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Vita da cappellaio A hatter’s life
A Monza la famiglia Vimercati è sinonimo di bombette, cilindri e fedore. Il loro è l’ultimo cappellificio di Lombardia e oggi lavora quasi esclusivamente per l’estero. Ecco la loro storia A hatter’s life In the northern Italian town of Monza the Vimercati family name is synonymous with bowlers, toppers and fedoras. They are Lombardy’s last milliner’s, surviving almost solely on exports. This is their story
Vita da cappellaio
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by BARBARA RIGHINI
Nella penombra
del Cappellificio Vimercati tiene compagnia il rumore del vapore che fuoriesce dalla “sabbiosa”, macchinario che pressa l’ala del cappello per darle la forma, nell’altra stanza intanto alcune operaie sono alle macchine da cucire, stanno rifinendo i cappelli, praticamente pronti per la spedizione. Il Cappellificio Vimercati è rimasto esattamente com’era negli anni ’50; è l’ultimo cappellificio in Lombardia, si trova a Monza, quella che fu la regina della produzione dei cappelli in feltro fra fine ‘800 e metà del ‘900. “Era il 1953 e mio padre mi disse: domani tu vieni in ditta con me”, a raccontare è Giuseppe Vimercati, oggi ottantenne, che non riesce a restare lontano dal cappellificio anche se è in pensione. “Avevo 14 anni – racconta – e mio padre e mio zio avevano appena aperto il cappellificio. Mio padre aveva imparato il mestiere da operaio. Aveva iniziato a 13 anni perché era rimasto orfano e doveva dare una mano a sua madre”. Oggi il Cappellificio Vimercati lavora quasi esclusivamente per l’estero, per Israele e per gli Stati Uniti, negli anni d’oro è arrivato a produrre 500/600 cappelli al giorno. In azienda lavoravano 17 persone, compresi i familiari, più la manodopera esterna, oggi invece sono rimasti in 7. A gestire ci sono Fabrizio, Roberto ed Elisa, gli eredi di terza generazione, unici depositari del sapere tramandato dai nonni.
Passione intramontabile
Pagina a sinistra: nonostante gli 80 anni compiuti, Giuseppe Vimercati non riesce a staccarsi dal laboratorio e dai suoi ritmi
Enduring passion
Left page: despite his fourscore and more years, Giuseppe Vimercati can’t keep away from the family business and its familiar rhythms
Nuovi mercati
L’estero rappresenta un’importante destinazione per i prodotti del Cappellificio Vimercati
New markets
Foreign sales are vital to the Cappellificio Vimercati
In the gloom of the Cappellificio Vimercati
the hiss of machinery steaming, pressing and sanding hat brims accompanies you through to the next room, where workers bend over sewing machines adding the finishing touches before the completed hats are packed up and despatched to their destinations. As a milliner’s Vimercati is still exactly as it was in the 1950s, it is the last hat makers in the region of Lombardy and in the town of Monza, once the thriving Italian hub of felt hat production from the late nineteenth to the midtwentieth century. “It was 1953 when my father told me he was taking me to the works with him the next day” remembers Giuseppe Vimercati, now in his eighties but still unable to keep away from the business, despite being officially retired. “I was 14 and my father and uncle had just launched their own milliner’s. My father had learnt the business on the shop floor. He had started working in the factories at 13 years old because his father had died and he had to help his mother support the family” Giuseppe explains. Nowadays the Cappellificio Vimercati produces its wares almost exclusively for foreign markets, headed by Israel and the United States, but in its heyday it would turn out 500/600 hats a day and employed a staff of seventeen, including the family, as well as all those working in support industries. Today
I Vimercati sono testimoni della storia di Monza, hanno resistito alla crisi perché sono un’impresa familiare e perché hanno puntato sulla qualità, riuscendo a conservare una nicchia: fedora, bombette, cilindri, non c’è cappello che i Vimercati non possano produrre. Fra l’800 e il ‘900 in città erano operativi 50 cappellifici, vi lavorano circa 5000 persone: “La stazione di Monza – racconta ancora Giuseppe Vimercati – praticamente era impegnata a tempo pieno per i cappellai. I primi anni dopo l’apertura, il lavoro continuava ad aumentare, noi dovevamo pagare i debiti e quindi non c’era orario. Mio padre e mio fratello, sulla 1100, la prima auto che abbiamo avuto, viaggiavano in lungo e in largo l’Italia, fino in Sicilia, per fare vedere il campionario ai negozi e ai grossisti. Per i primi 30 anni non ho mai fatto ferie ma alla fine degli anni ’60 sono diventato socio e poi mio zio e mio padre hanno intestato a noi fratelli, il cappellificio. È stata una grande soddisfazione”. A partire dal secondo dopoguerra, uno dopo l’altro, tutti i cappellifici di Monza hanno chiuso: “Per noi la prima vera crisi è arrivata negli anni ’90. Era bello qui quando c’erano tanti operai, si rideva, si scherzava. Ora – continua ancora Giuseppe Vimercati - dopo l’emergenza Covid, il mercato è un po’ ripartito ma non abbiamo ordini dall’Italia”. Il mestiere del cappellaio non è semplice e l’unica speranza di vederlo tramandato sono i nipoti di Giuseppe: “Ne ho tre, ha concluso, ma sono ancora piccoli. Sono venuti tanti ragazzi negli anni a chiedere di imparare, ma dopo 3, 4 giorni abbandonano. Il vapore provoca vesciche”.
Lavorazione tradizionale
Feltro, stampi, vapore e cura dei dettagli (ph. Virginio Speziali)
Traditional craftsmanship
Felt, moulds, steam and painstaking care to detail (ph. Virginio Speziali)
La moda chiama
Le classiche linee maschili vengono reinterpretate per catturare l’attenzione della clientela femminile
Fashionista
Men’s classics conquer women’s fashion
Stili diversi
Anche i cappelli tirolesi rientrano fra i modelli prodotti dai Vimercati (ph. Virginio Speziali)
Different styles
Vimercati also makes traditional Tyrolese hats (ph. Virginio Speziali) the business employs just seven people and is run by Fabrizio, Roberto and Elisa, the third generation of the family and sole depositaries of their grandparents’ know-how. The Vimercati family bear witness to an important chapter in the economic history of Monza. They have survived crisis after crisis, partly by virtue of being a family business, and partly because they have focussed on quality, managing to salvage a niche market. From fedoras to bowlers and top hats, there is not a hat the Vimercati cannot make. In the nineteenth and twentieth centuries there were 50 milliners’ works in Monza, employing roughly 5000 people. Giuseppe Vimercati reminisces “Monza railway station was almost completely at the service of the millinery trade. During the first years after we had branched out on our own business flourished and we had to pay off our debts, so we worked the clock round. My father and brother drove up and down the length and breadth of Italy, as far as Sicily, in our Fiat 1100 - the first car we ever had - showing shopkeepers and wholesalers samples of our wares. For the first thirty years I never had a holiday, but then in the late sixties I became a partner and later my father and uncle handed over full ownership to me and my brothers. We felt so proud.” But after World War II business started to decline and one after the other the milliners of Monza shut up shop. “We went through our first real crisis in the 1990s” continues Giuseppe Vimercati. “It was wonderful when this place was full of people working, we were always joking and laughing. Now, after the Covid crisis the market is gradually starting to pick up again, but we still have no orders from Italy.” Being a milliner is no easy task, and the only hope of keeping the craft alive for the future lie in Giuseppe’s grandchildren. “I have three, but they’re still little. Over the years lots of young people have knocked on our door asking to learn the trade, but they give up after the first three or four days on the job. The steam gives them blisters.”
A sinistra: Fabrizio Vimercati al lavoro in bottega (ph. Virginio Speziali) Sotto: il laboratorio, salvo poche modifiche, è rimasto come negli anni ’50 (ph. Virginio Speziali) Fabrizio Vimercati at work in the family business (ph. Virginio Speziali) Below: the works have seen few changes since the 1950s (ph. Virginio Speziali)