Nicolò Terminio
L’intervallo della vita Il Reale della clinica psicoanalitica e fenomenologica
Prefazione di Federico Leoni
Collana i Territori della Psiche diretta da Doriano Fasoli Board Scientifico: Alberto Angelini, Andrea Baldassarro, Marina Breccia, Giuseppina Castiglia, Domenico Chianese, Marcello Turno, Adamo Vergine
Alpes Italia srl, Via G.D. Romagnosi, 3 - 00196 Roma tel./fax 0639738315; e-mail: info@alpesitalia.it; www.alpesitalia.it
© Copyright Alpes Italia srl Via G. Romagnosi, 3 – 00196 Roma, tel./fax 0639738315 I edizione, 2020
Nicolò Terminio, psicoterapeuta e dottore di ricerca, pratica la psicoanalisi a Torino. Lavora come supervisore in servizi ambulatoriali e residenziali dedicati alla cura delle dipendenze patologiche. È docente all’Istituto di Ricerca di Psicoanalisi Applicata di Milano e alla Scuola COIRAG di Torino. Fa parte dell’équipe torinese del Centro Telemaco di Jonas ed è socio del Laboratorio di Gruppoanalisi e della Sezione italiana della Society for Psychotherapy Research. Ha scritto volumi e articoli per riviste scientifiche e divulgative. Tra i suoi libri: Tradurre dal silenzio. La psicoanalisi come esperienza assoluta (Mimesis 2018) e Introduzione a Massimo Recalcati. Inconscio, eredità, testimonianza (il melangolo 2018). Nelle edizioni Alpes ha pubblicato A ciascuno la sua relazione. Psicoanalisi e fenomenologia nella pratica clinica (2019).
In copertina: disegno di MAEL (Maria Elena Ferraresi).
TUTTI I DIRITTI RISERVATI Tutti i diritti letterari e artistici sono riservati. È vietata qualsiasi riproduzione, anche parziale, di quest’opera. Qualsiasi copia o riproduzione effettuata con qualsiasi procedimento (fotocopia, fotografia, microfilm, nastro magnetico, disco o altro) costituisce una contraffazione passibile delle pene previste dalla Legge 22 aprile 1941 n. 633 e successive modifiche sulla tutela dei diritti d’autore.
L’intervallo che si ripete, e che è la struttura più radicale della catena significante, è il luogo frequentato dalla metonimia, veicolo, almeno così noi insegniamo, del desiderio. Jacques Lacan, Posizione dell’inconscio
La psicoanalisi è destinata a estinguersi se non ritroverà la ragione etica che fonda la sua pratica: rianimare il soggetto del desiderio, rendere il desiderio capace di realizzazioni creative, promuovere la singolarità irriducibile del soggetto come obiezione a ogni sua assimilazione conformistica. Massimo Recalcati, L’uomo senza inconscio
Indice generale Prefazione di Federico Leoni..................................................................... VII Introduzione ............................................................................................ XI
Parte prima – Dal taglio all’intervallo 1. Il taglio che umanizza la vita..........................................................
3
2. Il tempo vissuto tra immanenza e trascendenza .............................
14
3. Il desiderio nella vita familiare........................................................
21
Parte seconda – Dal sintomo al Reale 4. Essere soggetti al male.................................................................... 33 5. Clinica dell’assoluto e mondo tossicomane..................................... 41 6. Il Reale e il gioco d’azzardo patologico........................................... 52 7. Corpo, godimento e silenzio.......................................................... 66 8. Clinica del famigliare..................................................................... 77
Parte terza – Dal processo clinico alla scrittura 9. Sapere dell’inconscio e atto analitico.............................................. 85 10. La tuché dell’inconscio e la creatività.............................................. 94 11. I tre tagli della scrittura e l’effetto di Reale..................................... 100 Bibliografia ..................................................................................... 109
V
Prefazione di Federico Leoni
Michel Foucault ha detto una volta che poteva essere istruttivo dedicare qualche attenzione a una singolare coincidenza. Due grandi come Freud e Husserl avevano pubblicato, nello stesso anno, 1900, L’interpretazione dei sogni, dando il via all’avventura della psicoanalisi, e le Ricerche logiche, avviando il cammino di quella che sarebbe diventata la tradizione fenomenologica. Centoventi anni più tardi quelle due linee di pensiero, quei due modi di maneggiare le cose umane, nella teoria come nella pratica, sono ancora attive, anzi più che mai fiorenti. Eppure è lontano il momento in cui sarà chiaro come tenerle insieme, come conciliare le scoperte dell’una con le scoperte dell’altra. È più facile indicare una data, come punto d’incrocio di traiettorie tanto diverse, che un terreno comune, uno spazio di almeno parziale sovrapposizione. Forse quel terreno comune è il tempo, sembra proporre in queste pagine Nicolò Terminio. Tante cose le dividono, ma la qualità di questo libro è tutta nel mediare e nell’intrecciare le differenze intorno a un’ipotesi di alleanza. Tanto la psicoanalisi quanto la fenomenologia individuano nel tempo un filo d’Arianna al quale affidarsi nel labirinto delle esperienze umane. Sono una psicoanalisi del tempo e una fenomenologia del tempo, a emergere dalle pagine di questo libro. È difficile fare una ricognizione delle tante facce del tempo convocate in questo libro, anche perché ogni aspetto della clinica diventa in queste pagine una faccia del tempo, un volto leggibile alla luce di quella chiave temporale. Il desiderio è una di queste, è un essere già e non ancora alla meta. L’istante è una di queste, si tratti di quell’istante assoluto in cui il volto di una persona amata ci appare noto e insieme nuovo, o dell’istante anch’esso in qualche modo assoluto, senza spessore, senza appoggio, senza domani, in cui il mondo maniacale si sbriciola in schegge perfettamente momentanee. Il tempo ha una grande proprietà, diceva Bergson, terzo nume tutelare che andrebbe convocato accanto a Freud e Husserl sulla soglia del Novecento e di tanti suoi percorsi che giungono fino a noi. Foucault non lo cita, forse perché per distrazione Bergson ha mancato lo scoccare del secolo, pubblicando cose decisive sei o sette anni prima o sei o sette anni dopo l’anno zero, rispettivamente Materia e memoria e l’Evoluzione creatrice. Il tempo ha la grande proprietà di far sì che non tutto sia dato, dice Bergson VII
L’intervallo della vita
in una pagina memorabile di un breve saggio intitolato Il possibile e il reale. Fa in modo che non tutto sia, e sia qui, in un colpo solo. Beninteso, un’intuizione analoga potremmo trovarla in Husserl o in Freud. Quando Husserl dice che il presente è ritenzione e protenzione, non dice forse che il presente non è un dato e tanto meno è tutto dato, ma che semmai si sta dando e che tutt’al più si sarà dato, al futuro anteriore? Quando Freud dice che il tempo psichico funziona secondo il movimento della Nachtraeglichkeit, non dice forse che il tempo crea e dispiega, o che chiamiamo tempo il dispiegarsi di ciò che appunto non è mai dato una volta per tutte, che chiamiamo tempo il ricrearsi e il ridistribuirsi del reale in ogni suo evento? Il libro di Nicolò Terminio si ricompone all’istante in un’architettura efficace e trasparente intorno a questa scelta, in qualche modo fondamentalmente fenomenologica, di mettere al centro il tempo, che è il grande trascendentale della fenomenologia. Dunque il tempo è un nome della genesi, della generatività, delle generazioni. È uno dei temi più ricorrenti nel lavoro di Terminio. Dunque il tempo è un nome della nevrosi, per la quale ciò che è, non è, e ciò che non è, è. Celebre definizione hegeliana del tempo, che guarda caso calza alla perfezione per l’isteria o per l’ossessione. Dunque il tempo è un antonimo della psicosi, per la quale appunto tutto è dato, insopportabilmente dato tutto insieme. Per esempio nella forma della certezza delirante. Per esempio nella forma dell’invasione da parte di qualcosa che nulla tiene a distanza, che nulla diluisce e articola in un ritmo o una scansione. O ancora, il tempo è un nome dell’eredità, della trasmissione. Perché qualcosa passi dai vecchi ai giovani, bisogna che i giovani la reinventino. L’eredità non è data, benché possa sembrare la figura stessa di ciò che è dato e dunque ricevuto. Va reinventata proprio perché sia la stessa cosa che era stata, e la stessa cosa che era stata, diventa quella stessa cosa che era stata, solo a reinventarla ora coi materiali di allora, solo rendendo l’allora l’insieme dei materiali utili a realizzare ciò che ora accade. E poi il tempo è un nome del femminile, il cui tratto, insegna la psicoanalisi, è il non-tutto, la non-totalizzabilità entro il perimetro di un significante, entro lo steccato di un gesto onnicomprensivo. E per lo stesso motivo il tempo è un antonimo del maschile o almeno di quel tratto ossessivo che così spesso è tipico del maschile. Desiderio che non ci sia desiderio, speranza che tutto sia dato e che nulla resti da fare, che un significante getti una volta per tutte la sua rete sul movimento insopportabile della generazione. Basta col pullulare metamorfico delle cose, basta con l’incubo di cui parla quel detto di rara profondità metafisica: da cosa nasce cosa. Basta con questa generatività ingovernabile perché asoggettiva. Basta col tempo, in una parola. E così, il tempo è un nome della vita, nella misura in cui è il nome dell’intervallo, come dice Terminio fin dal titolo di questo
VIII
Prefazione suo lavoro, della sfasatura che ogni vivente, di ogni ordine e grado, per il fatto stesso di vivere, introduce tra sé e sé. O più esattamente: tra sé come propria provenienza e sé come propria destinazione, tra sé come riserva che si rivela non realizzata alla luce della realizzazione attuale, e sé come ciò che resta da realizzare proprio in quella realizzazione attuale. Infine, questa struttura del tempo, questa struttura del non-realizzato, non è poi la struttura stessa di quel fenomeno che è in fondo l’unico fenomeno di cui si occupa la psicoanalisi: cioè l’inconscio, secondo una delle più belle definizioni che la psicoanalisi di Lacan ne abbia dato?
IX
Introduzione L’intervallo della vita è l’esperienza di godimento che facciamo nel movimento del desiderio. È un’esperienza che viene profondamente condizionata dai limiti e dalle opportunità del linguaggio umano. Il linguaggio fa sì che le nostre parole non coincidono mai del tutto con la nostra esperienza (cosciente e inconscia). Tra il Reale della nostra esperienza incarnata e la realtà delle nostre rappresentazioni c’è sempre uno scarto incolmabile. Ed è proprio in questo scarto che risiede la possibilità per l’intervallo della vita. Non tutte le esperienze di godimento danno corpo all’intervallo della vita. Nell’opera di Massimo Recalcati1 troviamo ben enucleati gli elementi che portano a distinguere un godimento rovinoso e maligno da un godimento generativo. È una differenza che potremo cogliere meglio approfondendo la funzione del linguaggio nella strutturazione dell’esperienza umana. Il tema che svilupperò in tutto il libro riguarda infatti il modo in cui il taglio del linguaggio apre la possibilità all’intervallo della vita. Esistono però delle condizioni psicopatologiche dove invece il linguaggio non divide il soggetto dal Reale del godimento. Ciò che risulta rovinoso e maligno è quel godimento Uno che produce un annichilimento del soggetto perché lo fa coincidere con il godimento stesso. Il godimento Uno diventa generativo invece in tutti quei casi dove facciamo esperienza di un’alterità che ci abita e con cui non coincidiamo mai. È per tal ragione che Recalcati preferisce al termine “godimento Uno” quello di “Altro godimento”. Il desiderio infatti – nella prospettiva di Lacan e Recalcati – è la possibilità di un Altro godimento come alternativa al godimento Uno. Non mi addentrerò molto in queste questioni più interne al dibattito lacaniano2, ciò che mi interessa trasmettere di capitolo in capitolo è il vivo di un’esperienza di godimento con cui non coincidiamo e che ci divide perché rende sempre presente un’alterità mai del tutto riassorbile nelle nostre elaborazioni di sapere, nelle nostre rappresentazioni e nelle nostre produzioni di senso. Nonostante questa esperienza costituisca sempre un resto asemantico è ciò che consente a ciascuno di noi di trovare un senso nella vita. Cercherò allora di illustrare un’esperienza che è sul crinale che separa il Reale del godimento e il punto di insorgenza di ogni possibile senso. Ho scelto il termine intervallo perché volevo da un lato riprendere tanti studi e tante osservazioni sul tempo vissuto (nel corso degli anni, anche 1 Si veda in particolare M. Recalcati, Jacques Lacan. Desiderio, godimento e soggettivazione, Cortina, Milano 2012. 2 Cfr. A. Pagliardini, “Solo”, in F. Cimatti, A. Pagliardini (a cura), Abbecedario del reale, Quodlibet, Macerata 2019, pp. 155-168.
XI
L’intervallo della vita
grazie alla mia pratica clinica, mi sono sempre più convinto che una delle cose che ci caratterizza di più è il modo singolare in cui viviamo il tempo perché il tempo è contemporaneamente un’esperienza del Reale ma anche una progettualità che diamo al nostro desiderio) e dall’altro volevo sottolineare attraverso il termine “intervallo” che stavo parlando di un’esperienza che non è una condizione stabile a cui approdiamo o che ci guadagniamo una volta per tutte. L’intervallo della vita non è una condizione dell’essere che è già lì e a cui dobbiamo ritornare come se fosse un Eden che abbiamo perduto. È un’esperienza che riguarda il nostro modo di divenire sempre più ciò che siamo anche se ciò che siamo continua a rimanere una chiamata che non padroneggiamo e un mistero che non comprendiamo. Dell’intervallo della vita ci si prende cura con la pratica, senza la traduzione in pratica non potrebbe esistere alcun intervallo. Non si tratta di una condizione già prestabilita, è piuttosto una chance per il Reale. Come ho già sottolineato, nell’intervallo della vita il Reale prende corpo nel movimento desiderante. La nostra soggettività non è un’entità statica e definita da certe proprietà, è piuttosto un movimento in avanti dove ciascuno di noi prova a dare un destino all’esperienza del godimento. Nelle pagine che seguono vedremo come dare un destino non voglia dire trovare un destinatario quanto piuttosto cercare una forma per il Reale. La dimensione del Reale è sempre presente, ciò che invece può eclissarsi è la nostra costruzione della realtà, quella costruzione che ci permette di orientarci e sentirci al sicuro. Ma gli esseri umani non cercano solo sicurezza, esiste una spinta indomita verso l’esplorazione e il superamento delle frontiere. E sulla soglia tra bisogno di sicurezza e spinta desiderante ciascuno si gioca la sua singolarità. Quando non la si vive, quest’unicità irriducibile affiora grazie ai vari sintomi su cui la psicoanalisi e la psicopatologia fenomenologica hanno riposto la massima attenzione. Sintomi di verità ed espressione del Reale inassimilabile per ciascun soggetto. Ho sviluppato l’argomento dell’intervallo della vita in quattro tappe. Nella prima parte, che definirei antropologica, mi sono occupato del passaggio che va dal taglio all’intervallo. In estrema sintesi potremmo dire che se il taglio del linguaggio introduce una mancanza d’essere nella nostra vita – la non coincidenza e divisione soggettiva di cui accennavo prima –, l’intervallo introduce anch’esso un taglio perché costituisce una scansione del nostro tempo vissuto, ma si tratta di un taglio che però “non manca di nulla”3 perché si tratta di un momento assoluto. Ciò non vuol dire che essendo assoluto – absoluto: sciolto da ogni legame – è in contrapposizione 3 Cfr. F. Leoni, “Taglio, evento, creazione”, in G. Solla (a cura), Cosa può un taglio? Filosofia, psicoanalisi e altre circoncisioni, Orthotes, Napoli-Salerno 2016, pp. 45-53.
XII
Introduzione al legame con l’Altro. È assoluto dal senso che eventualmente si può cercare nell’Altro. Vedremo meglio come è proprio questo carattere assoluto dell’intervallo della vita che apre la possibilità per un Reale incontro con l’Altro. Nella seconda parte del libro dedico le mie riflessioni alla declinazione psicopatologica del Reale. Esploro vari territori della clinica seguendo le mappe della psicoanalisi lacaniana e della psicopatologia fenomenologica, ma in alcuni passaggi ho scelto di appoggiarmi anche al pensiero di altri autori non-lacaniani o non-fenomenologi e addirittura non-psi ma che hanno comunque centrato l’attenzione sull’esperienza del Reale riuscendo a esprimerla con parole precise e vive. Precise e vive, ben argomentate ed emotivamente pregnanti: ecco l’orizzonte che dovrebbe orientare ogni scrittura psicoanalitica e fenomenologica perché l’intervallo della vita è anche sulla pagina, l’effetto di Reale abita nelle parole. È questa la focalizzazione epistemologica sulla singolarità che ho sviluppato nella terza parte del libro. Nonostante tutte le parole e le pagine che possiamo impiegare, l’intervallo della vita rimane qualcosa che non acciuffiamo con le pinze del nostro pensiero. La vita è l’esperienza che facciamo quando ci accorgiamo dei limiti del nostro linguaggio. Tuttavia, non esiste esperienza della vita al di fuori o al di là dell’universo delle parole. Possiamo accedere alla vita solo attraverso la mediazione delle parole sebbene la vita rappresenti il limite contro cui si infrange il potere espressivo del linguaggio. Ma se il linguaggio non può dire e acciuffare la vita, può comunque mostrarla perché la struttura stessa del linguaggio è attraversata dalla vita. Nelle parole c’è un ritmo e una carnalità che le rende vive per chi le legge e per chi le ha scritte. Ecco una delle motivazioni per scrivere, e spero anche per leggere, un libro sull’intervallo della vita. Torino, marzo 2020
XIII