La dittatura del godimento Il disagio della società postmoderna
Daniele Luciani
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Daniele Luciani è psicologo, psicoterapeuta, psicoanalista. Lavora al Dipartimento di Prevenzione della Asur Marche AV n. 5 di Ascoli Piceno-San Benedetto del Tronto dove si occupa di adolescenza. Membro analista dell’Associazione Lacaniana Italiana di Psicoanalisi, coordina il gruppo del Laboratorio di Psicoanalisi di cui è anche fondatore. Collabora con il quotidiano on line «Cronache Picene» e la web radio «Radio Incredibile». Autore di saggi apparsi su riviste specializzate, ha tradotto e curato il volume: Miller J.-A., Introduzione alla clinica lacaniana, Astrolabio, Roma 2012. Ha insegnato presso le Facoltà di Psicologia e di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi “Gabriele D’Annunzio” di Chieti-Pescara dal 2008 al 2017 e presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Politecnica delle Marche di Ancona nell’anno accademico 2015/2016.
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A Lorenzo e ad Elsa, senza i quali avrei scritto questo libro molto piĂš speditamente.
“L’uomo è per così dire divenuto una specie di dio-protesi, veramente magnifico quando è equipaggiato di tutti i suoi organi accessori; […] non dimentichiamo che l’uomo d’oggi, nella sua somiglianza con Dio, non si sente felice” Sigmund Freud
INDICE INTRODUZIONE 1. LA DITTATURA DEL GODIMENTO....................................................
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2. LA CRISI DEI LEGAMI SOCIALI ...........................................................
11
3. L’USO PATOLOGICO DEL CORPO ......................................................
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4. IL BAMBINO “SMARRITO” ......................................................................
31
5. L’ADOLESCENZA IN CRISI ....................................................................
41
6. IL DECLINO DELLA FAMIGLIA............................................................
53
7. QUEL CHE RESTA DELL’EDUCAZIONE...........................................
63
BIBLIOGRAFIA .................................................................................................
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VII
INTRODUZIONE “Semplificando al massimo, possiamo considerare ‘postmoderna’ l’incredulità nei confronti delle metanarrazioni” Jean-François Lyotard
Gli esseri umani si sono confrontati per tutta l’epoca moderna con una struttura sociale caratterizzata da gerarchie di potere ben delineate, da ideologie nettamente contrapposte e da sistemi valoriali talmente sedimentati nella tradizione da essere considerati alla stregua di leggi della natura. Vivendo all’interno di comunità dai confini circoscritti e dai rituali consolidati, hanno potuto affidarsi, nel bene e nel male, a modelli esistenziali universali. Con Lipovetsky possiamo sostenere a buon diritto che nella società moderna “esistevano canoni di socializzazione, norme e riferimenti collettivi, che distinguevano inequivocabilmente l’alto e il basso, il buono e il cattivo gusto, lo stile e la volgarità, il raffinato e il popolare; le culture di classe costituivano un universo intelligibile e solido, di principi e di regole dalla forte connotazione gerarchica e ben assimilati dalla gente”1. La stabilità del discorso sociale veniva in tal senso garantita dalla presenza di riferimenti ideali ampiamente condivisi che avevano la funzione di introdurre un limite fisiologico all’individualismo e all’edonismo. Tali riferimenti ponevano un freno alle spinte pulsionali e le mettevano al servizio della collettività. Offrendo le coordinate per sublimarle, creavano i presupposti per la costruzione di progetti di vita duraturi e in buona parte prevedibili, in quanto frutto di un compromesso accettabile tra doveri verso la comunità ed istanze personali di soddisfacimento. La dissoluzione, o meglio ancora la frammentazione, della rete simbolica che in passato organizzava il patto tra l’individuo, la famiglia e la società ha prodotto una rivoluzione antropologica senza precedenti. Svincolato da impedimenti di natura religiosa, politica o morale, l’uomo della società postmoderna si sente libero di modellare il proprio destino infinite volte nel tentativo di acciuffare una felicità “a sua misura” attraverso i gadget all’ultimo grido realizzati dalla tecnoscienza e celebrati dalla pubblicità. Lipovetsky G., Una felicità paradossale. Sulla società dell’iperconsumo, Raffaello Cortina, Milano, 2007, p. 27.
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IX
La dittatura del godimento
Il “discorso del capitalista”2 che ha segnato, nell’arco degli ultimi due secoli, una trasformazione straordinaria dell’assetto sociale in senso economico ed industriale, oggi promuove soprattutto l’esaltazione di ogni forma di godimento, legittimando una deregulation che interessa, per dirla con Baudrillard, “non solamente i processi di lavoro e i prodotti materiali ma anche l’intera cultura, la sessualità, le relazioni umane, fino ai fantasmi e alle pulsioni individuali”3. Con più precisione, è l’alleanza tra il discorso capitalistico e la logica dell’inconscio ad alimentare negli individui la volontà di soddisfarsi di oggetti che si prestano ad essere consumati in maniera “autistica” – senza una vera dialettica con l’altro – e potenzialmente illimitata. Eppure, nonostante la possibilità di accedere ad un benessere senza precedenti – è forse questo il paradosso più radicale della nostra epoca – il disagio dell’essere umano non sembra affatto attenuarsi. Contrariamente a quanto sostenuto dai teorici della Scuola di Francoforte4 che attribuivano l’infelicità ad un eccesso di repressione pulsionale indotta dal discorso sociale, dobbiamo invece constatare che anche quando quest’ultimo non vieta il godimento, ma anzi lo incentiva, l’uomo continua a gridare la sua insoddisfazione5. In altri termini, persino in una società ultra-liberalista come la nostra è impossibile colmare la mancanza che caratterizza la nostra specie6, perché si tratta di una mancanza strutturale – frutto della rimozione operata dal registro simbolico – e non di una mancanza contingente figlia della repressione sociale. L’infelicità dell’individuo contemporaneo appare peraltro così stratificata che gli psicoanalisti Miguel Benasayag e Gerard Schmit si chiedono se le professioni di aiuto siano ancora capaci di farsi carico di “un malessere che siamo impreparati ad affrontare non solo per la sua ampiezza, ma forse soprattutto per il suo contenuto. […] Poiché le crisi di cui ci occupiamo oggi avvengono in effetti – e questa è la novità – in una società essa stessa in crisi”7. Basti pensare al capillare uso ed Cfr.: Lacan J., Il seminario. Libro XVII. Il rovescio della psicoanalisi (1969-70), Einaudi, Torino, 2000. Baudrillard J., La società dei consumi, Il Mulino, Bologna, 1976, p. 234. 4 Cfr., in particolare: Marcuse H. (1955), Eros e Civiltà, Einaudi, Torino, 2001. 5 La Scuola di Francoforte confonde infatti la rimozione che, come ha scritto Freud, è costitutiva dell’essere umano con la repressione che invece è un’operazione contingente e declinata diversamente a seconda della cultura di appartenenza. Non è pertanto la repressione a produrre “dall’esterno” l’infelicità strutturale dell’essere, ma è la rimozione che “dall’interno” rende l’inconscio disarmonico rispetto alla ricerca del godimento. 6 Su questo punto, Umberto Galimberti rimarca che: “L’uomo non ha qualcosa in più dell’animale, ma qualcosa in meno, la sua natura è caratterizzata da una carenza degli attributi tipici dell’animale, e qui e non altrove è da collocare, tra l’animale e l’uomo, il principio della differenza”. Galimberti U., Paesaggi dell’anima, Mondadori, Milano, 2007, p.187-188. 7 Benasayag M., Schmit G., L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano, 2004, pp. 8-15. 2 3
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Introduzione
abuso di sostanze stupefacenti e psicofarmaci, al ricorso massiccio alla chirurgia estetica, all’epidemia dei disturbi alimentari, alla solitudine di milioni di persone perse nella realtà virtuale, allo smarrimento della condizione infantile, alle inedite difficoltà incontrate dai nostri adolescenti, allo sgretolamento della famiglia o all’impotenza dell’offerta educativa da parte del sistema scolastico. Con questo lavoro ho tentato di reperire, per quanto possibile, la logica silenziosa alla base di tali fenomeni, circoscrivendo gli effetti prodotti sull’individuo da un discorso sociale in cui prevale – lo suggerisce il saggista e critico d’arte Jonathan Crary – “la mancanza di sensibilità e di memoria, e dove ogni possibilità di costruire la propria esperienza risulta vanificata. […] non vi è traccia di stelle, tutti i punti di riferimento sono scomparsi ed è diventato impossibile ritrovare un orientamento”8. Siamo infatti dinanzi ad un’epoca “in deficit” di senso che rimuove la mancanza che abita l’essere “parlante”, spingendolo sempre più all’interno di un campo in cui il suo desiderio deborda al di là del principio di piacere. Un’epoca che permette sì di godere, ma che risulta incapace di indicare orizzonti esistenziali compatibili con la presenza dell’Altro e che dunque produce nuove forme di insoddisfazione a discapito della tenuta dei legami sociali. La nostra società finisce in fondo con il disumanizzare l’individuo, perché lo fa sposare con gli oggetti-gadget propri del fantasma generalizzato creato dal mercato globale, imponendogli la ricerca di un godimento “impossibile” che lo fa galoppare come l’asino dietro la carota. Con Massimo Recalcati possiamo sostenere così che l’uomo postmoderno “è un uomo ridotto a una pura spinta a godere, a una macchina di godimento che non realizza affatto quella promessa di liberazione che tale macchina sembra invece alimentare. Questa nuova rappresentazione dell’uomo è alternativa all’uomo ideologico del Novecento perché ciò che lo muove non sono più le grandi passioni ideali, ma la spinta compulsiva del godimento mortale”9. Tengo infine a sottolineare che i miei sforzi sono stati mossi dall’intento di rimanere il più possibile aderente al reale della clinica e di rappresentare il disagio della società contemporanea con occhi disincantati, alla luce del mio lavoro di psicoanalista e della mia formazione psicoanalitica. In particolare, è stato fondamentale il mio riferimento all’opera di Freud e di Lacan, così come ai contributi di coloro che ho avuto la fortuna di incontrare nell’avvicinarmi ad un sapere ancora sovversivo rispetto ad una certa idea ingenua dell’essere umano e dei suoi “inciampi esistenziali”. Crary J., 24/7. Il capitalismo all’assalto del sonno, Einaudi, Torino, 2015, p. 20. Recalcati M., Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Feltrinelli, Milano, 2013, p. 50. 8 9
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