nº 42 HERE WE ARE! Maurizio Cattelan • Calvi Brambilla Federico Peri • Luca Guelfi • Angelo Flaccavento Nicola Zanardi • Rossana Orlandi • Chiara Andreatti Osmose • Nathalie Assi • Archway Studios Paola Lenti • Anna Karlin • L’archivio di Anna Piaggi I cantieri sotto Milano
Words Alessia Delisi
Photography Taran Wilkhu
Translation Annabel Little
BINARIO VENTI A sud di Londra, un vecchio viadotto ferroviario diventa un luogo di sperimentazione architettonica. E si trasforma in una casa piena di luce e colore. In south London, a disused railway arch became a place for architectural experimentation, resulting in a house full of light and colour.
In apertura, l’ingresso laterale di Archway Studios. Qui il soggiorno, da sinistra: a parete, lampada Tolomeo di Michele De Lucchi e Giancarlo Fassina per Artemide, divano Seymour di Rodolfo Dordoni per Minotti con cuscini Turner di Jonathan Saunders per The Rug Company, coperta di alpaca di The Rug Company e cuscino Pratomagno – Semi di Ailanto Design; lampada IC Lights Floor 2 di Michael Anastassiades per Flos; tappeto Climbing Leopard di Diane von Furstenberg per The Rug Company; tavolini Fishbone di Patricia Urquiola per Moroso e candela Grande Malachite di Fornasetti; tavolino Shuffle MH1 di Mia Hamborg per &Tradition; sedia soffice di Silvera; poltrone Husk di Marc Thorpe per Moroso; lampada Optical di Lee Broom. Alle pareti quadri di Silvera.
Opening pages: the lateral entrance to Archway Studios. The living room is furnished with – from left – a wall-mounted Tolomeo lamp by Michele De Lucchi and Giancarlo Fassina for Artemide, the Seymour sofa by Rodolfo Dordoni for Minotti with Turner throw pillows by Jonathan Saunders for The Rug Company, an alpaca blanket by The Rug Company and the Pratomagno – Semi pillow from Ailanto Design. IC Lights Floor 2 by Michael Anastassiades for Flos. Climbing Leopard rug by Diane von Furstenberg for The Rug Company. Fishbone coffee tables by Patricia Urquiola for Moroso with a Grande Malachite scented candle by Fornasetti. Shuffle MH1 coffee table by Mia Hamborg for &Tradition. Fluffy chair from Silvera. Husk armchairs by Marc Thorpe for Moroso. Optical lamp by Lee Broom. Paintings on wall from Silvera.
Nell’area lounge e cucina, da sinistra: seduta e cuscino di Silvera; tappeto Witton Bright di Jonathan Saunders per The Rug Company; tavolino Bellagio di Gordon Guillaumier per Minotti; pouf di Pierre Frey con tessuto True Velvet di India Mahdavi. From left, the lounge and kitchen area is furnished with chairs and a throw pillow from Silvera. The Witton Bright rug is by Jonathan Saunders for The Rug Company. Bellagio coffee table by Gordon Guillaumier for Minotti. The ottoman by Pierre Frey is covered with True Velvet fabric by India Mahdavi.
Veduta dell’atrio della casa, con le scale che collegano i diversi livelli. Nella pagina accanto: l’esterno di Archway Studios. View of the atrium, where stairs connect the different levels. Opposite page: the exterior of Archway Studios.
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irovagando per le strade di Elephant and Castle, nell’immediato sud di Londra, all’esploratore adulto potrebbe capitare di imbattersi in uno dei tanti viadotti ferroviari che attraversano la città con le loro linee snelle e il ritmo regolare. Chissà se, di fronte a quello che è forse il più emozionante esempio di rigenerazione urbana, riuscirebbe a scorgere, anziché un cappello uniformemente colorato di marrone, l’immagine assai più fantasiosa di un elefante ingoiato da un serpente boa. Didier Ryan, l’architetto che da Il Piccolo Principe sembra aver mutuato la prospettiva, se l’è figurata proprio così quella casa dalla pelle arrugginita e i contorni morbidi che si estende in altezza e sfida con le sue fenditure i limiti di un luogo inospitale. «All’inizio cercavo qualcosa di economico per me e la mia famiglia», racconta Ryan, «Londra è piuttosto costosa, ma fortunatamente c’erano ancora posti che la gente considerava inabitabili e che si vendevano quindi a prezzi più bassi. L’arco ferroviario dove ho costruito la nostra casa era uno di quelli». Prima di cimentarsi con Archway Studios – così è stato in seguito battezzato il progetto – Ryan ricorda come, con lo studio di cui è fondatore, Undercurrent Architects, fosse impegnato nella creazione di edifici che non presentavano particolari difficoltà ambientali. «Stavolta è stato diverso», continua, «perché la sfida qui era usare il design per valorizzare un sito industriale con enormi limiti oggettivi, quali rumore, vibrazioni, buio, umidità e scarsa ventilazione. Inoltre si trattava di fare qualcosa di nuovo, suggerendo un impiego originale degli archi ferroviari abbandonati». Così decise di acquistarlo, sebbene a prima vista
non fosse che una vecchia officina meccanica con un passato di rave e combattimenti di galli. Nella sua mente però si affastellavano già i riferimenti più disparati, Dickens, l’età vittoriana, la controcultura giovanile, i fogli di lamiera e naturalmente Saint–Exupéry. Per sua moglie invece, la fotografa e stylist Candice Lake, trovarsi di fronte quella specie di caverna fu quasi uno shock: «Non poteva certo immaginare la trasformazione che avrebbe subito. Ma ha avuto fiducia», sorride lui. La luce che penetra dai tagli che l’architetto ha operato sulla parte esterna della struttura è intensa e vibrante: «anche d’inverno», precisa,
«Tutto risponde al medesimo bisogno di luce, dall’architettura agli arredi», spiega Didier Ryan. Il bianco definisce gli spazi, interrotto dalle cromie accese dei mobili. «quando il cielo è grigio e le giornate non promettono bene». Merito dell’altezza, che estende lo spazio e offre il conforto acustico di una gigantesca conchiglia. La percezione di questo involucro del resto dialoga con l’interno, in un rapporto che è insieme di continuità e rottura. «Tutto risponde al medesimo bisogno di luce, dall’architettura agli arredi», spiega infatti Ryan. Così, il bianco perfetto che definisce gli spazi lunghi, ecclesiali dell’atrio prosegue in quelli cavernosi dell’arco, interrotto soltanto dalle accese cromie del mobilio. «Il merito degli arredi è di mia moglie Candice», dice con un certo orgoglio, «lei e Pia Bayot Corlette di MonteVera Design hanno lavorato a stretto contatto per creare una galleria di pezzi contemporanei e classici del design italiano e internazionale, in un mix ipnotico di stampe geometriche
Case
― Archway Studios
e colori pop». Dal soggiorno alla cucina, le poltrone e i tavolini di Moroso e &Tradition, le lampade di Michael Anastassiades, Lee Broom e Ettore Sottsass, che si alternano ai motivi grafici di India Mahdavi, Jonathan Saunders e Diane von Furstenberg, rivelano il gusto massimalista di Lake, il piacere sofisticato di rimandi e citazioni. Al tempo stesso, i diversi ambienti che uno dopo l’altro si offrono alla vista – e che si trasformano in un immenso spazio di gioco per i due bambini della coppia – mostrano quanto l’esperienza della casa possa essere straniante: «esternamente sembra un posto alto e stretto, dal di dentro invece è ampio e voluminoso». Varcarne la soglia, attraversando la piccola porta laterale e poi lo stretto corridoio, è come entrare in un mondo magico. «Hai presente il libro Le Cronache di Narnia – Il leone, la strega e l’armadio?», chiede lui. «Beh, è davvero così». ⬤
Little Prince, shaped his house with its rusty skin and soft contours. It stretches up in height and is cut by slits, rising to the challenge of an inhospitable site. “Initially I was looking for something inexpensive for my family,” says Ryan. “London
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andering through the streets of the Elephant and Castle area in south London, the adult explorer might happen upon one of the many railway viaducts that cross the city with their slim lines and regular rhythm. Faced with what is perhaps the most engrossing example of urban regeneration, they might even see the fantastical image of an elephant swallowed by a boa-constrictor – instead of a uniform brown hat. This is exactly how Didier Ryan, an architect who seems to have borrowed the perspective of The
“Everything responds to the same need for light, from the architecture to the furniture,” says Didier Ryan. The whitepainted spaces are splashed with brightly coloured design pieces. is pricey, but luckily there were still places that people considered uninhabitable, meaning they were being sold at lower prices. The railway arch where I built our house was one of them.” Before designing Archway Studios, as the project was subsequently named, Ryan recalls how his architecture office Undercurrent Architects was engaged in designing buildings that did not present any particular difficulty pertaining to the surroundings. “This time it was different, because our aim was to use design to make
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