DISABILITÀ
Garantire alle persone con disabilità un equo diritto alla salute
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Garantire alle persone con disabilità un equo diritto alla salute
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VITA DA RICERCATRICE
In
FONDAMENTALE
Anno LI - Numero 3
Giugno 2023 - AIRC Editore
DIREZIONE E REDAZIONE
Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro ETS
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Andrea Sironi Presidente AIRCIn questo numero di Fondamentale pubblichiamo i dati di bilancio della Fondazione relativi al 2022. C’è un aspetto importante sul quale vorrei attirare l’attenzione del lettore: l’efficienza nell’utilizzo delle risorse che vengono assegnate ad AIRC ogni anno. Il grado di efficienza può essere misurato rapportando i costi di struttura, ossia le spese non connesse alle erogazioni per il finanziamento della ricerca, al totale dei fondi raccolti durante l’anno. Questo rapporto per la nostra Fondazione risulta pari al 15 per cento, un valore particolarmente contenuto, specie se paragonato a quello delle altre fondazioni –italiane ed europee – che sovvenzionano la ricerca scientifica, generalmente superiore al 20 per cento. Questo elevato grado di efficienza riflette a sua volta la grande attenzione che in AIRC viene posta al contenimento dei costi, evitando eccessive spese in marketing. Come siamo soliti affermare, in AIRC “ogni singolo euro raccolto è importante”.
Uno dei canali più rilevanti per la raccolta fondi di AIRC è rappresentato dai lasciti testamentari. Nel 2022 sono stati raccolti più di 30 milioni di euro, un contributo significativo alla nostra attività di erogazione. Desidero cogliere questa occasione per esprimere il mio ringraziamento personale e quello dell’intera Fondazione a tutti gli italiani, ormai numerosi, che con grande sensibilità decidono di sostenere AIRC in tale forma. In questo numero riportiamo la testimonianza di Franca, una nostra sostenitrice che ha scelto di includere AIRC all’interno del proprio testamento. È un gesto semplice, che consente di contribuire alla battaglia contro il cancro anche quando non ci saremo più.
Desidero infine ricordare un altro aspetto importante della nostra attività di supporto ai circa 6.000 scienziati oncologi italiani. Nei numerosi incontri con i nostri donatori mi viene spesso rivolta una domanda: “Cosa succede a un ricercatore quando termina il finanziamento del suo progetto? Come può continuare la sua attività di ricerca quando il finanziamento si esaurisce?”. Sono quesiti importanti che toccano un tema per noi fondamentale.
La Fondazione AIRC, attraverso la propria direzione scientifica, segue con attenzione tutti i ricercatori beneficiari dei finanziamenti, e monitora i relativi progressi nel tempo. La grande maggioranza degli scienziati che conseguono risultati positivi e coerenti con gli impegni assunti in sede di presentazione dei propri progetti riescono a continuare l’attività di ricerca grazie a finanziamenti successivi. È infatti per noi molto importante garantire la continuità nel lavoro dei ricercatori più brillanti. La copertina di questo numero di Fondamentale è dedicata a Donatella Del Bufalo, una biologa dell’IFO di Roma che AIRC sostiene dal 2000, e che è ormai al suo sesto Investigator Grant, il tipo di finanziamento che la nostra Fondazione assegna ai ricercatori affermati.
VITA DA RICERCATRICE
Donatella Del Bufalo
Donatella Del Bufalo ha sposato la missione di AIRC e la sostiene sia con il suo lavoro di ricercatrice dell’IFO sia come volontaria
a cura di MICHELA VUGA
Non appartiene alla schiera di scienziate in cui la scintilla per la ricerca si è accesa fin dalla tenera età. “Sicuramente farebbe più impressione, ma no, nel mio caso non è stato proprio così!” ammette ridendo Donatella Del Bufalo, biologa dell’IFO – Istituto nazionale tumori Regina Elena di Roma, dove lavora nell’Unità di modelli preclinici e nuovi agenti terapeutici. Al mondo della ricerca è arrivata un po’ per caso e all’oncologia per l’intuizione – supportata però da una grande determinazione – che la ricerca in oncologia fosse per lei la direzione più giusta da prendere. “Finito il liceo scientifico Gregorio da Catino di Poggio Mirteto, in provincia di Rieti, dovevo decidere cosa fare: amavo le materie scientifiche e presi in considerazione medicina, ma mi sarebbe piaciuto anche studiare lingue. La scelta fu in parte influenzata dalle amiche: eravamo un bel gruppo, molto legate, e decidemmo per biologia, che tutto sommato rispecchiava i miei interessi. In seguito, fu sempre per caso che entrai al Regina Elena, non lo scelsi di proposito.” L’istituto, infatti, si trova di fronte alla Sapienza, l’università dove si è laureata nel 1985 con 110/110, per cui fu uno dei primi posti in cui fece domanda per effettuare il tirocinio post-lauream obbligatorio in quegli anni per l’abilitazione alla professione. “Fu un’esperienza bellissima anche per i colleghi, con cui c’era molto affiatamento. Ma ben presto mi resi conto che il laboratorio di analisi mi andava stretto: seguendo seminari e convegni, rimasi affascinata e incuriosita da quanto raccontavano gli oncologi e percepii che la ricerca sul cancro poteva essere la strada giusta per me. Presi la mia decisione e mai me ne sono pentita.” Così, terminato il tirocinio, Donatella chiese a Gabriella Zupi, che dirigeva il Laboratorio di chemioterapia sperimentale pre-
clinica, di far parte del suo gruppo. “Mi avvertì che fare ricerca non è facile e poi mi disse: ‘Qui puoi entrare, non c’è problema, ma diamo l’opportunità di rimanere soltanto alle persone che dimostrano la voglia e la stoffa per meritarselo’. Io risposi che ero pronta a provarci. E così ho fatto.”
Raccontando quei primi anni in cui cercava di individuare la sua strada, Donatella sorride e un po’ si commuove, ricordando i suoi genitori che, insieme a suo marito, sono stati i suoi principali supporter. “Sono nata a Montopoli di Sabina, un piccolo paese in provincia di Rieti. Nella mia famiglia non c’erano medici o scienziati, i miei genitori avevano la licenza elementare e non sapevano consigliarmi su quale fosse la cosa giusta da fare rispetto agli studi, mi hanno sempre lasciata decidere in autonomia. Mettevano la cultura al primo posto: mio padre mi diceva che per essere liberi bisogna essere innanzitutto colti, avere un bagaglio culturale che ti permetta di tenere la testa alta dovunque tu sia.” Con Sandro, architetto oggi in pensione, si è sposata a 24 anni e hanno due figli: Edoardo, 27 anni, informatico, e Sandra, 30, laureata in filosofia. Donatella da sempre ha un bisogno spasmodico di leggere (ha appena terminato Le assaggiatrici, “molto bello!”) e le piace il ballo: “Per i miei 50 anni chiesi a mio marito di venire a ballare il tango con me. Mi accontentò ma resistette un anno, proprio non lo entusiasmava! Ora però abbiamo trovato ciò che fa per noi: il Lindy Hop, che si balla su musica swing ed è divertentissimo”. Insieme, nel tempo libero, amano fare lunghe camminate, un modo per ritrovare equilibrio ed energia. “È anche merito di mio marito se ho potuto fare la ricercatrice con tanta libertà. Il mio lavoro richie-
de impegno e dedizione e spesso gli orari sono dettati dagli esperimenti, non dal fatto che devi portare i figli in piscina. È stato un padre e un marito sempre presente, c’è stata grande condivisione ed è anche grazie a lui che sono andata un anno negli Stati Uniti nonostante fossimo già sposati.”
Era il 1990 e un viaggio a Washington per il congresso dell’AACR –American Association of Cancer Research, rappresentava una buona occasione per una visita in un laboratorio americano. La accolsero al National Cancer Institute di Frederick, presso il Molecular and Cellular Immunology Laboratory diretto da Howard A. Young. Inizialmente doveva fermarsi cinque giorni, che divennero trenta poco prima di partire: “Ma una volta lì… non riuscivo a tornare a casa! Era un’esperienza talmente intensa e diversa dal modo di lavorare in Italia. Così, quando mi proposero un contratto di dieci mesi, ne parlai con mio marito, lui mi diede il suo sostegno e rimasi. È stato un anno di formazione molto importante, mi ha dato fiducia”. Rientrata in Italia, nel ’92 partecipa al concorso come assistente e lo vince, ottenendo una permanent position al Regina Elena. L’anno dopo arrivano i primi grant da CNR e Ministero della salute “non facili da ottenere se sei all’inizio della carriera e non c’è nessuno che ti guidi e ti spieghi come devi impostare il lavoro. In questo Gabriella Zupi mi ha fatto da mentore, mi ha dato la possibilità di crescere e di avere fin da subito la mia indipendenza. Quando è mancata, qualche anno fa, per me è stata una grandissima perdita”.
Ho scelto il mio percorso di studi un po’ per caso, ma sono rimasta presto affascinata e incuriosita da quanto raccontavano i colleghi oncologi. Così capii che la ricerca sul cancro poteva essere la scelta giusta per me e mai me ne sono pentita.
Il focus della ricerca di Donatella è il melanoma, nello specifico la proteina BCL-2: è un induttore di sopravvivenza, cioè consente alla cellula tumorale di vivere più a lungo, e favorisce la resistenza, per cui, quando la proteina è molto espressa, il cancro è in grado di contrastare le terapie. Nello sviluppo dei tumori solidi, e in particolare del melanoma, entrano in gioco anche altre proteine della stessa famiglia, quali BCL-XL e MCL-1. “Studiare il loro ruolo nella progressione del melanoma è stato l’obiettivo del mio primo progetto finanziato da AIRC. Era il 2000 e da allora sono sempre riuscita –tranne una volta, e fu difficile accettare la défaillance!
– a ottenere i finanziamenti AIRC che mi hanno permesso di conseguire risultati importanti e di far lavorare con me molti giovani. Ad AIRC devo tutta la mia carriera.”
Da altre ricerche di Donatella è emerso il ruolo di BCL-2 come modulatore dell’angiogenesi (ovvero la sua capaci-
tà di potenziare la vascolarizzazione favorendo di conseguenza la crescita del tumore), nonché il suo coinvolgimento nella formazione di metastasi. Di recente Donatella ha dimostrato che tale proteina può condizionare, modificandole, alcune cellule del sistema immunitario: “Quando BCL-2 è espressa ad alti livelli dalla cellula di melanoma, è in grado di indurla a secernere alcune molecole, soprattutto citochine, che hanno effetto sui macrofagi, facendoli diventare per lo più di tipo M2, cioè macrofagi protumorali. Quindi andare a inibire BCL-2 e le proteine della stessa famiglia non vuol dire soltanto focalizzarsi sulla cellula cancerosa ma anche sul microambiente tumorale, che oggi sappiamo essere molto importante per lo sviluppo della malattia”. E proprio l’individuazione di un inibitore specifico è l’ultimo successo ottenuto in collaborazione con ricercatori dell’Università Sapienza e del CNR: si chiama IS21 e ora sono in corso esperimenti per capire se potrà potenziare l’efficacia della target therapy e dell’immu-
noterapia, due trattamenti di grande rilievo nella cura del melanoma.
Oggi il gruppo di Donatella è formato da tredici persone ed è decisamente al femminile (ne fa parte un solo uomo). È orgogliosa che in molti, anche in passato, abbiano ottenuto a loro volta un finanziamento da AIRC, mantenendo poi una promessa fatta a lei: “Diventare volontari. Perché è bello poter dire che AIRC finanzia la mia borsa di studio, ma è altrettanto bello aiutare AIRC affinché questo succeda!”. In effetti Donatella è da sempre una volontaria, nonché l’organizzatrice instancabile di tutte le raccolte fondi della Fondazione all’interno dell’IFO, un ruolo che nell’istituto tutti le riconoscono. Una volta alla settimana, il martedì, si tiene la riunione che fa il punto sui vari esperimenti in corso e sui dati emersi, un appuntamento fondamentale per il suo lavoro: “La ricerca per definizione deve essere fatta in team e il confronto continuo è importante. L’esperienza conta ma lo scambio è indispensabile. Da soli” conclude “non si va da nessuna parte”.
Donatella è una volontaria instancabile, e cerca sempre di coinvolgere anche i suoi colleghi nel sostegno ad AIRC
La molecola miR-214 favorisce la formazione di metastasi e potrebbe diventare un bersaglio terapeutico. Lo ha di recente dimostrato uno studio guidato da Daniela Taverna dell’Università di Torino, grazie al supporto di AIRC. MiR-214 è una piccola porzione di RNA che media la comunicazione tra le cellule tumorali e l’ambiente circostante, detto microambiente. Su modelli animali di cancro al seno e melanoma, i ricercatori hanno osservato che le cellule neoplastiche promuovono l’instaurarsi di
una condizione infiammatoria. Questa porta le cellule del microambiente a produrre miR-214 e a rilasciarla alle stesse cellule tumorali. Qui miR-214 può attivare un programma “di malignità” che favorisce la formazione di metastasi in organi distanti. Interrompere la trasmissione di informazioni bloccando la produzione di miR-214 potrebbe quindi essere efficace per la cura di diversi tipi di tumore.
Un nuovo sistema prognostico potrebbe aiutare a prevedere la risposta al trapianto di cellule staminali ematopoietiche nei pazienti con sindromi mielodisplastiche. Lo studio, condotto dal gruppo di ricerca di Matteo Giovanni Della Porta con il supporto di AIRC, ha caratterizzato geneticamente e osservato per tre anni l’andamento della malattia in circa 3.000 pazienti con questa patologia. Grazie a un campione così ampio, i ricercatori hanno potuto associare alcune mutazioni del DNA a una categoria di rischio per la risposta al tra-
pianto. Un rischio molto basso significa che il paziente probabilmente reagirà in modo positivo alla cura, se è invece molto alto la terapia potrebbe non essere efficace. Prevedere la risposta del singolo al trattamento significa comprendere in anticipo se i benefici supereranno gli effetti collaterali e, di conseguenza, poter valutare alternative terapeutiche. Per aumentarne l’accuratezza e la sicurezza, il sistema verrà testato su ulteriori gruppi di pazienti.
È stato identificato un nuovo bersaglio per la cura dell’adenocarcinoma pancreatico duttale: bloccando il metabolismo dell’arginina, un amminoacido sintetizzato dall’organismo, si risveglia la risposta immunitaria contro il tumore. Lo dimostra uno studio condotto su animali di laboratorio dal gruppo di Vincenzo Bronte dell’Istituto oncologico veneto di Padova. Secondo i loro risultati, quando l’arginina (h)ARG1 è tagliata in due molecole più piccole, si riduce l’attività dei linfociti T citotossici inibendo la risposta anti-
tumorale del sistema immunitario. Se, però, si blocca (h)ARG1 con un anticorpo monoclonale o si impedisce la sua conversione in due parti, si riattivano i linfociti T e la risposta antitumorale del sistema immunitario aumenta. Combinando questo approccio con gli inibitori di checkpoint immunitari, la terapia contro l’adenocarcinoma pancreatico duttale è più efficace. Ora però bisognerà validare i risultati sui pazienti.
Oggi siamo ancora
dal guarire tutti i pazienti ma, grazie all’impegno e ai risultati della ricerca, anche i malati con forme avanzate riescono ad avere una più che discreta aspettativa
a cura di ANTONINO MICHIENZI
Il melanoma è l’ambito di ricerca in cui hanno trovato realizzazione tutti gli studi e i sogni di chi ha creduto nell’immunoterapia dei tumori.”
Licia Rivoltini dirige l’Unità di immunologia traslazionale all’Istituto nazionale dei tumori di Milano e così sintetizza la rivoluzione che ha investito il melanoma negli ultimi dieci anni. Una rivoluzione che ha trasformato questo tumore da malattia che, nelle fasi avanzate, aveva pochissime – se non nessuna – chance di trattamento, in neoplasia che può essere gestita con buone probabilità di successo.
UN SOLO ORGANO DIVERSI TUMORI
La pelle è l’organo più esteso del nostro corpo ed è forma-
ta da tre strati: in superficie c’è l’epidermide, immediatamente sotto si trova il derma e, in profondità, il tessuto sottocutaneo.
Quando si parla di tumori della pelle ci si riferisce alle neoplasie che hanno origine dall’epidermide e dalle cellule che la compongono. Le più comuni sono i cheratinociti: quelli presenti nello strato più esterno sono chiamati cellule squamose e a partire da loro si sviluppa il carcinoma spinocellulare. I cheratinociti dello strato più profondo sono, invece, detti cellule basali e possono dare origine ai carcinomi basocellulari.
I carcinomi basocellulari e quelli spinocellulari, insieme, rappresentano circa il 90 per cento di tutti i tumori cutanei. Sono tumori che tendono a evolvere lentamente, raramente danno luogo a metasta-
si e in genere vengono rimossi chirurgicamente quando sono ancora localizzati.
Diversa è invece la situazione nel melanoma cutaneo. Il melanoma si sviluppa dai melanociti, le cellule dell’epidermide capaci di produrre melanina, il pigmento che offre protezione dagli effetti dannosi dei raggi solari. I melanociti sono presenti anche nell’occhio e nelle mucose, e possono dare origine ad altre forme di melanoma, molto più rare però di quella che colpisce la cute.
Il melanoma è una neoplasia molto aggressiva, la cui incidenza è da anni in crescita, al punto che è diventata il ter-
CONSIGLI
• Scegli il fattore di protezione in base al tuo fototipo. Scopri qual è a pagina 10;
• Non usare creme solari scadute;
• Usa la crema mezz’ora prima di esporti al sole e rimettila ogni due ore;
• Evita di esporti al sole nelle ore più calde;
• Per proteggerti dal sole, indossa un cappello, abiti leggeri e occhiali da sole.
zo tumore più frequente nei pazienti con meno di 50 anni. Secondo il rapporto annuale I numeri del cancro in Italia, per il 2022 si stimano circa 12.700 nuove diagnosi di melanoma cutaneo. Sono, invece, quasi
“
Fino a poco più di dieci anni fa era uno dei tumori più difficili da curare.
lontani
di vita
170.000 le persone che vivono in Italia dopo una diagnosi di melanoma.
Questo aumento, spiega Rivoltini, “è legato in parte a fattori ambientali, per esempio alla minore protezione dai raggi solari offerta dall’atmosfera, e in parte al fatto che sono cambiate le nostre abitudini di esposizione al sole”. Il principale fattore di rischio per il melanoma cutaneo è infatti l’esposizione eccessiva e scorretta alla luce ultravioletta, che può danneggiare il DNA delle cellule e causarne la trasformazione in cellule tumorali.
A rischiare di più sono le persone che hanno la pelle, i capelli e gli occhi chiari: se apparteniamo a questo fototipo, la nostra pelle ha poca capacità di proteggerci attraverso la produzione di melanina. Avere anche molti nei è un indice di rischio, così come la familiarità. È stato inoltre dimostrato che essersi scottati in età infantile o in adolescenza aumenta le probabilità di sviluppare melanoma.
“È fondamentale esporsi correttamente al sole, evitando di farlo in maniera eccessiva o nelle ore centrali del giorno. Meglio piuttosto un’esposizione graduale, usando filtri solari adeguati. Queste indicazioni sono valide per tutti, ma ancor più per le persone con fototipo chiaro” precisa Rivoltini. “Molto importante per chi è predisposto è sottoporsi a un controllo routinario ogni anno. Per tutti gli altri, è consigliata una mappatura dei nevi almeno una volta nella vita, in modo da intervenire precocemente se necessario.”
Se diagnosticato in fase iniziale, il melanoma è quasi sempre curabile. “Spesso infatti basta un semplice intervento chirurgico per rimuovere il tumore e guarire” spiega Rivoltini.
Per i casi in cui la malattia viene diagnosticata in fase metastatica, invece, fino a pochi anni fa non c’erano molte possibilità di trattamento. Il melanoma, infatti, risponde poco alla chemioterapia e non è controllabile con la radioterapia. Qualche malato traeva piccoli benefici dall’uso dell’interferone, un farmaco immunomodulante. “La gran parte dei pazienti con melanoma metastatico, però, moriva in pochi mesi” precisa Rivoltini.
Le cose sono cambiate radicalmente da una decina d’anni: oggi anche nelle fasi avanzate della malattia si ha la possibilità di controllare il melanoma per lunghi periodi di tempo e, in alcuni casi, guarire.
“La storia di questo successo” racconta Rivoltini “affonda le radici in quasi mezzo secolo di ricerca. Fin dagli anni Sessanta del secolo scorso alcuni studiosi, come il mio mentore Giorgio Parmiani, lavoravano al rapporto tra immunità e cancro. Spesso completamente inascoltati dalla comunità clinica e scientifica.”
Già a quei tempi si era capita una cosa: che il melanoma è un tumore immunogenico, cioè capace di stimolare il nostro sistema immunitario. Anzi, a lungo si è pensato che fosse l’unico tumore in grado di esercitare questa azione e si è cercato di sfruttare tale pe-
culiarità per mettere a punto nuove strategie terapeutiche.
“Nel tempo ci si è accorti che questa caratteristica è tipica di diverse neoplasie indotte da cancerogeni, come i tumori del polmone causati dal fumo, quelli del rene e alcuni tipi di neoplasie del colon” spiega Rivoltini.
Inoltre, si è compreso che il cancro ha la capacità di spegnere la risposta del sistema immunitario, attivando i suoi freni fisiologici. Sono stati così messi a punto appositi farmaci in grado di sottrarre al tumore il controllo di questi freni. Si tratta dei cosiddetti inibitori dei checkpoint immunitari, che oggi rappresentano una delle strategie terapeutiche per il melanoma.
UNA NUOVA ERA
Grazie all’avvento di questi nuovi farmaci, le possibilità di controllo della malattia sono completamente cambiate. All’inizio, gli inibitori dei checkpoint immunitari sono stati impiegati nei casi di malattia avanzata e si stima che circa la metà dei pazienti in fase metastatica ne tragga vantaggi a lungo termine.
“Nel tempo si è capito che questo approccio si può utilizzare anche in fasi più iniziali della malattia” illustra Rivoltini. “Il melanoma ha infatti una forte tendenza a dare recidiva. In casi selezionati, dopo l’intervento chirurgico si può dunque usare l’immu-
noterapia, nel cosiddetto setting adiuvante, per prevenire questa eventualità.”
Recentemente si è scoperto che circa la metà dei casi è legata a una mutazione del gene BRAF. Farmaci indirizzati contro questa mutazione hanno dimostrato una grande efficacia contro la malattia.
IL FUTURO
La ricerca è attivamente impegnata per migliorare i risultati ottenuti fino a oggi. “Sul fronte degli inibitori dei checkpoint immunitari, si stanno cercando nuove molecole da indirizzare contro altri recettori per liberare ulteriori freni del sistema immunitario. C’è anche chi sta lavorando alla identificazione di molecole che lo attivino.”
Si stanno poi riscoprendo filoni di ricerca esplorati qualche decennio fa ma accantonati perché all’epoca troppo complessi.
“Uno di questi filoni è rappresentato dai cosiddetti vaccini terapeutici contro il cancro – da somministrare quindi come cura e non a scopo preventivo. I vaccini erano stati la prima strategia a cui si era pensato al fine di stimolare il sistema immunitario per aggredire il melanoma.” Sono state esplorate diverse strade via via più complesse, che si sono però sempre scontrate contro almeno due ostacoli: l’impossibilità di produrre vaccini in grado di riconoscere efficacemen-
L’immunoterapia ha rivoluzionato la terapia per il melanoma metastatico, aumentando le probabilità di cura e guarigione
te le cellule tumorali specifiche del paziente e la capacità del tumore di sopprimere la risposta immunitaria.
“Oggi i tempi sono maturi. Abbiamo i mezzi tecnici per produrre antigeni altamente personalizzati e la pandemia ha accelerato la messa a punto dei vaccini a RNA. Inoltre, disponiamo degli inibitori dei checkpoint immunitari che possono liberare il sistema immunitario dai freni imposti dal tumore” spiega Rivoltini.
Questo approccio potrebbe concretizzarsi in una strategia in due fasi: si somministra prima un vaccino personalizzato che insegni al sistema immunitario a combattere il tumore e poi un’immunoterapia per mantenere attiva questa risposta.
Una metodologia di questo tipo è stata presentata nei giorni scorsi al congresso dell’American Association for Cancer Research e ha mostrato buoni risultati.
“Si tratta certo di una stra-
da promettente, ma i problemi da risolvere sono ancora molto numerosi e non riguardano solo la ricerca. Queste nuove strategie, infatti, sono decisamente costose e impegnative dal punto di vista logistico” precisa Rivoltini. La strada però sembra quella giusta.
“I primi pazienti con me-
lanoma che vidi erano per lo più giovani e quasi sempre senza nessuna possibilità di salvezza. Oggi non abbiamo ancora debellato questa malattia, ma le cose sono molto cambiate. Lavorando sulla prevenzione, e affinando ulteriormente le terapie, credo che si possa essere ottimisti” conclude Licia Rivoltini.
IMPATTO
DEL CANCRO Studi epidemiologici
a cura di FABIO DI TODARO
viviamo sempre più a lungo, e, se per questo motivo il numero assoluto di decessi è destinato a salire, la percentuale di decessi rispetto alle diagnosi continuerà con ogni probabilità a calare. Un dato che attesta la crescente efficacia delle cure disponibili e del loro impatto sulla salute dei pazienti.
IN EUROPA A CAUSA
DEI TUMORI
Il rapporto con cui da tredici anni gli epidemiologi italiani fotografano l’andamento dei tumori in Europa restituisce un’istantanea incoraggiante. Se si prende come riferimento il tasso di mortalità, che indica quante tra le persone che si ammalano di cancro poi muoiono per causa diretta della malattia, l’impatto dei tumori sulla società conti-
I decessi per cancro crescono all’aumentare dell’età media. Ma la percentuale di decessi rispetto alle diagnosi continua a calare
nua a regredire. Merito, come detto, delle diagnosi sempre più precoci e di terapie più efficaci, oltre che della maggiore attenzione riservata ad alcuni fattori di rischio: su tutti, il fumo di sigaretta. Ma andiamo con ordine. Stando alla ricostruzione dell’andamento delle malattie nel Vecchio Continente, stilata partendo dai dati sui decessi in possesso dell’Organizzazione mondiale della sanità, i ricercatori coordinati da Carlo La Vecchia hanno diffuso le stime relative alla mortalità per cancro nel 2023. Dai risultati, pubblicati sulla rivista Annals of Oncology, emerge che da gennaio a dicembre saranno 1,26 mi-
lioni le persone che perderanno la vita a causa di una malattia oncologica. I ricercatori hanno analizzato i tassi di mortalità per cancro nell’Unione europea e nei suoi cinque Paesi più popolosi: Francia, Germania, Italia, Polonia e Spagna. Sono stati studiati in particolare i dati (per entrambi i sessi) relativi a leucemie e tumori dello stomaco, del colon-retto, del pancreas, del polmone, della mammella, dell’utero, dell’ovaio, della prostata e della vescica. I risultati ottenuti hanno decretato un calo diffuso nella mortalità per tutte le malattie, con due eccezioni: l’adenocarcinoma del polmone (nelle donne)
1,2
5,9
e quello del pancreas (in entrambi i sessi).
Rispetto al picco di mortalità per cancro registrato nel 1988, i ricercatori stimano che nell’anno in corso nell’Unione europea saranno evitati circa 5,9 milioni di decessi. “Se l’attuale tendenza favorevole dovesse continuare, è possibile che il tasso di mortalità per cancro cali di un ulteriore 35 per cento entro il 2035” afferma La Vecchia, ordinario di statistica medica ed epidemiologia all’Università di Milano e titolare anche quest’anno di un progetto di ricerca di Fondazione AIRC che punta a far luce sulle diverse cause del tumore dello stomaco.
Morti per cancro in Europa
Tornando all’indagine, determinante nel ridurre il numero di morti per cancro è stato il calo dei consumatori di tabacco: una tendenza finora però rilevata soltanto tra gli uomini. Prova ne è il fatto che “il tasso di mortalità per tumore del polmone tra le donne continua ad aumentare: soprattutto tra le persone in età più avanzata” aggiunge Eva Negri, docente associato di medicina del lavoro all’Università Alma Mater di Bologna e responsabile dello studio, sostenuto da Fondazione AIRC. Esaminando nel dettaglio le fasce d’età delle donne, si prevede un calo della frequenza dei decessi tra i 25 e i 64 anni. “Questo è dovuto al fatto che le donne di età compresa tra i 45 e i 64 anni hanno fumato meno e hanno smesso prima rispetto alle donne nate negli anni Cinquanta” precisa Matteo Malvezzi, ricercatore dell’ateneo milanese. L’impatto del fumo è
significativo anche sulla mortalità per tumore del pancreas, “che non mostra miglioramenti tra gli uomini e aumenta nelle donne” chiarisce Negri. “Tra un quarto e un terzo di queste morti può essere attribuito al tabagismo.”
Secondo i ricercatori, per fare in modo che la proiezione tracciata da La Vecchia diventi realtà, è necessario che aumenti l’adesione ad alcune campagne vaccinali (HBV e HPV) e agli screening. Inoltre, è importante che la popolazione sia sempre più informata sull’importanza di ridurre sia il consumo di alcol sia la diffusione di condizioni come il sovrappeso, l’obesità e il diabete. Fattori di rischio, questi ultimi, “per i tumori al seno dopo la menopausa, all’endometrio e al colon-retto”, è quanto
ribadito nella ricerca. Un riferimento viene fatto anche al cancro dello stomaco. “Sebbene i tassi di mortalità siano in calo, grazie a una maggiore attenzione alla conservazione degli alimenti, all’adozione di diete più sane e alla diminuzione delle infezioni da Helicobacter pylori, circa un terzo dei tumori allo stomaco oggi si verifica nel cardias” aggiungono gli autori. “Questo tipo di malattia è associato al sovrappeso, all’obesità e al reflusso gastroesofageo.”
La conferma di un trend incoraggiante non tiene però conto dell’impatto della pandemia di Covid-19, in quanto i dati utilizzati per la stima risalgono a prima del 2020. Secondo i ricercatori “la pandemia potrebbe avere avuto un
effetto sulla mortalità per cancro avendo rallentato i servizi di salute pubblica e, di conseguenza, sia la prevenzione secondaria sia il trattamento e la gestione delle patologie tumorali”.
Alla pandemia è correlato anche il nuovo aumento dei fumatori registrato a partire dal 2020. Il fumo, come detto, rimane il nemico principale da contrastare per ridurre l’impatto sociale del cancro. Il tabacco è considerato il primo fattore di rischio per il tumore del polmone, ma può essere coinvolto anche nei meccanismi di sviluppo della leucemia mieloide acuta e dei tumori del cavo orale, della faringe, della laringe, dell’esofago, dello stomaco, del fegato, del colonretto, del pancreas, del rene, della vescica e della cervice uterina.
Sono in larga parte ancora sconosciuti, inoltre, gli effetti dell’esposizione, soprattutto dei giovani, a una serie di prodotti del tabacco diversi dalle sigarette comuni (ecig). Questi device “spesso si sono aggiunti alle sigarette tradizionali, senza sostituirle” afferma Roberta Pacifici, fino a pochi mesi fa alla guida del Centro nazionale dipendenze e doping dell’Istituto superiore di sanità. “I loro utilizzatori sono quasi esclusivamente consumatori duali. La falsa percezione di consumare prodotti meno nocivi per la salute e il sentirsi autorizzati a usarli in ogni luogo stanno
certamente incidendo sull’aumento del loro consumo.” In Italia gli utilizzatori abituali e occasionali di e-cig sono quasi il 3 per cento della popolazione: ovvero circa 1,3 milioni di persone. Ma se è ragionevole pensare che per un fumatore il danno provocato da questi dispositivi sia inferiore a quello delle sigarette tradizionali, ben diverso è il discorso da rivolgere ai giovani. “Questi prodotti in molti casi rischiano di far iniziare a fumare anche ragazzi che non erano abituati e che senza questo ausilio magari sarebbero rimasti a distanza dal fumo” dichiara Maria Sofia Cattaruzza, docente di igiene generale e applicata all’Università di Roma La Sapienza e presidente della Società italiana di tabaccologia. Gli esperti che si occupano di tabagismo nel nostro Paese sono d’accordo con la necessità di integrare la cosiddetta legge Sirchia (di cui quest’anno ricorre il ventennale) partendo dall’estensione del divieto di fumo nei luoghi chiusi anche ai prodotti di ultima generazione. “Tra i giovani dilaga l’utilizzo di prodotti contenenti nicotina sintetica e sali di nicotina, che danno molta più dipendenza rispetto a quella liquida” chiosa Cattaruzza. “Non possiamo formare una nuova generazione che tolleri la dannosità sociale di un simile comportamento. È necessario regolamentare un mercato che rischia di sfuggire dalle mani.”
Una rete di organizzazioni a livello europeo ha lanciato un appello per creare un ambiente senza tabacco e la prima generazione libera dal tabacco entro il 2030. L’iniziativa prevede di:
1Promuovere la prima generazione europea libera dal tabacco entro il 2028, mettendo fine alla vendita di prodotti del tabacco o a base di nicotina ai cittadini nati dopo il 2010;
2 Creare una rete europea di spiagge e rive fluviali libere dal tabacco e da mozziconi;
3 Istituire una rete europea di parchi nazionali liberi dal tabacco e da mozziconi;
4 Ampliare gli spazi in cui è vietato fumare sigarette o sigarette elettroniche, specialmente quelli frequentati dai minori;
5 Eliminare la pubblicità dei prodotti del tabacco e la loro presenza nelle produzioni audiovisive e sui social media;
6 Finanziare progetti di ricerca e sviluppo sulle malattie causate dal consumo di tabacco.
Perché le proposte possano essere presentate alla Commissione europea, è necessario raccogliere almeno 1 milione di firme in tutta Europa.
Per aderire, visita il link eci.ec.europa.eu/029/public
I nuovi prodotti del tabacco, diversi dalle sigarette comuni, non aiutano a smettere di fumare e anzi rischiano di far iniziare anche i ragazzi che non avevano mai preso in mano una sigaretta
UICC
Itumori rimangono una malattia peculiare della terza età. Oltre 1 paziente su 2 ha più di 65 anni. Eppure gli anziani sono spesso “dimenticati” dagli studi clinici. Il messaggio è stato lanciato in occasione dell’ultimo congresso dell’Union for International Cancer Control (Uicc) e la questio-
ne è dibattuta anche in Italia. L’epidemiologia suggerirebbe di partire proprio dal coinvolgimento degli anziani negli studi clinici. Questa categoria di pazienti, peraltro, spesso ha già altre malattie per le quali assume farmaci che potrebbero interagire con le terapie anticancro. Escluderla dagli studi clinici rende quindi impossibile verificare se i trattamenti oncologici (chemioterapia, immunoterapia, farmaci a bersaglio molecolare) mantengano la loro efficacia anche quando somministrati assieme ad altri medicinali. Inoltre, non si dà il giusto rilievo alla qualità della vita dei pazienti, uomini e donne che, grazie ai progressi compiuti dalla ricerca, possono avere davanti a sé una prospettiva (almeno) di medio termine pur ammalandosi oltre i 70 anni.
GUT
Le epatiti B e C, principali fattori di rischio per lo sviluppo del tumore del fegato, sono sempre meno diffuse, grazie alle vaccinazioni contro l’HBV e all’arrivo dei nuovi antivirali contro l’HCV. Le diagnosi di tumore al fegato però faticano a calare. Perché? Per l’impatto crescente di abitudini e condizioni non salutari, nel caso specifico il consumo di alcol e l’obesità. Secondo i risultati di un’indagine pubblicati su Gut, quasi 7 tumori al fegato su 10 diagnosticati tra il 2002 e il 2019 in Italia sono stati causati dalla steatosi epatica associata a una disfunzione metabolica (cosiddetta Mafld). Questa condizione è l’evoluzione della steatosi epatica non alcolica, la cosiddetta malattia da fegato grasso, che può essere diagnosticata in caso di alterazioni metaboliche (controllo dei livelli di insulina, zuccheri e grassi nel sangue, principalmente) indotte da abitudini non salutari (dieta squilibrata, sedentarietà, abuso di alcolici). I tumori provocati dalla concomitanza dei fattori indicati sembrano essere meno aggressivi, nonostante le diagnosi avvengano mediamente a uno stadio più avanzato rispetto al passato.
Escludere gli anziani dagli studi permette di avere solo informazioni parziali
Non soltanto disordini genetici o immunologici. Contrarre alcune infezioni (genitali e delle vie urinarie) durante la gravidanza aumenta del 35 per cento il rischio che il nascituro possa sviluppare una leucemia nel corso dell’infanzia. La notizia giunge da uno studio pubblicato sulla rivista Jama Network Open. L’indagine è stata condotta su 2,2 milioni di bambini danesi nati tra il 1978 e il 2005 e la correlazione ha riguardato soltanto le leucemie, le forme di cancro più frequenti nella fascia pediatrica. Nes-
sun aumento di rischio invece in caso di infezioni materne di altro tipo (respiratorie e gastrointestinali) durante la gravidanza. A riprova del potenziale ruolo determinato da tali patologie, nei fratelli e sorelle minori di chi si era ammalato nel corso dell’infanzia, nati in quel caso senza che la mamma avesse avuto infezioni, il tasso di incidenza della leucemia era paragonabile a quello della popolazione generale. “Serviranno altri studi epidemiologi per indagare l’entità di questa relazione e i possibili meccanismi che ne sono alla base” hanno messo nero su bianco gli autori dello studio.
Ormai considerati un fattore di rischio per le malattie neurodegenerative, i traumi associati a contusioni cerebrali importanti potrebbero aumentare anche le probabilità di sviluppare un tumore. Questi sono i risultati di uno studio pubblicato su Current Biology. Il sospetto, nato da uno studio condotto su modello animale, ha poi trovato una prima conferma nel prosieguo del lavoro. Osservando le cartelle cliniche di oltre 20.000 persone che da giovani avevano subìto un trauma cranico, i ricercatori hanno scoperto che il loro rischio di sviluppare un glioma era quattro volte più alto rispetto alla popolazione generale. “I nostri risultati lasciano immaginare un possibile effetto sinergico tra una mutazione del gene p53 e una lesione traumatica” spiega Simona Parrinello, che dirige l’Unità di neuroncologia dell’University College di Londra alla guida della ricerca. “In un cervello giovane, l’infiammazione basale è bassa e il rischio è contenuto nel breve termine. Ma l’invecchiamento porta con sé un aumento dell’infiammazione, e la zona in cui si è verificata una lesione traumatica sembra essere la prima interessata da tale incremento.”
Se l’origine si nasconde inJAMA NETWORK OPEN
Servono altri studi per capire l’entità della relazione e i meccanismi che ne sono alla base
politiche sanitarie al Massachusetts General Hospital. La conseguenza di questa situazione è che “i pazienti con disabilità tendono a presentarsi in ospedale quando la malattia è già in uno stadio avanzato, hanno meno alternative di cura e una mortalità per tumore maggiore rispetto agli altri”.
a domicilio. Nel corso della propria vita, quasi la metà delle intervistate ha rinunciato a partecipare all’esame a causa di esperienze spiacevoli in ospedale legate alla loro disabilità, mentre il 38 per cento sente di non essere presa seriamente in considerazione dal personale sanitario.
a cura di CAMILLA FIZ
La disabilità può essere definita come una ridotta capacità di interazione con l’ambiente circostante. A determinare questa difficoltà sono spesso barriere, come una gradinata impraticabile per chi si muove in carrozzina o una scritta incomprensibile per chi è ipovedente, che danneggiano la qualità di vita delle persone con disabilità e di chi se ne prende cura. Queste barriere rischiano, tra le altre cose, di ostacolare l’accesso ai servizi sanitari essenziali, alle tera-
pie e agli esami di prevenzione oncologica, portando a un ritardo nelle diagnosi e a un aumento della mortalità per tumore. “Il 15 per cento della popolazione mondiale ha una disabilità e, nonostante numerose leggi internazionali proibiscano di discriminarle, è comune che queste persone non ricevano cure oncologiche ottimali a causa di diagnosi tardive e trattamenti non adatti ai loro bisogni specifici” scrive sulla rivista Lancet Oncology Lisa I. Iezzoni, docente alla Scuola di medicina di Harvard e direttrice del Mongan Institute per le
Diverse indagini condotte in Gran Bretagna, Stati Uniti e Corea del Sud hanno confermato che le donne con disabilità partecipano meno alle campagne di screening per i tumori femminili rispetto alla popolazione generale. Secondo i dati del 2019 della charity UK Jo’s Cervical Cancer Trust, in Gran Bretagna il 70 per cento delle donne con disabilità non ha potuto partecipare agli esami per la prevenzione del tumore alla cervice uterina, perché impossibilitata a uscire di casa, e il 63 per cento non ha potuto ricevere lo stesso servizio
Una delle principali difficoltà nel rendere i servizi sanitari davvero accessibili a tutti è legata alla varietà di tipi di disabilità, che possono essere sensoriali (per esempio quando comportano una ridotta capacità visiva), motorie, intellettive o psichiche, essere presenti dalla nascita oppure acquisite nel corso degli anni. A fare la differen-
La sanità per le persone con disabilità
Ancora troppe barriere impediscono agli individui con disabilità un equo diritto alla salute, alle cure e alla prevenzione oncologica
Le persone con disabilità molto spesso non ricevono cure oncologiche ottimali per via di diagnosi tardive e trattamenti non adatti ai loro bisogni specifici
za è la possibilità di contare su una rete di supporto solida e affidabile, adatta al grado di assistenza necessario. Per le persone con disabilità le diseguaglianze socioeconomiche rischiano così di diventare ancora più accentuate, perché non tutti possono contare sul sostegno di parenti e caregiver o hanno la disponibilità economica per acquistare l’attrezzatura necessaria ai loro spostamenti e farsi aiutare.
I pazienti con disabilità possono avere poi difficoltà a raggiungere l’ospedale o a ricevere visite a domicilio (quando disponibili). Nelle strutture ospedaliere stesse la mancanza di attrezzatu re specifiche può impedire ai medici di visitarli in mo do completo e in condizioni
ottimali. Per esempio, la carenza di bilance apposite per carrozzine rende impossibile verificare le variazioni di peso, dovute a una condizione patologica, nei pazienti che hanno bisogno di un supporto per muoversi. Inoltre, a causa dell’assenza di percorsi specifici, le persone con disabilità spesso rinunciano a visite e cure per la paura di attese troppo lunghe o di non essere comprese.
Oltre a queste barriere gestionali e materiali, Iezzoni
cita quelle legate ai pregiudizi del personale sanitario e alla mancanza
di una formazione specifica che aiuti a comprendere i bisogni delle persone con disabilità. Tra queste vi è la tendenza a non esaminare su un tavolo da visita i pazienti in carrozzina, che può portare a ignorare manifestazioni cliniche in aree meno visibili, come quella inguinale. Si parla invece di diagnostic overshadowing (cioè diagnosi offuscata) quando i medici associano nuovi sintomi patologici alla disabilità della persona. Per esempio, esiste la possibilità che un dottore confonda i sintomi di un linfoma con quelli di una gastroparesi in un paziente con una lesione alla spina dorsale. Inoltre, spesso alle persone con disabilità non si consiglia di effettuare esami di screening per malattie come l’HIV o il cancro alla cervice, perché si pensa che non siano sessualmente attive e quindi corrano meno rischi.
Secondo un’indagine dell’Istituto serafico di Assisi svolta su 450 persone con disabilità a fine 2022, anche in Italia l’accesso alla sanità non è uguale per tutti. Per svolgere semplici esami di routine, più del 63 per cento degli intervistati si è dovuto spostare in un’altra regione. Quattro su cinque hanno ricevuto un’assistenza adeguata solo dopo
diversi tentativi, e la metà di loro non ha riscontrato la presenza di percorsi specifici per gli individui con disabilità nelle strutture sanitarie. Secondo i dati ISTAT del 2019, in Italia ci sono 3 milioni di soggetti con disabilità, in maggioranza donne over 75. Moltissime di queste persone sono isolate, emarginate, meno istruite e hanno una vita sociale meno attiva rispetto alla popolazione generale. Condizioni che sono peggiorate negli anni della pandemia, ripercuotendosi in modo diretto sulla loro salute fisica e mentale, e non solo in Italia.
Consapevole di queste difficoltà, l’Unione europea ha messo a punto una strategia 2021-2030 per i diritti delle persone con disabilità. Nel documento relativo si impegna a supportare gli Stati membri nel contrastare le diseguaglianze nell’accesso ai servizi sanitari per gli individui con disabilità di qualunque tipo. Inoltre, attraverso l’Europe’s Beating Cancer Plan, la Commissione avvierà specifiche azioni per garantire prevenzione, diagnosi precoce e cura oncologica alle persone con disabilità. La speranza è che in una società come la nostra, dove con l’invecchiamento della popolazione aumentano gli individui con disabilità, si inizino a normalizzare le loro necessità e quelle di coloro che se ne prendono cura.
A ostacolare l’equo diritto alla salute per le persone con disabilità ci sono barriere sia di tipo gestionale e materiale, sia legate a pregiudizi e mancanza di formazione del personale sanitario
plice. Si entra nelle case delle persone, dove si incontra tanta miseria e tanta sofferenza” racconta. “I primi giorni sono stati un trauma. Ma poi è scattato qualcosa dentro di me: ho cominciato a trattare quelle persone come avrei trattato me stessa.”
È stato in questo contesto che Franca è entrata a contatto con il cancro.
“Forse è stato il confronto con il tumore al seno che ha cominciato a farmi riflettere: le colleghe che si sono ammalate, le molte donne anziane che si rifiutavano di farsi svestire e lavare perché non volevano che si vedesse la cicatrice sul petto. Provavo una forte empatia con il loro dolore, forse perché ho pensato che potesse succedere anche a me.”
a cura della REDAZIONE
Una voce squillante, che mette subito allegria. Ma ad ascoltare Franca ci si accorge presto che ne ha passate tante.
Franca ha 67 anni e ha deciso di disporre un lascito in favore di Fondazione AIRC.
“Semplicemente, una mattina mi sono messa in contatto con AIRC” racconta. Quella di Franca, però, è una scelta tutt’altro che impulsiva. “È una decisione che ho maturato nel tempo, quasi senza accorgermene, e che a un certo punto si è concretizzata, come una pera che cade dall’albero quando è matura” dice Franca ripercorrendo le ragioni della sua scelta. “Penso che la decisione sia stata di sicuro guidata dal mio rapporto speciale con le donne, con le loro battaglie, con i loro diritti.”
Ma ha avuto un grosso peso anche la sua lunga attività nell’assistenza domiciliare ai malati e alle persone non autosufficienti. “Non è un lavoro sem-
Molti altri episodi nella vita lavorativa di Franca hanno rafforzato la sua decisione di fare un lascito testamentario per la ricerca oncologica. “Ricordo una ragazza di 16 anni di origine marocchina con cancro al cervello. È stata un’esperienza devastante. La madre che pregava sul tappeto, il padre che andava avanti e indietro senza una meta, i fratellini e le sorelline che non riuscivano a capire cosa stesse succedendo. E poi, il sorriso di quella ragazza, ogni giorno più pallido, sempre più spento” racconta Franca.
“Ma ricordo anche colleghe a cui è stato diagnosticato un cancro e ce l’hanno fatta. Una di loro, in particolare: una giovane donna, bellissima. La malattia è stata presa in tempo e, no-
nostante fosse stato necessario asportare un seno – con tutto ciò che significa per una donna –, ho ancora nitido nella memoria il suo sorriso, la sua faccia radiosa perché l’aveva scampata” dice ancora Franca.
Per questo, oggi, non ha dubbi nello scegliere di intestare un lascito ad AIRC. “Gli uomini e le donne sono capaci di imprese incredibili, come salvare la vita a una donna con cancro al seno. AIRC può compiere queste imprese e quello che io posso fare, attraverso AIRC, è dare una mano per risolvere questi problemi” spiega. “Donare mi dà un senso di vittoria, di soddisfazione, di impegno per qualcosa. I tumori non sono stati sconfitti, ma un giorno lo saranno; anche grazie al contributo di AIRC” conclude Franca. “Posso dire che l’idea mi rende felice: è un po’ come se avessi fatto qualcosa per me stessa facendo bene agli altri.”
“Gli uomini e le donne sono
a cura della REDAZIONE
Se ci fa male la schiena o se urtiamo uno spigolo con un braccio, d’istinto massaggiamo o comprimiamo la zona che percepiamo come dolente, ma in realtà lo stimolo del dolore arriva dal cervello. Le neuroscienze e la possibilità di osservare con tecniche di bioimmagine ciò che accade a livello cerebrale hanno permesso di chiarire che, al contrario di quanto si credeva in passato, non esiste un “centro del dolore”. I processi sono molto più complessi e non è un’esagerazione affermare che quasi tutto il cervello è coinvolto. L’esperienza del dolore è strettamente personale e può cambiare a seconda delle circostanze, perché esistono una miriade di fattori psicologici e sociali, oltre a quelli genetici, che entrano in gioco e che possono amplificare o ridurre la percezione cosciente del dolore e, dunque, “farci soffrire” di più o di meno. “Le informazioni provenienti dalle diverse parti del corpo viaggiano attraverso le fibre nervose, che pos-
I meccanismi coinvolti nella percezione del dolore sono tanti, come tanti sono i fattori che influiscono su quanto si soffre. A partire dalle emozioni
siamo immaginare come una rete di fili dell’elettricità, passano attraverso il midollo spinale e arrivano fino al cervello” spiega Fabrizio Benedetti, professore di neurofisiologia all’Università di Torino. Quando, per esempio, prendiamo un colpo a una gamba, il segnale viaggia verso il cervello, arrivando sia al cosiddetto sistema laterale, che ci fa sentire lo stimolo dolorifico, sia al sistema mediale, che invece ci fa provare la sofferenza, ovvero il connotato emotivo negativo del dolore. “Il dolore è un sintomo, ma diversi studiosi lo considerano come una vera emozione negativa, perché attiva le stesse aree del cervello responsabili di questo tipo di emozioni. Aree che si attivano anche, per esempio, guardando le immagini raccapriccianti di uno sgozzamento.” Le emozioni negative sono, dunque, intimamente legate al dolore, ma le due cose non coincidono. Infatti, negli anziani con Alzheimer in cui è compromessa l’area del cervello responsabile delle emozioni negative, il dolore viene sì percepito, ma senza sofferenza. “Sentono dolore, lo riconoscono, sanno dov’è, quanto è intenso e quanto dura, ma dicono ‘non mi dà fastidio’, perché è scomparso lo stato emotivo tipico del dolore” spiega Benedetti.
“Tra i fattori che amplificano il dolore c’è l’ansia, che andrebbe sempre valutata in un paziente, in quanto riuscire a diminuirla può essere considerato già di per sé una terapia del dolore.” Ci sono situazioni in cui l’ansia nasce dal temere di provare dolore e, di conseguenza, scatena nel cervello processi che “anticipano” il dolore stesso, inducendo il rilascio di sostanze che lo amplificano: succede a tanti dal dentista appena sentono il rumore del trapano! Ma c’è un preciso contesto in cui tutti siamo più o meno ansiosi: è il momento della diagnosi, a cui in molti arrivano tormentati da
domande quali “Sono malato o no? E se sono malato, guarirò?”. “Comunicare una diagnosi negativa a un paziente in modo poco adeguato può avere su di lui un impatto psicologico enorme. Il rischio è di aumentarne l’ansia: come conseguenza, il dolore provocato dalla malattia può essere percepito in maniera molto più drammatica” continua Benedetti. Anche la depressione gioca un ruolo, in particolare per quanto riguarda il dolore cronico: le persone depresse hanno un rischio doppio di svilupparlo. Si tratta di un rapporto bidirezionale, nel senso che è vero anche il contrario: il dolore cronico può portare ad ammalarsi di depressione.
Un ottimo strumento per combattere il dolore è la distrazione: “Mi è capitato di effettuare dei prelievi in ragazzini talmente assorbiti da un videogioco da non accorgersi di nulla. Anche una musica che piace è estremamente distraente, tant’è che nelle maratone professionali è vietato utilizzare auricolari per ascoltarla, perché l’ascolto permette al corridore di sopportare meglio il dolore muscolare e la fatica” ricorda Benedetti. Anche l’aspettativa positiva del paziente può avere una forte influenza sulla percezione
del dolore. Lo dimostra l’analgesia da placebo, tra i fenomeni più conosciuti e studiati: il paziente crede di assumere un forte antidolorifico e il dolore si riduce o scompare, anche se in realtà la compressa che gli è stata somministrata non conteneva nulla. Aspettarsi di stare meglio ed essere convinti e fiduciosi che il farmaco avrà effetti benefici attiva una serie di meccanismi e il rilascio di sostanze, per esempio le endorfine, che inibiscono il dolore.
In ambito neuroscientifico di recente sta emergendo un concetto abbastanza rivoluzionario: “Le parole, e per parole si intende fondamentalmente l’interazione sociale tra chi cura e chi soffre, sono in grado di ridurre il dolore, perché utilizzano gli stessi meccanismi, le stesse vie biochimiche degli analgesici” afferma Benedetti. Nel prossimo futuro la sfida, dunque, sarà studiare l’interazione sociale – e quindi il rapporto medico-paziente – anche dal punto di vista neurobiologico, sfida che si affianca alla messa a punto di nuovi farmaci per contrastare il dolore. Il messaggio, valido già oggi, è che nella cura “è necessario capire il dolore, ed è necessario capirlo nell’ambito della persona”.
Tra i fattori che amplificano il dolore c’è l’ansia, che andrebbe sempre valutata in un paziente, in quanto riuscire a diminuirla può essere considerato già di per sé una terapia del dolore
I vincitori dei grant Start-Up e My First AIRC potranno avere accesso alla piattaforma AIRC-IFOM che nell'istituto milanese sviluppa e testa nuovi farmaci
a cura della REDAZIONE
Un’officina dove le idee e le scoperte della ricerca di base vengono messe alla prova per poter essere trasformate in nuove terapie contro i tumori. Così Ciro Mercurio descrive l’Experimental Therapeutics Program che guida all’IFOM –Istituto fondazione di oncologia molecolare.
Mercurio è un biologo da quasi trent’anni impegnato nella ricerca di nuove molecole che possano essere impiegate come farmaci. Dopo diverse tappe tra istituti di ricerca e aziende farmaceutiche, nel 2016 è approdato in IFOM. “Volevo creare una piattaforma che trasformasse le evidenze più promettenti emerse dalla ricerca di base in progetti di tipo traslazionale, così da identificare nuove opportunità terapeutiche per i pazienti” spiega.
Dopo aver collaborato fino al 2022 prevalentemente con gli scienziati di IFOM, da quest’anno i ricercatori AIRC potranno chiedere di avere accesso a questa piattaforma AIRC-IFOM. I candidati che presentano domanda per uno Start-Up Grant o un My First AIRC Grant potranno indicare, fin dalla redazione del progetto iniziale, il loro interesse a collaborare con il gruppo. Un apposito comitato valuterà la congruità e la fattibilità della richiesta.
Il gruppo coordinato da Mercurio conta 15 persone –3 delle quali sostenute direttamente da AIRC – con differenti competenze: biologi, chimici, ingegneri bioinformatici, esperti di analisi computazionale.
Nel concreto, il program-
ma, che è un unicum nella ricerca accademica italiana, si muove su due binari.
“Il primo è quello del cosiddetto riposizionamento” spiega Mercurio. “Si tratta di verificare se una molecola già nota – e che magari viene usata per curare altre patologie – possa rivelarsi utile anche in un’area terapeutica differente, per esempio contro i tumori.” Il laboratorio può contare su un'ampia collezione di molecole: circa 300.000, frutto sia della ricerca diretta di nuove molecole da parte del gruppo di ricerca, sia della selezione e acquisto di molecole con definite e differenti caratteristiche. “Circa 2.000 di esse includono farmaci approvati, sia per il cancro sia per altre patologie, oltre a molecole attualmente in fase di sperimentazione clinica” spiega il ricercatore.
L’attività svolta è un vero e proprio screening: dopo aver selezionato una parte di queste molecole sulla base di precise caratteristiche, i ricercatori le testano su modelli cellulari rappresentativi di uno specifico tumore. “A quel punto ne verifichiamo l’effetto: se inducono la morte delle cellule cancerose, oppure se ne rallentano la crescita, o, ancora, se ne riducono la capacità di migrare (il che significa che potrebbero incidere sulla capacità di dare luogo a metastasi), oppure se ne annullano la capacità di sopravvivere in condizioni di riduzione dei nutrienti. Stiamo iniziando a fare tutto ciò anche su organoidi, cioè su modelli cellulari 3D dei tumori, che forniscono risultati più affidabili rispetto alle colture cellulari tradizionali” illustra Mercurio.
Se qualcuna delle molecole testate si rivela promettente, comincia il lavoro di ricerca per comprendere se i risultati dello screening possano tradursi in una reale applicazione clinica.
Il programma prevede anche di costruire molecole exnovo su misura a partire dai risultati della ricerca di base: è quello che viene definito Drug Discovery. “In questo caso partiamo da un bersaglio molecolare identificato in laboratorio, che, nella maggior parte dei casi, è una proteina che la cellula tumorale utilizza per prosperare.” Per questo ci si aspetta che bloccandone la produzione si possa ottenere un effetto terapeutico. “Il nostro lavoro è quello di identificare nuove molecole dotate di attività nei confronti di questo bersaglio. Si tratta di un’attività assai prolungata che parte da molecole inizialmente poco efficaci, e che progressivamente vengono affinate fino ad arrivare a un livello di miglioramento tale da consentire i test in modelli animali e poi, eventualmente, la sperimentazione clinica” illustra Mercurio.
Grazie a questa piattaforma, ora, le scoperte più promettenti dei ricercatori sostenuti da AIRC potranno avere maggiori possibilità di essere trasformate in nuove opzioni terapeutiche. “Siamo onorati di poter partecipare a questa iniziativa: credo che possa contribuire a far sì che le donazioni in favore di AIRC abbiano ricadute ancora più tangibili sui
IFOM, Istituto fondazione di oncologia molecolare, è un centro di ricerca di eccellenza internazionale dedicato allo studio della formazione e dello sviluppo dei tumori a livello molecolare, nell’ottica di un rapido trasferimento dei risultati scientifici dal laboratorio alla cura del paziente. Fondato nel 1998 a Milano da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, che da allora ne sostiene lo sviluppo, IFOM oggi può contare su 269 ricercatori di 25 diverse nazionalità, e si pone l’obiettivo di conoscere sempre meglio il cancro per poterlo rendere sempre più curabile.
pazienti con cancro” conclude Mercurio.
“Si tratta di un progetto molto importante per AIRC, per IFOM e per tutta la ricerca italiana. AIRC e IFOM mettono a disposizione dei ricercatori cultura tecnologica, competenze e apparecchiature in grado di permettere il salto di qualità” dice il direttore scientifico AIRC Federico Caligaris Cappio. “Si tratta di una piattaforma molto ben funzionante e organizzata, che speriamo possa essere utile a tutti i ricercatori finanziati da AIRC. Soprattutto a coloro che vivono in realtà in cui piattaforme simili non sono facilmente disponibili” aggiunge il direttore scientifico di IFOM Alberto Bardelli.
L'attività si muove su due binari.
Da un lato il riposizionamento di molecole già note, dall'altro la costruzione di molecole ex-novo
Mangiare sano non significa considerare alcuni cibi cattivi e altri buoni o addirittura pensare che certi alimenti siano dei supercibi. Piuttosto è importante costruire, giorno dopo giorno, una consapevolezza personale che ci porti a consumare prevalentemente alimenti caratteristici di un’alimentazione sana
a cura di RICCARDO DI DEO
Davvero è sufficiente consumare alimenti come curcuma, zenzero, bacche di Goji o avocado per prevenire o curare il cancro? La risposta che arriva dalla scienza è un chiaro no.
L’alimentazione svolge senza dubbio un ruolo di primo piano nella prevenzione di diverse forme di tumori, ma non esistono cibi miracolosi che, da soli, permettano di prevenire o addirittura curare alcuna malattia.
I composti presenti all’interno di ciascun alimento sono migliaia. Alcuni so-
Il 14 maggio, il giorno della Festa della mamma, sono state come ogni anno tantissime le persone che hanno deciso di donare a favore della ricerca sul cancro e regalare allo stesso tempo un’Azalea della Ricerca alla propria mamma. I nostri 20.000 volontari sono scesi in piazza per distribuire oltre 600.000 piantine, grazie al prezioso lavoro di coordinamento dei nostri Comitati regionali.
Grazie per aver voluto, anche quest’anno, dare forza insieme a noi alla ricerca sui tumori che colpiscono le donne.
no essenziali per fornire energia, altri svolgono azioni indispensabili al corretto funzionamento dell’organismo, e di altri ancora si conoscono solo in parte le caratteristiche e proprietà.
Molti gruppi di ricerca provano a studiare l’effetto sul nostro organismo di alcuni singoli composti presenti nei cibi. Per farlo, ricorrono a studi di laboratorio condotti su colture cellulari o modelli animali in condizioni ben controllate. Questi studi sono importanti per comprendere quali siano i meccanismi alla base delle correlazioni emerse dagli studi epidemiologici, per esempio per spiegare le relazioni che intercorrono tra un elevato consumo di frutta e verdura e una riduzione del rischio di sviluppare tumori al colon. Tuttavia, presentano anche diversi limiti: sono condotti in modelli diversi dall’organismo umano; le condizioni controllate di questi esperimenti escludono l’esposizione a numerosi e vari fattori confondenti e potenzialmente cancerogeni, a cui possono essere invece esposti gli esseri umani nella loro vita quotidiana; spesso valutano le sostanze in concentrazioni che difficilmente sarebbe possibile assumere con una normale alimentazione.
Per queste ragioni, anche quando alcuni studi in laboratorio rivelano effetti antitumorali in determinati composti, non è corretto pensare che ci basterebbe mangiare alimenti che contengono
• 160 g valeriana
• 1 cetriolo
• 160 g mais
• 4 g albicocche
• 200 g bocconcini di mozzarella
• Olio extravergine d’oliva q.b.
• Mix di semi oleosi q.b.
Lavare le verdure e la frutta, si può acquistare la valeriana già pronta al consumo per accorciare i tempi di preparazione. Tagliare il cetriolo in piccoli pezzi e unirlo alla valeriana in un contenitore.
Aggiungere la mozzarella tagliata a rondelle, il mais e l’albicocca tagliata a spicchi.
Non resta che condire con olio extravergine d’oliva e per dare croccantezza cospargere a piacere l’insalatona con un mix di semi oleosi.
Per completare il piatto consumare con un paio di fette di pane, meglio se integrale.
quei composti per godere degli stessi effetti benefici. Il contributo di questi cibi dipenderà dalla loro frequenza di consumo, dalla quantità e dall’interazione sia con altri alimenti che compongono il pasto sia con l’organismo in toto. A fare la differenza sul rischio personale sarà sempre la dieta nel suo complesso e non il singolo alimento, senza dimenticare gli altri elementi che caratterizzano il proprio stile di vita.
AIRC 2022
a cura della REDAZIONE
Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, nel 2022, ha potuto contare sulla generosità di sostenitori, volontari, aziende, enti e istituzioni che hanno contribuito al sostegno delle attività di interesse generale: la ricerca sul cancro, portata avanti da circa 6.000 scienziati su tutto il territorio nazionale, la comunicazione dei progressi compiuti dalla stessa ricerca, e la sensibilizzazione sull’importanza della diagnosi precoce, della prevenzione e dei corretti stili di vita per prevenire l’insorgenza della patologia. I nostri sostenitori hanno garantito stabilità alla raccolta fondi nonostante l’impatto sia della pandemia di Covid-19, che ha creato importanti effetti sulla vita di tutti noi, sia dell’incertezza economica, causata dalla guerra in Ucraina e dalla crescita dell’inflazione.
Grazie ai loro sforzi, Fondazione AIRC ha potuto assegnare oltre 116 milioni di euro a 816 progetti, programmi speciali e borse di studio di ricerca sul cancro, sostenere le attività di IFOM, il nostro istituto di oncologia molecolare, con oltre 21 milioni di euro, e incrementare i proventi da raccolta fondi, grazie principalmente al ritorno dei 20.000 volontari che hanno sposato la nostra missione nelle tre manifestazioni nazionali di piazza (Arance della Salute a gennaio, Azalea della Ricerca a maggio e Cioccolatini della Ricerca a novembre) organizzate con il prezioso contributo dei nostri 17 Comitati regionali. Alla cifra sopra menzionata si aggiungono 17,3 milioni di euro di accantonamento nel 2022 per progetti di ricerca pluriennali, mentre sono stati utilizzati per lo stesso fine 33,6 milioni accantonati nel 2020 e 2021.
ATTIVO
B) IMMOBILIZZAZIONI
II Immobilizzazioni materiali
1) Terreniefabbricati
a)Immobiliciviliacquisitipersuccessioneedonazione
b)Immobilistrumentali
Totale immobilizzazioni materiali
III Immobilizzazioni finanziarie
3) Altrititoli
Totale immobilizzazioni finanziarie
TOTALE IMMOBILIZZAZIONI
C) ATTIVOCIRCOLANTE
II Crediti
1) versoclienti
3) versoentipubblici
4) versosoggettiprivatipercontributi
12)versoaltri
Totale crediti
III Attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni
3) Altrititoli
IV Disponibilitàliquide
TOTALE ATTIVO CIRCOLANTE
D) RATEIERISCONTI
TOTALEATTIVO
PASSIVO
A) PATRIMONIONETTO
I Fondo di dotazione
II Patrimonio vincolato
2) Riservevincolateperdecisionedegliorganiistituzionali
3) Riservevincolatedestinatedaterzi
Totalepatrimoniovincolato
III Patrimonio libero
1) Riservediutilioavanzidigestione
IV Avanzo/disavanzod’esercizio
TOTALE PATRIMONIO NETTO
B) FONDIPERRISCHIEONERI
C) TRATTAMENTODIFINERAPPORTODILAVOROSUBORDINATO
D) DEBITIESIGIBILIENTROL’ESERCIZIOSUCCESSIVO
7) Debitiversofornitori
9) Debititributari
10)Debitiversoistitutidiprevidenzaedisicurezzasociale
12)Altridebiti
a)debitiversoOrganismidiricerca
b)debitidiversi
TOTALE DEBITI
E) RATEIERISCONTIPASSIVI
TOTALEPASSIVO
Milano, 3 maggio 2023 - Il presidente Andrea Sironi Bilanciosottopostoarevisionecontabile
Per un racconto più dettagliato delle attività promosse e degli obiettivi raggiunti vi diamo appuntamento al Bilancio sociale, in uscita a fine giugnoSTATO PATRIMONIALE (VALORI IN EURO)
A)Costieoneridaattivitàdiinteressegenerale
4)Personale
7) Oneridiversidigestione
a)Informazionescientifica
b)Divulgazionedimissione
c)Altrionericonnessiaprogettidiricercaeborsedistudio
9) Accantonamentoariservavincolataperdecisionedegli organiistituzionali
a)Assegnazionidiprogettidiricercaeborsedistudio deliberatedagliorganiistituzionali
b)Assegnazioniasostegnodisinergie
istituzionali - Fondazione IFOM
c)Accantonamentoperprogettidiricercapluriennali
10)Utilizzoriservavincolataperdecisionedegli organiistituzionali
B)Costieoneridaattivitàdiverse
2) Servizi
7) Oneridiversidigestione
C)Costieoneridaattivitàdiraccoltafondi
1) Oneridaraccoltefondiabituali
a)Oneripergenerareicontributiliberali
b)Lascititestamentariedonazioni
2) Oneridaraccoltefondioccasionali
a)ArancedellaSalute
b)AzaleadellaRicerca
c)GiornidellaRicerca
d)CioccolatinidellaRicerca
e)NastroRosa
f)NatalediAIRC
g)AttivitàoccasionalideiComitatiRegionali
3)Altrioneri
a)Comunicazioneesensibilizzazione
b)Personale
c)Altrioneri
d)Accantonamentiperrischieoneri
D)Costieoneridaattivitàfinanziarieepatrimoniali
3) Dapatrimonioedilizio
4) Daaltribenipatrimoniali
E)Costieoneridisupportogenerale
2) Servizi
3) Godimentobeniditerzi
4) Personale
6) Altrioneri
A)Ricavi,renditeeproventi
daattivitàdiinteressegenerale
4) Erogazioniliberali
a)Contributifinalizzati
b)Lascititestamentariconvincolodidestinazione
5) Proventidel5permille
8) Contributidaentipubblici
9) Altriricavi,renditeeproventi
Totale
Avanzo/disavanzoattivitàdiinteressegenerale(+/-)
B)Ricavi,renditeeproventidaattivitàdiverse
3)Ricaviperprestazioniecessioniaterzi
Totale
Avanzo/disavanzoattivitàdiverse(+/-)
C)Ricavi,renditeeproventidaattivitàdiraccoltafondi
1)Proventidaraccoltefondiabituali
a)Contributiliberali
b)Lascititestamentariedonazioni
2)Proventidaraccoltefondioccasionali
a)ArancedellaSalute
b)AzaleadellaRicerca
c)GiornidellaRicerca
d)CioccolatinidellaRicerca
e)NastroRosa
f)NatalediAIRC
g)AttivitàoccasionalideiComitatiRegionali
Totale
Avanzo/disavanzoattivitàdiraccoltafondi
D)Ricavi,renditeeproventidaattivitàfinanziarieepatrimoniali
2) Daaltriinvestimentifinanziari
3) Dapatrimonioedilizio
Con l’inizio della primavera è tornata la voglia di correre! AIRC ha partecipato alle principali maratone organizzate tra marzo e aprile nel nostro Paese aderendo al charity program di Roma e Milano, il progetto volto a sensibilizzare sull’importanza di seguire corretti stili di vita e sostenere progetti di solidarietà. Circa 400 corridori AIRC il 19 marzo hanno corso la Run Rome The Marathon. Il 2 aprile il testimone è poi passato alla Milano Marathon, dove 4 maratoneti e 71 team da 4 runner ciascuno hanno scelto di correre con i colori di AIRC. Per partecipare a #oggicorroperAIRC non bisogna es-
sere atleti professionisti. Tutti possono farlo! Si può scegliere infatti il percorso a staffetta, dividendo l’impegno con amici, parenti, colleghi per percorrere i mitici 42,195 km della maratona in più parti. Partecipare al progetto significa cimentarsi in una sfida non solo sportiva ma anche solidale, aprendo una raccolta fondi e chiedendo ai propri contatti di sostenere AIRC. Un ringraziamento particolare ai sostenitori e ai numerosi dipendenti di aziende, che hanno permesso di raggiungere e superare l’obiettivo di 100.000 € di raccolta fondi da destinare alla ricerca. Vuoi correre anche tu le prossime maratone? Scrivi a: run4.roma@airc.it e run4.milano@airc.it
Fondazione Deloitte ha scelto di sostenere la campagna educativa
AIRC “Una Costellazione Luminosa”, rivolta a circa 1.500 classi delle scuole primarie italiane. Il progetto ha l’obiettivo di avvicinare oltre 37.500 bambine e bambini al mondo della ricerca scientifica, della prevenzione e dei corretti stili di vita. Con un linguaggio adatto ai più piccoli e materiali educativi realizzati ad hoc e totalmente gratuiti, il percorso didattico invita i
partecipanti a lavorare su diversi temi che spaziano dalla ricerca all’ambiente, per diventare adulti consapevoli dell’importanza delle proprie scelte.
L’esplosivo progresso tecnologico degli ultimi anni ha contribuito ad accrescere le nostre conoscenze sulla biologia del cancro e a trasferirle in clinica in modo sempre più rapido, migliorando significativamente la prognosi e la terapia di numerosi tipi di tumore. Le nuove conoscenze sulla biologia del cancro hanno permesso di sviluppare idee innovative, mettendo a fuoco situazioni e possibilità che prima mai avremmo sospettato e che possono essere affrontate con
le tecnologie attualmente disponibili. Un esempio è il ruolo del microbioma, il patrimonio genetico posseduto dalla variegata popolazione di microorganismi (microbiota) presenti nel nostro organismo – in particolare, ma non solo, nell’intestino – e che è diverso per ogni individuo. Come osservato dal gruppo di ricercatori coordinato da Jennifer Wargo in un articolo sulla prestigiosa rivista Nature Medicine, molte evidenze indicano che la composizione del microbioma influenza la risposta all’immunoterapia, per quanto riguarda sia il trattamento con cellule CAR-T sia quello con anticorpi monoclonali impiegati per bloccare i cosiddetti “checkpoint inhibitors”. In altri termini, la risposta positiva (o negativa) alla terapia con questi nuovi farmaci è, almeno in buona misura, influenzata dal microbioma individuale. L’intreccio tra microbioma e risposta all’immunoterapia non era mai stato neppure immaginato, ed è diventato la base di partenza per nuove ricerche volte a esplorare aspetti sconosciuti della biologia tumorale e nuovi metodi terapeutici, un ulteriore esempio di medicina personalizzata.
Una conseguenza quasi implicita nella potenza della tecnologia è l’idea di poter avere “tutto e subito”, quasi che la possibilità di risolvere i problemi – anche i più complessi – con un semplice click fosse un diritto ac-
quisito proprio grazie alla tecnologia. In realtà, quest’idea è un esempio di “brevimiranza”, un concetto di valutazione miope, più vicina ai desideri che alla realtà, e opposto al concetto di lungimiranza, come discusso molto bene da Piero Angela nel suo ultimo libro, Dieci cose che ho imparato. Al contrario del “tutto e subito”, è la paziente lungimiranza che deve sempre informare le nostre azioni. A questo principio si ispira AIRC per potenziare le proprie modalità di programmazione e finanziamento della migliore ricerca sul cancro in Italia. La ricerca viene giudicata in termini di pubblicazioni scientifiche, ma, ancora più in generale, anche in termini di ricadute vantaggiose per l’intera comunità. Affinché queste ricadute si realizzino occorre che i risultati presentati nelle pubblicazioni scientifiche siano accettati e validati dalla comunità scientifica internazionale e quindi trasformati in nuovi e affidabili elementi diagnostici e terapeutici: tutto questo richiede tempo. La comprensione delle barriere biologiche che impediscono i progressi clinici e il conseguente trasferimento ai pazienti di questa conoscenza è un processo lento, ma è anche l’unico in grado di affrontare con successo i principali bisogni insoddisfatti in oncologia. Sia la messa a punto di nuove linee guida per la diagnosi e la terapia dei diversi tipi di tumore, sia le innovazioni terapeutiche capaci di cambiare la strategia con cui i medici affrontano determinati tipi di neoplasia richiedono tempi tecnici. La tecnologia contribuisce ad accorciare questi tempi, ma tutti i passaggi necessari debbono essere rispettati a garanzia dei malati che aspettano progressi, in modo da evitare problemi e difficoltà impreviste e non affrontate solo per avere “tutto e subito”.
Per trovare una cura per tutti i tipo di cancro, è necessario essere pazienti e lungimiranti
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