La psicoterapia globale nella comunità terapeutica

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Paolo Vincenzo Manco Marino De Crescente, Fabiana Manco (a cura di)

La Psicoterapia globale nella comunità terapeutica: il metodo Lahuén

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© Copyright Alpes Italia srl - Via G. Romagnosi, 3 – 00196 Roma, tel./fax 06-39738315 I Edizione, 2020

Marino De Crescente ha conseguito un Master of Arts in psychoanalitic observational studies presso la University of East London-Tavistock Clinic. È stato tra i fondatori dell’ISAP (Istituto Studi Avanzati in Psicoanalisi), dell’Associazione Françoise Doltò e dell’INDTC (International Network of Democratic Therapeutic Communities) di cui è vicepresidente. Da trent’anni lavora all’interno delle comunità terapeutiche, attualmente è responsabile per il centro Italia delle comunità per adulti e del progetto Visiting adulti centro Italia dell’Associazione Mito e Realtà. È promotore del Network Psychosocial Green Care Italia. Con Alpes ha già pubblicato La politica delle comunità terapeutiche, 2011; La Paura, la noia, la rabbia, 2017; Le dimensioni della perversione, della manipolazione e del controllo, 2018, Leaders e Followers, 2019; Elogio del rischio, 2020. Fabiana Manco, psicologa-psicoterapeuta ad orientamento psicoanalitico esistenziale secondo il pensiero di Gaetano Benedetti. Terapeuta EMDR. Responsabile della Comunità di psicoterapia e lavoro Lahuén. Presidente dell’associazione di promozione sociale NoGap.

TUTTI I DIRITTI RISERVATI Tutti i diritti letterari e artistici sono riservati. È vietata qualsiasi riproduzione, anche parziale, di quest’opera. Qualsiasi copia o riproduzione effettuata con qualsiasi procedimento (fotocopia, fotografia, microfilm, nastro magnetico, disco o altro) costituisce una contraffazione passibile delle pene previste dalla Legge 22 aprile 1941 n. 633 e successive modifiche sulla tutela dei diritti d’autore.


INDICE Nota introduttiva Dalla simbiosi alla separazione: l’eredità come movimento di riconquista di Fabiana Manco.................................................................................................

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Nota introduttiva Curare è un pò tradire? di Marino De Crescente.........................................................................................

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Introduzione di Marino De Crescente......................................................................................... XVII La Psicoterapia globale: un nuovo modo di essere terapeuti di Paolo Vincenzo Manco e Mirella Guerrovich.................................................

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- Nota di Marino De Crescente........................................................................ 7

Il paziente psichiatrico è una Persona? di Paolo Vincenzo Manco.................................................................................

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- Nota di Marino De Crescente........................................................................ 29

Creatività in Comunità di Fabrizio Prioietti Griffi............................................................................... 31 La terapia famigliare in Comunità di Cheti della Fazia......................................................................................... 39 Il gruppo pensante come risorsa

- Il metodo di Fabiana Manco........................................................................ 45

- Osservazione e analisi sulla funzione del Gruppo terapeutico di Marino De Crescente................................................................................ 46

La relazione che cura di Marino De Crescente...................................................................................

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Sulle strategie del Benessere nella comunità terapeutica di Marino De Crescente...................................................................................

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La psicoterapia globale nella comunità terapeutica: il metodo Lahuén Riflessioni sul trauma e intervento terapeutico comunitario di Marino De Crescente................................................................................... 65 I principi della libertà e dell’amore di Marino De Crescente................................................................................... 73 La psicoterapia globale e il lavoro di Marino De Crescente................................................................................... 79

Appendice 1 Vita di Comunità................................................................................................ 85 Appendice 2 Il clima terapeutico dal punto di vista del paziente: ricerca sugli elementi costitutivi del clima nella Comunità Lahuén di Marino De Crescente, Francesca Rossini, Simona Granieri................................... 109 - Nota personale sull’esperienza della ricerca di Francesca Rossini........................... 137 Appendice 3 Intervista a Paolo Vincenzo Manco a cura di Marino De Crescente............................................................................... 139

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La comunità Lahuén è un posto dove si indaga nelle nostre zone d’ombra per far risplendere sempre più la luce. Paolo Vincenzo Manco



Nota introduttiva Dalla simbiosi alla separazione: l’eredità come movimento di riconquista di Fabiana Manco I vostri figli non sono figli vostri. Sono i figli e le figlie del desiderio che la vita ha di sé stessa. Essi non provengono da voi, ma attraverso di voi. E sebbene stiano con voi, non vi appartengono. Potete dar loro tutto il vostro amore, ma non i vostri pensieri. Perché essi hanno i propri pensieri. Potete offrire dimora ai loro corpi, ma non alle loro anime. Perché le loro anime abitano la casa del domani, che voi non potete visitare, neppure nei vostri sogni. Potete sforzarvi di essere simili a loro, ma non cercare di renderli simili a voi. Perché la vita non torna indietro e non si ferma a ieri. Voi siete gli archi dai quali i vostri figli, come frecce viventi, sono scoccati. L’Arciere vede il bersaglio sul percorso dell’infinito, e con la Sua forza vi piega affinché le Sue frecce vadano veloci e lontane. Lasciatevi piegare con gioia dalla mano dell’Arciere. Poiché così come ama la freccia che scocca, così Egli ama anche l’arco che sta saldo. Kalil Gibran Il Profeta L’idea di questo libro traccia quasi 40 anni di esperienza e lavoro nella comunità Lahuén, trovando la via della fattività in un anno in cui la comunità stessa viveva la perdita del suo fondatore, il dottor Paolo Vincenzo Manco, mio padre. Questa triste circostanza è stata motivo di riflessione profonda sul tema dell’eredità riferendomi, ovviamente, non a beni materiali, quanto al futuro della comunità ai gesti, agli atti, alle memorie… VII


La psicoterapia globale nella comunità terapeutica: il metodo Lahuén

La mia esperienza comunitaria nasce, innanzitutto, come esperienza di vita dal momento che i miei genitori hanno creato questa realtà quando avevo poco più di un anno. Mia madre era una donna dirompente vivace acuta, intuitiva, inafferrabile, colta, eccessiva, generosa, creativa vulcanica. Il suo animale preferito era la farfalla divenuta simbolo della comunità a seguito della sua perdita improvvisa e prematura. La farfalla, col suo fluttuare nell’aria a rappresentare l’impermanenza delle cose, la loro mutevolezza e nel cui simbolo è custodito uno sfondo metafisico che presuppone segrete affinità, quasi una mistica compenetrazione tra il mondo visibile e l’invisibile, il punto d’incontro tra il tempo e l’eternità. Un’anima ben rappresentata nella comunità, un luogo di continue trasformazioni, di equilibri spesso labili, di cambiamenti. Uno spazio che al tempo stesso è un laboratorio di vita, di novità. Una comunità in cui trova libera espressione la creatività, la passione, la possibilità di esprimersi anche negli aspetti strani, eccentrici malati. Accanto a questo aspetto della linea femminile c’era mio padre. Un uomo coerente, stabile, metodico, di struttura, riflessivo, ponderato, buono, esigente, serio, misurato. Un leone fiero e protettivo che ha saputo, nella solitudine di una giovane vedovanza, saper dare una sua impronta, emergere e dare sicurezza, stabilità e solidità. Un uomo di pensiero, di teorie, di dinamiche che si è trasformato in un solido amministratore dando alla sua comunità una casa di proprietà. Lei, donna di mondo, poliglotta, elegante, carismatica, con un’innata arte di cavarsela ed uscire con maestria dalle impasse. Lui, uomo legato alla terra, un contadino colto, di umili e sagge origini. Due mondi lontani in apparenza ma vicini nel profondo. Due vite caratterizzate da profonde traumatiche e premature separazioni. Due anime ferite, due guerrieri della luce, due genitori che, incontrandosi, anno dato vita a due figlie: io e la Comunità Lahuén. Credo fortemente nel fatto che ogni comunità rifletta i suoi fondatori cioè che la struttura di ogni comunità abbia un DNA psicodinamico fatto di parti delle personalità di chi le ha create. La Comunità Lahuén è una comunità fondata da una famiglia, la mia. Proprio per questo ha una matrice familiare, con tutto ciò che implica tale tipo di setting: per gli ortodossi della psicodinamica un setting sporco, invischiante, problematico. Per noi animali comunitari, una rottura, un setting consapevole e necessario per il modo in cui la relazione è vissuta all’interno dove, operatori e pazienti per il numero di ore, la quotidianità, il vivere insieme, nella definizione di ruoli e funzioni sono, prima di tutto, persone. L’essere persona rimanda ad una complessità delle parti in gioco in cui, rifacendoci al motto di gestaltista memoria, il tutto è molto più della

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Nota introduttiva

somma delle singole parti. In comunità le interconnessioni sono continue, mutevoli ed infinite. Ed è in questo variegato sistema di relazioni che si inserisce la mia impronta declinandosi su quelle che molti psicoanalisti ma in particolare Gaetano Benedetti, definisce le due linee evolutive del sé: simbiosi e separazione. Durante la stesura di questo libro mi trovo nel pieno dell’elaborazione del lutto di mio padre facendo i conti con il dolore per la perdita e con la grande eredità, nell’eccezione di cui parlavo sopra, che mi ha lasciato. Un momento esistenziale che riguarda il modo in cui tutti gli elementi di questa eredità vengono interiorizzati e trasformati. Riprendendo le riflessioni di Recalcati ereditare non come movimento acquisitivo, passivo, ma come riconquista della propria soggettività, che iscrive la nostra storia nella storia di chi ci ha preceduto e che la proietta nel futuro. Un’eredità autentica implicante un movimento attivo del soggetto ed in cui, quello che conta è la trasmissione del desiderio da una generazione all’altra. Non solo un ricevere un senso del mondo, ma anche la possibilità di aprire nuovi sensi e nuovi mondi (Recalcati, 2013). Un meccanismo che si situa in una dinamica di dono e debito. Una dinamica soggetta a due vizi sostanziali: il primo, che consiste nel ripetere immutabilmente ciò che è stato e che nasce da un’incapacità di separarsi dal passato grazie a facili idealizzazioni delle radici e della memoria ostacolando l’innovazione. Il secondo, che invece riflette il delirio moderno dell’autosufficienza e dell’autoreferenzialità e che si colloca sul lato opposto, sostanziandosi in una rivolta ribelle verso il passato, negando il debito simbolico che ci lega a chi ci ha preceduto. Due estremi non in grado di soddisfare il sano processo dell’ereditare che, piuttosto, si situa tra la memoria e l’oblio, tra la fedeltà e il tradimento, tra l’appartenenza e l’erranza, tra la simbiosi e la separazione. Proprio dentro queste dimensioni complementari la mia riflessione si colloca nel guardare a come, dalla teoria, tutto ciò possa trasformarsi in pratica nel definire la Comunità Lahuén di oggi per onorare la memoria dei miei genitori ed implementare, allo stesso tempo, il loro metodo con la mia persona, la mia professionalità, il mio punto di vista. Seppur consapevole della prematurità nel parlare di riflessione essendo sia io che la comunità dentro il processo e non sapendo nemmeno profondamente se possa essere io a poter valutare questo movimento di passaggio, ho la certezza che questo momento sia qualcosa a cui negli anni mi sono preparata idealmente, ed in questo mio cammino interiore, fatto di pensieri, momenti di confronto, intimità, paure ed angoscia, l’aspetto che ho sempre considerato come rilevante è il concetto di simbiosi su cui i miei genitori hanno lavorato profondamente creando una comunità a misura di

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utero, dove la tutela della persona è garantita da un sistema che accoglie, fa maternage, educa nella protezione, contiene, permettendo appunto la possibilità di vivere una regressione fondamentale per poter accogliere le proprie ferite. Sono stati due maestri in questo. La comunità così come l’hanno creata è infatti un grande contenitore in cui ogni sua componente ha la possibilità di sperimentare di toccare parti del Sé e nelle intenzioni integrare gli aspetti creativi e costruttivi con le parti ferite e distruttive. La natura familiare di riparentalizzazione è stato il dono e l’insegnamento che io e la comunità abbiamo maggiormente ricevuto da questa eredità. Accogliere il dolore, la follia, la distruttività, non giudicandola ma guardandola è uno dei principi e dei valori che solo un ambiente che consente una buona simbiosi può permettere. Credo che attraverso il loro insegnamento siano riusciti in modo creativo a sublimare le atroci separazioni e i grandi dolori delle loro vite e proprio partendo da questo abbiano creato una comunità famiglia in cui ci sentiamo parenti di cuore, in cui i nostri figli vivono con noi la quotidianità, le festività, i turni di lavoro. In cui almeno nei primi anni, mamma comunità rappresentava il tutto ed ogni cosa che ne era al di fuori era vissuto come un tradimento. Se da un lato questo ha portato con sé crisi ed inconvenienti, è stato assolutamente utile e necessario per comprendere che, nel metodo Lahuén, il professionista è prima di tutto persona, dove il dialogo con i nostri i ragazzi è colloquiale, familiare e se vogliamo, poco professionale nella forma ma assolutamente guidato da un sapere psicologico nella sostanza. Questo non è da confondere con l’invischiamento ma, per dirla con Benedetti, è la personalità terapeutica fondata su un’intenzione d’amore (1991) nella assoluta consapevolezza di ruoli e funzioni. A me allora il compito di curare la separazione, cioè il passaggio all’autonomia, il consolidare i frutti che solo una buona simbiosi consente. Quale missione allora da realizzare? Il termine erede dal greco Keros (vuoto, deserto) allude nella sua etimologia all’impossessarsi di ciò che è rimasto vuoto. Una “eredità simbolica” che unisce un passato e una volontà, il futuro del passato. Immagino che questo passaggio di consegne sia una traccia di vita, un incontro di me con l’interiorizzazione dei miei genitori. Quindi, lavorare su una buona separazione significa dare un metodo stabile e coerente, come questo libro, che nasce per dare una definizione, una cornice, una traccia tangibile della creazione del metodo Lahuén. Curare la separazione pone i grandi temi dell’autonomia del lavoro: cosa sarà dei nostri ragazzi usciti da questa grande esperienza regressiva?

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Nota introduttiva

Cosa di reale e non solo simbolico porteranno come bagaglio esperienziale? La Comunità Lahuén si definisce di psicoterapia e lavoro dove, con quest’ultimo, si intende sia l’aspetto psicologico, ovvero il viaggio introspettivo dentro se stessi, che la premessa per il lavoro in senso stretto. Curare la separazione assume quindi un aspetto anche pragmatico dove acquistano importanza la formazione, l’acquisizione di competenze specifiche e relazionali. Ed è proprio da questo che nasce il desiderio di poter aiutare i ragazzi a saper fare oltre che a saper essere. Credo profondamente che questa dimensione sia complessa ma voglio seguire la visione di una comunità che possa creare interessi, opportunità, expertise, per accompagnare le basi psicologiche alle basi di realtà. Imparare ad essere, imparare a stare, imparare a fare! La mia giovane esperienza mi pone obiettivi molto ampi e lungimiranti ma senza sogni non ci sarebbero neanche belle realtà. Vorrei regalare ai miei ragazzi ciò che sento di aver ricevuto come figlia ossia una base sicura che mi ha donato le ali per volare e le radici per tornare.

Bibliografia Benedetti, G. (1980). Alienazione e personazione nella psicoterapia della malattia mentale [Alienation and personation in the psychotherapy of mental illness]. Einaudi. Benedetti, G. (1991). Psychotherapy of schizophrenia. New York University Press. Peciccia, M., & Benedetti, G. (1996). The splitting between the separate and the symbiotic states of the self in the psychodynamic of schizophrenia. International Forum of Psychoanalysis, 5, 23–38. Recalcati, M. (2014). Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre. Place FELTRINELLI TRAVELLER.

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Nota introduttiva Curare è un po’ tradire? di Marino De Crescente

Prendersi l’impegno di curare un libro sull’esperienza di una comunità terapeutica, descriverne la cultura, i valori ideali, i principi di funzionamento non è impresa facile, e men che mai se allo stesso tempo si riceve il mandato di avviare una ricerca al suo interno. L’impegno è arduo non tanto e non solo per la mole di lavoro, quanto piuttosto per la posizione complessa che si tratta di assumere nei riguardi dell’oggetto di studio. La neutralità dell’osservazione può essere messa costantemente in crisi dalla fascinazione che il mandato e l’impegno di una comunità può suscitare a chi è esterno alla sua dinamica, fascinazione anche nei confronti delle forti motivazioni e del duro impegno relazionale di chi opera al suo interno. Devo dire che a questo riguardo sono stato agevolato non solo dalla mia lunga esperienza trentennale, con varie funzioni all’interno delle comunità terapeutiche (nelle relazioni con ospiti e colleghi) e dal mio lavoro come formatore e supervisore che mi ha insegnato a mantenere la giusta distanza dalle dinamiche comunitarie, ma soprattutto dalla mia formazione che mi ha insegnato a tenere fermo il distinguo tra Io osservante e Io sperimentante. Descrivere una comunità può voler dire infatti inevitabilmente interpretare col rischio di tradire, sottostimare o idealizzare alcuni aspetti, perdere l’oggettività dell’osservazione e della narrazione sotto la spinta del controtransfert istituzionale o della lealtà verso il committente. A questo riguardo ho trovato conforto nelle riflessioni di due eminenti ricercatori del mondo delle comunità terapeutiche, D. Menzies e J.Lees che a questo proposito scrivono: “Tuttavia, l’idea che un ricercatore possa non essere coinvolto mentre svolge una ricerca su una comunità terapeutica è contraria all’esperienza, chiunque possa essere il suo datore di lavoro” (Menzies, Lees, 2004 pag. 159).

Iniziare una ricerca all’interno di una comunità vuol dire inoltre dover elaborare costantemente il sentimento di sentirsi un intruso, fonte potenziale di giudizio su chi sta svolgendo un lavoro impegnativo e gravoso, mentre egli non ha l’onere del coinvolgimento con gli ospiti e non soffre il peso della relazione e del contagio emotivo: tutto sommato un privilegiaXIII


La psicoterapia globale nella comunità terapeutica: il metodo Lahuén

to che ha il compito di svolgere solo un lavoro intellettuale. Ma a questo punto è utile chiarire come si è svolto il mio lavoro alla Lahuén. Innazitutto mi è stata messa a disposizione una ampia messe di articoli, presentazioni, interventi a convegni, regolamenti interni, resoconti dettagliati dei gruppi terapeutici, che il fondatore della Lahuén, Paolo Vincenzo Manco, custodiva con cura certosina: praticamente tutto il materiale disponibile accumulatosi nel corso del più che trentennale periodo di attività della Lahuén. Questo ha reso estremamente agevole il mio lavoro descrittivo poiché la Lahuén oltre ad avere un modello esplicito di intervento ha dei valori dichiarati piuttosto trasparenti. Senz’altro una ulteriore facilitazione allo svolgimento del mio compito, oltre ad avere avuto a disposizione un comodo spazio specifico dove poter consultare il materiale dell’archivio, è stata poter partecipare nella giusta misura alla vita comunitaria in alcuni momenti intimi e collettivi, come il gruppo terapeutico, l’attesa del pranzo, il pasto condiviso, il relax post-prandiale, in cui erano presenti operatori ed ospiti. Questo ha consentito di dare più concretezza a quello che andavo studiando conferendogli quel quid che deriva dall’esperienza diretta e che riduce enormemente la tendenza all’astrazione di chi deve lavorare esclusivamente su un materiale teorico. Ho avuto infatti la possibilità di assistere inoltre come osservatore partecipante ad un gruppo terapeutico per rendere più realistica la mia comprensione dell’utilizzo del gruppo nel metodo della Lahuén. Devo aggiungere che ho avuto inoltre piena disponibilità di poter interagire liberamente con operatori ed ospiti per i quali credo di aver rappresentato una presenza particolare. Una presenza costante, lo stesso giorno di ogni settimana per quasi un intero anno, che non era lì per aiutare, ma con cui tutti potevano in ogni caso liberamente relazionarsi e condividere apertamente comunicazioni informali. Il fatto che potessimo condividere insieme gli spazi interstiziali del pre e dopo pranzo, e il fatto che io non fossi presente con una funzione operativa, ha consentito la creazione di uno uno spazio relazionale assolutamente reciproco in cui poter scambiare opinioni su aspetti culturali riferiti alla vita di tutti i giorni. Una relazione costruita quindi fuori da qualsiasi transfert istituzionale. Naturalmente non sono mancate alcune criticità nel lavoro descrittivo e ricostruttivo del modello Lahuén. Infatti la necessità di trovare connessioni nella letteratura delle comunità terapeutiche con i riferimenti teorici che emergevano, unitamente al rapporto con l’esperienza osservata, mi ha obbligato a operare scelte arbitrarie: ma questa credo sia la condizione necessaria e imprescindibile di chi vuole andare oltre un lavoro meramente descrittivo e vuole disporsi a fare ricerca. Saranno i lettori stessi a valutare il grado di adeguatezza dei riferimenti teorici da me individuati riguardo a quelli propri del modello osservato.

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Nota introduttiva

Un’altra criticità è stata senz’altro legata alla natura stessa della ricerca ovvero alla necessità di formulare ipotesi, esprimere opinioni, fare elaborazioni su una comunità della quale non si condivide l’operatività ne quindi la matrice dinamica. Il sentimento prevalente può essere quindi spesso quello di non essere mai nella piena legittimità del parere che viene espresso, proprio perchè non si condivide alcuna prassi operativa. Ma a questo riguardo sono stato molto aiutato dal continuo feedback di conferma della direttrice della comunità e co-curatrice di questo libro, Fabiana Manco, che puntualmente mi ha seguito leggendo ciò che andavo scrivendo, dandomi conferma che non stavo effettuando voli pindarici ma ero aderente alla realtà della propria esperienza. A questo riguardo devo anche ringraziare Simona Granieri per la sua illimitata disponibilità e accoglienza e per avermi fornito, al momento opportuno, tutti il materiali necessari che lei custodiva e senza i quali il mio lavoro non sarebbe stato possibile. Ringrazio, inoltre, Fabrizio Proietti Gaffi, uno dei coordinatori storici, che mi ha sostenuto emotivamente, forse non rendendosene conto, tramite lo straordinario coinvolgimento nel suo lavoro: trovare persone così motivate alimenta indirettamente anche la propria motivazione poichè rende significativo il proprio sforzo, la propria funzione e la finalità del proprio lavoro. Un ringraziamento inoltre va anche a Cheti della Fazia, che ho di fatto obbligato a interrompere la sua consuetudine lavorativa per produrre una nuova e recente elaborazione del suo lavoro con le famiglie. È risaputo, scrivere può essere una attività gratificante ma senz’altro entra in conflitto con il duro impegno quotidiano di chi lavora in comunità per risolvere problemi ben più importanti e concreti di quelli del curatore di un libro. A questo riguardo ringrazio nuovamente Fabiana e Fabrizio per essere riusciti a trovare lo spazio e il tempo per le loro elaborazioni. Un ringraziamento particolare va a Francesca Rossini, che con me ha collaborato nella elaborazione del progetto di ricerca e con Simona Granieri nella sua esecuzione: senza di loro sarebbe stato impossibile portare a termine il lavoro di ricerca. Un ultimo ringraziamento agli ospiti ed operatori e a tutti i membri della segreteria e dell’amministrazione per la loro disponibilità e pazienza e per aver tollerato la mia presenza, che se pure spero sia stata sempre discreta, senz’altro intrudeva con il loro quotidiano impegno.

Bibliografia Menzies D., Lees J (2004) “Le dinamiche psicologiche dell’esperienza di ricercatore in una comunità terapeutica. Vivere l’esperienza borderline” a cura di J.Lees, in Lees J. Manning N. Menzies D. Morant N, Una cultura dell’Inchiesta, 2007 Giovanni Fioriti editore.

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Introduzione di Marino De Crescente

Questo libro arriva a quasi quattro decenni dalla nascita della Comunità Lahuén e ad un anno dalla scomparsa di uno dei suoi fondatori: Paolo Vincenzo Manco. Mirella Guerrovich che con lui aveva fondato la comunità venne a mancare circa due decenni fa. Questa pubblicazione vuole quindi segnare un momento di passaggio e un utile collegamento tra la storia passata e quella recente della Comunità Lahuén, ma anche una utile connessione del futuro prossimo della comunità con il suo passato, poichè, come recita un sapiente detto “non c’è futuro senza passato”. Il libro vuole rappresentare quindi la sintesi di questi decenni di esperienze nel campo dell’ intervento terapeutico residenziale nella salute mentale e dell’intervento sulle tossicodipendenze e più recentemente in quello delle doppie diagnosi. Si vuole quindi qui rendere fruibile ad altri ciò che è stato pensato in questi anni: comunicare esperienze riflessioni e ricerche può voler dire rendere pubblica la propria adesione alla cultura dell’indagine (culture of inquire) principio elettivo riconosciuto oggi come determinante nell’evoluzione delle comunità terapeutiche. È risaputo infatti oggi nel nostro ambiente, che le comunità che non si interrogano sul proprio operato, non producono riflessioni, ricerche, analisi, difficilmente riescono ad essere efficacemente terapeutiche. A questo fine alcuni articoli originali che sono stati elaborati nel corso degli anni e vengono riportati integralmente nel volume, verranno corredati da una nota critica del curatore esterno che ne sottolineerà la possibile correlazione con teorie differenti. Questa pubblicazione vuole restituire quindi una visione d’insieme chiara e intellegibile del modello della Comunità Lahuén anche tramite il supporto di scritti di epoche differenti che mantengono però inalterato il principio fondativo originario basato sul concetto di Psicoterapia Globale nella comunità terapeutica, (ideato da Paolo Vincenzo Manco e da sua moglie Mirella Guerrovich) che sarà l’inevitabile leit-motiv di questa pubblicazione. Concezione che con estrema chiarezza specifica la necessità di un metodo che si occupi della totalità e complessità dell’ospite nel suo essere “Persona” con tutti i suoi bisogni (qui non si può non pensare a G.C. Zapparoli, 1988) soprattutto espressivi e creativi, ma più in generale legati al concetto di “benessere” che è un concetto innovativo nel mondo XVII


La psicoterapia globale nella comunità terapeutica: il metodo Lahuén

delle comunità terapeutiche. Secondo una idea pregiudiziale, fino a qualche anno fà, si pensava infatti che al paziente psichiatrico la possibilità di provare piacere fosse preclusa dalla malattia e che il tossicodipendente non necessitasse di un autentico benessere perchè completamente alle prese con i desiderata del principio del piacere ovvero del godimento, che nella concezione di J. Lacan risulta essere l’opposto del piacere. Si pensava infatti che col procedere della psicoterapia nei settings classici, il paziente avrebbe avuto accesso al piacere (limitato), negando in questo modo i vissuti deprivativi con i quali, quasi sempre, esso giune in comunità: deprivazione sensoriale, relazionale, affettiva, culturale etc. Ma entriamo ora in maggiore intimità col concetto di psicoterapia globale che rappresenta la sintesi del modello Lahuén tramite le altre parole chiave che attraversano questo scritto. La simbiosi è un concetto che si muove trasversalmente, nelle sue molteplici varianti. Si tratta di una concezione estesa che non riguarda in modo esclusivo la relazione madre-bambino, come nella accezione classica, ma è un concetto che rappresenta piuttosto la chiusura nel claustro, sia della relazione madre-figlio, ma anche padre-figlio, ed ancora nella relazione con se stessi. Il problema della psicosi e della tossicodipendenza sembrerebbe poter essere rappresentato dalla chiusura al nuovo, dal rimanere chiusi nell’ambito del conosciuto, delle proprie autorappresentazioni patogene ed esclusive di malattia, senza riguardo con la totalità e complessità della persona. La relazione terapeutica rappresenterebbe quindi una apertura alla totalità della persona, e ai suoi bisogni: l’operatore dovrebbe essere quindi l’agente che permette all’ospite nuove rappresentazioni di sè, oltre la malattia, tramite la consapevolezza delle parti sane e vitali ancora attive: una concezione questa che sembra corrispondere pienamente al moderno concetto di Recovery che riconosce le possibilità di recupero di totalità psicologiche tramite l’individuazione e l’utilizzo delle risorse sane, sempre attive e presenti nei pazienti. Da un lato della relazione terapeutica, l’operatore è visto anch’esso con i suoi nuclei nevrotici non necessariamente risolti: visione che costituisce l’antitodo al “pazienti operatori creature l’una dell’altra” (Thomas Main, 1983), lì dove il paziente è concepito esclusivamente nella sua accezione di persona malata e l’operatore unicamente come la persona sana in una cristallizazione che lega l’uno all’altro nei propri ruoli: polarizzazione foriera dello stallo terapeutico. Infatti finchè anche l’operatore non riconosce le sue criticità psicologiche l’ospite rimarrà schiacciato nella sua rappresentazione di malato inguaribile. Le problematiche degli ospiti vengono lette, nel metodo Lahuén, alla luce del loro trauma originario o cumulativo, esteso alla fase perinatale, periodo delicato e critico dove il feto, secondo le correnti concezioni e stu-

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Introduzione

di perinatali, (A. Piontelli, 2002) viene visto come essere senziente in continua connessione emotiva con la madre e con le sue vicissitudini emotive. Scopo elettivo della Comunità Lahuén sarebbe quindi quello di portare gli ospiti a divenire Persone capaci di vivere creativamente in libertà senza condizionamenti esterni ed interni e quindi messi in grado di amare e di amarsi. Naturalmente in questa visione della cura assumono importanza anche i settings classici, come l’intervento con le famiglie e quello psicoterapico anche se le relazioni con gli operatori costituiscono il vero focus dell’intervento e determinano il clima terapeutico della comunità, che le ricerche attuali definiscono come fattore determinante per il buon esito del trattamento. A questo proposito una Appendice propone una recente ricerca effettuata alla Lahuén, che ha viaggiato parallelamente alla stesura di questo libro, che vuole indagare la specificità del metodo Lahuén, intervistando i pazienti dimessi che risultano aver effettuato un percorso proficuo, per chiedere quali sono stati, a loro parere, i fattori di maggior efficacia che hanno contribuito al loro miglioramento. Una successiva Appendice espone invece gli specifici aspetti organizzativi che rendono possibile il lavoro della Lahuén. Una ulteriore ed ultima Appendice presenta una breve intervista al dott. Paolo Vincenzo Manco, effettuata un giorno prima della sua scomparsa; l’intervista era concepita in modo più esteso ma non è stato possibile effettuarla nella sua interezza poiché, comprensibilmente, le condizioni di salute dell’intervistato non lo hanno consentito: rimane in ogni caso una vivida testimonianza del Leader storico della comunità che sembra lanciare il testimone a chi avrà l’alta responsabilità di portare avanti la sua opera verso nuove sfide e nuovi obiettivi.

Bibliografia Bruschetta S. ( 2018) Mental Healt Service Recovery Oriented vol.17 (Nuova rassegna studi psichiatrici. On line settembre 2018) http://www.nuovarassegnastudipsichiatrici.it/index.php/numeri-precedenti/volume17/2-edizione-questionari-mental-health-service-recovery-oriented-progetto-visiting-dtc D’avanzo B. Maone A. a cura di (2015) Recovery, (2015), Raffaello Cortina Editore Lacan J. ( 1958-59) Seminario n. 6, Piccola Biblioteca Einaudi 2016 Main T. (1983) La comunità terapeutica e altri saggi psicoanalitici, Il pensiero Scientifico 1992 Piontelli A. (2002) From Fetus to child, Taylor and Francis ed. 2003 Zapparoli G.C. (1988) Psichiatria oggi, Bollati Boringhieri, Torino 1988

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