Numero 2 - aprile 2021
TUMORI EREDO-FAMILIARI
Numero 2 - aprile 2021 - Anno XLIX - AIRC Editore - Poste Italiane spa Sped. in Abb. Postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 LO/MI - ISSN 2035-4479
Banche dati e network di ricerca per cura e prevenzione LA FISICA DEL CANCRO
Le proprietà meccaniche delle cellule maligne
COVID-19
Il punto su rischi e vaccini per i malati di cancro
Programmi speciali 5 per mille di AIRC
UNA FIRMA PER LA RICERCA CONTRO LE METASTASI
SOMMARIO
FONDAMENTALE aprile 2021
In questo numero: 04 5 PER MILLE 08 TUMORI RARI 11 RUBRICHE 12 TUMORI FEMMINILI 14 TUMORE DEL SENO 15 RICERCA DI BASE 18 NOTIZIE FLASH 20 INTELLIGENZA ARTIFICIALE 23 BIOTECNOLOGIE 26 IFOM 28 PREVENZIONE 31 NUTRIZIONE 32 INIZIATIVE 34 SPECIALE COMITATI 36 TESTIMONIAL 37 RACCOLTA FONDI 38 IL MICROSCOPIO
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Nove approcci diversi per contrastare le metastasi Uniti per far luce sui tumori rari I traguardi dei nostri ricercatori
AIRC finanzia ricerche che attaccano le metastasi con tutti gli strumenti possibili
Scacco matto al tumore della cervice Mamme dopo un tumore al seno
Il tumore? Un duro pungolo in un ambiente morbido
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Col vaccino e la prevenzione il tumore della cervice potrebbe essere debellato
Dal mondo
Domande urgenti per il medico? Parlane con il tuo chatbot La molecola che dice alla cellula: “C’è un messaggio per te” Siti fragili e “circoletti” di DNA per capire i tumori
Una guida alla vaccinazione antiCovid per i malati di cancro Legumi, non solo un contorno
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Arance della Salute e Cancro io ti boccio
Le iniziative dei nostri Comitati regionali
“Dopo la diagnosi di tumore e le cure, sono riuscita a continuare il mio percorso” Partner
Andare oltre la chemioterapia?
FONDAMENTALE Anno XLIX - Numero 2 Aprile 2021 - AIRC Editore
Direzione e redazione Fondazione AIRC Viale Isonzo, 25 - 20135 Milano tel. 02 7797.1 - airc.it - redazione@airc.it Codice fiscale 80051890152 Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 128 del 22 marzo 1973. Stampa Rotolito S.p.A. Direttore responsabile Niccolò Contucci
I dati confermano che si può diventare mamme dopo la cura
L’mRNA è una molecola promettente anche nella cura del cancro
CONSULENZA editoriale Daniela Ovadia (Agenzia Zoe) Coordinamento EDITORIALE Anna Franzetti redazione Anna Franzetti, Simone Del Vecchio Progetto grafico e impaginazione Umberto Galli Testi Alessia De Chiara, Cristina Ferrario, Daniela Ovadia, Elena Riboldi, Fabio Turone ILLUSTRAZIONI Sonia Ligorio
Fondamentale è stampato su carta Grapho Crystal certificata e proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici.
EDITORIALE
Pier Giuseppe Torrani
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Presidente AIRC
Uno sguardo al futuro
C
on il 2021 scade il mio secondo mandato come presidente di AIRC e, avendo anche compiuto 84 anni, ritengo opportuno non ricandidarmi. Mi sono però dedicato con impegno a cercare, come mio successore, una persona di rara qualità umana e professionale, molto più giovane, preparata per questa responsabilità: avrete modo di conoscerla alla guida della nostra Fondazione nei prossimi mesi. AIRC ha estremamente bisogno, come del resto tutti gli Enti del Terzo Settore, di venire guidata dalla generazione che vive l’attualità e il futuro. Chi ha già trascorso nella propria vita “molte attualità” finisce per esserne un po’ condizionato ed essere meno pronto a captare il presente. Stiamo vivendo un periodo, questo della pandemia, che noi grandi adulti abbiamo certamente sofferto di meno dei giovani, forse anche ricordando la Seconda guerra mondiale affrontata da bambini, dopo la quale abbiamo condiviso l’esperienza esaltante della ricostruzione del Paese. La nuova ricostruzione sarà però differente, con uno scenario internazionale e tecnologico molto diverso che può essere meglio capito e interpretato da chi vive a pieno il presente, ma deve vivere con entusiasmo anche il futuro. Con la mia presidenza si è conclusa una fase di riorganizzazione di AIRC che ha visto la sua trasformazione in Fondazione e la fusione con Fondazione FIRC. Si sono gettate le premesse per una forte e nuova organizzazione della “governance”. Tutto ciò è stato possibile per lo spirito di appartenenza e la grande qualità che caratterizzano le persone e le strutture di AIRC. AIRC è AIRC per tutti noi: dai volontari ai sostenitori, dal personale molto motivato e con un forte senso di responsabilità ai direttori, dai colleghi del Consiglio di indirizzo e del Consiglio di amministrazione a tutti gli scienziati che hanno lavorato e lavorano con noi e ai colleghi e scienziati di IFOM. Una bella, grande e qualificata squadra che ci ha permesso di raggiungere importanti risultati. Solo durante gli anni della mia presidenza AIRC ha erogato finanziamenti alla ricerca scientifica oncologica italiana per una cifra che supera i 760 milioni di euro. Un impressionante risultato reso possibile solo grazie a voi, volontari e sostenitori: una grande famiglia a cui mi auguro potranno unirsi le amiche e gli amici a cui donerete il secondo bollettino che trovate assieme a questo numero di Fondamentale. AIRC è stata per me un’esperienza intellettuale ricca e profonda, accompagnata dalla consapevole condivisione della diffusa sofferenza provocata dal cancro. Ma sempre con la tenace speranza di sconfiggerlo. Sono stato colpito, condividendo conoscenze con i nostri scienziati, dalla complessità della nostra struttura biologica e dalle scoperte che man mano ci aprono orizzonti sempre più ampi: la bellezza della vita con le sue scalate esaltanti e gli ostacoli dietro l’angolo. Questa affascinante e misteriosa realtà della vita che si dischiude continuamente verso il futuro è il vero insegnamento di cui ho beneficiato, esperienza che mi permetto di suggerire ai giovani. Il futuro è vostro: affrontatelo con energia e impegno. Ne vale proprio la pena.
La ricerca del 5 per mille su Fondamentale
Gli articoli contrassegnati dal simbolo qui a destra sono dedicati ai risultati di alcuni dei Programmi speciali finanziati da AIRC grazie alle donazioni del 5 per mille. Per info: www.programmi5permille.airc.it
5 per mille Programmi speciali metastasi
Nove approcci diversi per contrastare le metastasi I programmi speciali finanziati da AIRC coprono tutti i principali filoni di ricerca promettenti dedicati alla lotta contro la diffusione del cancro all’interno dell’organismo
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a cura di Daniela Ovadia e cure contro i tumori sono sempre più efficaci, ma lo sviluppo di metastasi rimane la questione chiave che determina il fallimento o il successo delle terapie contro il cancro. “Non tutti i tumori danno origine a metastasi” spiega Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Istituto clinico Humanitas e coordinatore di uno dei programmi sostenuti da AIRC grazie ai finanziamenti 5 per mille, dedicato proprio allo studio delle metastasi attraverso meccanismi infiammatori e immunitari. “Sappiamo però che la diffusione di metastasi è direttamente collegata alla sopravvivenza del paziente: in 9 casi su 10, il cancro uccide per via della disseminazione delle cellule maligne in tutto l’organismo.” Non tutti i tumori danno
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origine a cellule in grado di disseminarsi e crescere in tessuti diversi da quello di provenienza. Alcuni tipi di cancro sviluppano metastasi aggressive con alta frequenza, mentre altri sono raramente metastatici nonostante possano essere localmente invasivi (è il caso, per esempio, di alcuni tumori della pelle o di alcune forme di cancro della prostata). Comprendere i motivi di queste differenze potrebbe permettere di agire prima che il fenomeno si verifichi oppure di identificare bersagli terapeutici specifici. “La presenza di metastasi limita il successo delle cure” dice ancora Mantovani. “Questo perché le cellule metastatiche esercitano effetti su tutto il corpo. Per esempio, agiscono sul sistema immunitario e su organi anche distanti, creando ambienti favorevoli perché altre cellule maligne vi si possano installare e crescere. Ma non solo: le metastasi, e i cambiamenti prodotti a livello dell’ambiente che le circonda, inducono modifiche a livello dei vasi sanguigni e del metabolismo. È per via delle metastasi che i malati di cancro soffrono di perdita di densità ossea, atrofia muscolare, stanchezza e di tutti gli altri sintomi che sono tipici delle fasi avanzate della malattia.” Questi effetti non solo
In questo articolo: metastasi ricerca AIRC
promuovono la progressione del tumore, ma sono deleteri per la qualità della vita e la sopravvivenza del malato. Un obiettivo, molti angoli di visuale Riuscire a bloccare l’influenza che le cellule maligne hanno a livello sistemico (cioè sull’insieme dell’organismo) può fare davvero la differenza. Per questo ognuno degli effetti indotti dalle metastasi è diventato un potenziale nuovo bersaglio terapeutico, e ciò spiega la varietà negli approcci dei programmi di ricerca che si sono aggiudicati i fondi del 5 per mille di AIRC. Per esempio, il programma diretto da Stefano Piccolo, dell’Università di Padova e dell’Istituto FIRC di Oncologia Molecolare (IFOM), di cui parliamo più diffusamente a pagina 15, si occupa di studiare la capacità delle metastasi di spostarsi attraverso il sistema circolatorio e di entrare e uscire dai tessuti, indagando nello specifico il ruolo dei segnali e delle spinte di tipo meccanico e fisico sulla formazione delle metastasi. Il programma guidato da Paolo Comoglio, direttore scientifico dell’Istituto per la ricerca e la cura del cancro di Candiolo (Torino), punta invece a identificare le caratteristiche di un particolare tipo di tumori metastatici, i cosiddetti tumori di origine sconosciuta (o CUP, secondo l’acronimo in inglese), che rappresentano il 2-3 per cento di tutte le neoplasie. A volte, infatti, può essere riscontrata la presenza di
metastasi senza che si riesca a trovare il tumore primario, ovvero definire l’organo da cui origina. Ciò può accadere perché il tumore primario è molto piccolo e regredisce – mentre altrove le cellule maligne trovano un ambiente più adatto a proliferare – oppure perché, nel corso del processo di differenziazione che le porta ad acquisire le caratteristiche di malignità, si trasformano talmente da perdere i tratti tipici del tessuto da cui hanno avuto origine. Il programma di Comoglio prevede di raccogliere tessuti provenienti da tumori di origine sconosciuta, creare un’apposita biobanca e poi studiarne a fondo le caratteristiche genomiche, per scoprire tratti comuni o specifici che possano diventare bersaglio per terapie innovative da testare su organoidi (ricostruzioni tridimensionali dei tessuti che compongono l’organo bersaglio) e in modelli di xenotrapianto. “In questo modo speriamo di capire come queste cellule si diffondono, andando a guardare in particolare il ruolo di MET, un gene chiave per la formazione di metastasi, e quello della circolazione sanguigna, che trasporta le cellule dal luogo di origine all’organo in cui si insediano” spiega Comoglio. Anche il programma diretto da Alessandro Maria Vannucchi, dell’Università degli Studi di Firenze, servirà a chiarire in parte questi aspetti, attraverso l’analisi dell’evoluzione di alcune cellule che poi vengono selezionate e causa-
Domande generali cui trovare risposta
no la proliferazione della malattia. Vannucchi utilizzerà come modello i tumori mieloidi, neoplasie ematologiche considerate rare perché i vari sottotipi, presi singolarmente, hanno una bassa incidenza, ma che nel loro insieme rappresentano una buona quota di tutti i tumori del midollo osseo e delle cellule staminali. L’analisi delle modalità di diffusione è uno dei filoni chiave della ricerca sulle metastasi, il punto cardine della cosiddetta “cascata metastatica”, l’insieme di eventi che porta una cellula a trasformarsi da sana a maligna, acquisire proprietà specifiche e “lasciare” il proprio tessuto per colonizzare altri organi. Il primo passo di questo studio consiste nell’indagare le modificazioni genetiche che governano tutti questi passaggi, e in particolare quelli che danno alle cellule metastatiche alcune “super capacità” di replicarsi, simili a quelle delle cellule staminali. Il ruolo del sistema immunitario Un secondo filone di ricerca si concentra sul ruolo del sistema immunitario che, invece di intercettare questi “viaggiatori a rischio” nel corso del loro trasferimento dalla sede di
origine all’organo in cui si installeranno, viene letteralmente ingannato, mettendosi addirittura al servizio della diffusione del cancro. Per questo il ruolo dell’immunoterapia è sempre più cruciale per tenere a bada i tumori metastatici. Maria Chiara Bonini, vicedirettore della Divisione di ricerca di immunologia, trapianti e malattie infettive e responsabile dell’Unità di ematologia sperimentale dell’Ospedale San Raffaele di Milano, è a capo di un programma che si propone di sviluppare nuove forme di immunoterapia per contrastare in modo efficace le metastasi al fegato che provengono dai tumori del colon-retto e del pancreas, modificando anche il microambiente in modo tale da renderlo capace di favorire la crescita delle cellule tumorali metastatiche e di ridurre l’efficacia delle terapie disponibili. Il progetto parte dalla base, per cercare di capire attraverso quali meccanismi il microambiente che si crea nel fegato favorisca l’arrivo e l’accrescimento delle metastasi, in particolare andando a vedere cosa fanno (o non fanno)
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5 per mille Programmi speciali metastasi
i linfociti T, cellule del sistema immunitario incaricate di tenere a bada le cellule cancerose. In una revisione sull’uso dell’immunoterapia di cui è coautrice, pubblicata a fine 2020 sulla rivista The Lancet, Bonini spiega in quale modo sia possibile migliorare la risposta ai farmaci antitumorali combinando diverse tipologie di immunoterapia, una strategia che rappresenta il fulcro del suo programma finanziato da AIRC con il 5 per mille. “Il piano prevede di modificare geneticamente i linfociti T per renderli più attivi contro il tumore e somministrare citochine (molecole capaci di attivare il sistema immunitario contro il tumore principale ma anche contro le metastasi) direttamente nell’organo attraverso vettori virali” spiega Bonini. Anche Maria Rescigno, group leader dell’Unità di immunologia delle mucose e microbiota presso l’Humanitas Research Hospital, si è focalizzata sul ruolo del sistema immunitario, puntando a sviluppare un vaccino terapeutico contro il melanoma e il sarcoma metastatici. Il gruppo di Rescigno aveva già sviluppato una tecnica per identificare le proteine (o parti di esse) presenti sulle cellule tumorali e capaci di attivare il sistema immunitario (un procedimento utilizzato anche per creare i vaccini contro Covid-19). La ricerca si concentra sui pazienti che non rispondono agli ini-
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bitori dei check-point immunitari (ICP), farmaci in genere estremamente efficaci, ma che in qualche caso falliscono. “Succede quando le cellule immunitarie che dovrebbero essere attivate dai farmaci non ci sono o sono troppo deboli. Somministrando questi vaccini terapeutici, invece, potrebbe essere possibile rendere i pazienti sensibili all’effetto degli ICP” spiega Rescigno. Per capire se il vaccino funziona, il suo progetto prevede di monitorare sia l’attività dei linfociti T sia la presenza di anticorpi contro il tumore e infine anche il microbiota, ovvero i batteri che vivono nell’intestino e che sembrano influenzare la risposta agli ICP. “In un articolo uscito l’anno scorso su Nature MIcrobiology abbiamo dimostrato che, in un modello animale, la presenza o l’assenza di alcuni microrganismi può avere un effetto sulla crescita di un tumore intestinale” dice. “Ciò significa che ci sono tanti attori che concorrono alla formazione di metastasi, per cui per sconfiggerle bisogna agire su più fronti.” Gli effetti dei farmaci Uno dei problemi che i clinici devono fronteggiare per combattere le metastasi è la comparsa di resistenze a cure che, in un primo tempo, si erano dimostrate efficaci in un determinato paziente. Queste resistenze compaiono per via di mutazioni genetiche in alcune cellule tumorali, mutazioni che possono essere già presenti o possono essere indotte
In questo articolo:
RICERCA AIRC
cancro del colon 5 per mille farmaci intelligenti
Nove programmi, area per area
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razie ai fondi raccolti con il 5 per mille, AIRC sta finanziando nove programmi speciali che studiano le metastasi con approcci diversi. Sebbene si tratti di programmi complessi (per esempio in tutti vi sono aspetti di genomica e di epigenetica, così come di studio della relazione tra cellula tumorale e sistema immunitario) abbiamo cercato di raggrupparli per tipologie, e li abbiamo indicati con il nome del coordinatore (anche se ogni programma speciale coinvolge più unità di ricerca).
Sistema immunitario • Maria Chiara Bonini: sviluppo di nuovi prodotti terapeutici avanzati, basati sulle terapie geniche e cellulari che coinvolgono direttamente il sistema immunitario (in metastasi epatiche); • Maria Rescigno: sviluppo di vaccini terapeutici per stimolare la risposta del sistema immunitario ai farmaci immunoterapici (nel melanoma e sarcoma); • Alberto Mantovani: identificazione di biomarcatori innovativi e nuovi bersagli molecolari basati sullo studio dell’infiammazione e dell’immunità nei tumori del colon e del pancreas.
proprio dalle cure. Le terapie, ainfatti, cura di eliminando le cellule FABIO TURONE vulnerabiliavita al loro fidi effetto, un ricercatore è in genere niscono per selezionare quelle che invecescandita sono capaci da di eventi continuare a in sopravvivere gran partee molpretiplicarsi. vedibili: Di questolasi occupa laurea, Alberto il conseguimento Bardelli, di dell’Istituto un titolo post di Candiolo laurea, magari – Fondazione all’estero, del il Piemonte primo articolo per l’oncologia, su una riviche prevede di affrontare “un vesta importante, un incarico di Ad alcuni, però, ro edocenza. proprio viaggio che parta toccano anchedella esperienze dalla diagnosi malattiadie tutt’altro che lasciano arrivi finogenere, all’eventuale svilupun delle segno:metastasi” come quando Giorpo nel cancro del Tra gli obiettigio colon-retto. Stassi capì che l’esplosiovi ne principali, che avevala comprensione frantumato i dei vetrimeccanismi dell’evoluziodell’appardelle finestre ne, tamento spontanea a Tel Aviv o indotta non eradalle docure, vuta adelle un incidente, ma a une cellule tumorali attentato di quelle del sistema immuniterroristico suicida, con morti e feriti, iltecniche primo portario, utilizzando di immunogenomica. tato a termine con successo da Robin Hamas nel Foà, cuoredell’Universidella città.
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STORIE DI TENACIA PERSONALE Nella capitale israeliana Stassi era arrivato da appe-
tà Sapienza di Roma, coordina invece un progetto che si due giorni, ed era ospite concentra nell’appartamento prestatogli sulle direttamente terapie da una collega, e sulle eventuali proprio sopra resiil centralissimo grande mastenze sviluppate dalle cellule tumorali gazzino Dizengoff, nelle leucemie quando la e nei mattina Ildel linfomi. suo19progetto già ottobreha1994 portato a risultati importanuna tremenda esplosione alla fermata dell’autobus provoti per i pazienti con leucemia linfoblastica cò la morte diacuta. 22 persone e il “In genere ferimento non si utilizza il termine 50, tra mecui di altre bambini famitastasi neia spasso tumoricon del la sangue. In anchedovuto in queste for-a glia.realtà “Io avrei essere me esiste la disseminazione quella fermata” ricorda oggie si il ricercatore, seduto nel suo in sedi verificano ricadute studio all’Università di Palerdiverse da quella originale: ciò significa che dopo le cellule tumomo. “Subito l’esplosione lasi sono mia amica mie telefonò rali spostate stabilite dicendomi in di restare del corpo” in casa. diun’altra parte Io sul ce per momento spiegare laavevo sceltapensadi un modello cheItalia perto di tornare ematologico, subito in mette di focalizzarsi ma, quando scesi pochesulla ore “malattia dopo per rendermi conresidua minima”, sulle celto di ovvero persona di che cosa era successo, come unica traccia dell’accaduto trovai un gran numero di lumini commemorativi. Mi colpì
Interazione con l’ambiente e biomeccanica il centralissimo grande ma• Stefano Piccolo: ruolo dei segnali e delle spinte di tipo meccanico e fisico sulla formazione gazzino Dizengoff, delle metastasi. quando la mattina del 19 ottobre 1994 una tremenda esplosione alla Genomica dell’autobus provo• Paolo Comoglio: meccanismifermata genomici alla base dei la morte di 22 persone e il tumori metastatici di originecò sconosciuta; ferimento • Alessandro Vannucchi: modello di progressione diffucui di altre 50,etra bambini a spassodicon la famisione della malattia legato all’acquisizione anomalie a livello del genoma in neoplasie ematologiche glia. “Io avrei dovutorare; essere a • Alberto Bardelli: meccanismiquella dell’evoluzione spontafermata” ricorda oggi il ricercatore, sedutotumonel suo nea o a seguito di terapie a carico delle cellule studio all’Università di Palerrali e di quelle del sistema immunitario nel tumore del colon-retto. mo. “Subito dopo l’esplosione la mia amica mi telefonò dicendomi di restare in casa. Io Resistenza alle terapie sul momento avevo pensato • Robin Foà: mutazioni che inducono la comparsa di redi tornare subito Italia ma, sistenza ai farmaci e la disseminazione dellainmalattia nelle leucemie e nei linfomi;quando scesi poche ore dopo per rendermi conto di la persoche influenzano • Michele Maio: aspetti epigenetici progressione della malattia enal’insorgenza di che cosa dieraresistensuccesso, ze all’immunoterapia nel melanoma, mesotelioma e come unica traccia dell’accaglioblastoma. duto trovai un gran numero di lumini commemorativi. Mi colpì molto il fatto che avevalule che sfuggono alla terapia stoma” dice.tutto “Pere molti nostri no ripulito avevano aninizialeilefatto che già rimesso l’asfalto nuo-è sonoche allaavevano base del ri- pazienti, l’immunoterapia molto vo, trattamento per dare un incredibilmenchiaro segnale torno pulitodella tuttomalattia. e avevano anche un cheefficace, la vita continuava”. giàAnche rimesso l’asfalto più avanzanuovo, te le cure che può fare la difNellatracapitale te, perperò, dare talvolta un chiaro falliscono segnale nelche ferenza la vita e israeliana la morte. Stassi era quindi arrivatoquanto da appela vita lottacontinuava”. contro le metastasi. È Si decapisce quanto Nellaaccade capitale israeliana possa essere loro na due giorni, ed eraperospite nel caso dell’im- vastante Stassi era arrivato nell’appartamento munoterapia, oggettodadelappepro- non alle cure rispondere piùprestatogli gramma direttoeddaeraMichele daper unaalcuni, collega, non proprio rispondervi sopra na due giorni, ospite o, Maio, il centralissimo dall’inizio. Ecco grande perché la nell’appartamento direttore delprestatogli Centro di fin immuno-oncologia da una collega, proprio al Policlisopra nostra ricerca può fare davveil centralissimo grande STORIE DI TENACIA nico Santa Maria alle Scotte ro la differenza, soprattutto se di Siena. “Stiamo studiando PERSONALE riusciremo a trovare un modo capitale STORIE DI TENACIA le modificazioni epigenetiche perNella interferire con leisraeliana modificaStassipiù erapericolose.” arrivato da appePERSONALE che rendono inefficace l’im- zioni israeliana na due giorni, ed era ospite Nella capitale munoterapia nel melanoma, Stassi era arrivato appe- nell’appartamento prestatogli nel e neldaglioblamesotelioma da una collega, proprio na due giorni, ed sopra il era ospite nell’ap-
partamento prestatogli da una collega, proprio sopra
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TUMORI RARI Sindromi eredo-familiari
Uniti per far luce sui tumori ereditari Nella lotta contro il cancro, è fondamentale la collaborazione a tutti i livelli. Nel caso dei tumori legati a sindromi genetiche ereditarie, conta anche la disponibilità dei pazienti a partecipare alle ricerche
a cura di Alessia De Chiara a maggior parte dei tumori si forma nel corso della vita per l’accumulo di mutazioni spontanee, indotte nel nostro patrimonio genetico da stili di vita non salutari, o frutto di fattori esterni come le radiazioni. Esistono però alcuni tumori, per fortuna assai rari nella maggior parte dei casi, causati da mutazioni presenti fin dalla nascita ed ereditate dai genitori. Si tratta delle sindromi tumorali eredofamiliari, che costituiscono, tutte assieme, dal 5 al 10 per cento di tutti i tipi di cancro. In sostanza queste sindromi sono molto rare se considerate singolarmente, ma sommate insieme costituiscono una percentuale relativamente elevata di tutti i casi, accomunata da problematiche simili, soprattutto dal punto di vista della ricerca e della diagnosi. Per questo è nata da poco a Milano Mutagens, un’associazione che vuole aumentare la consapevolezza sui problemi legati alle sindromi ereditarie associate a diversi tipi di tumori e vuole contribuire attivamente alla ricerca medico-scientifica in tale ambito. “In primo luogo ci stiamo occupando dei pazienti oncologici con sindromi eredo-familiari, per far sì che ricevano cure più efficaci e che la ricerca scientifica possa comprendere meglio i meccanismi della malattia” spiega Salvo Testa, ex professore di management all’Università Bocconi di Milano, presidente della neonata associazione. “Gradualmente dovremo concentrare l’attenzione sia verso la prevenzione, per ridurre il numero delle per-
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sone portatrici delle mutazioni che si ammalano di tumore, sia verso una sempre più precoce diagnosi di cancro, per dare maggiore efficacia alle cure.” Mutazioni Le sindromi ereditarie sono indotte da mutazioni genetiche che aumentano la predisposizione a sviluppare uno o più tipi di cancro. Queste variazioni del DNA prendono il nome di mutazioni germinali perché sono presenti nelle cellule germinali (gli ovociti e gli spermatozoi di uno o di tutti e due i genitori) e quindi non solo possono trasmettersi alla prole ma saranno presenti in tutte le cellule dell’organismo dei figli. Le mutazioni germinali si distinguono dalle mutazioni somatiche, che possono verificarsi nel corso della vita in una qualsiasi cellula dell’individuo, ma restano confinate in quel particolare organo o tessuto e, soprattutto, non vengono trasmesse alle generazioni future. “In Italia si stima ci siano circa 600.000 persone portatrici di mutazioni genetiche germinali” precisa Testa. “Le più note e diffuse sono la sindrome di Lynch e la sindrome del cancro alla mammella e all’ovaio (BRCA1-BRCA2), ma ne esistono almeno altre 50 più rare, con oltre 100 geni coinvolti.” Le mutazioni germinali sono presenti in una porzione molto piccola di persone (circa l’1 per cento), il cui rischio di sviluppare un tumore è però molto più alto rispetto alla popolazione normale: da 2 a 40 volte maggiore, a seconda della tipologia di mutazione e degli organi colpiti. Nonostante in questi casi si
In questo articolo:
RETI INTERNAZIONALI
tumori rari sindromi eredo-familiari associazionismo
parli genericamente di “tumori ereditari”, è bene specificare che si eredita non il tumore, ma il rischio aumentato di svilupparlo. “Su questo rischio si può lavorare in modo tale da ridurlo e, in prospettiva, con l’avanzare della ricerca e l’avvento di nuove terapie, eliminarlo” sottolinea Testa, lui stesso portatore sano di una mutazione nel gene BRCA1, associata a un aumento di rischio di sviluppare in particolare tumori della mammella e dell’ovaio ma anche della prostata e del pancreas, e membro di una famiglia duramente colpita dal cancro.
RARO, EPPURE NON RARO tà di ricerca sia probabilmente anche dal punto di vista epidemiologico. “Il mondo delle patologie tumorali ereditarie è molto vasto e ha stimolato soprattutto lo studio dei meccanismi molecolari alla base di queste malattie, molto simili a quelli dei tumori sporadici” spiega Vincenzo Costanzo, che all’IFOM guida il programma Metabolismo del DNA. “Queste sindromi sono eventi drammatici, che interessano più membri della stessa famiglia in diverse generazioni, e il loro studio è stato molto utile ai ricercatori. Le informazioni provenienti dai pazienti sono infatti essenziali. Sul piano della ricerca, è possibile, per esempio, riprodurre in laboratorio le mutazioni presenti nei tumori dei pazienti, per capire come queste si comportano e quali effetti hanno sui geni” aggiunge lo specialista. “Queste sindromi ci hanno anche permesso di capire come si generano i tumori, permettendoci di individuare il gene responsabile. Di fatto sono all’origine dell’oncologia molecolare” afferma. Proprio l’oncologia molecolare, insieme al sequenziamento del DNA, oggi possibile anche a costi relativamente ridotti, permetterà di mettere a punto terapie sempre più specifiche, quasi personalizzate. Conoscere il tipo di mutazione può infatti indirizzare la scelta del trattamento. Si può, per esempio, scegliere di non usare determinati farmaci verso cui è noto che il tumore è resistente. “Un caso specifico è
Offrire il proprio genoma per aiutare i ricercatori
Al servizio della ricerca Uno dei progetti a cui gli associati di Mutagens hanno scelto di dedicarsi, su suggerimento di medici e ricercatori, è la creazione di un registro nazionale di persone e famiglie portatrici di sindromi ereditarie, a partire proprio dalla sindrome del cancro alla mammella e ovaio (BRCA) e dalla sindrome di Lynch (che aumenta il rischio di sviluppare diversi tumori, tra cui il cancro del colon-retto e dell’endometrio). Successivamente il registro si estenderà ad altre sindromi più rare (per esempio la sindrome di Cowden o la sindrome di Li Fraumeni). Le informazioni fornite da chi accetterà di entrare nella lista, siano esse dati clinici o dati genetici, saranno protette da specifiche cautele e da strette norme di privacy e si riveleranno sicuramente una risorsa preziosa sia per l’attivi-
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econdo un criterio riconosciuto a livello internazionale, si definisce raro un tumore che ha un’incidenza (il numero di nuovi casi in un determinato periodo di tempo) di 6 casi ogni 100.000 individui nella popolazione europea. In questo senso, la maggior parte delle sindromi eredo-familiari rientra nella definizione di tumore raro. Sono 198 i diversi tipi di tumori rari individuati grazie a un progetto della comunità europea e coordinato dall’Istituto dei tumori di Milano (RARECANCERnet). Il concetto di “raro” va però chiarito. I cosiddetti tumori rari non lo sono poi così tanto nel loro complesso. Infatti, sebbene i casi per ogni singola tipologia siano pochi, è stato stimato che nell’Unione europea rappresentino il 24 per cento circa di tutti i casi di tumore. In Italia sono 89.000 i nuovi casi ogni anno e 900.000 circa le persone con una diagnosi di tumore raro. Diagnosi che, però, arriva spesso in ritardo, proprio perché la rarità con cui ciascun singolo tipo di tumore si presenta nella popolazione lo rende spesso difficilmente riconoscibile da parte dei medici, i quali potrebbero trovarsi ad affrontarlo per la prima volta. Una problematica, quella dell’identificazione della patologia, che i tumori rari hanno in comune con le malattie rare e le sindromi ereditarie. Nell’ambito delle sindromi ereditarie bisognerebbe insistere, secondo Salvo Testa, sull’importanza dei test genetici universali (ovvero estesi a tutti i soggetti colpiti da tumori associati a mutazioni germinali) e del counselling genetico, un percorso guidato da uno specialista (il counsellor) che parte dalla raccolta di informazioni personali e familiari del paziente. Proprio per mantenere alta l’attenzione sui tumori rari, qualche anno fa ha visto la luce la Joint Action on Rare Cancers (JARC), un’iniziativa che coinvolge 18 Paesi coordinati dalla Fondazione IRCCS dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano. Sono inoltre nate le Reti di riferimento europee (European Reference Networks, ERN) dedicate a tumori specifici, con lo scopo di migliorare l’assistenza per chiunque e ovunque nell’Unione europea sia affetto da una malattia rara. Esistono 24 ERN, di cui tre dedicati ai tumori rari: EURACAN, per tutti i tumori rari solidi dell’adulto; EuroBloodNet, per tutte le malattie ematologiche, inclusi i tumori rari ematologici, e PaedCan, per i tumori pediatrici. E c’è anche GENTURIS, dedicata proprio ai pazienti con una sindrome genetica che aumenta il rischio di sviluppare il cancro. In Italia, la realizzazione di una Rete nazionale dei tumori rari (RNTR), che possa permettere la collaborazione tra i diversi centri oncologici sul territorio nazionale, è stata definita in un’intesa Stato-Regioni risalente al 2017, ma a oggi non ancora messa in atto, ed è uno dei punti discussi nel recente quaderno promosso dall’Osservatorio malattie rare “Tumori rari: quale futuro per la rete”, nel quale si dà risalto alle azioni da compiere, portandole all’attenzione delle istituzioni e del Ministero della salute, per far sì che in Italia si possano curare al meglio tutti i pazienti colpiti da un tumore raro.
TUMORI RARI Sindromi eredo-familiari
quello dei geni BRCA” spiega Costanzo. “Quando sono mutati, predispongono a tumori che rispondono agli inibitori di PARP, farmaci oggi comunemente usati proprio in queste forme. Sapere se la mutazione BRCA è germinale, cioè presente fin dalla nascita, ci aiuta inoltre a meglio capire l’andamento della malattia.”
dobbiamo integrare tutte le discipline” afferma Costanzo. Una pluralità di approcci che deve caratterizzare anche la presa in carico. “Il problema di una sindrome ereditaria non è solo clinico ma, per le famiglie, anche sociale e psicologico” aggiunge Testa, sottolineando che, mentre stanno aumentando la conoscenza e le informazioni disponibili in merito alla mutazione del gene BRCA, la stessa attenzione non è stata finora riservata alle altre sindromi, sia quelle relativamente più frequenti sia, soprattutto, quelle più rare. “Per questo cerchiamo di fare divulgazione scientifica sul tema, cosa per me importante, per creare maggiore consapevolezza nell’opinione pubblica, nelle famiglie e negli stessi medici di medicina genera-
I tumori ereditari in gran parte sono rari
Sfide e opportunità Dal punto di vista della ricerca oncologica, per far fronte a queste sindromi è fondamentale la collaborazione tra esperti di diverse discipline. “Lo studio del cancro è oggi lo studio della ‘deviazione dalla normalità’, quindi dobbiamo conoscere sia il funzionamento della cellula normale sia quello della cellula tumorale. Il problema è talmente ampio che
le, che sono il primo contatto delle persone comuni con il sistema sanitario. Bisogna fare molta comunicazione anche sulla prevenzione e sulla diagnosi precoce. In futuro, con lo sviluppo della terapia genica, forse si potranno persino correggere le anomalie genetiche, ma al momento attuale dobbiamo concentrarci su ciò che si può già fare oggi” afferma riferendosi anche alla prevenzione attraverso farmaci, quando disponibile, e alla possibilità, in alcuni casi e sempre da valutare con i propri medici, di sottoporsi a un’operazione chirurgica preventiva per l’asportazione degli organi sani a rischio, come accade con la mastectomia e l’ovariectomia preventiva. L’importanza di una rete Per la gestione e la presa in carico dei pazienti con sindromi eredo-familiari è impor-
tante avere una rete nazionale che connetta strutture e specialisti. “Lavorare a livello regionale purtroppo non basta. Quanto più sono rare le sindromi ereditarie (o rari i tumori a cui danno origine) tanto più è necessario allargare il perimetro, anche per un confronto a livello internazionale” afferma Testa. Il primo passo per la presa in carico delle sindromi eredo-familiari è stato fatto con il Piano per l’innovazione del sistema sanitario basato sulle scienze omiche, un documento del 2018, la cui finalità è portare l’innovazione dalla ricerca al Sistema sanitario nazionale nelle aree di prevenzione, diagnosi e cura delle persone.
I TRAGUARDI DEI NOSTRI
... continua su: airc.it/traguardi-dei-ricercatori
Insieme contro il tumore al pancreas Chemioterapia e immunoterapia combinate potrebbero ridurre la progressione dell’adenocarcinoma duttale del pancreas, secondo uno studio coordinato da Francesco Novelli dell’Università di Torino apparso su Journal for ImmunoTherapy of Cancer. In seguito a chemioterapia con gemcitabina effettuata in 28 pazienti, sono aumentati gli anticorpi in grado di riconoscere le proteine associate al tumore e i
livelli di un tipo di linfociti T. In animali da laboratorio, i ricercatori hanno combinato il chemioterapico con un vaccino antitumorale basato su DNA, che codifica per una proteina presente in eccesso sulle cellule cancerose del pancreas. I risultati hanno mostrato un potenziamento della risposta immunitaria contro il tumore.
Carcinoma sieroso dell’ovaio, non un solo tumore Una delle forme più aggressive di cancro ovarico, il carcinoma sieroso di alto grado dell’ovaio, potrebbe derivare da due tipi di cellule diverse: in alcuni casi da quelle dell’epitelio (tessuto che riveste l’ovaio), in altri da quelle che rivestono la fimbria (ultima parte delle tube). Secondo uno studio diretto da Giuseppe Testa dello IEO e dell’Università degli Studi di Milano e pubblicato su Genome Medicine, i due sot-
totipi tumorali sarebbero diversi non solo per tessuto di origine, ma anche per caratteristiche molecolari e aggressività, maggiore nelle forme che derivano dall’epitelio ovarico. I risultati suggeriscono nuove aree di ricerca per identificare bersagli specifici per ogni sottotipo e verificare la possibilità di calibrare le terapie.
Nella leucemia linfatica cronica, cellule tumorali e linfonodi si “parlano” Nella leucemia linfatica cronica, le cellule tumorali “colonizzano” i linfonodi, e riescono così a sfuggire ai trattamenti, sopravvivere e moltiplicarsi. Un gruppo di ricerca dell’Università di Siena coordinato da Cosima Baldari ha dimostrato che ciò accade perché i linfonodi rilasciano chemochine, specifici segnali che richiamano i linfociti e sono captati in maniera particolarmente efficace da quelli tumorali. I ricercatori hanno scoperto anche che esiste un dialogo continuo tra cellule stromali (ovvero di so-
stegno) dei linfonodi e cellule tumorali: in pratica, la carenza della proteina p66Shc induce le cellule leucemiche a rilasciare interleuchina 9, che a sua volta causa un maggior rilascio di chemochine da parte delle cellule stromali, innescando così un circolo vizioso. In futuro si potranno sviluppare strategie per limitare l’accumulo di cellule tumorali nei linfonodi, rendendole visibili e aggredibili dal sistema immunitario.
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TUMORI FEMMINILI Cervice uterina
Scacco matto al tumore della cervice Un’azione di prevenzione e cura a livello mondiale è tra gli strumenti per eliminare il tumore della cervice uterina
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a cura della REDAZIONE el 2018 sono stati registrati nel mondo circa 570.000 casi di tumore della cervice uterina e oltre 311.000 decessi causati da questa malattia. Eppure il tumore della cervice uterina è oggi prevenibile e, se diagnosticato in fase precoce, anche curabile. Di fronte a questo scena-
rio, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha deciso di mettere in campo un grande progetto con un obiettivo molto ambizioso: eliminare globalmente il tumore della cervice uterina. “Nessun0 dovrebbe morire per il tumore della cervice uterina. Disponiamo degli strumenti tecnici, medici e politici per eliminarlo” scrivono gli esperti dell’OMS, ricordando
Abbiamo gli strumenti per eliminare questo tumore
Obiettivi
90-70-90: i numeri vincenti
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no dei punti chiave della strategia promossa dall’OMS è rappresentato dagli obiettivi “90-70-90” da raggiungere nel mondo entro il 2030:
90 70 90
per cento delle ragazze vaccinate con tutti i richiami previsti entro i 15 anni di età; per cento delle donne sottoposte a screening entro i 35 anni e ancora entro i 45 anni di età; per cento delle donne con diagnosi di tumore della cervice sottoposte a trattamento.
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che maggiormente colpite da questa malattia sono soprattutto le donne che non hanno accesso ai servizi sanitari, specie nei Paesi a basso e medio reddito.
Questo dato però non deve far abbassare la guardia e tralasciare i controlli e le misure di prevenzione di cui oggi disponiamo e che sono molto efficaci per proteggerci dal virus e dai suoi effetti negativi.
Cosa sappiamo di questo tumore Grazie ai numerosi studi condotti nel corso degli anni, oggi abbiamo molte informazioni su questa malattia. Fondamentale sia in termini di prevenzione che di diagnosi precoce è sapere che quasi tutti i casi (99 per cento) di tumore della cervice uterina sono legati all’infezione da parte del papillomavirus umano (HPV), un virus molto comune che si trasmette per via sessuale e ha un ruolo anche in altri tumori dell’area genitale (ano, vulva, vagina) o della regione testacollo (orofaringe). Su un punto bisogna essere chiari: se è vero che quasi tutti i tumori della cervice uterina sono legati all’infezione da HPV, non è vero il contrario. In altre parole, non tutte le infezioni da HPV portano allo sviluppo di questo tumore, anzi, nella maggior parte dei casi si risolvono spontaneamente, senza lasciare conseguenze. A oggi, infatti, i ricercatori hanno identificato oltre 100 ceppi di HPV, ma solo alcuni di questi (in particolare il 16 e il 18) sono stati associati allo sviluppo del tumore, che può comparire molti anni dopo l’infezione.
La prevenzione è già realtà Primo tra tutti il vaccino antiHPV, disponibile oggi in diverse versioni. Il vaccino bivalente protegge dai due ceppi di HPV (il 16 e il 18) responsabili della maggior parte dei tumori del collo dell’utero, mentre il quadrivalente (contro quattro ceppi) e il nonavalente (contro nove ceppi) assicurano una copertura maggiore. Da dicembre 2007 la vaccinazione in Italia è raccomandata e offerta gratuitamente alle ragazze nel corso del dodicesimo anno di età; a partire dal Piano nazionale di prevenzione vaccinale 2017-2019 la vaccinazione è offerta gratuitamente anche ai maschi. Sull’efficacia della vaccinazione non ci sono dubbi. Un recente studio svedese, per esempio, ha dimostrato che, in una popolazione di donne di età compresa tra 10 e 30 anni nel periodo 20062017, la vaccinazione con il vaccino quadrivalente (che protegge dai tipi di HPV 6, 11, 16 e 18) ha dimezzato l’incidenza cumulativa del tumore. E prima ci si vaccina meglio è. Infatti, lo stesso studio ha anche dimostrato che la
In questo articolo:
prevenzione vaccino antiHPV tumore della cervice uterina
vaccinazione ha un impatto positivo maggiore quando viene somministrata alle ragazze più giovani: il rischio di sviluppare il tumore si è ridotto del 53 per cento quando il vaccino è stato somministrato tra i 17 e i 30 anni di età e dell’88 per cento quando è stato invece eseguito prima dei 17 anni. Il vaccino anti-HPV infatti non è terapeutico e non può contrastare un’infezione già presente, ma è preventivo. Ciò significa che è tanto più efficace quanto più precocemente (in termini di età) viene somministrato, in modo da aumentare la probabilità che il soggetto venga vaccinato prima di essere entrato in contatto con il virus.
Diagnosi precoce, un’arma vincente Oltre alla vaccinazione, esistono anche altri strumenti contro il tumore della cervice uterina, primo tra tutti lo screening per la diagnosi precoce attraverso il Pap test e il cosiddetto HPV test, un esame per la ricerca del DNA del papillomavirus. Come per il vaccino antiHPV, sia il Pap test (ogni 3 anni) sia l’HPV test (ogni 5 anni) sono offerti gratuitamente dal Servizio sanitario nazionale alle donne tra i 25 e i 64 anni. In Italia, secondo l’ultimo rapporto dell’Osservatorio nazionale screening (ONS), solo il 40 per cento circa delle donne invitate ha partecipato allo screening, con percentuali piuttosto diverse tra Nord (45,8 per cento) e Sud (27,5 per cento) del Paese. Il dato non è certo incoraggiante, ma va tenuto presente che molte donne effettuano questo tipo di esame regolarmente al di fuori del programma gratuito nazionale, rivolgendosi al proprio ginecologo di fiducia. Oltre a questi fattori, nelle prossime analisi gli esperti dovranno tener conto anche della pandemia, che ha bloccato completamente gli screening nei mesi di marzo e aprile 2020, e talvolta anche in quelli successivi. Sui ritardi accumulati a causa della pandemia sono stati pubblicati
Agire su prevenzione primaria e secondaria
due documenti dall’Osservatorio nazionale screening, il secondo dei quali, che include i dati fino al 30 settembre 2020, mostra, nei primi 9 mesi del 2020, una riduzione del 40,5 per cento degli inviti rispetto all’anno precedente e del 48,8 per cento del numero di donne sottoposte a esame. Anche in questo caso i dati vanno letti con attenzione, tenendo conto per esempio dei diversi intervalli che nel caso di Pap test o di HPV test intercorrono tra due test successivi e che potrebbero modificare il numero di donne da invitare all’esame.
Epidemiologia
Fotografia dell’Italia
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ome riportato nel rapporto I numeri del cancro in Italia 2020 a cura dell’Associazione italiana registri tumori (AIRTUM), in Italia per il 2020 sono stimati 2.365 nuovi casi di tumore della cervice uterina, e la patologia occupa il quinto posto nella classifica dei tumori più comuni nelle donne fino ai 49 anni di età. Anche nel nostro Paese si continua a morire a causa di questa malattia, tanto che nel 2017 i decessi legati a questo tumore sono stati 494.
TUMORE DEL SENO Maternità
In questo articolo: maternità tumore del seno chemioterapia
Mamme dopo un tumore al seno Grazie a percorsi per preservare la fertilità, le giovani donne con tumore al seno possono portare a termine una gravidanza sicura anche dopo le terapie
a cura di CRISTINA FERRARIO vere un bambino dopo aver superato un tumore del seno, oggi, non è solo una speranza ma una possibilità concreta per le giovani donne. Lo ha spiegato Lucia Del Mastro, responsabile della Breast Unit IRCCS Ospedale policlinico San Martino e Università degli Studi di Genova, descrivendo i risultati di un lavoro coordinato proprio dal centro di Genova e presentato nel corso dell’ultima edizione del San Antonio Breast Cancer
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Symposium, il più importante convegno internazionale su questo tumore. Nello studio sono stati valutati i dati di oltre 7.500 donne che hanno avuto un figlio dopo diagnosi e trattamento per un tumore al seno (la casistica più ampia al mondo su questo tema). “Non c’è un aumento significativo del rischio di malformazioni congenite per il neonato e neppure della maggior parte delle possibili complicazioni legate alla gestazione e al parto. E inoltre per le neo-mamme non aumenta il rischio di ripresa della malattia” afferma
Del Mastro, ricordando che il tema della maternità è molto importante per le giovani donne che ricevono una diagnosi di tumore al seno, oltre 3.300 ogni anno in Italia sotto i 40 anni. E dai ricercatori di Genova arriva un’altra buona notizia: la gravidanza è sicura anche per le giovani donne con tumore al seno e mutazione BRCA. Lo ha spiegato Matteo Lambertini, oncologo medico, ricercatore universitario presso l’IRCCS Ospedale policlinico San Martino e prima firma di un articolo pubblicato sul Journal of Clinical Oncology. Lo studio ha coinvolto 1.250 donne con meno di 40 anni con carcinoma mammario e BRCA mutato e ha portato a conclusioni molto simili a quelle presentate da Del Mastro.
un percorso per preservare la fertilità delle giovani donne, che può essere messa a rischio dai trattamenti chemioterapici. “Nel complesso, la diagnosi di carcinoma mammario in giovane età non deve implicare una rinuncia al desiderio di maternità, che va discusso sin dal momento della scoperta della malattia, anche per offrire subito alla donna il percorso di preservazione della fertilità” commenta Fabio Puglisi, direttore del Dipartimento di oncologia medica dell’IRCCS Centro di riferimento oncologico di Aviano, spiegando che, pur essendo un aspetto fondamentale, il tema della fertilità è ancora troppo spesso trascurato. In Italia manca una Rete dei centri di oncofertilità e le donne che hanno un figlio dopo la diagnosi di tumore mammario sono poche: solo il 3 per cento tra le under-45” dice Del Mastro. “Ci auguriamo che questi dati possano essere uno stimolo per costituire la Rete e per convincere più donne a sottoporsi a queste tecniche” aggiunge.
La diagnosi non esclude la maternità
Oncofertilità al centro Una gravidanza sicura anche dopo un tumore è quindi una possibilità concreta, ma affinché il progetto abbia successo è importante intraprendere sin dall’inizio delle cure LE TECNICHE
Come preservare la fertilità?
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ue sono le principali tecniche di preservazione della fertilità per la donna: la crioconservazione, cioè il congelamento, degli ovociti o del tessuto ovarico, e l’utilizzo di farmaci per proteggere e mettere a riposo le ovaie durante la chemioterapia. “I dati disponibili dimostrano che quasi tutte le donne accettano il trattamento farmacologico, invece solo il 25 per cento si sottopone al congelamento di ovociti o di tessuto ovarico” spiegano gli esperti.
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RICERCA DI BASE Meccanobiologia
Il tumore? Un duro pungolo in un ambiente morbido
In questo articolo: fisica metastasi
a cura di Cristina Ferrario l cancro è una malattia dei geni” si legge nei libri di biologia. “Ma i geni da soli non bastano” aggiungono oggi molti ricercatori, tra i quali anche Stefano Piccolo, professore ordinario di biologia molecolare presso il Dipartimento di medicina molecolare dell’Università di Padova e coordinatore del programma di ricerca Biologia dei tessuti e tumorigenesi presso l’IFOM di Milano. In effetti, per oltre 40 anni la ricerca oncologica si è concentrata sullo studio delle alterazio-
“I
Lo studio delle proprietà meccaniche delle cellule è una delle più promettenti applicazioni della fisica alla ricerca biologica. E l’oncologia è uno degli ambiti in cui questa disciplina sta dando i risultati più interessanti
ni genetiche legate ai tumori, ma oggi gli esperti aprono le porte a una nuova chiave di lettura dei processi che portano alla formazione e alla progressione del cancro: la fisica e le sue leggi. “È sicuramente vero che il cancro è una malattia dei geni, come è stato dimostrato negli anni passati, dedicati alla definizione dei geni del cancro. Questo approccio però ha sottovalutato il ruolo del contesto nel quale le cellule si trovano a vivere” ribadisce Piccolo, beneficiario di uno dei finanziamenti per i programmi 5 per mille AIRC dedicati allo stu-
Questione di geni ma non solo
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RICERCA DI BASE Meccanobiologia
dio delle metastasi, e che indaga proprio gli aspetti meccanici e fisici che influenzano il comportamento delle cellule. Tendoni da circo e vicini di casa “La cellula non è diversa da un tendone da circo, sostenuta da pioli, molle, pulegge e cavi in un equilibrio di forze.” Un’immagine in apparenza bizzarra quella che Piccolo utilizza, ma che a ben vedere riflette molto bene la realtà fisica che caratterizza tutte le cellule, sane o tumorali che siano. Proseguendo poi a livello biologico, il ricercatore spiega che ciò che tiene insieme il tutto si chiama citoscheletro, l’anima strutturale della cellula. La cellula però non è isolata, vive in comunità. I suoi
“pioli” sono attaccati alla cosiddetta matrice extracellulare, una fitta rete di cavi e strutture tridimensionali ben organizzate. “Come in un grattacielo, una ghiandola è un condominio di tanti appartamenti (le cellule) diversi e l’intero condominio sta in piedi proprio perché gli appartamenti sono l’uno vicino all’altro, in simbiosi strutturale e funzionale, con un’architettura che li mantiene insieme” aggiunge. Tutte queste forze sono quindi naturalmente intrinseche alla cellula, ai tessuti e agli organi e possiamo immaginarle come indispensabili perché le cellule e i tessuti abbiano, in un certo senso, “coscienza di sé” e di dove si trovano: in altre parole, perché sappiano quale posto occupano nel condomi-
I (buoni) vicini fanno la differenza
IN VIAGGIO
La fisica delle metastasi
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e metastasi in un certo senso sfuggono alla definizione di cancro come malattia dei geni: in effetti i “geni della metastasi” sono stati cercati per anni senza successo. “Bisogna indagare in una dimensione diversa dalla pura biologia molecolare del cancro e pensare in chiave di cellule e tessuti” spiega Piccolo, sottolineando che la metastasi è un viaggio profondamente meccanico. “Non solo le cellule acquisiscono, nel tumore primario, caratteristiche metastatiche – probabilmente per vie non solo genetiche –, ma riescono ad avere una nuova percezione della meccanica, una sorta di superpotere di grande malignità” aggiunge. Nelle metastasi cambia anche la forma delle cellule che si strizzano, si allungano e comprimono per muoversi, insinuarsi all’interno dei vasi sanguigni e lì sopravvivere alla turbolenza (un altro parametro della fisica) del flusso sanguigno. “Queste cellule devono quindi diventare dei camaleonti per vivere in un ambiente a loro alieno, e questo include l’essere meccanicamente duttili.”
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nio, qual è il loro ruolo sociale in una comunità e quali sono i loro vicini. Un cambio di paradigma Questo intreccio di forze fisiche e contatti tra cellule e ambiente è parte di un equilibrio anche meccanico che, una volta alterato, può dare origine a un tumore. “A ben vedere, il cancro incontra la fisica e le sue leggi nel momento stesso in cui viene rilevato: spesso con la palpazione si ‘sente’ infatti una massa di consistenza diversa da quella del tessuto normale. Pensiamo alla mammella: un nodulo duro in un tessuto naturalmente morbido” dice Piccolo. “È quindi una caratteristica fisica che cambia, ma finora abbiamo visto questa durezza come conseguenza di un’anomalia delle cellule. Nessuno ha mai pensato che proprio questa
durezza possa essere la caratteristica di partenza del tumore” aggiunge. Nel nuovo approccio che guarda anche alla “fisica del cancro”, si è in un certo senso ribaltato il punto di vista. Per molti anni si è parlato di leggi della fisica in oncologia solo in termini di applicazioni come la radioterapia o alcuni esami diagnostici. “Tutte le caratteristiche fisiche delle cellule e dell’ambiente che le circonda di cui oggi si parla sono rimaste per così dire ‘nascoste in bella vista’, ma ora le cose stanno cambiando” dice l’esperto. Sensori molto speciali Le ragioni alla base del cambiamento sono diverse: innanzitutto si è capito che quello fisico è un segnale importante e che le forze e le geometrie dei tessuti possono guidare la vita, la morte e il comportamento delle cellu-
le. In pratica, in un ambiente perfettamente morbido anche i geni del cancro – quelli che vengono definiti oncogeni – non riescono a funzionare. “Tra le loro funzioni, gli oncogeni permettono anche alle cellule di sfruttare al massimo le forze meccaniche che arrivano dall’ambiente. Sono meccano-sensibili e aiutano a conferire meccano-sensibilità alla cellula” spiega Piccolo, citando speciali interruttori genetici che vengono accesi e spenti proprio dai segnali meccanici e che controllano il comportamento della cellula. “Sono i meccano-trasduttori, il punto di contatto tra il mondo biologico e quello fisico” precisa l’esperto, che proprio su alcune di queste molecole (YAP/ TAZ e ATR) lavora con il suo gruppo. I meccano-trasduttori aiutano la cellula a “sentire” i segnali meccanici e parlano al genoma, accendendo e spegnendo centinaia di geni, alcuni dei quali legati anche al cancro e alle metastasi.
supporti di plastica rigida. Un aiuto prezioso in passato, quando non c’erano altri strumenti di ricerca più validi, ma niente di più lontano da quello che si verifica nell’organismo. “In un certo senso studiavamo il cancro all’interno di una incredibile cacofonia meccanica, dovuta al fatto che la cellula veniva coltivata attaccata a un substrato che non esiste in un corpo umano. È come studiare il suono del violino all’interno del fracasso creato dalla banda di paese” aggiunge Piccolo, che con il suo gruppo utilizza negli esperimenti substrati speciali che permettono di abbassare questo “rumore di fondo”. La buona notizia è che lo studio dei meccanismi legati al cancro e mediati dai meccano-trasduttori potrebbe in futuro avere un impatto importante anche in clinica. “Se riuscissimo ad ammorbidire un tessuto o a fargli credere di essere più morbido di quanto non sia in realtà, potremmo ridurre per esempio l’azione degli oncogeni. Possiamo anche lavorare a livello molecolare direttamente su questi meccano-trasduttori che sono tra i più potenti oncogeni noti: si tratta di agire sugli interruttori per interferire con alcuni stimoli che possono portare al cancro, sia incoraggiando la proliferazione cellulare sia agendo sul contesto ambientale intorno alla cellula tumorale, come per esempio l’infiammazione” conclude Piccolo.
La meccanica può attivare interruttori genetici
Dalla ricerca alla cura Ma contano anche le innovazioni tecniche e tecnologiche in laboratorio. “Oggi disponiamo di tecnologie molto avanzate e siamo in grado di far crescere le cellule su vari materiali, così da simulare un microambiente fisico con diverse caratteristiche di durezza, rigidità, eccetera” precisa Piccolo, ricordando che per 40 anni il cancro è stato studiato in linee cellulari fatte crescere su
PROTAGONISTI
Non dimentichiamoci del nucleo
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n questo innovativo modo di guardare al cancro con l’occhio della fisica, anche il nucleo della cellula assume un ruolo nuovo. “Finora il nucleo era noto per il suo contenuto, ovvero il genoma, ma va ricordato che è anche un organello, il più duro della cellula e il più difficile da comprimere, perché a livello fisico il genoma è come un’enorme molla che in pratica non può essere ulteriormente compressa” spiega Stefano Piccolo. Oggi si guarda al nucleo come a uno degli elementi meccanici della cellula, capace non solo di sentire gli stimoli meccanici ma anche in teoria di trasformarli in segnali per modificare l’impacchettamento del DNA. “Il nucleo non è solo un involucro, è un’entità viva e meccanicamente dinamica. Non c’è ragione per pensare che la meccanica si fermi alla membrana nucleare senza influenzare poi il DNA” precisa. Non è un caso che un danno alla membrana nucleare – causato magari da un eccesso di attività meccanica – faccia partire un forte segnale infiammatorio nella cellula. “E noi sappiamo che l’infiammazione è sia uno degli stimoli per il cancro, sia uno dei suoi talloni d’Achille” dice l’esperto.
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NOTIZIE FLASH
Dal Mondo Ospite indesiderato e pericoloso Coloro che hanno contratto un’infezione da Toxoplasma gondii potrebbero avere un rischio aumentato di sviluppare un tipo di tumore al cervello noto come glioma. A dirlo è uno studio americano che ha preso in esame più di 750 casi specifici e selezionati e ha osservato come la diagnosi di glioma fosse circa tre volte più probabile nei soggetti che avevano gli anticorpi contro questo parassita, segno di una passata infezione. Come ben sanno le donne incinte, a cui è raccomandato di fare particolare attenzione perché il parassita può causare danni al feto, le principali fonti di infezione da T. gondii sono il consumo di carne poco cotta e di vegetali non ben lavati e la manipolazione di terra contaminata dalle feci di animali infetti.
CAR-T ancora più potenti La rivista scientifica Nature Communications ha pubblicato i risultati di uno studio tedesco in cui viene proposta una nuova terapia cellulare per i linfomi non Hodgkin a cellule B. La strategia utilizzata è quella delle cellule CAR-T: linfociti T (un tipo di globuli bianchi) del paziente sottoposti a ingegneria genetica che li equipaggia con una molecola che permette loro di riconoscere le cellule tumorali per poi ucciderle. La novità sta nella molecola scelta, CXCR5, che è presente sia sulle cellule cancerose sia su altre cellule che supportano la crescita del tumore. Le CXCR5-CART agiscono perciò contemporaneamente su due fronti. I risultati negli animali di laboratorio sono incoraggianti e si spera che vengano confermati negli studi clinici sull’uomo.
Il contributo dell’alcol
Secondo uno studio dell’American Cancer Society (ACS), negli Stati Uniti più di una diagnosi di tumore su venti e più di un decesso per cancro su trenta sono causati dall’alcol. I valori esatti variano però da Stato a Stato. Lo studio dell’ACS ha permesso di disegnare una “mappa” dell’impatto del consumo di alcol sull’incidenza e sulla mortalità del cancro, utile per programmare campagne di prevenzione e assistenza sanitaria. Da sottolineare che, rispetto a studi precedenti, la relazione tra consumo di alcol e rischio di tumore è stata valutata nei non fumatori: nelle persone che fumano e bevono risulta infatti assai difficile identificare il vero colpevole.
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Sfuggire alla chemio col letargo Le cellule tumorali possono entrare in uno stato “dormiente” concettualmente simile al letargo per sfuggire alla chemioterapia. A scoprire l’esistenza di questo meccanismo che contribuisce a rendere i trattamenti antitumorali inefficaci è stato un gruppo di ricercatori canadesi. Gli studiosi hanno visto che cellule di tumore del colon-retto esposte a farmaci chemioterapici entravano in uno stato “simil-letargico” in cui si dividevano poco e avevano bisogno di meno nutrimento per sopravvivere. Se però si smetteva di somministrare il farmaco, le cellule tornavano a crescere. Questo meccanismo di adattamento è simile a quello con cui alcuni mammiferi mantengono al sicuro gli embrioni in caso di condizioni esterne sfavorevoli, come basse temperature o mancanza di cibo: lo sviluppo dell’embrione è “messo in pausa” finché le condizioni non migliorano, per poi riprendere normalmente senza conseguenze.
Nicotina e rischio metastasi
Cercasi chirurghi e anestesisti
Un gruppo di ricercatori americani ha trovato un nesso tra la nicotina e la formazione di metastasi nei polmoni. Osservando oltre 1.000 donne colpite da tumore del seno, i ricercatori hanno visto che le metastasi polmonari erano molto più frequenti tra le fumatrici e le ex-fumatrici. Usando un modello sperimentale, hanno dimostrato che l’esposizione persistente alla nicotina causa l’accumulo di un tipo di globuli bianchi, i neutrofili. Questi creano nel polmone un ambiente favorevole all’attecchimento delle cellule tumorali che dal seno possono arrivare al polmone tramite la circolazione. Un farmaco in grado di ostacolare l’accumulo di neutrofili potrebbe perciò ridurre il rischio di metastasi. In base a questa scoperta, alle pazienti con tumore del seno che vogliono smettere di fumare andrebbero sconsigliati prodotti contenenti nicotina.
Nell’arco dei prossimi vent’anni serviranno, a livello mondiale, circa 200.000 chirurghi e 90.000 anestesisti in più per fare fronte a tutti gli interventi di cui avranno bisogno i malati di cancro. Uno studio australiano ha infatti stimato che gli interventi chirurgici su pazienti con tumori aumenteranno di oltre il 50 per cento, passando dai 9 milioni registrati nel 2018 a quasi 14 milioni nel 2040. La situazione più preoccupante è quella dei Paesi a basso reddito, dove ci si aspetta che le operazioni chirurgiche necessarie per i pazienti oncologici saranno più del doppio: i chirurghi dovrebbero aumentare del 400 per cento e gli anestesisti del 550 per cento per allinearsi ai numeri dei Paesi ad alto reddito.
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INTELLIGENZA ARTIFICIALE Chatbot
Domande urgenti per il medico? Parlane con il tuo chatbot I chatbot, strumenti basati sull’intelligenza artificiale, possono trovare applicazione anche in oncologia per rispondere a domande semplici, fornire informazioni generali o offrire riscontri su terapie ed effetti collaterali. Siamo pronti per questo nuovo modo di interagire? E fino a che punto possiamo affidarci a loro?
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a cura di ELENA RIBOLDI iri, Cortana e Alexa sono nomi familiari a molti: si tratta di assistenti virtuali, anche detti chatbot, con cui si dialoga tramite smartphone, computer o appositi dispositivi elettronici. Possono fornirci informazioni più o meno su tutto, suggerirci cosa fare e dove andare, permetterci di fare acquisti con pochi click o addirittura con un semplice comando vocale. Ebbene, apparecchi dal funzionamento simile potrebbero presto diffondersi nel campo della salute e del benessere e rivoluzionare le interazioni tra pazienti e personale sanitario.
Robot chiacchierini “Un chatbot è uno strumento informatico che interagisce con l’utente simulando una conversazione umana tramite testo o voce” spiega Enrico Maria Piras, ricercatore del Centro per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione della Fondazione Bruno Kessler di Trento, che ha parlato dell’argomento nella sessione dedicata all’oncologia digitale durante l’ultimo congresso dell’Associazione italiana di oncologia medica. Il termine chatbot deriva dalla contrazione delle parole inglesi chat (chiacchierare) e robot. I chatbot sono delle interfacce, termine che in informatica indica un “sistema di connessione e di adattamento tra due sistemi che funzionano con modalità diverse”. E non c’è dubbio che essere umano e computer siano sistemi molto diversi tra loro. Secondo Piras, “i chatbot consentono un’interazione basata sul linguaggio naturale, ovvero quello normalmente adoperato dalle persone. In questo modo favoriscono l’instaurarsi di una relazione di maggiore fiducia con il sistema e permettono di gestire la relazione con la macchina anche mentre si hanno le mani occupate a fare altro, poiché rispondono a comandi vocali”. L’uso del linguaggio naturale è però un’arma a doppio taglio. Da una par-
In questo articolo:
chatbot intelligenza artificiale terapie digitali
te, la persona può parlare alla macchina come parlerebbe a un altro essere umano, senza dover seguire regole rigide. Per esempio, se vuole informarsi sulle condizioni atmosferiche può chiedere sia “Che tempo fa?” sia “Com’è il tempo?” sia “Com’è il meteo oggi?” e ricevere in ogni caso una risposta. Dall’altra parte, la comprensione e l’elaborazione del linguaggio naturale rappresenta una grossa sfida per l’intelligenza artificiale, che parla un linguaggio diverso, il cosiddetto linguaggio di programmazione, per cui in caso di domande più complesse non è infrequente sentirsi rispondere “Non ho capito la domanda” o essere fraintesi. Infine, non bisogna dimenticare l’aspetto psicologico oltre che pratico della relazione: pazienti anziani e fragili potrebbero avere difficoltà di accesso a queste tecnologie o non capire di essere di fronte a una intelligenza artificiale e instaurare quindi una relazione emotiva con lo strumento, ritenuta non solo inopportuna ma anche non etica, perché si tratterebbe di una sorta di inganno.
Assistenti versatili I chatbot già disponibili funzionano attraverso la tastiera del computer (per esempio, all’interno di un sito, rispondendo a domande che vengono digitate dall’utente) oppure attraverso la voce, come accade con i cellulari, e si stanno diffondendo rapidamente nel mondo delle aziende, che li usano già per intrattenere i rapporti con i clienti. In futuro non è escluso che questo tipo di “intelligenza artificiale” venga inserita in robot dall’aspetto quasi umano, che potrebbero anche aiutare le persone a muoversi negli ambienti, per esempio guidando un paziente fino al reparto giusto. Anche se su questo tema ci sono opinioni discordanti. Alcuni studi, infatti, mostrano che gli esseri umani non sono particolarmente disponibili a dare fiducia a un robot che somiglia a uomo: ci trovano infatti qualcosa di inquietante, per cui in genere, se proprio devono in-
teragire con un computer, preferiscono aver a che fare con una macchina. Si guarda con interesse crescente a un utilizzo dei chatbot anche nel campo della salute. Strumenti interattivi come questi potrebbero essere sfruttati con finalità educativa, per promuovere stili di vita sani e aumentare la consapevolezza riguardo ai rischi legati a certe condizioni o comportamenti, come il fumo. Di recente sono stati avviati studi sull’impiego dei chatbot in oncologia. Le sperimentazioni riguardano la possibilità di migliorare l’aderenza terapeutica (cioè valutare in che misura il paziente si attiene alle raccomandazioni del medico riguardo alla terapia che deve assumere a casa propria), fornire informazioni, monitorare i pazienti, gestire le reazioni avverse alle terapie e fornire supporto psicologico.
Un esempio di oncologia digitale
Per fare capire in che modo i chatbot potrebbero rispondere ad alcune necessità dei pazienti, Piras parte da un’altra e più consolidata esperienza di oncologia digitale, una piattaforma basata sul web, attraverso cui il paziente segnala al medico se la terapia è stata assunta nei tempi e nelle dosi prescritti e se si sono manifestati degli effetti collaterali; il medico riceve le informazioni e contatta il paziente se necessario. “In uno studio clinico lanciato qualche anno fa abbiamo utilizzato la piattaforma Onco TreC per il monitoraggio delle chemioterapie orali. Questa piattaforma permette di superare quella che un paziente ha definito la gincana telefonica: ho un problema, chiamo il centralino dell’ospedale, che mi passa il reparto, che mi passa il me-
dico (quando succede). Usando lo strumento informatico, il paziente scrive quando vuole e riceve una risposta appena il medico è disponibile.” Ovviamente in caso di problema grave e urgente non si può utilizzare questo strumento, che svolge un’azione di supplente temporaneo, nell’attesa che il medico in carne e ossa sia disponibile.
Non mi disturba affatto
Intervistando i partecipanti allo studio Onco TreC sono emersi due punti critici. “In alcuni casi i pazienti si astenevano dall’usare la chat per timore di disturbare il medico. In altri, avrebbero voluto una risposta che li tranquillizzasse anche in caso di comunicazioni di routine. È per questo problema che si aprono spazi molto interessanti per i chatbot” continua Piras. “Questi strumenti potrebbero infatti essere utili per offrire un supporto educativo o informativo di base e ridurre così la paura di formulare delle domande per timore di disturbare il medico.” In caso di sintomi lievi e attesi, (cioè la cui origine è già nota al medico che ha programmato il sistema di conseguenza) invece, il chatbot potrebbe fornire una prima risposta per rassicurare il paziente. “Alla comunicazione di un sintomo leggero potrebbe fare seguito una risposta automatizzata, con l’invito a segnalare nuovamente il problema se si dovesse ripresentare. Questo andrebbe incontro alle aspettative di risposta del paziente”. La consapevolezza di trovarsi davanti a un sistema automatizzato potrebbe talvolta portare al comportamento opposto: i pazienti che evitano di riferire i sintomi lievi sarebbero invogliati a farlo, permettendo così di monitorare meglio la situazione, senza sottostimare APRILE 2021 | FONDAMENTALE | 21
INTELLIGENZA ARTIFICIALE Chatbot
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Anche i chatbot vanno verificati
“I
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chatbot offrono la possibilità di effettuare dei triage o delle visite filtro, per distinguere i casi in cui il paziente deve essere messo in contatto con un medico o con una struttura da quelli in cui le sue richieste possono essere soddisfatte diversamente, con un semplice invio di informazioni o link a cui trovare approfondimenti” afferma Eugenio Santoro, capo del laboratorio di informatica medica dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano ed esperto di terapie digitali, ovvero tutti gli interventi medici che passano attraverso il computer e che, come tali, devono essere sottoposti al vaglio della ricerca scientifica. “Questi sistemi devono essere studiati nei minimi dettagli per evitare che qualche paziente che avrebbe bisogno di essere messo in contatto con il medico possa non riuscire a parlargli.” Le potenziali conseguenze includono una diagnosi errata o ritardata e l’uso inappropriato di farmaci. Come si può ridurre al minimo questo rischio? “È fondamentale che ci sia una validazione: occorre verificare attraverso studi di comparazione che i suggerimenti forniti da questi sistemi siano, in termini di affidabilità, almeno pari a quelli che sarebbero forniti da un medico in carne e ossa. Le sperimentazioni cliniche in corso sono ancora poche, bisognerà farne molte altre prima di pensare seriamente, e solo in caso di risultati positivi, di introdurre i chatbot nella pratica medica.” C’è un altro aspetto che merita una riflessione. “L’idea che ‘dall’altra parte’ ci sia una macchina che mi risponde e non un medico potrebbe essere un fattore limitante, perché non si stabilirebbe l’empatia tra medico e paziente.”
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eventuali campanelli d’allarme. Come per tutte le forme di intelligenza artificiale, è importante ricordare che le decisioni che prende il chatbot non sono “autonome”: si basano sulle informazioni fornite dagli esseri umani che li hanno programmati, quindi sono soggetti agli stessi errori e alle stesse intuizioni del medico che ha fatto da consulente. Anzi, talvolta i benefici sono maggiori, perché a rivedere gli algoritmi che portano a una certa risposta non c’è un solo medico, ma un gruppo di esperti, una “intelligenza collettiva” e molto umana.
Una risorsa da sfruttare
Una grossa spinta allo sviluppo di chatbot destinati all’ambito sanitario è arrivata dalla pandemia. L’intelligenza artificiale potrebbe infatti venire in soccorso nelle situazioni in cui il per-
sonale sanitario scarseggia. Anche se questi sistemi non possono in alcun modo sostituire i medici, vanno considerati una risorsa per potenziare l’assistenza sanitaria. “I chatbot potrebbero costituire un primo step di un’offerta di cura ‘a gradini’, in cui i professionisti sanitari, sia infermieri sia medici, vengono chiamati in causa solo in seconda o terza battuta” conclude Piras. “Per esempio nella gestione delle terapie oncologiche orali, il chatbot potrebbe essere integrato nei processi di monitoraggio remoto per fornire supporto educativo al paziente, per funzionare da filtro con il reparto, per aumentare l’aderenza terapeutica e per facilitare l’acquisizione di informazioni, sgravando in parte il medico da compiti di base e funzionando come strumento che rimanda al medico o all’infermiere solo nel caso in cui il suo intervento sia necessario.”
BIOTECNOLOGIE mRNA
In questo articolo:
mRNA vaccini oncologia molecolare
La molecola che dice alla cellula: “C’è un messaggio per te” Negli ultimi mesi si è sentito spesso parlare di mRNA, una molecola che è oggetto di ricerca in vari settori, dall’oncologia ai vaccini
MOLECOLA
RNA, di cosa sei fatto?
R
NA sta per acido ribonucleico. Una molecola di RNA è costituita da una catena di nucleotidi, unità base composte a loro volta da una molecola di acido fosforico, uno zucchero (ribosio) e un altro composto organico (base azotata). Quando una cellula ha bisogno di una proteina specifica, un enzima chiamato RNA polimerasi
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a cura di Elena Riboldi a molecola nota solo ai biologi e ai liceali che studiano il funzionamento cellulare, ad argomento alla moda sui social media: la parola mRNA, praticamente inesistente prima di dicembre scorso tra gli hashtag di Twitter, ha raggiunto a fine gennaio la sesta posizione tra gli argomenti più discussi. Un “successo” trainato dal fatto che si tratta dell’“ingrediente” principale dei vaccini antiCovid-19 più efficaci. Questo però non è il suo unico ruolo.
sintetizza una molecola di mRNA, usando come stampo il gene che codifica quella proteina. L’mRNA avrà così la stessa sequenza del gene. Questo processo è chiamato trascrizione ed è seguito dal processo di traduzione, in cui l’mRNA è utilizzato come guida per assemblare la catena di aminoacidi specifica per la proteina desiderata. La sequenza dei nucleotidi dell’mRNA determina così la sequenza degli aminoacidi della proteina. Sia la trascrizione che la traduzione sono processi finemente regolati.
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BIOTECNOLOGIE mRNA
L’RNA messaggero, o mRNA, svolge infatti una funzione fondamentale nella cellula. Se non ci fosse l’mRNA, le istruzioni contenute nel DNA resterebbero lettera morta. L’mRNA trasporta gli ordini di produzione che partono dal DNA del nucleo cellulare e arrivano alle fabbriche delle proteine affinché vengano prodotte quelle che servono alla cellula in un dato momento. Studiando l’mRNA possiamo scoprire molte cose su come insorgono e progrediscono le malattie e, manipolandolo, possiamo anche prevenirne, e forse curarne, alcune.
gano sintetizzate le proteine necessarie a svolgere specifiche funzioni. Usando tecniche di biologia molecolare, i ricercatori possono studiare quali mRNA sono prodotti (in gergo si dice che sono “espressi”) in una cellula. L’insieme di tutti gli mRNA di una cellula è chiamato “trascrittoma” e dalla sua analisi si può capire quali processi biologici sono attivi in quel momento. “Esistono poi degli RNA che sono lunghi quanto gli mRNA, chiamati long non-coding RNA (lncRNA), e degli RNA molto molto piccoli, chiamati microRNA (miRNA), che non codificano nessuna proteina, ma hanno una funzione regolatoria sull’espressione di altri mRNA”.
Sono usati anche nella cura del cancro
La famiglia degli RNA “Esistono molte specie di RNA” spiega Roberto Gherzi, direttore del laboratorio di Regolazione dell’espressione genica dell’Ospedale San Martino di Genova. “Alcuni di essi, l’RNA ribosomiale (rRNA) e l’RNA transfer (tRNA), sono componenti costitutive delle cellule e svolgono un ruolo importantissimo, ma sono identici in tutte le cellule. Gli RNA messaggeri sono invece specifici per ciascuna cellula specializzata del nostro organismo. Vale a dire che nel fegato abbiamo degli mRNA specifici per il fegato, nel colon degli mRNA specifici per il colon, e così via.” Tutte le cellule di un individuo hanno lo stesso identico DNA, che contiene i geni, sequenze di basi che forniscono alla cellula le istruzioni per sintetizzare proteine. I geni che si attivano in una certa cellula e in un certo momento sono diversi e ciò fa sì che ven-
RNA sbagliati e tumori “Dopo essere stati prodotti, gli mRNA vanno incontro a una serie di eventi. Sono talvolta sottoposti a un processo definito splicing, una sorta di taglia e cuci, e subiscono modificazioni all’inizio e alla fine della molecola. Dopo essere stati portati ai ribosomi, gli organelli dove avviene la sintesi delle proteine, e avere svolto il loro compito, gli mRNA devono poi essere degradati. Tutti questi passaggi possono essere oggetto di errori coinvolti nella trasformazione tumorale della cellula”
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spiega Gherzi, che aggiunge: “Anche i long non-coding RNA e i microRNA possono andare incontro a modifiche di espressione e di funzione che portano alla trasformazione delle cellule da sane a tumorali. I tumori possono perciò derivare da sovvertimenti nel rimaneggiamento dell’mRNA e nell’attività di RNA regolatori”. mRNA come bersaglio “Lo studio dell’RNA ha ricevuto un grande impulso dopo che è stato mappato il genoma umano” sottolinea Gherzi. Questa mappatura è stata possibile grazie al Progetto genoma umano, conclusosi nel 2003, che ha determinato la sequenza del DNA e identificato i geni in esso contenuti. “Si è visto che una gran parte del genoma umano non codifica per alcuna proteina, ma serve invece a produrre gli RNA regolatori che abbiamo già citato, che possono regolare in una grande varietà di modi l’espressione dei geni. Gli mRNA possono quindi essere regolati da altri RNA che non producono proteine.” Quello degli RNA regolatori è un interessante campo di ricerca. “Il nostro gruppo, con il sostegno di AIRC, sta studiando un RNA regolatorio che potrebbe avere un importante effetto antiproliferativo una volta espresso in cellule tumorali” racconta Gherzi. “Ogni tipo di cellula ha il suo corredo di RNA regolatori. Quello che
stiamo studiando noi è un long non-coding RNA espresso solo da cellule epiteliali sane. Abbonda nel colon e nel polmone ed è abbastanza espresso nella mammella e nel pancreas sani. Se si analizzano campioni dei tessuti tumorali corrispondenti, però, questo lncRNA non si trova. Abbiamo perciò provato a introdurlo in linee cellulari tumorali e abbiamo visto che la velocità di proliferazione delle cellule rallentava moltissimo. Abbiamo poi dimostrato che regola l’espressione dell’mRNA per proteine coinvolte nella crescita cellulare.” La regolazione avviene su due livelli: sia su quanto mRNA viene prodotto (trascritto) sia su quanto facilmente si degrada. “Usare questi RNA regolatori come strumenti terapeutici è il sogno di tutti coloro che li studiano. Al momento però la cosa è complicata, bisogna prima capire come farli arrivare nelle cellule che non li esprimono” chiarisce Gherzi, che conclude: “È possibile che gli avanzamenti tecnologici stimolati dallo studio dei vaccini a mRNA possano avere un impatto anche su altre ricerche non direttamente correlate, come questa”.
RICERCA
I vaccini a mRNA
“L
a velocità con cui sono stati ottenuti i vaccini a mRNA contro il virus che causa Covid-19 ha sorpreso e, in qualche caso, spaventato la gente. Questi vaccini non sono però frutto di improvvisazione, ma il risultato di un lavoro che sta procedendo da molto tempo” spiega Roberto Gherzi. “L’idea di produrre vaccini a mRNA non nasce infatti con il virus SARS-CoV-2. Abbiamo scoperto le tecniche che consentono di manipolare e modificare chimicamente l’RNA, il che ha permesso di usarlo per vaccinare le persone, all’inizio di questo millennio, quindi oltre venti anni fa. Siamo arrivati ai vaccini a mRNA perché i tempi erano maturi per farlo e perché c’è stata la forte spinta di questa enorme emergenza che ha investito tutta l’umanità.” Il primo passo nella produzione di un vaccino a mRNA è l’identificazione della sequenza che codifica la proteina che vogliamo fare esprimere dalle cellule. Deve trattarsi di una proteina caratteristica del microrganismo contro cui vogliamo che si attivi il sistema immunitario. Nel caso di SARS-CoV-2, è stata scelta la proteina Spike o S, che serve al coronavirus per entrare nelle cellule e infettarle. Scelta la sequenza, si può sintetizzare l’mRNA. Se però si tentasse di iniettarlo nell’organismo così com’è, verrebbe degradato in pochi secondi. “Ci sono voluti anni e anni di lavoro di chimici e biochimici per identificare le modalità con cui rendere l’RNA iniettabile, poiché si tratta di procedure complesse.” L’RNA è infatti molto labile, viene distrutto facilmente dal calore e da enzimi, le ribonucleasi, che abbondano in tutti i tessuti. Per evitare la degradazione, alle estremità della molecola vengono legati dei peptidi o degli zuccheri. Gli RNA modificati vengono successivamente incapsulati in nanoparticelle costituite da lipidi (grassi). Una volta iniettate, le nanoparticelle si fondono con le cellule rilasciando al loro interno l’mRNA, che viene usato per produrre la proteina corrispondente (Spike in questo caso). La proteina viene liberata all’esterno della cellula, insieme a tutte quelle prodotte dalla stessa cellula per altre ragioni, ed è riconosciuta come estranea dal sistema immunitario che si attiva e produce anticorpi specifici per distruggerla. Se il microrganismo contro cui ci siamo vaccinati dovesse entrare nell’organismo, questi anticorpi sarebbero quindi già pronti a eliminarlo, poiché porterebbe sulla sua superficie la stessa proteina Spike contro la quale sono stati addestrati. “La vaccinazione contro il coronavirus potrebbe rappresentare un banco di prova per qualcosa che si è tentato di fare negli ultimi anni, ovvero creare dei vaccini a mRNA contro il cancro” aggiunge Gherzi. In questo caso non si tratterebbe di vaccini per prevenire la malattia, ma di vaccini terapeutici per curarla. “Si potrebbero identificare i geni mutati nel tumore di un paziente, creare delle molecole sintetiche di mRNA che portino esattamente quelle mutazioni, iniettarle nel paziente e favorire una risposta immunitaria sostenuta contro le cellule tumorali. Sulla carta è fattibile, ma siamo ancora agli inizi considerando la enorme complessità del cancro e soprattutto il gran numero di tumori tra loro diversi.” APRILE 2021 | FONDAMENTALE | 25
IFOM – ISTITUTO FIRC DI ONCOLOGIA MOLECOLARE Invecchiamento e cancro
Siti fragili e “circoletti” di DNA per capire i tumori Identificato dai ricercatori IFOM il meccanismo alla base della formazione di speciali strutture di DNA, un passo avanti per comprendere meglio sia l’invecchiamento, sia lo sviluppo dei tumori
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IL DOPPIO VOLTO DEI TELOMERI
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telomeri sono sequenze di DNA che si trovano all’estremità dei cromosomi e che, a ben vedere, possono svolgere due ruoli diversi, anzi addirittura opposti. Da un lato infatti rappresentano una specie di orologio biologico e di barriera contro il cancro, ma in certi contesti – per esempio nel caso di mutazioni dei geni RB o p53 – possono diventare grande fonte di instabilità genomica, una delle caratteristiche fondamentali dei tumori.
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In questo articolo: telomeri senescenza i-loops
S
a cura della REDAZIONE ono denominati “i-loops” (internal-loops) e sono strutture del DNA protagoniste di un importante contributo alla comprensione dei tumori che arriva dall’IFOM di Milano e che potrà aiutare a identificare nuovi bersagli per terapie sempre più mirate ed efficaci. Alla base della scoperta, recentemente pubblicata sulla rivista Nature Communications, c’è il lavoro del gruppo guidato da Ylli Doksani, focalizzato sullo studio di speciali “circoletti” di DNA presenti nelle cellule e dei quali si sapeva ancora troppo poco, soprattutto per quanto riguarda i meccanismi che portano alla loro formazione. Grazie anche all’impiego di approcci innovativi e tecnologie all’avanguardia, i ricercatori milanesi sono riusciti a colmare almeno in parte le lacune di conoscenza su questo tema, fondamentale ben oltre il bancone del laboratorio. Dopo sette anni trascorsi negli Stati Uniti, Doksani è tornato in Italia, all’IFOM di Milano, dove aveva già lavorato alla tesi di laurea e dove oggi dirige il laboratorio Replication Stress Response – Risposta allo stress da replicazione. “La scelta dell’IFOM non è stata certo casuale. Nel campo di cui mi occupo da oltre 10 anni, questo istituto è leader mondiale” spiega il ricercatore. “È stata una grande possibilità per poter continuare a fare ricerca ad altissimo livello, grazie anche al prezioso contributo di AIRC che oggi ci ha permesso di tagliare questo importante traguardo” aggiunge.
All’origine dei “circoletti” “Tutto parte dall’osservazione che nelle cellule sono presenti strutture circolari di DNA – detti appunto circoletti – situate all’esterno dei cromosomi e particolarmente interessanti perché si accumulano soprattutto nei tumori e durante l’invecchiamento” spiega Doksani, ricordando che i circoletti sono noti sin dagli anni Sessanta del secolo scorso. Studi di sequenziamento hanno documentato che possono avere origine da diverse regioni del DNA, inclusi i telomeri, sequenze ripetute di DNA poste alle estremità dei cromosomi e che ne garantiscono l’integrità. E proprio sui telomeri il ricercatore lavora da oltre 10 anni. “Anni di ricerche genetiche non sono riusciti a chiarire completamente i meccanismi che portano alla formazione di questi circoletti” dice il ricercatore che, assieme al suo gruppo, ha affrontato il problema da una prospettiva differente. “Innanzitutto abbiamo messo a punto una metodologia per riuscire a isolare i telomeri dal resto del DNA e quindi a lavorare su un campione ‘arricchito’ in queste sequenze” precisa. Osservando i telomeri al microscopio elettronico – un approccio nuovo per questo filone di ricerca – gli scienziati sono quindi riusciti a vedere le diverse fasi di formazione dei circoletti di DNA, che si sviluppano proprio a partire dagli “i-loops”, strutture di DNA circolari che si creano all’interno dei telomeri e a un certo punto si staccano dal cromosoma. Lo studio ha permesso di identificare il danno
al DNA telomerico come causa principale della formazione degli i-loops e quindi dei circoletti di DNA. “Per ogni circoletto che si stacca, il telomero si accorcia” fa notare Doksani, ricordando che questo accorciamento è alla base della senescenza delle cellule. “Il fenomeno si verifica a ogni divisione cellulare, fino a quando i telomeri divengono troppo corti per riuscire a svolgere la loro funzione protettiva e quindi segnalano alla cellula di entrare in senescenza” aggiunge. Le cellule tumorali invece riescono a sfuggire a questo meccanismo, allungando i propri telomeri, per esempio riattivando l’enzima telomerasi, che è normalmente “spento” nelle cellule. Nel caso dei tumori detti ALT (Alternative Lengthening of Telomeres, allungamento alternativo dei telomeri), invece, le cellule tumorali sembrano usare proprio i circoletti di DNA telomerico come modelli da copiare per allungare i telomeri e quindi sfuggire alla senescenza. “Con il nostro lavoro siamo riusciti a collegare diversi fenomeni e a spiegare meglio alcuni aspetti fondamentali della biologia del cancro. Uno tra questi è il ruolo dei telomeri e dei circoletti del DNA nell’instabilità del genoma” dice l’esperto.
to da agenti esterni, ma anche solo per lo stress della replicazione, accumulano più facilmente mutazioni o “errori”. Con la loro fragilità, legata almeno in parte alle loro caratteristiche strutturali, cioè al fatto di essere formate da ripetizioni di sequenze, questi segmenti di DNA ricoprono un ruolo di primo piano nell’instabilità genomica, una caratteristica osservata in molti tumori. “Queste regioni del genoma sono le prime a cedere sotto stress e a contribuire all’instabilità genomica. Se si riuscisse a proteggere questi siti si potrebbe ridurne la fragilità, ma per proteggerli dobbiamo conoscerli meglio. Ne abbiamo individuati centinaia, ma i meccanismi e le vie molecolari che li vedono protagonisti ancora non sono stati del tutto chiariti” afferma Doksani, che assieme al suo gruppo sta lavorando anche su siti fragili diversi dai telomeri, con particolare attenzione ai cosiddetti trinucleotide repeats, coinvolti in diverse patologie. “Finora abbiamo scoperto la parte iniziale della via che regola la formazione dei circoletti. Proseguendo nelle ricerche speriamo di riuscire a conoscerla più a fondo e a identificare magari nuovi bersagli contro i quali indirizzare strategie contro il cancro” dice. Naturalmente, i dati già accumulati nel corso degli anni aiutano a scegliere come procedere. “La cosa bella è che potremmo anche identificare qualcosa di completamente nuovo” conclude Doksani con lo spirito e la curiosità che animano i ricercatori.
Nuovi approcci e tecnologie per studiare il DNA
La rivincita dei più fragili I telomeri fanno parte dei cosiddetti “siti fragili” del DNA, sequenze che resistono meno bene di altre allo stress e che, in caso di danno causa-
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PREVENZIONE Vaccini antiCovid-19
Una guida alla vaccinazione antiCovid per i malati di cancro Mancano studi specifici su questa categoria di pazienti, ma le esperienze accumulate con altri vaccini danno utili indicazioni su ciò che è meglio fare nelle diverse situazioni
L’
a cura di DANIELA OVADIA arrivo dei vaccini contro il coronavirus ha acceso molte speranze a livello globale sulle possibilità di porre un freno alla pandemia, ma ha anche fatto sorgere dubbi e timori sulla loro efficacia e sicurezza in alcuni gruppi di persone, per esempio proprio nei malati di cancro. L’attenzione su questo tema è molto alta, come dimostrano i quasi 7.000 articoli pubblicati fino a oggi sul tema Covid e cancro, e come sottolinea anche l’impegno di diverse società scientifiche che hanno diffuso linee guida e raccomandazioni su come affrontare al meglio la pandemia quando ci si deve
“
confrontare anche con una patologia oncologica. Alcuni di questi documenti sono specificamente dedicati alla vaccinazione contro SARS-CoV-2 che ha preso il via da qualche mese in tutto il mondo. Si sono espressi sul tema le società di oncologia medica europea (ESMO), statunitense (ASCO) e italiana (AIOM).
Non tutte le forme di cancro aumentano il rischio
Più a rischio degli altri I dati oggi disponibili permettono di dire che i pazienti oncologici, in partico-
QUALI VACCINI ABBIAMO A DISPOSIZIONE ?
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el momento in cui scriviamo, sono stati approvati dall’Agenzia europea per i medicinali (EMA) per l’uso in emergenza nell’Unione europea i vaccini Pfizer/ BioNTech, Moderna e AstraZeneca. In alcuni Paesi sono stati approvati anche altri vaccini, inclusi quelli di produzione cinese e russa. In genere, per sviluppare un
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lare i pazienti con tumori ematologici, cancro del polmone e malattia metastatica, hanno un maggior rischio di sviluppare una forma grave di Covid-19. Il rischio aumenta in caso di malattia attiva e si modifica nel tempo: è più alto nel primo anno dopo la diagnosi ma in seguito diminuisce fino a essere simile, a 5 anni dalla diagnosi, a quello di una persona di pari età e condizioni senza una storia di cancro alle spalle. “Nei pazienti con tumori toracici ed ematologici la mortalità da Covid-19 può raggiungere anche il 30-40 per cento” ha spiegato Marina Garassino, dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano, in una sessione del congresso “Covid-19 and Cancer” promosso dall’American Association for Cancer Research (AACR). “Non è del tutto chiaro quali siano i fattori alla base di questo aumento di mortalità: potrebbero giocare un ruolo l’età avanzata di molti malati di cancro, le altre malattie di cui soffrono, la gravità e altro ancora” ha precisato l’oncologa, tra le promotrici del registro TERAVOLT che raccoglie dati su pazienti con tumori toracici e Covid-19. Gli studi che hanno portato alla preparazione e all’approvazione dei vaccini attualmente disponibili non hanno coinvolto pazienti oncologici. D’altronde è raro che si inseriscano soggetti fragili come quelli malati di cancro nelle prime fasi di studio di un farma-
vaccino sono necessari molti anni di studi in laboratorio e molti anni di verifiche sperimentali negli animali e sull’uomo. Nel caso del virus SARS-CoV-2, la ricerca di base è stata avvantaggiata da numerosi studi condotti in precedenza per vaccini contro altri virus. Tra questi, alcuni vaccini antinfluenzali, le ricerche sulle tecniche per modifi-
care il DNA e l’RNA, e le prove fatte con alcuni adenovirus per ottenere vaccini contro il virus della SARS, all’origine di un’epidemia in Asia tra il 2002 e il 2004. Lo sviluppo del vaccino contro SARS-CoV-2 è quindi partito da dove si era fermata la ricerca sulla SARS. Inoltre è stato fatto un enorme sforzo finanziario a livello internazionale, con investimenti sia privati sia pubblici, che hanno portato a sviluppare con estrema rapidità oltre 190 tipi di vaccini, la maggior parte dei quali ancora in sperimentazione.
In questo articolo: vaccini Covid-19 chemioterapia
co che non li riguarda in modo esclusivo. Per questa ragione molte delle raccomandazioni pubblicate dalle società scientifiche nazionali e internazionali si basano su studi osservazionali, ovvero sulla valutazione di quanto impatta su di loro la pandemia, o su precedenti esperienze di somministrazione di altri vaccini, in particolare quello contro l’influenza. Gli esperti sono concordi sulla necessità di raccogliere e produrre dati specifici sull’efficacia dei vaccini e sugli eventuali effetti collaterali propri nei malati di cancro. Si potrà fare sia istituendo registri nazionali e internazionali sia attraverso studi ad hoc, per poter fornire a medici e pazienti risposte sempre più certe e basate su dati scientifici più solidi.
Questione di immunità L’indicazione generale è quella di vaccinare i pazienti oncologici contro il nuovo coronavirus “purché non vi siano controindicazioni, così come avviene per la popolazione generale”. Con quest’ultima frase si fa riferimento in particolare ad allergie accertate ai componenti del vaccino o a condizioni particolari di salute, magari legate alla malattia in corso. Come ricordano gli esperti virtualmente riuniti al conve-
gno dell’AACR, nelle linee guida internazionali non si fa riferimento ai malati di cancro ma a tutti quelli immunocompromessi, ovvero ai pazienti che, per via della loro patologia o dei farmaci che prendono, hanno un sistema immunitario meno “vispo” del normale. “Le persone immunocompromesse possono vaccinarsi, ma dovrebbero sapere che il loro sistema immunitario potrebbe rispondere in modo meno efficiente e quindi la protezione potrebbe essere minore rispetto a chi non si trova in questa situazione” spiega Giovanni Maga, direttore del laboratorio di virologia molecolare dell’Istituto di genetica molecolare del CNR di Pavia. “Anche dopo il vaccino, quindi, devono continuare a seguire tutte le linee guida per proteggersi dal Covid-19, ovvero mascherine, lavaggio delle mani e distanziamento sociale.” La riduzione di efficacia dei vaccini si manifesta in particolare in alcune categorie di pazienti oncologici, per esempio quelli trattati con farmaci che eliminano o riducono i linfociti B oppure quelli sottoposti a trapianto di midollo e per questa ragione particolarmente immunodepressi. Il vaccino rimane comunque sufficientemente
efficace da proteggere dalle forme più gravi di Covid-19. Per quel che riguarda invece i pazienti in trattamento con immunoterapia, le informazioni provengono dagli studi condotti con il vaccino antinfluenzale e dicono che mentre la chemioterapia potrebbe ridurre in modo importante la risposta immunitaria, l’immunoterapia non ha effetti così marcati. Le campagne vaccinali seguono schemi differenti nei diversi Paesi, così come sono diversi i criteri scelti per individuare chi debba avere priorità per la vaccinazione. In Italia lo schema è già cambiato più volte, e potrebbe cambiare di nuovo sulla base di questioni logistiche o della disponibilità dei vari vaccini. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) chiede di “assicurarsi che l’assegnazione delle priorità vaccinali all’interno delle nazioni tenga in considerazione le vulnerabilità, i rischi e le necessità di quei gruppi che, per via di fattori sociali, etnici, geografici o biomedici, abbiano
I vaccini approvati sono sicuri per tutti
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PREVENZIONE Vaccini antiCovid-19
un maggior rischio di avere conseguenze più pesanti nella pandemia di Covid-19”. Anche sulla base di queste considerazioni, l’OMS ritiene prioritaria la vaccinazione dei malati oncologici. Altri Paesi, invece, non prendono in considerazione la presenza di tumore nell’assegnare la priorità vaccinale, ma si basano soprattutto sulle fasce di età. In Italia, il piano strategico vaccinale prevede una prima fase di vaccinazione rivolta agli operatori sanitari, al personale e ai residenti delle RSA e agli ultraottantenni. Di seguito partirà una seconda fase che coinvolgerà anche le persone tra i 60 e i 79 anni e quelle “con almeno una comorbilità cronica”; in questa definizione dovrebbero rientrare i pazienti oncologici.
malati di cancro che assumono farmaci immunosoppressivi. In effetti, i benefici associati alla protezione conferita dal vaccino sembrano essere superiori ai rischi legati all’infezione da Covid-19 o ai possibili effetti collaterali della vaccinazione stessa. “Non dobbiamo confondere gli effetti collaterali della vaccinazione con gli eventuali eventi avversi” ha affermato al meeting AACR John Wherry, immunologo della University of Pennsylvania di Philadelphia. “I primi sono febbre, dolore al braccio, stanchezza, mal di testa e dolori muscolari e articolari. Gli eventi avversi includono invece, per esempio, le reazioni allergiche. Gli effetti collaterali sono in un certo senso i benvenuti, perché sono un segno che il vaccino sta funzionando e che il sistema immunitario si sta attivando” ha aggiunto, ricordando però che l’assenza di questi effetti collaterali non significa che la vaccinazione non stia avendo effetto. A causa della mancanza di dati, non è attualmente possibile dire se ci sia un vaccino migliore degli altri per i malati oncologici, ma dato che, come sopra ricordato, esiste la possibilità che il sistema immunitario di alcuni pazienti risponda meno rispetto a quello della
Gli effetti collaterali somigliano a una lieve influenza
Più benefici che possibili rischi
“Sebbene i dati siano ancora limitati, non ci sono ragioni per credere che i vaccini oggi disponibili siano meno sicuri per i malati di cancro rispetto alla popolazione generale” dice ancora Garassino. Concordano su questo punto le società scientifiche internazionali, che sostengono la vaccinazione anche in
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popolazione normale, la maggior parte degli esperti consiglia di usare vaccini a mRNA, che sono un po’ più efficaci degli altri e sui quali sono disponibili più dati. Sono invece sconsigliati i vaccini a virus attenuato (come alcuni vaccini cinesi, non approvati in Europa). Gli studi oggi in corso permetteranno di ottenere informazioni più precise anche in questo senso.
Quando vaccinarsi? Le migliori tempistiche per vaccinare i malati di cancro restano al momento oggetto di dibattito data la mancanza di studi sull’argomento. Vengono però in aiuto le esperienze passate (relative alla somministrazione di altri vaccini) e i pochi dati disponibili, che suggeriscono di vaccinare chi ha appena ricevuto la diagnosi prima dell’inizio della terapia antitumorale. È importante però valutare ogni singolo caso e non ritardare l’inizio di un trattamento urgente solo per aspettare la vaccinazione. Non ci sono, invece, indicazioni specifiche sulle tempistiche di vaccinazione nei pazienti che hanno già iniziato la chemioterapia: il suggerimento è quello di vaccinare chi è in cura con chemioterapia, immunoterapia, terapia biologica o radioterapia appena prima delle sedute, quando i globuli bianchi sono un po’ più alti. Nel caso di pazienti sottoposti a trapianto di midollo osseo, è opportuno invece attendere almeno 6 mesi prima di procedere con la vaccinazione.
NUTRIZIONE Rubrica alimentazione
Legumi, non solo un contorno Freschi, secchi, in scatola o surgelati, i legumi sono alimenti versatili, alleati della salute e dell’ambiente, di cui dovremmo incrementare il consumo
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a cura della REDAZIONE on l’arrivo della primavera piselli, fave e, a partire da giugno, anche fagioli meritano di essere annoverati tra i vegetali freschi di stagione. Insieme a ceci, cicerchie, lenticchie, lupini e soia sono poi disponibili tutto l’anno se consumati secchi, in scatola o surgelati. Sono alimenti che si prestano alle più fantasiose preparazioni e considerarli un semplice contorno è un vero peccato per la tavola e per la salute. La tradizione mediterranea li vede accompagnati a primi piatti con pasta o cereali in chicco, oppure come componente di un secondo. Mai però porre limiti alla fantasia in cucina. Possono infatti essere frullati per diventare salse o puree, trasformati in burger o polpette o ancora consumati freddi in gustose insalate. Possono perfino essere ridotti in farine utilizzate come ingredienti di diverse preparazioni o trasformate in vari formati di pasta. Dal punto di vista nutrizionale sono tutt’altro che un cibo “povero”, trattan-
dosi di buone fonti di proteine, fibra alimentare, alcune vitamine del gruppo B e minerali, tra cui ferro e zinco. Queste caratteristiche nutrizionali non subiscono significative alterazioni in nessun processo di conservazione, perciò non ci sono ragioni per non consumarli durante tutto l’arco dell’anno, almeno tre porzioni alla settimana. Secondo le linee guida per una sana alimentazione redatte dal CREA, una porzione di legumi freschi, surgelati o in scatola corrisponde a 150 grammi, mentre per i legumi secchi la porzione è pari a 50 grammi. Ci sono evidenze convincenti che un consumo regolare di legumi contribuisca a ridurre il rischio di sviluppare obesità e patologie cronico degenerative, tra cui i tumori. Non è sempre semplice identificare il ruolo dei singoli componenti responsabili di questi effetti positivi per la salute, ma è probabile che la scelta dei legumi sia indicativa in generale di un’alimentazione più sana, varia ed equilibrata. Se non si è abituati a mangiare legumi o si hanno sensibilità particolari è possibile che il loro consumo si associ a produzione di gas intestinale. Una soluzione potrebbe essere quella di introdurre inizialmente prodotti decorticati, come piselli o lenticchie rosse, oppure eliminare le bucce utilizzando un passaverdure. In questo modo si facilita anche la digestione per i bambini. Un altro aspetto che spesso disincentiva il consumo di questi alimenti è il tempo necessario per la preparazione, considerando la fase di ammollo e di cottura dei legumi secchi. Ma, come già ricordato, si possono utilizzare anche quelli in scatola, avendo cura di sciacquarli sotto acqua corrente per eliminare l’eccesso di sale contenuto nel liquido, oppure surgelati. Un’altra soluzione è cuocere una quantità abbondante di legumi per consumarli anche nei giorni successivi oppure congelarne una parte e averli subito disponibili in freezer. E in questo periodo piselli e fave sono disponibili anche freschi, per preparare primi veloci o insalate.
Fusilli integrali con crema di piselli profumati al limone e granella di pistacchi Ingredienti per 2 persone • Pasta integrale (fusilli) 160 g • Piselli (freschi o surgelati) 300 g • Mezza cipolla • Pepe • Sale • Olio EVO • Erbe aromatiche (basilico o menta) • Pistacchi 20 g • Limone con buccia edibile
Preparazione
Mettere a bollire una pentola con abbondante acqua leggermente salata, in cui verrà cotta la pasta. Nel frattempo, sgranare i piselli freschi e tagliare finemente mezza cipolla. Realizzare il soffritto con un filo d’olio extravergine d’oliva e la cipolla tritata. Imbiondita la cipolla, cuocere i piselli aggiungendo due cucchiai d’acqua di cottura e aggiustando con pepe e un pizzico di sale. Lasciare cuocere per circa 10-15 minuti a fuoco lento. Tritare grossolanamente i pistacchi che serviranno per guarnire il piatto. Una volta cotti i piselli, prelevarne un po’ più della metà e frullarli con l’aggiunta di qualche foglia di basilico o menta fino a ottenere un composto omogeneo. Ultimata la cottura della pasta, scolare e saltare in padella con i rimanenti piselli. Disporre la crema di piselli sul fondo di un piatto, impiattare la pasta con i piselli e completare il piatto aggiungendo i pistacchi tritati, la buccia di limone grattugiata e due foglie di basilico o menta.
INIZIATIVE Le Arance della Salute
Le Arance non si fermano Le Arance della Salute hanno permesso di raccogliere risorse da destinare alla migliore ricerca oncologica
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a cura della REDAZIONE nche quest’anno dall’1 al 14 febbraio si è svolta la campagna nazionale di Fondazione AIRC le Arance della Salute, dedicata come sempre a raccogliere fondi per la ricerca sul cancro e a sensibilizzare sull’importanza di adottare abitudini e comportamenti salutari per prevenire i tumori.
Per tutelare la salute dei volontari e dei sostenitori, AIRC ha scelto di non distribuire in piazza le Arance della Salute, organizzando invece una serie di diverse iniziative. Dal 4 febbraio, è stato possibile trovare in oltre 6.000 punti vendita della grande distribuzione e della distribuzione organizzata su tut-
to il territorio italiano le Arance Rosse per la Ricerca. Un’iniziativa corale del settore giunta alla quinta edizione. Per ogni reticella di arance dedicata ad AIRC acquistata nei punti vendita delle oltre 50 insegne della grande distribuzione aderenti all’iniziativa, 0,50 € sono stati devoluti alla missione della Fondazione, raccogliendo risorse fondamentali per il lavoro dei nostri scienziati. A questo straordinario risultato si è affiancato l’impegno dei nostri volontari, coordinati dai Comitati regionali AIRC, che ha permesso di distribuire, nel rispetto delle normative vigenti e in cambio di un contributo minimo rispettivamente di 7 € e 6 €, 80.000 vasetti di miele di fiori di arancia e 70.000 di marmellata di arance rosse di Sicilia ai nostri sostenitori e ai giovani studenti delle scuole italiane che hanno aderito all’iniziativa Cancro io ti boccio. Uno sforzo fondamentale di cui parliamo in maggior dettaglio nelle pagine che seguono.
La campagna dedicata agli stili di vita salutari
INIZIATIVE Cancro io ti boccio
Oltre 300 scuole in tutta Italia bocciano il cancro Gli istituti scolastici italiani hanno partecipato alla distribuzione dei prodotti solidali di AIRC in occasione delle Arance della Salute
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a cura della REDAZIONE a sempre il contributo delle scuole con l’iniziativa Cancro io ti boccio è fondamentale per il successo della campagna Arance della Salute. Quest’anno, in particolare, sono stati circa 25.000 i vasetti di miele di fiori di arancia e circa 20.000 quelli di marmellata di arance rosse di Sicilia distribuiti in più di 300 istituti su tutto il territorio nazionale, un risultato straordinario nonostante le mille difficoltà che tutto il sistema scolastico italiano sta attraversando per via della pandemia: “Abbiamo partecipato all’iniziativa Cancro io ti boccio perché non aderire sarebbe stata una doppia sconfitta. È un periodo difficile per la scuola, e per questo, nel rispetto della normativa anti-Covid, abbiamo voluto continuare a far vivere ai nostri bambini una bellissima esperien-
za di volontariato e di responsabilità civica per loro stessi e per la comunità” racconta la professoressa Patrizia Locci dell’IC V. Agius di Portoscuso (SU). Un’iniziativa che acquista valore proprio perché, oltre a raccogliere i sempre necessari fondi per sostenere la migliore ricerca oncologica in Italia, aiuta a sensibilizzare gli studenti nei confronti dei temi della prevenzione, dell’impegno solidale e della cittadinanza attiva. Come testimonia Patrizia Barboni, docente dell’I.C. Carlo Urbani di Moie, Castelplanio, Poggio San Marcello, cui è stato diagnosticato un cancro al seno nel 2013, “il coinvolgimento dei colleghi, l’entusiasmo degli studenti, la partecipazione attiva delle famiglie hanno dato vita a una comunità che sostiene tante persone colpite dalla malattia come me. Bocciare il cancro? Sì! Insieme noi possiamo!”.
“Non aderire sarebbe stata una doppia sconfitta”
La proposta didattica di AIRC
Cancro io ti boccio è un progetto di cittadinanza attiva che si inserisce in un percorso didattico più ampio offerto da AIRC alle scuole di ogni ordine e grado. Tra le diverse proposte dedicate al tema della sana alimentazione e più in generale alla prevenzione ci sono kit didattici gratuiti scaricabili online ricchi di attività da svolgere sia in classe sia in famiglia, webinar, giochi online, contest con fantastici premi, la possibilità di chiedere un incontro con un ricercatore AIRC sia online sia nel proprio istituto, e tante altre iniziative. Per scoprire di più visita il sito scuola.airc.it
Abruzzo-Molise:
Tel. 085 35215 - com.abruzzo.molise@airc.it – airc.it/abruzzo
Basilicata:
Tel. 0835 303751 - com.basilicata@airc.it - airc.it/basilicata
Calabria:
Tel. 0984 413697 - com.calabria@airc.it – airc.it/calabria
Campania:
Tel. 081 403231 - com.campania@airc.it - airc.it/campania
Emilia-Romagna:
Tel. 051 244515 - com.emilia.romagna@airc.it - airc.it/emiliaromagna
Friuli-Venezia Giulia:
Tel. 040 365663 - com.friuli.vg@airc.it - airc.it/fvg
Lazio:
Tel. 06 4463365 - com.lazio@airc.it - airc.it/lazio
Liguria:
Tel. 010 2770588 - com.liguria@airc.it - airc.it/liguria
Lombardia:
Tel. 0277971 - com.lombardia@airc.it - airc.it/lombardia
Marche:
Tel. 071 2804130 - com.marche@airc.it - airc.it/marche
Piemonte-Valle d’Aosta:
Tel. 011 9933353 - com.piemonte.va@airc.it - airc.it/piemonte
Puglia:
Tel. 080 5218702 - com.puglia@airc.it - airc.it/puglia
Sardegna:
Tel. 070 664172 - com.sardegna@airc.it - airc.it/sardegna
Sicilia:
Tel. 091 6110340 - com.sicilia@airc.it - airc.it/sicilia
Toscana:
Tel. 055 217098 - com.toscana@airc.it - airc.it/toscana
Umbria:
Tel. 075 5838132 - com.umbria@airc.it - airc.it/umbria
Veneto-Trentino Alto Adige:
Tel. 045 8250234 - com.veneto@airc.it - airc.it/veneto
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a cura della REDAZIONE l sostegno dei nostri volontari, con il prezioso coordinamento dei Comitati regionali, è stato indispensabile per la riuscita, nonostante la pandemia, delle campagne che da anni rappresentano uno strumento dal valore inestimabile per il successo della missione della Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro. Come già era avvenuto a maggio scorso in occasione dell’Azalea della Ricerca, anche per i Cioccolatini della Ricerca e per le Arance della Salute le restrizioni dovute
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alla pandemia infatti non ci hanno permesso di scendere in piazza. I nostri volontari però non si sono certo persi d’animo e, forti anche dell’esperienza già maturata per l’Azalea, hanno subito trovato dei metodi alternativi per continuare a sostenere la ricerca sul cancro. Non solo si sono impegnati per promuovere le due iniziative con tutti gli strumenti a loro disposizione, utilizzando anche i contenuti forniti da AIRC, ma, nelle Regioni in cui è stato possibile e sempre rispettando scrupolosamente le normative anti-contagio, hanno distribuito in prima persona cioccolatini, miele e marmellata della Fondazione a tutti coloro che ne hanno fatto richiesta ai Comitati regionali. È tramite il loro aiuto che 120.000 shopper di Cioccolatini della Ricerca, oltre agli 80.000 vasetti di miele di arancio e 70.000 di marmellata di arance bio già citati a pagina 32, hanno potuto raggiungere i nostri sostenitori. Un contributo straordinario, ancor di più in un anno così difficile per tutti noi, che si è andato a sommare ai risultati ottenuti tramite le collaborazioni con Amazon in occasione dei Giorni della Ricerca e con più di 50 insegne di supermercati e ipermercati per la distribuzione delle Arance Rosse della Ricerca. Inoltre, oltre 80 volontari si sono attivati in un modo nuovo per la manifestazione: hanno trasformato la piazza da fisica a “virtuale”, aprendo ciascuno una propria pagina di personal fundraising sulla piattaforma Rete del Dono. In questo modo hanno potuto raccogliere con successo donazioni dai propri contatti personali aumentando la raccolta fondi della campagna. In nessun caso comunque questi successi così lusinghieri ci fanno dimenticare che tutti i nostri 20.000 volontari non vedono l’ora di poter tornare nelle piazze a distribuire arance, azalee e cioccolatini, a incontrare di nuovo i sostenitori e portare loro la vicinanza della Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro. Citando il presidente della Repubblica Mattarella, anche durante la pandemia Covid-19 il cancro non si ferma, e AIRC nemmeno.
Nelle foto: volontari AIRC in piazza per le edizioni 2019 e 2020 delle Arance della Salute
TESTIMONIANZA Tumore al colon-retto
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“Dopo la diagnosi di tumore e le cure, sono riuscita a continuare il mio percorso”
a
Elisa si è ammalata a soli 29 anni di tumore al colon, il secondo più frequente nelle donne, ma non si è persa d’animo e ha sposato la causa della prevenzione
L’Azalea della Ricerca
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nche nel 2021 torna l’iniziativa destinata a raccogliere risorse fondamentali per la ricerca sui tumori che colpiscono le donne. Per informazioni su come regalare per la Festa della Mamma un’Azalea della Ricerca, da fine aprile visita il sito www.lafestadellamamma.it
In questo articolo:
Azalea della Ricerca cancro del colon-retto prevenzione
R
a cura della REDAZIONE accontare la propria esperienza per dimostrare che nulla può uccidere i tuoi sogni, nemmeno un tumore. Elisa, padovana classe 1978, è una top manager nel settore legale. Va molto orgogliosa della sua amata professione e della grande determinazione che l’ha portata verso una carriera invidiabile negli Stati Uniti. L’ambizione, in Elisa, va comunque a braccetto con il riserbo. Quella discrezione di chi ha sempre lavorato sodo e ha fatto parlare i risultati, ma che oggi va messa da parte per sostenere delle buone cause. Quelle della speranza e della prevenzione. “Non ho mai fumato una sigaretta o bevuto un goccio d’alcol. Sono sempre stata attenta alla salute e in famiglia non abbiamo mai dovuto affrontare questa malattia” dice Elisa con pacatezza. “La diagnosi è arrivata quando avevo 29 anni, lavoravo per uno studio legale di Roma e stavo progettando di trasferirmi negli Usa per frequentare un prestigioso master all’università di Chicago.” All’inizio, Elisa non dà troppo peso al dolore al ventre e al sangue nelle feci. Ben presto, però, i segnali non possono più essere ignorati e infatti la colonscopia evidenzia un tumore al colon. “Era il giugno del 2008: ho ricevuto la diagnosi con mia sorella e, mentre lei si è messa a piangere, io ho chiesto subito le tempistiche delle cure perché a settembre mi aspettava l’America.” Gli Stati Uniti, quindi, devono attendere un po’ più a lungo, ma rimangono lì, come la meta perfetta alla fine del cammino. “È stato un percorso faticoso. Si parla spesso del cancro al seno, ma anche quello al colon non va sottovalutato. È il secondo più frequente nelle donne e ha tante ripercussioni. Dopo due interventi e otto cicli di chemioterapia combinata al San Raffaele di Milano, ho recuperato le forze e deciso di continuare il mio percorso, riprendendolo lì dove era stato interrotto l’anno prima. Nel settembre 2009 mi sono imbarcata per il primo, ma forse più significativo, dei miei molti voli verso gli Usa.”
RACCOLTA FONDI Partner
La rete come valore: Banco BPM a sostegno di AIRC
A
due anni di distanza dalla firma dell’accordo che ha dato inizio alla loro partnership quinquennale, AIRC e Banco BPM continuano a lavorare in sinergia e con grande entusiasmo reciproco, garantendo risultati sorprendenti nonostante le difficoltà legate al diffondersi della pandemia Covid-19. Come partner istituzionale di AIRC, Banco BPM è coinvolto su diversi fronti nella lotta ai tumori: Sostiene la ricerca oncologica e, in particolar modo, la ricerca sui tumori pediatrici e sui tumori che colpiscono le donne; Favorisce la formazione e specializzazione dei giovani talenti dell’oncologia italiana; Partecipa attivamente alle storiche campagne di raccolta fondi AIRC; Contribuisce a promuovere la cultura della prevenzione e dell’informazione sui temi della ricerca scientifica e della cura del cancro. Il valore aggiunto della partnership con Banco BPM è rappresentato inoltre dalla determinazione che il gruppo bancario dimostra nel tentativo di attrarre i propri stakeholder – dipendenti, clienti, partner – nell’orbita del mondo AIRC. Tale impegno si concretizza in progetti e iniziative
che, frutto di una visione strategica ben precisa, mirano soprattutto a creare una fitta rete di supporto, costituita da professionisti e imprese che decidono di sostenere AIRC con risorse e competenze. Proprio a questa visione strategica risponde la scelta del gruppo bancario di rendere le proprie filiali uno dei canali principali per la distribuzione dei Cioccolatini della Ricerca, a partire da novembre 2019: iniziativa resa possibile solo grazie al coinvolgimento di gestori e dipendenti delle filiali che hanno aderito all’iniziativa con passione e risolutezza. Con lo stesso obiettivo strategico, nel 2020 Banco BPM ha anche scelto di promuovere la storica campagna Regali di Natale, invitando le piccole e medie imprese clienti a sostenere la ricerca oncologica pediatrica tramite la scelta dei regali AIRC per augurare buone feste ai propri clienti e dipendenti. A questo impegno si uniscono i professionisti di Banca Aletti (Private Bank del Gruppo Banco BPM), in prima linea per offrire ai propri clienti (imprese e privati) la possibilità di conoscere da vicino la ricerca oncologica di eccellenza, facilitando al tempo stesso le occasioni di incontro diretto con AIRC e l’individuazione del progetto più adatto da realizzare insieme alla Fondazione. Per quanto giovane, la partnership fra AIRC e Banco BPM può quindi dirsi consolidata, virtuosa e ricca di sfaccettature, destinata certamente a crescere nel segno di una missione sempre più condivisa: rendere il cancro ogni giorno più curabile. “La partnership con Fondazione AIRC” dichiara Giuseppe Castagna, amministratore delegato di Banco BPM “ha un grande valore per la banca per il coinvolgimento sia dei nostri 22.000 colleghi e delle loro famiglie, sia dei 4 milioni di clienti e delle comunità locali. Oggi più che mai sostenere e credere nella ricerca scientifica significa contribuire in maniera fondamentale allo sviluppo del Paese e al futuro di tutti noi. La collaborazione tra aziende leader e chi fa ricerca è un cardine per il progresso della società. Far parte di un territorio significa non solo lavorare con i suoi attori principali, famiglie e imprese, ma anche perseguire un obiettivo di responsabilità sociale, condividendo e restituendo beneficio con partnership che portano con sé un valore indiscutibile.”
Impresa contro il Cancro:
una schiera di aziende per la lotta ai tumori
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on l’obiettivo di coinvolgere sempre più aziende nella missione comune di rendere il cancro ogni giorno più curabile, nel 2018 AIRC ha dato vita a Impresa contro il Cancro. Aderendo a questo progetto, le aziende di qualsiasi dimensione riescono a far propria una visione etica del mondo imprenditoriale, diventando protagoniste, al fianco dei ricercatori AIRC, della lotta ai tumori.
Grazie al sostegno e alla rinnovata fiducia di oltre 3.000 aziende, AIRC può garantire continuità al lavoro di oltre 5.000 ricercatori, nella speranza di riuscire a restituire a tutti i pazienti oncologici i propri progetti di vita. Per qualsiasi informazione su Impresa contro il Cancro: 800.777.222 oppure impresacontroilcancro@airc.it Per effettuare una donazione aziendale online:
https://impresa.airc.it/
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IL MICROSCOPIO
Andare oltre la chemioterapia? sibile utilizzare con successo una combinazione terapeutica di farmaci a bersaglio molecolare e di immunoterapia, anziché ricorrere alla chemioterapia sistemica. Si tratta di un trattamento cosiddetto chemio-free, cioè senza chemioterapia, in cui la terapia a bersaglio molecolare è volta a bloccare il meccanismo di crescita delle cellule leucemiche e l’immunoterapia stimola il sistema immunitario ad attivarsi contro la leucemia. La combinazione ha ottenuto ottimi risultati: il 98 per cento dei pazienti ha raggiunto la remissione ematologica completa, ovvero non presenta tracce evidenti di malattia, il 60 per cento mostra quella che gli esperti chiamano risposta molecolare, cioè assenza di malattia documentata dalle tecniche più sofisticate, e la sopravvivenza dopo un anno e mezzo dall’inizio del trattamento è pari al 95 per cento. I pazienti saranno seguiti nel tempo per valutare gli effetti a distanza dal trattamento. È comunque noto che ottenere una riduzione profonda e sostenuta della malattia – in gergo riduzione della malattia residua minima – si associa a una maggiore possibilità di guarigione. La terapia chemio-free ha anche avuto un importante impatto sulla qualità di vita dei pazienti sia per i limitati effetti collaterali sia per la ridotta ospedalizzazione, aspetto questo di particolare rilievo durante la pandemia Covid-19.
Questi risultati potrebbero cambiare profondamente la pratica clinica nel sottogruppo più frequente di LAL dell’adulto e permettono una serie di considerazioni importanti. Anzitutto sono la dimostrazione che un trattamento antitumorale chemio-free è fattibile con successo. Questo approccio terapeutico è per ora utilizzabile soltanto in uno specifico tipo di tumore laddove la ricerca ha raggiunto la comprensione del meccanismo molecolare. Pur non potendo ancora essere generalizzato, questo importante risultato sottolinea come sia indispensabile continuare la ricerca per raggiungere obiettivi analoghi in altri tipi di tumore. Il successo ottenuto nulla sottrae all’importanza della chemioterapia classica, semmai aggiunge un importante tassello al ventaglio di opzioni terapeutiche che si possono offrire a pazienti selezionati. La seconda considerazione è che l’idea è nata circa 15 anni orsono, indicando che il tempo e la continua, paziente indagine volta a perseguire un obiettivo sono essenziali per ottenere risultati utili ai malati. Lo studio è stato condotto grazie alla collaborazione di numerosi centri che afferiscono al Gruppo italiano malattie ematologiche dell’adulto (GIMEMA), gruppo nato nel 1982 per unire forze, conoscenze e casistiche. Da ultimo è doveroso sottolineare che lo studio è stato realizzato nell’ambito di un programma di ricerca sulle metastasi sostenuto con i contributi 5 per mille destinati a Fondazione AIRC dalla generosità dei cittadini che credono nella scienza. La consapevolezza che soltanto la ricerca scientifica può aprire porte che sembrano sbarrate o di cui neppure immaginiamo l’esistenza è alla base dell’impegno sottoscritto da AIRC con i pazienti.
Il tempo e la costanza sono essenziali per la ricerca
Federico Caligaris Cappio Direttore scientifico AIRC
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a ricerca non si improvvisa. Per raggiungere risultati di rilievo ha bisogno di scuole, collaborazioni, tempo e finanziamenti adeguati: aspetti molto chiaramente illustrati dallo studio pubblicato sulla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine da un gruppo coordinato da Robin Foà (Università La Sapienza, Roma). I risultati dimostrano che, in 63 pazienti adulti affetti da leucemia acuta linfoblastica (LAL) con una specifica alterazione genetica, è pos38 | FONDAMENTALE | APRILE 2021
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