PRECISI SE LA MALATTIA È LOCALIZZATA
Se oggi si cerca di dedicare lo spazio necessario a questi aspetti, è perché l’integrazione tra chirurgia, radioterapia e cure sistemiche ha permesso di raggiungere per questi tumori una sopravvivenza a 5 anni dalla diagno-
La chirurgia robotica permette oggi di asportare attraverso la bocca tumori che prima dovevano essere rimossi con incisioni esterne, salvaguardando la qualità di vita
si di circa il 60 per cento. Un risultato insperabile fino a qualche anno fa che, per essere ulteriormente migliorato, richiede un aumento delle diagnosi precoci. Questo perché, quanto prima si scopre la malattia, tanto più risolutivi sono l’intervento chirurgico o la radioterapia. “In passato i trattamenti potevano lasciare conseguenze molto evidenti sul volto dei pazienti: ciò comportava gravi problemi dal punto di vista della percezione del proprio corpo e delle relazioni sociali” spiega Giuseppe Spriano, responsabile dell’Unità operativa di otorinolaringoiatria all’Istituto clinico Humanitas di Rozzano (Milano). “In molti casi la qualità di vita era compromessa, per le difficoltà nel parlare e mangiare. Con l’avvento della chirurgia robotica, oggi riusciamo ad asportare anche attraverso la bocca tumori che prima richiedevano di essere rimossi con
incisioni esterne. Così preserviamo i tessuti, riduciamo i danni estetici e funzionali, accorciamo i tempi della degenza e favoriamo una rapida ripresa della vita familiare e lavorativa.” Ma il vantaggio non è soltanto legato alla chirurgia: “Quando il tumore è ancora in stadio I o II, si può ricorrere alla radioterapia, con un’efficacia sovrapponibile a quella che si raggiunge in sala operatoria e in alcuni casi con effetti collaterali ridotti” aggiunge Lorenzo Livi, direttore del Dipartimento di radioterapia dell’Azienda ospedaliero-universitaria Careggi di Firenze.
BOOM DI CASI LEGATI ALL’HPV
Uno dei principali problemi, in questo caso, è rappresentato proprio dalla scarsa diffusione della diagnosi precoce (di pertinenza dell’otorino, dell’odontoiatra o del chirurgo maxillo-facciale). Dei quasi 10.000
10 / Fondamentale / Giugno 2024 I BISOGNI DEI PAZIENTI VANNO
Cavità nasale
Cavità orale
Esofago Faringe Epiglottide Uvula
Lingua Mandibola Laringe Trachea
Labbra
nuovi casi di malattia che si registrano in Italia, soltanto in un terzo gli specialisti si ritrovano di fronte un tumore in stadio iniziale. Segno che si può fare ancora molto per sensibilizzare gli italiani sull’importanza della prevenzione e della diagnosi precoce. “Parliamo di forme di can-
IMMUNOTERAPIA, TRA VANTAGGI E NUOVE SFIDE
In attesa che la diagnosi precoce prenda piede in maniera definitiva, le prospettive sono in miglioramento anche per quei due terzi di persone con recidiva o malattia diffusa ad altri organi. L’avvento dell’immunotera-
La gran parte dei tumori testa-collo sono legati al fumo di sigaretta, al consumo di alcolici e alla diffusione del papillomavirus umano (HPV)
cro che in 7 casi su 10 sono legate al fumo di sigaretta e al consumo di alcolici” precisa Licitra. “A ciò occorre aggiungere un aumento esponenziale dei casi registrati negli ultimi anni a causa della diffusione del papillomavirus umano. Da un lato possiamo dire che i tumori della testa e del collo di origine virale sono meno aggressivi, dall’altro però i casi di cancro legati all’HPV riguardano soprattutto i più giovani, che dovranno quindi fare i conti molto a lungo con l’impatto che la malattia avrà sul resto della loro vita.”
pia – da sola o in combinazione con la chemioterapia, a seconda dell’assetto biologico del tumore – ha prolungato la sopravvivenza in modo importante. I risultati sono però ancora lontani dall’essere paragonabili a quelli osservati in altre forme tumorali. Da qui l’interesse della comunità scientifica nel tentare di chiarire le ragioni di questa parziale inefficacia, che si punta a fronteggiare anche attraverso l’impiego di trattamenti contenenti più farmaci con meccanismi d’azione diversificati. Un’altra priorità è rappresentata dalla gestione degli effetti
I CONSIGLI PER LA
PREVENZIONE E I CAMPANELLI D’ALLARME DA NON TRASCURARE
Astensione dal fumo di sigaretta e dal consumo di alcolici. Ma soprattutto: adesione alla profilassi contro l’HPV, offerta gratuitamente dal Servizio sanitario nazionale a ragazze e ragazzi a partire dagli 11 anni. La prevenzione dei tumori del distretto testa-collo passa in primo luogo da qui, anche perché le tre componenti hanno un effetto sinergico. Diversi studi epidemiologici evidenziano inoltre come l’esposizione all’inquinamento atmosferico e uno stile alimentare non equilibrato aumentino il rischio di sviluppare una di queste malattie. Quanto ai possibili campanelli d’allarme, occorre porre attenzione a sintomi quali “bruciore e lesioni del cavo orale, mal di gola, dolore alla lingua, abbassamento della voce, deglutizione dolorosa e fastidiosa o gonfiore al collo” chiarisce Spriano. “In presenza di uno di questi segnali che persiste per più di tre settimane, è importante sottoporsi a una visita otorinolaringoiatrica per accertare la natura del disturbo.”
collaterali dell’immunoterapia, che si manifestano soprattutto a carico della pelle, degli organi dell’apparato digerente, delle ghiandole endocrine, dei polmoni e delle articolazioni. La necessità di farvi fronte inizia a essere un imperativo: per migliorare la qualità della vita dei pazienti e per non “allontanarli” da terapie salvavita.
Giugno 2024 / Fondamentale / 11 / Facciamo il punto / Tumori distretto testa-collo
Screening oncologici
Vaccino HPV
I VACCINATI CONTRO L’HPV SONO ANCORA TROPPO POCHI
In questo articolo:
— TUMORE DELLA CERVICE UTERINA — PAPILLOMAVIRUS — CAMPAGNA VACCINALE
Gli ultimi dati che arrivano dalla Scozia confermano la grande efficacia del vaccino contro l’HPV nel prevenire i tumori legati a questo virus. Ma in Italia l’adesione alla campagna vaccinale deve crescere
a cura di Michela Vuga
Sono passati quasi vent’anni da quando i primi vaccini contro il Papillomavirus (HPV) sono stati approvati e sono iniziate le campagne vaccinali rivolte alle dodicenni. L’obiettivo era proteggere le donne dallo sviluppo del tumore della cervice uterina di cui l’HPV è il maggior responsabile: è stato raggiunto? I casi di cancro nelle donne vaccinate sono diminuiti? “Sì, i vaccini hanno funzionato” afferma Domenica Lorusso, professore ordinario di ostetricia e ginecologia dell’Humanitas University di Milano e ricercatrice AIRC. “L'Australia è il Paese che per primo, nel 2007, ha introdotto in maniera sistematica le campagne vaccinali. I loro dati mostrano che a distanza di vent’anni c’è una netta diminuzione di tutte le lesioni alla cervice uterina causate dal virus. In particolare, per le displasie di alto
12 / Fondamentale / Giugno 2024 / Screening oncologici / Vaccino HPV
In Italia l'adesione alla campagna vaccinale contro l'HPV è ancora
molto bassa: 32 per cento nelle ragazze e 26 per cento nei ragazzi
grado, che nell’80 per cento dei casi evolvono in carcinoma, la riduzione è dell'80 per cento.” Efficacia confermata anche da uno studio pubblicato all’inizio di quest’anno sul Journal of the National Cancer Institute, condotto in Scozia, in cui sono stati analizzati i dati clinici di oltre 450.000 donne nate tra il 1988 e il 1996: tra le vaccinate a 12 o 13 anni non si è registrato alcun caso di cancro invasivo, e tra quelle vaccinate più tardi, tra i 14 e i 22 anni, si è avuta comunque una significativa riduzione dei casi rispetto a tutte le non vaccinate (3,2 su 100.000 rispetto a 8,4). Un risultato importante anche considerando che il vaccino somministrato era bivalente, cioè efficace solo contro due ceppi di Papillomavirus, mentre i vaccini oggi disponibili offrono una copertura fino a 9 ceppi.
LA SITUAZIONE
ITALIANA
Al momento non abbiamo studi di questo tipo riferiti all’Italia. Ma ciò che preoccupa è che negli ultimi anni l’adesione alle campagne vaccinali invece di aumentare decresce, nonostante una recente indagine del Censis riveli che il 70 per cento dei genitori teme i tumori più di ogni altra malattia. Siamo ancora molto lontani dal 95 per cento di copertura nel dodicesimo anno di vita, previsto dal Piano nazionale di prevenzione vaccinale: nel 2021 si sono vaccinate il 32 per cento delle dodicenni e il 26 per cento dei loro coetanei maschi (anno di nascita 2009); se guardiamo a chi ha un anno di più (i nati nel 2008) risulta vaccinato il 53 per cento delle ragazze e il 44 per cento dei ragazzi. “Per indurre la cosiddetta immunità di gregge è necessario che si vaccinino anche i maschi. Farlo è
importante non solo per prevenire il cancro della cervice: il Papillomavirus, infatti, è responsabile del 5 per cento di tutti i tumori” spiega Lorusso. Oltre a quelli femminili di cervice, vulva e vagina, l’infezione da HPV è correlata allo sviluppo di tumori del retto, dell’ano e dell’orofaringe. “Il virus si trasmette per via sessuale: vaccinare anche i maschi induce una protezione maggiore per entrambe i sessi e lo fa nei confronti di tutte le neoplasie correlate all’HPV.”
NON SOLO A 12 ANNI
Il vaccino esercita la sua massima efficacia quando l’organismo non è ancora entrato in contatto con il virus: ecco perché le campagne vaccinali sono rivolte alle e ai dodicenni, che si suppone non abbiano ancora avuto rapporti sessuali. Ma oggi sappiamo che il rischio di infettarsi si abbassa anche vaccinandosi più tardi e per questo motivo è stata ampliata la fascia di età in cui il vaccino è gratuito: dai 12 ai 26 anni per le femmine, dai 12 ai 18 anni per i maschi. “Inoltre, i dati ci dicono che anche donne di 45-50 anni continuano a beneficiare del vaccino pur essendo già verosimilmente entrate in contatto con il virus” assicura Lorusso. La vaccinazione è importante anche per chi ha già avuto le conseguenze dell’infezione: “Se una donna riceve una diagnosi di displasia, che è una delle lesioni causate dal virus, prima si cura e poi fa il vaccino, che in questi casi è gratuito. Così il rischio che la displasia possa ripresentarsi in futuro si riduce. Una prassi che vale anche per gli uomini che magari hanno sviluppato una displasia in zone perigenitali o anali”. Infine, è bene ricordare che per le donne è necessario aderire co-
munque allo screening per il tumore della cervice uterina, che utilizza, a seconda delle fasce di età, il Pap-test o l’HPV-test: “In primo luogo perché il vaccino non dà una protezione totale, benché questa sia superiore al 90 per cento, e poi perché circa il 10 per cento dei tumori della cervice non è legato al Papillomavirus. Questi sono i motivi per cui non bisogna trascurare la prevenzione secondaria offerta gratuitamente dallo screening”.
UNA CAMPAGNA GLOBALE CONTRO L’HPV
Entro il 2030, il 90 per cento delle ragazze entro i 15 anni dovrà essere vaccinata contro l’HPV: questo è uno degli obiettivi dell’Organizzazione mondiale della sanità per eliminare il tumore della cervice. Nel mondo, ogni anno 600.000 donne si ammalano di questa malattia e 300.000 ancora non riescono a superarla, soprattutto nei Paesi più poveri, dove mancano i vaccini, non ci sono screening per la diagnosi precoce del tumore e spesso nemmeno cure adeguate. In Italia, sebbene questi strumenti siano a disposizione, ogni anno si registrano circa 2.600 nuove diagnosi e oltre 1.000 decessi. Possiamo e dobbiamo fare di più.
UN PODCAST FONDAMENTALE
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Giugno 2024 / Fondamentale / 13 / Screening oncologici / Vaccino HPV
Notizie
... DAL MONDO
TUMORE DEL RETTO: QUANDO SI PUÒ RINUNCIARE ALL’INTERVENTO
In alcuni pazienti con tumore dell’ultima porzione del retto (in prossimità dell'ano), si può rinunciare a un intervento demolitivo senza ridurre l’efficacia del trattamento, come dimostra uno studio italiano pubblicato sull’International Journal of Surgery. Secondo gli specialisti, coordinati da Salvatore Pucciarelli e Gaya Spolverato dell’Università di Padova, in caso di buona risposta alla chemioterapia neoadiuvante (somministrata come prima opzione di cura) si può decidere di adottare la strategia del monitoraggio attivo (sottoponendo il paziente per due anni a un'esplorazione rettale, a una colonscopia e a una risonanza magnetica ogni 1-2 mesi) o di ricorrere all’escissione transanale della malattia. L’analisi dei ricercatori ha rilevato che, anche con diagnosi di tumore in stadio 2 e 3, nessuna delle due opzioni ha determinato un calo della sopravvivenza (97,6 per cento) né favorito la comparsa di recidive (da cui sono risultati liberi 9 pazienti su 10) nei primi 3 anni. Il tutto – rispetto alla chirurgia radicale –preservando la funzionalità dell’ano ed evitando il ricorso alla stomia.
In alcuni pazienti il monitoraggio attivo è efficace quanto la chirurgia
TUMORE DEL PANCREAS:
UN
AIUTO PER LA DIAGNOSI DALL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE?
Integrare l’imaging con la TAC utilizzando sistemi di deep learning, con l’obiettivo di favorire la diagnosi precoce del pancreas. La sfida è già in corso e l’obiettivo sembra essere a portata, secondo uno studio pubblicato su Nature Medicine da un gruppo internazionale di ricercatori (Cina, Stati Uniti, Repubblica Ceca). Il tumore del pancreas è tra i più letali, e la difficoltà nel curarlo con successo dipende in buona parte dalle diagnosi tardive. Molti ricer-
Nello studio, il software di deep learning è stato più preciso dei radiologi
catori sono quindi al lavoro per individuare una metodica efficace per lo screening delle lesioni pancreatiche. La TAC senza mezzo di contrasto è un sistema considerato promettente, ma a oggi non è sufficientemente precisa e gli specialisti in grado di eseguirla e verificarne i risultati sono pochi. Da qui l’idea di far interpretare le immagini a un software addestrato per individuare e distinguere le diverse tipologie di lesioni della ghiandola. I ricercatori hanno confrontato le interpretazioni ottenute tramite deep learning con quelle formulate da specialisti nell’imaging pancreatico e specializzandi in radiologia. Panda (il nome dato al programma) ha rilevato le lesioni pancreatiche in modo più preciso rispetto alla prestazione media dei radiologi coinvolti.
14 / Fondamentale / Giugno 2024 / Notizie flash
flash
a cura di Fabio Di Todaro
CAR-T SEMPRE PIÙ
IL RUOLO DEI LINFOCITI NEL
TESSUTO (TILS) DEL TUMORE AL SENO TRIPLO NEGATIVO
Addestrare le cellule CAR-T per aumentarne l’efficacia, anche nei tumori solidi. È l’obiettivo di un progetto di ricerca portato avanti dai ricercatori del Politecnico di Losanna (Svizzera), che puntano a rafforzare l’ultima evoluzione dell’immunoterapia con altre cellule in grado di secernere interleuchina-10. Nella sperimentazione su modello animale e in un piccolo trial condotto su 12 pazienti, questa tecnica ha aumentato l’efficacia delle CAR-T nel 100 per cento dei casi, come riportato in uno studio pubblicato sulla rivista Nature Biotechnology L’idea di partenza è che questa citochina antinfiammatoria possa fungere da rinforzo alle CAR-T che, soprattutto nel microambiente dei tumori solidi, tendono nel tempo a perdere efficacia. L’approccio, se confermato negli studi clinici, potrebbe comportare anche un sensibile vantaggio economico. Grazie al rinforzo dell’interleuchina-10, “la quantità di linfociti T da ingegnerizzare in laboratorio sarebbe pari al 5 per cento delle dosi attualmente utilizzate”, spiegano i ricercatori.
Lelevata presenza di linfociti nel tessuto neoplastico (cosiddetti TILs) di un tumore al seno triplo negativo riduce il rischio di recidiva della malattia e migliora la sopravvivenza. Il messaggio giunge da uno studio pubblicato sul Journal of the American Medical Association, in cui è stato analizzato in maniera retrospettiva il decorso di quasi 2.000 pazienti colpite dalla forma più aggressiva di tumore al seno (allo stadio 1): tutte operate e in alcuni casi trattate anche con radioterapia, ma senza chemioterapia. Le donne alle prese con una malattia caratterizzata da una maggiore presenza di cellule del sistema immunitario hanno mostrato una sopravvivenza a 5 anni dall’intervento superiore del 13 per cento rispetto a quelle che non presentavano questa caratteristica nel tessuto tumorale. Misurare la quantità di linfociti infiltranti il tessuto tumorale potrebbe quindi rendere più accurata la valutazione e aiutare i medici nella decisione di somministrare o meno la chemioterapia. Allo studio hanno collaborato anche due ricercatori sostenuti da Fondazione
AIRC: Matteo Lambertini (Università di Genova) e Maria Vittoria Dieci (Università di Padova).
Giugno 2024 / Fondamentale / 15 / Notizie flash
ALL’INTERLEUCHINA-10? '
INTELLIGENTI GRAZIE
Stili di vita
Fumo e cancro
TANTI BUONI MOTIVI PER SMETTERE DI FUMARE
In questo articolo:
— TUMORE DEL POLMONE — TUMORI DEL DISTRETTO TESTA-COLLO — EFFETTI COLLATERALI
Il 31 maggio è stata celebrata la Giornata mondiale senza tabacco, un’occasione per ricordare al pubblico quanti danni possa fare l’abitudine al fumo. Smettere di fumare non solo abbatte il rischio di sviluppare un tumore, ma aumenta l’efficacia delle terapie e riduce gli effetti collaterali in chi si ammala
Il fumo è responsabile di circa il 25 per cento di tutte le morti oncologiche nel mondo; promuove l’insorgenza dell’85-90 per cento dei casi di cancro al polmone, ed è implicato anche in numerosi altri tumori: aumenta, per esempio, di oltre il 50 per cento il rischio di cancro dello stomaco; ha un ruolo in più del 60 per cento delle neoplasie della bocca, della faringe e della laringe. Può aumentare poi le probabilità di sviluppare tumori dell’esofago, della vescica, dei reni, del pancreas, del fegato, della cervice uterina e dell’ovaio, del colon-retto, della mammella e di alcuni tumori del sangue. Non ci sono dubbi sul fatto che non cominciare a fumare sia la migliore scelta di salute. Tuttavia, per chi fuma, smettere è altrettanto importante. Entro 5-10 anni da quando si è smesso di fumare, il rischio di cancro della bocca, della gola e della laringe si dimezza. Ancora 5 anni e anche il rischio di tumore al polmone si riduce della metà rispetto a chi continua a fumare; scendono inoltre le probabilità di sviluppare tumori della vescica, dei reni e dell’esofago.
16 / Fondamentale / Giugno 2024 / Stili di vita / Fumo e cancro
a cura di Antonino Michienzi
Queste evidenze, consolidate da tempo, vengono avvalorate in continuazione da nuovi studi.
Lo scorso febbraio, una grande ricerca condotta in Corea del Sud e pubblicata su Jama Network Open ha mostrato che smettere di fumare a qualsiasi età aiuta a ridurre il rischio di cancro.
Lo studio è giunto alla conclusione che le probabilità di sviluppare il cancro si sono dimezzate nelle persone che hanno smesso da almeno 15 anni, rispetto a quelle che hanno continuato a fumare. In particolare, dopo circa 13 anni, il rischio di cancro ai polmoni tra chi ha smesso è sceso del 42 per cento, quello di cancro al fegato del 27 per cento, quello di tumore del colon-retto del 20 per cento, quello di neoplasia dello stomaco del 14 per cento.
Tra le indicazioni che arrivano dallo studio è importante il fatto che i benefici della cessazione sono maggiori in coloro che smettono di fumare in età più giovane. Infatti, i fumatori che hanno smesso prima dei 50 anni hanno goduto di una riduzione del rischio di cancro ai polmoni del 57 per cento rispetto al 40 per cento di chi lo ha fatto a 50 anni o più.
SMETTERE PER AUMENTARE LE POSSIBILITÀ DI GUARIGIONE
Smettere di fumare non aiuta solo a ridurre il rischio di sviluppare un tumore. Anche chi si è ammalato di cancro, se decide di rinunciare al fumo, può ottenere importanti vantaggi e aumentare le probabilità di successo delle cure. Il fumo, infatti, promuove meccanismi che favoriscono la sopravvivenza delle cellule tumorali. Inoltre, può alterare il metabolismo riducendo la concentrazione nell’organismo dei farmaci e, di conseguenza, gli effetti terapeutici, così come la distribuzione nel corpo dei principi attivi attraverso la sua azione sui vasi sanguigni. Il fumo ha effetti proinfiammatori che alterano le risposte immunitarie e accentuano gli effetti collaterali.
Un recente studio dell’Università di Harvard pubblicato su Jama Network Open, per esempio, ha dimostrato che la prognosi delle persone a cui è diagnosticato un cancro del polmone non a piccole cellule, il tipo più diffu-
so di tumore polmonare, è molto influenzata dall’abitudine al fumo. Un fumatore ha una mortalità più alta
Per chi si è già ammalato di cancro, smettere di fumare aumenta le probabilità di successo delle terapie oncologiche
del 68 per cento circa rispetto a chi non ha mai fumato, mentre un ex fumatore ha una mortalità più alta del 26 per cento.
Non sono però solo i malati di tumore al polmone a beneficiare della cessazione dal fumo: una ricerca pubblicata sulla rivista Oral Oncology ha mostrato che i pazienti con carcinoma a cellule squamose della testa e del collo che smettono di fumare al momento della diagnosi hanno una probabilità 3,7 volte più alta di rispondere alla terapia di prima linea rispetto a coloro che continuano a fumare; hanno inoltre un rischio più basso di recidive e una probabilità del 67 per cento inferiore di morire per qualunque causa.
Risultati analoghi sono stati osservati anche per altre forme di cancro, per esempio per quello al rene, in cui tra i pazienti che smettevano di fumare si osservava una sopravvivenza a 5 anni più alta (85 per cento contro il 61 per cento dei fumatori) e un rallentamento della malattia (sopravvivenza libera da progressione dell’80 per cento contro il 57 per cento).
Inoltre, i benefici legati all’abbandono del fumo sono stati dimostrati non solo per i pazienti trattati con la chemioterapia, ma anche per quelli curati con la radioterapia, con le terapie a bersaglio molecolare e l’immunoterapia.
SMETTERE PER RIDURRE IL RISCHIO DI COMPLICANZE
C’è un’altra ragione per cui chi si ammala di cancro dovrebbe smettere di fumare: chi non fuma è meno soggetto a complicanze legate alle terapie.
Nel caso della chirurgia, che per la gran parte dei pazienti oncologici è una scelta obbligata, un recente studio apparso su Jama Surgery ha
L’IMPATTO DEL FUMO SULL’AMBIENTE
Fumare non fa male solo a noi e a chi ci sta intorno, ma anche all’ambiente in cui viviamo. Annualmente la produzione del tabacco a livello globale contribuisce a quasi 84 milioni di tonnellate di emissioni equivalenti di CO2, una quantità pari a 112 milioni di voli Roma-New York. Inoltre, ogni anno circa 22 miliardi di tonnellate di acqua sono utilizzate nella produzione di tabacco a livello globale, e finiscono dispersi nell’ambiente ben 4.500 miliardi di filtri, circa tre quarti del totale, di cui la gran parte finisce nei fiumi e nei mari.
Giugno 2024 / Fondamentale / 17 / Stili di vita / Fumo e cancro
mostrato che smettere di fumare almeno un anno prima di un importante intervento chirurgico abbassa il rischio di mortalità postoperatoria e quello di complicanze arteriose e respiratorie.
Nel caso della radioterapia, il fumo non solo ne riduce l’efficacia, ma accentua gli effetti collaterali. Nelle donne con cancro alla mammella,
tumore al polmone e di danni al cuore. Ebbene, è stato osservato che questi rischi nelle fumatrici sono molto più alti che nelle non fumatrici: una probabilità 10 volte superiore di sviluppare cancro al polmone e 3 volte più alta di danni cardiaci. Si tratta di un rischio molto alto, al punto che gli autori dello studio, i cui risultati sono stati pubblicati sul Journal
La produzione del tabacco a livello globale contribuisce a quasi 84 milioni di tonnellate di emissioni equivalenti di anidride carbonica, pari a 112 milioni di voli
Roma-New York
per esempio, si può ricorrere alla radioterapia dopo l’intervento chirurgico per diminuire il rischio di recidive. Tuttavia, in alcune pazienti questo trattamento può aumentare le probabilità a lungo termine di un
of Clinical Oncology, concludono che “per i fumatori di lunga data, i rischi assoluti della radioterapia moderna possono superare i benefici”. Invece, “per la maggior parte dei non fumatori (ed ex fumatori), i benefici della
radioterapia superano di gran lunga i rischi”, precisano.
Smettere di fumare, inoltre, riduce le probabilità di eventi cardiovascolari nei pazienti oncologici; eventi che rappresentano la prima causa di morte non oncologica nei pazienti con cancro. Secondo uno studio pubblicato sullo European Heart Journal, smettere di fumare dopo la diagnosi abbassa del 36 per cento il rischio di eventi cardiovascolari rispetto a chi continua a fumare. Lo studio ha inoltre mostrato che diminuire, anche di oltre il 50 per cento, il numero di sigarette fumate non ha sortito nessun effetto sulla riduzione del rischio cardiaco.
A tutto ciò si aggiunge, infine, il fatto che smettere di fumare riduce anche le probabilità di sviluppare ulteriori tumori in futuro, oltre ad avere altri effetti benefici sulla salute.
“Viste nel loro insieme, le prove sono chiare” conclude uno studio pubblicato sul Journal of Thoracic Oncology.
“La cessazione del fumo dovrebbe essere vista come parte integrante delle cure oncologiche per migliorare la salute anche dopo una diagnosi di cancro.”
18 / Fondamentale / Giugno 2024 / Stili di vita / Fumo e cancro
Lasciti testamentari
"Credo sia importante continuare a portare avanti le proprie idee anche quando non ci siamo più.” Lorenzo spiega così la sua scelta di disporre un lascito testamentario in favore di Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro. Ha 80 anni e da molto tempo è un convinto sostenitore di AIRC. Ha cominciato a donare dopo essersi confrontato con la malattia: la stessa che in passato aveva colpito il padre e il nonno. “Mi sono detto: ‘devo contribuire a sostenere la ricerca perché, magari, domani i miei figli potrebbero avere gli stessi problemi’” racconta. Da allora, a fine anno, dispone le sue donazioni e, nel tempo, ha fatto crescere il suo impegno scegliendo di finanziare borse di studio AIRC in memoria dei genitori. “Sostenere una borsa di studio significa dare a un giovane ricercatore la possibilità di portare avanti un percorso di ricerca che è in qualche modo associato ai miei genitori” afferma.
È un legame profondo quello che lo unisce ai suoi genitori, anche se loro non ci sono più: “Nonostante i rapporti umani all’epoca in genere fossero più freddi, ne ho un ricordo bellissimo. Mi hanno lasciato esempi
UN ESEMPIO IN EREDITÀ
Lorenzo ha scelto di disporre un lascito in favore di Fondazione AIRC. “È importante continuare a portare avanti le proprie idee anche quando non ci siamo più” dice.
a cura della redazione
e valori che ho fatto miei: la correttezza nei riguardi del prossimo, l’onestà, l’apertura verso gli altri”.
Ora Lorenzo spera che questi stessi valori passino anche ai suoi figli. “Non sogno nemmeno che abbiano i miei interessi, le mie abitudini, i miei gusti. Ma spero che facciano propri i miei valori. Che, dopotutto, non sono diversi rispetto a quelli dei miei genitori” dice.
I figli sono stati coinvolti anche nella decisione di Lorenzo di sostenere AIRC con un lascito. Questa scelta non mette in alcun modo a rischio i loro diritti: la legge italiana tutela, infatti, i nostri cari garantendo loro una parte dei nostri beni (la cosiddetta quota di legittima). Questa quota è stabilita e destinata per legge ai familiari più stretti: il coniuge o la persona unita civilmente, i figli e, in mancanza di figli, i genitori. La restante parte dei beni può essere destinata liberamente secondo la nostra volontà, anche a un ente del terzo settore, per esempio individuando Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro come beneficiario di un lascito testamentario. Come ha scelto di fare Lorenzo, pur rispettando i diritti dei nostri familiari, è possibile donare alle future
generazioni, compresi i propri eredi, la prospettiva di un mondo dove il cancro sarà sempre più curabile. “Riservare una parte dei propri beni a favore delle cause in cui si crede non significa togliere qualcosa ai figli” conclude Lorenzo. “Tutt’altro. Credo che in questo modo si lasci loro qualcosa in più: un esempio.”
02 779 73 19 anna.sarri@airc.it VUOI DISPORRE
Puoi scegliere, come Lorenzo, di fare testamento a favore di Fondazione AIRC e intitolarlo alla tua memoria o alla memoria di una persona cara. Per ogni domanda specifica puoi contattare Anna Sarri
Giugno 2024 / Fondamentale / 19 / Testimonianze / Lasciti testamentari Testimonianze
TESTAMENTARIO IN FAVORE DI AIRC? CONTATTACI!
UN LASCITO
I TRAGUARDI DEI NOSTRI
RICERCATORI
In questo articolo:
— IMMUNOTERAPIA
— MELANOMA
— CAR.CIK
a cura di Camilla Fiz
L’IMMUNOTERAPIA CHE AGGIRA LE DIFESE DEL TUMORE
Un gruppo di ricerca coordinato da Dario Sangiolo ha individuato un nuovo approccio di immunoterapia che in futuro potrebbe aiutare a curare i pazienti che non rispondono agli inibitori dei checkpoint immunitari.
"Limmunoterapia con gli inibitori dei checkpoint è un approccio di notevole successo per la cura del melanoma” afferma Dario Sangiolo del Dipartimento di oncologia dell’Università di Torino. Si tratta, infatti, di una terapia che negli ultimi anni ha cambiato in modo radicale la cura non solo di questo tipo di cancro, ma di numerose altre neoplasie, in quanto è in grado di risvegliare l’attività del sistema immunitario contro le cellule tumorali. “Purtroppo un 40-60 per cento dei pazienti non risponde al trattamento” commenta il ricercatore. “Il tumore può imparare a nascondersi dal sistema immunitario, vanificando gli effetti della terapia.”
Per trattare proprio questi casi, Sangiolo con il suo gruppo di ricerca ha appena sperimentato un innovativo approccio di immunoterapia che aggira a sua volta uno dei sistemi di difesa
del tumore. Si chiama CSPG4-CAR.CIK, perché combina l’efficacia di un recettore antitumorale CAR (Chimeric Antigen Receptor) con l’attività antineoplastica dei linfociti CIK (Citokine-Induced Killer). La combinazione è ottenuta in laboratorio, modificando i linfociti CIK affinché mostrino in superficie il recettore CAR, in questo caso diretto contro uno specifico bersaglio, la molecola CSPG4. I risultati dello studio sono stati pubblicati sul Journal of Experimental & Clinical Cancer Research, grazie al sostegno di Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro e alla collaborazione internazionale con Gianpietro Dotti, dell’Università del North Carolina, negli Stati Uniti.
Sono diversi i modi con cui le cellule tumorali, non solo quelle del melanoma, possono sfuggire all’azione dell’immunoterapia. Tra questi ci sono le alterazioni del sistema HLA (Human
20 / Fondamentale / Giugno 2024 / Rubriche / I traguardi dei nostri ricercatori
Rubriche
Leukocyte Antigen), l’insieme di molecole che, tra i loro molteplici compiti, segnalano ai linfociti quali cellule danneggiate, infette o neoplastiche devono essere colpite ed eliminate. Quando, però, le molecole di HLA sono difettose, le cellule cancerose rimangono invisibili per le cellule del sistema immunitario, e vengono risparmiate. Possono così continuare a crescere in modo indisturbato. Per evitare questo meccanismo di resistenza, il gruppo di ricerca coordinato da Dario Sangiolo ha cercato di individuare una strategia cellulare indipendente dalle alterazioni di HLA. Si è mosso così su due fronti: da un lato ha identificato in CSPG4 un nuovo efficace bersaglio tumorale da colpire, dall’altro ha applicato la tecnica delle CAR.CIK su cui lavora da diverso tempo.
“Le cellule CIK sono linfociti T che, dopo uno specifico trattamento, hanno acquisito le capacità delle cellule ‘natural killer’ di colpire quelle tumorali in maniera indipendente dall’azione di HLA” spiega Dario Sangiolo. “In questo studio, all’attività di base delle CIK abbiamo aggiunto l’arma artificiale del CAR.” Si tratta di un recettore, inserito tramite una modifica di ingegneria genetica, che rende le cellule del sistema immunitario, in questo caso le CIK, in grado di riconoscere e attaccare bersagli specifici. La scelta è ricaduta sul recettore CSPG4, una molecola espressa ad alti livelli dalle cellule neoplastiche e che promuove un comportamento aggressivo, tra cui la formazione di metastasi.
“Quando abbiamo cercato un nuovo recettore, volevamo individuare un bersaglio che, se colpito, danneggiasse il tumore. Abbiamo così selezionato CSPG4, perché soddisfa i requisiti di questa strategia e inoltre può essere riconosciuto in maniera specifica dal recettore CAR.” Un bersaglio è considerato adatto per l’approccio con recettori CAR se è espresso in modo sufficiente e uniforme sulle cellule tumorali e non è invece presente, o quasi, su quelle sane. Questo permette alle cellule CAR di riconoscere, colpire e distruggere in modo specifico solo le cellule malate, riducendo così la tossicità del trattamento oncologico.
I risultati sperimentali sono promettenti: in 24 tipi differenti di cellule di melanoma in coltura e in diversi tipi di topo di laboratorio con questo tipo di tumore, l’immunoterapia con CSPG4CAR.CIK ha ridotto il volume della massa tumorale e la sua attività metabolica. “Questa tecnica potrebbe rappresentare un valido strumento aggiuntivo di cura, soprattutto per i pazienti che presentano resistenza alla terapia con inibitori dei checkpoint immunitari” afferma Dario Sangiolo. E non solo per il melanoma. Poiché il recettore CSPG4 è presente in diversi tipi di tumori, le cellule CSPG4-CAR.CIK potrebbero rivelarsi utili anche nel trattamento di altre neoplasie. Il ricercatore conclude: “Al momento stiamo lavorando, e cercando i fondi, per riuscire a sperimentare questa tecnica in studi clinici con i pazienti”.
Giugno 2024 / Fondamentale / 21 / Rubriche / I traguardi dei nostri ricercatori
Sperimentazione animale
Recensioni
VITE E RICERCA: LA SPERIMENTAZIONE ANIMALE
In questo articolo:
— ORGANOIDI — 3R — INTELLIGENZA ARTIFICIALE
“Io le patate le bollo vive”: l’utilizzo
degli animali in ricerca tra norme, etica, tecnologie odierne e prospettive future
Oggi è possibile effettuare sperimentazioni su colture cellulari (i cosiddetti modelli “in vitro”), su versioni miniaturizzate di organi (gli “organoidi”) o con simulazioni informatiche (i modelli “in silico”). Sono poi in sviluppo i cosiddetti “organ-on-a-chip”, circuiti che simulano l’attività o la meccanica di alcuni organi, e modelli che sfruttano l’intelligenza artificiale. Ma quanto e perché in ricerca è ancora necessario utilizzare animali di laboratorio? E cosa significa oggi “sperimentazione animale”?
Nel loro libro Io le patate le bollo vive (Giulio Einaudi Editore, 2023), Roberto Sitia, ricercatore AIRC e professore presso l’Università Vita-Salute San Raffaele, e Giuliano Grignaschi, responsabile del benessere degli animali degli stabulari dell’Università degli studi di Milano, ci offrono una breve panoramica sul tema. “Qualsiasi argomento può essere complesso, ma nessuno deve diventare divisivo. La discussione è necessaria, soprattutto se occorre risolvere un problema” spiega Sitia. “È uno dei classici temi in cui il dialogo è fondamentale, nell’interesse e nel bene di tutta la comunità e principalmente dei pazienti” commenta Grignaschi. È questo che ha spinto i due autori a riassumere la tematica in modo chiaro, scorrevole e stimolante, tra scienza, norme e, soprattutto, sensibilità.
cura
Il tema, infatti, non è caro solo a chi ama gli animali, ma anche a chi ha direttamente a che fare con questi in laboratorio. Lo mostra anche la storia di Pandoro, ratto appassionato
22 / Fondamentale / Giugno 2024 / Sperimentazione animale / Recensioni
a
di Jolanda Serena Pisano
dell’omonimo dolce veronese che, dopo essere stato coinvolto negli studi dei due autori del libro, venne adottato da uno dei membri del gruppo di ricerca. “Era la nostra mascotte in laboratorio” ricorda Grignaschi, che ha poi provato a sua volta ad adottare un animale di laboratorio: un Beagle. “Però la lista d’attesa era infinita. Così, ho desistito e ne ho preso uno in un canile.”
L’adozione di un animale di laboratorio è una possibilità sempre più concreta, che riflette la crescente attenzione di enti regolatori e comunità scientifica al benessere animale. Per esempio, la Direttiva europea 63/2010 impone norme severe per tutelare gli animali usati negli esperimenti che possiedono un sistema nervoso più complesso, ovvero i vertebrati e i cefalopodi, come i polpi. Per la loro salvaguardia, prima dell’inizio di uno studio che li coinvolge in un esperimento è obbligatorio sia chiedere autorizzazione a 3 diverse commissioni, che valuteranno se per quello studio sia effettivamente necessario utilizzare animali, sia formare adeguatamente ogni ricercatore, veterinario e operatore coinvolto nella ricerca. Una volta avviato lo studio, poi, sono necessarie accortezze e tecnologie in alcuni casi molto costose per la gestione degli animali, anche perché sono previsti controlli a sorpresa di adesione alle norme.
Queste regole non garantiscono che gli animali non proveranno dolore, ma mirano a salvaguardare il “principio delle 3R”, formulato nel 1959 dagli accademici britannici Rex Burch e William
Russell per favorire il benessere animale nelle sperimentazioni. Le “3R” riassumono azioni da mettere in atto a questo scopo: rimpiazzare, ovvero evitare di usare modelli animali quando possibile; ridurre, quindi coinvolgere il minor numero possibile di animali; e rifinire, ovvero agire per garantire la migliore qualità di vita possibile agli animali coinvolti. Garantire le migliori condizioni di vita degli animali di laboratorio consente anche di ottenere dati più validi, in quanto non influenzati, per esempio, dallo stress del singolo individuo. Peraltro, ormai sono rari gli esperimenti in cui si causano lesioni permanenti agli animali, evocate dal termine “vivisezione”, talvolta erroneamente usato come sinonimo di “sperimentazione animale”. Basti pensare che con il termine “sperimentazione animale” si intendono anche gli studi in cui si effettuano semplici prelievi del sangue. E, grazie alle innovazioni, sono sempre più rari anche i sacrifici degli animali di laboratorio. Per esempio, le moderne tecnologie di imaging non invasive consentono di seguire la malattia nell’animale nel tempo, confrontando il prima e il dopo su uno stesso individuo, mentre fino a pochi anni fa per seguire la progressione di una malattia occorreva sacrificare degli animali a ogni tempo sperimentale.
Le alternative? “Sperabilmente, entro qualche decennio potremmo non avere quasi più bisogno di utilizzare animali per la ricerca, grazie all’intelligenza artificiale e altre tecnologie che potrebbero consentirci di riprodurre la complessità di un organismo vivente in modo ottimale” spiega Grignaschi. Infatti, il principale motivo per cui la sperimentazione animale è ancora necessaria è che nessun metodo odierno riesce a simulare la complessità di un organismo vivente: un aspetto fondamentale da considerare sia quando si studia il funzionamento di un organismo sia quando si testano l’efficacia e la sicurezza dei farmaci. Quando si ragiona sul coinvolgimento degli animali nelle ricerche, spiega Sitia, “occorre considerare sia le sofferenze che si potrebbero indurre, sia quelle eliminate.” Il ricercatore ricorda infatti che “anche animali come topi, cani e gatti hanno beneficiato di queste ricerche, che per esempio hanno reso possibile il trattamento dei loro tumori.” Grignaschi conclude con uno sguardo
ottimista. “Al momento il numero di animali utilizzati non è calato in modo drammatico. Questo è dovuto al fatto che, anche se per ogni esperimento diminuisce la necessità di utilizzare animali, ci poniamo sempre più domande scientifiche. Ma confido che, con lo sviluppo della tecnologia, il bilancio diventi sempre più positivo.”
“Mi piacerebbe che il nostro libro rispondesse alla necessità di studio, ascolto e approfondimento di chi affronta questo argomento” conclude Sitia.
LA DONNA DEL FERRO
Una vita dedicata all’attività medica, tra Torino e Milano, e alla ricerca, in particolare sul metabolismo del ferro, fino a ottenere prestigiosi riconoscimenti internazionali, con paziente determinazione e nonostante la difficoltà delle donne ad affermarsi negli ambienti universitari alla fine degli anni Novanta. Clara Camaschella la racconta in un agile volume in cui l’amore per la scienza si respira in ogni pagina, un amore espresso anche dalla scelta dell’autrice di riservare ad AIRC i propri proventi dalla vendita del libro. Una testimonianza delle tante sfide da affrontare per raggiungere l’eccellenza, che potrà essere di ispirazione e sostegno per chi si accinge a intraprendere la stessa strada.
LA DONNA DEL FERRO
Clara Camaschella
Neos Edizioni, 2024 - 18 €
Giugno 2024 / Fondamentale / 23 / Sperimentazione animale / Recensioni
Alzheimer e cancro
QUEL SOTTILE LEGAME TRA ALZHEIMER E CANCRO
In questo articolo:
— FIBRILLE AMILOIDI
— MICROAMBIENTE TUMORALE
— PROTEINA YAP
Le fibrille amiloidi, i mattoni che costituiscono le placche tipiche della malattia neurologica, sono presenti anche nel microambiente di alcuni tumori e influiscono sulla loro aggressività
Di fibrille amiloidi fino a poco tempo fa abbiamo sentito parlare soprattutto in relazione alla malattia di Alzheimer. Questi agglomerati di proteine “accartocciate” sono infatti alla base delle placche caratteristiche della malattia. Tuttavia, le fibrille amiloidi potrebbero svolgere un ruolo importante anche nel cancro, contribuendo a creare il microambiente che protegge il tumore e, al tempo stesso, attivando i segnali di tipo meccanico che ne alimentano la progressione e la capacità di dare luogo a metastasi.
Angela Bachi è a capo del programma di ricerca di IFOM sulla proteomica funzionale e coordina una ricerca che, con il supporto di Fondazione AIRC, sta indagando questa relazione. “Da qualche tempo sappiamo che diversi tumori solidi producono e secernono nel microambiente tumorale alcune proteine amiloidogeniche, cioè proteine che sono suscettibili a ripiegarsi e formare aggregati” spiega Bachi. Questa peculiarità è stata vista in diversi tumori: per esempio in quello del seno, dell’ovaio, del
24 / Fondamentale / Giugno 2024 / IFOM / Alzheimer e cancro
a cura di Antonino Michienzi
IFOM
pancreas e nel melanoma. “È stato inoltre osservato che a più alti livelli di espressione di queste proteine corrisponde in genere una maggiore aggressività del tumore e una prognosi peggiore.”
Un nuovo studio condotto dal gruppo di Angela Bachi e pubblicato sulla rivista scientifica Cell Death and Disease ha ora fornito chiarimenti preziosi su questo legame.
UN AMBIENTE FAVOREVOLE
Negli ultimi anni, il microambiente tumorale ha catturato l’attenzione della comunità scientifica per la sua capacità di contribuire alla progressione del cancro, influenzando la proliferazione del tumore, la sua capacità di invadere altri tessuti, la resistenza ai farmaci, la capacità di sfuggire alla risposta del sistema immunitario. Queste azioni sono il frutto di un dialogo continuo tra cellule tumorali e microambiente, che sfrutta diversi linguaggi. Uno di questi è costituito da segnali di tipo meccanico.
“Sappiamo ormai da anni che le cellule tumorali sono in grado di educare l’ambiente circostante per creare le condizioni ottimali per crescere. E lo fanno in molti modi. Condizionare le sue caratteristiche fisico-meccaniche è uno di questi” commenta Bachi. È in questo scenario che si inserisce il nuovo studio sulle fibrille amiloidi.
“Questi aggregati sono come dei sassi che si depositano nel microambiente così da creare l’ambiente rigido caratteristico dei tumori, soprattutto di quelli più aggressivi” aggiunge la ricercatrice.
La ricerca, condotta su modelli cellulari di tumore al pancreas e melanoma, ha fatto un ulteriore passo avanti e dimostrando che le fibrille amiloidi sono in grado di innescare un meccanismo di segnalazione – basato su stimoli meccanici – che agisce sulla proteina YAP.
“Nella comunità scientifica è noto il ruolo della proteina YAP (acronimo di Yes-Associated Protein) nella regolazione della crescita e della divisione cellulare” spiega la ricercatrice.
"L’aumento di attività di YAP è infatti associato allo sviluppo di vari tipi di tumori. Altrettanto noto è il processo di meccano-trasduzione che,
agendo su YAP, è essenziale alla crescita dei tumori e alla loro resistenza alle terapie.”
Contrastare le fibrille amiloidi potrebbe essere una strategia per trattare non solo l'Alzheimer, ma anche i tumori
In sostanza, YAP agisce come un sensore: capta dall’ambiente esterno gli stimoli meccanici e, sulla base di questi, reagisce avviando specifici pacchetti di istruzioni che promuovono la proliferazione della cellula o la sua capacità di resistere ai farmaci o di dare metastasi.
“Sono stati identificati diversi stimoli in grado di attivare questo processo. Noi abbiamo scoperto che una nuova ‘miccia’ è, sorprendentemente, una molecola che sembra avere un ruolo importante nella malattia di Alzheimer” illustra Bachi.
Contrastare l’accumulo di fibrille amiloidi potrebbe quindi essere una strategia da prendere in considerazione non solo nel trattamento dell’Alzheimer, ma anche per contrastare lo sviluppo e la progressione dei tumori. L’obiettivo, sebbene allettante, non è per nulla semplice.
Il traguardo più ambizioso è capire quali sono i meccanismi che portano i tumori a produrre e secernere le proteine amiloidogeniche, vale a dire identificare il primo innesco dei segnali biomeccanici che promuovono la progressione del tumore. Un aiuto può venire dalla ricerca sull’Alzheimer. Da tempo in questo campo si studia il ruolo di un enzima denominato BACE2 (e del suo gemello BACE1) nella formazione delle fibrille amiloidi. “Più di recente è stato osservato che BACE2 è iperespresso in diversi tumori solidi e che, inibendo questa proteina o impedendone la produzione con il silenziamento genico, il tumore perde alcune caratteristiche di aggressività” spiega Bachi. “BACE2 potrebbe quindi essere un
target interessante. Occorrerà ancora molta ricerca per dimostrare se sia effettivamente così.”
Un’altra sfida è comprendere quali effetti possano produrre le fibrille amiloidi nel contesto del microambiente tumorale: si sospetta che possano avere un effetto paracrino, vale a dire che agiscano su altri tipi di cellule, come quelle immunitarie. Il gruppo di ricerca sta lavorando anche su questo aspetto, che potrebbe portare a identificare strategie a oggi sconosciute che il tumore usa per alterare l’ambiente circostante a suo favore.
COS’È IFOM
IFOM, l'Istituto di oncologia molecolare di Fondazione AIRC, è un centro di ricerca di eccellenza internazionale dedicato allo studio della formazione e dello sviluppo dei tumori a livello molecolare, nell’ottica di un rapido trasferimento dei risultati scientifici dal laboratorio alla cura del paziente. Fondato nel 1998 a Milano da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, che da allora ne sostiene lo sviluppo, IFOM oggi può contare su 269 ricercatori di 25 diverse nazionalità, e si pone l’obiettivo di conoscere meglio il cancro per poterlo rendere sempre più curabile.
Giugno 2024 / Fondamentale / 25 / IFOM / Alzheimer e cancro
Vite per la ricerca
Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier
LA STORIA DI CRISPR È SOLO ALL’INIZIO
In questo articolo:
— CRISPR/CAS9 — SCOPERTE RIVOLUZIONARIE — EDITING GENETICO
Lo straordinario metodo
inventato nel 2012 dalle scienziate Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier ha già cominciato a cambiare il mondo della ricerca sanitaria, e potrebbe presto rivelarsi un’arma in più per combattere il cancro
In questo articolo raccontiamo, anzi celebriamo, una delle scoperte scientifiche più rivoluzionarie degli ultimi anni, una scoperta da Nobel: CRISPR/ Cas9, acronimo di Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats. Un nome difficile, è vero, ma che possiamo immaginare e descrivere come un set di "forbici molecolari", che i ricercatori possono programmare e utilizzare per tagliare e modificare il DNA, il codice della vita. Davvero una scoperta rivoluzionaria e utilissima per la genetica, la medicina, la ricerca… e dunque per tutti noi!
a cura di Massimo Temporelli
L’impiego di CRISPR/Cas9 ha aperto e sta aprendo un mondo di possibilità: dalla cura di malattie genetiche, come l'anemia falciforme e la fibrosi cistica, al miglioramento delle colture agricole per renderle più resistenti e nutritive. E naturalmente questo innovativo strumento sta aprendo nuove frontiere nella lotta contro il cancro. In sostanza, CRISPR/Cas9 non è solo una tecnologia di modifica genetica, è una promessa di un futuro più sano e resiliente per il nostro pianeta e per tutti noi.
Ma qual è la storia di questa scoperta? Partiamo dalla pubblicazione: il 28 giugno 2012, sulle pagine dell’importante
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Emmanuelle Charpentier
ed
rivista Science comparve un articolo dal titolo complesso, "Un'endonucleasi del DNA guidata da doppio RNA programmabile nell'immunità batterica adattiva”, ma che come abbiamo detto si rivelerà rivoluzionario, una pietra miliare nella storia della biologia e della medicina, nonché uno dei contributi più significativi alla scienza del XXI secolo.
Il testo era opera di due eminenti scienziate, la microbiologa francese Emmanuelle Charpentier e la chimica statunitense Jennifer Doudna. Ma in cosa consiste esattamente CRISPR/Cas9?
Fermiamoci un momento per esplorarlo e per capire come Charpentier e Doudna sono arrivate a questo straordinario risultato. Questo strumento è nato dall'osservazione attenta e intelligente di un processo naturale che i batteri utilizzano per difendersi dai virus. I batteri catturano piccoli pezzi di DNA dei virus invasori, in modo da poterli riconoscere e distruggere più facilmente se quest’ultimi attaccassero di nuovo.
E qui si inserisce la proteina Cas9, che funziona come una “forbice molecolare”.
Infatti, se il batterio viene attaccato nuovamente dallo stesso virus, produce un RNA che guida la proteina Cas9 a tagliare il DNA del virus invasore, neutralizzandone la minaccia. Proprio sfruttando questo sofisticato meccanismo, Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna hanno sviluppato una tecnica biologica, che possiamo immaginare come qualcosa di molto simile al comando copia-incolla dei computer, permettendo di modificare il DNA delle cellule biologiche in modo estremamente preciso
ed economico, come spiegato dalle stesse ricercatrici nella loro comunicazione alla comunità scientifica: “Grazie a questa tecnica abbiamo democratizzato il gene editing, ossia la possibilità di alterare il genoma di una cellula o di inserire ed eliminare geni a volontà. È talmente accessibile ed economica che ogni laboratorio anche modestamente attrezzato può adottarla.”
Dal giorno della pubblicazione e della comunicazione, il metodo inventato dalle due scienziate si è rapidamente diffuso non solo nella ricerca sulle cellule animali, incluse quelle umane, ma anche in cellule vegetali, fornendo un contributo fondamentale allo sviluppo di nuove terapie e sistemi diagnostici, oltre che di nuove varietà di semi.
L'obiettivo e l'aspirazione della ricerca sono anche applicare questa tecnica alla cura di alcuni tipi di cancro. In questo ambito, uno degli approcci più promettenti è la personalizzazione delle terapie immunitarie. Per esempio, CRISPR/Cas9 potrebbe essere usato per migliorare il processo di produzione delle CAR-T. Di cosa si tratta? La terapia con cellule T modificate (o, appunto, CAR-T) consiste nel modificare le cellule immunitarie del paziente, come le cellule T, rendendole più efficaci nel riconoscere e distruggere le cellule cancerose. Questo metodo ha già mostrato ri-
sultati promettenti nel trattamento di alcuni tipi di leucemie e linfomi, ma si porta ancora dietro costi di produzione molto alti, che CRISPR/Cas9 potrebbe contribuire ad abbassare. Inoltre, CRISPR/Cas9 può essere utilizzato per studiare il cancro in modo più dettagliato, permettendo ai ricercatori di ricreare in laboratorio modelli di malattie specifiche e di testare l'efficacia di nuovi farmaci con una precisione senza precedenti. Questo può accelerare lo sviluppo di trattamenti personalizzati e più mirati, aumentando le probabilità di successo nella cura di diversi tipi di tumore. Tuttavia, è importante sottolineare che l'uso di CRISPR/Cas9 in ambito clinico, soprattutto per la cura dei tumori, è ancora agli stadi iniziali e oggetto di intense ricerche a livello sperimentale. Gli scienziati stanno lavorando per comprendere appieno le implicazioni a lungo termine di queste modifiche genetiche e per garantire che i trattamenti siano sicuri ed efficaci prima di diventare una pratica standard di cura.
Le possibilità sono enormi, ecco perché, come anticipato all’inizio di questo articolo, CRISPR/Cas9 è uno dei traguardi più rilevanti raggiunti dalla scienza nel XXI secolo. Non sorprende, quindi, che Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna siano state premiate con il premio Nobel nel 2020 per il loro straordinario lavoro.
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Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier ricevono il premio Nobel
Ambiente e cancro
Particolato atmosferico
INQUINAMENTO ATMOSFERICO E TUMORI, NUOVE EVIDENZE
In questo articolo:
— TUMORE DEL POLMONE
— PM2.5
— SCIENZE OMICHE
Uno studio pubblicato su Nature ha evidenziato un’associazione significativa tra PM2.5 e tumore del polmone, e ha scoperto un possibile meccanismo con cui questo inquinante potrebbe causare il cancro
a cura di Michela Vuga
Per ogni respiro, inaliamo un po’ di ossigeno e un po’ di polveri sottili. Perlomeno è quello che succede a chi vive in grandi città. L’inquinamento dell’aria è purtroppo una realtà con cui dobbiamo fare i conti per i danni che provoca alla nostra salute: sono sempre maggiori le evidenze scientifiche sul legame con diverse malattie respiratorie e cardiovascolari, ma anche con il diabete, il cancro e la demenza. Si stima che nel mondo le morti attribuibili al particolato atmosferico e, in particolare, al PM2.5 siano tra 5 e 8 milioni ogni anno, registrate in gran parte in Paesi a reddito medio-basso, dove l’esposizione agli inquinanti è maggiore rispetto ai Paesi ricchi. In Italia la stima più recente indica in oltre 72.000 i decessi ogni anno ascrivibili a livelli medi di PM2.5 superiori al valore soglia dell’OMS (5 microgrammi per metro cubo).
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UN PODCAST FONDAMENTALE
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PM 2.5 E INFIAMMAZIONE
Sul banco degli imputati c’è principalmente il PM2.5, ovvero particelle microscopiche di diametro inferiore a 2,5 micrometri la cui composizione chimica è estremamente varia e comprende solfati, nitrati, ammoniaca, carbonio e altre sostanze che derivano da fonti diverse, quali industrie, riscaldamento domestico, traffico veicolare, agricoltura e allevamenti. Attraverso il respiro, le particelle di PM2.5 entrano nei polmoni, in bronchi e bronchioli fino agli alveoli polmonari, e da qui nel flusso sanguigno, che le trasporta verso i vari organi: e poi cosa succede? “Non è possibile studiare direttamente ciò che accade, ma abbiamo conoscenze indirette sulla base di un insieme di informazioni che derivano da studi epidemiologici e da esperimenti su animali da laboratorio” spiega Paolo Vineis, professore ordinario di epidemiologia ambientale presso l'Imperial College di Londra. “Nelle persone esposte a inquinanti atmosferici possiamo effettuare indagini di tipo molecolare, e dunque investigare per esempio le alterazioni infiammatorie e marcatori come le citochine o le interleuchine. L’infiammazione è stato il primo meccanismo d’azione che sia stato messo in relazione con il particolato oltre al danno ossidativo, che non è però così specifico visto che molte sostanze tossiche possono provocarlo.”
PARTICOLATO E CANCRO
Già nel 2013 la IARC, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, aveva classificato l’inquinamento atmosferico come cancerogeno certo, ma ciò che ancora non è chiaro è come agisca una volta penetrato nel nostro organismo. A gettare nuova
luce sui meccanismi di cancerogenesi innescati dall’esposizione cronica è una ricerca pubblicata lo scorso anno sulla rivista Nature, in cui sono stati studiati gli adenocarcinomi polmonari con una mutazione del gene EGFR, un tipo di tumore che colpisce soprattutto i non fumatori. “L’obiettivo era capire se il particolato, agendo sulle cellule sane che hanno la mutazione di EGFR, ne promuovesse la trasformazione neoplastica. Lo studio si è sviluppato in due fasi: inizialmente i ricercatori hanno indagato la relazione epidemiologica tra adenocarcinomi e PM2.5, trovando un’associazione significativa tra i livelli di PM2.5 e l’incidenza del tumore in più di 30.000 casi di persone portatrici della mutazione di EGFR. Dopodiché hanno condotto degli esperimenti in topi da laboratorio, trattandoli
recente, i colleghi di Harvard hanno trovato relazioni con i tumori di colon, prostata, ed endometrio. Ma non abbiamo ancora certezza sui meccanismi d’azione, dobbiamo studiare popolazioni di maggiori dimensioni e raccogliere informazioni più approfondite sulle possibili esposizioni concomitanti.”
La direzione in cui si muove oggi la ricerca è lo studio dell’esposoma, un termine che indica tutto quello che non è genoma. “I geni spiegano solo il 10 per cento delle malattie. Il resto è legato a tutte le esposizioni che accumuliamo fin dal concepimento, che non sono solo chimiche, ma anche fisiche, per esempio la temperatura, e
Secondo l'Agenzia europea per l'ambiente, il 9 per cento dei tumori polmonari è legato all'inquinamento
con PM2.5: hanno così potuto osservare che nei polmoni si verificava un afflusso di macrofagi e il rilascio di interleuchina 1β, legata agli stati infiammatori e in grado di favorire la trasformazione delle cellule con mutazione di EGFR in cellule cancerose. La novità di questo studio è che conferisce plausibilità biologica all’azione dell’inquinamento atmosferico, dimostrando che il meccanismo sottostante lo sviluppo del tumore al polmone è di tipo infiammatorio ed è provocato proprio dal PM2.5.”
CAPIRE IL MECCANISMO D’AZIONE
L’aumento del rischio di sviluppare un tumore respirando aria inquinata non riguarda solo il polmone ma diverse altre neoplasie. “Già nello studio Escape di alcuni anni fa, a cui abbiamo partecipato anche noi dell’Imperial College e che ha analizzato grandi popolazioni in Europa, sono state individuate associazioni con altri tipi di tumori, come quello della mammella e del cervello. Più di
batteriologiche. Oggi le scienze omiche, come la proteomica o la trascrittomica e le relative tecnologie, ci consentono di raccogliere informazioni preziose per studiare i meccanismi, e quindi dare plausibilità a quelle associazioni tra ambiente e malattie che finora avevamo individuato solo come dato statistico.”
Al di là dei dati che stanno via via emergendo, non dobbiamo però dimenticare che, per quanto riguarda il cancro del polmone, il fumo di sigaretta è un fattore di rischio molto più importante rispetto all’inquinamento atmosferico. Secondo le stime dell’Agenzia europea per l’ambiente, infatti, i tumori polmonari legati all’inquinamento sarebbero il 9 per cento del totale, mentre sappiamo che quelli legati al fumo di sigaretta sono l’85-90 per cento. Dobbiamo quindi impegnarci in entrambe le direzioni, ridurre l’uso delle sigarette e fare quanto in nostro potere per migliorare l’ambiente in cui viviamo e respiriamo.
Giugno 2024 / Fondamentale / 29 / Ambiente e cancro / Particolato atmosferico
Guida alle terapie
Inibitori dei check-point immunitari
INIBITORI DEI CHECK-POINT IMMUNITARI: APRIRE GLI OCCHI ALLE DIFESE DELL’ORGANISMO
In questo articolo: — IMMUNOTERAPIA — ANTICORPI BISPECIFICI
Questi farmaci hanno inaugurato la rivoluzione dell’immunoterapia, cambiando in modo radicale il destino dei pazienti con melanoma e di tanti altri malati oncologici
Pa cura di Roberta Villa
e r decenni, nel secolo scorso, gli immunologi che studiavano il cancro si sono trovati davanti a un muro. Era evidente che il sistema immunitario non aggrediva le cellule tumorali come avrebbe dovuto, ma tutti gli espedienti provati per potenziarlo non sembravano portare ai risultati sperati. Affinché arrivasse la svolta occorreva capire cosa impedisce alle difese dell’organismo di agire. La storia che nel 2018 ha portato a Stoccolma, per ricevere il premio Nobel, i due pionieri di questa scoperta, James Allison e Tasuku Honjo, è una storia di lavoro, pazienza, determinazione e ingegno. Ed è una storia che parte da lontano, almeno dall’inizio degli anni Novanta del secolo scorso.
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terapie
Guida alle
/ Inibitori dei check-point immunitari
UNA STORIA A CAVALLO DI SECOLI E CONTINENTI
A quei tempi, Allison, all’MD Anderson Cancer Center di Houston, in Texas, studiava una proteina identificata da ricercatori francesi sulla superficie dei linfociti T, chiamata cytotoxic T-lymphocyte antigen 4, o in sigla, CTLA-4. Lo scienziato statunitense si accorse che questa proteina serviva a controllare la reazione del sistema immunitario e che in assenza di CTLA-4 si sviluppavano malattie autoimmuni. La grande intuizione di Allison fu immaginare che, sbloccando questo freno, si poteva provare a risvegliare la risposta delle cellule stesse contro i tumori. Nel frattempo, al di là dell’Oceano Pacifico, un gruppo di ricercatori dell’Università di Kyoto guidati da Tasuku Honjo stava studiando l’apoptosi, cioè la morte programmata di alcune cellule del sistema immunitario. I ricercatori giapponesi scoprirono una molecola che sembrava coinvolta in questo fenomeno, e che per questo
venne chiamata Programmed cell Death protein (da cui l’acronimo PD-1).
Alcuni anni dopo gli stessi scienziati dimostrarono che in realtà PD-1 non era direttamente implicata in ciò per cui era stata in un primo tempo identificata, ma agiva anch’essa come freno delle risposte immunitarie. Un errore provvidenziale, si potrebbe dire, senza il quale uno dei fulcri dell’immunoterapia moderna rischiava di non essere individuato.
A questi bersagli presenti sulla membrana dei linfociti T si aggiunse poi la molecola PD-L1, che si trova invece sulla superficie delle cellule tumorali, da dove si lega a PD-1 (la L di PD-L1, infatti, sta per ligand).
DAL LABORATORIO AI FARMACI
Gli studi preclinici e successivamente quelli clinici dimostrarono quanto questi sistemi di controllo, ribattezzati “check-point immunitari”, fossero importanti per mettere fuori uso le difese dell’organismo nei confronti di alcuni tumori. Sbloccando questi bersagli con anticorpi monoclonali prodotti in laboratorio, si poteva infatti mettere il sistema immunitario in condizione di sguinzagliare le sue cellule T contro quelle cancerose. Mentre i farmaci a bersaglio molecolare agiscono direttamente sui recettori o altri fattori importanti per la proliferazione cellulare, interrompendola, i medicinali che bloccano i check-point immunitari, detti appunto inibitori dei check-point immunitari, lasciano che a contrastare il tumore sia il sistema immunitario stesso, a cui loro si limitano, per così dire, ad aprire gli occhi e ridare forza. “Le due vie scoperte dai due premi Nobel e utilizzate finora sono diverse e complementari” spiega Giampaolo Tortora, ordinario di oncologia medica all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore del Comprehensive Cancer Center del Policlinico Gemelli di Roma. “CTLA-4 interviene nella prima fase della risposta, ostacolando la presentazione al linfocita T dell’antigene, cioè di quella sorta di identikit del tumore che il sistema immunitario deve innanzitutto riconoscere; l’interazione PD-1 con PD-L1 impedisce invece la reazione vera e propria, che dovrebbe scattare in un momento
successivo. Da ciò deriva la maggiore efficacia conseguente al combinare medicinali dei due diversi tipi. A questi si potrebbero sommare in futuro altri nuovi prodotti, che agiscano su ulteriori meccanismi di controllo di stimolo o di freno e che stanno emergendo dalla ricerca in questo campo.” Ma già per colpire i tre bersagli consolidati (CTLA-4, PD-1 o PD-L1) sono stati autorizzati e sono entrati nella pratica clinica molti farmaci, con diversi profili di tossicità e attività nei confronti dei diversi tumori.
SCEGLIERE CHI NE TRARRÀ PIÙ VANTAGGIO
Questi medicinali non sono del tutto privi di rischi ed effetti indesiderati: in alcuni pazienti possono verificarsi reazioni autoimmuni, infezioni opportunistiche o anche lo sviluppo di tumori del sangue o danni polmonari. Per questo, non solo per il costo molto elevato, la loro prescrizione deve essere preceduta da un’accurata valutazione del rapporto tra possibili rischi e benefici attesi, che cambiano molto in relazione al tipo di tumore e alle sue caratteristiche.
“Possiamo prevedere che risponderanno bene all’immunoterapia i tumori che esprimono maggiori quantità di proteina PD-L1, che si può facilmente dosare sulle cellule malate con un esame di laboratorio” precisa Tortora. “Per alcuni tumori, a partire da quello dello stomaco, si sta poi cominciando a effettuare questo esame non solo sulle cellule cancerose, ma anche in quelle del cosiddetto microambiente che le circonda, e di cui ormai è chiara la fondamentale importanza. Un altro fattore biologico, poco accurato ma comunque utile per sperare in una buona risposta alla cura, è la presenza di un alto carico mutazionale (Tumor Mutational Burden, TMB) cioè un elevato numero di mutazioni per milioni di basi di DNA. Infine, rare, ma molto predittive, sono alcune caratteristiche genetiche del tumore, come la presenza di microsatelliti del DNA o di un’alterazione dei meccanismi di riparazione del DNA stesso, che a sua volta porta a un
Giugno 2024 / Fondamentale / 31 Guida alle terapie / Inibitori dei check-point immunitari
alto numero di mutazioni.” Maggiori sono infatti le mutazioni del DNA, maggiore è il numero di proteine anomale, dette “neoantigeni”, che il sistema immunitario può riconoscere, se solo è messo in condizione di farlo utilizzando i farmaci di cui abbiamo parlato.
NON SOLO PER IL MELANOMA
La malattia in cui si sono ottenuti i primi, straordinari risultati, è stata il melanoma. Per la malattia inoperabile in IV stadio si è passati infatti da una sopravvivenza mediana di 6 mesi a una di 6 anni. E i progressi continuano.
Questo approccio terapeutico è stato poi via via tentato in altri tipi di
noma, ma anche in alcuni tumori del rene e del polmone.
PROSPETTIVE PER IL FUTURO
Anche lo sviluppo di nuovi farmaci continua, non solo cercando nuovi bersagli, ma rendendo sempre più efficace l’attacco a quelli già noti. “Da tempo sono entrati in fase di sperimentazione anticorpi bispecifici, cioè anticorpi che si legano a due diverse molecole, talvolta mettendo in contatto le cellule immunitarie con il tumore” spiega Tortora. “Con il supporto di AIRC, il mio gruppo di lavoro sta lavorando a nuovi farmaci immunitari costituiti da un anticorpo modificato, che veicola su un bersaglio tumorale specifico mediatori
Gli inibitori dei check-point immunitari sono oggi in alcuni casi la prima cura prescritta
cancro difficili da curare con i trattamenti convenzionali disponibili, per esempio nei tumori in fase avanzata del rene e di altre parti dell’apparato urinario, e in alcune neoplasie del polmone, dello stomaco e delle vie biliari.
Col passare del tempo gli inibitori dei check-point immunitari sono stati utilizzati in fasi sempre più precoci della malattia, fino a diventare, in alcuni casi, la prima cura prescritta, quella che gli oncologi chiamano prima linea, non solo contro il mela-
dell’infiammazione, detti citochine (es. IL-2, IL-12, TNF alfa), che hanno un effetto tossico sulle cellule cancerose.”
Gli ingegneri farmaceutici stanno lavorando anche per creare anticorpi che siano in grado di legarsi a un numero ancora maggiore di bersagli e quindi capaci di aiutare il sistema immunitario su più fronti: sono ancora in fase sperimentale, ma potrebbero un giorno aiutarci a combattere tumori ancora difficili da curare come il glioblastoma.
ALLEATI TRA LE ANSE INTESTINALI
A dare una mano all’immunoterapia ci sono anche alleati insospettabili, come i batteri che fanno parte del microbiota intestinale. “Tra loro ci potrebbero essere i veri direttori d’orchestra della risposta immunitaria, dal momento che la somministrazione di antibiotici prima o durante l’immunoterapia può modificare la risposta al trattamento in senso positivo o negativo” spiega Tortora. “La ricerca in questo campo è ancora in fase iniziale, ma sappiamo che esistono ceppi di batteri, come Akkermansia mucinifila , che, se presenti nell’intestino, aiutano l’azione dell’immunoterapia contro il tumore del polmone non a piccole cellule.” Esistono però anche studi in direzione opposta, che mostrano un effetto negativo di questo e altri coabitanti del nostro intestino sulla salute, con particolare riferimento al cancro. Ci vorrà quindi ancora tempo prima che questa ricerca si traduca in strumenti di cura o prevenzione, ma non c’è dubbio che si tratti di un approccio promettente.
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Alimentazione
Modalità di cottura
LE MODALITÀ DI COTTURA DEI
CIBI INFLUENZANO IL RISCHIO DI SVILUPPARE TUMORI?
a cura di Riccardo Di Deo
Negli ultimi anni, la ricerca scientifica ha posto sempre più attenzione sul legame tra alimentazione e rischio di sviluppare diverse forme di cancro. Tra i vari fattori presi in considerazione, anche l’effetto delle modalità di cottura dei cibi sulla salute
Con l’avvicinarsi dell’estate, cresce la voglia di fare grigliate all’aperto, un momento di convivialità che valorizza il legame sociale con il cibo. Tuttavia, è importante considerare i potenziali rischi associati a questo tipo di cottura. Grigliate, barbecue e altri tipi di cottura che espongono i cibi (carne, pesce e pollame) a temperature molto elevate possono produrre composti chimici potenzialmente dannosi, quali le amine eterocicliche e gli idrocarburi policiclici aromatici. Questi composti, in esperimenti di laboratorio, sono risultati mutageni, cioè capaci di provocare cambiamenti nel DNA, che possono aumentare in particolare il rischio di svi-
luppare un cancro dello stomaco o del colon-retto. Per questo motivo è consigliabile non ricorrere troppo spesso a questi metodi di cottura e comunque, quando lo si fa, associare sempre abbondanti verdure al pasto (per esempio un’insalata), in modo da limitare l’assorbimento di sostanze potenzialmente nocive nel tratto digerente. Per preservare al meglio i nutrienti delle verdure, esistono metodi di cottura più indicati. La bollitura, per esempio, anche se è preferibile non prolungarla troppo, perché si potrebbero inattivare o disperdere nell’acqua le vitamine del gruppo B e la C. Il consiglio è di cucinarle in poca acqua già bollente, coprire la pentola e preferire tempi di cottura
GRAZIE!
I nostri 20.000 volontari, con il fondamentale coordinamento dei nostri uffici territoriali, sono scesi in piazza il 12 maggio, il giorno della Festa della mamma, per distribuire oltre 600.000 Azalee della ricerca. Come ogni anno, sono state tantissime le persone che hanno deciso di donare a favore della ricerca sui tumori che colpiscono le donne, scegliendo così di fare un gesto concreto per affrontare il cancro insieme a noi.
brevi. Quando possibile, la cottura al vapore è da preferire, perché la temperatura è meno elevata e i nutrienti non si disperdono.
Indipendentemente dal metodo di cottura, è fondamentale consumare almeno 5 porzioni di verdure e frutta al giorno. La frutta, in particolare, aiuta a compensare le vitamine eventualmente perse durante la cottura, come la vitamina C. Come cottura a secco, invece, nessun particolare problema a usare il forno tradizionale o a microonde. A patto, naturalmente, di considerare anche in questo caso la temperatura massima che viene raggiunta, facendo attenzione a evitare la carbonizzazione anche minima delle superfici degli alimenti.
POLPETTE DI SPINACI E RICOTTA SU CREMA DI FAVE
Ingredienti per 10 polpette:
• 200 g di spinaci freschi
• 200 g di ricotta
• 50 g di pangrattato
• 30 g di formaggio grattugiato
• Sale e pepe q.b.
• Semi misti a piacere (sesamo, semi di girasole, semi di lino, ecc.)
• 100 g di fave secche (o 300 g di fave fresche)
• 1 spicchio d'aglio
• Olio d'oliva extravergine q.b.
Procedimento
Iniziate lessando le fave secche, precedentemente tenute in ammollo per circa 12 ore, in acqua leggermente salata fino a quando diventano tenere. Scolatele e trasferitele in un frullatore con uno spicchio d'aglio, un filo d'olio d'oliva, sale e pepe, frullando fino a ottenere una crema liscia.
Nel frattempo, cuocete gli spinaci freschi in padella finché non appassiscono, poi sminuzzateli finemente. In una ciotola, mescolate gli spinaci tritati con la ricotta, il pangrattato, il formaggio grattugiato, sale e pepe. Formate delle polpette e passatele nei semi misti a piacere.
Disponete le polpette su una teglia foderata con carta da forno e cuocetele nel forno preriscaldato a 180 °C per circa 20-25 minuti, o finché diventano dorate e croccanti. Una volta pronte, servite le polpette su un letto di crema di fave. Buon appetito!
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FONDAZIONE AIRC PER LA RICERCA SUL CANCRO ETS
Nel 2023, Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro ha destinato oltre 143 milioni di euro alla ricerca scientifica. Nello specifico, oltre 114 milioni sono stati deliberati per sostenere 695 progetti di ricerca individuali, 15 programmi speciali e 93 borse di studio, mentre 29 milioni sono indirizzati al sostegno di IFOM, l’istituto di oncologia molecolare d’eccellenza fondato da AIRC nel 1998.
Un risultato di cui andiamo estremamente orgogliosi, perché ci consente da un lato di confermare il sostegno ai circa 6.000 ricercatori che lavorano in istituzioni pubbliche e private su tutto il territorio nazionale, dall’altro di garantire a IFOM le risorse necessarie per proseguire le proprie attività e ampliare il proprio spettro d'indagine scientifica, estendendo il numero e la varietà dei laboratori di ricerca e integrando il parco di strumentazioni tecnologiche per svolgere una ricerca sempre più innovativa e vicina alla cura dei pazienti, in linea con quanto previsto dal nuovo piano scientifico Athena. Nel 2023, AIRC ha inoltre proseguito e potenziato le attività di informazione e sensibilizzazione del pubblico sui metodi per prevenire e diagnosticare precocemente il cancro e sui progressi della ricerca.
Niente di tutto questo sarebbe stato possibile senza la generosità dei nostri sostenitori e l’impegno dei nostri volontari, che ci hanno consentito di incrementare i proventi da raccolta fondi, grazie principalmente alla crescita delle tre manifestazioni nazionali di piazza (Arance della Salute a gennaio, Azalea della Ricerca a maggio e Cioccolatini della Ricerca a novembre), organizzate con il prezioso contributo dei nostri 17 Uffici territoriali.
STATO PATRIMONIALE ATTIVO
34 / Fondamentale / Giugno 2024 / Bilancio AIRC / Bilancio d’esercizio 2023
Bilancio AIRC Bilancio d’esercizio 2023
31/12/23 31/12/22 B) IMMOBILIZZAZIONI II Immobilizzazioni materiali 1) Terreni e fabbricati a) Immobili civili acquisiti per successione e donazione 26.662.836 22.385.387 Totale immobilizzazioni materiali 26.662.836 22.385.387 III Immobilizzazioni finanziarie 3) Altri titoli 127.659.573 118.254.162 Totale immobilizzazioni finanziarie 127.659.573 118.254.162 TOTALE IMMOBILIZZAZIONI 154.322.409 140.639.549 C) ATTIVO CIRCOLANTE II Crediti 1) verso clienti 626.313 853.417 3) verso enti pubblici 973.390 871.823 4) verso soggetti privati per contributi 2.871.953 3.572.956 12) verso altri 14.237.058 1.922.533 Totale crediti 18.708.714 7.220.729 III Attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni 3) Altri titoli 13.616.589 4.368.746 IV Disponibilità liquide 118.618.893 175.252.967 TOTALE ATTIVO CIRCOLANTE 150.944.196 186.842.442 D) RATEI E RISCONTI 1.356.222 943.901 TOTALE ATTIVO 306.622.827 328.425.892 PASSIVO 31/12/23 31/12/22 A) PATRIMONIO NETTO I Fondo di dotazione 3.000.000 3.000.000 II Patrimonio vincolato 2) Riserve vincolate per decisione degli organi istituzionali 54.914.694 77.056.717 3) Riserve vincolate destinate da terzi 15.967.670 15.418.756 Totale patrimonio vincolato 70.882.364 92.475.473 III Patrimonio libero 1) Riserve di utili o avanzi di gestione 162.066.165 155.504.840 IV Avanzo/disavanzo d'esercizio 1.585.171 6.561.324 TOTALE PATRIMONIO NETTO 237.533.700 257.541.637 B) FONDI PER RISCHI E ONERI 1.939.275 1.093.543 C) TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO 671.874 874.147 D) DEBITI ESIGIBILI ENTRO L'ESERCIZIO SUCCESSIVO 7) Debiti verso fornitori 4.346.259 3.035.585 9) Debiti tributari 484.109 342.384 10) Debiti verso istituti di previdenza e di sicurezza sociale 438.319 453.084 12) Altri debiti a) debiti verso organismi di ricerca 59.429.035 63.334.221 b) debiti diversi 1.642.873 1.620.070 TOTALE DEBITI 66.340.595 68.785.344 E) RATEI E RISCONTI PASSIVI 137.383 131.221 TOTALE PASSIVO 306.622.827 328.425.892
(valori in Euro)
ONERI E COSTI
A) Costi e oneri da attività di interesse generale
4) Personale
7) Oneri diversi di gestione
a) Informazione
b)
c) Altri oneri connessi a progetti di ricerca e borse di studio
9) Accantonamento a riserva vincolata per decisione degli organi istituzionali
a) Assegnazioni di progetti di ricerca e borse di studio deliberate dagli organi istituzionali
b) Assegnazioni a sostegno di sinergie istituzionaliFondazione IFOM
c) Accantonamento per progetti di ricerca pluriennali
10) Utilizzo riserva vincolata per decisione degli organi istituzionali
B) Costi e oneri da attività diverse 2) Servizi
7) Oneri diversi di gestione -
C) Costi e oneri da attività di raccolta fondi
1) Oneri da raccolte fondi abituali
a) Oneri per generare i contributi liberali
b) Lasciti testamentari e donazioni
2) Oneri da raccolte fondi occasionali 9.504.787 8.383.220
a) Arance della Salute 1.779.407 1.440.684
b) Azalea della Ricerca
c) Giorni della Ricerca 333.284 359.909
d) Cioccolatini della Ricerca 1.509.934
e) Nastro Rosa
f) Natale di AIRC
g) Attività occasionali degli Uffici regionali e Comitati
3) Altri oneri
a) Comunicazione e sensibilizzazione
b) Personale 6.447.360 6.091.098
c) Altri oneri
d) Accantonamenti per rischi e oneri
D) Costi e oneri da attività finanziarie e patrimoniali
3)
4)
E) Costi e oneri di supporto generale
2)
PROVENTI E RICAVI
Giugno 2024 / Fondamentale / 35 / Bilancio AIRC / Bilancio d’esercizio 2023
31/12/23 31/12/22
1.923.877 1.770.589
3.964.656
3.795.910
scientifica 1.918.629 2.061.639
992.482 923.113
Divulgazione di missione
1.053.545 811.158
158.705.420 154.840.436
114.342.885 116.331.184
29.000.000 21.073.931
15.362.535 17.435.321
(21.710.045) (33.622.943) Totale 142.883.908 126.783.992
8.320 53.320
Totale
6
8.320 53.326
7.699.349
7.791.400
7.232.484
7.109.382
466.865 682.018
4.636.627 3.950.837
1.380.655
389.815 314.507
528.895 692.553
326.825
244.075
9.424.931
8.829.875
2.058.699 2.329.898
336.297 346.015
582.575 62.864 Totale 26.629.067 25.004.495
edilizio 356.838 471.743
Da patrimonio
Da altri beni patrimoniali - 3.060.024 Totale 356.838 3.531.767
Servizi 1.664.859 1.673.780
Godimento beni di terzi 673.445 560.774
Personale 2.873.591 2.231.828
Altri oneri 434.463 306.941 Totale 5.646.358 4.773.323 Totale oneri e costi 175.524.491 160.146.904
3)
4)
7)
31/12/23 31/12/22 A) Ricavi, rendite
proventi da attività di interesse generale 4) Erogazioni liberali 7.596.880 12.151.350 a) Contributi finalizzati 6.020.770 6.092.200 b) Lasciti testamentari con vincolo di destinazione 1.576.110 6.059.150 5) Proventi del 5 per mille 69.848.811 67.950.505 8) Contributi da enti pubblici 224.729 170.289 9) Altri ricavi, rendite e proventi 2.420.036 1.141.852 Totale 80.090.456 81.413.996 Avanzo/disavanzo
(62.793.452) (45.369.996) B)
3) Ricavi per prestazioni e cessioni a terzi 750.397 784.715 Totale 750.397 784.715 Avanzo/disavanzo attività diverse (+/-) 742.077 731.389 C) Ricavi, rendite e proventi da attività di raccolta fondi 1) Proventi da raccolte fondi abituali 70.028.471 62.896.169 a) Contributi liberali 38.636.605 36.791.785 b) Lasciti testamentari e donazioni 31.391.866 26.104.384 2) Proventi da raccolte fondi occasionali 24.776.616 21.290.688 a) Arance della Salute 3.933.566 2.974.559 b) Azalea della Ricerca 11.353.013 9.216.160 c) Giorni della Ricerca 2.332.065 2.207.491 d) Cioccolatini della Ricerca 3.570.286 3.093.656 e) Nastro Rosa 1.267.645 1.160.077 f) Natale di AIRC 1.550.115 1.988.640 g) Attività occasionali degli Uffici regionali e Comitati 769.926 650.105 Totale 94.805.087 84.186.857 Avanzo/disavanzo attività
raccolta fondi 68.176.020 59.182.362
2) Da altri investimenti finanziari 1.304.5513) Da patrimonio edilizio 1.146.474 1.226.680 Totale 2.451.025 1.226.680 Avanzo/disavanzo
(+/-) 2.094.187 (2.305.087) Totale proventi e ricavi 178.096.965 167.612.248 Avanzo/disavanzo d’esercizio prima delle imposte (+/-) 2.572.474 7.465.344 Imposte (987.303) (904.020) Avanzo/disavanzo d’esercizio (+/-) 1.585.171 6.561.324
AIRC PER LA RICERCA SUL CANCRO ETS RENDICONTO GESTIONALE
e
attività di interesse generale (+/-)
Ricavi, rendite e proventi da attività diverse
di
D) Ricavi, rendite e proventi da attività finanziarie e patrimoniali
attività finanziarie e patrimoniali
FONDAZIONE
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Affrontiamo il cancro. Insieme.
PERSONAL FUNDRAISING: UN MODO DI RACCOGLIERE FONDI PER AIRC ALLA PORTATA DI TUTTI
a cura della redazione
Alessandro Mucci, personal fundraiser, e il suo team sono dal 2020 al fianco di Fondazione AIRC con il progetto Pedalando per la Ricerca.
“Ho cominciato a pedalare per AIRC nel 2020, quando mia madre si è ammalata di tumore e io, come regalo di compleanno, a giugno sono partito. A 23 anni, con un pizzico di incoscienza, avevo approfittato della fine del primo lockdown per attraversare le zone del Centro Italia colpite dal terremoto, ancora più deserte in quei mesi. Da quel momento, ogni anno ho sempre organizzato un viaggio in bici solidale.”
Le imprese sportive di Alessandro diventano una leva per coinvolgere tutti i suoi amici, i conoscenti e le persone che lo seguono sui canali social e sensibilizzarli sull’importanza di donare a favore della ricerca oncologica.
Nel 2021, Alessandro ha pedalato da Milano a Sanremo non-stop e ha poi affrontato un tour del Friuli-Venezia Giulia. Nel 2022 è stato il turno di un percorso di 750 chilometri dal Mar Tirreno a quello Adriatico, del tragitto Genova-Cattolica non stop dei 2.200 metri di dislivello della
Druento-Rocciamelone. Nel 2023, infine, si sono affiancati ad Alessandro altri personal fundraiser con la voglia di raggiungere, insieme, un grande obiettivo di raccolta fondi. In agosto, Ciro Russo, Valentina Giorgis e Gennaro Russo hanno pedalato da Rivoli a Santiago de Compostela, mentre Fabiano Altobello è andato da Torino a Bruxelles. Alessandro, Marco, Alberto e Marco hanno pedalato da Torino a Firenze non-stop e, insieme all’influencer Stefano La Mastra, si sono cimentati in un viaggio da Barcellona a Genova, macinando 1.000 chilometri. Quattro anni trascorsi, tanti amici coinvolti, 6.000 km percorsi in bicicletta e oltre 40.000 euro raccolti a sostegno della ricerca scientifica oncologica.
Nel 2024, il progetto Pedalando per la Ricerca è giunto alla sua quinta edizione e sono sempre di più coloro che scelgono di coniugare solidarietà e passione per lo sport (ciclismo e non solo) attraverso il progetto di Alessandro. Un nuovo metodo capace di coinvolgere, creare momenti di condivisione, attivare reti di raccolta fondi, raccontare storie e sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della prevenzione!
Volontariato Personal fundraising 36 / Fondamentale / Giugno 2024 / Volontariato / Personal fundraising
Testimonianza
Campagna 5 per mille
a cura della redazione
“LA GUARIGIONE DIPENDE DAI RISULTATI DELLA RICERCA”
Ernesto ha superato una citopenia refrattaria evoluta in leucemia mieloide acuta, e oggi ha prestato il suo volto alla campagna 5 per mille di AIRC perché crede fortemente nell’importanza di sostenere gli studi sul cancro
Nel 2009, a 16 anni, Ernesto è un ragazzo come tanti nel pieno della sua adolescenza. Gli capita spesso di perdere sangue dal naso, ma non è un problema debilitante. Una volta però finisce al pronto soccorso, e gli esami indicano che i livelli delle piastrine risultano molto bassi. Al Cardarelli di Napoli temono un blocco del midollo, effettuano un prelievo e gli diagnosticano una citopenia refrattaria.
Ernesto non è ancora del tutto consapevole di quanto sta accadendo, segue le direttive dei medici e si fa condurre dall’amore di sua madre, Carla. “Per lei è stato davvero difficile, anche se è stata magnifica. Per questo oggi, quando vado a parlare come volontario negli ospedali pediatrici, mi rivolgo prima di tutto a loro, le mamme, che mi ascoltano volentieri: la mia presenza è la prova che anche i loro figli possono farcela.”
Ernesto e la sua famiglia decidono allora di rivolgersi a Franco Locatelli a Pavia: “Quel giorno il professor Locatelli mi ha spiegato tutto, per filo e per segno, ogni dettaglio. Mi ha detto che non era una cosa facile, ma che avremmo potuto farcela… Mi sono fidato di lui fin dal primo momento e
tutt’oggi gli sono molto legato”. Ernesto viene allora messo in lista di attesa per il trapianto del midollo. Nel frattempo, però, i problemi non sono finiti. Nel 2010 Ernesto, in attesa di trapianto, ha una febbre molto alta, perde i sensi e viene ricoverato per un’infezione alla gamba sinistra (dovuta ai globuli bianchi molto bassi); viene operato alla gamba e subisce un innesto di pelle asportata da un’altra parte della gamba stessa (tutto senza anestesia, poiché ha la febbre). Successivamente viene operato una seconda volta, questa volta per una fistole coccigea.
Finalmente si trova un donatore per il trapianto di midollo osseo. Franco Locatelli è a conoscenza degli interventi già subiti da Ernesto e aspetta che si rimetta in forma prima di iniziare la preparazione al trapianto. A dicembre 2010 Ernesto subisce il trapianto del midollo osseo (da donatore esterno), l’intervento riesce e inizia la terapia antibiotica. La fase
relativa all’operazione è stata lunga e difficile: “Devi avere solo pazienza” gli aveva detto Franco Locatelli. “L’ho sentito molto vicino in quel periodo, veniva a trovarmi ogni giorno.”
Ernesto si fida di lui e sa che può farcela. E così è: supera brillantemente l’intervento e riprende la sua vita. Oggi Ernesto è iscritto a medicina e ha un bellissimo cane di nome Ciro. “Dalla mia esperienza ho tratto una lezione: la guarigione dipende dai risultati della ricerca, dalla medicina e dall’umanità delle persone con cui hai a che fare.” Per questo oggi Ernesto ha accettato di essere uno dei volti della campagna 5 per mille di Fondazione AIRC, con l’obiettivo di ricordare a tutti l’importanza della ricerca sul cancro.
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Giugno 2024 / Fondamentale / 37 / Testimonianza / Campagna 5 per mille
AFFRONTIAMO IL CANCRO. INSIEME. CODICE FISCALE
I PARTNER DELL’AZALEA DELLA RICERCA
Dal 1984 Fondazione AIRC promuove l’iniziativa Azalea della Ricerca per raccogliere fondi a sostegno della ricerca sui tumori che colpiscono le donne e per sensibilizzare il pubblico sull’importanza della prevenzione. Anche grazie ai progetti di ricerca finanziati da AIRC, negli ultimi quarant’anni in Europa sono state salvate dal cancro le vite di oltre 2 milioni di donne. Ma sostenere medici, ricercatrici e ricercatori che lavorano per rendere curabili tutti i tumori che colpiscono le donne rimane una priorità, con l’obiettivo di trovare terapie più efficaci e meno invasive e restituire a tutte le pazienti i propri sogni e progetti di vita. Anche quest’anno i 20.000 volontari AIRC sono tornati a raccogliere fondi in più di 3.000 piazze italiane tramite la distribuzione delle iconiche piantine di azalea, divenute ormai simbolo della salute femminile. Oltre ai volontari, bisogna ringraziare anche le aziende partner che hanno contribuito alla buona riuscita dell’iniziativa e che sostengono la ricerca sui tumori che colpiscono le donne, aiutando AIRC ad amplificare i messaggi di prevenzione. Banco BPM, partner istituzionale, ha rinnovato il proprio impegno per favorire la divulgazione scientifica e il coinvolgimento del pubblico nel sostegno della ricerca sui tumori che colpiscono le donne, con iniziative che si inseriscono in una più ampia visione di responsabilità sociale di impresa per coinvolgere i dipendenti, le loro famiglie, i clienti e le comunità locali. Il nostro ringra-
ziamento va anche alle reti Imprese Retail e Corporate di Banco BPM, che si sono attivate per un’ulteriore chiamata all’azione delle aziende clienti a sostegno alla ricerca.
Ha scelto di sostenere l’Azalea della Ricerca anche Interflora, confermando il percorso avviato 3 anni fa a sostegno del tumore al seno. L'azienda ha donato ad AIRC una percentuale sul fatturato derivante dalla vendita di una selezione dedicata di fiori e piante, distribuite tra il 15 e il 31 maggio. PayPal ha invece deciso di sensibilizzare la propria rete sull’importanza della ricerca e della prevenzione e, nel mese di maggio, ha consentito ai clienti di donare 1 euro ad AIRC al momento del pagamento, grazie al servizio Give at Checkout. A queste aziende si aggiungono numerose realtà imprenditoriali italiane che hanno scelto le piantine di azalea AIRC per omaggiare dipendenti e clienti, organizzare un punto di distribuzione in azienda o coprire i costi delle azalee fornite dai volontari nelle piazze, aumentando l’impatto per la ricerca. Amazon.it ha inoltre rinnovato il suo sostegno ad AIRC, mettendo a disposizione la sua piattaforma e-commerce per la distribuzione online delle Azalee della ricerca, consegnate direttamente a casa dei donatori AIRC da BRT, che ha messo a servizio di AIRC la sua capillarità sul territorio, permettendo di raggiungere i sostenitori in tutta Italia e garantendo la massima affidabilità nella consegna.
Una grande rete di imprese, che si è attivata in diversi modi per rispondere a un importante obiettivo comune: affrontare il cancro, insieme.
38 / Fondamentale / Giugno 2024 / Collaborazioni / Partner Collaborazioni Partner