Doriano Fasoli
Dal libro al divano Autobiografia di una psicoanalisi Saggio-conversazione con Giovanni Sias Prefazione di Adone Brandalise
Collana i Territori della Psiche diretta da Doriano Fasoli Board scientifico: Alberto Angelini, Andrea Baldassarro, Marina Breccia, Giuseppina Castiglia, Domenico Chianese, Marcello Turno, Adamo Vergine
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Doriano Fasoli: (Roma, 1954), scrittore, critico, giornalista e sceneggiatore, si occupa soprattutto di letteratura e di psicoanalisi. Socio dello Spazio Psicoanalitico di Roma, ha prestato la sua collaborazione a quotidiani (“Il Manifesto”, “Corriere della Sera”, “La Repubblica-Mercurio”, “l'Unità”, “Paese Sera”), riviste (Panorama, Epoca, Rinascita, Linea d'ombra, Flash Art, Praz!), trasmissioni radiofoniche e televisive. Ha inoltre curato “Giornale di pittura” di Toti Scialoja e numerose opere del teorico e critico d’arte Cesare Brandi. La Società Psicoanalitica Italiana gli ha conferito, nel 1999, il “Premio Cesare Musatti”. Dirige per Alpes Italia le collane “I territori della Psiche” e “Itinerari del sapere”. Giovanni Sias è psicanalista freudiano di formazione lacaniana. Vive e lavora a Milano, e si occupa, in particolare, della formazione degli psicoanalisti. Studioso e teorico della psicanalisi fa parte dell’Area mediterranea di Psicoanalisi, un collettivo di lavoro che raccoglie psicoanalisti italiani, francesi di area provenzale e occitana, e spagnoli. Ha già pubblicato nel 2016 per Alpes La follia ritrovata. In copertina: immagine di Enzo Ferrari
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Indice Prefazione ........................................................................................... V Ringraziamenti ................................................................................... IX Introduzione ....................................................................................... XI 1 2 3 4
Il cammino verso la psicoanalisi ................................................. L’avvio della pratica ...................................................................... Gli anni della formazione ............................................................ Incursioni nella teoria .................................................................. Sigmund Freud .............................................................................. Wilfred R. Bion ............................................................................. Jacques Lacan ................................................................................ 5 Prospettive della psicoanalisi ...................................................... 6 Meditazioni sulla pratica .............................................................. 7 La pratica nella formazione degli psicoanalisti ........................
1 23 35 45 45 77 101 129 145 175
Pubblicazioni e attivitĂ di Giovanni Sias ........................................ 189 Bibliografia ......................................................................................... 193 Indice dei nomi .................................................................................. 201
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Prefazione Avvicinarsi a questa “storia di una psicoanalisi” prevedendo che l’incontro con il sunto della carriera di uno psicoanalista, possa offrire una succosa satura di ritratti, bilanci critici, prese di posizione, aneddoti, oltre a stimolanti riepiloghi o anticipazioni della elaborazione teorica dell’autore, costituisce aspettativa legittima. A maggior ragione quando si abbia notizia di Giovanni Sias come di analista di vasta quanto atipica esperienza nonché propenso, per un verso a non sfuggire al confronto con le occasioni offerte nella sua articolata configurazione dal panorama delle declinazioni italiane della pratica analitica, per un altro a muovere con particolare convinzione i propri passi in territori dove una netta linea divisoria tra psicoanalisi e altre dimensioni del lavoro intellettuale si rende non facilmente reperibile, sempre associando all’attenzione e alla disponibilità al contatto una costante fedeltà all’irriducibile singolarità del proprio itinerario. Che tale attesa non vada delusa non la rende però il viatico più congeniale alle ragioni e alle prestazioni più essenziali di questo libro. L’evento della psicoanalisi tende a proiettarsi sui piani della storia culturale, in parte segnalando lo scarto implicante conseguenze discriminanti per la forma del pensiero che in essa si viene a produrre, in parte rischiando di disporsi, accanto a scuole filosofiche o scientifico-sociali, ideologie, movimenti artistici, nella nicchia dove l’indebolimento della domanda circa la sua ragione, ovvero circa la sua necessità, si sposa con la richiesta che le istituzioni in genere le rivolgono, quella di identificarsi definendo un proprio distinto oggetto, possibilmente leggibile con le categorie ordinariamente al lavoro nella medicina e nella psicologia. Il gesto etico ed epistemologico a un tempo che apre il campo dell’analisi tende a mostrarsi più efficacemente quando esso viene a configurarsi dove il movimento che le è proprio si genera nel concreto di una messa in questione che scuote i presupposti, nella relazione clinica come in quella tra la psicoanalisi e la fi-
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losofia o le arti, dove il rapporto si rende significativo quanto più si rivela necessario, rispondente cioè ad un’esigenza profonda che in esso vede la possibilità di aprire in relazione all’uno e all’altro dei suoi termini una questione radicale che solo per questo tramite si può proporre. Il percorso attraverso la psicoanalisi che Sias mette in scena curva reiteratamente il proprio tracciato alla ricerca di un luogo in cui si faccia il vuoto delle presupposizioni, delle identificazioni rigide, delle categorie reificanti. Il racconto dell’impatto con i nomi propri il cui effetto tende a coincidere con l’immagine meno depotenziata dell’analisi, come quello con le figure nel palcoscenico italiano, significative per la sperimentazione della proposta teorica e per l’esempio pratico, o la ricostruzione del formarsi di un proprio patrimonio di consapevolezze e di stili, divengono ripetutamente l’occasione per riattivare e far emergere nella scrittura la scoperta analitica in quei suoi movimenti essenziali che hanno bisogno di essere originalmente agiti più ancora che di venire richiamati dai sedimenti del deposito dottrinale. La narrazione diviene quindi l’ambiente in cui possono addensarsi e strutturarsi i nuclei di un esercizio teorico che (non senza una palese consentaneità con luoghi del pensiero che, da Nietzsche a Ortega y Gasset, hanno mostrato come al cuore della teoresi si dia quella pratica che riscatta il presente del desiderio che sorregge lo slancio della filosofia come della poesia dall’estenuazione cui lo condannerebbe il cedere su se stesso, simulando – verrebbe da dire giocando sui fondamentali lacaniani – l’avvenuta iscrizione del reale in quei registri che si definiscono a partire dal suo incessante sottrarvisi), si scopre psicoanalisi proprio perché estingue la presupposizione dell’oggetto da indagare (come del paziente, cui offrire l’equivoco dell’analisi come psicoterapia) nel moto soggettivante dell’invenzione. Il sottrarsi alla “formattazione” istituzionale-professionale come psicoterapeuta, il muoversi nello spazio della pratica estetica o dell’attraversamento di incroci sentiti come inaggirabili tra tradizione ebraica e snodi decisivi del Geist europeo – sino a traguardare la parabola della scoperta freudiane e dei suoi effetti nell’arco che va da Edipo a Mosè –, non come VI
Prefazione
ricognizione dei rapporti tra un distinto e consolidato ambito analitico e “altro” altrettanto circoscritto e codificato, ma come la modalità che più ricongiunge l’esercizio analitico al suo effettivo principio, sono tratti essenziali di questa sorta di ecce homo, severo quanto non corrucciato e schiettamente accogliente (perché la psicoanalisi, dopo tutto, attraversa e riconosce la tragedia ma non vi si arresta, non convalida la sua assolutezza riaprendo – gesto, anche questo, profondamente “ebraico” – alla vita, aldilà di qualsiasi svelamento di palinsesti provvidenziali o di teleologie che garantiscano conclusioni armoniose in origini finalmente ricomposte). Per questo, come già si è accennato, i vari registri che potrebbero venire distinti nel testo, quello del Bildungsroman autobiografico, quello delle considerazioni e dei giudizi relativi alle dramatis personae, della psicoanalisi italiana e quello del posizionamento della prospettiva dell’autore rispetto all’analisi come impresa intellettuale e quindi alle sue elaborazioni teoriche, sono come calamitati da un’urgenza fondamentale, nella quale ci sembra di poter ravvisare la motivazione decisiva nella genesi di questo libro, quella di far emergere quello che potremmo chiamare l’operante non fraintendimento della scoperta dell’inconscio. Seguire lo sviluppo che nel capitolo IV prende, nel quadro della esposizione dell’irrequieta – e mai pregiudizialmente “credente” – assunzione discriminante dell’effetto di Lacan, l’approfondimento della nozione di inconscio, sino all’adesione alla formula blanchotiana avanzata nell’Entretien infini, l’immediato, incatturabile dalla messa in forma dialettica e incalcolabile (così comunicante con il profilo più esigente dell’asse Agostino – Meister Eckhart, come intrinsecamente inseparabile dalle ragioni che vogliono così centrale nella langue filosofica novecentesca della Francia il modus bergsoniano), significa seguire la nervatura di un movimento che non è altro da quello che ritroviamo quando il nostro autore reagisce a quelli che avverte come ripiegamenti rischiosi o transazioni al ribasso nell’insegnamento dei mostri sacri o nelle vicissitudini dell’etica dell’analisi nel panorama dei comportamenti degli analisti e nel consolidarsi delle ortodossie di scuola. Qualcosa che si origina in un costante quesito VII
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circa – per parafrasare la ben nota Inattuale nicciana – l’“utilità e il danno” per la ragion d’essere della psicoanalisi degli episodi in cui si snoda la vicenda del suo arrischiarsi storico. Esso è a sua volta il riverbero di quel rinascere ex novo dell’analisi in ogni suo effettivo accadere, che rende così insaturabile la sua assenza là dove si tenti di supplirvi con lo scialo cospicuo delle penne di pavone della fraseologia analitica e che impone a chi agisca nell’ambito dell’analisi, anche per nulla propenso alla formalizzazione teorica, di vivere come elemento essenziale del suo autorizzarsi ad operarvi, l’accettare di assumersi il ruolo di fondatore della teoria psicanalitica. Lo stesso procedere dell’impresa analitica per successive rifondazioni, scismi, restaurazioni e rinascite riflette, non sempre felicemente ma con indubbia sintomaticità questa evidenza. Non stupirà allora che sin dalle prime pagine che traggono spunto dall’avvio della formazione culturale dell’autore risulti evidente un’attenzione al riflettersi del contenuto della narrazione nel prisma delle urgenze di un presente di cui si vorrebbe, nonostante quanto inviterebbe all’accordo rassegnato con rodate riproposte del paradigma nichilista, espandere l’apertura aldilà della presa omologante della tendenza. In particolare crediamo non dovrebbe sfuggire al lettore la coerenza che lega il complessivo discorso svolto nel testo con l’intuizione di un possibile modo di concepire il lavoro dell’analisi nel quale l’interazione delle pratiche e la singolarità delle esperienze si sostengano a vicenda, dando consistenza a un campo di vitalità intellettuale in cui l’analisi non si separi dalle questioni che il nostro costituirci nel linguaggio nella contingenza del presente le propone come suo paradossale posto in altro.
Adone Brandalise
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Ringraziamenti Un sentito ringraziamento a Doriano Fasoli che ha pensato e permesso la pubblicazione di questo libro. Per la prima volta sono riuscito a parlare del mio lavoro, di come sono giunto e di cosa mi ha portato alla psicanalisi. Ringrazio anche Adone Brandalise che ha risposto al mio desiderio di pubblicare questo lavoro con la sua prefazione, e mia moglie Elena per i consigli e le correzioni. Un ringraziamento a Franco Quesito per la sua lettura, e in particolare a Roberto Cheloni per le preziose annotazioni che mi hanno consentito la stesura definitiva di questo libro. Naturalmente, la responsabilità di quanto scritto è solo mia, e chiedo scusa per le inesattezze della memoria che si possono trovare nel testo. Questo libro è idealmente dedicato a coloro che mi sono stati maestri nei lunghi anni della mia formazione umana e psicanalitica: al loro insegnamento non sempre sono stato in grado di rispondere come avrei dovuto.
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Introduzione Giovanni Sias è uno psicoanalista della generazione che si è formata fra la metà degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta del Novecento. Lacaniano di formazione ha esteso il suo sguardo verso altre teorie, in particolare quella di Bion. Il suo interesse si è rivolto alla rilettura dei classici, e cioè della generazione che ha fondato la psicoanalisi, da Ferenczi a Karl Abraham e Anna Freud per i quali ha scritto la prefazione a una raccolta di opere pubblicate dall’editore Bollati Boringhieri. In particolare nella rilettura di Freud, da cui ha tratto spunto per un percorso personale e critico, vive il suo impegno nel rilancio della ricerca nel campo psicanalitico in opposizione a quanti ritengono che non ci sia niente da cercare, avendo i grandi maestri del passato già prodotto tutto ciò che serviva. Il suo richiamo agli psicoanalisti, alla necessità di ritornare a essere dei “pensatori”, dei ricercatori e degli innovatori, è un sollecito a non adagiarsi nel già conosciuto, perché il linguaggio rinnova di continuo le strutture discorsive e il già conosciuto non serve a nulla ma rischia soltanto di isterilire lo psicoanalista, sia sul piano della sua pratica, sia sul piano intellettuale. Ed è anche il motivo per abbandonare ogni contrapposizione polemica nei confronti della psicoterapia, il cui risultato può essere solo quello di costruire un’illusoria concorrenza professionale. Secondo Sias la psicoterapia va lasciata al suo destino di utilità nel sistema sociale ed economico, mentre allo psicoanalista occorre affermare, in positivo, che cosa è psicoanalisi. Pratica che Sias definisce “esercizio moderno dell’ozio”, che non cerca e non risponde a nessuna attività di utilità pubblica e sociale. Sias si è fatto in questi anni propositore di una psicoanalisi negativa, contro quella positiva che vuole riconoscere nel “paziente” il tòpos della psicopatologia, e nello psicoanalista quello di un’illusoria competenza professionale da spendere sul mercato della salute. Per tali motivi si è astenuto da XI
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ogni coinvolgimento associativo e professionale, rendendosi però impegnato e disponibile nei confronti della comunità psicoanalitica. Questo tratto ne ha fatto negli anni uno psicoanalista particolare, sia nella sua produzione teorica sia nella sua posizione all’interno della comunità psicanalitica nell’Europa delle lingue romanze. Ha vissuto e partecipato con slancio al Sessantotto, e di quel periodo ha conservato l’istanza della libertà. Ricercatore libero dalle definizioni scolastiche, e piuttosto estraneo agli allineamenti di pensiero vigenti nelle associazioni psicanalitiche, la sua teoretica procede dalla cultura classica con la quale è venuto a contatto attraverso gli studi universitari di storia del Rinascimento. La sua lettura di Freud, come quella dei maestri della psicoanalisi, testimoniata in questo libro, si compie nel solco della sapienza antica greco-ebraica, prefilosofica e non religiosa, quanto in quella dello spirito e del pensiero rinascimentale. Sias sostiene che la psicoanalisi si fonda su due nomi, Edipo all’inizio dell’avventura freudiana e Mosè alla sua conclusione. Fra questi due nomi c’è un cammino complesso che incontra e produce un sapere che non è debitore né della filosofia, né della psichiatria e neppure del metodo della medicina in generale. Sias è convinto che il particolare sapere che la psicoanalisi attua, legato all’ebraismo di Freud, è che non esiste una teoria da applicare nella pratica, perché la pratica è già teoria, e ogni teoria trova le sua possibilità di rielaborazione nella esperienza pratica. Per quel che riguarda la psicoanalisi, la pratica è quella della meditazione: meditazione sui nomi con cui si nomina il mondo e i suoi oggetti e si esplicita la relazione con essi. In questo senso la psicoanalisi non è in nulla introspettiva, ma e sempre conoscenza del mondo e di sé nel mondo. Sias resta fedele alla definizione freudiana di psicoanalisi come “opera di civiltà”. A partire da questo concetto Sias rilegge Freud alla luce sia della cultura antica e della filosofia “mediterranea” – Machiavelli, Vico, Ortega y Gasset, Colli, Semerano e così via – sia da quanto apprende dalla ricerca poetica e letteraria, ma anche dal pensiero scientifico derivante dalle scienze esatte
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Introduzione
(chimica e fisica), con poca o nulla considerazione delle scienze cosiddette “umane” (dalla sociologia, all’antropologia, alla psicologia o allo strutturalismo, e i loro derivati.) che Sias intende fuorvianti e ideologiche sia nella costruzione teorica della psicoanalisi sia nell’analisi del linguaggio. In particolare, però, è riferendosi al teatro che trova le consonanze più forti e strette con ciò che avviene nella psicoanalisi, sia nei riguardi del sogno sia rispetto alla presenza dello psicoanalista a cui Sias assegna lo statuto di “spettatore”. L’arte, la poesia e la letteratura, come la scienza, essendo “pratiche”, rendono possibile la costruzione di una teoria che procede e si sviluppa dall’intuizione. Le teorie che ne derivano non si limitano a spiegare il mondo ma lo “creano”. È da questo pensiero che Sias ritiene che la conoscenza si possa costruire solo dall’intreccio e dalla solidarietà fra le pratiche artistiche, letterarie e scientifiche. Una conoscenza, peraltro, che comunque è sempre provvisoria – ma anche illusoria – e sempre messa in discussione nelle sue affermazioni. Si avverte qui la lezione di Giorgio Colli che indica nella conoscenza il riflesso di un’immagine e mai la realtà. La conoscenza come invenzione. Ma essendo, una tale invenzione, esclusivamente un prodotto del linguaggio Sias affida alla scrittura questo compito, e cioè alla composizione delle lettere dell’alfabeto secondo quanto ha appreso dallo studio della sapienza ebraica. E, nella scelta dello stile, ha adottato quello letterario come il più affine a lui e alla materia che tratta. Scelta pericolosa! Nietzsche lo testimonia nel 1889, quando scrive che, secondo un accademico di Basilea, non lo si legge perché non lo si prende sul serio per via della sua scrittura letteraria; la stessa cosa lamentò cinquant’anni dopo Ortega y Gasset; la saggistica di Freud, benché concettuale scivolava pericolosamente verso forme narrative, e comunque la sua espressione richiedeva un contenuto metaforico incompatibile con la scrittura medica, cosa che gli valse l’ostracismo e la denigrazione da parte di medici e psichiatri, e non solo quelli
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della sua epoca. La saggistica letteraria non è apprezzata in ambito accademico, dove l’uso della lingua comune è considerato un modello da evitare perché non specialistico. Giovanni Sias è persona schiva e piuttosto solitaria, lontana dai salotti, dai riflettori dei media, dalle accademie e dalle redazioni che contano, dalle lusinghe della politica e del mercato. Questo non vuol dire che sia isolato, o che sia fuori della realtà. Conduce da alcuni anni un corso, La cultura della psicoanalisi, alla Fondazione Humaniter di Milano, ed è spesso impegnato in seminari presso varie associazioni. Ha una rete di relazioni con intellettuali e psicoanalisti di molti paesi europei con i quali intrattiene uno scambio fertile e continuo, è un componente storico dell’Aire Méditerranéenne de Psychanalyse e dal 2015 è impegnato con alcuni colleghi in Europa nella costituzione di un Centro europeo di psicoanalisi, di ricerca e formazione, con sede a Bruxelles. I suoi scritti sono stati tradotti e pubblicati in lingua francese, spagnola, portoghese, inglese e turca.
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