L'eco di Cassandra

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Iniziativa patrocinata dall’Ateneo Federico II Testata registrata al Tribunale di Napoli n. 99 del 22-12-08

Anno II n. V Ottobre-Novemre 2009

Ottobre-Novembre 2009

News,cultura,attualitĂ e tanto altro!


Direttore responsabile Lorenzo Crea

Fondatori Leonarda Di Meo Giancarlo Marino Mara Russo Gestione sito web Alessandra Marziale Impaginazione Luigi Impagliazzo

Redattori

Indice Presentazione iscrizione albo News Echi dall’Ateneo pag 3 Echi dal mondo pag 6 Recensioni Libri Lettere in‌chiostro pag 8

Ilena Ambrosio; Simona Bonetti; Lavinia M. Caradonna; Antonio Cristiano; Fabrizio SPECIALE: Cassandra Dossier pag 10 De Rosa, Mirella De Sisto; Giovy De Vita; Musica: Il flauto di Pan pag 11 Eduardo Di Pietro, Serena Di Vito; Matteo Cinema e Tv: Dietro lo schermo pag 12 Dell'Aria; Giovanni Di Benedetto; Jundra Elce; Giulia Esposito; Sabrina Gamella, Riflessioni: Il Giardino di Epicuro 18 Antonella Giacomaniello; Simona Grieco; Racconti e poesie: Parnaso Sara Imbriani; Annamaria Iodice; Fiorina Eventi Izzo; Maurizio Esposito La Rossa; Francesco Lobefalo; Enrica Mossetti; Angela Marino; Alessandra Marziale; Andrea Panico; Giovanni Schiavone; Gabriele Stasino; Allegra Taglialatela; Vincenzo Vezzi. Vuoi partecipare anche tu a questo progetto? METTITI IN GIOCO! Per contatti ed info: cassandra.inchiostro@yahoo.it Per inviare i tuoi racconti: cassandra.racconti@libero.it Per inviare le tue poesie: cassandra.poesie@libero.it

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NEWS: ECHI DALL’ATENEO Gli studenti incontrano ENZO AMENDOLA Giovane candidato Segretario regionale PD Enzo Amendola, candidato alla segreteria regionale del PD, ha 35 anni e iniziò il suo impegno politico a 16 anni. Eletto a 18 anni per i DS capogruppo nella circoscrizione del centro storico di Napoli, nella Sinistra Giovanile ha ricoperto il ruolo di responsabile esteri nazionale e di vice presidente della IUSY. Dal 2001 al 2006 ha ricoperto il ruolo di segretario Generale della IUSY. Negli ultimi due anni è stato membro del Presidium e dell´Esecutivo dell´Internazionale Socialista (IS). Per la IUSY è stato delegato ai più rilevanti forum internazionali: dal Consiglio d´Europa al World Social Forum. Ha partecipato a varie riunioni del PSE e della IS per i DS ed è stato membro del Consiglio nazionale dei DS; dal luglio 2006 ha fatto parte della Segreteria Nazione dei Democratici di Sinistra con incarico per il Mezzogiorno. Da novembre del 2006 alla nascita del PD è stato segretario regionale Ds Campania. Da Luglio 2008 coordina l'associazione ReD in Campania. Studenti: Iniziamo parlando del tuo impegno in campagna elettorale e delle tue idee sull’università, in Campania in particolar modo… Amendola: Questa campagna elettorale è lunga ma non mi stanca perché è divertente: è un’esperienza positiva poiché mi fa girare la regione. La Campania ha quasi 6 milioni di abitanti e presenta grandi potenzialità e grandi problemi. Il suo tessuto socio-politico è saltato, è necessario ricostruire il partito e il senso del lavoro di squadra. Il problema delle università in questa regione è che non hanno un ruolo sociale, forse questo non è vero solo per la città di Benevento. Ma a Napoli è evidente: l’intellettualità giornalistica è solo apparente, il contributo sociale dei docenti consiste unicamente nel lamentarsi e quello studentesco sta decadendo. Basta pensare al movimento di protesta contro la riforma Gelmini dell’anno scorso che finì in una progressiva autodistruzione. La Campania è una delle regioni con il più alto tasso di avvocatura – forse a livello mondiale. Ma la classe dirigente politica, imprenditoriale, professionale e intellettuale è debole. È necessario favorire il ricambio delle classi di una regione che vive in stretto rapporto alle istituzioni e risente di una capacità analitica da parte intellettuale e giornalistica improduttiva. Il nostro scopo dev’essere seguire il principio di Hannah Arendt “la politica è creazione”. Per questo negli ultimi sei mesi ho cercato di comprendere i problemi della gente e ho capito che c’è bisogno di una “riscossa civile”. Dei problemi dei ricercatori universitari, per esempio, non si sente mai parlare, ma ci sono. Mentre ricercatori come Massimo Adinolfi, uno dei migliori editorialisti de “Il Mattino” è all’Università di Cassino che trova la possibilità di insegnare. Io non credo nelle rivoluzioni per cambiare le cose. Le strutture precostituite vanno messe in discussione con novità e proposte. Invece l’ambiente universitario campano si lamenta del sindaco e del presidente della regione senza andare oltre. Dal governo arrivano solo riforme inadatte al sistema statale italiano. Questo vale per le innovazioni dell’università, quelle della riforma organica


ai corsi di laurea del ministro Gelmini, così come per la riforma delle pubblica amministrazione sbandierata da Brunetta, per l’economia e la finanza – abbiamo sentito in ultimo dello scudo fiscale! – e, tornando all’istruzione, per le scuole – dove la razionalizzazione dei costi equivale al taglio dei precari, con il risultato che una scuola possa restare chiusa per carenza di personale. Noi siamo riformisti e quindi siamo sempre disposti a discutere delle proposte del governo, ma non aspettiamoci grandi cambiamenti. Mentre in America Obama parte dalla crisi per applicare le riforme e risolvere i problemi, in Italia restiamo in dubbio. I fondi mancano ma non esistono riforme a costo 0: gli unici sbocchi continueranno ad essere la politica degli annunci e i tagli come quelli della Gelmini – mirati puramente ai costi e non anche alla qualità dei servizi offerti, ad esempio, da un’università valida come l’Orientale. Allora le mie proposte per cambiare la situazione andrebbero in due direzioni: un rinnovamento delle classi dirigenti del Mezzogiorno (in tutti i campi a partire da quello politico, aspirando a una “riscossa civica”) costruito sul merito e non più sulla demagogia banalizzante che dilaga sui giornali, mirata ad abbattere il sistema pubblico nazionale. E poi alla discussione di riforme, pur cosciente del fatto che c’è un fondamentale problema di liquidità e di contabilità. Nel caso dell’università ad esempio, la razionalizzazione dei costi si otterrà intervenendo sulla docenza. In questo senso sono da studiare i propositi della riforma universitaria del governo: il bisogno di razionalizzare c’è ed è anche al localismo universitario che bisogna guardare. L’Italia ha subito una crescita disordinata, ho avuto occasione di visitare un paese di 5000 abitanti nel casertano che a veva ben 7 scuole. La spesa per la Giustizia nel nostro paese è tra le più alte d’Europa ma il sistema è tanto capillare quanto disorganizzato. Allo stesso modo c’è stata una grande proliferazione degli ospedali che però non sempre possono garantire un adeguato livello qualitativo. Eppure riformare costa e questo governo non vuole pagare i prezzi necessari – Brunetta fa grandi dichiarazioni ma nell’effettivo, oltre alle circolari amministrative, dov’è la sua riforma? Sentiamo spesso dire che “il problema dell’Italia è il Mezzogiorno”, ma il problema del Mezzogiorno è che è in Italia. Per il momento nel mondo dell’università non può che regnare l’attesa; tutto il resto è politica dell’annuncio. Dobbiamo fare in modo che la società civile sviluppi un opportuno spirito critico. La nostra è una generazione di studenti che ha vissuto tutte le riforme degli ultimi anni: da quella dell’esame di stato a quelle degli ordinamenti universitari. Il sistema del 3+2 si è rivelato un gioco al ribasso in termini di preparazione e di possibilità successive alla carriera accademica… Sì ma non dimentichiamo che riformare il mondo universitario era necessario. Il processo partì dal governo di centro-sinistra e dal ministro Berlinguer con il Processo di Bologna: l’Italia allora era la nazione più arretrata d’Europa in ambito accademico. Ma oggi le cattedre si sono moltiplicate in maniera spropositata: a Giurisprudenza, per dirne una, sono triplicate. E si è passati per varie riforme degli ordinamenti tra 3+2 e 4+1. I veri costi stanno nella contrattualizzazione feroce dei docenti universitari; io non credo negli schieramenti opposti ai baronati universitari, ma il discorso riguarda semplicemente una questione di sprechi interni. E poi ci sono errori oggettivi come quelli della riforma Gelmini, puntati all’esclusione dai dottorati di ricerca degli studenti che non hanno sufficienti mezzi economici, senza un giusto valore attribuito al merito e al censo dello studente stesso. Di fatti bisognerebbe intervenire anche sulle difficoltà che l’università presenta nell’equa valutazione delle condizioni economiche degli studenti e nella conseguente distribuzione delle borse di studio. Ci sono molti evasori che non vengono individuati e che possono godere dei benefici a cui non ha accesso il figlio, per esempio, di un impiegato pubblico il cui reddito è determinato onestamente.


Questo è un discorso delicato perché va a toccare lo spazio che il governo di centro-destra cerca di ritagliare per la privatizzazione dell’università. Se provieni da una famiglia modesta, con l’immobilità sociale di cui il nostro paese risente, anche dopo aver ottenuto una laurea non avrai particolari possibilità di crescere. Un’università privata richiede determinati costi che ti illudono di offrirti una laurea di più alto livello. La tutela dell’assistenza economica agli studenti va per questo senza dubbio curata, senza fornire il destro alla teoria della privatizzazione. E il problema della “massificazione” è arrivato anche ai master, per cui quelli più economici non vengono valutati nel mondo del lavoro e quelli più costosi sono, per questo, spesso inaccessibili. Si avverte una forte sfiducia, se non avversione, diffusa tra gli studenti nei confronti della politica. Durante le proteste per la riforma Gelmini il PD assunse una posizione di insopportabile immobilismo: cosa pensi di questo solco che è stato scavato tra politica e cittadini e qual è l’atteggiamento che il partito vuole assumere verso le organizzazioni studentesche? Il problema principale al momento è che il partito non c’è. Il Partito Democratico sta arrivando al congresso di ottobre proprio per stabilire delle linee guida di condotta e mirare a un forte radicamento popolare. Nel partito dovranno esserci interessi tendenti a tutte le direzioni, un vero e proprio caos organizzato. Sicuramente c’è la volontà di investire sulle organizzazioni studentesche che sviluppino una propria coscienza e non si limitino ad essere mere repliche del partito. Così si otterrà un pluralismo, ciò che vorrei arrivare a sorreggere. Anch’io provengo da esperienze analoghe e so quanto sia difficoltoso risentire della mancanza dell’appoggio partitico: può verificarsi una condizione analoga a quella di un sindaco che, in amministrazione, si ritrova da solo senza i riferimenti a cui si affidava. Mi piacerebbe che ci vedessimo nuovamente nelle prossime settimane, prima del congresso di ottobre. Potremo approfondire questi argomenti e aggiornarci. Grazie, organizzeremo volentieri un altro incontro… Grazie a voi. Eduardo Di Pietro


ECHI DAL MONDO Napoli-Bucarest A+R Napoli-Bucarest/Bucarest-Napoli è una tratta che va sempre più di moda tra gli immigrati romeni che hanno cercato fortuna nel meridione del Belpaese, tant‟è vero che, nel luglio scorso, quando l‟italianissima compagnia My Air ha dichiarato fallimento, la compagnia romena Blue Air ha triplicato i suoi voli settimanali di collegamento tra Italia e Romania, facendo incetta dei passeggeri che improvvisamente erano rimasti a terra. Da quando la Romania è entrata a far parte nell‟ Unione Europea nel gennaio del 2007, i voli settimanali di collegamento tra i due paesi si sono moltiplicati, arrivando fino a 335, perlopiù low-cost con tariffe accessibili a tutte le tasche. Questi dati non sorprendono affatto se si pensa che la comunità romena occupa il primo posto tra quelle straniere in Italia, essendo formata da oltre un milione di abitanti, un quarto di tutti gli immigrati. Questa migrazione da parte dei cittadini romeni in Italia non è stata uniformemente distribuita nel corso del tempo. Se sotto la dittatura di Nicolae Ceasescu l‟emigrazione era vietata del tutto, dal 1989, anno della caduta del regime comunista, essa ha raggiunto fino ai primi anni del nuovo millennio quota 300.000 e poi, solo da quando la Romania è entrata a far parte della UE, il numero impressionate di 700.000 persone. Il numero crescente di romeni in Italia li ha fatti entrare quasi per osmosi all‟interno delle news nostrane, attraverso i crimini efferati di alcuni di essi, un po‟ come successe per gli immigrati albanesi negli anni „90. Nella primavera del 2007 in Italia si respirava un clima di emergenza-stupri, con un numero di violenze sessuali che statisticamente non

era in crescita, ma che una parte dei media enfatizzava oltremodo. Nell‟ottobre del 2007 la goccia che fece traboccare il vaso, lo stupro e l‟omicidio di Giovanna Reggiani commessi da Nicolae Mailat, seguito da un gelo diplomatico tra Roma e Bucarest. Spesso associati ai rom, oggi i romeni sono guardati con diffidenza in Italia. L‟identikit del romeno medio, frutto di un luogo comune, è presto fatto: capelli neri, ciglia unite, pelle scura e semmai anche un dente d‟oro. L‟occupazione è quella di chiedere l‟elemosina, delinquere e, quando scende la notte, commettere violenze sessuali. Intervistando alcuni ragazzi della nostra Facoltà sembra che questo luogo comune sia un‟equazione ineffabile: romeno= zingaro=criminale. La sensazione che si ha è una e una sola: intolleranza verso una minoranza. Secondo un‟indagine pubblicata da Il Venerdì di Repubblica nel marzo scorso, gli italiani credono che il 25% dei romeni immigrati siano zingari, contro il 5% del dato reale. Alina, studentessa romena di psicologia iscritta da poco all‟Università di Messina, ha un‟idea molto chiara sui rom: «Di certo non ci fanno una bella pubblicità. Da noi, loro non si comportano bene, sono molto chiusi, non si fanno integrare». Alina è sincera ma quello che traspare, sia camminando per le strade di Bucarest, sia prendendo nota di alcuni provvedimenti governativi, è che ci sia una diffusa intolleranza dei romeni verso gli zingari. Frequentando l‟ambiente universitario romeno, ad esempio, si viene a conoscenza di un provvedimento che


“garantisce” cinque posti per facoltà disponibili per studenti rom. Ai cittadini romeni i rom non piacciono affatto e, per creare una distanza ancora più netta tra le due etnie, un numero cospicuo di parlamentari vuole proporre un provvedimento che cambi il loro nome in tzigan, parola usata perlopiù come insulto. Insomma, per certi versi, il leader leghista Bossi non sfigurerebbe affatto nel parlamento di Bucarest. Mangerebbe persino tanta mamaliga, la polenta che i romeni si vantano di aver inventato prima di noi. Tra un boccone e l‟altro della loro piatto nazionale, Stefan, studente iscritto alla facoltà di giurisprudenza di Bucarest, mi dice la sua sul rapporto Romania-Italia: «L‟Italia per il romeno medio è sempre stata considerata un esempio, un modello da seguire. La maggior parte dei negozi e dei ristoranti qui hanno nomi italiani. Persino il calcio è diventata una mania come in Italia, il giornale sportivo più comprato è la Gazeta Sportiva, ti dice qualcosa?». Secondo Alexandra, studentessa romena iscritta all‟università americana del South Carolina, la ragione per cui molti romeni scelgono di emigrare in Italia è la somiglianza tra le nostre lingue ed, inoltre, il vantaggio per gli immigrati più poveri di trovare facilmente un lavoro, seppure malpagato. Il classico lavoro al nero. «Ad ogni modo» aggiunge Alexandra «i crimini che sono avvenuti in Italia sono vergognosi e il sentimento generale del Paese era di indignazione verso i romeni che, una volta emigrati, hanno commesso dei crimini

infamanti. Poi, però, davanti alle offensive mediatiche dei telegiornali italiani e addirittura alle critiche da parte dei vostri stessi politici nei confronti della nostra nazione, molti romeni sono rimasti delusi e arrabbiati. Da qui sembra che l‟Italia soffra di una xenofobia crescente verso lo straniero». Alexandra è curiosa di sapere come è possibile che nella stessa Napoli un cittadino romeno, colpito a morte per errore in una sparatoria di matrice camorristica nei pressi della metropolitana di Montesanto, non è stato prontamente soccorso e trasportato all‟ospedale, che era ad una distanza di 500 metri.Una domanda che ad oggi non trova risposte nemmeno nel nostro Paese. Complessivamente, secondo le statistiche ufficiali, solo due immigrati romeni su cento commetto crimini sul suolo italiano, i novantotto restanti nessuno e di certo non finiscono in prima pagina per loro onestà. Essendo la comunità straniera più estesa nel nostro Paese ne consegue che il numero di crimini commesso dai romeni è più numeroso rispetto ad altre minoranze, come lo è il numero delle morti bianche (il rapporto è di 1 a 4). Nei bei tempi andati, quando erano gli italiani ad emigrare, specialmente in America, i dati erano ben altri. Gli italo-americani erano circa il 4,7% degli immigrati, coprendo una fetta consistente dei detenuti stranieri nelle carceri statunitensi: il 14%. Insomma, se ci piace tanto l‟equazione romeno = criminale, ne dovremmo aggiungere un‟altra: italiano = gangster. Fabrizio De Rosa


In…Chiostro libri Una raccolta di Fiabe proveniente da tutto il mondo orientale che, come afferma nell’introduzione Doris Lessing, si dice “abbia girato il mondo ancor più della Bibbia”. È’ evidente, infatti, che queste fiabe abbiano poi ispirato molti autori classici (Esopo, Fedro, Le mille e una notte) e sono ancora oggi presenti in tutto il mondo occidentale. Esse nascono da una tradizione orale popolare, quando pescatori e cacciatori indiani hanno iniziato a raccontarsi e trasmettersi storie con protagonisti animali; esse, poi, sarebbero state raccolte in un libro di cinque capitoli il “paňcatantra” scritto, secondo una leggenda, da un grande saggio indiano Vishnu Sharma. Il libro avrebbe così girato il mondo. Come tutte le fiabe anche questa si apre con “c’era una volta…” In India il potente e crudele sovrano Dabschelim soffriva di insonnia, finché, una notte, gli apparve in sogno uno spirito che gli indicò la strada per un tesoro che avrebbe curato il suo male. Il tesoro altro non era che una lettera di un “re del passato” nella quale si affermava che, per guarire, il re avrebbe dovuto seguire precetti antichi, apprendendoli a chi li conosceva. Così il re si rivolse al Dottor Bidpai la cui cura consisteva nel narrare storie da cui il re avrebbe appreso i giusti insegnamenti. La prima delle storie ha come protagonisti due briganti, Kalila e Dimna, che a loro volta diventano narratori delle storie che seguono. Ne sono protagonisti perlopiù animali: da quelli che diverranno classici protagonisti delle fiabe popolari (La Volpe, Il Corvo,il Leone) a quelli più buffi come la cimice e il cormorano. La doppia cornice in cui sono inserite le storie costituisce la struttura entro cui le coppie dei protagonisti (Dabschelim e il dottore, e Kalila e Dimna) riflettono sul significato dei racconti: la mancata dichiarazione di una morale esplicita impegna il re, personaggio principale, a fare delle storie pillole per la propria cura. Tutte le storie rappresentano i vizi dell’uomo e ne contengono la “cura” per chi ne sa cogliere la morale. Enrica Mossetti

Martian Chronicles nell’originale inglese, di Ray Bradbury può ingannare il lettore che vi si avvicini pensando di trovare nelle sue pagine battaglie fra astronavi, saghe di dinastie aliene ed armi avveniristiche. Inganno che anche la sbrigativa catalogazione di un testo come questo sotto l’etichetta di Fantascienza può indurre. Nulla di tutto questo. Le cronache della colonizzazione di Marte da parte degli uomini sono solo un pretesto per argute e vivaci esplorazioni dell’agire umano e dei moventi psicologici alla sua base. Quasi mai vi si discute di nuovi ritrovati della tecnica (e anzi i pochi accenni alle tecnologie di questo futuro immaginario sono l’unica cosa che appare obsoleta) ma dappertutto agiscono le angosce, le speranze, i vizi e le virtù dell’uomo e si capisce che la colonizzazione di un mondo nuovo con la presenza del “diverso”, dell’alieno, è solo lo sfondo ideale per mettere in scena tutto ciò. Nel delineare la colonizzazione di Marte da parte degli umani, Bradbury ha certamente ben presente la storia dell’America. Emblematico, ad esempio, è il contrasto che scoppia in una delle prime missioni su Marte fra un idealista, Spender, e il resto dell’equipaggio. Spender, affascinato dall’ incontaminato pianeta cerca di difenderlo dai suoi stessi compagni, finendo però per soccombere inevitabilmente. Da segnalare agli amanti della metaletteratura è poi l’episodio che prefigura l’altro grande capolavoro di quest’autore Fahrenheit 451. Vi si narra della vendetta di un personaggio, Stendhal, che su Marte coglie l’occasione di vendicarsi dei burocrati che anni prima, sulla Terra, obbedendo alle leggi che vietano la letteratura, gli hanno bruciato la biblioteca. Ovviamente trattandosi di un appassionato di letteratura anche la sua vendetta ricalcherà, alla fine quasi parola per parola, i suoi racconti preferiti di Poe. Questo libro di Ray Bradbury ha ormai più di mezzo secolo, essendo stato pubblicato nel 1950, ma leggendolo ci si accorge che non ha perso nemmeno un rigo della sua attualità, un requisito per ogni classico.

Francesco Lobefalo


In…Chiostro fumetti “Una denuncia contro i pericoli che provengono proprio da questi uomini, singolarmente innocui, ma terribilmente mortali qualora li si metta insieme” Maria Grazia Perini Esplosive e dolorose come bombe, le strisce di Franco Bonvincini (al secolo Bonvi) continuano a “colpire nel segno”. 40 anni di distanza e la critica alla guerra è purtroppo ancora attuale: perciò la lettura di STURMTRUPPEN oltre a far sorridere, lascia spazio ad amare riflessioni. Aldilà di una spietata analisi della vita di trincea Bonvi ci regala un feroce ritratto della società borghese (riproposta in piccolo proprio dai comportamenti delle “truppen”). Anti-eroico e anti-patriottico il soldato bonviano si muove infatti tra lecchinaggi e soprusi, frustrazioni e manie, mostrandoci una guerra che non va in TV e non merita medaglie: la vera faccia d’ogni guerra insomma.

Luigi Impagliazzo

40 ANNI DI

STURMTRUPPEN


SPECIALE DOSSIER: LODO ALFANO Mercoledì 7 ottobre la Corte Costituzionale ha bocciato la legge Alfano, meglio conosciuta con l'impropria definizione di "lodo", con nove voti favorevoli e sei contrari. L'esito della decisione è stato tutt'altro che scontato fino alle ore immediatamente precedenti al verdetto. La legge in questione, approvata definitivamente in tempi record dal Parlamento nel luglio del 2008 a legislatura appena iniziata, consentiva la sospensione dei procedimenti giudiziari a carico delle "quattro cariche più alte dello Stato" (Presidente della Repubblica, Presidente del Senato, Presidente della Camera, Presidente del Consiglio), procedimenti relativi a reati eventualmente commessi al di fuori delle proprie funzioni istituzionali - quelli commessi nell'ambito delle proprie funzioni rimanevano perseguibili nei casi già previsti. L'impianto della legge era dunque simile a quello di un'altra legge anch'essa bocciata dalla Consulta nel gennaio 2004, la legge (anch'essa denominata impropriamente "lodo") Schifani. Il lodo Alfano, per la verità, altro non era che una riproposizione del lodo Schifani, con l'aggiunta di alcune modifiche, tra cui le più rilevanti erano la riduzione delle cariche istituzionali beneficiarie della legge da cinque a quattro (il lodo Schifani "salvaguardava" anche il Presidente della Corte Costituzionale) e la clausola di "rinunciabilità" del lodo stesso, cioè l'eventuale imputato avrebbe potuto scegliere di non avvalersi di questa facoltà di rinvio; difatti il Presidente della Camera Gianfranco Fini, in occasione della querela sporta contro di lui dal pm John Woodcock, aveva deciso di rinunciare alla copertura garantitagli dal lodo, proprio qualche giorno prima del pronunciamento della Corte. Non sono mancate le polemiche, sia in seguito all'approvazione del lodo Alfano, sia in vista del pronunciamento della Consulta: l'opposizione parlamentare ha infatti denunciato come il lodo Alfano fosse evidentemente una legge "ad personam", in particolare a vantaggio del Presidente del Consiglio, unico ad avere dei procedimenti giudiziari in corso al momento dell'approvazione della legge: il processo "Mills", in cui Silvio Berlusconi era accusato di corruzione in atti giudiziari. Lo stesso Presidente della Repubblica è stato oggetto di polemiche, da parte di alcuni esponenti

dell'opposizione, per aver promulgato la legge in breve tempo e senza sottolineare alcun profilo di incostituzionalità; al Capo dello Stato è stata inoltre attribuita, da parte del Presidente del Consiglio, l'assicurazione di un suo intervento personale sui membri della Consulta affinché non dichiarasse incostituzionale la legge. Polemiche ci sono state anche su due dei 15 giudici costituzionali, sorpresi da un giornalista dell'Espresso in una cena privata a cui parteciparono il Presidente del Consiglio e lo stesso Ministro della Giustizia, Alfano, pochi mesi prima del pronunciamento della corte. I due giudici (Paolo Maria Napolitano e Luigi Mazzella) hanno deciso di non astenersi in sede di votazione sulla costituzionalità del lodo, e sono stati tra i sei che hanno votato a favore. Nelle ore immediatamente successive, la Corte e lo stesso Presidente della Repubblica sono stati oggetto di feroci critiche da parte di esponenti del governo (Berlusconi in primis) e della maggioranza di centrodestra. Il PdC ha espressamente accusato entrambi gli organi supremi di essere "politicamente connotati a sinistra", e dunque che la bocciatura del lodo avesse un fondamento non giuridico bensì politico. In sede di dibattimento preliminare, in verità, gli avvocati difensori di Berlusconi, Pecorella e Ghedini (per l'occasione avvocati difensori della legittimità del lodo) avevano sostenuto tesi piuttosto ardite come «la legge è sì uguale per tutti, ma non la sua applicazione» (Ghedini) o «il Presidente del Consiglio non è un primus inter pares, è un primus supra pares» (Pecorella), dal momento che la recente legge elettorale consente, con l'obbligo di indicazione del "capo della coalizione" sulla scheda, l'elezione diretta "de facto" del Presidente del Consiglio. I critici della sentenza della Corte hanno argomentato che la stessa Corte si sarebbe contraddetta rispetto a quanto affermò nella sentenza del 2004 che bocciò l'altro lodo, quello Schifani. Secondo questi, la legge Alfano aveva recepito i rilievi di incostituzionalità che la Corte aveva espresso all'epoca, dunque era indubbiamente costituzionale. Lunedì 19 ottobre sono state rese note le motivazioni della sentenza, che rispondono pienamente a queste ed altre critiche. La legge Alfano, secondo la Consulta, vìola gli articoli 3 e 138 della Costituzione:


contraddice cioè il principio fondamentale dell'uguaglianza dei cittadini (di fronte alla legge) e l'altrettanto fondamentale principio che eventuali modifiche all'ordinamento degli organi istituzionali, ed alla loro gerarchia, devono essere approvati eventualmente con procedura di revisione costituzionale, e non attraverso legge ordinaria (quale era la legge Alfano). A differenza di quanto sostenuto dai sostenitori del lodo Alfano, la sentenza del 2004 richiamava esplicitamente più volte anche l'articolo 138, sebbene allora la bocciatura del lodo Schifani riguardò la violazione degli articoli 3 e 24; nella sentenza inoltre si leggeva "resta assorbito qualunque altro profilo di incostituzionalità", frase sibillina che stava tuttavia a significare che se la violazione degli articoli 3 e 24 era motivo sufficiente per bocciare il lodo Schifani, questa presentava diversi altri profili di incostituzionalità relativi ad altri articoli, primo tra tutti appunto il 138. Gli scenari politici e giuridici aperti da questa sentenza sono dunque diversi: dal momento che le modifiche fortemente volute dal centrodestra (e dal Presidente del Consiglio) derogano all'attuale impianto costituzionale, la soluzione può passare soltanto attraverso una riforma costituzionale, che lo stesso Berlusconi ha dichiarato essere pronto a fare a maggioranza semplice (e non qualificata) in Parlamento per poi passare dall'approvazione popolare attraverso il referendum. Nell'immediato, visto che la sentenza riporta il PdC allo status di imputato nel processo Mills per corruzione (e in altri due procedimenti che lo vedono imputato che nel frattempo si sono aperti), l'onorevole Ghedini ha fatto sapere di star studiando alcune norme, da inserire come emendamenti nel decreto sicurezza e da approvare entro dicembre, che consentano di sospendere i processi "non gravi" (tra cui ovviamente la corruzione) per un anno, con l'ovvia conseguenza di far cadere in prescrizione i reati di cui è accusato Silvio Berlusconi.

Salvatore Borghese


Di Andrea Panico

mUSICA

INTERVISTA A gIOVANNI aLLEVI Speciale A TU PER TU

Sei appena tornato dal concerto a Piazza Plebiscito e stai per partire per spettacoli in Toscana e all’Arena di Verona, come ti prepari a tutte queste sfide?

mUS ICA

m U SI C A

Devo cercare di essere il più in forma possibile. Prima di un concerto faccio sempre un giro in bus o in metrò, per vivere braccio a braccio con l’umanità che mi circonda, poi ho un’invocazione personale che ripeto più volte: “Tutto l’amore del mondo sulle mie dita”. È grazie alla passione che riesco a comunicare con la gente ed alla fine divento un animale…

Un animale?

Un’aquila che da lassù ha uno sguardo globale su tutto, un serpente che striscia, un leone che addenta le sue prede. Dimentico tutto ciò che ho appreso e mi trasformo in istinto puro.

mUSICA

Ma la musica non è pura razionalità?

In realtà c’è anche un’altra forza: la paura, può travolgerti o schiacciarti. Ci pensa il pubblico a farmi sentire a mio agio e a trasformare il teatro in un salotto. Quando ho paura però mi sento vicino al cuore dell’umanità.

Nella sua musica alcuni dicono che la melodia è eccessiva, lei che risponde?

In realtà la melodia è soltanto uno dei fondamenti del mio linguaggio musicale. Gli elementi determinanti sono il ritmo e la struttura. Mi piace condurre una ricerca sulla forma musicale che si evolve nel tempo.

Tutto questo viene percepito dal pubblico?

Sì, il pubblico non è stupido. Se si osa con intelligenza e cuore la gente lo recepisce e metabolizza molto prima della critica.

Per l’ “intellighenzia” musicale, piacere alla gente è un difetto…

Colpa di Schönberg che hamUSICA avuto la nefasta idea di pronunciare una frase che suona più o meno così: “Ciò che piace a molti non è arte”.

mUSICA

Frase che è diventata assioma di tutta la pratica musicale del Novecento e che ha creato una generazione di snob che, con il pretesto dell’incomprensibilità, ha esercitato il proprio potere culturale sulle masse. Come faceva l’Azzeccagarbugli con Renzo e Lucia!

Chi è il suo compositore preferito?

In Italia un po’ tutti: Verdi, Rossini, e Puccini sono grandi ma anche Vivaldi ed altri. All’estero il mio preferito in assoluto è Bach.

Eseguirà mai spartiti musicali composti da altri?

No. Fare l’interprete non è nella mia natura. A chi interesserebbe vedere Mozart che suona Beethoven?

INTERVISTA A cRISTIANO dE aNDRE’

Di Andrea Panico

mUSI CA

A dieci anni dalla scomparsa di suo padre torna a cantare il suo magico repertorio, perché? Perché prima non mi era stato possibile. Il dolore della sua scomparsa era troppo forte ed ho dovuto aspettare che sfumasse. Ora mi sento pronto ad accettare la sua scomparsa, riproporre gli ideali di mio padre a modo mio in un’Italia in crisi di valori. È un mod o che mi permette anche di mantenere un filo invisibile, diretto con lui. Lei ha lavorato a lungo per crearsi una propria carriera. Non teme di essere ancora etichettato come il figlio di…? No, ho lavorato su un mio percorso che porto avanti e poi le canzoni di mio padre le canto in maniera molto personale. E il pubblico lo apprezza, se lo aspettava? Non mi aspettavo un successo così forte. Quando attacco la seconda canzone già sento il calore e l’affetto del pubblico, soprattutto da parte dei più giovani. La canzone preferita di suo padre era “Bocca di rosa” e la sua? Non so, mio padre ha scritto bellissime canzoni. Non saprei fare una top ten. Chi secondo lei nel panorama italiano di oggi si potrebbe configurare come degno erede di suo padre? Quelli che più si avvicinano a lui sono Ligabue e Vasco ma Mina rimane imbattibile. Che ricordo ha di Ugo Tognazzi? È stato un grande amico di mio padre, molto goliardico. Di Paolo Villaggio? Una delle persone più intelligenti ed argute del mondo ed anche molto malinconico. Di Vittorio Gassman? Era la persona più seria, più profonda ed introspettiva che abbia mai conosciuto. All’inizio ti dava un senso di disagio ma dietro quella scorza si rivelava una persona dolcissima che aveva un disperato bisogno di stare con gli altri. Il messaggio più forte che ha lasciato suo padre? La coerenza di una scelta artistica legata ai temi sociali, non si è mai stancato di parlare degli ultimi, delle minoranze, dei reietti. Ha voluto usare un mezzo potente come il microfono per smuovere le coscienze.

mUSIC A

m U S I C A

mU SIC A


SPECIALE “IL GRANDE SOGNO” Preso da un’insolita euforia mi catapulto al cinema verso l’ultimo lavoro di Michele Placido e senza essermi nemmeno armato di pop corn, il tempo passa in un attimo. Ben girato, belle musiche, bravi gli attori, eppure il “Grande Sogno” non mi ha convinto davvero. Un film privato dell’anima, questa è l’impressione. Sembra di essere di fronte un edificio nuovo ma senza gente dentro. Incapace di descrivere il ’68 sembra fallire pure nella realizzazione dei personaggi: oleografie solo abbozzate, “tipi”, maschere stereotipate (nonostante fossero realmente esistiti). L’elemento “onirico” quindi prevale, tutto sembra essere stato davvero un grande sogno, svanito, senza possibilità di ritorno. E se l’idealismo appare oggi ancora tramutabile in azione, leggere il nome della casa che ha prodotto il film getta nel più nero sconforto,,, (la MEDUSA quale altra sennò).

Luigi Impagliazzo

Intervista a Riccardo Scamarcio

Lei torna a teatro per leggere due composizioni di Mozart, prova impegnativa? Sì, ma anche divertente. Mozart era un personaggio sfaccettato, imprevedibile dal temperamento volubile. I suoi scritti mostrano un’ironia continua che sfocia nel cinismo. Una figura raccontata molto bene nel film di Milos Forman “Amadeus” (1984). Il pubblico è quello che poco tempo fa ha fischiato la coppia Placido- Deneuve, ha paura?Certo ma spero che non fischino anche me, sarebbe una bella soddisfazione. Comunque non mi sento inibito. In teatro ha mosso i primissimi passi, che emozioni le suscita il ritorno sul palco? Il teatro rimane il mio primo amore, è un mondo che mi mette in uno stato febbrile, una sana paura mi assale quando devo entrare in scena, ma alla fine sul palco mi sento a mio agio. Ha appena finito di girare “Il grande sogno”, un film sul ’68, che effetto le ha fatto lavorare con Placido? Ho avuto una grande opportunità. Avevo già lavorato con lui in “Romanzo criminale”. Michele è un regista molto rigoroso ma fuori dal set davvero simpatico, sempre pronto a raccontare storie che comprendono Tognazzi, Manfredi ed altri personaggi di spicco. Chi ammira come attore? Del panorama odierno Castellitto, Verdone, Servillo e Lo Cascio. Di ieri Mastroianni. Lei ha lavorato con Costa-Gravas, Placido e tra poco con Ozpetek. Le adolescenti sognano ancora Step, come coniugare i due mondi? Non mi sento né un sex symbol, né un attore impegnato. Sono semplicemente un attore. Il trucco sta nel rispettare le ambizioni espressive di ogni avventura che mi viene proposta.Lei si è espresso riguardo il FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo).Il governo ha in parte reintegrato il FUS ma non basta, partiamo comunque svantaggiati rispetto al resto d’Europa. Mi preoccupano i tanti lavoratori che rischiano il posto, ma soprattutto l’inaridimento che sta dietro tutto questo. Andrea Panico Teatro Non essere - Mise en space, regia di Leonardo Petrillo (2003) I tre moschettieri, regia di Attilio Corsini (2004) Cinema La meglio gioventù, regia di Marco Tullio Giordana (2003) Ora o mai più, regia di Lucio Pellegrini (2003) Tre metri sopra il cielo, regia di Luca Lucini (2004) L'odore del sangue, regia di Mario Martone (2004) L'uomo perfetto, regia di Luca Lucini (2005) Texas, regia di Fausto Paravidino (2005) Romanzo criminale, regia di Michele Placido (2005) Manuale d'amore 2 - Capitoli successivi, regia di Giovanni Veronesi (2007) Ho voglia di te, regia di Luis Prieto (2007) Mio fratello è figlio unico, regia di Daniele Luchetti (2007) Go Go Tales, regia di Abel Ferrara (2007) Prova a volare, regia di Lorenzo Cicconi Massi (2007) Colpo d'occhio, regia di Sergio Rubini (2008) Italians, regia di Giovanni Veronesi (2009) Verso l'eden, regia di Costa-Gavras (2009) Il grande sogno, regia di Michele Placido (2009) La prima linea, regia di Renato De Maria (2009) L'uomo nero, regia di Sergio Rubini (2009) Mine vaganti, regia di Ferzan Ozpetek (2010) Televisione Ama il tuo nemico 2, regia di Damiano Damiani - Miniserie TV (2000) Io ti salverò, regia di Mario Caiano - Miniserie TV (2001) Compagni di scuola, regia di Tiziana Aristarco e Claudio Norza - Serie TV (2001) La freccia nera, regia di Fabrizio Costa Miniserie TV (2006) Cortometraggi Le mani in faccia, regia di Daniele Basilio (2003) Videoclip Ti scatterò una foto Tiziano Ferro (2007) Insolita - Le Vibrazioni (2008) Drammaturgia - Le Vibrazioni (2008) Meraviglioso - Negramaro (2009) Premi e candidature David di Donatello 2007: Nomination - Miglior attore non protagonista per Mio fratello è figlio unico (2007) Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani (Nastro d'argento) 2006: Nomination - Miglior attore non protagonista per Texas (2005) e L'uomo perfetto (2005)


“LE 13 ROSE” di Emilio Martìnez Làzaro

“…pagheranno con la vita, la loro”

dissidenza”

Diretto dal regista Emilio Martínez Lázaro, “Le 13 rose” è la storia vera delle 13 giovani donne che durante la “saca de agosto” del 1939 vennero fucilate insieme ad altri 43 dissidenti dai falangisti della neo-dittatura di Francisco Franco. La trama del film si focalizza in particolare sui militanti nel JSU (l’Unione della Gioventù Socialista) e su cinque ragazze attive nel circolo ricreativo “Aida Lafuente”: Virtudes (interpretata da Marta Etura), Carmen (Nadia de Santiago), Julia (Verónica Sánchez), Adelina (da Gabriella Pession) e Blanca (Pilar López de Ayala). Tutte loro, militanti pacifiche della Brigata Socialista e impegnate nell'assistenza ai più deboli, finiranno in carcere, ad eccezione della più giovane Carmen, e pagheranno con la vita la propria dissidenza, il loro amore per la libertà e l’umanità. Il caso delle 13 donne, che si opposero al regime totalitario -per un interesse umanitario più che per un ideale politico- in un momento storico in cui era richiesta la massima fedeltà al Caudillo Franco, è un fatto storico memorabile per la forza degli ideali giovanili di lotta al fascismo e per l’ importanza della componente femminile della resistenza. Uscito nelle sale italiane lo scorso 28 agosto,“Le 13 Rose” è un film fatto per ricordare una storia poco conosciuta che riporta in superficie quel tipo di episodi storici che la memoria collettiva vorrebbe insabbiare. Il giornalista Carlos Fonseca ha dedicato alla tragica vicenda un testo che racconta in modo fedele e realistico le vite delle 13 vittime. Antonella Anna Giacomaniello ”VIDEOCRACY” di Erik Gandini

"Sono un Robin Hood moderno, che prende ai ricchi per dare a se stesso" Fabrizio Corona.

Domenico Procacci, produttore Fandango: «Come sempre abbiamo mandato i trailer all’ Anicagis che gestisce gli spazi che la Rai dedica alla promozione del cinema. La risposta è stata che la Rai non avrebbe mai trasmesso i nostri spot perché secondo loro si tratta di un messaggio politico, non di un film». Eppure Videocracy è proprio un film, che fa paura perché reale, che viene trasmesso da pochissimi cinema in Italia perché reale, che viene privato di spot pubblicitari perché reale. In un Paese al 73esimo posto al mondo per libertà di stampa raccontare la realtà è una colpa. Mostrare Lele Mora che si proclama felicemente “Mussoliniano” (mentre esibisce “Faccetta nera” come suoneria del cellulare) è una colpa. Dire che L’80% degli italiani utilizza la tv come principale fonte di informazione è una colpa. Affermare che il Presidente del Consiglio Italiano è anche il padrone della più grande rete commerciale del paese è una colpa. Dimostrare come la diffusione di alcuni programmi abbia mutato i gusti e i costumi della gente è una colpa. In Italia per sapere e riflettere bisogna sentirsi tremendamente colpevoli. Un consiglio: cogliete la mela del peccato

Luigi Impagliazzo


CINEMA Il bastardo senza Gloria è tornato

Dopo il mezzo flop collezionato nel 2007 con lo stunt-movie Death proof (distribuito in Italia con il titolo di GrindhouseA prova di morte), l‟indiscusso re del pulp, Quentin Tarantino, torna sugli schermi di mezzo mondo con una pellicola che non può lasciare indifferenti: Inglorious Bastards (Bastardi senza Gloria). Il film è ambientato negli ultimi anni della seconda guerra mondiale, precisamente nella Francia occupata dal Terzo Reich. Come lo stesso Quentin ha dichiarato, questa scelta era stata presa per uno scopo ben preciso: “La Francia degli anni ‟40 rappresenta secondo me il luogo cruciale di tutta la II Guerra Mondiale. Quello che mi interessava era di rappresentare lo scontro sociale e ideologico tra nazisti, soldati americani ebrei, francesi bianchi e neri, con razzismo e atti cruenti compiuti da ogni parte”. Tarantino, amante dichiarato dei B-movies italiani degli anni „70, non ha nascosto che l‟idea per questo nuovo lavoro è stata direttamente ispirata da un film macaroni-kombat (un figlio minore del genere più celebre spaghetti-western): The Inglorious Bastards( in Italia conosciuto con il titolo Quel maledetto treno blindato) di Enzo Castellari. Il regista di Reservoir Dogs ha voluto significantemente utilizzare lo stesso titolo del film di Castellari, sottolineando il legame tra le due pellicole, che però sono da considerare due lavori con vita propria e indipendenti tra loro. L‟intento di Tarantino era quello di fondere i canoni del film di guerra con quello dello spaghetti western. Il risultato è un prodotto originale, dove il marchio splatter di Tarantino si rinnova attraverso la creazione di personaggi stravolti dalla guerra e dalle sue crudeltà, che danno vita a sequenze mai scontate, lasciando lo spettatore inchiodato alla poltrona. La sceneggiatura, scritta interamente da Tarantino, risente dei suoi caratteri più tipici, come ad esempio la divisione in capitoli del film, artificio già visto in

pellicole cult come Pulp Fiction e Kill Bill. La prima sequenza di Inglorious Bastards introduce al pubblico quello che è forse il personaggio più riuscito dell‟intero film, il colonnello nazista Hans Landa, interpretato da Christopher Waltz, premiato per la sua magistrale interpretazione come miglior performance maschile dalla giuria di Cannes „09. Waltz è un personaggio sadico e calcolatore, che come obiettivo primario ha quello di sterminare tutti gli ebrei che si nascondono nei territori occupati dal Terzo Reich, francese compreso. Nella prima scena ordina lo sterminio di una famiglia ebrea, senza però eseguirlo completamente: una ragazza di 18 anni infatti sopravvive, Shosanna Dreyfus (Mèlanie Laurent), diventando in seguito una sorta di Anna Frank vendicativa. Contemporaneamente, mentre gli Stati Uniti sono ancora dall‟elaborazione del D-Day, un gruppo di soldati americani lontani ebrei viene spedito dietro le linee francesi occupate dai nazisti con un solo scopo: kill the nazis (uccidere i nazisti). A comando dei “bastardi senza gloria” c‟è il tenente Aldo Reine (Brad Pitt). Il plot del film è quindi diviso principalmente in due storie, quella di Shoshanna e quella dei “bastardi”, che inconsapevolmente incroceranno i propri destini nel finale della pellicola, cercando di fare piazza pulita dell‟alto comando tedesco in luogo molto caro a tutto il pubblico tarantiniano e non: un cinema. Senza svelare ulteriormente la trama, Tarantino è abile nel trasportarci nell‟atmosfera della II Guerra Mondiale pur solamente con qualche bandiera nazista sfocata sullo sfondo. Il regista di Pulp Fiction ci dà la sensazione di trovarci in pieno conflitto bellico anche grazie all‟uso di quattro diverse lingue (francese, tedesco, inglese e un cameo splendido in italiano, assente purtroppo nella versione italiana del film). I personaggi fanno il resto, a cui interessa, più che vincere la guerra,


l‟annullamento sanguinario dell‟avversario. Il confronto tra il tenente Aldo “l‟Apache” Reine e il colonnello nazista Hans “il Cacciatore di Ebrei” Landa non rappresenta il classico scontro tra bene e male, ma è anzi un confronto sadico tra due uomini che vogliono portare a termine al meglio il proprio lavoro, anche se questo volesse dire incidere svastiche naziste sulla fronte dei prigionieri di guerra o sterminare famiglie ebree. Complessivamente, attraverso Inglorious Bastards, il regista di Kill Bill ci racconta la versione pulp della II Guerra Mondiale, che un giorno magari racconterebbe ai suoi nipotini, un favola macabra nel cui finale sembrerebbe dirci : “eh già, questo è proprio il mio capolavoro”.

Fabrizio De Rosa


A tu per tu con GIUSEPPE TORNATORE Giuseppe Tornatore è nato a Bagheria (Sicilia) nel 1956 ed è sicuramente uno dei massimi esponenti del cinema italiano all'estero. Dopo essere stato aiuto-regista di Damiani, Rosi, Ferrara e aver diretto alcuni documentari per la RAI esordisce con “ Il camorrista” (1985) ma il trionfo l'ottiene con il suo capolavoro e picco massimo del suo lavoro , il corale e struggente, “Nuovo cinema Paradiso”(1989) che si aggiudica l'Oscar come miglior film straniero. Prosegue dirigendo un nostalgico Marcello Mastroianni in “Stanno tutti bene”(1990), la strana coppia Roman Polanski- Gerard Depardieu nel surreale e gogoliano“ Una pura formalità”(1994), “La leggenda del pianista sull'oceano”(1998) e Monica Bellucci in “Malena”(2000). Il 25 settembre è uscito il suo ultimo film il kolossal “Baaria” (2009) che ha già ottenuto una nomitation all' Oscar. COME E' NATA L'IDEA DEL FILM ? Da tanto tempo avevo in mente di girare un film sulla storia del luogo in cui ero nato. Volevo realizzarlo dopo i 60 anni ma prima dei 70 purtroppo ebbi la sciagurata idea di confidarlo ai miei produttori che nonostante le mie rimostranze vollero subito che scrivessi la sceneggiatura 2) “BAARIA” E' STATO DISTRIBUITO IN DUE VERSIONI, ITALIANO E DIALETTO BAARIOTA, COME E' STATA ACCOLTA DAL PUBBLICO TALE SCELTA ? Ottimamente, in Sicilia, ho spedito solo versioni dialettali, tranne due copie in italiano a Palermo e Catania. Nel resto d'Italia in lingua ufficiale e ho avuto la concessione di distribuire una versione in dialetto nelle 10 maggiori città italiane. COSA PENSA DELLA PROPOSTA DI LEGGE DELLA “LEGA” RIGUARDANTE L'INSEGNAMENTO DEL DIALETTO NELLE SCUOLE ? La trovo un'ottima proposta ma solo se serve a fini didattici. Vede sono contro la strumentalizzazione della proposta ovvero se un docente del Sud si reca a insegnare al Nord l' italiano deve per forza conoscere il dialetto della zona altrimenti non può essere assunto IN OGNI SUO FILM COMPARE UN ATTORE NAPOLETANO. IN QUESTO LA SASTRI E SALEMME Salemme è una persona simpaticissima e generosissima. Inizialmente non doveva partecipare alle riprese del film perchè oberato d'impegni. Gli chiesi solo un cameo di 3 minuti. Dopo averla girata rimase estasiato e volle contribuire maggiormente alla realizzazione del film. Lo feci partecipare ad altre due scene più ampie e non volle

essere pagato per nessuna di essa. Ha lavorato gratis. Lina è un eccellente professionista è stata l'unica attrice non siciliana a recitare in perfetto baariota. COME HA CONCILIATO LA DIREZIONE DI ATTORI AFFERMATI E NON ? Semplicemente i più famosi, che sono circa una trentina, li ho imposti come coro che emergono solisti solo per brevi tratti rientrando nell'orchestra. Il vero protagonista del film è Bagheria CHE COS'E' NAPOLI PER LEI ? E' la città che mi ha dato tutto. Il mio primo lavoro nel mondo del cinema lo ho ottenuto grazie a Rosi, un napoletano innamorato della Sicilia. Il mio debutto cinematografico parla della malavita organizzata napoletana, con attori napoletani. Io devo ringraziare due persone napoletane che hanno creduto, all'inizio, in me: Giò Marazzo che ha ceduto i diritti d'autore del suo libro e Goffredo Lombardo che ha prodotto il film. NEL 1990 HA L'ONORE DI LAVORARE CON MASTROIANNI, CHE PERSONA ERA ? Marcello era dolcissimo; più che un onore è stato un piacere. Ha sfatato una mia personale leggenda che lavorare con i grandi fosse difficile. Io gli telefonai solo una volta, gli consegnai il copione e lui due giorni dopo disse che era pronto. Non chiedeva niente alla regia, si sottoponeva, ubbidiva con mansuetudine e basta. Durante la lavorazione solo una volta mi chiese di fermarci un paio di giorni; doveva incontrare sua figlia a Firenze. CHE RAPPORTO INTRISECO ED ESTRINSECO C'E' TRA L'INFANZIA E IL CINEMA ? Un rapporto fortissimo. Mio padre, quando avevo 8 anni, mi accompagnò al cinema perchè ero triste e vidi un film di Leone e mi divertii, la tristezza era volata via. Il mio grande sogno era diventare un proiezionista, appena ricevevo la paghetta la spendevo per il biglietto. Posso dire di essere sempre vissuto nel mondo del cinema. PROGETTI FUTURI ? Ultimare “LA STELLA DI LENINGRADO” il progetto incompiuto di Leone.

Andrea Panico


DIETRO LO SCHERMO: TV SOS linguistico Chi dice che la tv oggi non ha più nulla da insegnare? Nessuno può negare che questo medium non brilla certo per la sua funzione pedagogica e didattica, ma qua e là, di tanto in tanto sembra affacciarsi qualche spiraglio di cultura e buon costume. Su Raidue, infatti, ogni domenica la trasmissione d’intrattenimento Mattina in famiglia, in onda dalle sei e quarantacinque alle dieci, ci fa un piccolo regalo: un pronto soccorso linguistico, come gli autori stessi chiamano i trenta minuti in cui il professor Sabatini risponde a domande sull’uso corretto della lingua italiana, dissipando dubbi e perplessità sulla grammatica, la sintassi e la morfologia della nostra lingua. Un pronto soccorso è certo una buona idea per i nostri parlanti, sebbene qualcuno creda che, forse, questi necessitino più di una terapia intensiva, o meglio ancora: che il nostro governo allestisca all’uopo, un’unità di crisi. Ebbene sì, perché è proprio in tv che la nostra lingua viene più bistrattata: termini considerati di registro popolare, vengono sdoganati e ripetuti a iosa, fino a essere acquisiti nel lessico comune (ricordate il berlusconiano “sputtanare?”); svarioni ed errori, in ogni trasmissione, sono al più messi alla berlina da Blob. Non ci si meraviglia, in una simile Babele, che il nostro compianto Mike Bongiorno venga ricordato come un padre della lingua italiana moderna. L’effetto che fa vedere il professor Sabatini, presidente d’onore dell’Accademia della Crusca, seduto nello studio di Mattina in famiglia, è quasi lo stesso che farebbe vedere un prezioso pezzo d’antiquariato, in una casa arredata Ikea. Nessun contesto potrebbe essere più nazional-popolare del suddetto salotto, ma è proprio questo contrasto a mostrarci che una contaminazione di cultura alta e cultura bassa talvolta è possibile; e forse il pubblico è davvero più complesso di quanto si crede, se riesce a trovare godibile una rubrica sul buon uso della lingua, proprio dopo la rassegna stampa del gossip nostrano e internazionale condotta da Gianni Ippoliti.

Dunque, se volete conoscere l’origine, il significato di un’espressione idiomatica, se volete saper se po’ si scriva con l’apostrofo o con l’accento, se avete dei dubbi sul congiuntivo, potete mandare una e mail a Mattina in Famiglia. Se invece l’italiano non è proprio il vostro forte, non preoccupatevi. Per voi c’è sempre la carriera televisiva e perché no, un posto in parlamento.

Angela Marino


Ancora censura? La disposizione del vertice Rai e le polemiche sul rinvio di Ballarò La nuova stagione televisiva 2009 non è neppure cominciata ed è già polemica. Questa volta non è il solito Santoro, con la sua presunta faziosità, a sollevare critiche e proteste (ma non mancherà tempo, oserei dire, Annozero è appena ricominciato …), bensì la cancellazione dalla prima serata di Raitre del caro vecchio Ballarò, che mercoledì 15 settembre, avrebbe dovuto salutare i suoi telespettatori con la prima puntata della nuova edizione, come sempre alle ventuno. Il pubblico di Giovanni Floris ha dovuto attendere una settimana, perché il presidente della Rai Paolo Galimberti, ha disposto che in prima serata su Raiuno andasse in onda una puntata speciale di Porta a Porta, dedicata alla consegna delle nuove unità abitative ai terremotati di Onna; ospite in studio il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, a illustrare i progressi fatti e i progetti in cantiere. Dunque la messa in onda parallela delle due trasmissioni, avrebbe generato una concorrenza pericolosa. Pericolosa per il programma condotto da Vespa.

Per quanto il tema della trasmissione riguardasse una pagina molto dolorosa della cronaca attuale, quella della ricostruzione delle aree terremotate, il riflettore puntato sull’operato del governo insieme con l’azzeramento di qualsiasi concorrenza, pur sull’asse Rai, ha destato

l’immagine della propaganda. A insorgere non solo l’opposizione, ma anche la FNSI, la Federazione Nazionale Stampa Italiana. E quando si parla di propaganda, un altro concetto viene alla mente: quello di censura. Così, neanche fossimo in un paese in cui a governare è un manager che controlla il principale polo d’informazione del paese dopo la Tv di Stato, scoppia una polemica feroce. Neanche si fosse in un paese in cui il Presidente del Consiglio denuncia “un uso criminoso del mezzo televisivo” mentre è in visita in un altro stato, e ordina la sospensione di tre, tre trasmissioni. In effetti, se si volesse fare propaganda, lo scenario dell’Aquila sarebbe il più adatto: la compassione e la solidarietà degli italiani sono tutte per i connazionali che vivono una tragedia dolorosissima in cui le responsabilità sono da accertare, ma i danni, quelli sono lì, sono davanti agli occhi di tutti. Le immagini feriscono, le testimonianze straziano. La domanda è: questo teatro del dolore è stato strumentalizzato a scopi propagandistici? Noi lettori e spettatori possiamo farci la nostra idea, basata sulla sensibilità e il discernimento; se cerchiamo uno spunto, un aiuto, un’informazione in più, magari in qualche programma serale d’approfondimento, ricordiamoci di controllare la Guida Tv, però. Chi sa che qualche programma non sia stato spostato …

Angela Marino


Il Giardino di Epicuro “Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie “ Così definiva Giuseppe Ungaretti la precaria condizione di vita dei soldati, quando nel 1915 combatteva sul fronte del Carso. Queste vite al pari di una foglia possono spezzarsi con un filo di vento. Il vento il 17 settembre 2009 soffiava da Kabul, con il suo vortice mortale ha inghiottito, oltre a 20 afghani, 6 militari italiani. Come loro, tanti altri ragazzi, si arruolano unendo all’amore per la patria, la speranza di avere un futuro migliore. È solo questo il futuro in cui si può sperare nel nostro paese? Quali sono le reali possibilità offerte ad un giovane nel campo del lavoro? Si può mai “andare a morire” per scelta? Non credo! Penso, piuttosto, che le possibilità che hanno i giovani di fare carriera e di avere uno stipendio certo siano minime e per tale ragione anche un lavoro rischioso, purché onesto, viene considerato un’opportunità per realizzare i propri sogni, anche se ciò vuol dire passare prima dall’inferno. Ho posto alcune domande a giovani che intendono intraprendere la carriera militare, per capire quali siano le motivazioni che li spingono verso questa scelta: Quali sono le motivazioni che spingono un giovane ad intraprendere la carriera militare? La crescente disoccupazione può influenzare il desiderio di arruolarsi? Francesco 21 anni, Toscana: Amo l'arma dei Carabinieri, dopo un anno di vfp1(Volontari in ferma Prefissata di un anno n.d.r.)mi piacerebbe tanto fare domanda per entrarci. Le mie motivazioni sono l’essere socialmente utile al mio paese. Per me è importante intraprendere un lavoro sicuro con molta carriera davanti, sono fidanzato e il fatto che la vita militare mi possa permettere un solido futuro mi fa pensare a molte cose da poter realizzare, tra cui sposarmi e farmi una famiglia. È difficile trovare lavoro e sopratutto un lavoro dove si viene pagati, viste le mie esperienze passate. Credo, però, che la carriera militare sia una scelta che viene fatta soprattutto da chi desidera mettersi in gioco e crede in quello che fa. Antonio 23 anni, di Avellino: Vorrei entrare nei carabinieri paracadutisti. I motivi sono semplici, si tratta di un'opera attiva di contrasto al terrorismo e alla mafia, le due piaghe della civiltà moderna. Il tipo di vita è duro, ma è proprio questo che mi attira, vivere in condizioni estreme, vivere rischiando per fare qualcosa di buono. Se non dovessi farcela ad entrare nel reparto dei paracadutisti, riprenderei gli studi universitari, mi mancano sei esami alla laurea in informatica. Sicuramente con la crescente disoccupazione ci può essere un incremento di arruolamenti, nella speranza se non altro di un buon posto statale, ma difficilmente la scarsa motivazione può compensare i sacrifici della vita militare. Fabiana 23 anni, Roma: Da sempre ho sognato di indossare una divisa. Dopo la maturità classica ho provato ad entrare due volte nell’ Accademia Navale a Livorno, ma non mi è andata bene. Ho iniziato l'università e ho accantonato un po’ la cosa sperando di superarla, ma non è stato così, quindi prima di oltrepassare il limite di età cerco di arruolarmi come vfp1 nell'esercito. Sinceramente penso che in qualche caso la disoccupazione possa influire sulla decisione di un ragazzo, anche se ho conosciuto, durante il concorso, ragazzi e ragazze che lo fanno con il mio


stesso obiettivo, quello di realizzarsi. Le forze armate per me rappresentano la disciplina, il senso del dovere, ma soprattutto: soddisfazione, crescita e realizzazione. Molti di loro hanno una vera passione per l’arma, ma al contempo sono consapevoli che le possibilità di essere economicamente indipendenti sono maggiori se si sceglie la carriera militare rispetto a qualsiasi altro lavoro. Dalle interviste traspare la voglia di “fare qualcosa di buono”, di essere utili al proprio paese, la carriera militare risulta un’opportunità di crescita e di realizzazione. Sono queste le promesse con le quali vengono allettati la maggior parte dei giovani: la costruzione di un futuro solido, l’indipendenza economica e un’importante esperienza formativa. Non metto in dubbio che tutto ciò sia reale e che vada unito all’amore per la patria, ma mi chiedo se per la restante parte di giovani che scelgono di intraprendere altre strade lavorative possa essere garantita almeno una delle opportunità concesse dalla carriera militare. Purtroppo non è così, dunque accade che molti ragazzi imbocchino una strada senza dubbio onesta, dura e spesso pericolosa proprio perché non hanno altra scelta. C’è chi ha voglia di farsi una famiglia, ma non è messo in condizioni di poterlo fare, perché trovare un lavoro fisso e retribuito è diventata un’impresa impossibile, c’è chi lascia l’università, perché ormai neanche il titolo di studio garantisce un futuro lavorativo, o ancora c’è chi vuole dare un senso alla propria vita e identifica la realizzazione professionale con uno dei pochi lavori che permette di intraprendere una vera “carriera”. Da tutto ciò emerge che i giovani hanno voglia di fare, voglia di mettersi in gioco, ma il problema è che in questo paese c’è poco spazio per realizzarsi e l’incertezza del futuro fa paura, forse ancor più del rischio di un proiettile o di una bomba.

Alessandra Marziale


IL GIARDINO DI EPICURO Missione impossibile: diventare insegnanti Molti dei ragazzi che si iscrivono ogni anno nella facoltà di Lettere e filosofia, coltivano un unico sogno da quando sedevano tra i banchi di scuola: diventare insegnanti. Per insegnare nelle scuole, in precedenza, era necessario frequentare delle SSIS, ovvero, le Scuole di Specializzazione all’Insegnamento Superiore, istituite con la legge 341 del 19 novembre 1990 e i seguenti Decreti del Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica del 26 maggio 1998 e 27 luglio 1999. Presso i singoli Atenei, le SSIS formano figure professionali specializzate da inserire nell’organizzazione didattica della scuola secondaria; questo accadeva fino a due anni fa. Il sistema molto redditizio per le università, meno per gli studenti, sfornava abilitati inseriti nelle graduatorie permanenti, di quella provincia per la quale si faceva domanda d’insegnamento. Il Ministro Gelmini annuncia che, dal 2010, tutto cambierà e ci saranno nuove regole d’ingaggio, per mettere fine al dilagante precariato della scuola pubblica. La Gelmini, sentita la Conferenza Unificata Stato-Regioni, stabilirà con proprio decreto il numero degli accessi ai percorsi formativi: sarà introdotto un tirocinio teorico-pratico di un anno da svolgere dentro le scuole, che attribuisce, dopo il superamento di un esame finale, l’abilitazione all’insegnamento. Il numero di nuovi docenti sarà deciso in base al fabbisogno per non creare precariato, da aggiungere a quello precedente. Per i giovani sarà possibile l'inserimento immediato in ruolo, infine, più inglese e nuove tecnologie. In realtà non si tratta di una novità: occorre ricordare che le attività di tirocinio erano già presenti negli attuali percorsi abilitanti. Il

tirocinio formativo attivo – rappresenta una sorta di corso di preparazione all’insegnamento per gli insegnati della scuola secondaria. Sia gli accessi programmati che i percorsi saranno decisi in base alle previsioni di fabbisogno, eseguite dagli uffici scolastici regionali e sulla base delle disponibilità degli atenei. Scuola primaria - Per insegnare nella scuola d'infanzia e primaria servirà la laurea quinquennale, e non più quadriennale. A partire dal secondo anno sono previste attività di tirocinio. E' previsto inoltre il numero programmato con prova di accesso per conseguire la specifica abilitazione. Nell'iter quinquennale anche lingua inglese e formazione sull’insegnamento agli alunni disabili. Scuola secondaria - Per insegnare nella scuola secondaria di primo e secondo grado sarà necessaria la laurea magistrale, più un anno di tirocinio formativo attivo da svolgersi a scuola sotto la guida di un insegnante tutor. Anche per l'insegnamento secondario è previsto il numero chiuso. Per le materie musicali, artistiche e coereutiche è previsto il conseguimento del diploma accademico di II livello ad indirizzo didattico, più un anno di tirocinio formativo. Evelina Leone



FUORI DAL DIRITTO E DALLA RAGIONE È l’ultimo bene di lusso in tempo di crisi. Così esclusivo che lo si insegue in giro per il mondo e talvolta si muore. Si chiama Diritto. Ha richiamato l’Italia per la politica perseguita in materia di immigrati l’alto commissario Onu per i rifugiati Antonio Guterres, allertando l’opinione pubblica sulle violazioni del diritto internazionale, in base al quale vige un principio di “non respingimento” (nei casi di asilo politico, riconoscimento dello status di rifugiato, e protezione temporanea per motivi umanitari), rispetto al quale la svolta Maroni sembra orientarsi in direzione esattamente opposta. Dunque chiudono i centri di prima accoglienza, e i barconi di disperati vengono respinti nelle acque siciliane. Non solo. È recente il lancio di materiale esplosivo contro il Qube, noto locale gay di Roma, già soggetto ad altri attacchi di stampo omofobo, e ben si ricorda la proposta di prelevare le impronte ai bambini rom ( iniziativa, anche questa, contestata in sede Onu e poi ritrattata), le classi differenziate, i pestaggi ai danni di extracomunitari, la legittimazione delle ronde cittadine in seno al decreto sicurezza, dal malcelato sapore xenofobo, e ancora l’incendio dei campi rom e gli stupri sempre più numerosi. Dal più misero Svastichella ai seggi del potere, la cronaca e, prima ancora, la politica italiana tracciano un percorso desolante verso la negazione di diritti umani fondamentali e del più generale senso di umanità. Una svolta culturale, meglio, anticulturale, che fa capo principalmente ad un ristretto gruppo politico, rispondente alle istanze del suo circoscritto eppure pesante elettorato, che vive, al NordEst d’Italia, una massiccia presenza, spesso criminale, di immigrati. Ma la politica di uno Stato che si definisca evoluto può permettersi di vedere ulteriormente compromesso, per il ricatto di pochi, il suo già modesto quadro culturale, svilendo così ancora la sua immagine in ambito internazionale? Può permettersi tanto in un momento in cui il presidente “abbronzato” degli Stati Uniti chiude Guantanamo, spinge per il dialogo tra le religioni, e professa una nuova stagione di apertura su tutti i fronti? Verrà forse da domandarsi se la politica che dall’alto detta, plasma e rappresenta il sistema culturale e l’insieme di valori di un popolo, non guidi, nel nostro paese,

questa deriva culturale così raccapricciante perché si crei il terreno fertile in cui la rabbia, la frustrazione, la noia esistenziale di questi tempi di crisi, si canalizzino verso bersagli facili perché più esposti. Sabrina Gammella


Manifestazione Agenda Rossa È passata del tutto sotto silenzio la manifestazione organizzata da Salvatore Borsellino a sostegno dei magistrati di Palermo, Caltanissetta, Firenze e Milano, impegnati nelle indagini sulle stragi di mafia del ’92, una delle pagine più buie della nostra storia, su cui le sentenze definitive hanno già messo in luce una “trattativa di carattere eversivo” tra i vertici di Cosa Nostra e le forze dell’ordine. Ma a Roma, piazza Navona era gremita di gente accorsa da tutt’Italia per manifestare partecipazione, a distanza di 17 anni dalla strage di via D’Amelio, alle forze migliori dello Stato impegnate in questa ricerca di verità e giustizia. Far luce sui moventi occulti del periodo stragista, come più volte è stato ripetuto dal palco, è fondamentale per rendere realmente giustizia e onore ai martiri della lotta alla mafia, ma soprattutto per capire il nostro presente, le basi su cui è nata la seconda Repubblica. Si sono susseguiti gli interventi di Pino Mascia, imprenditore calabrese perseguitato dalla mafia per aver denunciato il pizzo, Gianni Lannes, giornalista pugliese che ha subito attentati di stampo mafioso in seguito alle inchieste condotte, e ancora Carlo Vulpio, giornalista del Corriere che stava seguendo il caso De Magistris, sollevato dall’incarico dopo aver fatto i nomi di personaggi coinvolti nelle inchieste, e poi De Magistris stesso, Sonia Alfano, Antonio Di Pietro, G. Genchi, in collegamento telefonico Marco Travaglio e Beppe Grillo, e poi altri ancora. Il messaggio è chiaro e unanime: la mafia non agisce più col tritolo, attaccando frontalmente la magistratura e le istituzioni, perché ormai si è infiltrata al loro interno, così da potersi muovere senza tanto clamore, lasciando l’illusione d’essersi fermata. E si è scelto di dare la parola

a ragazze giovanissime, impegnate nel loro piccolo attivamente in questa battaglia, a testimoniare che quella “resistenza”, gridata da Salvatore Borsellino con forza e rabbia inesauribile, non è solo una parola o uno slogan: l’istanza di cambiamento, di un’Italia migliore, sana e onesta, di cui andar fieri, tangibile e contagiosa, può tradursi in atto. Ecco cosa ha portato a casa chi ha partecipato alla manifestazione: la convinzione che qualcosa si sta muovendo, che il cambiamento è possibile e vicino. E questo malgrado la distanza delle istituzioni, a partire dal presidente Napolitano che, invitato a presenziare all’evento, ha declinato bollando la manifestazione come festa di partito (presumibilmente per la partecipazione di Di Pietro e degli altri esponenti dell’Idv, che tuttavia non hanno esposto simboli di partito), e malgrado la reticenza di televisioni e giornali a riferire sull’evento, segni altrettanto tangibili della volontà di non dare risonanza a questa battaglia, evidentemente perché non si estenda.

Sabrina Gamella


Eventi Una mostriciattola nata nel degrado La mostra Il teatro antico e le maschere che abbiamo vista pubblicizzata in lungo e in largo non meritava tanto affanno poiché trattasi di una semplice esposizione per visitare la quale un quarto d’ora è più che abbondante. Essa consiste, infatti, di qualche metro di esposizione in cui sono stati affiancati i calchi da cui venivano tratte le maschere teatrali del teatro romano, qualche elemento architettonico a forma di maschera in marmo e un paio di affreschi rappresentanti sempre le maschere. Il nome di mostra e il battage pubblicitario connesso ci sembrano, dunque, un po’ eccessivi. Se si vuole, infatti, esporre al pubblico una parte dei tanti reperti che giacciono dimenticati in qualche magazzino lo si faccia senza troppo clamore. Anche perché quest’ultimo rischia di suscitare attenzione da parte della gente e viste le condizioni di degrado in cui il museo si trova forse è meglio evitare. Il visitatore - specie se ha ancora freschi i ricordi di una vacanza all’estero e può fare confronti - rimarrà deluso infatti sia per la scortesia del personale, sia per la pulizia e le condizioni estetiche del museo. Ad esempio, se volete utilizzare l’ascensore non troverete nessuna indicazione e bisognerà cercare un addetto per avere lumi; una volta trovato,

l’addetto spalancherà una porta, forse risalente all’ eruzione del 79 d. C. viste le condizioni in cui si trova e su cui qualche buontempone ha attaccato un cartello di “Divieto di accesso”, e bisognerà attraversare un lurido e squallido locale per raggiungere il tanto agognato ascensore. Un'altra cosa che si incarica della classica parte del pugno in un occhio è costituita dalle indicazioni per le diverse esposizioni presenti sulle scale. Esse sono costituite da comuni fogli stampante A4 appiccicati alla meno peggio, davvero un’istituzione come il Museo Archeologico Nazionale non può permettersi qualche indicazione un po’ più decorosa? Sì, sappiamo che, come dimostrato da recenti inchieste giornalistiche, purtroppo i soldi da spendere per i beni culturali sono pochi - o meglio ne concedono pochi - il che è una vergogna e una miopia non solo per quanto riguarda la cultura ma anche l’economia del paese; ma almeno questi pochi soldi siano impiegati, invece che per pubblicizzare qualcosa che solo con molta fantasia può essere definito una mostra, per spolverare la statua di Ferdinando I di Borbone e per una pulita alle teche espositive che ne hanno, credetemi, un gran bisogno.

Francesco Lobefalo


EVENTI A NAPOLI “Imperfezioni”: quando l’arte non è perfetta

imperfette che si alternano alle montagne, alle onde e ai campi e che si nascondono tra questi elementi. Imperfetta è, quindi, anche la figura umana. Passaggio mostra una via creata dai colori, il Mondo è un agglomerato di case e facce colorate, i Pinguini sono il simbolo dell’amore, e ancora misteriose e dal sapore profondamente esotico le pittosculture dedicate all’Africa. Poeta del paesaggio, Antonino ha saputo condensare semplicità tematica e vitalità interpretativa. È la prima volta che la città natale dell’artista ospita i suoi lavori e Antonino si dichiara galvanizzato dall’evento. La mostra avrà presto altre mete, spogliandosi di alcune opere e arricchendosi di altre.

Francesca Bianco

Dal 18 settembre 2009 nelle sale del Castel dell’Ovo è ospitata la mostra di Alessandro Antonino dal titolo “ Imperfezioni”. Alessandro Antonino è nato a Napoli e si è formato attraverso le esperienze artistiche di Guttuso, dei Nabis e di Gauguin, sensibile ad un simbolismo che sfocia in Espressionismo astratto. Il titolo della mostra fa riferimento alle forme non perfette delle opere dell’artista partenopeo. Le pittosculture di Antonino, dove i due generi della scultura e della pittura dialogano raggiungendo un unicum di stile ed emozione, trovano la loro espressione più significativa nelle opere dedicate alla città di Napoli, incastonata tra maioliche e vetri, dove la materia vuole emergere dalla bidimensione ed esplodere con la vivacità dei colori. La suggestione delle pittosculture di ceramiche colorate come in Campi, Montagne rocciose e Onde, dove Antonino rappresenta la natura in un tutte le sue sfaccettature e in tutte le sue fasi stagionali, raggiunge una straordinaria liricità. Il colore è elemento indispensabile della pittoscultura, gioca a creare facce


EVENTI GAMECON 2009, IL SALONE DEL GIOCO E DEL VIDEOGIOCO DI NUOVO A CASTEL SANT’ELMO

Giunto alla IV edizione, Gamecon 2009, il salone del gioco e del videogioco, si è concluso con risultati sorprendenti. Diventato ormai un appuntamento da non perdere per i giocatori di tutte le età, quest’anno ha riportato un bilancio finale di 16.000 presenze, in crescita rispetto ai 15.000 dell’edizione 2008. La location è la stessa, il meraviglioso Castel Sant'Elmo, ma anziché un freddo weekend di dicembre, gli organizzatori hanno optato per un caldo fine settimana di settembre, precisamente da venerdì 18 a domenica 20. Forse è stato proprio il periodo ad attirare maggiori visitatori giunti dalle diverse regioni d’Italia. Tema dell’anno è l'Homo Ludens emblema di tutto ciò che riguarda l'universo del gioco.

Alle 20 postazioni dei World Cyber Games si sono alternati 1.800 videogiocatori per sfidarsi alla guida delle auto di Blur, con la musica di Guitar. Oltre 400, invece, i partecipanti al torneo di Pro Evolution Soccer per aggiudicarsi il titolo di rappresentante napoletano ai Mondiali di Colonia, in Germania. Lo stesso castello è stato luogo di rievocazioni storiche e di spettacoli delle associazioni riunite nel “Ponte tra i Tempi”, a cura di Ambrogio Di Renzo. Tuttavia, anche lo spazio dedicato agli scacchi, che ha ospitato la campionessa italiana in carica Maria De Rosa, è stato affollatissimo a conferma del fatto che anche i giochi tradizionali possono ancora competere con i videogame. Antonella Anna Giacomaniello


EVENTI MOSTRA FUTURISTA A PALAZZO REALE

Dopo la sosta romana presso gli spazi del Macro Testaccio di Roma, la mostra “Futurismo Manifesto 100×100” avanza in terra campana, ospitata fino al 3 novembre nella Sala Dorica del Palazzo Reale.Curata da Achille Bonito Oliva, con la creazione dell‟immagine di Vincenzo Capalbo e di Marilena Bertozzi e il coordinamento di Francesca Barbi, l‟esposizione è dedicata al centenario del manifesto futurista.In mostra circa 100 Manifesti tratti da pubblicazioni e riviste dei primi decenni del „900 che ricostruiscono filologicamente le basi teoriche della produzione artistica del Futurismo.La tappa partenopea è arricchita da documenti tratti dalle pubblicazioni della rivista piedigrottesca “La Tavola Rotonda” edita Bideri.

Quest‟ultima, il 14 febbraio 1909, anticipò di una settimana Le Figaro parigino, pubblicando il manifesto di Martinetti. Il legame tra Futurismo e Festa di Piedigrotta fu così stretto che nel 1911 Marinetti organizzò una serata futurista al Mercadante, aiutato da Ferdinando Cangiullo, alla presenza di Palazzeschi, Carrà, Scarpetta e Gemito.Nel 1914, fu poi organizzata una mostra alla Galleria Sprovieri con opere di Boccioni, Balla e Severini e spettacoli di cabaret di Francesco Cangiullo, amico di Marinetti e personaggio chiave del futurismo napoletano e italiano in genere.Nell‟ambito della mostra sono previsti una serie di eventi legati alle celebrazioni del centenario del primo manifesto, tra cui un concerto di Daniele Lombardi.

Antonella Anna Giacomaniello


EVENTI IL PIACERE DI LEGGERE A VOCE ALTA La voce è il mezzo di comunicazione più veloce, con essa si può discutere, insegnare, sedurre, e permette di affrontare tutte le attività relazionali del vivere quotidiano. Per questo motivo l’Associazione Culturale A Voce Alta, in collaborazione con l’Università Federico II, si propone di diffondere tra la gente comune il piacere di ascoltare, in compagnia di altre persone, un testo letto ad alta voce. Attraverso incontri periodici l’Associazione, dal 2005, si rivolge a coloro i quali conoscono poco il gusto della lettura e che, entrando in contatto con lettori abituali, possono realizzare uno scambio culturale. Negli incontri la lettura è affidata alle voci di attori di teatro, cinema e TV, ma anche a quelle di lettori non professionisti. Dopo la lettura gli ascoltatori vengono incoraggiati ad esprimere le proprie opinioni e le sensazioni che il testo ha provocato. Quest’anno, ad ottobre, inizia la Terza Edizione di A Voce Alta, in cui si fondono due eventi: il Festival della lettura e gli

Incontri di lettura e su proposta del soprintendente Nicola Spinosa sarà introdotta una sezione dedicata alla lettura dell’opera d’arte. Le altre sezioni già sperimentate saranno dedicate agli interpreti, agli autori, alle poesie, ai giovani e ai bambini. Tra gli ospiti ci saranno: Aldo Masullo, Simona Argentieri, Ascanio Celestini, Ennio Fantastichini, Maddalena Crippa. Il tema scelto quest’anno è la menzogna: mistificazioni, illusioni, ipocrisie, ambiguità, disinformazione. Partecipare è facile, basta inviare la pagina di un testo che si vuole proporre all’indirizzo email avocealta@virgilio.it entro il 18 ottobre, si potrà scegliere di leggere il testo, non superiore ai 4500 caratteri, o affidarlo alla lettura di un attore. Dal 22 al 25 ottobre gli incontri di lettura si terranno tra Villa pignatelli e il Centro Congressi Federico II, in via Partenope 36. Il programma completo degli incontri sarà disponibile da ottobre sul sito www.avocealta.net.

Allegra Taglialatela


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