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FARO DI PUNTA PENNA
Vasto, Chieti, CH
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I cartelli stradali indicano inequivocabilmente Punta Penna, si arriva dall’entroterra provenendo da Sud. Un bianco pennone emerge all’orizzonte prima del resto. Più mi avvicino più sembra alzarsi, quasi come se la forma, esasperatamente rastremata, fosse dovuta alla volontà della torre di toccare la volta celeste.
Non noto subito la grandezza di questa struttura alla base, grossi casermoni la accerchiano e la celano mantenendosi a distanza di sicurezza. Lo scempio perpetrato dall’architettura del cemento non ha davvero conosciuto limite, purtroppo nemmeno la voce di Pasolini sembra essere stata ascoltata in questo luogo.
É quasi ora di pranzo, ma visti i recenti insuccessi decido di tentare ugualmente un approccio. Uno dei faristi è all’interno dell’ampio giardino che circonda l’oggetto della mia curiosità, sta verniciando delle persiane, un grosso cane lo affianca. Noto una sua fugace occhiata al mio indirizzo affacciandomi al cancello, prendo coraggio e tento di attirare la sua attenzione. Odo soltanto la risacca del mare a ogni tentativo e comprendo di essere volutamente ignorato.
A fianco del candido complesso la mia attenzione viene rapita dal rosso dei mattoni, colori di casa per me emiliano. La piccola Chiesa dedicata alla Vergine è rivolta al mare, eccezionalmente ben conservata, sosta come in attesa che qualcuno la noti. Oltre a me ci sono solo le macchine che sfilano lungo la via. Tento di accedere invano, il portone monumentale rimane serrato e, in combutta con le volte e gli archi del portico, mi spinge oltre, verso il litorale. Punta Penna, nonostante il suo porto, è ancora fortunatamente pervasa di prati e macchia mediterranea. Arrivo all’estremità dell’alta costa e, come è uso nelle escursioni di montagna, appoggio lo zaino, prelevo il pranzo al sacco e mangio in silenzio, in compagnia di ciò che mi circonda.
Cima di un crinale, poi giù verso il mare. Ortona, dalla falesia su cui sorge, mira vasti orizzonti marini. Il cielo è terso, non una nuvola alla vista, l’acqua e l’aria si fondono in lontananza. Scendo verso il lido in cerca del ciclope e, pensando di poterlo scorgere senza problemi, ipotizzo possa essere imposto al di sopra di qualche struttura balneare. Raggiunto il livello del mare, mi ritrovo disperso tra i capannoni del cantiere: mi circondano e mi confondono. Proseguo incerto fino ad una svolta. Eccolo lì. Netto nel cielo, il Ciclope mi osserva assopito nella luce che permea l’aria. Bianco e nero, fasce che per la prima volta nel mio viaggio scorgo. Parcheggio il mio mezzo di fronte a un bar chiamato “il Faro”, sicuramente avranno informazioni riguardanti l’oggetto della mia curiosità. Ordino un caffè, bevo seduto nella distesa assieme a due signore che parlano di politica con veemenza al limite dell’ira. Tento l’approccio chiedendo l’accendino, il più classico dei modi, mi rispondono molto cortesemente e sorridendomi, ma immediatamente riprendono il loro disquisire. Pagando, l’unica notizia che ricevo è che il faro non è più presidiato.
Mi incammino verso di esso: finestre aperte e porta spalancata. Il dubbio si insinua nella mia testa. Come sono distanti certe cose, così a portata di mano, dagli occhi di chi le osserva tutti i giorni. Appaiono come sempre sono state viste, non ci si pone più domande a riguardo. Esistono come sono sempre state, né più né meno. Il coraggio non mi assiste, non mi pare l’orario per disturbare chicchessia.
Perlustro l’area: una manciata di bagnanti, un edificio abbandonato le cui finestre incorniciano dettagli della torre di luce, la spiaggia di sassi, una fortezza che osserva, una bella pista ciclabile di recente fattura. Infine, su una fila di scogli, un giovane pescatore.
Ancona
Pedaso
San Benedetto del Tronto
42°57’9.32”N
13°53’9.99”E