La natura relazionale de Sé

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C O L L A N A

Maria Cristina Arpaia

D I P S I C O T E R A P I A E

La natura

relazionale del

SĂŠ

La mente come sistema integrato

P S I C O A N A L I S I

Alpes Italia srl - Via Romagnosi, 3 - 00196 Roma tel./fax 06-39738315 - e.mail: info@alpesitalia.it - www.alpesitalia.it


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I Edizione, 2018 Maria Cristina Arpaia, è psicologa clinica, specialista in sessuologia clinica e nei disturbi specifici dell'apprendimento, psicoterapeuta psicoanalitica in formazione presso l’I.R.E.P., psicologa giuridica e forense, insegnante. Nell’ambito dei disturbi dell’apprendimento si occupa di attività diagnostica e terapeutica, per la prima infanzia e l’adolescenza. Svolge interventi di carattere clinico in ambito individuale e di coppia nella sfera sessuologica, per gli aspetti preventivi, diagnostici e riabilitativi. Si dedica all’analisi dei sogni di matrice junghiana ed al training autogeno per la gestione dello stress. Attiva percorsi terapeutici per interventi psicologici di supporto nei disturbi del sonno e d’ansia. Sito web: www.arpaia.info

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A Piermaurizio, per quel «luccichìo negli occhi»


«… tutti coloro che sentenziano senza discernimento, parlano a volte del dolore come di un mistero. In realtà è una rivelazione. Si scoprono cose mai prima dissepolte». (Oscar Wilde, De Profundis, 1895) «È esattamente ciò che rende così strano il dialogo psicoanalitico. Si è in due a parlare di uno solo, ma di uno solo che è a sua volta molti!» (André Green, La pulsione e l’oggetto, 1988)


INDICE Presentazione di Edmond Gilliéron................................................................ VII Prefazione di Gennaro Accursio....................................................................... IX Introduzione.................................................................................................... XIII

Capitolo I Il Selbst freudiano e la persona come oggetto, uno sviluppo relazionale.

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I tre ambiti semantici dell’Io........................................................ 4 Breve digressione sul narcisismo.................................................. 7 Ancora sugli ambiti semantici...................................................... 9 I processi di identificazione......................................................... 11

Capitolo II Il Self relazionale di Winnicott come postulato di un sano sviluppo individuale.............................................................................................. 17 I bisogni del bambino.................................................................. 26 Integrazione del Sé.............................................................. 26 Esistenza psicosomatica....................................................... 27 Relazioni oggettuali............................................................. 29 Le funzioni della madre............................................................... 31 Contenimento..................................................................... 31 Manipolazione.................................................................... 33 Presentazione dell’oggetto................................................... 34 Il Sé come entità separata dall’Io.................................................. 37

Capitolo III Il Sé di Kohut ed il significato personale delle esperienze..................... 41 Il Sé come configurazione stabile della persona............................ 46 Discorso sul metodo: l’empatia.................................................... 51 Teoria dello sviluppo................................................................... 61

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La natura relazionale del Sé

Capitolo IV La mente relazionale di Siegel e la neurobiologia interpersonale......... 67 La mente.................................................................................. 69 Il cervello................................................................................. 70 L’integrazione........................................................................... 73 Le emozioni............................................................................. 76 La consapevolezza..................................................................... 78 In conclusione.......................................................................... 81

Capitolo V La creatività del pensiero psicoanalitico di Gilliéron e l’appoggio oggettuale............................................................................. 85 La natura relazionale del desiderio............................................ 85 A proposito del metodo............................................................ 91 I fantasmi originari e il ruolo dei genitori................................. 95 Sintesi sul modello e conclusioni.............................................. 102

Conclusioni............................................................................................ 107 Bibliografia............................................................................................ 113

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Presentazione Il libro di Maria Cristina Arpaia è ricco di contenuti e intelligente nella sua elaborazione. Ho molto apprezzato l’idea di integrare la teoria psicoanalitica con quella delle relazioni oggettuali e quella della ricerca neuroscientifica piuttosto che contrapporre diversi punti di osservazione. Ritengo che il libro evidenzi una possibilità di comprensione di un funzionamento psichico all’interno di un sistema, argomento di cui mi occupo da diverso tempo. Ringrazio Maria Cristina per aver messo in evidenza il mio lavoro che ha determinato la costruzione di un modello teorico dove la possibilità di verificare scientificamente ciò che accade nella pratica clinica è l’elemento innovativo rispetto alla psicoanalisi ortodossa. Tutto il mio lavoro è costruito sulla base di problemi concreti che ho dovuto risolvere nella mia pratica in due dipartimenti universitari a Losanna, il “Centre Hospitalier Universitaire de Cery” e la “Policlinique Psychiatrique Universitaire”. Come direttore e insegnante, ho sempre cercato di dare una risposta scientifica e trasmissibile agli enigmi che sono sorti. Ritengo poco ragionevole trasmettere alcune spiegazioni teoriche ai miei collaboratori senza dare loro la possibilità di verificarne la validità. Le mie prime elaborazioni sull'importanza delle fantasie originarie come strutture organizzative che collegano l'individuo al suo ambiente emotivo hanno suscitato inizialmente reazioni contrastanti sia da parte di psicoanalisti sia da parte di sistemici preoccupati di non essere parte attiva nella vita dei loro pazienti. Attualmente la teoria da me proposta sulla relazione dinamica tra il setting e il processo sembrano universalmente riconosciute, anche se è spesso difficile capire che è il contesto che dà senso agli eventi. Troppo spesso crediamo ancora che siano le parole a governare il mondo, mentre, in realtà, si tratta soprattutto di fatti. Tutto questo riguarda la questione della mentalizzazione, come descritto bene da Maria Cristina nel libro, che consiglio di leggere con attenzione. Edmond Gilliéron Professore onorario di psichiatria, Università di Losanna Psicoanalista Società Svizzera di Psicoanalisi, Presidente e Direttore I.R.E.P. VII



Prefazione Nell’attuale panorama della psicologia dinamica, come per più versi di quella cognitivo-costruttivista, fenomenologica e neuropsicologica, la dimensione del Sé ha un significato rilevante in quanto costituisce una modalità psicologica elettiva e punto di intersezione epistemologica e clinica che valorizza la comprensione dell’identità soggettiva e intersoggettiva. In tale prospettiva, il libro La natura relazionale del Sé. La mente come sistema integrato di Maria Cristina Arpaia ha un significato di rilievo per l’analisi rigorosa e approffondita di tale processo, in particolare nella sua declinazione psicodinamica. A questo riguardo il contributo su Freud fa da sfondo teoretico all’analisi del Sé, in cui viene evidenziato come la scoperta dell’inconscio rappresenta la rivoluzione copernicana della psicoanalisi classica, la quale è ritenuta sia una teoria dell’inconscio sia una pratica terapeutica. Teoria e prassi, insieme. L’uomo freudiano è deterministicamente considerato in termini economici, governato da pulsioni che lo spingono all’azione la quale rappresenta un continuo drenaggio di tensione, dove il pensiero è soltanto preparatorio all’azione: il pensiero è un’azione di prova, che si contraddistingue per spostamenti di quantità piuttosto piccole d’investimento energetico (Freud, 1911). Come suggerisce Kohut, sembra che tutta la pratica psicoanalitica debba preparare all’azione nel lungo termine, attraverso lo strumento essenziale della psicoanalisi che è l’introspezione, fondamentale perché non può mai mancare nell’osservazione psicologica e che non è una fuga dalla realtà ma una espansione sempre più ampia del campo di conoscenza. Grazie all’introspezione Freud arrivò a comprendere molti fenomeni inconsci e a descrivere le dinamiche psichiche in maniera originale. In psicoanalisi, il concetto di pulsione è intrinsecamente legato a quello di oggetto, in quanto non è possibile istanza pulsionale senza un oggetto, almeno implicito, e l’oggetto costituisce una caratteristica essenziale della definizione di pulsione, insieme a quella della fonte della pulsione stessa, della sua intensità e della sua meta. L’oggetto, infatti, rappresenta la condizione per il godimento, per la sua possibilità concreta. Esso in psicoanalisi si riferisce alle persone con cui il soggetto è in relazione. L’oggetto dunque è indispensabile per il raggiungimento della compiutezza del desiderio: è sul tipo di relazione intercorrente tra il soggetto e l’oggetto che sono state fatte varie interpretazioni dai diversi approcci psicoanalitici dopo Freud. Quel che si trova esplicitato nel presente saggio è la descrizione di questo speciale e reale rapporto che si crea tra il soggetto e l’oggetto, dove l’oggetto è una figura della realtà, determinante per lo sviIX


La natura relazionale del Sé luppo della mente e dell’intera economia psichica. Nel contributo dell’Autrice vengono evidenziate l’importanza delle relazioni interpersonali per uno sviluppo sano del soggetto e la circostanza che la stessa vita psichica ha fin dalla sua origine una natura relazionale. E l’influenza di quest’oggetto è determinante per la costruzione della personalità dell’individuo. L’ultima parola che l’Autrice, come testualmente affermato sia in apertura sia in chiusura dell’opera, vuole che il lettore trattenga è la parola relazione la quale «rappresenta il nutrimento e la radice della identità» dell’individuo. Da Freud in avanti, l’oggetto ha avuto una valenza sempre più “concreta” e reale e un sempre più esplicito riconoscimento la sua influenza sullo sviluppo dello psichismo umano, influenza sempre meno trascurabile: dal determinismo psichico di matrice classica che dava un certo significato, tutto peculiare, al concetto di causalità (biologica) si giunge a una concezione di causalità come risultato di una relazione complessa. Da una psicoanalisi classicamente deterministica si passa a quella che, con Brusset, potremmo definire la psicoanalisi del legame. Le relazioni umane, il desiderio, gli aspetti psicopatologici, le dinamiche perverse di certe relazioni, il sano narcisismo, le costrizioni, l’autoaffermazione legittima e ogni altra aspirazione umana rappresentano la sostanza dell’esistenza dell’uomo: queste dinamiche sono state sempre oggetto d’indagine filosofica e psicologica. La psicoanalisi ne mette in rilievo gli aspetti psicopatologici in modo tale da portare alla luce più dettagliatamente processi che nella realtà ordinaria difficilmente sono evidenziabili. Già dal titolo del saggio si mette in evidenza che la relazione è una caratteristica specifica della mente; infatti gli aspetti relazionali e gli oggetti interni hanno una comune declinazione all’interno di un modello che mostra le tendenze teoriche che dopo Freud hanno cercato di dare conto della complessità dei rapporti umani e delle dinamiche interne proprie dell’individuo, in riferimento anche o soprattutto al suo ambiente. La concezione dell’apparato psichico proprio della psicoanalisi permette di comprendere la metapsicologia delle rappresentazioni interne dell’individuo, e primariamente le rappresentazioni delle persone con cui l’individuo si relaziona, con cui è implicata l’affettività, sia positiva che negativa, cioè si tratti di amore o di odio. Nel saggio ci si interroga pertanto sulla natura del legame esistente tra il soggetto e l’oggetto o tra la persona e le sue figure di riferimento, cercando di esplicitare quale sia la funzione delle persone reali attuali dell’individuo, con le quali esso instaura un rapporto la cui natura è descritta dal peculiare dinamismo delle relazioni storico-esperienziali. In termini negativi, Freud si era posto la domanda sulla natura di tale legame in relazione alla perdita dell’oggetto, alla perdita cioè delle persone amate, teorizzando i concetti del lutto e della melanconia rispetto all’oggetto

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Prefazione

amato, con il quale esisteva una relazione consolidata. L’Autrice pone in evidenza che l’uomo ricerca l’oggetto in sé e non per un soddisfacimento sessuale, il piacere non è legato alla sessualità ma alla natura di legame che è data dalla relazione, come hanno chiaramente evidenziato Fairbairn e Winnicott. L’uomo ricerca l’oggetto per una stabilità e per la soddisfazione che scaturisce dal legame stesso con l’altra persona, dal desiderio dell’altro e dall’umano bisogno di un riconoscimento da parte dell’altro. In tutta l’opera dell’Autrice si ritrova questo concetto, dettagliato peculiarmente in ciascun singolo autore considerato, le cui specifiche teorie portano un contributo di arricchimento alla prospettiva relazionale. Avviene il passaggio dalla pulsione al desiderio. Dalla teoria sessuale alla teorizzazione del bisogno, che può essere soddisfatto non per la catartica scarica di tensione che riconduce all’omeostasi dell’organismo, bensì attraverso la risposta adeguata dell’oggetto-Sé (per dirla con Kohut) o della madre sufficientemente buona (per citare Winnicott). Lo sviluppo dell’individuo pertanto non si compie solo attraverso il passaggio da uno stadio all’altro ma attraverso le risposte empatiche di figure che si prendono cura del soggetto, figure che sono l’oggetto reale attuale (non solo oggetto parziale né oggetto totale). Non si tratta, però, soltanto di bisogno di nutrimento, non sono solo i bisogni corporei a dover trovare una risposta adeguata proveniente dall’ambiente esterno, sono i bisogni tout court (anch’essi legati al desiderio, il quale, partendo da una matrice biologica, approda al piacere che scaturisce dalla relazione – ad esempio, la relazione del bambino con la madre, che va oltre il significato fisiologico di nutrimento, dal momento che genera un legame singolare e di reciprocità tra la madre e il bambino, da cui nasce la possibilità dello sviluppo psichico e della mentalizzazione, come esplicita Gilliéron). Non si tratta di eccitazione pulsionale, ma semplicemente di bisogno (non solo biologico). Bisogno che cerca la sua soddisfazione. E il concetto di bisogno è certamente inteso in maniera più estensiva di quanto non intendesse Freud, per il quale era implicata la matrice biologica, considerato perciò come un insieme di circuiti per la regolazione dell’organismo, configurati per ottenere l’adattamento dell’individuo all’ambiente esterno, orientati alla conservazione. Si arriva, infatti, al desiderio: il bisogno – biologico – di nutrimento (attraverso il seno materno) diventa desiderio d’incorporazione sul piano della rappresentazione mentale, si passa così dall’ordine del bisogno alimentare fondato biologicamente a quello di desiderio, che implica la rappresentazione mentale e la metallizzazione, le quali nascono dalla relazione con una figura altrettanto reale quanto il latte che deve placare la fame. Da questa relazione alla comprensione del Sé il passo è breve. Il proprio primordiale e rudimentale Sé viene compreso proprio grazie alla presenza di un altro soggetto, nascendo da un’esperien-

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La natura relazionale del Sé za molto concreta e reale: infatti esso trova la sua origine nelle esperienze di continuità psichica, resa possibile dalla relazione, unica capace di dare una coerenza all’organizzazione del Sé, come mette in evidenza Kohut. Anche nella stessa fase dell’onnipotenza del bambino (la fase autistica di Freud) esiste la presenza della madre che rende, essa, possibile tale esperienza di onnipotenza con la presentazione dell’oggetto, come suggerisce Winnicott. Madre che anticipa i bisogni del bambino e funge da specchio per il bambino stesso, rimandandogli l’immagine di se stesso e delle sue esperienze, imprimendo a esse un senso di continuità e di coerenza. Questa stessa relazionalità è l’origine della creatività umana. In tale prospettiva, la costruzione del Sé assume una direzione maturativa e generativa in grado di stabilire rapporti con oggetti integrati; qui si può cogliere l’esperienza attendibile dell’altro di cui Winnicott ha evidenziato i processi fondativi della relazione: «Se sono visto, esisto». Il saggio di Maria Cristina Arpaia, molto chiaro ed agevole da leggere, illustra, in modo pregevole e al tempo stesso con molta efficacia, la centralità del Sé e delle sue dinamiche tra mondo interno e realtà esterna. Per questo ed altre ragioni questo libro è certamente utile per gli allievi psicologi e psicoterapeuti e per gli studiosi maggiormente sensibili e attenti alla natura del Sé come processo dimensionale e qualitativo della nostra vita psichica. Gennaro Accursio Professore di Psicologia della Personalità, Dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica, Sapienza, Università di Roma

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Introduzione «Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero, ché ‘l velo è ora ben tanto sottile, certo che ‘l trapassar dentro è leggero» (Dante – Purgatorio VIII, 19-21)

Cos’è la mente? E cosa una mente sana? Quali elementi ne costituiscono le proprietà essenziali? Può la sua natura esaurirsi nell’attività neurofisiologica? In cosa consiste la salute e cosa ne determina lo stato? In cosa consistono le esperienze mentali e come sono correlate al benessere fisico? E cosa media questo salto? Nel fluire dinamico della conoscenza le domande originarie aprono altre domande ed il piano di costruzione non è quello filosofico o metafisico. La mente origina la sua esperienza dall’impatto con la realtà. E nell’esperienza del singolo individuo questo significa le cose che accadono, i fatti, le circostanze concrete in cui si viene a trovare lo svolgimento della sua vita. Essa ha connessioni con il cervello e le relazioni umane, gettando le basi della vita soggettiva, la mente è in sostanza un sistema relazionale. Scopo del presente lavoro, quindi, è mostrare attraverso il supporto di vari autori che la vita psichica è influenzata dall’ambiente esterno in un’interazione continua – sia quest’ambiente inteso come relazioni familiari, situazioni, o esperienze personali – avendo ripercussioni finanche sulla dimensione fisica. Già William James aveva individuato il nucleo centrale di collegamento tra il mondo esterno ed il mondo interno nell’analisi del Sé. Nel primo capitolo si tenta di chiarire quale sia in Freud la natura di quel nucleo centrale di collegamento tra mondo esterno e mondo interno individuato da James (il Sé): esiste dunque già in Freud il concetto di Sé considerato soprattutto quale espressione degli aspetti esperienziali della personalità. Di conseguenza si tenta anche di chiarire quali siano i rapporti tra i differenti significati per das Ich all’interno della sua opera: infatti, egli utilizza la parola Io per identificare tre diversi ambiti semantici tra loro però strettamente collegati. Si intende descrivere, attraverso un approccio semplificato, l’aspetto relazionale del Sé così come emerge all’interno del pensiero freudiano, partendo dall’analisi semantica del termine Io, cui Freud attribuisce tra gli altri anche il significato di sé. L’Io, dunque, ha tre attribuzioni diverse di significato: inizialmente, si riferisce alla persona XIII


La natura relazionale del Sé in quanto soggetto, che quindi pensa, sente, desidera, implicando tutta l’ampiezza delle differenti attività psichiche e corrisponde perciò all’intero sistema psichico; solo in un secondo momento Freud attribuisce al termine Io la caratteristica di struttura di un sistema. Un secondo ambito semantico si riferisce all’Io in quanto oggetto di investimento libidico o aggressivo, indica la persona a cui noi pensiamo, il Sé in un significato più stretto. Il terzo significato si riferisce, infine, al concetto di personalità, all’interno del quale entrano a far parte sia l’Io sia il Sé, anche se quella non si esaurisce in queste due componenti. Freud utilizza raramente das Selbst ma il concetto di Sé, dunque, è ben presente nell’opera freudiana, tanto che egli spesso utilizza in modo intercambiabile le parole Ich e Selbst: per comprendere le sfumature semantiche nell’utilizzo dei termini, per l’espressione dei suoi concetti, bisogna considerare il modo con cui Freud giungeva alla loro formulazione, ossia l’esperienza quotidiana delle persone ed il linguaggio comune. In questo terzo ambito – attraverso la formulazione delle due teorie della personalità presenti in Freud – egli evidenzia l’importanza dei processi di identificazione per lo sviluppo sia dell’Io che del Sé. In questo contesto la seconda concezione della personalità in Freud è psicologica e relazionale. Nel secondo capitolo si descrive una traiettoria culturale e teorica che prende le mosse dal cosiddetto gruppo degli indipendenti, nato dalla disputa venutasi a creare dopo la morte di Freud e che ha come sua peculiarità la centralità del «contesto», l’importanza cioè del primo ambiente in cui viene a trovarsi il bambino. Tra gli esponenti di questo gruppo spicca Donald. J. Winnicott. L’enfasi sul contesto spalanca la porta della conoscenza su una consapevolezza più compiuta dell’essere umano, sulle conseguenze a lungo termine di una carenza del contesto significativo. Ciò che viene messo in evidenza è che l’ambiente ha realmente la capacità di attivare comportamenti indipendenti sia dal patrimonio genetico sia dalle rappresentazioni interne. Altro elemento importante di approfondimento e riflessione della scuola britannica delle relazioni oggettuali riguarda lo sviluppo del Sé ed il concetto che il bambino – nel suo itinerario naturale di crescita – manifesta una innata tendenza alla realizzazione di sé. Winnicott descrive come questa realizzazione per il bambino piccolo si attui in una relazione duale con la madre: egli non può esistere da solo ma è fondamentalmente parte di una relazione. La madre, cui egli si riferisce, è quella che definisce con l’espressione madre sufficientemente buona e, tra gli indipendenti, è colui che si stacca maggiormente dal modello pulsionale e muove dall’idea di bisogno: il sano sviluppo del bambino dipende in massima parte dalla

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Introduzione

presenza della madre e dalla capacità di questa di fornire un ambiente facilitante, rispondente ai suoi bisogni. Winnicott definisce questo rapporto duale relazionalità dell’Io. Si descrivono nel corso del capitolo i meccanismi con cui i processi maturativi – che necessitano di un ambiente disponibile e facilitante – seguono la normale traiettoria nella formazione dell’individuo se si risponde ai tre bisogni fondamentali del bambino individuati da Winnicott, nel suo stadio primario di dipendenza assoluta: l’integrazione del Sé, l’esistenza psicosomatica e la relazione oggettuale. A questi bisogni corrispondono altrettante funzioni materne: contenimento, manipolazione e presentazione dell’oggetto. Questi meccanismi descrivono la dinamica relazionale della diade madre-figlio. Nel corso del capitolo verranno considerate le due prospettive: quella della madre e quella del bambino intese come due facce della stessa medaglia, approfondendo ciascuna componente in prospettive separate ma interdipendenti. Nel terzo capitolo si descrive il lavoro di Heinz Kohut, il cui merito consiste principalmente nell’aver dato l’abbrivio ad una nuova corrente nell’ambito del modello psicoanalitico. Non si tratta cioè soltanto di un’innovazione ed un approfondimento della teoria della tecnica. Egli ha il merito di avere allargato l’interesse e l’intervento in casi patologici che Freud non riteneva trattabili con il metodo psicoanalitico, ossia quei disturbi narcisistici che frequentemente Kohut si è trovato a studiare attraverso i casi clinici. Anche per Kohut l’ambiente rappresenta quella sorgente di specifiche risposte che consentono all’individuo di mantenere il proprio benessere e l’origine del supporto necessario per l’integrazione e coesione del Sé. Questa realizzazione del Sé non si attua infatti senza una adeguata relazione madre-bambino o se c’è una risposta fallimentare degli oggetti-Sé genitoriali. Kohut supera la teoria pulsionale freudiana in quanto considera le pulsioni quali prodotti di disintegrazione conseguente alla frustrazione dei sani bisogni narcisistici. Sia le pulsioni sessuali sia quelle aggressive, come descritte da Freud, non sono dunque motivazioni umane fondamentali, bensì «frammenti distorti e disintegrati»1. Di contro, i bisogni narcisistici permangano per l’intero arco di vita, seguendo uno sviluppo parallelo a quello dell’amore oggettuale. È descritta pertanto la teoria dello sviluppo che segue in Kohut un doppio asse, uno sviluppo parallelo che coinvolge sia l’ambito narcisistico sia quello dell’amore oggettuale. Attento anch’egli ai bisogni – quindi al deficit più che al conflitto – descrive il ruolo svolto dalle altre persone a proposito dei bisogni di spe1 G. C. Zavattini, I modelli della psicopatologia, in Manuale di Psicologia Dinamica, Il Mulino, Bologna, 1999, cit. p. 225

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La natura relazionale del Sé cularità, idealizzazione e gemellarità del bambino prima e dell’individuo adulto poi. A questi bisogni, nell’ambito clinico, corrispondono altrettante e relative tipologie di transfert. Viene altresì descritto il metodo di riferimento che per Kohut ha una valenza fondamentale: l’empatia, strumento imprescindibile della pratica clinica nonché dei rapporti umani. La vita psicologica, dunque, è concepita fin dal suo inizio come una relazione tra il Sé e l’oggetto-Sé, che ha funzione di supporto narcisistico allo sviluppo dell’identità del Sé. Il Sé non è un’istanza psichica, alla stessa stregua dell’Io, Es e Super-io freudiani, bensì una “struttura” interna della psiche relativamente più vicina all’esperienza. Saranno dedicati dei paragrafi appositi, nel terzo capitolo, alla disamina dei concetti del Sé, dell’empatia ed alla teoria dello sviluppo. Nel quarto capitolo si espande il concetto di relazionalità: dopo il pensiero degli autori considerati nei capitoli precedenti e che hanno dato il loro contributo originale alla costruzione di una conoscenza della vita psichica che considerasse i vari fattori costituenti la persona come un unicum, ci si incammina verso una concezione sempre più unitaria della persona stessa. Grazie al contributo delle neuroscienze e agli studi condotti sul sistema nervoso, è possibile un approccio alla vita psichica che integra le teorie dei vari autori alle scoperte scientifiche sull’attività psichica, tali da garantire un approccio multidisciplinare al problema della psiche e della sua natura relazionale. In quest’ottica nasce e si sviluppa la neurobiologia interpersonale: essa trova in Daniel J. Siegel uno dei suoi massimi divulgatori e rappresenta un campo di ricerca interdisciplinare che cerca di costruire un insieme di conoscenze integrate e scientificamente fondate per la comprensione delle correlazioni tra il cervello, la mente e le interazioni interpersonali. Si descrive una originale concezione della mente, la cui origine è non solo nelle attività cerebrali isolate ma anche nelle funzioni neurali interne al singolo individuo e nei processi condivisi di comunicazione interpersonale. «Le connessioni umane plasmano le connessioni neurali, ed entrambe contribuiscono allo sviluppo della mente: relazioni interpersonali e collegamenti neurali danno insieme origine a un’entità che è più della somma di questi fattori»2. Lo scopo fondamentale di questo nuovo campo di ricerca consiste in uno studio di nuove strategie per la promozione del benessere. Tre sono i principi fondamentali cui s’ispira questa disciplina: il concetto di mente, cui la neurobiologia interpersonale dà una definizione “ope2 D. J. Siegel, La mente relazionale. neurobiologia dell’esperienza interpersonale. Raffaello Cortina, Milano, 2013, cit. p. 3

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Introduzione

rativa” al fine di creare un punto di partenza comune alle varie discipline per approfondirne la natura. E questa definizione considera la mente come processo incarnato e relazionale all’interno del cervello. In secondo luogo, tale processo è connesso sia ai meccanismi neurofisiologici interni sia alle esperienze relazionali esterne all’organismo. Da ultimo, lo sviluppo delle strutture e delle funzioni cerebrali dipende dai modi con cui le esperienze influenzano i programmi di maturazione geneticamente determinati dal sistema nervoso. Il collegamento tra questi tre aspetti avviene grazie al principio organizzativo dell’integrazione: intesa come processo che collega parti differenziate di un insieme funzionale. Il Sé può acquisire in questo modo un senso di coerenza. Infatti, l’organizzazione del Sé avviene attraverso la mente integrativa che crea un senso di coerenza e di continuità nel tempo, tra il passato, presente e futuro. Le emozioni rappresentano degli elementi integrativi essenziali per raggiungere tale coerenza, essendo direttamente influenzate dai segnali che provengono dall’organismo. E sono pertanto sottilmente connesse allo stato di benessere come di quello patologico. Nel quinto capitolo si procede – quasi anche a simboleggiare l’epilogo del pensiero (psicoanalitico) nel suo itinerario culturale – con la descrizione delle teorizzazioni originali di Edmond Gilliéron, in un esplicito riferimento alla sua teoria dell’appoggio oggettuale, con le sue risonanze relazionali, in riferimento sia al desiderio, sia alla natura peculiare del metodo proposto. Quanto al desiderio, si attua con questa impostazione il superamento di un modello di funzionamento psichico basato su un meccanicismo pulsionale di matrice esclusivamente intrapsichica, dove prevaleva la natura biologica del desiderio. Il desiderio nasce sì da un bisogno biologico non soddisfatto, ma si fissa su una rappresentazione che non è quella del bisogno in senso stretto – biologicamente inteso – bensì quella del piacere che si prova nella soddisfazione di tale bisogno, all’interno della diade madre-bambino. La dimensione del piacere attiene alla costellazione della relazione diadica. Dal punto di vista del metodo, la persona è considerata nella sua globalità, secondo l’approccio bio-psico-sociale. Il modello eziologico cui ci si riferisce considera la combinazione dei fattori biologici, psicologici e relazionali, responsabile di rompere l’equilibrio della personalità, secondo un approccio sia psicoanalitico che sistemico. Si descrive nel capitolo l’importanza della genesi dello psichismo all’interno di un contesto, capace di influenzare i desideri fantasmatici del bambino attraverso la reazione genitoriale alla comparsa di tali desideri, in una lettura del complesso edipico di più ampio respiro. Mutatis mutandi, la medesima reciprocità si può rilevare all’interno del setting terapeutico, spazio transizionale, dove i disturbi della personalità XVII


La natura relazionale del Sé fanno da cassa di risonanza delle «deficienze della mentalizzazione» circa i conflitti da superare nelle varie fasi dello sviluppo. Infatti, l’uomo adulto ripropone la sua organizzazione di personalità – ormai cristallizzata – investendo la realtà esterna con rappresentazioni interne e riproponendo pertanto le esperienze infantili nella visione attuale del mondo. L’interazione terapeutica agevola, dunque, l’inferenza sull’organizzazione di personalità del soggetto, il quale ripropone, nella dinamica terapeutica, le medesime dinamiche relazionali che vive usualmente. In tale relazione risiede la chiave della diagnosi.

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