Iniziativa dell’Associazione Studentesca Cassandra patrocinata dall’Università FEDERICO II
Anno I, numero III, Aprile/ Maggio 2009 Testata registrata al Tribunale di Napoli n. 99 del 22-12-08
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Più grande è meglio è! Senza malizia è possibile dirlo delle aule universitarie, che accolgono ogni giorno studenti provenienti da ogni parte della Campania. Ma le suddette aule sono all’altezza di questo compito? Proviamo a descriverle con un rapido exursus. Grandi, comode e multimediali sono le aule del Policlinico nuovo, di Monte S. Angelo e di via Nuova Agnano; fortunati gli studenti di Medicina e Chirurgia, di Ingegneria e di Economia. Qualche problemuccio soltanto a via Claudio e piazzale Tecchio (altre sedi della facoltà di Ingegneria), dove in biblioteca non esistono riscaldamenti e le aule sono vecchie ma tutto sommato abbastanza funzionanti. Ma veniamo alle note dolenti. Meno fortunati sono gli studenti di scienze politiche e noi poveri umanisti; ogni giorno i giovani di queste facoltà desiderano trovare il “posto” e mettere a sicuro il sedere, ma si ritrovano in posizioni lontane da quella sperata. Lontani anche dal bagno, come nel caso degli studenti del primo e secondo anno di lettere moderne, che seguono nelle aule A3 e A4 dell’edificio al Corso Umberto. I già dottori della specialistica in Filologia Moderna, devono sperare che ci sia la siccità durante questi mesi, infatti, le aule adibite per ospitare i corsi hanno il soffitto rotto e spesso piove sugli appunti. Il signor N. addetto alla sicurezza del polo umanistico di via Mezzocannone 16, aspetta da due anni che vengano ad aggiustare i tetti e a imbiancare gli affreschi (leggi macchie di umidità) delle aule LB ed LF; intanto ci si arrangia con dei secchi, e si spera che nessuno si faccia male sui pavimenti dissestati. Ma il pomeriggio la struttura è incustodita (il signor N. ci ha spiegato che non gli pagano gli straordinari quindi non resta a lavorare gratis) e in caso di disagio gli studenti sono soli. Augurandoci che non succeda il peggio, aspettiamo fiduciosi soccorsi, e intanto insieme col taccuino e le penne verremo all’università muniti anche di ombrello, ovviamente armati della solita pazienza.
Francesca Bianco
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La cultura a Napoli: parla l’assessore Oddati Nel precedente articolo avevate letto del Forum delle Culture che la nostra città ospiterà nel 2013 e della mia intenzione di capire meglio in cosa consisterà questo avvenimento, e soprattutto quali potrebbero essere le sue ricadute sulla nostra città. L’assessore alla cultura del comune di Napoli Nicola Oddati, uno dei maggiori promotori di questa iniziativa ha sottolineato la novità di questa evento che quando giungerà a Napoli sarà ancora alla quarta edizione, dopo quelle di Barcellona nel 2004 di Monterrey nel 2007 e di Valparaiso. “Tale manifestazione-sottolinea Oddati - si fonda su due assi portanti: quello della riqualificazione
urbana delle aree interessate e sul concetto di identità culturale. La città interessata si ritrova dopo lo svolgimento dell’evento ad essere più ricca sia dal punto di vista delle infrastrutture sia dal punto di vista culturale, avendo potuto educarsi al confronto delle diversità culturali e al loro pacifico scambio. Il tema scelto per la manifestazione del 2013: «La memoria del futuro»è un tema che non potrebbe essere più adatto per una città come Napoli ricca di uno straordinario passato culturale e artistico ma che deve ovviamente accettare le sfide del futuro, e conciliare tradizione e innovazione. Per assicurarsi tale evento vi è stato un lavoro di anni fin dal 2006 con il cosiddetto Protocollo d’intesa fra Barcellona e Napoli. Cosa ci dice in relazioni alle voci insistenti su un eventuale commissariamento?
Il governo aveva chiesto il commissariamento dell’evento per concedere la definizione di “grande evento” ma che il comune si è opposto a ciò perché sarebbe venuto a venir meno la ragione stessa di una tale manifestazione, tolta ad un’ottica “democratica” e di coinvolgimento della città stessa. Claudio Velardi, l’assessore regionale alla Cultura. ha parlato nel suo blog sul caos progettuale che regnerebbe in città comprese quelle aree, come Bagnoli, direttamente interessate dai progetti del forum delle culture. Cosa risponde?
I progetti di riqualificazione riguardano principalmente Bagnoli e la mostra d’oltremare, comprendenti un Parco dello Sport, un Turtle point, e i Napoli studios. Il parco dello sport dovrebbe costituire un vero e proprio centro sportivo polivalente dall’estensione di circa 35 ettari, sull’area che va dal costone di Posillipo a via Cattolica, ospitante campi ed attrezzature per tennis, calcio e calcetto, basket, volley,pallamano e atletica leggera. Il Turtle point dovrebbe ampliare e rifunzionalizzare una struttura già esistente dedita principalmente all’ accoglienza, cura e riabilitazione delle tartarughe marine, ampliandola e rendendola più fruibile dal pubblico. Per finire i “Napoli Studios”, ospitati nel sito di archeologia industriale dell’ ex officina meccanica, dovrebbero diventare una piccola cinecittà dedita alle produzioni audio e video locali. Non mancherebbero poi nuove strutture ricettive ubicate nell’area che va da via Enrico Cocchia a via Nuova Bagnoli.
Non sarebbe stato meglio puntare sulla normale gestione piuttosto che su questi eventi che rischiano di essere grandi vetrine di ideali e propositi con pochi effetti reali sulla situazione della città? Non ritengo corretta una politica ripiegata solo sulle necessità quotidiane,
credo nel contributo che manifestazioni di questo genere hanno contribuito a portare alla vivibilità di Napoli. Come esempio, posso citare il Maggio dei monumenti e i suoi effetti sulla città oltre ad innumerevoli progressi fatti negli ultimi 15 anni. Progressi che possono portare essi stessi problemi come l’accresciuta vitalità notturna della città negli ultimi anni e naturalmente le problematiche connesse alla sicurezza e alla viabilità che ciò comporta ma ciò non è un buon motivo per rimanere immobili e ripiegare sulla mera gestione del quotidiano. Faccio quindi i migliori auguri all’assessore Oddati e a questo progetto ma spero che non si perdano mai di vista i tanti problemi che affliggono la nostra città che troppe volte vengono insabbiati con grandi eventi di risonanza internazionale che sembrano nascondere il reale stato delle cose. Francesco Lobefalo
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Intervista al Console Generale di Napoli J. Patrick Truhn Lei ha lavorato in 5 continenti, in svariate nazioni ed già stato in Italia presso il Consolato di Milano. Alla luce della sua esperienza, com’è il suo rapporto con Napoli e come appare questa città agl’occhi di un americano “cittadino del mondo”? Ho viaggiato molto nella mia vita e ho avuto una formazione umanistica, sono stato anche Bibliotecario universitario in Francia. Ho sempre sentito una forte desiderio di conoscenza nei confronti delle culture del mondo e una predisposizione all’incontro con popoli differenti. E, ovviamente, la spinta a cercare di limitare i problemi tra le popolazioni. In tutto questo ha influito sicuramente l’aver iniziato ad apprendere lingue straniere dall’età di 5 anni. Napoli l’avevo conosciuta già prima del mio incarico, da turista. È una città difficile: lo sviluppo economico, la criminalità sono problemi pressanti ma il bagaglio di esperienze, di problematiche simili risolte in passato, aiuta in questi casi. Devo dire che in venticinque anni di carriera ho avuto la fortuna di trovarmi sempre in posti affascinanti. Ma in realtà è l’incarico ad assorbire la maggior parte del mio tempo. Negli ultimi mesi l’attenzione mondiale, se possibile, si è ancor di più indirizzata Oltreoceano con l’ascesa alla Casa Bianca del primo Presidente afroamericano. Crede che Obama sia la persona giusta per il cambiamento auspicato da tante parti del mondo, comprese Italia e Stati Uniti? Obama ha suscitato un entusiasmo che da decenni non si vedeva, né da parte democratica né repubblicana e ciò lo dimostra l’incremento del numero dei votanti. Obama ha fatto della sua campagna elettorale un vero e proprio movimento politico sociale. Questo entusiasmo partito dall’elettorato democratico può portare ad un entusiasmo di tutto il popolo americano che consenta di affrontare la crisi anche con decisioni non popolarissime. Ad alcuni mesi dall’insediamen to, il gradimento per il Presidente è ancora aldilà della norma. Numerose sono le iniziative del neo-Presidente che hanno caratterizzato quello che è apparso subito come un nuovo corso della politica americana. Un primo distinguo è stato quello riguardante i diritti ed i temi etici, in materia di aborto e ricerca sulle cellule staminali. Queste tematiche sono di grande attualità anche in Italia; pensa che una concezione laica dello Stato, che Obama ha dimostrato possedere già nei primi giorni del mandato, possa diffondersi anche nel nostro Paese? Nella propria Costituzione gli Stati Uniti distinguono chiaramente ciò che è laico da ciò che è religioso. Obama nel suo piano economico ha aumentato i finanziamenti alla ricerca e all’Università. Si fanno interventi sulla economia di oggi per essere pronti a quella di domani. E gli stessi provvedimenti etici, come decreti sulle staminali e in materia di aborto, sono il frutto dell’integrazione tra ideologia ed economia reale. La chiusura del carcere di Guantanamo e di tutte le strutture detentive segrete della CIA è un altro grosso passo avanti nel cambiamento dell’immagine degli USA, colpevole agl’occhi di parte dell’opinione pubblica mondiale di una politica estera troppo aggressiva. Questi segnali, come l’annunciata apertura diplomatica verso l’Iran, uno dei cosiddetti “Stati canaglia”, a suo parere costituiscono il principio di nuovi scenari internazionali? Come vede, nel prossimo futuro, il ruolo della NATO e dei paesi, come l’Italia, che ne fanno parte, a livello mondiale? Il giorno dopo l’insediamento Obama ha annunciato tre priorità: il rifiuto della tortura, la chiusura di Guantanamo, la revisione dei protocolli per i detenuti per terrorismo. Nello stesso tempo ha stabilito la comunicazione e divulgazione dei documenti esecutivi federali: una direttiva secondo la quale in caso di dubbio sul divulgare o meno un documento, bisogna dare priorità alla trasparenza. In po litica estera, la riuscita di un dialogo costruttivo con l’Iran e la soluzione della questione afghana hanno bisogno della sinergia di tutti i paesi della Nato e dell’Unione Europea e non certo solo sul piano militare. In tal senso va intesa anche l’apertura ad alcuni cosiddetti “signori della guerra” talebani che controllano vaste aree del paese. Per non parlare della recente crisi coreana, dove la soluzione diplomatica è cercata dagli USA in partenership con Cina, Giappone e Russia. Laggiù l’emergenza più che militare è quella umanitaria: la fame. Il tutto aggravato dalla configurazione della società nordcoreana, una delle più chiuse al mondo, difficile da capire. Obama, con i suoi collaboratori, è anche l’autore della più “forte” ricetta anti-crisi economica, con un “pacchetto” da 825 miliardi di dollari. All’interno di quest’ultimo c’era inizialmente anche la misura “Buy American”, tesa a salvaguardare l’industria statunitense. Pensa che le iniziative protezionistiche che vengono adottate in questi giorni non solo in America, porteranno ad una contrazione del traffici? E, in particolare, ci saranno ripercussioni a livello commerciale nei rapporti USA-Italia? Obama ha tolto dal suo piano il Buy American, rispettando gli accordi commerciali con il WTO. Per quanto riguarda gli ingenti finanziamenti all’economia, bisogna sottolineare che gli americani sono predisposti al rischio, non condannano per sempre chi fallisce. Durante una conferenza a Taormina, organizzata dal nostro consolato, una professoressa intervistata da un italiano alla domanda su quale sia la prerogativa imprescindibile del perfetto business man americano rispose “deve avere almeno una volta fallito”. Avere affrontato o comunque aver attraversato una grave crisi aziendale e, magari, averla superata sono caratteristiche importanti per i manager americani. C’è un proverbio americano che dice “niente rischiato, niente guadagnato”. Gli investimenti destinati dall’amministrazione Obama hanno avuto come priorità l’indipendenza energetica congiunta alla tutela dell’ambiente tramite lo sfruttamento di risorse rinnovabili, la ricerca e la salute; dimostrando di improntare la visione della crisi verso soluzioni a lungo termine, anche di 20 o 30 anni. Gli Stati Uniti sono stati uno dei primi Paesi al mondo ad affrontare le questioni inerenti ai flussi migratori. Per quanto riguarda l’Università, c’è anche una “emigrazione d’elezione”, nel cui ambito gli Stati Uniti sono da decenni sbocco privilegiato per alcuni dei migliori laureati delle università europee. Com’è visto dai giovani americani il vecchio continente, e l’Italia in particolare? Crede che in futuro si modificheranno i rapporti culturali tra i nostri Paesi, cosicché non si parlerà più di fuga dei cervelli ma di interscambio? Migliaia di studenti americani visitano l’Italia e molti studiano anche, soprattutto al centro-nord, a Firenze o alla sede di Bologna della John Hopokins. Gli americani sono un popoli di migranti, mistioni e mistioni di etnie. E a coloro che dicono che gli Stati Uniti, a causa dei flussi di immigrazione degli ultimi decenni, rischino di diventare meno americani, io rispondo che invece è così che l’America diventa più americana. Più ricca di questa americanità. Giancarlo Marino
Di Jundra Elce Questa piccola cronologia non ha la presunzione di dare risposte alle perplessità dei molti. Come giornale universitario di un grande Ateneo con una forte componente femminile si è sentita l’esigenza di delineare, seppur in maniera generale, l’iter dell’emancipazione femminile. Esigenza nata anche dai recenti fatti di cronaca che, ancora una volta, vedono il cosiddetto sesso debole soggiacere alla volontà perversa di un uomo. Si spera che da qui possa nascere una lunga riflessione personale che induca ognuno al rispetto e alla ricerca di giustizia. Una giustizia che spesso non è garantita nemmeno nelle aule dei tribunali. Solo recentemente la Legge n°66 del 15 Febbraio del 1996, abrogando la precedente disciplina che considerava la violenza sessuale come un reato che offendeva la morale e la società, ha finalmente riconosciuto la violenza sessuale come delitto contro la persona. In questo momento si è iniziato a parlare di inasprimento delle pene ed automaticamente si è temuto per il fenomeno dell’overdeterrence che porterebbe all’uccisione della vittima visto che per il delitto e la violenza sessuale sarebbe prevista la stessa pena, a noi basterebbe che ne venga garantita una certa. Tra fine „800 e inizi „900 la questione femminile era intrecciata in modo problematico agli sviluppi del movimento socialista. Anche se la lotta per la parità si era già imposta nel passato in situazioni di crisi rivoluzionarie o di forte tensione sociale. Nell‟Italia Unita le donne furono escluse dal godimento dei diritti politici: la Camera dei Deputati del Regno d‟Italia respinse, infatti, la proposta dell‟Onorevole Morelli volta a modificare la legge elettorale che escludeva le donne dal voto politico e amministrativo “al pari degli analfabeti, interdetti, detenuti in espiazione di pena e falliti”. Nel Codice di Famiglia del 1865 le donne non avevano il diritto di tutela sui figli legittimi né tantomeno potevano disporre del denaro del loro lavoro. L‟articolo n°486 del Codice Penale prevedeva una pena detentiva da tre mesi a due anni per la donna adultera. Nel 1890 ne‟ Il monopolio dell’uomo Anna Kuliscioff scriveva: “Voglio innanzitutto confessarvi che, pensando intorno alla inferiorità della condizione sociale della donna, una domanda mi si affacciò alla mente, che mi tenne per un momento perplessa e indecisa. Come mai – mi dissi – isolare la questione della donna da tanti altri problemi sociali, che hanno tutti origine dall‟ingiustizia, che hanno tutti per base il privilegio d‟un sesso o d‟una classe? […] Tutti gli uomini, salvo poche eccezioni, e di qualunque classe sociale per una infinità di ragioni poco lusinghiere per un sesso che passa per forte, considerano come un fenomeno naturale il loro privilegio di sesso e lo difendono con una tenacia meravigliosa, chiamando in aiuto Dio, Chiesa, scienza, etica e leggi vigenti, che non sono altro che la sanzione legale della prepotenza di una classe e di un sesso dominante. Ed è per questo
speciale “Donne” che, malgrado gli intimi rapporti che corrono fra i vari problemi, mi parve di poter isolare il problema della condizione sociale della donna, da tutti gli altri fenomeni morbosi dell‟organismo sociale, generati in gran parte da quel dramma terribile della vita, che è la lotta per l‟esistenza […]coll‟evoluzione delle civiltà moderne l‟elemento della forza muscolare andò sempre più eliminandosi in moltissime attività sociali, nelle produzioni industriali e persino nell‟agricoltura, così che la donna, nelle classi sociali che si guadagnano la vita col lavoro, si è trovata a poco a poco in condizioni su per giù eguali a quelle dell‟uomo. Ed è soprattutto nel secolo nostro, che la donna, per leggi di economia politica, che qui non è né il momento né il luogo di prendere in considerazione, collaborando direttamente nella produzione delle ricchezze sociali, ha potuto diventar consapevole della sua equivalenza all‟uomo ”. La Legge Carcano n°242 del 19 Giugno 1902 sul lavoro femminile, imitando esperienze straniere precedenti, da un lato con l‟introduzione del “congedo di maternità” determinò un primo passo reale verso la parità dei diritti che risultò del tutto inutile in confronto alle misure restrittive che riguardavano, nel riposo post-partum, la mancata retribuzione e l‟impossibilità di garantire la conservazione del posto di lavoro. Inoltre in questa legge si distinguevano i lavori pericolosi (inadatti alle donne) in base ad un‟ideologia che voleva il rientro della donna in quella che doveva essere la sua sede naturale. Nell‟enciclica papale del 1891 De Rerum Novarum si leggeva “ Certi lavori non si confanno alle donne, fatte da natura per lavori domestici”. Nel 1906 Maria Montessori attraverso le pagine de “La Vita” invita le donne ad iscriversi alle liste elettorali ma molte di queste furono respinte dalle Corti d‟Appello delle varie città italiane. Nel 1909 l‟Alleanza Pro-Suffragio lanciò un Manifesto di protesta alla riapertura del Parlamento “Nell‟Italia di Mazzini e Garibaldi, voi non dovete più oltre sopportare l‟ingiuria di essere respinte dalle urne come gli idioti o i mentecatti. Venite dunque a unirvi al nostro pacifico esercito delle donne che vogliono il voto per il bene proprio, dei figli, dell‟umanità”. Nel 1910 il Comitato Pro-Suffragio chiese al Partito Socialista di pronunciarsi sulla questione dl suffragio femminile. Turati si pronunciò contrario convinto del fatto che la coscienza politica pigra delle masse proletarie femminili potesse in qualche modo rafforzare le forze conservatrici. Anna Kuliscioff, amica di Turati, difese il suffragio femminile anche se al Congresso socialista del 1910 finì con il sostenere che “il proletariato femminile non può schierarsi col femminismo delle donne borghesi […] Per la donna proletaria il suffragio politico è un‟arma per la propria emancipazione economica”. Su Critica Sociale però
Di Jundra Elce scrisse di lì a poco ”Se i socialisti fossero convinti fautori del suffragio universale, saluterebbero con gioia le suffragiste non proletarie come un coefficiente efficace alla vittoria, riservandosi di combattere qualunque proposta di legge che intendesse limitare il voto ad alcune categorie femminili privilegiate”. Vediamo così come non fu certo facile unire le forze femminili che, in vario modo, all‟interno dei diversi ceti, si battevano per i propri diritti. Ciò avvenne attraverso movimenti contrastanti, perché mentre le donne borghesi, nel chiuso della famiglia aspiravano ad avere un‟attività che le integrasse nel mondo esterno, le donne lavoratrici, oppresse dal doppio carico del lavoro casalingo e fuori casa, meditavano sulla possibilità di coltivare in modo tranquillo le loro attitudini domestiche secondo la diffusa mentalità del tempo. In seguito, il fascismo inaugurò una sua politica sul tema dei diritti delle donne che vennero progressivamente spinte entro le mura domestiche con lo slogan “La maternità sta alla donna come la guerra sta all‟uomo”. Per quanto riguardava il lavoro, i salariati delle donne furono fissati per legge alla metà di quelli corrispondenti degli uomini. L‟offensiva cominciò nelle scuole dove fu vietato alle donne di insegnare lettere e filosofia nei licei. Anche la pubblicistica fascista tendeva a dissuadere le donne lavoratrici ridicolizzandole. Nel libro Politica della Famiglia del teorico fascista Loffredo si legge “ La donna deve ritornare sotto alla sudditanza assoluta dell‟uomo, padre o marito; sudditanza e, quindi, inferiorità spirituale, culturale e d economica” per far questo consiglia agli stati di vietare l‟istruzione professionale delle donne e di concedere soltanto quell‟istruzione che ne faccia “un‟eccellente madre di famiglia e padrona di casa”. Il Codice di Famiglia già abbastanza retrivo fu inasprito: le donne furono poste in uno stato di totale sudditanza di fronte al marito che poteva decidere autonomamente il luogo di residenza ed al quale le donne devono eterna fedeltà, anche in caso di separazione. Il nuovo Codice Penale confermò tutte le norme contrarie alle donne, aggiungendovi l‟art. 587 che prevedeva la riduzione di un terzo della pena per chiunque uccidesse la moglie, la figlia o la sorella per difendere l‟onore suo o della famiglia (il cosiddetto “delitto d‟onore”). Secondo il CNL-Alta Italia le donne aderenti alla Resistenza furono: 75.000 appartenenti ai Gruppi Difesa, 35.000 partigiane, 4.563 tra arrestate, torturate e condannate, 623 fucilate e cadute, 2.750 deportate, 512 Commissarie di guerra, 15 decorate con Medaglia d‟Oro. Se si pensa che il numero complessivo dei partigiani è valutato in circa 200.000 persone, si può vedere che le donne rappresentarono circa il 20% di essi. Il I Febbraio del 1945, su proposta di Togliatti e De Gasperi fu concesso il voto alle donne. La Costituzione garantiva l‟uguaglianza formale fra i due sessi, ma, di fatto, restavano in vigore tutte le discriminazione legali vigenti durante il periodo
speciale “Donne” precedente, in particolare quelle contenute nel Codice di Famiglia e il Codice Penale. Per un soffio l‟indissolubilità del matrimonio non fu iscritta nella Costituzione stessa, grazie all‟emendamento di un deputato saragattiano. Nel 1970, nell‟ambito di un seminario organizzato dal Partito Radicale, nasce il Movimento di Liberazione della Donna (MDL), il quale, contrariamente ai suoi omologhi all‟estero, ammette fra i suoi aderenti anche uomini. Nel documento costitutivo si propone di informare sui mezzi anticoncezionali anche nelle scuole e ottenere la loro distribuzione gratuita, liberalizzare l‟aborto, eliminare nelle scuole i programmi differenziati fra i sessi, socializzare i servizi che gravano sulle spalle delle donne sotto forma di lavoro domestico, creazione di asili-nido, improntati ad una visione antiautoritaria. I mezzi per raggiungere tali obiettivi sono anche le azioni di disobbedienza civile. Parallelamente al MDL si costituisce nel settembre del 1973 il Centro di Informazione Sterilizzazione e Aborto (CISA) per iniziativa di Adele Faccio, federato al Partito Radicale. Nel 1974 parte la prima raccolta di firme per un referendum abrogativo che avrebbe legalizzato l‟aborto, ma non vengono raggiunte le 500.000 firme necessarie. Nel 1975 viene arrestato Giorgio Conciani per aver organizzato una clinica clandestina per gli aborti a Firenze. Nella primavera del 1975 (anche grazie all‟appoggio de L‟Espresso) vengono raccolte oltre 800.000 firme su un nuovo referendum abrogativo sull‟aborto. Prima che i cittadini venissero chiamati a votare il referendum, il Parlamento approva nel 1977 una legge sulla legalizzazione dell‟aborto. Frattanto nel 1970 era stato concesso il divorzio; nel 1975 era stato riformato il diritto di famiglia, garantendo la parità legale fra i coniugi e la possibilità della comunione dei beni. All‟inizio del nuovo secolo è caduto anche l‟ultimo baluardo di esclusione delle donne in ambito statale, quello militare.
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CHI DIMENTICA è MAFIOSO! Peppino Impastato, Aldo Moro, Giulio Andreotti, la P2: poche luci e molte ombre della storia italiana
Italiano = Mafioso. Questo luogo comune dalla lontana America ha fatto il giro del mondo fino a diventare una vera e propria definizione dell’italianità; un prodotto da considerarsi D.O.P : la mafia. Dopo un’approfondita analisi della questione mi sento di concordare quasi pienamente con questa definizione, perché con un tipico atteggiamento mafioso tutti fingiamo,forse anche per vergogna, che la mafia non esista;rabbrividiamo di fronte al delitto di Cogne o al caso di Meredith Kercher; crediamo che tutte le vicende che i “mostri della disinformazione” ci propinano in televisione quasi ogni sera siano la piaga del nostro paese, dimenticando che chi ci governa ha subito un processo con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa;il motto dei più è: “non ho visto,non ho sentito, non c’ero e se c’ero dormivo!”. Sicuramente nella storia del nostro paese ci sono state anche persone che non solo hanno visto ma hanno avuto il coraggio di parlare, di gridare al mondo la loro indignazione facendo i nomi dei “notissimi ignoti” e raccontando i fatti. Queste persone nel nostro bel paese vengono fatte tacere, sono costrette a vivere sotto scorta in un continuo stato di paura come Saviano o addirittura la loro bocca viene cucita definitivamente come è successo a Siani o a Peppino Impastato. A quest’ultimo dedicherò le righe che seguiranno affinché la gente non lo dimentichi mai e il suo sacrificio non sia stato vano. Peppino Impastato nacque a Cinisi, in provincia di Palermo, il 5 gennaio 1948, da una famiglia mafiosa (il padre Luigi era stato inviato al confino durante il periodo fascista, lo zio e altri parenti erano mafiosi e il cognato del padre era il capomafia Cesare Manzella, ucciso nel 1963, in un agguato nella sua Giulietta imbottita di tritolo). Peppino Impastato Ancora ragazzo rompe con il padre, che lo caccia di casa, ed avvia un'attività politico-culturale antimafiosa. Dal 1968 in poi, partecipa, con ruolo dirigente, alle attività dei gruppi di Nuova Sinistra. Conduce le lotte dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell'aeroporto di Palermo, in territorio di Cinisi, degli edili e dei disoccupati. Nel 1975 costituisce il gruppo Musica e cultura, che svolge attività culturali (cineforum, musica, teatro, dibattiti, ecc.); nel 1976 fonda Radio Aut, radio libera autofinanziata, con cui denuncia i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini, in primo luogo del capomafia Gaetano Badalamenti, che avevano un ruolo di primo piano nei traffici internazionali di droga, attraverso il controllo dell'aeroporto. Il programma più seguito era Onda pazza, trasmissione satirica con cui sbeffeggiava mafiosi e politici. La sua vita è ben documentata dal film di Marco Tullio Giordana I Cento Passi, con una splendida interpretazione di un giovanissimo Luigi Lo Cascio nel ruolo di Impastato. Nel 1978 si candida nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali. Viene assassinato nella notte tra l'8 e il 9 maggio del 1978, nel corso della campagna elettorale, con una carica di tritolo posta sotto il corpo adagiato sui binari della ferrovia. Pochi giorni dopo, gli elettori di Cinisi votano il suo nome, riuscendo ad eleggerlo, simbolicamente, al Consiglio comunale.La prima ipotesi sul delitto Impastato fu quella dell’attentato terroristico o quella di un improbabile ed allo stesso tempo eclatante suicidio. Nel 1992 il Tribunale di Palermo decise di archiviare il caso ribadendo la matrice mafiosa dell’omicidio ma escludendo la possibilità di individuare i colpevoli. Successivamente grazie all’opera del Centro Impastato, della madre e del fratello il caso viene riaperto e nel 1996 Salvatore Palazzolo,pentito di “cosa nostra”, indica in Gaetano Badalamenti,capo mafioso della famiglia dei “Corleonesi”, il mandante del delitto Impastato. L’11 Aprile del 2002 Gaetano Badalementi viene condannato all’ergastolo dalla Corte di Assise del Tribunale di Palermo.
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CHI DIMENTICA è MAFIOSO! Peppino Impastato, Aldo Moro, Giulio Andreotti, la P2: poche luci e molte ombre della storia italiana
L’omicidio di Peppino Impastato non destò un grosso scalpore all’epoca perché la sua morte avvenne lo stesso giorno del ritrovamento del corpo di Aldo Moro,leader dell’allora Democrazia Cristiana, in via Caetani. Tutto questo è casuale o Moro ed Impastato sono stati uccisi lo stesso giorno per caso? Le Brigate Rosse e la Mafia erano in contatto o hanno agito in contemporanea casualmente?L’omicidio “eccellente” di Moro è servito in qualche Aldo Moro modo ad insabbiare quello di Impastato o no? Non è mai stato dimostrato ( ma non è mai stato dimostrato neanche il contrario) se così fosse davvero bisognerebbe riscrivere i libri di storia. Ma proviamo a ipotizzare che non sia casuale. Il processo per associazione mafiosa contro l’ex senatore democristiano Giulio Andreotti ha messo in evidenza notevoli punti che lasciano diversi dubbi. Primo: Andreotti aveva contatti con ambienti mafiosi e con Gaetano Badalemanti in un gioco sporco di appalti dati a società che facevano capo a persone di stampo mafioso. Secondo: Andreotti aveva contatti(sarebbe meglio dire faceva parte) con la P2,loggia massonica di stampo post-fascista, e con Licio Gelli. Terzo: in Italia in quegli anni Berlinguer, leader del Partito Comunista Italiano, propose alla Democrazia Cristiana il “compromesso storico” con cui si intendeva lavorare insieme per una proficua collaborazione politica al fine di mettere al riparo la democrazia italiana da pericoli di involuzione autoritaria e dalla strategia della tensione che insanguinava il paese dal 1969. La proposta di Berlinguer fu ben accolta dall’ala di “sinistra” della DC rappresentata dal presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, ma non ebbe mai l’avallo degli U.S.A e dall’ala più conservatrice del partito rappresentata da Giulio Andreotti. Ma resta comunque soltanto un’ipotesi quella che collega i due delitti! Allora continuiamo a gettare nel calderone altre supposizioni al fine di dimostrare la nostra tesi. Carmine Pecorelli, giornalista e fondatore di Osservatorio Politico giornale meglio conosciuto come OP, si occupò del sequestro e dell’omicidio di Aldo Moro in numerosi numeri del suo giornale e la ricerca lo aveva portato, ormai senza forse, a scoprire alcune verità scottanti, tanto che profetizzò anche il suo stesso assassinio; altro suo bersaglio fu Giulio Andreotti,infatti Pecorelli avrebbe ricevuto dal generale Dalla Chiesa copia degli originali delle lettere di Aldo Moro che contenevano pesanti accuse nei confronti di Giulio Andreotti, e vi avrebbe alluso in alcuni articoli di OP. La sera del 20 Marzo 1979 Pecorelli,che l’indomani avrebbe dovuto testimoniare in tribunale per l’omicidio Moro, fu ucciso. Il 6 aprile 1993, il pentito Tommaso Buscetta, boss di “cosa nostra”, interrogato dai magistrati di Palermo, parlò per la prima volta dei rapporti tra politica Gaetano Badalamenti e mafia e raccontò, tra le altre cose, di aver saputo dal boss Gaetano Badalamenti, il mandante dell’omicidio Impastato, che l’omicidio Pecorelli sarebbe stato compiuto nell’interesse di Giulio Andreotti. La procura di Palermo aprì un’inchiesta che si concluse con la condanna a 24 anni di reclusione ad Andreotti e Badalamenti per essere stati i mandanti dell'omicidio. Dunque stato e mafia in quegli anni hanno intrattenuto numerose “collaborazioni” per gare d’appalto concesse a persone che avevano rapporti con la “cupola” e in particolar modo tra l’on. Giulio Andreotti e Gaetano Badalamenti; è stato dimostrato nelle inchieste di Pecorelli e nelle indagini di Dalla Chiesa un concorso tra Giulio Andreotti e l’omicidio Moro; è stato dimostrato attraverso i processi di giustizia e le testimonianze di pentiti mafiosi che Gaetano Badalamenti fosse il mandante dell’omicidio Impastato. Il fatto che Aldo Moro e Peppino Impastato sono stati uccisi lo stesso giorno resta frutto del caso! Poiché le autorità del 1978 e gli organi di stampa hanno indirizzato tutta la loro attenzione intorno alla scomparsa del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, ignorando che a Cinisi, un piccolo paese della Sicilia, quello stesso giorno un uomo libero veniva trucidato perché aveva avuto il coraggio di parlare; noi non lo ignoriamo e mostriamo tutta la nostra indignazione. Chi dimentica è mafioso! Attilio Nettuno
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ANTONI CASAS ROS
IL TEOREMA DI ALMODOVAR
Antoni Casas Ros non esiste. O meglio, esiste ma nessuno sa chi sia. Ha perso l’identità in un incidente automobilistico di 20 anni fa e da allora non ha un volto. O meglio, ce l’ha ma è più simile a un “Braque” che a un vero volto. Ha vissuto in varie parti d’Europa, ora abita a Roma e scrive solo via Internet. Tutto qui, non proviamo a saper altro di lui, se esista davvero o sia solo un “alter ego”: lasciamoci soltanto affabulare da questo esordio letterario sorprendente, autobiografia di una solitudine dolorosa e forzata, alleviata solo dall’ assuefazione al nulla. Solitudine da cui soltanto l’amore riesce a strappare il protagonista, amore così intenso da disintegrare la mostruosità e fare coriandoli di ogni apparenza; l’amore che senza compromessi è AMORE e basta: quello che non storce il naso ad unire un volto cubista e un corpo androgino. Lisa, (la donna amata da Antoni) è infatti una transessuale affezionata al suo pene, prostituta e perlopiù, alla faccia d’un mondo capace solo di giudicare: sa amare oltre ogni limite, carpendo la vera essenza delle cose distruggendo finalmente ogni confine. Cosa c’entrino Almodòvar e i teoremi, lo scoprirete leggendo questo libro, profondo (è il caso di dirlo) come la vita stessa. Luigi Impagliazzo
Antoni Casas Ros Il Teorema di Almodóvar Guanda 14 €
Tzvetan Todorov La Letteratura in Pericolo
Tzvetan Todorov La Letteratura in pericolo GARZANTI €11
Tzvetan Todorov è nato nel 1939 a Sofia e si è trasferito a Parigi nel 1963. All’inizio degli anni Sessanta ebbe un ruolo determinante nella diffusione dei formalisti russi. È un critico, storico e filosofo, direttore di ricerca del CNRS. Nel 2002 ha vinto il “Premio Nonino. A un maestro del nostro tempo”. A che cosa serve oggi la letteratura? In questo saggio Tzvetan Todorov discute sul vero significato della letteratura, sulla sua utilità e sulla maniera in cui dovrebbe essere insegnata oggi nelle scuole. L’autore analizza il ruolo della letteratura nei diversi periodi storici, sino ad arrivare al punto in cui il rifiuto di vedere l’arte asservita all’ideologia politica comporta la separazione tra letteratura e mondo, operata dai formalisti russi. Secondo l’autore il cammino intrapreso oggi dall’insegnamento letterario difficilmente porterà gli studenti ad amare la letteratura. L’accresciuta precisione degli strumenti di analisi che ha permesso studi più accurati, spesso, trascura la comprensione del vero significato delle opere letterarie,
portando ad una concezione riduttiva della letteratura. In tal modo gli studenti finiscono per non riuscire ad individuare alcun legame tra le opere letterarie e il resto del mondo e ciò contribuisce ad accentuare il crescente disinteresse dei giovani verso gli studi umanistici. Il mutamento necessario da attuare all’interno dell’insegnamento della letteratura deve far sì che l’analisi delle opere non abbia il solo scopo di illustrare i concetti introdotti dalla linguistica, presentando i testi soltanto come un’ applicazione della lingua, ma il suo compito dovrebbe essere quello di condurre al significato profondo dell’opera. E’ necessario, dunque, interrogarsi sul vero significato delle opere letterarie per scoprire qualcosa che possa arricchire la nostra esistenza. In questa prospettiva Todorov ci presenta la letteratura come una via verso la conoscenza dell’uomo. Le grandi opere letterarie sono piene di umanità e in esse forma e significato sono inseparabili. Secondo Todorov, se si accetta questa principale finalità dell’insegnamento letterario, la letteratura potrà divenire la migliore preparazione per tutte le professioni basate sui rapporti umani. Non si può fare a meno delle parole dei poeti e dei racconti dei romanzieri, perché consentono di esprimere i sentimenti dell’essere umano. Le opere letterarie ci fanno tremare, sognare, sorridere, disperare, possono essere compagne nei momenti di solitudine e per tutte queste ragioni la letteratura è semplicemente Vita. Alessandra Marziale
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PAOLA MASTROCOLA
E se covano i lupi
I personaggi principali dell’ultimo romanzo-favola di Paola Mastrocola sono un lupo ed un’anatra, già protagonisti del primo romanzo-favola dell’autrice Che animale sei?. In questa nuova vicenda, prosecuzione del primo romanzo, il protagonista è il Lupo, marito dell’anatra, che inizia a prendersi cura delle loro uova consentendo alla moglie di viaggiare per ritrovare se stessa e realizzare il suo sogno. Iniziano così i percorsi paralleli dei due protagonisti. Il lupo diventa amico di un riccio, conosce altri animali e deve spiegare a tutti, non senza difficoltà, per quale motivo un lupo cova, cosa che, di solito, è contro natura. L’anatra, invece, cerca di realizzare il suo sogno e di diventare una brava giornalista. Il tempo della schiusa delle uova, ventotto giorni, consentirà ai due personaggi di concludere questo loro percorso, di ritrovarsi e riscoprirsi prima di diventare genitori. Il linguaggio è molto semplice, non privo di uno stile ironico. Ciò che denota il romanzo può essere la sua stessa struttura: dieci capitoli che costituiscono ognuno una mini vicenda di uno dei due protagonisti, ogni capitolo è preceduto da un titolo che ne sintetizza la vicenda, ricordandoci le favole classiche di Fedro. Come tutte le favole classiche che si rispettino, il finale è riservato alla morale: dalla schiusa delle uova nascono due lupacchiotti e un pulcino, ripetendo così il fenomeno della vita. Sembra essere un fenomeno naturale ma in realtà rappresenta il frutto di un percorso nuovo che supera barriere ideologiche e ruoli sociali imposti.“ Finale e morale della storia dove sembra che tutto quel che è stato non sia nulla, ma non è cosi”. Enrica Mossetti
Paola Mastracola E se covano i lupi Guanda 15 €
IN…CHIOSTRO- in…CONTRI
Si è tenuta il 4 Aprile al Teatro Mercadante di Napoli la lezione magistrale di Umberto Galimberti, in occasione della IV edizione della manifestazione culturale L’Arte della Felicità. Incontri e conversazioni sul tema della paura. Sulla scia dell’analisi heideggheriana del fenomeno, l’autore de L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani sottolinea l’aspetto vantaggioso della paura, come meccanismo di difesa di cui ci ha dotati la natura per sopravvivere. Ben diverso è il sentimento dell’angoscia, che ha la sua origine nel senso di spaesamento e disorientamento di fronte all’incertezza del futuro. La differenza specifica tra l’uomo e l’animale non si individua più nel possesso della ragione, ma nella capacità di non agire in base agli istinti primari. Solo l’uomo ha la facoltà di poter scegliere tra infinite possibilità, ed è pertanto l’unico che può provare il sentimento dell’angoscia. Lo strumento di cui disponiamo per ridurre il grado di inquietudine è, secondo il filosofo psicoanalista, la razionalità come capacità di effettuare previsioni. I riti magici dell’antichità, i miti ed i tabù, i comandamenti religiosi, la filosofia, fino al sistema giuridico ed istituzionale moderno, altro non sono che un tentativo di programmare ed assicurare il futuro. Il processo di razionalizzazione culmina nell’epoca dell’economia e della tecnica. Scoprendosi il più debole tra gli abitanti della terra, l’uomo cerca di aumentare sempre di più le sue conoscenze tecniche, con la speranza di dominare la natura. Eppure approda ad un circolo vizioso, che alimenta soltanto la sua angoscia ed il suo senso di inadeguatezza. Non è la morte di Dio, secondo il Galimberti, a costituire il dramma della modernità annunciato dal Nietzsche, bensì l’incapacità dell’uomo di ricostruire nuovi valori. Il passo decisivo verso la felicità è possibile solo qualora l’uomo riuscisse a darsi una nuova morale adatta all’epoca della tecnica. Finché si resterà rivolti al passato, nostalgici per un mondo di antichi ideali ormai superati, l’uomo non sarà mai capace di uscire da questa empasse. La domanda inevitabile a cui è urgente rispondere oggi, per riconsegnare il futuro espropriato nelle mani dei giovani e per uscire da questa crisi epocale, è: quale possibile morale è all’altezza dell’epoca della tecnica senza controllo? Noelle Ferrante
In…Chiostro libri Compie 80 anni il “Giallo Mondadori”
1929-2009 Un Anniversario da brivido
Quando il 5 marzo 1929 in edicola comparve la prima detective-story La strana morte del signor Benson di S.S. Van Dine con la copertina gialla, al centro un disegno che inquadrava una scena del romanzo, in una cornice circolare e il titolo e autore a caratteri cubitali azzurri, il suo fondatore Alberto Tedeschi non avrebbe mai immaginato di aver lanciato uno dei mercati più fiorenti dell' editoria che solo nel nostro paese chiamiamo i “gialli” che per antonomasia circoscrivono tutto ciò che ruota intorno a un delitto e sua risoluzione. Soppresso nel '33 per ordine di Mussolini riprese nel '47 con distribuzione bisettimanale ottenendo un vasto successo fino alla prima metà degli anni'70. Ogni viaggiatore di treno si recava con 10 minuti d'anticipo nell'edicola della stazione per acquistare il suo autore preferito da Agatha Christie a Rex Stout, da Stanley Gardner a Hadley Chase, da Ellery Queen a Cornell Woolrich. S'immergevano nelle atmosfere caotico-metropolitane di Los Angeles, Londra, New York oppure nella rilassante campagna inglese o nel magico Oriente. Tutti avevano (e hanno) il loro prediletto: l'eccentrico ed erudito Philo Vance, il pantagruelico, rude e sarcastico Nero Wolfe coadiuvato dall' ironico dongiovanni Archie Goodwin, all'umano e pacato Perry Mason, alla dimessa e perspicace Miss Marple, al teatrale, vanitoso e analitico Poirot. La ricetta fondamentale è semplice: presentare ai lettori un enigma complicato e con gli stessi mezzi sfidare il protagonista a risolverlo e la soluzione è al contempo geniale e semplice. Ma il maggior insegnamento che ne traiamo è quanto la natura umana possa essere variegata senza l'ausilio di un libro di filosofia o un manuale di psicologia. Andrea Panico
Dietro tutti i muri ci vedo un assassino, lo scorgo in ascensore lo sento qui vicino. Anche in discoteca cammino di soppiatto, le cerco con la lente le impronte del mio gatto Ho pure consultato il primo fra i dottori: appena mi ha guardato ha detto risoluto… “ Né diete né curette le tolgono i malori. Ascolti il mio consiglio Chiuda i Gialli Mondadori Guido Orfici
Compie 80 anni il “Giallo Mondadori” “Se bisogna riflettere sulla faccenda,” osservò Dupin, rinunciando ad accendere la lampada, “lo faremo meglio al buio.” “Questa è un’altra delle sue idee strane,” rispose il prefetto, che aveva l’abitudine di considerare “strane” tutte le cose al di là della sua comprensione; di conseguenza, viveva in mezzo a una caterva di “stranezze”. “Verissimo,” rispose Dupin, mentre offriva al visitatore una pipa e gli avvicinava una comoda poltrona. “Qual è il problema?” domandai. “Non avrà a che fare con un altro delitto, spero. “No, niente del genere. Il caso è piuttosto semplice, e sono sicuro che potremmo cavarcela da soli. Ma ho pensato che a Dupin sarebbe piaciuto conoscere i particolari di questo caso, davvero molto bizzarro.” “Semplice e bizzarro,” disse Dupin. “Lo è. E non lo è al tempo stesso. Per la verità, siamo stati a lungo in dubbio proprio perché il caso è così semplice, e nonostante ciò ci sfugge.” “Forse a mettervi fuori strada è proprio l’estrema semplicità del caso,” disse il mio amico…………………. da EDGAR ALLAN POE
“La lettera rubata”
FERZAN OZPETEK a Napoli La monografia presentata da Laura Delli Colli s'intitola Ad occhi aperti, un titolo scelto da lei come mai ?Per due ragioni: la prima e che Ad occhi aperti è un racconto di Marguerite Yourcenair, una scrittrice che ho amato molto; il secondo perché il mio nome, Ferzan, in turco significa luce tra il tramonto e la sera. Come vi è venuta l'idea di questo libro ?L'anno scorso al MOMA ho incontrato Laura e tra chiacchierate e cene è uscito questo libro che non vuole essere né un bilancio della mia vita; né una autoconsacrazione. Da quello che ci ha detto c'è un rapporto molto stretto tra la vita e le sue opere...Sì; per me il cinema è specchio della mia vita, nei miei film ci sono molti elementi autobiografici ad esempio l'anello che si scambiano Alessandro Gassman e Francesca Aloja era la fede di mia nonna; oppure la pasticceria de La finestra di fronte e l'anziano che insegna alla giovane a preparare torte sono cose realmente accadute. Come la cucina di Saturno contro Sì la cucina del film è quella di casa mia Da questo bisogna intuire che Saturno contro è il suo film prediletto ? Sì; è un film molto intimistico a cui ho voluto dare un taglio corale a rappresentare anche la società d'oggi. A quali altri film è legato ?A tutti, ma sopratutto a due: Al bagno turco mio primo film e quindi l'ebbrezza e l'incoscienza di girarlo ma anche la paura di non avere successo. In questo film affronto anche il tema dell' omosessualità e come è sentito in un paese di fede musulmana. Sono molto legato anche alle Fate ignoranti un film che i produttori non mi volevano far girare fu poi il mio primo grande successo. E' un film molto complesso ma girato in maniera aperta e spensierata perché venne finito prima dell' 11 settembre e non c'era il sospetto dell'altro e in quel film ho fatto recitare Margherita Buy
raccontato da Andrea Panico
Nato a Istanbul, ma residente in Italia; Ferzan Ozpetek è uno dei registi più celebrati e acclamati della “nuova generazione” tanto da avere l'onore nel 2008 al MOMA di una retrospettiva di tutti i suoi film. Dopo essere stato aiuto-regista di Massimo Troisi, Carlo Mazzacurati ed Ermanno Olmi esordisce con Al bagno turco (1997) ma il successo arriva con Le fate ignoranti(2001) uno dei primi film in Italia a trattare in maniera limpida e cristallina il tema dell'omosessualità; il film viene bissato con l'altro successo La finestra di fronte(2003) che vede una magistrale Giovanna Mezzogiorno, un ottimo Raoul Bova e l'ultima maestosa prova d'attore di una delle colonne portanti del cinema italiano: Massimo Girotti. Dopo il meno riuscito “Amore sacro”(2005) eccolo nel film corale Saturno contro(2007) con Margherita Buy, Stefano Accorsi, Pierfrancesco Favino, Isabella Ferrari, Luca Argentero, Ambra Angiolini ed Ennio Fantastichini; il suo ultimo film è tratto da un romanzo di Melania G. Mazzucco Un giorno perfetto(2008).
Ci parli un po' delle sue attrici: Margherita Buy Con Margherita sono legata da profonda amicizia; è una donna molto tenera pure se tende a modificare la sceneggiatura come in “ Saturno contro” lei ha l'incontro nell'albergo con Isabella Ferrari e Accorsi e lei non voleva girare questa scena con la Ferrari in quanto la trovava poco adatta alla realizzazione del film. Isabella Ferrari Un'attrice straordinaria, bella in tutti i sensi da un risvolto molto materno che mi ricorda Anna Magnani. Barbara Bobulova Con lei non si è istaurato un buon rapporto è molto distaccata. Serra Yiltmaz Una donna simpaticissima sempre pronta allo scherzo come quella volta alla CNN in Turchia, la presentatrice mi chiese come Serra, che mi era seduta accanto, comparisse in tutti i miei film e io risposi che mi ricattava con delle foto compromettenti ne venne fuori un simpatico duetto ma l'intervistatrice ci ha creduto seriamente. Stefania Sandrelli Il mito. Io sono cresciuto con i suoi film e quando ho avuto l'onore di lavorare con lei inizialmente non mi riuscivo a dirigerla perché mi sentivo troppo presuntuoso; come si può dire ad un 'attrice che ami e che ci ha regalato pietre miliari del cinema, come indossare un vestito ? Lei è stata subito rassicurante una grande madre per tutto il cast. Giovanna Mezzogiorno Con lei si è istaurato un rapporto padre-figlia; ci sentiamo spesso. E' un attrice dotata di uno spiccato talento ma anche di un'ostinata professionalità. Sul set de La finestra di fronte lei voleva rendere sempre migliore la sua interpretazione, mentre, cosa rara per un regista, io le chiedevo di essere più spontanea.
Chi sono i suoi maestri ? Tutti i registi del cinema italiano e in particolare Dino Risi, Pietro Germi, Ettore Scola ed Elio Petri. Ci dice qualcosa del suo prossimo film ? Sarà una commedia corale ambientata a Lecce. Sto riscrivendo per la terza volta la sceneggiatura insieme ad Ivan Cotroneo e mi piacerebbe inserire nel cast Margherita Buy,Giovanna Mezzogiorno, Elio Germano, Luigi Lo Cascio, Toni Servillo, Sergio Castellitto e se mi riesce Gina Lollobrigida.
Come nacque l'idea della Finestra di fronte ? Da un evento realmente accaduto nella mia infanzia; io ospitai un ebreo che aveva perso la memoria per circa un anno e mezzo. E tale ruolo lo diede a Massimo Girotti regalandogli la sua ultima sublime interpretazione Sì, Massimo, che ho adorato molto nei film di Pasolini e Visconti, è un ricordo vivido piacevole e triste, vederlo recitare, la sua pacatezza, i suoi consigli d'attore vissuto senza alcuna supponenza; quello starti accanto nei momenti di difficoltà tecnica. Tra gli attori chi ricora particolarmente ? Alessandro Gassman fu molto coraggioso a diventare il protagonista del mio primo film; Accorsi lo considero un fratello, Argentero è un grande amico, ogni volta che devo fare un film mi chiede consiglio; infine quel burlone di Valerio Mastrandrea che mi fa scherzi telefonici Come lavora alla progettazione di un suo film ? Premetto che come la maggior parte dei registi mi amo poco. Tendo a scrivere la sceneggiatura diverse volte e dopo convoco gli attori a cena e ne do una copia da leggere, commentare e criticare. Al momento della direzione richiedo un'interpretazione spontanea e non mi accanisco a girare diverse volte la stessa scena; ma sono molto fissato sui dettagli.
“IAGO” di Valfango De Biasi
“C’è una cosa che non mi possono portare via: la mia intelligenza!”
L’“Otello” di Shakespeare fa di nuovo un viaggio nel tempo che lo trasporta dalla repubblica veneta del XVII secolo alla Venezia dei nostri giorni. Qui i personaggi principali sono tutti dei futuri e brillanti architetti che si trovano a lavorare insieme alla realizzazione dell’allestimento architettonico della Biennale. Il titolo del film indubbiamente ci porta a pensare che sia incentrato sulla figura del nemico-amico di Otello, in altre parole Iago. Infatti, quest’ultimo è diventato il protagonista della tragedia shakespeariana che s’innamora della figlia del rettore di facoltà, Desdemona, che però a sua volta s’invaghisce del moro Otello, che non solo porta via a Iago l’amore, ma anche il lavoro.Il regista di “Come tu mi vuoi” Volfango De Biasi si cimenta questa volta dietro la macchina da presa con una delle tragedie più patetiche di Shakespeare, l’ “Otello”. Un classico che viene talmente tanto stravolto non solo per il fatto che lo trasporta da tragedia a commedia, ma anche perché ne cambia completamente il senso più profondo. Infatti, quel sentimento, la gelosia, che motiva tutte le azioni dei personaggi non è più utilizzata con il fine di insinuare dubbi sulla fedeltà amorosa, ma lo scopo ultimo è quello di far rendere evidente la presenza nella società di persone che in qualsiasi momento approfittano degli altr i per il proprio torna conto. Nonostante l’idea in sé accattivante della trasposizione dell’“Otello” da un genere al suo opposto e dell’inversione dei ruoli dei due personaggi principali, Per cui Iago diventa il protagonista alienato e commiserato dal pubblico, mentre Otello si trasforma in un personaggio secondario e antagonista, De Biasi non riesce a tenere alta l’attenzione. Inoltre, proprio per questa inversione di ruoli e di genere è necessario che Otello alla fine sia punito e Iago premiato, così da rendere il finale molto scontato, a tal punto che lo spettatore arriva a pensare prima dei titoli di coda che sia uno scherzo, ma poi capisce che è tutto vero e ne rimane amaramente deluso.Inoltre la sceneggiatura non riesce ad aiutare gli attori che recitano in maniera molto impostata quasi innaturale, ma questo forse è dettato dal tentativo, mal riuscito, di lasciare un tono teatrale su uno sfondo prettamente moderno e tecnologico. Tuttavia è apprezzabile l’interpretazione di Fabio Ghidoni (Cassio) e anche quella di Lorenzo Gleijeses (Roderigo), invece i due protagonisti Nicolas Vaporidis (Iago) e Laura Chiatti ( Desdemona), dai quali ci si aspettava un’intensa rappresentazione, sono stati per così dire mediocri.Insomma un film che rivedrei solo per ascoltarne la colonna sonora e per ammirare quella che è considerata una delle città più romantiche al mondo, ma alla fine sarebbe scelta ancora più sensata andare direttamente a com prare il cd della colonna sonora e a visitare con il proprio/a compagno/a Venezia. Cristina Cipriani
”REVOLUTIONARY ROAD” di Sam Mendes “Non possiamo continuare a fingere che è la vita che volevamo, avevamo dei progetti, tu avevi dei progetti!”
Due giovani ragazzi di Manhattan, Frank e April Wheeler, dopo essersi sposati, decidono di trasferirsi in un quartiere signorile di New York: Revolutionary Hill. Frank ed April vivono negli anni cinquanta di un’America ancora bigotta e moralista che presuppone lo stereotipo della creazione, arrivati a una certa età, di una famiglia, nella quale la moglie deve occuparsi solo dei figli, della casa e del marito, mentre quest’ultimo del patrimonio famigliare. Tuttavia nella famiglia Wheeler ci sono delle ambizioni e dei desideri che i due genitori non vorrebbero mettere da parte; infatti, April cerca di diventare un’attrice, mentre Frank è alla ricerca della sua vera passione. Eppure Frank è costretto, dovendo badare al patrimonio famigliare, a fare un lavoro che detesta e April fallisce il tentativo, dopo aver studiato recitazione, di diventare una famosa attrice. Pertanto il loro rapporto comincia a corrodersi e con il passare del tempo i due si allontanano non solo dal punto di vista sentimentale, ma anche fisico. April oramai stufa di questa situazione cerca una soluzione che possa risollevare il loro matrimonio, che era basato sulle loro aspirazioni fuori dal comune.
Per questa ragione April propone a Frank di lasciare il lavoro e di andare a vivere a Parigi, dove lei avrebbe lavorato press o l’ambasciata, mentre lui avrebbe cercato di capire cosa davvero lo potesse rendere felice. Dapprima Frank acconsente con entusiasmo al progetto, andando insieme alla moglie contro una delle pr incipali convenzioni della famiglia americana, cioè il farsi mantenere economicamente da una donna che è inoltre la moglie. Tuttavia le cose cambieranno quando arriva una notizia inaspettata in famiglia Wheeler che sconvolgerà tutto il loro piano. Sam Mendes regista del film pluripremiato “American Beauty” ha diretto il film uscito nelle sale nel gennaio del 2009, “Revolutionary road”, che racconta la storia di una famiglia americana, tratta dall’omonimo romanzo di Richard Yates. Mendes ci presenta la famiglia Wheeler come se la guardassimo mettendola non davanti ad uno specchio, ma dietro di esso, così da non vedere il c ontrario di ciò che sono, ma come e cosa siano veramente. Infatti, il regista è abilissimo con l’occhio della sua cinepresa nel creare quel gioco visivo che ci permette di osservare dall’esterno ciò che è tremendamente profondo e intimo. Possiamo vedere e sentire quei sentimenti che spesso ancora oggi come negli anni cinquanta si celano tanto da dover recitare una parte, che però possono essere messe in discussione da chi ha una sensibilità che va oltre le convenzioni, come accade ai con iugi Wheeler quando incontrano il figlio un po’ folle della signora Givings. Tutto ciò poi ti fa rendere conto di quanto si può fingere pur di non tradire degli stereotipi, dai quali difficilmente ci si può allontanare senza creare scompiglio in una società in cui la maggior parte delle persone vive basandosi su di essi. Il film dal punto di vista estetico ha una forte carica emotiva e patetica, ma soprattutto l’uso della luce spesso calda rende l’ambiente ancora più intimo. Tuttavia per quanto riguarda i dialoghi in alcuni punti sono così poveri e ridondanti, da rallentare troppo il ritmo della narrazione e da far perdere la concentrazione al pubblico. Comunque “Revolutionary road” è un film di ingente valore poetico che deve ringraziare particolarmente la straordinaria interpretazione di Kate Winslet (migliore attrice protagonista per questo film e non protagonista per “The Reader- A alta voce”) e quella inconsueta di Leonardo di Caprio, che si ritrovano sul set dopo undici anni maturati sia dal punto di vista person ale che professionale. Cristina Cipriani
Quando la filosofia è “Lost” La tv ne ha combinata un’altra delle sue. Ha raggiunto la qualità. Tra risse da reality, format preconfezionati e privi di un qualsiasi interesse, c’è un angolo dove la tv assurge a livelli massimi di comunicazione, profondità, senso. Quest’angolo è quello della fiction americana, del telefilm, come lo chiamiamo. Le nuove serie tv che fanno capolino prima sui canali satellitari e poi, dopo qualche stagione di successo, sulle reti della nostra buona vecchia tv analogica, sono piccoli capolavori di narratologia che poco hanno da invidiare e molto da insegnare alla letteratura, che formano l’immaginario popolare, lo plasmano e, nel loro fascino pop- naif, sono strumenti potentissimi. Che dire di un personaggio complesso e politicamente scorretto come Gregory House della serie Dottor House? Della sua fortuna? Della sua pronta acquisizione nel terreno del classico? A nessuno questo nome andrebbe ripetuto due volte. Ormai è più e meglio conosciuto dei capolavori di Andy Warhol. È già arte. Che dire se non che nelle librerie è in vendita un libro intitolato ”La filosofia del Dottor House”, firmato Simone Regazzoni. Regazzoni, il professor Regazzoni, non è un mass-mediologo, né un opinionista da talk show: è un docente di filosofia all’Università Cattolica di Milano e, se i suoi colleghi come Arthu r Danto danno alla luce saggi di critica su artisti come Jeff Koons, lui democratizza la filosofia, la attualizza estendendola al campo della televisione. Proprio così. Nel mondo accademico e non, si parla di philosophy fiction; traduco per gli ormai pochi non anglofoni/fili: la filosofia della fiction. E non è un esperimento. Oltre al libro già edito su Dr House e su la saga del maghetto di Hogwarts Harry Potter, in vendita nelle librerie da aprile c’è un libro dal titolo “La filosofia di Lost”, basato sulla serie che l’autore definisce “una vera e propria opera d’arte televisiva, che destabilizza i canoni della narrazione filmica e pone questioni filosofiche di grande complessità”. Difficile, infatti, non cogliere le tracce filosofiche nell’ordi to, da quelle evidenti fino a quelle sotterranee; dai nomi dei personaggi che sono gli stessi di quelli di grandi menti come Locke, Hume, Bentham, allo stesso senso ultimo della finzione: la metafora. Se non si concepisse l’isola dei naufraghi come una metafora, di Dio o della realtà, la messa in scena sarebbe astrusa e incomprensibile. Siamo invece di fronte a una narrazione che ci pone interrogativi su la verità, il soggetto, il mondo. Estetica ed etica nella fiction, significati profondi e nascosti. Esperimenti d’interazione con il pubblico. E c’è anc ora chi parla di “cultura bassa” Angela Marino
SPECIALE GIORNALISMO Francesca Aulisio, giornalista pubblicista, dirige un’agenzia video giornalistica on line che fornisce servizi e immagini a tv locali e nazionali.
Intervista a Francesca Aulisio, direttore dell’agenzia “Videocomunicazioni News” Come sta cambiando il modo di fare informazione con l’avvento della rete? Credo che con l’avvento della rete il giornalismo e la sua fruizione siano completamente mutati. Tempo fa l’italiano medio apprendeva le notizie alle 20.00 dal Tg1, prima ancora dalla radio e dai giornali. Oggi invece l’utente interessato all’informazione la cerca in rete. Cerca, scova, clicca, digita e s’informa. Proprio per questo, già diversi anni fa, abbiamo aperto “Videocomunicazioni News” alla rete. Un esperimento pionieristico, all’epoca, ma senza dubbio importante.
L’utilizzo dei blog, di You tube, rende in qualche modo più amatoriale il giornalismo ? Di sicuro questi strumenti offrono a molti la possibilità di “diffondere”, a tutti gli effetti, video, dati, foto, insomma informazioni e notizie, tant’è che anche una testata importante come il Tg1 ha aperto una finestra informativa dedicata ai video di You tube: nel caso si tratti di notizie fondate e di interesse diffuso comunque, ben vengano gli amatori. Del resto, giornalisti lo si diventa e la rete aiuta a superare quegli ostacoli sempre più presenti nelle redazioni di quotidiani e tv.
Il giornalismo on line ha una maggiore incidenza sul formarsi dell’opinione del pubblico rispetto a quello televisivo, o alla carta stampata? Sicuramente, in particolare l’opinione di un pubblico giovanile. Passeggiando per strada, è più facile vedere un giovane con PC o note book aperto che con un giornale in mano. Le notizie davvero “fresche” sono disponibili solo sui siti internet, quando arrivano ai Tg o sui quotidiani, sono già vecchie.
Quali sono le opportunità per i giovani nel mondo della comunicazione? Non sta a me dirlo, ma navigando ci si imbatte in molte offerte di lavori creativi nel mondo della comunicazione: organizzatori di eventi, grafici, pubbliche relazioni, portali alla ricerca di corrispondenti multimediali a distanza… solo per citarne qualcuno.
Che cosa consiglierebbe a un giovane giornalista o uno studente che volesse diventarlo per formarsi? Va in strada e trova una notizia assolutamente originale. In base alla sua esperienza, pensa che sia difficile per una donna occupare una posizione dirigenziale come la sua nel mondo della comunicazione? Direi di no, o meglio non lo è in misura maggiore rispetto a tanti altri settori di competenza e specializzazione. Più che difficoltà, la definirei solo una maggiore esigenza (e per fortuna capacità) di organizzazione del tempo e dei differenti comparti di attività. Oltre al fatturato e a un preciso controllo di gestione, prob abilmente, dovremo occuparci di organizzazione della casa e magari di qualche pargolo… Poco male, a volte più cose si fanno e meglio si fanno.
In che modo opera un’agenzia di telecomunicazioni on line rispetto a un’agenzia tradizionale? Quali sono le differenze? La concorrenza per un’agenzia on line è molto nutrita. Diversificare il prodotto diventa fondamentale, ma è molto importante soprattutto la velocità con cui si inseriscono nel web le notizie.
Tra non più di cinque anni il New York Times sarà distribuito esclusivamente on line- pensa che il giornalismo in rete soppianterà la carta stampata? Lo sta già facendo, Angela Marino
ma molti fanno finta di non accorgersene.
Dal testo alla scena: una finestra sul Napoli Teatro Festival Dal testo alla scena è il titolo scelto per una serie di incontri promossi dal Napoli Teatro Festival e dalla Federico II (in particolare dal dipartimento di Filologia Moderna). Il primo incontro tenutosi il 31/03/2009 ci ha fatto assaporare un’anteprima del festival, che promette veramente bene! Dopo i saluti del prof. Arturo De Vivo (preside della Facoltà di Lettere e Filosofia) che si dice orgoglioso di questi incontri e ringrazia l’organizzazione del prof. Pasquale Sabbatino (direttore del dipartimento di Filologia Moderna), Renato Quaglia, il direttore artistico del Festival, sottolinea il carattere di internazionalità di questo, e dell’opportunità per Napoli di porsi al centro di un dialogo artistico internazionale, di fungere davvero da “città europea” per mezzo della collaborazione di artisti italiani e stranieri. La prof. Patricia Bianchi interviene per delineare il profilo artistico del vero protagonista dell’incontro, ovvero Manlio Santanelli. Il drammaturgo partenopeo, a giugno metterà in scena “ Napoli non si misura con la mente”(regia di Serena Sinigaglia), ed è proprio di questo affascinante testo teatrale che il maestro Santanelli ci parla, dando anticipazioni tramite la bravura dei suoi attori. “Il titolo stesso dell’opera mostra quanto la città di Napoli si rifiuti di trovare una chiave di lettura razionale e desideri rifugiarsi in una religiosità estrema. L’ambientazione è un talk show, dove all’improvviso qualcuno sostiene di aver visto la Madonna; dopo le prime perplessità vediamo che la tv si fa interprete della realtà e decide di fare suo il presunto miracolo, da mezzo di informazione diventa mezzo di deformazione, inglobando l’eccessiva religiosità partenopea in un reality show, il Grande Fardello, in cui dieci concorrenti sono impegnati nella costruzione di un santuario. Ma il tutto si affloscerà come una debole bolla di sapone”. Una presa in giro delle moderne realtà televisive che si sono sostituite ai nostri occhi, sfruttando in maniera ironica quella eccessiva religiosità partenopea che sfocia quasi nel paganesimo. Uno spettacolo che farà ridere e riflettere allo stesso tempo. E dunque aspettiamo con ansia di vederlo il 7 e 8 giugno prossimi all’Auditorium Domenico Scarlatti della Rai.
Francesca Bianco
Fiorina Izzo
A fine incontro abbiamo avuto l’onore di intrattenerci col Maestro Santanelli che gentilmente si è sottoposto ad alcune domande: Cosa si può fare per avvicinare i giovani al teatro ed allontanarli dalla tv dei reality? Banalmente rispondo che bisogna uscire di casa! In realtà consiglio ai giovani di buttarsi e provare a fare teatro, anche scrivendo. Il teatro, inoltre, per avere un pubblico più giovane deve presentarsi in maniera leggera e usare la carta dell’ironia. C’è poi una funzione terapeutica del teatro: esso è , sin dal Quattrocento, forma di insegnamento ed inoltre, è terapia e palestra di intelligenza, una vera e propria forma di socializzazione. Seppur può portare alla follia, tuttavia si tratta di una follia sana, basata sull’immaginazione.
C’è un filo che collega, relazionandole, alcune sue commedie precedenti e l’opera che sarà presentata al prossimo Festival? Ad esempio in Bellavita Carolina (luglio 1983), alla fine la protagonista si rifugia in un “delirio mistico”… Sicuramente c’è un legame tra la mia produzione passata e “Napoli non si misura con la mente ” ed è l’analisi di alcuni aspetti della religiosità partenopea, la religiosità dei vicoli, dove il sacro sembra mescolarsi al profano. In questo lavoro c’è anche la condanna della tv e della sua pretesa di gestire la nostra intelligenza personale. I signori che fanno questo tipo di televisione assomigliano alle persone che sciolgono gli enigmi sbirciando dalle soluzioni, con la pretesa poi di fornirci domande e risposte.
La Natura uccide e l’Uomo sta a guardare Alle 3.35 del 6 aprile scorso in casa mia squilla il telefono; parenti impauriti ci avvisano che c’è stato un terremoto, non conosciamo ancora l’epicentro per cui la paura è ai massimi livelli. Il giorno dopo scopro che la scossa di magnitudo 5,8 ha colpito l’Abruzzo, una regione a me cara, dove è nato mio padre e dove ho trascorso tutte le estati della mia vita. Accendo la Tv e seguo il calvario di quelle persone che sperano di ritrovare ancora vivi i loro cari sotto le macerie. Qualche vita viene salvata, ma è niente in confronto a quasi 300 morti; vite spezzate da una violenza che non trova giustificazione, la natura p uò essere più crudele dell’uomo. Il mio pensiero non è rivolto soltanto alle vittime, ma anche ai sopravvissuti che hanno perso tutto, una parte della loro vita rimarrà sepolta sotto quel cumulo di detriti. Le autorità politiche parlano di ricostruzione, ma ciò che mi preoccupa non è solo il rimettere in piedi gli edifici, ma il richiudere la voragine aperta nell’animo degli abitanti di quei paesi. Come si può ricominciare? Dopo queste tragedie, in genere, si parla di solidarietà, di fondi disponibili, di mobilitaz ione di volontari e tutti gli occhi sono puntati su quei luoghi; su paesini di cui il resto d’Italia, magari, non conosceva neanche l’esistenza prima che le telecamere si accendessero sulla loro devastazione. Mi chiedo se non fosse stato il caso, prima che avvenisse la catastrofe, di parlare di Prevenzione! Perché in un luogo notoriamente sismico non sono state adottate norme di costruzione anti-sismica? Com’è possibile che la maggior parte degli edifici siano crollati come castelli di sabbia? L’unica risposta che mi viene in mente, dopo aver ascoltato in Tv le varie giustificazioni, accuse e richiami alla fatalità, è che l’incoscienza e la disonestà sono più forti di ogni altra cosa, anche del pericolo! Sono disponibili numerosi documenti che attestano studi scientificamente verificati sulla diversa esposizione al rischio sismico delle aree del territorio nazionale. In base a questi dati è possibile individuare in quali comuni sia necessario ricorrere a tecniche edilizie idonee ad aumentare la resistenza degli edifici in caso di terremoto, in modo da ridurre i crolli e soprattutto il numero delle possibili vittime. Le caratteristiche di resistenza delle costruzioni alle azioni di una scossa sismica si misurano in base alla Vulnerabilità, ossia la predisposizione di una costruzione ad essere danneggiata da una scossa sismica. In Italia, abbiamo Zona 1 - Alto. E' la zona più una pericolosità sismica con un livello medio-alto, ma la pericolosa, dove possono verificarsi forti terremoti. Penisola italiana, però, rispetto ad altri Paesi, come la Zona 2 – Medio. In questa California o il Giappone, nei quali la pericolosità è anche zona possono verificarsi maggiore, ha una vulnerabilità molto elevata, per la notevole terremoti abbastanza forti. fragilità del suo patrimonio edilizio. Per cui per ridurre le Zona 3 – Basso. I Comuni perdite di vite umane è necessaria una pianificazione interessati in questa zona possono essere soggetti a territoriale più coscienziosa nelle aree a rischio sismico, in scuotimenti modesti. modo tale da poter convivere con questa calamità nel modo Zona 4 – Molto Basso. E' la meno pericoloso possibile. Di seguito è riportata una meno pericolosa. Nei comuni classificazione delle regioni italiane in 4 categorie, in base al inseriti in questa zona le loro rischio sismico, calcolato sia per frequenza che per possibilità di danni sismici sono basse. intensità degli eventi. Alessandra Marziale
Ronde, un passo indietro Con il cosiddetto “decreto antistupri” sono entrate in vigore alcune norme in direzione di un più efficace contrasto alla criminalità “di strada” e alle violenze contro le donne, anche introducendo il reato di “stalking” (ossia della persecuzione ossessiva). La novità più controversa, tanto da essere stata stralciata al momento della conversione del decreto dalla Camera, riguarda sicuramente la possibilità data ai sindaci dei Comuni di avvalersi di associazioni spontanee di cittadini, preventivamente registratesi presso la prefettura, con il compito di segnalare alle forze dell’ordine “eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale.” Le famigerate ronde, per intenderci. Ciò che preoccupa molti è la totale assenza (per ora) di una definizione dei comportamenti che i “rondisti” saranno tenuti a osservare: infatti, gli “ambiti operativi” e i requisiti per l’iscrizione nell’elenco devono ancora essere emanati con apposito decreto del ministero dell’Interno, anche se, dopo lo stralcio, è più probabile che questi vengano previsti dalla legge ordinaria che disciplinerà la materia. Ma nel frattempo, in molte città, già si costituiscono associazioni più o meno “sponsorizzate” da partiti politici, e non dei più “umanitari”; emblematico il caso di Trieste (città notoriamente martoriata dalla criminalità di strada) in cui il movimento di estrema destra Fiamma Tricolore ha “messo a disposizione” del Comune un centinaio di persone, tutti “rigorosamente italiani” ed esperti di arti marziali od ex esponenti delle forze armate o di enti di pubblica sicurezza, associazione peraltro intitolata ad un ex combattente della Repubblica di Salò. Anche l’osservatore più cauto non può non chiedersi, nell’attesa che i legislatori ci facciano sapere quali sono i compiti effettivi e i limiti da porre ai partecipanti alle ronde, di che utilità possa essere l’esperienza o l’addestramento nel combattimento, e con quale spirito gruppi di persone, messe insieme da un movimento non nuovo ad iniziative violente e xenofobe, possano adempiere al loro compito di “segnalare eventi” alle forze dell’ordine. Quand’anche fosse loro data facoltà di intervenire in prima persona, e ci si augura che uno Stato non voglia veramente ridurs i a “delegare” in questo modo il monopolio dell’uso della forza legittima a private associazioni, più o meno benintenzionate, è tutto da dimostrare che le ronde si riveleranno efficaci nel contrastare comportamenti criminosi, tanto più se la condizione necessaria è la flagranza; ci si chiede, tanto per fare un esempio se, nel Settentrione colpito dalla “piaga” dei furti in abitazione, gruppi di cittadini che escono dalle loro abitazioni per girare in strada siano efficaci a contrastare questo fenomeno, o se piuttosto non possano facilmente cadere nella tentazione di effettuare veri e propri raid nei confronti di alloggi di extracomunitari o campi rom, da qualche anno oggetto di una rabbia popolare crescente e provvidenzialmente incoraggiata dai principali mass media; o ci si potrebbe chiedere quale sia l’efficacia di uno strumento simile nel contrasto alle violenze sulle donne, dal momento che la stragrande maggioranza di queste violenze avvengono all’interno delle mura domestiche e da parte di conoscenti o familiari, e molto più raramente da parte di estranei, e in ogni caso non certo in mezzo alla strada davanti agli occhi del primo gruppo di rondisti. A ciò si aggiunga che alcune di queste neonate associazioni sono costituite perlopiù da uomini e donne anziani e (ovviamente) sprovvisti di qualsiasi arma, e ci si potrebbe chiedere chi costituisca un pericolo e per chi: la ronda di anziani annoiati per la gang di (poniamo) ragazzi di strada drogati o viceversa?
Salvatore Borghese
Al cavaliere di Bianca Luna
Anche I Sogni Fanno Tardi
racconto inedito
Le chiavi gli dondolavano nella tasca del jeans mentre correva verso la fermata dell'autobus. La raggiunse dopo aver dribblato due pozzanghere. Si mise al riparo sotto la tettoia, chiuse l'ombrello e si sedette. Era solo e in attesa del solito maledetto autobus col solito stramaledetto ritardo. Provò ad
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ascoltare l'mp3, ma scoprì subito che era scarico. Mentre provava a rianimarlo una goccia gli schizzò
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sul viso. Lei. Gli chiese una sigaretta. Lui gliela diede. Si sedette al suo fianco e una parte del suo stinco gli sfiorò il ginocchio. Contemplò per un attimo le sue dita che stringevano con delicatezza la Marlboro. Sembrava quasi che non volesse fumarla. Se la portò alla bocca e cacciò fuori un lungo sospiro. Non parlò. Aveva delle belle gambe e lui sentiva che aveva qualcosa da dirle ma non
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immaginava neppure cosa. Voleva sapere il suo nome, vederla mangiare, sentirla suonare (chissà se poi avevano mai suonato quelle dita), sapere se qualche volta anche lei si sentiva come lui. Sola e
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indaffarata coi suoi pensieri, neppure si accorgeva di lui e del suo sguardo fisso verso di lei. Sperava in qualcosa di diverso. L'autobus ancora non arrivava e a lui non importava. Decise di provarci. Le chiese se stava aspettando l'autobus che stava aspettando lui. Domanda stupida. Lì passava solo quel bus. Ma lei gli rispose che non era lì in attesa dell'autobus. Semplicemente cercava un posto dove
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sedersi. Guardò i suoi occhi per la prima volta. E vide se stesso. Si piaceva un po' di più. Un po' di più
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rispetto a quando le cose le immaginava, le studiava e le guardava dentro di sé. Sognava di fare qualcosa che restasse e lei restava. Restava anche lui. L'autobus era passato. Passò anche quello seguente. Entrambi sul gelido metallo di quella panchina a mezz'aria. Costruivano l'idea che anche i pensieri possono bastare. Frammenti dirottati verso altri frammenti. E'troppo grande il desiderio di creare dal nulla qualcosa. Tocchi con la punta del naso il cielo che avanza verso di te e gli chiedi scusa
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del fatto che avresti potuto essere in un altro modo. Ma non arrenderti adesso. Avvicinati alla
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trasformazione che ti aspetta invece di restare chiuso in quel bozzolo che è poi la tua scusa per stare al riparo dalla tua vita. Perché certi sogni arrivano in ritardo proprio quando tu non ce la fai più ad
M ,
aspettarli, nel momento stesso in cui smetti di credere nell'idea che ci siano cose che devi scoprire tu, scartarle come un regalo e vedere che qualcuno non ti ha dimenticato anche quando tu hai dimenticato tutti. Lei si alzò e gli rivolse un sorriso. Non passavano più autobus. Aveva smesso di piovere. Non parlava, gli prese la mano e lo invitò con un leggero movimento del volto a camminare con lei. Si sfregò la guancia di lui contro la sua. Certe cose le vorresti tenere strette tra le tue mani e invece ti appartengono solo quando ti accontenti di sfiorarle. Lui sapeva che tanto non andavano da nessuna parte, ma non gliene fregava niente. Perché gli piaceva stare con lei. Sì, la conosceva da un'ora, ma gli piaceva sentire il calore del suo palmo sul suo, avere un po' di tempo per capire quali fossero i suoi difetti, vedere un film romantico e passare il tempo a fare niente in sua compagnia. Lei esiste e questo bastava a lui e, a volte, può essere abbastanza per il mondo intero.
Bella
Ugo
la
Obbligatemi a lasciare l’ordine e a fermarmi nelle oziose attese. Fatemi rinunciare alle mie fantasie e fatemi scordare ciò che ho fatto. Le mie gambe lasse non si solleveranno da questa sabbia e le mie braccia non opporranno resistenza alla vostra lama, qualora decideste d’imprimermi il costato. Non c’è vita nell’inerzia, né nella viltà! C’è vita solamente nell’onore e nel coraggio; nel rischiare e nell’essere pagliacci per il mondo. Ronzinando per mille campi e conoscendo mille imprese letterarie ho saputo affrontare con ardore l’enormi braccia dei giganti, greggi di nemici, burattinosi demoni e fantasmi. Ho fatto del mio paggio un grande comandante, e ho saputo amare chi amore non m’ha dato. Ma per nulla al mondo vorrò sentirvi dire che Madonna del Toboso è seconda ad altra donna! Dite altre sciocchezze! Dite che ho indugiato di fronte al male e che ho voltato gli occhi nella direzione opposta a quella del pericolo. Umiliatemi, affermando che sono stato sordo all’eco straziante dei deboli che hanno invocato il mio nome, come ultima speranza. E dite in giro anche l’assurda verità, di me, oggi, sconfitto! La regola m’impone d’esservi sottomesso, ma insisto con furore nel palesare che il mio Amore è primo in bellezza anche dentro al cielo. Le stelle la invidiano, la luna impallidisce di fronte a lei, gli astri la temono e si raggruppano. Io invece l’amo solamente tanto che non esiste parola per dire quanto. Persino voi, se la vedeste capireste con vergogna l’oltraggio osceno venuto fuori dalla vostra bocca, convivendo per la vita con la colpa di ciò che avete detto. Ora, non so perché piangete, né perché lo faccio anch’io! So solo che malgrado questa caduta ho un’ultima missione d’affrontare: devo conquistare la sua libertà. Il mio scudiero m’aiuterà in questo scopo. E poi tornerò a casa dai miei cari a ribadire all’eco il mio nome già famoso perché ricordate cavaliere non sono io colui che lotta per le cose inutili.
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Gioacchino Iuzzino
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MAGGIO NEI MUSEI
È maggio dei monumenti anche al Centro Musei delle Scienze Naturali d’Ateneo che apre le porte ogni sabato del mese ai visitatori.
Si parte sabato 9 maggio con la visita, alle ore 10, al Real Museo Mineralogico e alle 11.30 al Museo di Antropologia. Si continua il 16 maggio di nuovo al Real Museo Mineralogico con visita a partire dalle 10, mentre alle 11.30 partirà la visita delle stanze del Museo di Paleontologia. Sabato 23 porte aperte invece al Museo Zoologico e a quello di Antropologia (10 e 11.30) per chiudere, il 30 maggio, con la visita al Museo di Paleontologia e al Museo Zoologico e guide in partenza alla stessa ora. Per partecipare bisogna prenotare via mail la propria visita indicando il giorno prescelto all’indirizzo codidatticacm@unina.it oppure chiamando allo 081.2537587 entro il giovedì precedente alla data della visita. L’ingresso compreso di guida è pari a 2 euro per ogni museo. Per informazioni:
www.musei.unina.it
ROBOT: SOGNO E BISOGNO
Giovedì 21 maggio decimo appuntamento di Come alla Corte di Federico II - ovvero parlando e riparlando di scienza. Protagonista dell'incontro sarà Bruno Siciliano, docente dell'Ateneo, con un convegno dal titolo "Robot: sogno e bisogno".
Appuntamento alle 20:30 al Centro Congressi d'Ateneo, in via Partenope 36.
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Martedi' 19 Maggio 2009 presso il Palapartenope di Napoli: Giorgia in concerto. E' possibile avere maggiori informazioni sull'artista accedendo al sito ufficiale: www.giorgia.net
FABULA VERGILIANA 23 Maggio 2008 - 23 Maggio 2009 Nella suggestiva scenografia degli scavi del Complesso Monumentale di San Lorenzo, opportunamente illunimati da lanterne, i NARRATORI DELL’ARTE di MANI E VULCANI racconteranno, in un viaggio immaginario le vicende di Virgilio che a Napoli oltre che poeta si ricorda come autore, secondo la leggenda, di tanti prodigi. Lo studio minuzioso del testo “Cronaca di Partenope”, antico manoscritto del 1300 conservato alla Biblioteca Nazionale di Napoli, effettuato dallo studioso Massimo D’Antonio e la direzione artistica di Antonio Di Martino hanno fatto in modo da recuperare, anche visivamente, i segni dei prodigi di Virgilio presenti in città. Un nuovo tassello per Napoli, affinché rioccupi il posto che le compete per…Storia, Cultura e Tradizione.
Info e contatti: Tel: +39.081.2110860 - +39.081.5517611 Web: www.sanlorenzomaggiore.na.it