Introduzione
Marco Crepaldi
Hikikomori I giovani che non escono di casa
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© Copyright Alpes Italia srl - Via G. Romagnosi, 3 - 00196 Roma, tel./fax 06-39738315 I edizione, 2019
Marco Crepaldi, specializzato in psicologia sociale e comunicazione digitale, nel 2017 fonda l’associazione nazionale Hikikomori Italia di cui è tuttora presidente. I suoi studi si concentrano sul crescente fenomeno mondiale dell’isolamento sociale giovanile, con particolare attenzione al contesto italiano, occupandosi parallelamente di tutte le problematiche a esso associate, come, ad esempio, la depressione esistenziale e la dipendenza dalle nuove tecnologie.
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Introduzione
Indice generale Introduzione................................................................................................ VII
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Cos’è l’Hikikomori?................................................................................. 1 L’Hikikomori non è dipendenza da Internet....................................... 2 L’Hikikomori non è depressione......................................................... 5 L’Hikikomori non è fobia sociale, schizofrenia o autismo.................... 6 Gli Hikikomori non sono eremiti....................................................... 8 Hikikomori: una prima definizione..................................................... 10 L’Hikikomori è una malattia?.............................................................. 14
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Profilo e incidenza.................................................................................. 19 L’identikit dell’Hikikomori tipo.......................................................... 19 I numeri del fenomeno....................................................................... 27
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Evoluzione e classificazione................................................................... 31 Le tre fasi dell’Hikikomori.................................................................. 31 Le quattro tipologie di Hikikomori..................................................... 34
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Le cause.................................................................................................... 37 La pressione di realizzazione sociale..................................................... 37 La paura di essere giudicati................................................................. 40 Depressione esistenziale e apatia.......................................................... 45 Dinamiche genitori-figli e disposizioni temperamentali...................... 53
III
Hikikomori - I giovani che non escono di casa
5
Il ruolo della scuola.............................................................................. 61 La piaga del bullismo.......................................................................... 62 Il ruolo degli insegnanti...................................................................... 64 La standardizzazione dell’apprendimento............................................ 65 “Cosa non funziona nella scuola?”, parola agli Hikikomori................. 67
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Le possibili soluzioni............................................................................... 73 L’esperienza giapponese....................................................................... 73 La tecnica dell’open dialogue................................................................ 81 Buone prassi e comportamenti da evitare............................................ 84 Come si aiuta un Hikikomori adulto?................................................. 89 L’importanza della comunità............................................................... 92
7
Il progetto “Hikikomori Italia”............................................................. 97 Finalità e risultati raggiunti................................................................. 100 Metodo di lavoro................................................................................ 104 Indagine statistica | genitori................................................................ 107 Indagine statistica | figli...................................................................... 114
Conclusioni.................................................................................................. 119 Bibliografia.................................................................................................. 121
IV
Dedicato a Elena, ai genitori e ai volontari dell’associazione Hikikomori Italia, e a tutti coloro che ogni giorno lottano per trovare un senso.
Introduzione
Introduzione
Il Giappone uscì dalla Seconda Guerra Mondiale ferito nell’orgoglio e desideroso di riscatto. Fu questo sentimento il motore alla base del cosiddetto “miracolo economico giapponese”, il quale portò rapidamente il paese del Sol Levante ad affermarsi come terza potenza mondiale, dietro solamente all’Unione Sovietica e agli Stati Uniti. La sua crescita fu così solida e stabile che molti analisti erano pronti a scommettere su un Giappone presto irraggiungibile per chiunque. Il benessere economico portò anche a un aumento vertiginoso della popolazione. Negli anni ’70, Tokyo arrivò a superare gli 8 milioni di abitanti, tanto che si rese necessario costruire grattacieli sempre più alti, con spazi abitativi progressivamente più piccoli. Il mondo intero ammirava sbalordito la Shinkansen, la modernissima rete ferroviaria giapponese sulla quale sfrecciavano i cosiddetti “treni proiettile”, emblema di una crescente fiducia per la tecnologia e per il progresso capitalistico. Sembrava che nulla potesse andare storto: la guerra era ormai un lontano ricordo e la pace internazionale finalmente duratura. Eppure, mentre il Giappone era impegnato a specchiarsi e a esibirsi in tutta la sua potenza sotto agli occhi del mondo, il “nemico” si faceva strada dall’interno, indisturbato e sottovalutato. Non sto parlando di un conflitto militare, oppure della bolla speculativa che scoppiò sul finire degli anni ’80, e nemmeno della stagnazione economica che ne seguì. Sto parlando di un nemico ancora più subdolo e sfuggente, poiché si nascondeva proprio nella più grande e preziosa risorsa di cui il Giappone disponeva, il più importante investimento sul proprio futuro: i suoi giovani. Durante quegli anni si registrò, all’interno dell’ambiente scolastico, un considerevole aumento del fenomeno dell’ijime (letteralmente “tormentare; perseguitare”), che consiste sostanzialmente nell’individuare l’elemento più debole della classe e prenderlo di mira, in particolare attraverso l’esclusione. VII
Hikikomori - I giovani che non escono di casa Con la complicità attiva o passiva di tutti i compagni, il malcapitato viene isolato e ignorato, come non esistesse. In una società collettivistica come quella giapponese, dove l’appartenenza e l’identificazione con il gruppo rappresenta un fattore essenziale per la propria struttura identitaria, questa forma di violenza psicologica risulta essere particolarmente brutale. La conseguenza fu un aumento vertiginoso di suicidi giovanili, così tanti da attirare un grande interesse mediatico. Il governo, pressato dai mass media, fu allora obbligato a dare delle risposte, attivando programmi di rilevazione e sensibilizzazione in tutto il paese che, almeno in parte, ebbero successo e nel giro di qualche anno il numero di suicidi tornò sotto controllo. Questo enorme clamore distolse però l’attenzione pubblica da un altro fenomeno, in rapida crescita sempre negli anni ’80, che tuttavia non provocava morti e, pertanto, faceva meno rumore. Sto parlando di ragazzi che scomparivano nel nulla, apparentemente senza motivo, ritirandosi all’interno nella propria camera da letto senza più mettere piede fuori di essa. Inizialmente vennero interpretati quali casi isolati, poi crebbe la consapevolezza che si trattava di una tendenza diffusa su larga scala. Tra la gente cominciò a diffondersi l’espressione “Hikikomori”, termine gergale coniato a partire dalle parole hiku, che significa «tirare», e komoru, ovvero «ritirarsi». Un’etichetta sociale carica di stigma, utilizzata per riferirsi a coloro che si tenevano in disparte da tutti e da tutto, cercando conforto al proprio disagio nella solitudine più totale. I primi casi vennero confusi con diverse psicopatologie, in particolare schizofrenia e depressione, e trattati farmacologicamente con scarsi risultati. Questo grave errore di valutazione portò i numeri del fenomeno a crescere ulteriormente, fino a raggiungere le centinaia di migliaia. Nonostante ciò, il governo giapponese continuò per molto tempo a ignorare gli Hikikomori, illudendosi inizialmente che si trattasse di una problematica circoscritta e sperando di poterla risolvere prima che uscisse allo scoperto, soprattutto a livello internazionale. Il Giappone era infatti visto dal mondo come un modello di società esemplare e non poteva permettersi di far conoscere la drammatica condizione psicologica che molti dei suoi giovani stavano vivendo. VIII
Introduzione Poi, nel 1998, Tamaki Saitō, un giovane psichiatra giapponese, pubblicò il libro dal titolo Ritiro sociale: adolescenza senza fine, nel quale utilizzò il termine Hikikomori, non solo per riferirsi ai singoli soggetti ritirati, ma anche per identificare il fenomeno nel suo complesso. Saitō prese una posizione forte sostenendo che l’isolamento degli Hikikomori non poteva essere spiegato con nessuna psicopatologia esistente e avanzò l’ipotesi del ritiro sociale come sintomo primario. La cosa più importante, però, è che per la prima volta al termine fu data una valenza scientifica, cambiando completamente la percezione che si aveva di esso. Non era più solamente una parola, un’espressione gergale, ma un vero e proprio fenomeno sociale di cui bisognava prendere coscienza. Anche grazie a questa pubblicazione, l’attenzione sul tema aumentò notevolmente. Ben presto la questione arrivò anche sui mass media, nelle news dei telegiornali e nei salotti dei talk show. Il Giappone si svegliò improvvisamente e si accorse che un’intera generazione stava scomparendo. Il governo, messo alle strette, si mise finalmente in moto e nel 2003 pubblicò un importante studio nel quale, di fatto, riconosceva ufficialmente il fenomeno degli Hikikomori, stabilendone i criteri base: uno stile di vita centrato a casa, nessun interesse o disponibilità a partecipare alla scuola o al lavoro e persistenza dei sintomi per almeno sei mesi. Attenzione però, da questi dovevano essere esclusi coloro che soffrivano di un ritardo o un disturbo mentale e chiunque mantenesse delle relazioni sociali (Tajan, 2017). Si trattava di criteri particolarmente rigidi che avevano lo scopo di sminuire l’entità del fenomeno, in quanto le stime non ufficiali che cominciavano a diffondersi risultavano davvero allarmanti. Secondo le associazioni giapponesi che se ne occupavano, il numero di casi di Hikikomori si sarebbe aggirato attorno al milione. Tamaki Saitō, invece, sosteneva che le persone coinvolte sarebbero state addirittura oltre due milioni. Si dovette attendere il 2010 per avere i primi dati ufficiali provenienti dal Governo che stimarono un’incidenza di Hikikomori pari a circa 696 mila casi, con un’età media di 31 anni e per il 66,1% maschi (Tajan, 2017). Qualunque fosse la verità, era ormai chiaro che l’emergenza sociale necessitava di interventi rapidi e concreti. Studiosi da tutto il mondo IX
Hikikomori - I giovani che non escono di casa cominciarono a interessarsi al fenomeno, interpretandolo inizialmente come una sindrome culturale inscindibilmente legata al contesto giapponese, ipotesi che si rivelò ben presto errata, smentita da ricerche successive che attestavano casi sovrapponibili agli Hikikomori giapponesi in molte delle nazioni economicamente sviluppate del mondo, Italia compresa (Kato et al., 2011; Teo, 2013; De Michele et al., 2013; Teo et al., 2015; Malagón-Amor et al., 2015; Wong et al., 2015).
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