Introduzione
Luigi D’Elia
La funzione sociale dello psicoterapeuta
Collana Gruppal-Mente: teoria, prassi clinica, ricerca Diretta da Raffaella Girelli e Francesca Natascia Vasta
Alpes Italia srl – Via Romagnosi 3 – 00196 Roma tel./fax 0639738315 – e-mail: info@alpesitalia.it – www.alpesitalia.it
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© Copyright Alpes Italia srl - Via Romagnosi, 3 – 00196 Roma, tel./fax 06-39738315 I edizione 2020 Luigi D’Elia. 56 anni, lavora a Roma. Trenta anni di esperienza come Psicologo e Psicoterapeuta, specializzato in Gruppoanalisi. Professore a contratto di Psicologia Sociale presso il corso di laurea di Scienze dell’Amministrazione e delle Organizzazione dell’Università San Raffaele di Roma. Divulgatore e blogger in numerose collaborazioni. Ideatore del progetto di psicoterapia sociale Psicoterapia Aperta. Autore, nel 2015, del libro Alienazioni Compiacenti, star bene fa male alla società (Amazon editore).
In copertina: olio su tela Viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich
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Indice generale Prefazione
di Corrado Pontalti.......................................................................................... VII
Introduzione
La psicoterapia funziona (nonostante gli psicoterapeuti)............................ XV
Capitolo 1 Introduzione alla psicoterapia sociale 1.1 Quale funzione sociale per lo psicoterapeuta............................................. 1 1.2 L’iscrizione della psiche nel sociale e del sociale nella psiche...................... 10 1.3 Una prima definizione di funzione sociale dello psicoterapeuta ................ 20 1.4 Il catalogo delle mutazioni: i macro-cambiamenti globali in corso che obbligano revisioni delle prospettive. Lo psicoterapeuta che guarda al mondo (e comprende il malessere che cambia)...................................... 29 1.5 I codici sociali irrompono nella clinica: gli isomorfismi variabili............... 37
Capitolo 2 Lo psicoterapeuta sociale in azione Premessa autobiografica. Lavorare in frontiera è un ineludibile formativo....... 49 2.1 Una comune vicenda di burnout lavorativo. Doriana, la classe tipografica va in paradiso ............................................. 54 2.2 Il mobbing sadico come cultura organizzativa comune. La vicenda di Isabella................................................................................ 61 2.3 Prevenire il disturbo borderline al suo esordio adolescenziale intervenendo sulla matrice sociale. La storia di Ivana................................ 64 2.4 Partnership emotive tra genitori e figli nell’epoca dei N.E.E.T. La storia di Pietro..................................................................................... 71
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La funzione sociale dello psicoterapeuta 2.5. Luciano, la storia di un filo-aziendale pentito.......................................... 74 2.6. Il sociale come specchio sempre perdente. Nadia, una Incel al femminile. 78 2.7. Come pensa clinicamente uno psicoterapeuta sociale............................... 82
Capitolo 3 I campi di applicazione del pensiero sociale dello psicoterapeuta 3.1. L’amore esitante, la coppia provvisoria .................................................... 93 3.2. La psicoterapia e le mutazioni dell’era digitale. Una nuova mappa dei bisogni essenziali.................................................. 101 3.3. Dolore e morte a causa del capitalismo. La sostenibilità psicosociale........ 120 3.4. Il femminismo incompiuto...................................................................... 141 3.5. Etica e psicoterapia.................................................................................. 149 3.6. Allargare lo sguardo per centrare il bersaglio............................................ 160
Capitolo 4 Un progetto nazionale di psicoterapia di rilevanza sociale: Psicoterapia Aperta (Matteo Bessone, Luigi D’Elia, Simona Adelaide Martini) 4.1 Psicoterapia sociale e capacitazione. Il problema dell’accesso alla psicoterapia e ai servizi della salute mentale: dati e riflessioni. (Matteo Bessone).......... 168 4.2 Ideazione e realizzazione di Psicoterapia Aperta (Luigi D’Elia)................. 189 4.3 La Carta di Intenti di Psicoterapia Aperta, un semplice atto di generosità (Simona Adelaide Martini)........................ 197
Conclusioni................................................................................................ 207
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Indice generale Appendice Cronache della pandemia. Il pensiero psicosociale nel pieno della quarantena Raccolta di scritti durante la pandemia Febbraio-Maggio 2020 1. Il Covid-19 come fenomeno psicosociale. La responsabilità degli psicologi. 28 Febbraio 2020..................................................................................... 212 2. Coronavirus, lo scacco della ragione e la decrescita infelice. 6 Marzo 2020........................................................................................... 219 3. La pandemia è come un Trattamento Sanitario Obbligatorio collettivo. 21 Marzo 2020......................................................................................... 225 4. L’isolamento prolungato come prassi di autenticità. 26 Marzo 2020......................................................................................... 231 5. Salute psicologica, stili di vita e revisione politica durante la quarantena collettiva. (Non sappiamo se andrà tutto bene). 8 Aprile 2020........................................................................................... 235 6. Reciprocità di specie all’epoca della pandemia. Superamento del debito e evoluzione. 3 Maggio 2020......................................................................................... 242
Postfazione
di Franco Berardi “Bifo”.................................................................................. 247
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Prefazione
Prefazione di Corrado Pontalti1
Scrivere la prefazione di un libro è, per me, sempre un compito piacevole. Mi viene offerto un luogo senza particolari vincoli, un luogo intimo e libero, nel quale ascoltare e ricapitolare il mio percorso di lettura, i miei fili di orientamento, i miei primi piani e i miei sfondi scenici. Una tale posizione si impone maggiormente qualora il libro proponga una sfida epistemologica non formalizzata come tale, ma la tenga, quasi coro delle tragedie greche, quale contrappunto al dipanarsi delle varie tematiche. Questi snodi emergono quasi sussurrati, e in questi topos si pone la sfida e la crisis trasformativa. Sarebbe un po’ come dire che il libro di Luigi D’Elia presenta un contenuto manifesto (la psicoterapia sociale) e uno latente (essere psicoterapeuta sociale), posti quasi in continuità semantica, ma, di fatto, questi due piani sono tra di loro connessi ma in una sostanziale discontinuità e irriducibilità reciproca. Tale configurazione, questa “crepa”, è per me di estremo interesse. Va a cogliere il mio percorso di vita professionale. Inoltre, come il lettore ha ben compreso, Luigi mi ha scelto come compagno di avventura nell’andare del testo. Compagno di avventura non tanto per le consonanze culturali, cliniche, epistemologiche ma per tante esperienze, storicamente date, di lavoro in comune sul campo. Quindi, questo scritto, inevitabilmente, mi ha portato a ripensare la mia storia, i miei maestri, le tante epoche sociali che si sono trasformate sotto i miei occhi, che hanno trasformato i miei codici 1 Professore Associato Confermato, Cattedra di Psicoterapia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Facoltà di Medicina e Chirurgia. Già Primario del Servizio di Psicoterapia Familiare della stessa Università fino al 1° settembre 2003. Supervisore di casi psichiatrici complessi presso la Scuola di Specializzazione in Psichiatria della medesima Università fino al 2010.. Membro di numerose Associazioni Scientifiche nazionali ed internazionali. Past President della C.O.I.R.A.G. (Confederazione delle Organizzazioni Italiane per la Ricerca Analitica dei Gruppi) Past President del Laboratorio di Gruppoanalisi. Autore di oltre 290 pubblicazioni relative alla Psicoterapia Familiare e di Gruppo, alla Psicosociologia della Famiglia e alla Psicopatologia dei Disturbi di Personalità.
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La funzione sociale dello psicoterapeuta interpretativi e i miei orizzonti personali, di clinico e di docente. Anche di questo viaggio personale nella memoria sono grato a Luigi, perché mi radica con maggiore lucidità nell’impegno, nella responsabilità dell’oggi. Come scrive in una figurazione fulminante “ci siamo addormentati su di un pagliericcio con le galline, ci siamo svegliati con un robot che ci porta la colazione”. Per me non è una metafora, era proprio così: le vacche a piano terra della casa, le uova tra la paglia dei campi. Tutto il “sociale”, qualunque cosa voglia dire questo costrutto, era lì con i suoi vincoli, i suoi mitemi, i suoi codici e crescevamo impastati di questi isomorfismi così sincronici e confluenti da poter ben affermare che garanti meta-sociali e garanti meta-psichici (Kaës) fossero formalizzabili nell’agorà pubblica ma indistinguibili nel mondo interno, sia familiare che personale. Da quel medium sociale, lentamente fino agli anni ’80, vorticosamente da allora ad oggi, i territori del mentale si sono dilatati enormemente, trasformandosi da comunità locale a tecnosfera e infosfera, il che introduce continue variazioni di codici significanti. Il mio percorso di accesso a, e metabolizzazione di tali trasformazioni è consistito nello studiare le radicali ristrutturazioni, rimodellamenti, aporie <dell’essere famiglia> (Pontalti, 2018). Questo lavoro è come una sintesi finale, una sorta di lascito. Ma tali ricerche hanno accompagnato la mia vita di clinico e di ricercatore. E in questo andare della storia ho compreso una verità ordinatrice: “non si può ragionare da soli, dall’interno della propria modellistica e campo clinico; solo lavorando in stretto contatto con sociologi, psicosociologi, antropologi, economisti, teologi, giuristi è possibile ibridare le proprie prospettive teoriche e le proprie procedure cliniche. La vera sfida consiste nell’accettare l’autonomia costituente ognuno di questi saperi, resistendo alla tentazione di catturarli nel proprio codice interpretativo. Nel libro, Luigi pone una stella polare quale significante ultimo del suo percorso: allargare lo sguardo per centrare il bersaglio. Nella mia storia ho avuto la fortuna di allargare gli incontri formativi e collaborativi con tanti esponenti di saperi altri, interessati a interloquire per modificare i propri saperi e procedure. Essere con, nutrirsi reciprocamente, è la premessa perché lo sguardo si possa allargare. Da questo punto di vista VIII
Prefazione mi ritengo, del tutto fortunosamente, un esploratore, membro di una pattuglia (mica ero solo!) mandata in ricognizione di terre contigue ma ignote, non per colonizzare ma per imparare, imparare sempre di più da altri saperi, per migliorare l’efficienza del mio mandato etico professionale: non solo curare ma guarire (per riprendere i concetti di Franco Fasolo, 2002). Si è configurata così, la mia, una avventura di disseminazione delle ibridazioni, un lavoro stabile e destabilizzante sui confini. E dove siamo arrivati nella nostra comunità psy, passo dietro passo? Trovo entusiasmante il panorama attuale dei saperi formalizzati su questo “allargare lo sguardo”. Sul riuscire “a centrare il bersaglio” condividerò alcune riflessioni finali. Ne avevo già alluso segnalando la discontinuità tra psicoterapia sociale e psicoterapeuta sociale. Diversi sono i libri di colleghi che hanno, concettualmente, rivoluzionato, da diverse prospettive, la costituzione del mentale personale quale storicizzazione puntuale dei vari piani delle trasformazioni del sociale a partire dalle dimensioni economiche fino agli organizzatori simbolici degli immaginari collettivi nelle specifiche culture delle istituzioni e dei codici istituenti. Desidero, con piacere, ricordare che il libro di Luigi amplia, e problematizza nella pratica clinica, saperi che già sono confluenti nel medesimo mainstream, sia pure da prospettive iniziali diverse. Ne ricordo alcuni, e ho personalmente lavorato o riflettuto con gli autori. Risulterà così evidente come negli ultimissimi anni le epistemologie sul mentale siano profondamente e strutturalmente cambiate ponendosi come vere e proprie cesure rispetto al passato. Li riporto entro il testo della postfazione perché così sono interlocutori e non voci bibliografiche. Come Luigi sono psichiatri o psicologi ingaggiati nel lavoro clinico e questo dato per me è estremamente significativo. Paolo Cianconi: Addio ai confini del mondo. Per orientarsi nel caos postmoderno, 2011 Filippo Pergola: PolisAnalisi. Una clinica del sociale, 2019 Nadia Fina e Gabriella Mariotti: Il disagio dell’inciviltà. La psicoanalisi di fronte ai nuovi scenari sociali, 2019. Questo libro ha vinto il premio Gradiva della S.P.I.! IX
La funzione sociale dello psicoterapeuta Massimiliano Valerii: La notte di un’epoca. Contro la società del rancore; i dati per capirla e le idee per curarla, 2019 (l’autore è direttore generale del CENSIS, assai ingaggiato in seminari per gli specializzandi della Scuola C.O.I.R.A.G.). Il libro di Luigi, testimonianza di una vita spesa sempre per tradurre in “azioni” la visione “politica” della conoscenza, ha un valore aggiunto che risalta immediatamente già alla lettura dell’indice. Due sono le direttrici operative nelle quali si sostanzia la mission coerente con l’analisi sociale proposta: • come deve essere uno psicoterapeuta sociale, come deve essere uno psicoterapeuta etico; • il progetto in corso denominato “Esperimento sociale di Psicoterapia Aperta”. Tralascio il progetto, a cui è dedicato il capitolo 4, e mi concentro sul problema della rifondazione epistemologica e clinica della persona dello psicoterapeuta per essere all’altezza dei compiti e delle competenze oggi richieste, per essere coerente con le trasformazioni ben analizzate nel libro di Luigi D’Elia e degli altri autori citati. Nell’introduzione al libro, Luigi si cimenta in un’analisi storica, preziosa e accurata, della configurazione giuridica dello statuto sociale di «psicoterapeuta». Il portato di questa storia, negli anni successivi alla legge Ossicini, si è istituito su tre ordinatori: le Scuole private di formazione, il numero paradossale di tali Scuole, la parcellizzazione modellistica delle epistemologie e delle prassi. A ciò si accompagna una conseguenza pochissimo analizzata, la moltiplicazione quasi incalcolabile dei docenti autorizzati dal ministero. Docenti che di frequente non rispondono se non a standard minimi e banalmente formali (tipo 5 anni di iscrizione all’elenco degli psicoterapeuti, o, per i supervisori 10 anni). Ho sufficiente esperienza quale docente e supervisore in varie Scuole e in vari Servizi Pubblici (da CSM a residenze) per essere consapevole dell’estrema responsabilità che mi assumo e della estrema difficoltà, in primis per me, ma soprattutto per gli interlocutori, ad “allargare lo sguardo per mettere a fuoco il sistema-paziente e costruX
Prefazione ire un progetto terapeutico efficace. Docenti e supervisori si pongono spesso come officianti di religioni locali, in cui il locale coincide, con una non secondaria incidenza, con la propria personalissima trama di significazione e di azione. Quante volte sono stato, più o meno gentilmente, accusato di confondere “i giovani (?) specializzandi, di togliere loro alcune certezze di base (i mitemi delle singole Scuole o dei singoli docenti/ supervisori)! Luigi sa bene, e tra le righe lo denuncia, che l’impostazione formativa nettamente prevalente nelle Scuole di Specializzazione Private e Pubbliche (compresa ormai la Specializzazione in Psichiatria) si muove in maniera antitetica alla sua mission, che è anche la mia: ridurre lo sguardo il più possibile sull’individuo isolato dal mondo, sulla famiglia, ipostatizzata come sistema, isolata dal mondo, sui recettori encefalici, isolati dal mondo! Per questo il libro di Luigi si apre con una Introduzione dal titolo, in sé scherzoso, ma autenticamente tragico: “La psicoterapia funziona (nonostante gli psicoterapeuti)”. La paziente Ivana (prego il lettore di andare a rileggersi la storia e di provare a pensare come l’avrebbe gestita lui) è stata guarita non da una psicoterapia ma da quella psicoterapia, in un sapiente alternarsi di campi terapeutici, molti dei quali fuori della stanza di psicoterapia. Ma ci dica Luigi, quanto tempo, quanta confusione, quanti ripensamenti e approfondimenti ha dovuto attraversare per trasformare radicalmente, senza negarle, le matrici fondative della sua formazione?! Ha salvato una ragazza di 17 anni con grave psicopatologia cronicizzante. E se Ivana non avesse incontrato Luigi? E quante Ivane vegetano nei Servizi Pubblici, nelle Comunità, perché al momento dei primi segnali di crisi, la riduzione esasperata del campo osservazionale le ha fatte scomparire dal campo stesso? Quante psicoterapie, psicofarmacologie non vedono più il “bersaglio”? La psicoterapia funziona (affermazione statistica) solo se si ignorano i fallimenti. Quante ricerche metodologicamente corrette abbiamo sui fallimenti?! Pochissime. Le poche che possiamo consultare documentano un tasso di insuccessi tra il 30 e il 40%. E l’insuccesso della psicoterapia produce un effetto collaterale drammatico: la cronicizzazione del tempo vissuto della vita. Come ricordava, con sofferenza, il già citato Franco FaXI
La funzione sociale dello psicoterapeuta solo (psichiatra, gruppo-analista famoso, direttore del DSM di Padova), “noi, operatori psy siamo l’agente etiologico della cronicità”. Lasciatemi adesso ricordare come ho conosciuto Luigi. Un gruppo di quattro moschettieri, tanti anni fa, mi contatta con una domanda semplice: “vogliamo e possiamo aprire una Comunità Terapeutica. Ci aiuti?” Erano Luigi D’Elia, Antonello Angelini, Stefano Alba, Marino De Crescente. Sintetizzo la mia risposta. “Sì, se siete disposti ad andare a conoscere il futuro ospite nella casa dove vive con la sua famiglia, visitarla più volte, connettere e mentalizzare il percorso tra la sua casa-storia e la nuova casa-futuro.” Così è nata Passaggi, su questa matrice: il mondo del paziente (casa, famigliari, etc) entra in Comunità, non un individuo. E Passaggi si è fondata sui viaggi: Sicilia, Ischia, paesini ignorati dalle carte geografiche, quartieri di Roma. I fratelli di Ivana, il padre di Ivana arrivano a Roma. Non è la medesima storia? E Ivana può così arrivare dalle sue amiche in una nuova socialità. Queste mie esperienze, queste riflessioni, per dire che essere psicoterapeuti sociali eticamente (che è ben più che deontologicamente) impostati non si apprende in un master dopo la specializzazione. E per dire che solo l’assunzione radicale della trasformazione del Mondo, permetterebbe di ripensare e reimpostare gli assunti epistemologici e procedurali dei percorsi di formazione. Non ci spero molto, troppi interessi, troppe insicurezze personali e istituzionali. Ma sono testimone di un’altra realtà, che mi permette di nutrire ancora speranza. Nel mio girare l’Italia incontro tanti psicoterapeuti in formazione o di giovane età professionale. Quando ragioniamo su questi temi e sulle conseguenze nel loro lavoro clinico, esprimono un senso di liberazione, non di paura o smarrimento, e, udite udite, si svelano: “tentiamo tante mosse nella direzione della quale ci parla; ma lo dobbiamo tenere nascosto ai nostri docenti e/o supervisori perché altrimenti ci interpretano, ci accusano, ci penalizzano”. A loro deve arrivare il libro di Luigi, per loro è stato scritto! Desidero terminare con una citazione da un fascicolo di «Atque, materiali di psicoterapia e filosofia», forse per esprimere il debito ai miei ancoraggi filosofici: XII
Prefazione “Uomo e mondo sono due entità assolutamente distinte e non comunicanti tra loro? Oppure sono il prodotto di una relazione, di un effettivo scambio, tra mente e ambiente, per cui mente e mondo – mostrando di co-appartenersi ed evidenziandosi come inequivocabilmente intrecciati – finiscono con il loro costituire un sistema? Se, anche solo in qualche modo, fosse così, sarebbe sostenibile che l’uomo e il mondo sono, noi stessi e gli altri siamo, dispiegati da contesti fenomenologici pregni – ogni volta – di implicazioni espressive, ma anche cognitive, e insieme emotive? E sarebbe, d’altro canto, ammissibile l’ipotesi che la coscienza (la quota psichica) non sta propriamente nella nostra testa, ma è piuttosto espressione di quella soglia critica dove Sé e mondo si co-appartengono, per cui, in un certo senso, rappresenta quella terra di confine tra individuo e ambiente – talché bisogna finire con l’ammettere che la sua vita oltre che stare fuori della nostra testa, sta anche fuori della nostra mente?”
Bibliografia Cavalieri P., La Forgia M., Marozza M.I. (a cura di) (2012), L’ordinarietà dell’inatteso, Atque, n.10 Cianconi P., (2011), Addio ai confini del mondo. Per orientarsi nel caos postmoderno, Franco Angeli, Milano. Fasolo F. (2002), Gruppi che curano & gruppi che guariscono, La Garangola, Padova. Fina N., Mariotti G. (2019), Il disagio dell’inciviltà. La psicoanalisi di fronte ai nuovi scenari sociali, Mimesis, Milano. Pergola F. (2020), PolisAnalisi. Una clinica del sociale, Franco Angeli, Milano, 2° ediz. Pontalti C. (2018), Esplorare un costrutto semantico inafferrabile: la Famiglia in Gruppi, nella clinica, nelle istituzioni, nel sociale, n.1 Franco Angeli, Milano. Valerii M. (2019), La notte di un’epoca: contro la società del rancore, i dati per capirla e le idee per curarla. Ponte alle Grazie.
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Introduzione La psicoterapia funziona (nonostante gli psicoterapeuti) La psicoterapia nelle sue progressive recenti formalizzazioni le cui origini contemporanee sono risalenti a circa 120 anni fa, è la forma che ha assunto in questa epoca storica e prevalentemente nella parte del mondo detto occidentalizzato, la reciproca cura tra persone basata sulla relazione e sulla parola e che si occupa degli aspetti psicologici: emotivi, affettivi, cognitivi, esistenziali, relazionali, famigliari, lavorativi, sociali, degli individui e dei gruppi. Questa forma del prendersi cura dell’umanità ferita dell’altro è stata anche sottoposta alle stesse verifiche di efficacia e di evidenza empirica a cui si sottopongono cure di altro genere, quelle mediche, dimostrando, nonostante i numerosi gap epistemologici emergenti, utilità e validità e soprattutto dimostrando come, con la bassa o nulla tecnologia che la caratterizza, essa riesce ugualmente a modificare il cervello e le sue connessioni interne (plasticità neuronale) con la semplice forza della parola e della relazione curante. Inoltre, nel Regno Unito, dove la programmazione economico-sanitaria e l’epidemiologia hanno lunga tradizione e dove hanno calcolato impatto e costi sociali dell’ansia e della depressione, esiste da alcuni anni un grande progetto governativo (vedi sito IAPT: https://www.england.nhs.uk/mental-health/adults/iapt/), rifinanziato con budget sempre maggiori, pensato per contrastare l’onda montante del disagio psicologico, previsto dall’OMS già nei decenni precedenti, ed i cui risultati appaiono molto confortanti. Come ci insegna Paolo Migone, l’assenza di cure o le cure inadeguate delle sofferenze psicologiche, implicano un danno non solo ai pazienti stessi (aumento di sofferenza, cronicizzazione dei sintomi, maggiori ricadute, abuso di alcol o di sostanze anche come tentativi di automedicazione, etc.) ma anche alle casse dello Stato poiché vi è un aumento dell’utilizzo dei Servizi
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La funzione sociale dello psicoterapeuta socio-sanitari, dei ricoveri, del consumo di farmaci, etc., e parallelamente un danno alla società per maggiori assenze lavorative, minore produzione, minori entrate all’erario e così via. (Migone P., 2017)
Insomma, questa breve ma indispensabile premessa per dire qualcosa di ormai risaputo: la psicoterapia funziona. Il prendersi cura dell’altro chiamato in questi luoghi e in questo tempo psicoterapia ha, per noi addetti ai lavori, ampiamente superato gli esami di efficacia sia rispetto all’esperienza quotidiana di ciascuno di noi psicoterapeuti alle prese con i numerosi pazienti i quali cambiano in netta maggioranza la propria vita in meglio, sia rispetto alle progressive possibilità di comprova empirica e statistica che gli strumenti tecnologici odierni ci consentono (sulla efficacia della psicoterapia consiglio: Norcross John C., Quando la relazione psicoterapeutica funziona, Sovera edizioni, 2012) Naturalmente se e quando la psicoterapia funziona, ciò non accade sempre e in tutte le circostanze e spesso non come unica risposta e soluzione, ma sui grandi numeri certamente funziona e se si ha la capacità/ fortuna di trovare la relazione curante giusta e ci si concede tempo e risorse, i risultati sono spesso e volentieri assai confortanti. Ma se la psicoterapia funziona, significa che altrettanto spesso funzionano gli psicoterapeuti che si sono formati ad applicarla, o per meglio dire, che sono stati in grado di proporla secondo i codici socioculturali prevalenti, persino attraverso i suoi velleitari e molteplici tecnicismi.
Lo strano caso italiano. Il peccato originario privatistico E questo avviene nonostante tante circostanze avverse, nonostante cioè la particolarissima situazione venutasi a creare in Italia riguardo la formazione in psicoterapia a partire dalla Legge 56 del 1989, ed ancor prima, legge che avrebbe dovuto regolamentare sia la professione di psicologo che la specializzazione in psicoterapia. Nella storia intorno alla XVI
Introduzione costruzione di questa legge possiamo ritrovare la scarsa vocazione sociale e la prevalenza delle culture privatistiche della gran parte delle scuole di formazione. La professione dello psicologo è, come altre simili e coeve, in Italia come all’estero, l’esito di processi storico-sociali piuttosto recenti della modernità e della contemporaneità. È una professione che intercetta nuove esigenze sociali delle società industriali e postindustriali sia nella direzione della collusione ideologica (performatività, normalizzazione, etc,), sia soprattutto nella direzione del disagio che queste società producono negli individui come normali effetti collaterali degli automatismi in esse attivi e impliciti. In Italia però lo psicologo ha da sempre, storicamente, incontrato una mancata collocazione pubblica (consiglio a tal proposito la lettura dell’articolo di Carlotta Longhi sulla storia della professione “(Longhi C., 2009). Vi è innanzitutto da dire che la psicologia in Italia ha incontrato quanto meno la diffidenza di ben tre culture facenti parte storicamente del tessuto antropologico: il fascismo (che ha determinato da solo 20 anni di ritardo nello sviluppo della psicologia), prima dell’ultima guerra, il cattolicesimo e il comunismo, nel dopoguerra. Infatti, in sede di costruzione legislativa, prima del 1989, anno della legge 56, registriamo un ulteriore ritardo (10 anni almeno di trattative da parte del senatore Adriano Ossicini) le uniche forze politiche favorevoli erano i radicali e i socialisti, e la lunga trattativa con l’Ordine dei Medici con il quale è stato indispensabile scrivere assieme l’attuale legge ha previsto, nel patto di allora, l’accesso alla specialistica in psicoterapia come unica privata tra quelle mediche e a esclusivo (de facto) accesso della pletora di studentesse/studenti affollanti le facoltà di psicologia, nel tempo sempre più numerose. In sostanza, la contropartita per poter nascere lo dovevano pagare e lo continuano a pagare gli specializzandi psicologi. Tutto questo configurava in maniera quasi esclusiva, e già in fase fondativa, la collocazione privatistica della nostra professione, ma non solo, definiva anche come unico sbocco postuniversitario riconosciuto la psicoterapia riducendo di fatto le possibilità di azione dello psicologo che XVII
La funzione sociale dello psicoterapeuta come noto sono molto più ampie. Lo psicologo pubblico rimaneva una netta minoranza (non più del 3-4%), i concorsi e il turnover si fermano quasi subito dopo la legge (nel ‘90 è quasi tutto chiuso a livello pubblico), e tutta la massa dei laureati vengono sospinti a forza come mandrie di buoi verso la porta girevole delle centinaia di scuole private di psicoterapia (nel frattempo copiosamente proliferate). Naturalmente il campo che si va a definire e che viene sempre più circoscritto è quello privato e l’area di azione che viene individuata è quella di una professione cosiddetta liberale. Ma si tratta evidentemente di un inganno perché la domanda sociale di intervento dello psicologo ma anche dello psicoterapeuta non può mai essere quella, minoritaria, che afferisce alla libera professione se pensiamo che questa professione nel nostro paese non ha avuto modo e tempo di accreditarsi a livello di massa e se pensiamo, al contempo, che esiste una correlazione diretta tra disagio sociale e economico e disagio psicologico (vedere a proposito il prezioso contributo di Matteo Bessone nel capitolo 4). Le persone che accedono come pazienti ai servizi dei libero-professionisti sono quelle poche in grado di accedere ad una domanda e quelle poche in grado di permetterselo economicamente. È essenziale un servizio che a livello sociale e da parte di vaste aree di popolazione viene ritenuto tale e che poi viene recepito politicamente come tale. Ma mentre a livello politico un servizio come la psicoterapia è oggi finalmente riconosciuto come essenziale (LEA), l’accreditamento sociale non è potuto avvenire a causa dell’inaccessibilità pubblica unita alla rappresentazione collettiva privatistica dello stesso servizio. Ma questi due ultimi fattori (decisivi): inaccessibilità pubblica e rappresentazione privatistica sono figli diretti della storia “antipubblica” descritta e della gestione interna della professione fino ad oggi del tutto inadeguata e totalmente mancante di vision e lungimiranza. Di fatto, come tutti gli addetti ai lavori sanno bene, si è voluta creare con questa legge (frutto, come detto, di un compromesso al ribasso tra le parti nonché di una visione molto ristretta del ruolo dello psicologo), che prevedeva di fatto l’accesso privatistico ad una specializzazione che oltre che XVIII
Introduzione ai laureati in psicologia era anche di area medica quindi accessibile ai laureati in medicina (ripeto, l’unica dell’area medica ad accesso privato e l’unica non retribuita), una vera e propria bolla speculativa che ha visto negli ultimi 25 anni una crescita demografica inflazionistica – gli psicologi italiani nel 2020 sono più di 113.000 contro i 15-20.000 circa degli anni ‘80-‘90, e da soli sono un terzo di quelli europei – e una sorta di porta girevole tra le facoltà di psicologia e le scuole private di psicoterapia postuniversitarie, nel frattempo moltiplicatesi su tutto il territorio nazionale, fino a raggiungere il numero inverosimile di oltre 300. Nessuno fino ad ora, tra le istituzioni coinvolte nei processi in questione, Ordine Nazionale Psicologi, Facoltà di Psicologia, MIUR, Ministero della Sanità, si è mai preoccupato di valutare l’impatto di questa orda di laureati (85% femminile) e specializzati in psicoterapia sulla nostra società, ma soprattutto l’impatto sulla qualità formativa e scientifica di questo vero e proprio “popolo” di psicologi.
Pro e contro l’inflazione degli psicologi L’attivazione di questo speculativo mercato della formazione in psicoterapia nella sua specifica artificiosità italiana ha molti risvolti che, come al solito, sono di segno anche opposto e talora paradossale, sia positivi che negativi. Occorre premettere che quelli negativi superano di molto quelli positivi. Tra i fattori positivi di questa invasione di psicologi, certamente è un dato rilevante che si comincia ad attivare anche nel nostro paese, grazie a questo consenso popolare verso le discipline psicologiche, la giusta attenzione per la salute psicologica, ed in generale anche verso la psicologia in quanto scienza e vastissima area del sapere non necessariamente collegata alla dimensione della cura e della psicoterapia. Una massa critica di “studiosi” in psicologia ha lentamente costruito negli ultimi decenni una cultura psicologica popolare e ha legittimato di fatto, almeno in parte, le pratiche psicologiche in realtà culturali dove fino a pochi anni prima il
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La funzione sociale dello psicoterapeuta sospetto e la diffidenza verso questa modalità di cura erano massime. Studenti, laureati e specializzati in psicologia e psicoterapia, hanno portato per conto proprio e per conto della nostra società, come moltitudine di portavoce, una domanda di attenzione e cura psicologica. Anche i media si sono accorti di questa novità tanto che sono tantissime le sceneggiature cinematografiche italiane nelle quali lo psicologo è presente (a dire il vero non sempre in una veste dignitosa) e innumerevoli le trasmissioni tv/ radio e gli spazi della stampa dove oramai lo psicologo è una figura fissa, anche fin troppo inflazionata. L’altra faccia della medaglia di questo aspetto positivo, è che la stessa, legittima, opportuna, domanda di attenzione e cura psicologica, proprio perché “drogata” dal mercato della formazione privata, ha di fatto costruito un panorama totalmente deregolato e squilibrato della presenza della professione di psicologo nella società italiana che non ha tenuto presente della reale domanda sociale in relazione all’offerta professionale soprattutto in ambito privato. Se volessimo provare a leggere le traiettorie che la domanda sociale di cura psicologica assume nella nostra società, dovremmo innanzitutto dire nella grande parte essa rimane afona e amorfa e quindi non rilevabile e non accolta, un disagio destinato a rimanere in una considerevole parte sottotraccia, ma non per questo tale disagio non risulta incisivo nella vita delle persone. Quando invece diventa domanda consapevole compiuta, ed in parte si canalizza e emerge, ciò avviene innanzitutto nelle decine di migliaia di persone che studiano psicologia, e poi anche nelle persone che per diverse fortuite ragioni riescono ad accedere alla matrice psicologica dei loro problemi e di conseguenza ad un professionista riuscendo contestualmente ad usufruirne proficuamente, chi più, chi meno. Ma anche questa domanda più compiuta, più elaborata, rimane proporzionalmente minoritaria rispetto ad un altro tipo di domanda, quella sommersa, che rimane tale soprattutto perché economicamente inaccessibile data la mancata diffusione pubblica dell’offerta. Non è ipotesi stravagante supporre che la domanda emersa inibisca indirettamente, in qualche modo, quella sommersa, così come non è afXX
Introduzione fatto improbabile che la direzione prevalentemente privatistica della formazione professionale abbia fortemente inquinato la domanda stessa impedendo di fatto l’accesso ai servizi psicologici a larghe fasce di cittadini, essendo stato di fatto boicottato il settore pubblico della professione. Risultato: senza un’adeguata riflessione e formazione sociale dello psicologo, la domanda sommersa di salute, benessere, performatività, efficienza, in tutte le possibili permutazioni nella quale si presenta nelle attuali e dolenti forme esistenziali della presente società contemporanea, non può essere realmente intercettata dalla massa di psicologi e psicoterapeuti. Sia perché tale domanda rimane per una grande parte inespressa e inesprimibile e prende le strade contorte della più confusa domanda e dolenza somatoforme e confluisce perciò nella gigantesca area gravitazionale della medicina (ricordiamo che, secondo alcune stime, ben la metà delle prescrizioni, screening, medici, sono inutili e dovrebbero ricadere nell’area di attenzione della psicologia), sia perché quando non confluisce nell’area medica, assume forme di domanda esistenziale, filosofica, spiritualistica, esoterica, oppure ancora prende la strada di una domanda di performance, non elaborata e mirata, e giunge perciò nella consueta forma semplificata e palliativa di “scorciatoia” (alla stessa stregua dell’applicazione di un antidolorifico come rimedio per un’ernia lombare esposta) all’attenzione di pseudo-professioni proto-psicologiche come il life-coach o il counselor non-psicologo, il costellatore, l’operatore olistico e naturopatico, e via dicendo. Alla fine di questa trafila troviamo il mago, il guru, la setta, i gruppi di preghiera e via dicendo, in un progressivo allontanarsi dalla natura psichica o psicosociale o relazionale dei diversi problemi emergenti. Nel frattempo, questa gran massa di psicologi (un enorme potenziale bacino di talenti) invece curiosamente (ma neanche tanto) non produce ricerca, eccellenze, istituzioni, condivisione di buone pratiche. Nulla o quasi nulla. A livello internazionale l’Italia, nonostante la sua ipertrofica demografia professionale, non ha per nulla una proporzionale visibilità e rilevanza qualitativa in settori chiave come la ricerca, accademica o privata, in ambito sperimentale, clinico e sociale. Come mai? XXI
La funzione sociale dello psicoterapeuta Nel complesso, la frammentazione fortemente impressa dall’impostazione mercatistica, e quindi competitiva sul piano dell’offerta formativa, delle istituzioni private non ha consentito la nascita di realtà istituzionali significative che prendessero a cuore i temi salienti della ricerca, unico reale serbatoio di una professione che si ispira al complesso arcipelago epistemologico che sono le scienze psicologiche. Questa nostra realtà locale di centinaia di minuscoli istituti, ciascuno per sé, in perenne competizione tra di loro hanno per queste stesse ragioni, un’alta probabilità di derive autoreferenziali. Dirsi in Italia di questo o quell’orientamento psicoterapeutico rischia di risultare svuotato di una reale rilevanza sociale. La “nazione” degli psicologi italiani è molto meno identitaria, professionalmente parlando, delle singole appartenenze, talora di dimensioni talmente piccole da risultare vere e proprie conduzioni famigliari. Si crea l’inverosimile paradosso per il quale per uno psicologo italiano può diventare più connotativo appellarsi con il nome del singolo minuscolo istituto o con il nome del capo-corrente locale, di un sottogruppo locale, anziché definirsi psicologo e psicoterapeuta, le due definizioni che la Legge prevede. L’identità locale soverchia e schiaccia l’identità sociale della professione. Se non fosse che queste conduzioni famigliari e familistiche hanno un impatto sulla formazione degli psicoterapeuti in termini di pensiero ideologico, settario e antiscientifico, si considererebbero molte di queste piccolissime realtà, di certo casi non isolati sul nostro territorio, si liquiderebbero come casi folkloristici. Purtroppo le culture istituzionali che partoriscono alcune malformazioni denunciano una fragilità genetica che, come è risaputo, è il frutto di incroci incestuosi, di una mentalità fortemente endogamica e settaria che genera neo-lingue e visioni confessionali, veritative, dogmatiche, antiscientifiche, epistemologicamente irrilevanti, della professione. In alcuni casi i codici familistici locali soppiantano e oscurano quelli sociali diventando, in taluni casi particolari, finanche familistico-amorali. Questo avviene per molte ragioni. Vediamone alcune. XXII
Introduzione Abbiamo detto che le realtà accreditate localistiche che formano alla psicoterapia forniscono molta più identità professionale di quanto siano stati capaci, mediamente, di fornirne i percorsi accademici. Il neolaureato in psicologia o il neoabilitato come psicologo molto spesso è una creatura che si percepisce fortemente incompiuta dal punto di vista professionale perché sprovvista sia di una vision esauriente del suo compito sociale, sia sprovvista di un saper essere e saper fare sufficienti a proporsi con proporzionata sicurezza nei contesti lavorativi che gli apparterrebbero e a diretto contatto con una committenza-clientela. Questa sprovvedutezza dello psicologo alle prime armi oltre ad essere un esito indiretto del mancato assorbimento pubblico degli psicoterapeuti che non vincola quindi questa professione ad una formazione immediatamente spendibile ed efficace, è una precisa responsabilità delle numerose facoltà di Psicologia disseminate sul territorio nazionale, che, come accade in realtà per molte altre professioni, delegano implicitamente al “dopo” un proprio specifico compito o semplicemente rigettano come non proprio il compito di costruire le basi di un’identità professionale. Va detto che, nel caso dello psicologo, al pari di molte altre professioni ipercomplesse che attengono al rapporto diretto con l’umano, la costruzione di una solida identità professionale passa necessariamente da una quantità di esperienze pratiche che oggettivamente è impossibile maturare subito dopo la laurea ma anche dopo una specializzazione (parliamo di un’età variabile tra i 23 e i 30 anni). In termini puramente numerici uno psicoterapeuta in formazione incontra e osserva pazienti almeno un fattore 100 in meno di un analogo specializzando medico. La ragione di questo divario risiede unicamente nella differente collocazione pubblica delle due professioni e conseguentemente delle occasioni pubbliche in termini formativi. Le esperienze formative risultano quindi, molto spesso, fatalmente insufficienti durante il percorso di uno psicologo. Inoltre, anche dal punto di vista puramente accademico, i tirocini professionalizzanti pre e post laurea, primi impatti con le realtà operative, per le ragioni appena descritte, solo in rari e fortunati casi risultano essere effettivamente professionalizzanti. XXIII
La funzione sociale dello psicoterapeuta Nei programmi ministeriali dei primi due anni delle scuole di specializzazione esistono numerose ridondanze con quelli già svolti in ambito universitario. Tale ridondanza diventa occasione per ripercorrere in termini operativi alcuni saperi acquisiti, quindi la scuola di specializzazione diventa di fatto, spesso non avendo le necessarie risorse, l’autentica Università che forma alla professione. I programmi formativi delle scuole di specializzazione, spesso intensivi e articolati in attività variegate: teoriche, osservative, tirocini, workshop, seminari, supervisioni, sono programmi tarati su piccoli gruppi omogenei e la vita dell’allievo specializzando attraversa spesso queste gruppalità tra pari e questi riferimenti forti a docenti e tutor più esperti, come vere e proprie esperienze fondative e identitarie. Spesso si crea l’alchimia di una sorta di piccola comunità di apprendimento che se fortunati, diventa anche una comunità di apprendimento e lavoro con le prime esperienze collaborative professionali e i primi battesimi del fuoco in ambito pubblico e privato. Ciò crea legami molto forti e duraturi e contribuisce a costruire e cesellare le personalità professionali ancora acerbe. A volte questa alchimia non si crea e lo specializzando rimane isolato e spesso sguarnito della necessaria sicurezza per intraprendere la professione. Le scuole di specializzazione fanno (con svariate modalità, ma anche con variabile e ineguale successo) ciò che in teoria spetterebbe al percorso universitario. Ma lo fanno da un vertice privatistico e dunque trasmettono all’allievo specializzando un mandato sociale (o forse dovremmo dire un mandato a-sociale) che è del tutto coerente con questa loro matrice privata e, in fondo, con la storia stessa della professione in Italia. Obiettivo del professionista prodotto di questo processo è in definitiva costruirsi nel tempo un’attività privata, al limite aprire una partita IVA e collaborare con istituzioni convenzionate dove il lavoro pur rispondendo di fatto ad un mandato è sociale, viene determinato e concepito come privatistico.
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Introduzione
Psicologi, professionisti a-sociali? Ad alimentare l’a-socialità del mandato sociale della psicoterapia ha certamente contribuito un altro fondamentale aspetto storico tipicamente italiano, accennato poco su, ovverosia l’insufficiente collocazione pubblica della stessa. Diversamente dalla storia strutturalmente istituzionale della psichiatria che ha fatto della propria vocazione pubblica una sua specificità, i servizi di psicologia e psicoterapia in Italia sono stati caratterizzati da una disomogeneità in quanto a distribuzione e qualità a seconda della legislazione sanitaria regionale più o meno fortunata e lungimirante. In ogni caso, anche nelle poche realtà regionali dove i servizi di psicologia e psicoterapia si sono diffusi e positivamente distinti, rappresentano comunque una risorsa pubblica assolutamente insufficiente a fronte della potenziale domanda, che rimane inevasa e inesplorata. In termini generali non sarebbe del tutto errato affermare che in Italia la psicoterapia pubblica è un’eventualità piuttosto rara e che è rimasta sostanzialmente lettera morta. Ci fu un recente tentativo di riportare la psicoterapia nell’alveo dei servizi pubblici con la cosiddetta Legge Cancrini proposta nel 2007 che, pur essendo una legge senza previsione di spesa, quindi una legge di orientamento, era giunta ad un buon testo unificato frutto delle convergenze delle proposte concorrenti, ma la lobby medica tentò con emendamenti dell’ultimo minuto di esautorare gli psicologi dalla diagnosi psicopatologica (garantita per la Legge 56/89) e il tutto naufragò nelle polemiche e con la provvidenziale fine anticipata della legislatura. In sostanza, la storia culturale, istituzionale e organizzativa della psicoterapia italiana è congenitamente contraria allo sviluppo di una coscienza pubblica e sociale della propria vocazione professionale. Gli psicoterapeuti italiani, tranne rari casi e solo per autoformazione, non hanno opportunità di scoprire e approfondire gli aspetti sociali del proprio lavoro e quindi non si interessano, se non marginalmente, alla funzione sociale della propria professione ritenendola a torto come eccedente se non su-
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La funzione sociale dello psicoterapeuta perflua rispetto al mandato privatistico che sentono di aver ricevuto dalla propria formazione prima, e dai propri clienti dopo. Tutto questo accade nonostante il fatto che la stragrande maggioranza degli psicologi che poi diventeranno psicoterapeuti nei primi anni della loro professione, e/o nel periodo della loro formazione e a volte anche successivamente, svolgano prevalentemente lavori di eccezionale rilevanza sociale in strutture, organizzazioni, pubbliche o convenzionate con il servizio pubblico in moltissime aree di assistenza e cura, ma troppo spesso di irrilevante valenza retributiva per cui sono costretti a vivere come marginali/emarginati tali lavori, andando di fatto a rinforzare il mantra culturale per il quale l’unico lavoro che conta e ap-pagante è quello privato, nel tuo studio, con i tuoi pazienti mediamente solventi e possibilmente economicamente capienti. Un gigantesco capitale di esperienze e di investimento di energie dirette verso i bisogni sociali quasi totalmente sprecato e dirottato su fasce socioeconomiche elitarie e dunque minoritarie. E in una società occidentale sempre più strutturalmente orientata a dissolvere e impoverire le classi medie tramite il progressivo allargamento della forbice delle differenze reddituali tra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri, una professione tarata di fatto sulle fasce medie e medio-alte, si candida con ogni probabilità ad essere rappresentata socialmente come un lusso per inquieti benestanti. Tutto questo mentre nel frattempo il Servizio Sanitario Nazionale la include a pieno diritto tra i LEA (Livelli essenziali di Assistenza) decretando di fatto allo stesso tempo l’essenzialità di tali servizi nella società attuale e il diritto di accesso dei cittadini. E mentre questa enorme contraddizione esplode sotto i nostri occhi nelle innumerevoli notizie di cronaca di tragedie annunciate, nell’abbandono delle persone sofferenti e delle loro famiglie, nei milioni di ore di lavoro perse a causa di invalidità dovuta ad ansia e depressione, la funzione sociale della psicoterapia rimane dunque per molti versi e in molte circostanze il lato oscuro della formazione e della pratica dello psicoterapeuta, almeno qui in Italia.
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Introduzione
Quale futuro per la psicoterapia? Fare una previsione sul futuro della psicoterapia è davvero difficile. Se dovessimo seguire i flussi della società che diventa sempre più iperdromica e performativa, la vera partita per le psicoterapie si giocherà sull’efficacia in relazione ai farmaci. Non solo in alternativa ad essi, ma anche in integrazione con essi. Se dovessimo seguire i flussi della ricerca penso proprio che si affermeranno modelli di intervento sempre più integrati rispetto alle scoperte delle neuroscienze, cosa che sta già avvenendo da alcuni anni. Ma le psicoterapie sono discipline eminentemente ermeneutiche e molto probabilmente molte di esse non si accontenteranno di dialogare costruttivamente con i neuroni, ma proveranno a dialogare con il piano nel quale stanno avvenendo le maggiori trasformazioni e sempre più rapidamente, mi riferisco ai cambiamenti sociali, tecnologici, e soprattutto alle mutazioni antropologiche connesse che sono in corso. Questa potrebbe essere la vera sfida per le psicoterapie del futuro. Infatti, se guardiamo la storia e l’evoluzione delle psicoterapie nel passato, le più importanti innovazioni dei setting e le più interessanti scoperte sono avvenute in funzione dei cambiamenti sociali in corso: la scoperta dell’inconscio nel pieno della rivoluzione industriale, la scoperta dell’infanzia e del fattore educativo come centrale per il benessere sociale nel corso del ‘900, l’evoluzione della condizione femminile, la crisi delle democrazie e delle istituzioni nel secondo dopoguerra, la crisi della famiglia, e così via. Le psicoterapie oggi non fanno più grandi scoperte da circa 60-70 anni ma si limitano, anche con creatività, a ricombinare e permutare metodi e tecniche nati nel 900. In sostanza si riferiscono ad un tipo umano che non c’è quasi più e non hanno ancora pienamente preso atto delle mutazioni in corso. La ricerca in psicoterapia indica alcune strade (spesso relative alle aspecificità del fattore relazionale e all’enfasi sul caso unico) e dimostra sempre più il successo di una bassissima tecnologia e di una alta umanità. Quindi, al netto della presenza pubblica della professione psicoterapeutica (che si spera
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La funzione sociale dello psicoterapeuta sempre maggiore), ciò che conterà sarà la presenza sociale e questa sarà misurata sulla capacità degli psicoterapeuti di leggere il tipo umano contemporaneo e i cambiamenti sociali in corso. Dall’analisi di questo scenario nasce bisogno di intervenire, in parte con questo libro, a colmare un’indubbia lacuna formativa e a cominciare ad esplorare ambiti di ricerca che troppo spesso vengono trascurati nella formazione di uno psicoterapeuta nella vana speranza che la semplice prossimità e fedeltà a modelli e tecniche, per quanto raffinate e, come detto, ricombinate, sia sufficiente a rispondere alla domanda sociale di benessere e cura.
Bibliografia/Sitografia dell’introduzione IAPT: Adult Improving Access to Psychological Therapies programme. https://www.england.nhs.uk/mentalhealth/adults/iapt/ Longhi Carlotta, “La professione dello psicologo di fronte alla sfida della sostenibilità sociale”. Rivista online Plexus, 2, 2009 Migone Paolo, Editoriale, Psicoterapia e Scienze Umane, 2017, 51, 4. Roma, Franco Angeli Norcross John C., “Quando la relazione psicoterapeutica funziona” Roma. Sovera edizioni, 2012
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