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Salti di gioia Jump for joy
Salti di gioia
by ALESSIO CAPRODOSSI
L’ascesa di Antonio Bosso, il campione italiano che sta diffondendo il parkour tra i giovanissimi Jumping for joy The rise and rise of Antonio Bosso, the Italian champion who is popularising parkour with youngsters
Che sia un campione
lo certifica l’albo d’oro del parkour italiano, ma la capacità di imporsi Antonio Bosso l’ha mostrata rimettendo in piedi la sua vita. Dalle strade insidiose della periferia napoletana, il traceur (colui che pratica il parkour) è arrivato al titolo tricolore superando un intervento al cervello e il responso dei medici, per i quali avrebbe dovuto abbandonare salti e movenze. Con spalle larghe e spirito di sacrificio, Bosso ha capovolto la realtà e vinto la gara più importante. Ma non l’unica, perché per diffondersi il parkour ha bisogno di arrivare ai più giovani, missione che il 26enne campano porta avanti da anni con una onlus, poiché “non c’è niente di meglio che trasmettere i valori educativi dello sport”.
Antonio, che cos’è per te il parkour?
“Il parkour è vita, la disciplina che mi ha formato come uomo e atleta. Ogni luogo è un’opportunità, ogni barriera architettonica, artificiale e non, diventa un attrezzo per allenarsi e muoversi liberamente nello spazio. Praticare il parkour significa vivere i luoghi che ci circondano come un parco giochi, lavorare sulle proprie paure e insicurezze. Insegna a conoscere i propri limiti per poi superarli con la pratica e l’allenamento. È anche rischioso, ma tutti possono praticare il parkour, muovendosi in base al proprio corpo e migliorando con il tempo”.
Quando e in che modo hai scoperto questa disciplina?
“Sono di Barra, un quartiere abbandonato e lasciato nel degrado di Napoli, dove è facile cadere nella criminalità
Sempre e dappertutto
“Il bello del parkour è che puoi praticarlo per strada, nei boschi, sugli scogli, ovunque!”
Everywhere and anytime
“The great thing about parkour is you can do it in the street, in the woods, on a cliff or wherever!”
Antonio fa parte della Nazionale Italiana, guidata da Roberto Carminucci (direttore tecnico), Francesco Venturelli e Marco Bisciaio (allenatori) Antonio plays for the Italian National team, headed by Roberto Carminucci (manager), Francesco Venturelli and Marco Bisciaio (trainers)
We know 26-year-old
Antonio Bosso is a champion because his name is right up there in the Italian parkour roll of fame, but Antonio’s real win was the way he managed to turn his life around. From the very dodgy streets of one of Naples’ less salubrious neighbourhoods, Bosso made it to champ via brain surgery and the thumbs down from his doctors on any more athletic jumps and rolls. But with his broad shoulders and a marked spirit of sacrifice Antonio still battled his way through to win the qualifying competition. This wasn’t his only battle, because for years he has been running a charity aimed at bringing parkour to the very young, claiming “there’s nothing more worthwhile than teaching the educational value of sport”.
Antonio, what is parkour to you?
“Parkour is my life, it’s the discipline that moulded me as a man and as an athlete. Every place is an opportunity, every architectural barrier, whether artificial or not, can be turned into a training tool and an opportunity to move freely through a space. Doing parkour means living our urban landscapes as if they were playgrounds, working on your intimate fears and insecurities. It teaches you to know your limits and then overcome them, thanks to practise and training. Although it’s risky, every-one can do parkour, moving as far as your body lets you and improving over time.”
When and how did you discover parkour?
“I’m from Barra, a really rundown part of Naples
Creatività
“Come creo i movimenti? Spesso pescando da break dance, danza, kung fu, ma anche giocando con i ragazzi nascono movenze che poi pulisco e modifico”
Creativity
“How do I create my moves? I find inspiration in break dance, dance and kung fu, but just playing with the kids throws up moves that I can then hone and polish”
oppure nel lavoro nero. Alla fine della scuola media, un ragazzo mi ha parlato del parkour e quando ho visto i ragazzi che volteggiavano e saltavano con leggerezza e potenza, me ne sono innamorato all’istante. Nonostante i chili di troppo dell’epoca, iniziai a praticare e a lasciare da parte tutto il resto: mi assentavo dalla scuola superiore e non vivevo più il quartiere, volevo solo andare ad allenarmi e sfogare la mia rabbia con l’amore per il parkour”.
Hai dichiarato in passato che il parkour ti ha salvato la vita: come è successo?
“Ho vissuto una prima parte di vita difficile, con mio padre detenuto e alcuni amici rimasti vittima della droga. Il parkour mi ha aiutato a vedere il lato positivo della strada e a viverla in modo positivo. Grazie al parkour ho conosciuto la cooperativa sociale onlus ‘Il Tappeto di Iqbal’, che si prende cura dei bambini. Con loro ho imparato il circo, trasferendo l’arte e il parkour ai ragazzi, e girato l’Italia facendo teatro per raccogliere fondi e trasformare la realtà di Barra, tanto che oggi siamo un punto di riferimento per i ragazzi del quartiere. Ci diamo da fare, insomma, ma l’obiettivo non è creare artisti o atleti, bensì far vivere esperienze positive ai più piccoli”.
Il parkour è una disciplina in cui si compete con se stessi o con gli avversari?
“L’unica sfida è con te stesso. Ci sono gare e il parkour è stato riconosciuto come sport, ma bisogna tenere sempre a mente il peso educativo della disciplina. Per me il parkour è una terapia e il mio intento da allenatore è creare uomini migliori più che talenti pronti a gareggiare”.
Cosa ti viene in mente quando ripensi al campionato italiano di Rimini 2020?
“Che sono diventato campione italiano, ma prima ancora che è stata una vittoria per tutto il percorso fatto”.
Un percorso che ha attraversato momenti complicati, come la pausa forzata nel 2018…
“Il 10 dicembre del 2018 sono stato operato al cervello per asportare un angioma di 2 centimetri che premeva sul lobo temporale. Poteva paralizzarmi oppure risultare fatale e dopo l’intervento mi dissero che non avrei più potuto saltare. Un anno dopo, invece, saltavo di nuovo e partecipando a un collegiale con la Federazione mi sono guadagnato la chiamata in Nazionale”.
Appassionato lettore
“Tra libri e serie-tv mi butto sulla lettura: leggo spesso opere teatrali e manuali su educazione e pedagogia”
Bookworm
“If it comes to a choice between TV and books, I’m for the read. I often read plays and books on education and teaching” that’s been abandoned to its fate, where it’s all too easy to get involved in crime or end up being exploited in the in-formal labour market. When I finished middle school at fourteen a lad told me about parkour, and when I saw the way people were jumping and bending with incredible power and grace I just fell in love. Despite being a bit on the chubby side I started in straight off and it soon became my whole life, I started to cut school and dropped out of the local scene: all I wanted to do was get out there and train, burning off all my rage in love for parkour.”
You’ve said in the past that parkour saved your life. How?
“I had a tough childhood; my father was in prison and I lost several of my friends to drugs. Parkour helped me see the positive side of the mean streets where I grew up and how to turn my environment to my advantage. Thanks to parkour I discovered the social cooperative charity ‘Iqbal’s Carpe’, which helps children. They taught me circus and now I teach that and parkour to kids, travelling around Italy doing theatre and fund-raising to try and make Barra a different place for future generations. Today we’re the go-to organisation for kids in the neighbourhood. So we keep busy, but of course the aim isn’t to turn out a stream of artists or athletes, it’s to give the children some positive experiences of life.”
In parkour are you competing against yourself or your competitors?
“The only challenge is with yourself. Yes, there are competitions and parkour has been recognised as a sport, but what you have to bear in mind is the educational value of this discipline. For me parkour is a therapy and my objective as a trainer is to create better people, rather than hothouse competitive talent.”
Come vorresti essere ricordato tra 100 anni?
“Non cerco gloria e mi basta seguire la mia passione, anche perché lavorare con i ragazzi è la gratificazione più grande”.
What do you remember most about the Italian championships in Rimini in 2020?
“Winning it! But more importantly that competition was a victory for all my efforts and the long road to get to that point.”
A pretty thorny path on occasions, like when you had to take some time out in 2018…
“On 10 December 2018 I underwent brain surgery to remove a 2-centimetre long angioma that was pressing against my temporal lobe. It could have paralysed me or have been fatal, and after the operation the doctors told me that I was never going to be able to jump again. One year later I was back jumping and by taking part in one of the Federation’s competitions I earned my place on the national team.”
How would you like to be remembered in 100 years’ time?
“I’m not after glory, all I want to do is what I love. I work with children and youngsters and that’s the best reward of all.