Good Design
SGUARDI INCROCIATI
TRA ORIENTE
E OCCIDENTE
Mega City
VIAGGIO A SEUL, LA METROPOLI PIÙ
CREATIVA DEL FAR EAST
Good Match
TESTA A TESTA: IL DRAGONE CINESE
E L’ELEFANTE INDIANO
Good Mind
KENGO KUMA, LUCA GUADAGNINO
E SOU FUJIMOTO
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KENGO KUMA, LUCA GUADAGNINO
E SOU FUJIMOTO
Faccia a faccia con l’architetto che reinterpreta la tradizione giapponese con modernità sorprendente, portando l’antica arte del legno e della luce anche in Italia: da Milano alla piccola Termoli, in Molise.
di Alessia Delisisud-ovest di Tokyo – sostiene di avere tratto ispirazione dall’architettura giapponese tradizionale, la quale, a suo avviso, può dare all’Occidente «un grande suggerimento». Che così precisa: « condizioni la gente ha sviluppato uno stile di vita sostenibile giàponesi sono dotati di un sistema di ventilazione naturale, per cui senza aria condizionata e senza consumare energia si trova il modo di rendere confortevoli gli spazi. Si tratta di una saggezza molto profonda dell’edilizia giapponese tradizionale, che però nel XX secolo i giapponesi stupidi hanno dimenticato, perché credeUn errore totale. Ciò che stiamo facendo quindi è prendere spunto da quel modo di costruire che utilizza materiali e sistemi di ven-
ignorare le nuove tecnologie: voglio combinarle con quella saggezza».
Nell’autunno del 1964, all’età di dieci anni, Kengo Kuma fu portato dal padre a visitare il complesso sportivo dello Yoyogi
progettato per le Olimpiadi di quello stesso anno. Era la prima volta che Kuma sentiva parlare di un architetto e quel giorno decise che lo sarebbe diventato anche lui: «Fino ad allora avevo sognato di fare il veterinario, perché ero un bambino educato che amava i gatti», ha raccontato.
Oggi Kengo Kuma ha all’attivo progetti in oltre 30 Paesi e lo studio che ha fondato nel 1990 – Kengo Kuma & Associates, con sedi a Tokyo e Parigi – è stato scelto per realizzare Welcome, il Risorse, che sorgerà a Milano nei pressi del Parco Lambro. Il progetto – che vede anche il coinvolgimento del neurobiologo Stefano Mancuso, autore del best seller Plant Revolution (Giunti, 2017) – consiste in una serie di spazi in cui lavoro e tempo libero si fondono nel segno di un ritrovato contatto con la natura. Orti e giardini saranno infatti parte integrante della struttura, mentre uno speciale sistema di depurazione ideato da Mancuso quasi ad azzerarlo) l’inquinamento degli ambienti interni. Per
Se Welcome è un buon esempio della combinazione di cui parla Kuma, lo stesso può dirsi del Japan National Stadium da lui disegnato per ospitare le Olimpiadi di Tokyo del 2020, 56 anni dell’architettura. Ebbene, « cosa è cambiato tra il 2020 e il 1964?», si domanda Kuma. L’idea di Tange di creare qualcosa di alto e grande, utilizzando i materiali duri e freddi che hanno giocato un ruolo fondamentale nell’industrializzazione, ossia il cemento e l’acciaio, appare in contrasto con la necessità di salvaguardia dell’ambiente che oggi ci troviamo di fronte: « Ho pensato che uno stadio rappresentativo dello spirito e della sensibilità del nostro tempo avrebbe dovuto essere il più basso possibile ed essere fatto di legno anziché di cemento. L’uso degli alberi assorbono anidride carbonica dall’aria. Inoltre, pare proprio che l’architettura in legno protegga gli esseri umani dallo stress e induca stabilità emotiva». Il Japan National Stadium ha preso a e, secondo Kuma, « » – è un ovale sormontato da una copertura a traliccio dove il legno è il materiale principale. E come il predecessore è stato fonte d’ispirazione per il progetto Welcome. Per ottenere l’effetto di una struttura nella foresta, le logge che corrono lungo la circonferenza esterna sono state dotate di piante e di un sistema di ventilazione ottenuto tramite l’accostamento di lamelle di cedro. Come nell’engawa, ossia la veranda intorno alla casa giapponese tradizionale che dall’interno si protende verso lo spazio circostante (in genere un giardino). Così concepito, l’impianto sportivo dimostrerebbe che «rispetto a qualsiasi altro
1. progettato per le olimpiadi del 2020, il japan national stadium di tokyo si compone di tanti pezzi di legno di piccolo diametro
2. e 3. welcome è l ’ ufficio biofilico previsto a milano nell ’ ex area rizzoli al suo interno anche un sistema di depurazione dell ’ aria
4. il primo edificio di kuma nel regno unito, il museo v&a dundee, in scozia, si proietta sull ’ acqua, fondendosi con il paesaggio
Paese del mondo, il Giappone ha un affetto più grande e meticoloso per la foresta e un legame più profondo con l’ambiente». Secondo l’architetto inoltre lo stile giapponese è una panacea: in un momento storico in cui le persone ricercano il benessere necessario, non solo visivamente, ma mentalmente». A questa convinzione è giunto dopo un periodo in cui credeva che cemento e acciaio fossero l’unica opzione per qualsiasi costruzione. «Voglio lasciarmi alle spalle l’era del cemento» persino ponti in legno. Tra le sue più recenti architetture, The Exchange, a Sidney, è uno spazio multifunzione descritto come «un centro comunitario in legno» al cui interno si trovano il mercato, un asilo, una biblioteca, ristoranti e altro ancora. In contrasto con i grattacieli circostanti, la struttura è bassa e dotatacio il nido di un uccello. Ancora in legno è l’Hans Christian Andersen Museum, che sarà completato a Odense, in Danimarca, mentre c’è molta attesa per il progetto di restauro della dimora ottocentesca di famiglia di Giorgio Pace (fondatore con Nicolas in Molise, che il curatore ha scelto di destinare a museo e residenza per artisti: «Oggi, nel XXI secolo, quando ci troviamo ad affrontare la crisi ambientale del riscaldamento globale, dovremmo decidere di costruire in modo diverso. Dopotutto il cemento ci ha portato molto stress. Di qui il mio desiderio di
staccarmene». L’interesse di Kuma è tutto per i materiali “soft”. È questa secondo lui la direzione che l’architettura dovrebbe prendere: «Il cemento e l’acciaio sono pesanti, duri, freddi e non riesco a provare simpatia per loro. Per i materiali “soft”, invece, ho una grande simpatia. Sono come degli amici per noi». Oltre al già citato legno – le cui caratteristiche di calore oltre che di “softness” invitano al contatto –, ci sono il bambù, la carta di riso e gli altri materiali dell’edilizia giapponese tradizionale. Anche la luce è per Kuma un elemento chiave della progettazione, perché «un materiale da solo non può parlarci. Quindi materiale e luce devono essere sempre considerati insieme». Il pensiero dell’architetto va ancora una volta alla tradizione nipponica: «Prima del XIX secolo non avevamo l’elettricità, ma uno speciale schermo di carta di riso in grado di portare la luce naturale nel
ispirare da questa tradizione quando uso la luce nei miei progetti. È un tipo di saggezza molto importante, che può far risparmiareciale godremmo di più di quella naturale e, come hanno sottoli».
In un momento storico in cui le città crescono a dismisura e dobbiamo trovare il modo d’integrare il verde nel costruito, è una rivoluzione della città».
Secondo Kuma: «Il design delle città attuali è stato stabilito in America all’inizio del XX secolo. Esso è una combinazione di periferie e grattacieli nel centro città. Questo stile si basava sulle informazioni dell’epoca ed è molto stupido che esista ancora. Dobbiamo cambiare il design delle città basandoci sulle informazioni odierne. Abbiamo la libertà per farlo».
sono puntati sulla cultura mediorientale e sulle sue propaggini asiatiche, in un intreccio sempre più stretto e seducente con l’Occidente.
di Alessia DelisiNel descrivere il suo viaggio con i beduini nel deserto di Rub al-Khali, detto il Quarto Vuoto, lo scrittore ed esploratore inglese Wilfred Thesiger attribuì a questa
lasciare una traccia indelebile nell’immaginario. Il suo fascino austero, “la pace della vera solitudine” che il deserto ispira, hanno attratto per secoli, ma se ieri a
viaggiare qui erano Ibn Battuta, Marco Polo e Lawrence d’Arabia, oggi sono gli artisti che in questi spettacolari spazi vuoti trovano lo sfondo dove collocare le proprie opere.
Ne è un esempio la Biennale d’Arte contemporanea Desert X: nata dapprima in California per animare il paesaggio arido della Coachella Valley, la manifestazione ha allargato il proprio campo d’azione e ad anni alterni ha luogo ora anche ad AlUla, tra i paesaggi desertici dell’Arabia Saudita. L’ultima edizione che si è svolta qui ha visto 15 artisti locali e internazionali attingere ai fondamenti della Land Art per realizzare lavori ispirati ai concetti di miraggio e oasi nel deserto, i quali secondo la curatrice e storica dell’arte Reem Fadda «sono stati a lungo associati a idee di sopravvivenza, perseveranza, desiderio e ricchezza». Così Abdullah Al Othman ha immaginato una scintillante pozza d’acqua, Serge Attukwei Clottey una cascata aurea, Dana Awartani una struttura di pietra simile a una grotta; Claudia Comte ha dato vita a una specie di “dazzle painting” che imitava il movimento delle dune modellate dal vento, mentre Jim Denevan con i cumuli di sab-
dello spazio e del tempo. Per i turisti stranieri Desert X AlUla è l’occasione per scoprire l’arte contemporanea in un sito
poco tempo fa infatti molti sauditi evitavano le tombe nabatee, scavate in queste rocce, per la pia superstizione che fossero infestate, così i non musulmani non trovavano quasi mai un modo per andarci. Per il governo saudita invece si tratta di diver-mando AlUla in una delle principali destinazioni turistiche del Paese. Secondo Nora Aldabal, direttrice della programmazione artistica e culturale alla Royal Commission di AlUla, entro il 2035 la città vedrà sorgere altri 15 progetti, tra cui il lussuoso eco-resort Sharaan disegnato da
1. a pyramid in other vocabularies di ahmed karaly, parte della mostra forever is now ii
2. veduta della collettiva kothi, allestita nella galleria di design aequo di mumbai
3. e 4. aziza shadenova e doris salcedo alla quindicesima edizione della sharjah biennial
5. un arazzo dell ’ afgano-canadese hangama amiri al museo the aldrich di ridgefield
Jean Nouvel e una nuova sede del Centre Pompidou. Ma le iniziative culturali portate avanti in Arabia Saudita non si fer-
costiera di Gedda ospita infatti la prima edizione della Islamic Arts Biennale, che riunisce manufatti storici e artisti contemporanei provenienti dall’Arabia Saudita e da altri Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa intorno al tema dei luoghi sacri dell’Islam, ovvero La Mecca e Medina. Con un allestimento dello studio
Oma, fondato tra gli altri da Rem Koolhaas, l’esposizione si propone così di far conoscere anche ai non musulmani i ri-
Ancora una biennale è poi quella che si svolge nell’emirato di Sharjah, uno dei sette che compongono gli Emirati Arabi
giugno, è dedicata alla memoria del critico d’arte nigeriano Okwui Enwezor, che l’aveva originariamente concepita prima della sua morte nel 2019. Intitolata Thinking Historically in the Present e curata dalla direttrice della Sharjah Art Foundation, Hoor Al Qasimi, Sharjah Biennial 15 suggerisce prospettive post-coloniali e presenta più di 300 opere di artisti di tutto il mondo – oltre a un programma di musica dal vivo, performance e dibattiti
ralmente Forever is Now, che per la sua seconda edizione ha collaborato con Meta rendessero più “instagrammabile” l’esperienza della mostra. Accolta dal pubblico con grande entusiasmo, Forever is Now ha aperto la strada al lancio di Cultivator, il nuovo «brand» di Abdel Ghaffar che promette di estendere la portata di Art D’Égypte a livello globale. Che gli scambi culturali tra Medio Oriente e Occidente siano oggetto di un interesse crescente è testimoniato dalla frequenza con cui anche qui da noi si succedono le iniziative volte a mettere in luce l’operato degli artisti arabi e persiani. A Basilea per
esempio, alla galleria Kulturstiftung Basel H. Geiger, l’esposizione Evaporating Suns – in programma dal 12 maggio al 16 luglio – porterà in Svizzera, riunendoli per la prima volta in una rassegna istituzionale, i lavori di una giovane generazione di artisti (con una prevalenza di artiste donne) della regione del Golfo Persico. Il tema è ancora una volta quello del passato, suddiviso in una serie di miti con cui ciascun autore si è confrontato per dar vita a una narrazione capace di rileggerli criticahorror comedy di Farah Al Qasimi sulla storia coloniale del Golfo Persico, il tentativo di Mashael Alsaie di salvare dalla sic-
– in 19 sedi di cinque diverse città. Tra le location ci sono punti di riferimento storici e spazi contemporanei, ma anche edi-
fondazione – quest’anno al suo trentesimo anniversario –, come l’ex ristorante a forma di stella The Flying Saucer e la brutalista Kalba Ice Factory.
Di respiro internazionale anche la mostra Forever is Now che per il secondo anno è tornata a ravvivare il paesaggio delle piramidi di Giza, connettendo passato e presente dell’arte attraverso le monumentali creazioni di una decina di autori, tra cui Jr, Pascale Tayou, il giovane artista egiziano Ahmed Karaly e l’italiano Emilio Ferro. A organizzare la serie di esposizioni è la piattaforma curatoriale Art D’Égypte fondata da Nadine Abdel Ghaffar con l’obiettivo di promuovere l’arte egiziana moderna e contemporanea, attivando al tempo stesso il patrimonio storico del Paese. L’evento di punta è diventato natu-
Per il governo saudita
cità l’antica sorgente di Adhari, in Bahrain, trasformandola in corpo femminile in gestazione, e le sculture di Alaa Edris che strumento per plasmare la cultura. A Londra invece il Barbican Centre ha dedicato all’artista iraniana (ma di base a Cambridge) Soheila Sokhanvari la mostra Rebel Rebel, che presentava i ritratti di 27 icone femministe dell’Iran pre-rigeometrie islamiche. « Il tempismo è tutto», ha scritto qualche giornale della mostra che in un altro momento storico sarebbe stata uno spettacolo di nicchia. L’omicidio di Mahsa Amini – la ventiduenne curda che nel settembre 2022 è stata arrestata e picchiata dalla polizia di
Teheran perché non indossava il velo in modo corretto – e le proteste che ne sono seguite in Iran e nel resto del mondo, hanno invece reso più attuale l’esposisulle violenze contro le donne sotto la Repubblica islamica. Per mostrare solidarietà al popolo iraniano, la fondazione Mozaik Philanthropy, che ha sede a Los Angeles, ha organizzato l’esposizione virtuale Woman. Life. Freedom (dallo slogan usato durante le proteste), con 50 artisti iraniani e non, a sostegno del movimento per la libertà nel Paese. Incentrati sulla lotta per i diritti delle donne, questa volta in Afghanistan, sono poi gli arazzi realizzati da Hangama Amiri, fuggita da Kabul nel 1996 e immigrata in Canada quando era ancora un’adolescente. Oggi una dozzina di questi lavori sono protagonisti della mostra A Homage to Home – la prima in un’istituzione mu-
Aldrich Contemporary Art Museum di Ridella città natale dell’artista.
1. veduta dell ’ esposizione soheila sokhanvari: rebel rebel al barbican centre di londra
2. le ceramiche di nathalie khayat incontrano
la cucina nella mostra salt, a santa monica
3. a gedda la prima edizione della islamic arts biennale è un mix di antico e contemporaneo
4. tra i protagonisti di evaporating suns, farah al qasimi è un ’ artista degli emirati arabi uniti
Da Beirut arriva invece House of Today, organizzazione fondata da Cherine Magrabi Tayeb che promuove i designer libanesi nel mondo. Attraverso un programma di residenze e borse di studio, il team curatoriale contribuisce alla crescita dei progettisti emergenti, ma organizza anche mostre per far conoscere il loro lavoro. Tra le più recenti Salt, che metteva insieme le creazioni della ceramista Nathalie Khayat e i piatti della chef Sandy Ho del ristorante di Los Angeles Sandita’s.
Ancora sul fronte design, Fromm è la nuova piattaforma/azienda nata tra il Qatar e l’Italia che debutterà alla Design Week milanese con Shurouq, collezione di
mobili disegnata da Shua’A Ali e Maryam Al Suwaidi, guardando al patrimonio naturale e architettonico del Paese. Rivisitare il proprio heritage è del resto anche l’ambizione della galleria di design da collezione Aequo di Mumbai – la prima a sorgere in India –, che invita progettisti di tutto il mondo a confrontarsi con la tradizione artigianale del luogo. Fondata da Tarini Jindal Handa con il coinvolgimento della designer francese Florence Louisy, la galleria testimonia il valore della contaminazione tra Est e Ovest. Come ha spiegato infatti Jindal Handa: «Vedo Aequo come un progetto sperimentale che oltrepassa i con».