Introduzione
Alfredo Lombardozzi (a cura di)
Vivere Sopravvivere
Collana Cultura Migrazione Psiche diretta da Emanuele Caroppo e Alfredo Lombardozzi
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I edizione, 2018 Alfredo Lombardozzi, è membro ordinario della Società Psicoanalitica Italiana (SPI) e dell’International Psychoanalitical Association (IPA), nonché socio ordinario con funzioni di training dell’Istituto Italiano di Psico-analisi di Gruppo (IIPG). Antropologo di formazione ha lavorato presso il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari ed è stato docente di Antropologia psicoanalitica all’Università di Chieti e de L’Aquila. È stato direttore scientifico della rivista Koinos-Gruppo e funzione analitica. Ha pubblicato il volume Figure del dialogo tra antropologia e psicoanalisi (Roma: Borla, 2006). Ha curato i volumi: Psicoanalisi di Gruppo con bambini e adolescenti (Roma: Borla, 2012), insieme a Luciana Mariotti, il testo Antropologia e dinamica culturale: Studi in onore di Vittorio Lanternari (Napoli: Liguori, 2008), insieme a Stefano Beggiora, Mario Giampà e Anthony Molino il libro Sconfinamenti, escursioni psicoantropologiche (Milano: Mimesis, 2014) e L’imperfezione dell’identità (Alpes Italia, 2015).
In copertina: Arte aborigena
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Indice Introduzione di Alfredo Lombardozzi ....................................... VII
I Immagini e clinica
1 Sopravvivenze: destini dell'irrappresentabile
di Virginia De Micco...............................................................
2 Sopravvivere, letteralmente
di Malde Vigneri.....................................................................
3 Fuori dal tempo
di Lorena Preta........................................................................
3 19 33
4 Sopravvivere per raccontare:
lo sguardo di Primo Levi sui bambini di Auschwitz di Alessandra Balloni...............................................................
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II Intersezioni
5 “L’architettura era uno dei modi di sopravvivere che l’umanità
aveva ricercato” (Aldo Rossi, 1990) di Giovanna Regazzoni Goretti...............................................
III
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Vivere Sopravvivere
6 Seppero come non essere conformisti e lo furono
di Alberto M. Sobrero..............................................................
7 Il fantasma nella macchina. L'animalitĂ come esistenza
di Roberto Marchesini...............................................................
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8 Ri-vivere/sopravvivere: percorsi letterari da The Star Rover a Suttree e altre incursioni di Emilia De Simoni...............................................................
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III Contesti di crisi
9 VivibilitĂ e crisi ambientale: culture, dis-misura e viveresopra di Mauro Van Aken ................................................................
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Sopravvivere oggi di Rino Genovese.................................................................
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11 Declinare le soglie del sopravvivere:
le nostalgie degli ex-rivoluzionari turchi e le geografie del desiderio dei migranti eritrei di Lorenzo D'Orsi, Aurora Massa...........................................
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Postfazione Psicoanalisi, antropologia e le poetiche della sopravvivenza di Fabio Dei ............................................................................... 175
IV
Board scientifico Alfredo Ancora Roberto Beneduce Pietro Bria Domenico Chianese Michela Craveri Fabio Dei Virginia De Micco Maria Luisa Di Pietro Luigi Janiri Sudhir Kakar Giovanni Martinotti Barbara Massimilla Marie Rose Moro Giovanni Pizza Pino Schirripa
Collana Cultura Migrazione Psiche
In un mondo che sta vivendo grandi cambiamenti le dimensioni personali si articolano in modo diretto a complessi processi di trasformazione sia sul piano socioculturale che nella dimensione individuale. La collana raccoglie contributi che si collocano in uno spazio di riflessione interdisciplinare, in particolare intende proporre analisi approfondite che favoriscano il dialogo e il confronto, in senso più generale, tra scienze umane e scienze psicologiche e, in modo più specifico, tra la dimensione psicoanalitica e quella antropologica. La psicoanalisi, a partire dai lavori di Freud sulla società e le sue formazioni, si è sempre più aperta, nel corso dello sviluppo delle sue teorie e della sua clinica, agli aspetti antropologici e al funzionamento psichico delle dinamiche dei gruppi sociali a vari livelli di complessità. L'antropologia, a sua volta, nell'analisi delle diverse culture si è più volte cimentata con le correlazioni psichiche dei comportamenti umani. Il confronto-dialogo tra psicoanalisi e antropologia si è realizzato attraverso la condivisione di un terreno comune di analisi che andava affrontato con metodi e modelli di conoscenza specifici, a volte convergenti altre divergenti. Lo spirito della collana è quello di offrire uno spazio a quei contributi, che sollevano riflessioni e spunti critici nel campo articolato e molteplice, che attiene ai disagi della modernità e della contemporaneità, a partire dalle conflittualità legate ai processi identitari nel mondo globalizzato e dalle problematiche che questi stessi processi comportano sia negli individui, che nei gruppi sociali e nelle culture che li rappresentano. Trovano spazio nel progetto della collana i temi classici dell'etnopsichiatria, dell'etno- psicoanalisi, gli studi sulla correlazione tra aspetti socio-antropologici e dinamiche psichiche, di conseguenza gli approfondimenti, alla luce delle problematiche odierne (fenomeni migratori, conflitti interetnici e religiosi, emergenza del terrorismo, crisi identitarie connesse alle trasformazione dei modelli genitoriali e di parentela, tematiche legate all'ecologia ed i cambiamenti climatici) della relazione tra Cultura, Inconscio e componenti Bio-psicologiche della mente, considerata
nei suoi aspetti più ‘estesi’ e complessi.
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Introduzione di Alfredo Lombardozzi
Premessa L’immagine che figura sulla copertina del libro ci rimanda alla capacità della cultura degli aborigeni australiani di rappresentare un mondo che riesce a trovare una sua forma di sopravvivenza nella condivisione di valori, oggetti, mitologie e relazioni. Un mondo che ha sofferto la tragedia dell’incontro inequivocabile con la ‘modernità’ e che, se pure sempre al limite della perdita del senso e del rischio dell’estinzione di una particolare forma di vita, esprime un’arte che pone come centrale la dignità nel confronto con l’alterità. Le varie figure rappresentate nel quadro delimitano e definiscono mitologie dell’origine e sono vettori simbolici del sopravvivere, di un’idea di cultura che pone al suo centro la produttività/predittività del sogno e del canto che, come Bruce Chatwin (1987) ci ha ricordato nel suo libro-viaggio attraverso le ‘Vie dei canti’, riproduce mappe e tracce che consentono di poter ‘sopravvivere’ nel territorio. Un movimento che è anche una forma del ‘vivere’ nel momento in cui lo spazio può esprimersi al contempo come un luogo della cultura, della psiche e, in senso più esteso, di una mente che si riconosce esistere in quella cultura in un contesto naturale e ambientale molto difficile. Equilibrio molto instabile sempre al limite della dissoluzione. Un’idea e, allo stesso tempo, un’immagine che ci introduce al tema del convegno, che si è tenuto a Roma nel 2014 organizzato dal Centro di Psicoanalisi Romano e dal Centro Psicoanalitico di Roma e che, arricchito e integrato con altri contributi, è divenuto questo libro. L’intento è quello di condividere una riflessione ampia, ispirata da un’ottica interdiscipli-
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Vivere Sopravvivere nare, sulle declinazioni dell’esistenza sociale, di gruppo e individuale che risulta al confine, a volte più netto, altre al contrario labile e sfuggente, tra il vivere e il sopravvivere. Una situazione clinica può essere un’iniziale fonte di ispirazione per le nostre riflessioni in quanto espressiva di una molteplicità di piani di analisi e di approfondimento. Un gruppo di psicoterapia psicoanalitica che sta vivendo un momento di cambiamento (entrata di un nuovo membro e uscita dal gruppo di due membri che hanno finito il loro percorso) vive un sentimento molto forte di perdita e frammentazione. Due giovani donne intervengono raccontando la difficile situazione di lavoro che stanno vivendo: soffrono della loro condizione di precarietà nel campo del sostegno scolastico l’una e nell’assistenza all’andicap l’altra. L’una ha a che fare con un bambino incontenibile che l’ha colpita ferendole il setto nasale, l’altra con una madre invadente e svalutante. La scuola e la famiglia dove si trovano rispettivamente ad operare divengono luoghi instabili e opprimenti. Se ‘sbagliano’, o non rispondono alle aspettative, rischiano di perdere il lavoro. Condivido con il gruppo, in quanto conduttore, l’immagine che mi viene in mente del film ‘Vita di Pi’ nel quale il protagonista, un indiano scampato al naufragio di una nave nel quale perde l’intera famiglia, si trova a condividere lo spazio ristretto di una scialuppa di salvataggio insieme ad una tigre. Un terzo membro del gruppo, che di recente ha perso il lavoro e si è ‘riciclato’ in un’attività radicalmente diversa dalla prima, fa notare che nel film il protagonista si deve difendere dagli attacchi della tigre, ma allo stesso tempo entra in relazione con lei, tanto che essa diviene un motivo di vita e egli stesso è essenziale per la sopravvivenza della tigre, fornendole il pesce pescato come nutrimento. Al di là delle possibili scelte interpretative del film o della situazione analitica, l’esperienza del gruppo, le immagini e i contesti narrativi scaturiti da questa, ci aiutano a rappresentare il forte legame tra la dimensione psichica traumatica della perdita e del lutto, la conferma ‘esterna’ di un VIII
Introduzione mondo che si presenta in una crisi profonda, i vissuti catastrofici o di speranza che connettono questi primi due ambiti ai temi fondamentali della vita e della morte come spazi di convergenza tra fattori psichici, biologici e culturali. I processi di cambiamento, ma anche di spaesamento, disorientamento, dislocazione che caratterizzano la realtà del mondo di oggi pongono, come già per altri versi nel periodo storico della nascita della psicoanalisi, noi psicoanalisti, antropologi, filosofi, biologi di fronte ad una sfida. Segnare mappe, tracce, percorsi di conoscenza che consentano di intrecciare i nostri discorsi e i nostri saperi, che non solo approfondiscano le relazioni tra stili o modi di vita realizzati storicamente e possibilità non realizzate, ma che aggiungano a ciò visioni prospettiche, orientate a pensare un futuro ‘immaginato’, di cui già possiamo scorgere però segnali significativi nel presente che viviamo. Potremmo pensare ad una diversa composizione del titolo del libro, aggiungendo un trattino o una barra evidenziando l’avverbio ‘sopra’ rispetto al verbo ‘vivere’, in modo simile: Vivere/Sopra/Vivere, in quanto quello spazio del ‘sopra’ può essere per noi un motivo di indagine sulle forme del vivere, che ci consente di trovare punti di riflessione comuni su quel ‘qualcosa in più’ che è necessario frequentare per far fronte all’inquietudine generata dall’incertezza dei confini tra congruo/incongruo, vita/non vita, animato/non animato, umano/disumano, che oggi ci troviamo ad affrontare. Cercare di comprendere e far fronte alla condizione di ‘malessere’, ben individuata dallo psicoanalista René Kaës (2013) come un sentimento che attraversa lo psichico immerso nella dimensione biosocio-culturale e riguardante individualità che faticano ad interfacciarsi con la società e il gruppo, comporta la necessità che ognuno di noi faccia uno sforzo per uscire dal proprio campo navigando nelle acque della discontinuità per poi ritornarvi recuperando quel minimo di continuità necessario a non perdere del tutto la rotta. Come ci ha indicato Jared Daimond in ‘Armi acciaio e malattie’ (1996) e in ‘Collasso’ (2005) il verificarsi della compresenza di processi bio-evoIX
Vivere Sopravvivere lutivi, ambientali, economici, psicologici ha comportato l’egemonia di alcune società rispetto ad altre, oppure il collasso o la sopravvivenza di gruppi e ‘Culture’ nell’ambito più ampio di un ecosistema. Questo può essere visto nell’ottica di un particolarismo storico all’insegna più di una casualità che di un determinismo causalistico. In una prospettiva più ‘etica’, direi quasi millenaristica, pensando ai suoi studi precedenti, Vittorio Lanternari nel suo ultimo libro ‘Ecoantropologia’ (2003), scritto nei primi anni del nuovo secolo, denunciava il rischio per la sopravvivenza del nostro mondo, criticando da un lato le derive dell’antropocentrismo dogmatico e, dall’altro, le forme eccessive di una ‘ecologia profonda’ di stampo spiritualistico/ideologico. Proponeva una nuova dimensione problematica eco-antropo-centrica che comprendesse forme di equilibrio tra ‘Valori’ diversi, che non escludessero conflitti tra alterità a confronto, ma che, allo stesso tempo, non ne fossero travolte in senso catastrofico. Siamo in un momento forse assimilabile per certi versi a quella condizione di vita che Bion descrive in modo suggestivo nell’apertura alla prima parte della trilogia narrativo/psicoanalitica ‘Memoria del futuro’, ‘Il sogno’. In un’Inghilterra invasa da un nemico tanto immaginario quanto reale si disconnettono i fondamentali punti di riferimento culturali, oggi diremmo identitari, e le relazioni umane sconfinano con violenza nel disumano al punto da sentire “... un’eternità di noia rimpiazzata senza alcun preavviso da un terrore bruciante” (Bion, 1975, p.12). Oggi tutti stiamo vivendo un simile sentimento di spiazzamento. Forse riaprire il senso dell’interrogarsi sul senso del presente che stiamo vivendo e del futuro che ci attende, lasciando aperte le possibili risposte, valutare il nuovo tanto nei suoi aspetti inquietanti quanto nel suo esprimere l’aspirazione ad intravvedere opportunità inedite, può essere un’occasione per non sentirci impantanati nella palude di una noia invasa improvvisamente dal terrore.
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Introduzione
Tracce e percorsi Le parole che ho riportato sopra appartengono ad una prima riflessione sui temi su cui si incentrava il convegno. A qualche tempo di distanza sento il bisogno di tracciare una mappa delle tematiche presenti nel libro, che approfondiscono molti aspetti del vivere/sopravvivere. Tenendo conto del fatto che viviamo in un’epoca caratterizzata da trasformazioni veloci, spiazzanti e drammatiche, anche nel solo spazio di tempo di tre anni, vorrei cercare di articolare meglio i diversi contributi del libro in modo da suscitare ulteriori campi o temi di riflessione. Vorrei individuare una linea che possa unire i vari approfondimenti che ci troviamo ad affrontare. Il tema Vivere/Sopravvivere è emblematico della complessità e della difficoltà di trovare un focus che ci avvicini alla comprensione del disagio in cui viviamo nella contemporaneità. I diversi contributi si muovono uno rispetto all’altro per alcuni versi in modo sincronico, per altri in modo asincronico. Mi fa piacere pensare ai diversi autori come ‘personaggi’, che si confrontano su un tema a cui dedicano un’attenzione condivisa, ma sfugge dall’essere inquadrato in una cronice esplicativa troppo rigida. In qualche modo sono ‘soggetti’ che si misurano su fenomeni a volte estremamente evidenti nella loro drammaticità fino al punto da essere paradossalmente intangibili e sfumati. Si confrontano nel libro paradigmi disciplinari diversi, stili di pensiero che disegnano paesaggi a volte non conciliabili, oppure convergenze non previste. Mi sembra, comunque, che il campo di riflessione sulla dimensione dell’esistenza tra il vivere e il sopravvivere ne risulti nel complesso arricchito. Inizierei con Virginia De Micco, che propone un’immagine, ispirata da una fotografia, della mano di un migrante, sopravvissuto al viaggio per mare, tesa ad aggrapparsi a qualcosa o a qualcuno, a significare la disperazione e la speranza di stare tra due mondi, rischiando di perdersi e di morire in una terra di mezzo, in uno spazio di nessuno, che è quello dell’anomia, dell’atopia, dell’assenza di pensabilità. De Micco propone
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Vivere Sopravvivere un vertice psicoanalitico che attraversi le istituzioni e i modi dell’accoglienza per poter tracciare una linea, allo stesso tempo, di demarcazione e di contatto, nel confronto-scontro drammatico e ineliminabile tra forme di alterità che, nel faccia a faccia, si giocano la scommessa di continuare a vivere, sopravvivendo a se stesse e alle condizioni dell’esistenza. Il lavoro apre il libro proponendo una lettura su un piano psichico profondo, che include dentro di sé la ‘dimensione antropologica fondamentale’ e rende ineliminabile l’immersione nello scandalo ‘interno’ ed esterno dell’alterità. Metterei a confronto il contributo della De Micco con l’interessante saggio di D’Orsi e Massa, che scelgono, per loro formazione ed esperienza, un’ottica più specificamente antropologica. Il saggio parte dal presupposto che le esperienze di disagio e di diaspora nel mondo contemporaneo possono essere lette, privilegiando la dimensione sociale, secondo un criterio che tende a rilevare le narrazioni e le forme sociali della memoria e dell’oblio, nella costruzione dei soggetti culturali che storicamente determinano ciò che nell’esperienza, per così dire traumatica, viene riferito alla condizione del ‘Vivere’ piuttosto che del ‘Sopravvivere’ e viceversa. Partendo da ricerche sul campo di tipo etnografico sugli ex militanti politici turchi, che hanno dovuto affrontare violenze, torture e detenzione e sulla condizione dei rifugiati eritrei nei campi profughi etiopi, gli autori propongono una concezione del trauma più orientata socialmente. L’attenzione è centrata non tanto sulla dimensione psichica del trauma, che peraltro non viene sottovalutata, quanto sulle forme di memorizzazione e sulle narrazioni condivise, che fanno dell’esperienza traumatica una condizione di ricostruzione nel presente di un passato che crea le prospettive del futuro in nuove dinamiche e paesaggi culturali. Il saggio di Alessandra Balloni ci introduce al tema del Vivere/Sopravvivere, tornando a riflettere sulla terribile condizione nei campi di concentramento nazisti, che ancora oggi ci induce ad approfondire eventi al limite della pensabilità, dove la dimensione della sopravvivenza è assolutamente prioritaria per poter continuare a vivere. L’autrice ripropone il XII
Introduzione pensiero di Primo Levi, sopravvissuto egli stesso alla Shoah, che definisce i profili di persone, che hanno affrontato esperienze di disumanizzazione, dove la condizione del vivere comporta la tenuta di un limite, sia a livello di espedienti concreti che sul piano psichico, che a volte ha consentito, isolando le emozioni sottostanti, di ‘sopportare’ livelli di disumanità altrimenti assolutamente inaffrontabili. Nel saggio viene dato risalto alla condizione infantile riportando le ‘descrizioni dense’, usando un termine caro all’antropologo Clifford Geertz, da parte di Levi di bambini che vivono una vita deturpata e derubata del senso dell’esistenza, testimonianza di una sofferenza, che emerge ancora di più nei disegni ripresi dall’artista Manfred Bockelmann, che ritraggono volti di bambini internati i cui occhi esprimono un disperato vuoto senza speranza. Malde Vigneri propone un lavoro che, a partire da un’approfondita suggestione clinica, ci avvicina al modo in cui le aree della mente legate ad esperienze traumatiche, che hanno messo a rischio la sopravvivenza individuale, permangono isolate e, allo stesso tempo, attive sul piano inconscio tanto da determinare sofferenze e dolori, che coinvolgono la vita emotiva, le scelte affettive e professionali dell’individuo. La relazione analitica di condivisione e l’elaborazione di queste esperienze ci pone di fronte alle modalità per fronteggiare questi stati della mente, che oscillano tra la dimensione del vivere e del sopravvivere. L’autrice indaga queste tematiche sul piano intrapsichico, arricchendo il discorso con riferimenti alle condizioni estreme di sopravvivenza, come quelle testimoniate da Primo Levi, e ad altre suggestioni letterarie e filosofiche, che aiutano a far luce sul rapporto tra la dimensione individuale e quella collettiva del trauma. La stretta relazione tra la dimensione clinica e temi sociali e filosofici più ampi connessi al tema del Vivere/Sopravvivere viene affrontato in modo molto suggestivo da Lorena Preta, che sceglie di ispirarsi al recente film di Jim Jarmush Solo gli amanti sopravvivono. Nel film i protagonisti sono vampiri portatori della memoria e della cultura dell’umanità, essendo ibridi che sostano in quello spazio/tempo tra la morte e l’eternità, testimoni della decadenza della società umana, che è rappresentata XIII
Vivere Sopravvivere da ‘zombi’, che sono tali non perché rispondono allo stereotipo filmico dei cadaveri viventi, ma in quanto uomini ordinari che hanno perso la loro umanità in una sorta di non-vita. L’autrice prende spunto dalla tematica del film per collegarsi da un lato alle patologie cliniche legate a dipendenze da oggetti non vitali, dall’altro riferendosi alla condizione di una contemporaneità dove i soggetti hanno perso il loro centro in vissuti frammentati, dispersi sempre al limite di una dimensione che oscilla tra vissuti catastrofici e barlumi di speranza. L’immagine di una non-vita assimilabile alla condizione di zombi viene ripresa nel contributo di Rino Genovese, che delinea alcune tracce interpretative del rapporto tra individuo, masse e potere, istituito da Elias Canetti, considerandone gli aspetti anacronistici, soprattutto in relazione alla condizione di precarietà estrema, a cui sono esposte le nuove generazioni, alle prese con un senso di identità compromesso nella sua anche solo illusoria integrità. Roberto Marchesini, dal suo punto di vista di biologo-epistemologo, approfondisce un’interessante tematica attinente alla rapporto macchinauomo-animale, toccando temi che riguardano il rapporto natura-cultura, ma, soprattutto, proponendo una critica molto attenta alla concezione meccanicistica dei sistemi naturali/culturali. Potremmo dire, seguendo il suo pensiero, che l’animale identificato, con il ‘vivente’, può garantire un sistema/funzione di sopravvivenza, recuperando una dimensione qualitativa dell’esistere che gli consente, come accade per alcuni aspetti e in senso più generale anche della specie umana, di ‘costruire’ la propria esistenza al di là di competenze e funzioni specifiche. Si pone il tema della ‘soggettività’ nella vita di alcune specie animali che rimane, comunque, un problema aperto in una visione non riduttiva dell’esistenza biologica. Il tema dell’ambiente correlato all’architettura è affrontato nel lavoro di Giovanna Goretti. A partire dell’opera di Aldo Rossi, che istituisce una relazione tra architettura e sopravvivenza, l’autrice indaga i legami tra la dimensione intrapsichica e l’ambiente che ci circonda, sul piane estetico e sensoriale, attraverso la testimonianza architettonica. Il contesto ambienXIV
Introduzione tale è il luogo che consente di dare uno spazio a quell’oggetto evocativo, che per Bollas istituisce un legame con le forme della percezione. Quando l’ambiente intorno implode in una situazione post-catastrofica, come nel libro di Cormac McCarty La strada, il figlio sopravvive, insieme alla relazione con il padre che porta dentro di sé, solo a patto che il padre stesso receda, in situazioni di estremo rischio, dalla sua ‘umanità’, per consentire al figlio un futuro in cui vivere. La letteratura, insieme ad un ampio respiro antropologico, è la fonte di ispirazione di Emilia De Simoni, che si muove attraverso alcuni testi esemplari come Palme selvagge di William Faulkner, Suttree di Cormac McCarty, L’uomo delle stelle di Jack London e, infine, Il regno di Emmanuelle Carrère. Ognuna di queste opere, a suo modo, racconta il dolore come spinta a vivere e la lotta per la sopravvivenza in un’ambiente al limite tra assetti culturali e forze naturali. Questi ‘eroi’ protagonisti devono far fronte a catastrofi, che mettono a rischio la vita stessa, e ad ambienti degradati, che sfidano la tenuta dell’uomo a riconoscersi all’interno di un’identità umana. Contesti esistenziali che comportano un faccia a faccia con la morte, una dimensione sempre al limite della sopravvivenza e l’aspirazione ad una resurrezione fonte tanto di speranza quanto di inquietudine. Il bel saggio di Alberto Sobrero approfondisce il pensiero e la figura di Pasolini nel suo contesto storico-sociale e nella sua attualità, che fornisce spunti importanti rispetto al tema del Vivere/Sopravvivere. I personaggi dei romanzi e dei film di Pasolini sono protagonisti individuali ma soprattutto attori sociali di una crisi dell’uomo rispetto al mondo. Una crisi che si declina in una dimensione storico-antropologica piuttosto che sul piano di un’ontologia dell’essere. Nella sua poesia e produzione letteraria lo scandalo che egli denuncia è quello attinente a quei paesaggi, o territori al margine, assimilabili al campo di concentramento come condizione estrema, dove l’umanità perde il senso della storia, esitando verso derive disumanizzanti e conformistiche. Questo avviene in modo diverso nella decadenza del mondo piccolo borghese, oppure negli stili di esistere ed il linguaggio dei Ragazzi di vita oppure di Una vita violenta. La sua conceXV
Vivere Sopravvivere zione critica storico-antropologica viene distinta da Sobrero dalla visione ontologica del male, che ritroviamo in Homo Sacer di Giorgio Agamben, che coniuga nuda vita e dimensioni del potere come condizioni ontologiche universali. Il saggio di Mauro Van Aken affronta il problema della crisi ambientale e, a partire da un’ottica antropologica, considera anche le dinamiche psichiche, implicate sul piano sociale. L’autore propone un’inversione del termine sopravvivere in “vivere sopra”, intendendo la propensione nella società consumistica, in particolare nella versione odierna globalizzata, ad andare oltre i limiti della sostenibilità ambientale. Attraverso la sua ricerca etnografica sul campo sull’acqua in Giordania, Van Aken propone un’indagine sulla tendenza odierna, connessa all’uso delle tecnologie, di mettere in atto meccanismi di rimozione e di diniego, nel rapporto con gli elementi naturali e gli agenti non-umani. Il modo in cui la tecnologia ingegneristica ha governato le risorse idriche ha comportato la perdita, rispetto alle società tradizionali, di una relazionalità diretta con l’acqua come entità naturale, ma anche culturale. Questi processi afferiscono ad una concezione della natura ‘modernista’, che relega la natura nella dimensione di un’estraneità perturbante, istituendo una dicotomia, oggi non più sostenibile, tra natura e cultura. Il volume si chiude con la bella postfazione di Fabio Dei che propone, prendendo spunto da alcuni lavori, motivi di ulteriore riflessione. Il suo discorso si articola intorno ai modi in cui si sono interfacciate l’antropologia e la psicoanalisi, cogliendo alcuni aspetti di condivisione e, allo stesso tempo, le diversità di approccio ai diversi contesti psico-sociali. Delinea, a questo fine, il processo che ha avvicinato le due discipline quando, tra fine ottocento e primi novecento, evocavano la ‘sopravvivenza’ dell’arcaico nel tempo presente in termini di ‘originario’. Ci mostra, inoltre, come, successivamente, la scienza antropologica, a partire dal contributo di Ernesto De Martino, si sia orientata verso una concezione che avvalorava gli elementi ricostruttivi, che riorganizzano la crisi dell’orizzonte esistenziale XVI
Introduzione nella ricerca di un equilibrio ‘storico’ tra aspetti individuali dell’esistenza e contesti culturali più ampi. Dialogando con alcuni contributi del volume Dei sottolinea l’importanza di un approccio ‘etnografico’, che consenta di fare emergere le caratteristiche costruzioni di nuovi scenari e narrazioni culturali della contemporaneità. In questi termini si confronta, in particolare, con il contributo di Lorena Preta, che propone una visione delle emergenze delle crisi identitarie, a diversi livelli del mondo attuale, in relazione agli aspetti più ‘catastrofici’ del senso di integrità della persona e della condizione sociale ad essa inerente, che coinvolge il rapporto con il tempo, con il genere sessuale, le forme di simbolizzazione del disagio e i mezzi attuali di comunicazione che si presentano nella loro tensione a produrre forme di alienazione ed estraneità ma, allo stesso tempo, genera nuove modalità relazionali creative. Come forse è ovvio, mentre lo psicoanalista tende a dare più corpo agli aspetti più critici e problematici dell’esistenza, in senso lato più ‘tragici’, l’antropologo è più orientato ad entrare nel merito dei dettagli delle forme culturali, che si esprimono nella loro originalità, producendo nuovi modi e stili di significazione sul piano socio-culturale. Tenendo conto, però, dei nuovi sviluppi sul piano delle teorie psicoanalitiche da un lato e antropologiche dall’altro, non si può più considerare questa distinzione così netta e definita, come già si può evincere dalla suggestiva riflessione di Lorena Preta, a partire dalla ‘metafora’ dei vampiri del film di Jarmush. Da un punto di vista personale, in merito alla funzione dei nuovi media nella vita emotiva e affettiva delle persone e dei gruppi sociali preferisco posizionarmi in una posizione che oscilla tra la dimensione ‘apocalittica’ e quella ‘integrata’, tenendo conto, di volta in volta, dei diversi orizzonti di riferimento (Lombardozzi A., 2015). Un confronto aperto sui temi del vivere/sopravvivere, che consenta di tenere conto di prospettive e vertici di osservazione diversi, è proprio la finalità dell’approccio interdisciplinare, nello spirito che ispira il presente volume.
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Vivere Sopravvivere
Quale futuro? Riflessioni ulteriori Come abbiamo visto il tema del Vivere/Sopravvivere presenta numerose possibilità di lettura. Intanto mentre da un lato si possono distinguere i due termini vivere e sopravvivere, se si reputa che quest’ultimo costituisca una condizione esistenziale che compromette la possibilità di una vita autentica e piena, dall’altro, riferendoci alle formulazioni che Didier Fassin (2014) riprende da un’interessante intervista a Derrida, avvenuta prima della sua morte e nel corso di una grave malattia, si può ritenere che il vivere è sempre un sopravvivere. Si vive, in questi termini, in una dimensione temporale che comporta il parlane nella forma del ‘futuro anteriore’, come fa notare Michel Serres (2015) in un suo recente contributo. Viviamo, di conseguenza, in questa prospettiva, con una tensione ad andare oltre la vita stessa e la morte. L’attenzione al tema del Vivere/Sopravvivere si pone dentro la dimensione del tempo, del rapporto tra passato e presente, nei termini di una cognizione del futuro. Nei nostri tempi in particolare, come in altri periodi storici, la domanda su quali siano le strade di un percorso futuro sul piano individuale, dei gruppi, della specie umana e dell’intero sistema mondo è una costante all’ordine del giorno. I sentimenti evocati come le paure, il senso della precarietà, le speranze sono molto contraddittori, come molto diverse tra loro sono le ‘filosofie’ che ispirano le possibili soluzioni ai problemi sempre più ‘globali’ che ci si presentano. Michel Serres in un suo recente scritto (2015), pur rilevando quanto la violenza e la distruttività siano state preponderanti in molti corsi e ricorsi storici, dischiude una prospettiva ‘ottimistica’, vedendo nelle più recenti forme sociali, di vita e di comunicazione nuove opportunità di consapevolezza ed efficacia, per far fronte ai contesti che favoriscono la dimensione della morte e accentuano la percezione di essere sempre al limite della sopravvivenza.
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Introduzione Ulrick Beck, il teorico della società del rischio, propone in un recente libro uscito postumo, un’ottica molto particolare per valutare i rischi che la società e il mondo corrono, che è legata alla considerazione che la globalizzazione ci pone in una condizione mai verificatasi in epoche precedenti per dimensioni e forme del vivere. Ci troviamo, a suo dire, ad assistere a processi non tanto di trasformazione quanto di metamorfosi, che sono modificazioni impensabili in contesti stortici diversi e non sono passaggi elaborativi attraverso forme di consapevolezza sociale ma, piuttosto, consistono in cambiamenti delle forme sociali e individuali del vivere, qualcosa di simile a ‘dati di fatto’. Situazioni che, comunque, inducono a dover modificare e, a volte, invertire, la natura e il segno da dare a diversi ordini di problematiche. Ad esempio nel caso dei rischi climatici la percezione globale della catastrofe, a cui non ci si può sottrarre, diviene una spinta alla esplicitazione dei processi di diseguaglianza, che vengono smascherati, tanto da indurre alla ricerca di soluzioni inedite nello spirito di una “catastrofe emancipativa”. Questo concetto sembra consentire una maggiore articolazione della dicotomia vivere e sopravvivere, in quanto la possibilità di percepire il rischio della fine della vita o dell’estinzione, a vari livelli, dell’esistenza, diviene, come ho detto, una spinta a costruire nuovi modelli di vita (Beck U., 2016). Questa condizione ‘sociologica’ che Beck ci suggerisce è assimilabile a quello che Wilfred R. Bion ha descritto in ambito psicoanalitico come cambiamento catastrofico, una dimensione che comporta l’immersione nella catastrofe psichica in quanto rielaborazione emancipativa (Bion W.R. 1966), e, dall’altro lato, sul versante antropologico, alla distinzione operata da Ernesto de Martino tra l’ apocalisse psicopatologica, che esprime una condizione di sofferenza catastrofica in un vissuto ‘privato’ di disgregazione ed estraniamento, dall’apocalisse culturale, che riapre un’idea condivisa di nuova ‘costruzione’ di un futuro pensabile (De Martino E., 1964). Lo scrittore Amitavh Gosh ci pone di fronte alla necessità di uscire dalla dimensione individuale, che ci relega nell’abitudine, che collude con la rimozione degli effetti della crisi ambientale e climatica, per riXIX
Vivere Sopravvivere trovare un senso epico nel rapporto con la natura e con il non-umano, che tanto è impensato nell’ottica ‘ordinaria’ del romanzo biografico e autobiografico ‘borghese’ moderno, quanto riacquista una ‘presenza’ in un processo che ne sveli il suo carattere attivo e gli effetti imprevisti che l’era dell’antropocene, attraverso l’azione massiccia dell’uomo sugli agenti naturali, produce (Gosh A., 2016). La natura e tutti i processi-eventi che si muovono intorno ad essa viene relegata in un alterità perturbante e considerata estranea, isolando un aspetto, che riguarda il rapporto delle società umane con il non umano, piuttosto che considerarlo parte di un processo che vede la natura fortemente interrelata con la cultura. In questo senso, parlando di Vivere/Sopravvivere, è importante riconsiderare il discorso freudiano. La posizione freudiana, ad esempio, riguardo alla società mette al centro la ‘rinuncia pulsionale’ come condizione di sopravvivenza, attraverso la formazione di una coscienza morale e il lavoro della cultura. Allo stesso tempo, la natura è considerata come qualcosa che deve essere assoggettato come altro dall’umano. Freud propone, di conseguenza, una visione ‘tragica’ dell’esistenza, che costringe a considerare la Cultura come una formazione secondaria, rispetto agli ‘istinti’ di base e la natura come un’entità da governare (Freud S., 1929/30). Un discorso che affronti il tema del Vivere/Sopravvivere non può, ovviamente, come abbiamo visto nel discorso complessivo dei lavori del libro, esimersi dal considerare la tragicità di eventi e processi che si presentano oggi in modo molto accentuato. Ritengo, però, che, se è vero, che alcuni aspetti delle relazione umane, nella loro componente sociale e psichica, si presentano nei termini di un ‘negativo’, come Freud ci insegna, è necessario, allo stesso tempo, considerare i processi culturali non tanto come formazioni secondarie o reattive ai fini della rinuncia al soddisfacimento pulsionale, quanto come fattori ‘creativi’, che determinano le risorse per la sopravvivenza e la ‘costruzione’ delle molteplici forme del vivere. Vorrei concludere facendo ricorso, in senso analogico rispetto al discorso che stiamo facendo, al concetto elaborato da Gould e Vrba di XX
Introduzione ex-aptation. La formulazione dei celebri biologi evolutivi riguardava quei caratteri che non sono direttamente correlati ai processi di selezione naturale e di adattamento, ma che costituiscono non tanto dei pre-adattamenti, quanto strutture che nel corso del tempo modificano la loro funzione, come le piume degli uccelli che, nate originariamente per la termoregolazione, sono divenute ausiliari ai fini del volo. “Essi sono utili per il loro ruolo attuale (aptus), ma non sono stati progettati per l’evoluzione per quello e quindi non sono «ad-atti» (ad-aptus). Essi devono il loro contributo alla sopravvivenza a caratteristiche presenti per altre ragioni e sono quindi utili (aptus) in virtù della (ex) loro forma, ovvero ex-aptus” (Gould S.J., Vrba E.S., p 15). Possiamo pensare allora che una ‘biologia’ che dia spazio alla storia, al contingente e all’imprevisto esprima, nella sua ‘natura culturale’, un sapere che consente un’alleanza con le scienze sociali, le scienze umane e la letteratura, per fare fronte alla complessità delle forme dell’esistenza, in cui oggi si declinano le diverse dimensioni del Vivere e del Sopravvivere.
Bibliografia Beck U. (2016), La metamorfosi del mondo, Laterza, Bari, 2017. Bion W.R. (1966), Il cambiamento catastrofico, Loescher, Torino, 1981. Bion W.R. (1975), Memoria del futuro, ‘Il sogno’, Cortina, Milano, 1996. Chatwin B. (1987), Le vie dei canti, Adelphi, Milano, 1995. De Martino E., Apocalissi culturali e apocalissi psicopatologiche, in Nuovi Argomenti, 1964. Diamond J. (1997), Armi acciaio e malattie. Breve storia degli ultimi tredicimila anni, Einaudi, Torino, 2014. Diamond J. (2005), Collasso, Come le società scelgono di vivere o morire, Einaudi, Torino, 2014. Fassin D., Ripoliticizzare il mondo. Studi antropologici sulla vita, il corpo e la morale, Ombre corte, Verona, 2014. Freud S. (1929/30), Il disagio della civiltà, in OSF, Vol. 10, Boringhieri, Torino, 1978. Gosh A. (2016), La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile, Neri Pozza, Vicenza, 2017. Gould S.J., Vrba E.S. (2008), Exaptation. Il bricolage dell’evoluzione, Bollati Boringhieri, Torino, 2008. Kaës R. (2012), Malessere, Borla, Roma, 2013. Lanternari V., Ecoantropologia, Dedalo, Bari, 2003. Lombardozzi A., L’imperfezione dell’identità. Riflessioni tra psicoanalisi e antropologia. Alpes Italia, Roma, 2015. Serres M. (2015), Darwin, Napoleone e il samaritano. Una filosofia della storia, Bollati Boringhieri, Torino, 2017.
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