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UTURI GIORNALISTi NUMERO SPECIALE
TEATRO PARTECIPATO
9 giugno 2017
FUTURI GIORNALISTI
Altre Velocità è un gruppo di critici, giornalisti ed educatori teatrali, redazione “intermittente” che dal 2005 cerca di esplorare le traiettorie della scena italiana e internazionale. Fino all’11 giugno affiancherà Futuri Maestri conducendo un laboratorio di giornalismo con studenti universitari e delle scuole superiori. La nostra redazione vi racconterà il progetto con recensioni, disegni, schede di approfondimento e interviste, inventando rubriche e incursioni dietro le quinte o in mezzo al pubblico, sperimentando diversi formati di pubblicazione con un’uscita ogni giorno. Buona lettura e buone vision(i)! In redazione: Carmen Zaira Torretta, Matteo Posa, Jacopo Giancaspro, Marianna Laudano, Pietro Perelli, Bianca Sandri, Martina Neretti coordinamento: Francesco Brusa, Lorenzo Donati (copertina di Bianca Sandri, disegni di Martina Neretti)
Il teatro fuori dalle mura Mille giovani in scena, alle prese con un viaggio iniziatico attraverso cinque città simboliche: l’Inferno, Eldorado, Numanzia, la città degli Uccelli, la Luna. Il cammino viene intrapreso per tentare di trovare la cura alle arterie fangose, malattia che affligge gli anziani della loro città, e che verrà trovata nel finale. Futuri Maestri è un progetto che si inserisce nel solco di esperienze e concezioni di “teatro partecipato”, sia a livello generale sia per quanto riguarda il percorso della Compagnia dell’Argine. La sceneggiatura e la regia, infatti, si pongono delle domande rispetto al coinvolgimento della cittadinanza, in particolare di quella fetta di spettatori non abituata a frequentare i teatri. Lo sviluppo della trama si interroga su questioni quali il ruolo dei giovani attori rispetto al contesto urbano in cui vivono o la “traduzione” di una naturale tendenza al protagonismo individuale in un lavoro di squadra più compiuto e “orchestrata”. Insomma: come portare in scena l’eterno conflitto tra adolescenza e mondo degli adulti attraverso la partecipazione sul palco di chi un tale conflitto lo vive e lo subisce anche (e in primo luogo) nella propria quotidianità? Questione complessa e di lungo corso, quella del “teatro partecipato”, che ci riporta con la mente ad altre stagioni e passioni politiche, a quegli anni 70 dove il teatro andava in cerca di pubblico e complici nei quartieri operai, nei manicomi, sugli appennini. “Partecipato” è un teatro a cui le mura dei teatri non bastano più e che torna, ancora oggi e forse oggi più che mai a farsi una domanda sul suo senso. Cosa ne guadagna, il teatro, a includere cittadini, non professionisti, adolescenti e bambini all'interno del processo di lavoro? E ne perde qualcosa? Durante le repliche di questi giorni, abbiamo assistito a una messinscena suggestiva e affascinante: fortissima la percezione di un’energia di massa e di una coesione palpabile. Il pubblico, coinvolto in anche direttamente in questo flusso, partecipa entusiasta alla gioia dei ragazzi e applaude alle battute più significative. Eppure, sono proprio tali battute che – nel corso dello spettacolo - tendono a marcare una differenza netta tra i ragazzi e un generico “mondo degli adulti”, colpevoli agli occhi dei primi di rigidezze e convinzioni errate. I ragazzi contestano e combattono contro questo mondo , attraverso un copione scritto e vagliato dagli stessi protagonisti in scena, dove movimenti e gesti dei giovani attori avallano il contenuto verbale della vicende. Resta da verificare quanto questo lavoro esteriore abbia attecchito nella personalità di ognuno. Una linea di demarcazione tra “noi” e “loro” può veramente far sorgere domande positive e interessanti nelle loro menti, una volta finita questa esperienza? Di certo un lavoro di gruppo permette di non focalizzarsi troppo sul sé. Con l’età si insinua infatti il rischio dell’egotismo: si sceglie di andare in scena per porsi al centro dell’attenzione. Il lavoro insieme permette di smussare questi spigoli e far maturare complessivamente il giovane individuo-cittadino, che in questo modo sale sul palco per rappresentare non più solo se stesso, bensì una collettività. Attraverso il meccanismo teatrale si rinuncia all’ego in nome di un noi condiviso; i temi caldi vengono trattati grazie a questo meccanismo di fascinazione, adattati all’età dei protagonisti e declinati in base alla sensibilità di ognuno. Infine, il mondo adulto tanto criticato e osteggiato sarà anche il contesto nel quale questi adolescenti – e più tardi anche i piccolini – si troveranno ad agire. Il rischio che le illusioni coltivate diventino cocenti delusioni è alto; ma il teatro deve poter coltivare la forza d’animo per fronteggiare anche questi momenti bui e intraprendere un’operazione di catarsi. Ecco che allora il teatro partecipato, se concretamente radicato in un tessuto urbano di riferimento, può costituire un “esercizio quotidiano di pensiero critico”. Quali però le giuste strategie e le giuste pratiche da mettere in campo? In questo numero di Futuri Giornalisti, abbiamo provato a fare parlare alcuni esperti a partire dalla visione di Futuri Maestri, figure non direttamente coinvolte ma con sguardi informati sui fatti. In più, ci siamo messi in ascolto del regista che ha coordinato l'intero percorso che stiamo seguendo, Andrea Paolucci del Teatro dell'Argine, in dialogo con Nicola Borghesi, regista di Kepler – 451 e inventore di progetti partecipati come i recenti Comizi d'amore e il festival 2030 per provare a sviscerare alcuni dei nodi di cui sopra, alla luce anche delle diverse poetiche e dei diversi percorsi. La libertà è partecipazione, scriveva Gaber, ma la partecipazione basta per fare un teatro?
Gabriele Gelmini, Lorenzo Donati
Incontro con Andrea Paolucci e Nicola Borghesi
La redazione ha incontrato Andrea Paolucci, uno dei direttori del Teatro dell’Argine e regista di Futuri Maestri, insieme a Nicola Borghesi, regista e direttore della compagnia Kepler - 452 che ci hanno parlato del concetto di “teatro partecipato”. e un’energia che non sarebbero reperibili Paolucci è partito sostenendo un’idea di «teatro altrimenti» – afferma il regista di Kepler 452, partecipato» che si prefissa un obiettivo specifico: raccontando le urgenze che muovono il suo lavoro. si sceglie di coinvolgere personalità non «Molto spesso, con il teatro partecipato, professionali nel mondo del teatro (bambini, esploriamo anche la strada del “reportage famiglie) per costruire un progetto caratterizzato d’attore”: certe biografie e certi personaggi con le da una «bellezza alternativa» loro storie e vengono restituiti da attori professionisti. Questo perché ci interessa sì «Non necessariamente l’obiettivo è “fare arte” – raccontare un dato di realtà, però filtrandolo e dice il regista e drammaturgo del Teatro “magnificandolo”. Come in una fotografia dell’Argine – «ma nel caso di Futuri Maestri il dobbiamo esplorare un pezzo di realtà con una progetto consisteva nell’unire le due cose, offrire lente nuova.» una forma di intrattenimento e di comunione tra le famiglie e i ragazzi e, allo stesso tempo, questo modo si racconta un dato di realtà sotto costruire qualcosa che avesse un suo valore estetico In una nuova luce, invece di restituire l’ordinario, di e teatrale. Per un progetto del genere avevamo cui il pubblico è già consapevole. È naturale che, al bisogno esattamente di ciò che forse solo i nontermine del lavoro drammaturgico, molti dei professionisti possono offrire: le loro identità, le personaggi vadano a comporre una sorta di loro biografie, i loro corpi e, soprattutto, la loro identità collettiva più ampia, quasi a costituire la energia, al fine di produrre una buona prova di dello spettacolo; altri, però, portano recitazione attraverso forme e “canali” alternativi a “scenografia” sul palco dati personali e profondi del loro sé che altrimenti che non sarebbero altrimenti emersi senza un processo di stampo teatrale e, dunque, finizionale. Così, come per gli attori professionisti, l’utilizzo della maschera nella collettività non nasconde ma disvela, “risolve” l’oscurità e l’inquietudine di ognuno proprio attraverso la loro messa in scena: «Malgrado recitino dei ragazzini, non appaiono tanto ‘carini’ quando toccano certi temi». «Il teatro è una forma di psicologia. Attore è chi impiega una parte profonda di sé» (Borghesi)
Paolucci prosegue: «Forse l’Argine non ha un’estetica e una poetica chiare ed univoche. Sicuramente gli elementi chiave sono: Territorio, ITC Teatro e non-professionisti (soprattutto i ragazzi). L’origine della nostra tensione verso il teatro partecipato può essere rintracciata nel 2001 il lavoro di Pietro Floridia, ex presidente quelli tradizionali. Il rischio è forse non riuscire ad con dell’Argine. La sua prima produzione andare troppo al di là del saggio, ma credo che il Tiergartenstrasse una messa in scena quasi solo fatto di avere mille tra ragazzi e bambini che neoclassica, divisa4inera5 atti, due attrici, di cui entrano ed escono continuamente su un palco, sia abbiamo fatto 300 repliche inperquindici anni. già di per sé qualcosa di significativo » L’attività di Pietro ha permesso di raggiungere grandi numeri anche attraverso la sua seconda In effetti, la quantità gioca un ruolo di peso sulla produzione, Cronache da un mondo perfetto, uno scena: trecento bambini in scena scatenano un spettacolo interattivo, svolto in un capannone in certo effetto, di partecipazione diretta e cui veniva simulato il funzionamento di una Città. coinvolgimento pieno, del pubblico. Erano presenti quindi Parlamento, Ospedale, Borghesi, che ha assistito a una delle repliche di Prigione ,TV locale. Dopo cinque minuti Futuri Maestri, sottolinea il valore sociale e dall’inizio dello spettacolo, mettevamo in scena un artistico del progetto: non solo un possibile Colpo di Stato, in cui alcuni spettatori venivano “spaccato” del rapporto tra periferie e centro, ma arruolati o catturati dagli attori. La pseudoanche la messa in gioco delle biografie e identità democrazia di fatto diventava una dittatura. Oggi come modo per apportare una prospettiva sarebbe impossibile e folle produrre uno spettacolo differente sul palcoscenico. del genere per soldi e sicurezza (ricordo che alcuni vicini si spaventarono pensando fosse una vera «Abbiamo bisogno dei non-professionisti perché portano un punto di vista, una posizione, un corpo situazione di pericolo e chiamarono la
polizia). Nel 2007, un altro esempio di teatro partecipato, sovvenzionato dallo Stato, è stato la cosiddetta “tendopoli di Piazza Santo Stefano” ( Viaggio attraverso l'accampamento mondo) in cui circa 150 attori non professionisti, quasi tutti stranieri, raccontavano brevi storie autobiografiche ai passanti. Dopo tali esperienze, nel 2014 con Le parole e la città si è passati un coinvolgimento più ampio del contesto cittadino di San Lazzaro, lavorando con circa 150 enti e associazioni. Qui, complice la dimensione ristretta del nucleo urbano di San Lazzaro, c’era una conoscenza reciproca e a volte “intima” tra attori e spettatori, che ha permesso una sorta di fusione di intenti e un’amplificazione della coesione cittadina. Alla fine, si è trattato quasi di un evento “meta-teatrale”. In Futuri maestri invece il coinvolgimento di una massa eterogenea di giovani e giovanissimi, ha permesso di lavorare con la forza e l’energia propria delle nuove generazioni. Penso sia una bella boccata d’aria fresca per il contesto teatrale odierno. «A volte mi pare che dentro ai teatri siamo tristi. Abbiamo forse perso tutta questa energia». Che teatro serve per una cittadinanza che sembra in crisi d’identità? Quale ruolo ha la crescente informatizzazione sulla formazione dei pubblici teatrali? «Non basta diventare più social o vendere i biglietti scontati last minute”» afferma Paolucci. «A livello di tessuto urbano, ci sono vari gradi in cui il teatro può apportare un beneficio persino alle persone che comunque non sono generalmente interessate all’ambito artistico. Ci sono situazioni in cui noi dell’Argine mettiamo semplicemente al servizio di diverse strutture e professionisti (come può essere per l’associazione Amici di Luca) le nostre capacità e pratiche. Oppure, se inserito in un percorso più ampio e profondo, il teatro può costituire una vera e propria “catarsi sociale”, un modo per esorcizzare l’isolamento e crescere umanamente. Credo però che tali possibilità offerte dal teatro non siano per niente scontate e sono forse anche un po’ misconosciute dai più, anche se parliamo di cittadini attivi, educati e colti. Rispetto ad altri fenomeni artistici di massa, come le serie tv e il cinema, il teatro occupa certo una posizione minoritaria. Bisogna domandarsi per quale motivo. Uno dei nostri obiettivi oggi è appunto capire come intercettare questa “zona grigia” della comunità, far capire al maggior numero di persone che il teatro è uno strumento aperto a tutti, portatore di messaggi universali. Di più: è insito nell’uomo, proprio come la musica la cui importanza risulta istintivamente ovvia benché difficilmente spiegabile a parole”. Per Borghesi, invece, il teatro permette di inscenare il conflitto. Si portano all’attenzione delle persone elementi sociali e civili che altrimenti non verrebbero considerate; al tempo stesso, oltre la crescita del cittadino si costruisce la maturazione dell’individuo e della propria interiorità. «Il tema della cittadinanza rispetto al teatro non può risolversi solamente nel cosiddetto audience
development. L’educazione alla cittadinanza non è una promozione di regole, ma passa attraverso il confronto e la problematizzazione delle norme di convivenza sociale. In questo senso, il teatro ha per me una funzione prettamente piscologica, quasi psicanalitica. Credo che essere un “buon cittadino” significhi confrontarsi col proprio inconscio. Un teatro di tipo partecipato allora può aiutarci a comprendere la varietà e la complessità degli individui e delle loro scelte, per quanto controverse esse siano. La cittadinanza in scena permette dunque di rimuovere le etichette di pregiudizio e di relazionare le storie personali al tessuto sociale. Il mio è un profondo e sincero interesse verso tutti i punti di vista, soprattutto quelli che sfidano e mettono in discussione le mie convinzioni. Non mi interessa avere un ruolo pedagogico o didattico, non giudico chi porto in scena né tanto meno credo debba farlo lo spettatore, perlomeno a priori. Il dibattito pubblico tende a “massacrare”, ad accanirsi contro il capro espiatorio di turno: leghisti, mafiosi, omosessuali, ciclisti… prima o poi tocca a tutti. Il mio scopo è allora differenziarmi da questo meccanismo. Per me anche un omofobo resta una persona con la sua complessità ed è lecito che tale complessità venga raccontata sul palco”». Il lavoro dell’Argine, piuttosto, consiste nello smussare gli spigoli, nel cercare continuamente un’armonia generale attraverso una continua mediazione fra le spinte individuali e il “gioco di squadra”. «Il lavoro di gruppo permette di far maturare complessivamente il giovane individuo-cittadino, che in questo modo sale sul palco per rappresentare non più solo se stesso, bensì una collettività, un gruppo.» racconta Paolucci. «Il bambino ha una naturale tendenza al protagonismo ma deve capire di essere parte di un progetto più ampio e in cui tutti sono fondamentali. Chi parla in scena rappresenta molti e dà loro voce. Per sviluppare il copione abbiamo cercato di negoziare con ragazzi e bambini per coinvolgere tutti. Ovviamente, a seconda delle età, abbiamo dovuto trovare modi e linguaggi diversi per far comprendere il disegno complessivo. Ad esempio, per spiegare la scena dell’Inferno ai più piccoli gli abbiamo mostrato la versione Disney della tragedia dantesca»
LA SCENA E LA CITTÀ : un'inchiesta Maria Grazia Panigada: lo spiazzamento degli adulti Io ci sono è l’urlo corale dei ragazzi in Futuri Maestri. Il desiderio che la loro presenza venga riconosciuta, che la loro parola abbia la stessa valenza di quella adulta è ciò che mi ha colpito. In questo lavoro i ragazzi rivendicano a sé il diritto sulla libertà d’espressione. Ogni età può dirsi senza paura e il teatro può veicolare questo disvelamento essendo il luogo di assenza di giudizio. In questo progetto i ragazzi si scoprono capaci di assumersi responsabilità, il contrario di ciò che accade in molte famiglie. Ho fiducia che gli adulti accolgano lo spettacolo come occasione di riflessione,
di visione e perché no, di rivisitazione del proprio ruolo genitoriale. Futuri Maestri infatti chiama all’ascolto entrambe le parti interessate, giovani e spettatori, in un atto biunivoco creando spiazzamenti. Lo spiazzamento nasce laddove si parla di vita e non sappiamo cosa rispondere, laddove i ragazzi ci invitano a cercare e non sappiamo cosa.
Questo spettacolo offre allo spettatore un coro di voci e di visioni che abbiamo il dovere di accogliere con orecchie e sguardi nuovi. I ragazzi protagonisti fanno un lavoro di ribaltamento delle prospettive che si possono avere sui giovani, troppo facilmente additati come scansafatiche, perditempo o semplicemente troppo piccoli per avere la voglia di capire come funziona il mondo. Futuri Maestri punta il dito sulle responsabilità degli adulti, che non devono limitare le ambizioni dei
ragazzi, ma aiutarli a “puntare alla luna”. Dare spazio alle loro voci e ai loro pensieri eliminando i preconcetti che abbiamo su di loro, cercando di stabilire un dialogo e una collaborazione tra le due parti.
Maria Grazia Panigada, esperta del teatro narrativo in contesti museali e laboratoriali, dirige la stagione di prosa del Teatro Donizetti di Bergamo e del Teatro Sociale. A cura di Carmen Zaira Torretta
Elena di Gioia: ribaltiamo le nostre prospettive sui giovani
Elena Di Gioia è un’operatrice culturale e, tra le altre cose, si è occupata della direzione artistica del progetto Agorà, una rassegna teatrale svolta da ottobre 2016 a maggio di quest’anno in vari teatri e luoghi di cultura della provincia di Bologna. A cura di Matteo Posa
Cira Santoro: la comunità responsabile
Futuri Maestri ha creato una comunità vera, la bellezza di uno stare insieme. Penso di potere dire che la recitazione dei ragazzi sia consapevole. Partecipazione e consapevolezza sono gli aspetti qualitativamente più alti di tutto il progetto, in Futuri Maestri giovani e giovanissimi chiamano gli adulti alle loro responsabilità, non hanno timore a metterli con le spalle al muro. In questo progetto l’idea di una società collettiva appare meno utopica, la mescolanza delle età è magnificamente riuscita. A fine spettacolo i ragazzi più grandi sono corsi ad abbracciare quelli più piccoli e viceversa. Nella realtà, purtroppo, questo avviene di rado: l’abbraccio è sostituito dal distacco. Una signora alla domanda «che cosa pensa dello spettacolo?» mi ha risposto con freddezza, con un sorriso accennato. Da lei capisco quanto Futuri Maestri tocchi nel profondo, non tutti i grandi sono preparati a ricevere il colpo. Credo, invece, che i genitori maggiormente consapevoli ne trarranno giovamento. Si pensa che per fare teatro con ragazzi e ragazze sia necessario essere accomodanti, mentre questo lavoro dimostra che non è così. C’è inquietudine, c’è un messaggio scomodo davanti a cui l’adulto è costretto a (sof)fermarsi. Cira Santoro, esperta di teatro ragazzi, è responsabile del Teatro Comunale Laura Betti di Casalecchio di Reno (BO). A cura di Carmen Zaira Torretta
Luca Lambertini: non togliere la parola ai giovani Mauro Boarelli: una tappa importante nella vita
Uno spettacolo molto riuscito. I ragazzi sono davvero comunicativi e non sono “imbeccati” o forzati dall’alto. Penso che venga usato un linguaggio efficace; non si ricade mai (eccetto in alcuni tratti in cui fa “capolino”) nel “giovanilismo”, ossia nel fatto che i giovani parlino, con un effetto caricaturale, come gli adulti si aspettano. Non appaiono come delle semplici “scimmiette” che obbediscono alle direttive impartite loro, ma danno un notevole contributo anche individuale. Dal punto di vista pedagogico, non penso ci sia sempre bisogno di spiegare tutto… alcuni concetti e alcune tematiche vengono recepiti anche dai bambini nonostante possano non conoscere la questione nello specifico. Ad esempio, le mie figlie hanno seguito con molto interesse le vicende raccontate e sono state sorprese che alcuni attori fossero loro coetanei. Penso sia utile questa intergenerazionalità dello spettacolo. Una modalità meno incisiva penso sia l’intervento dell'ospite, che toglie la parola ai giovani, obbligandoli ad ascoltare, seduti, senza intervenire… forse poco produttiva e non coinvolgente. Luca Lambertini, educatore e redattore della rivista “Gli Asini”. A cura di Jacopo Giancaspro
Ho visto due volte lo spettacolo. Dal punto di vista pedagogico è certamente un progetto molto interessante, non capita spesso di vedere tantissimi ragazzi, di diverse fasce d’età, lavorare così bene insieme. È una collaborazione che qui si è sviluppata raggiugendo ottimi livelli ed è questo l’aspetto più importante del lavoro. Lo spettacolo è diverso da altri, lontano dagli allestimenti tradizionali, i ragazzi hanno lavorato insieme ai drammaturghi seguendo un iter di scrittura davvero particolare, contribuendo attivamente alla stesura del testo. Il pubblico si trova di fronte a qualcosa di diverso proprio perché lo spettacolo è stato costruito da chi è in scena. Forse, più che parlare di spettacolo, dovremmo parlare dell’esito di un progetto. È stato svolto un lavoro davvero forte dal punto di vista formativo, ciascun ragazzo certamente conserverà qualcosa di diverso ma, in ogni caso, questa è stata sicuramente una tappa importante del loro percorso di vita. Mauro Boarelli fa parte della redazione delle riviste “Lo straniero” e “ Gli Asini ” ed è responsabile della programmazione culturale presso il Comune di San Lazzaro di Savena. A cura di Marianna Laudano
Gerardo Guccini: un piccolo dono irreversibile Il copione è un elemento importantissimo e infatti nello spettacolo se ne parla, viene indagato, messo in discussione. Il copione si è rivelato un forte dispositivo di racconto: i ragazzi contribuendo alla scrittura vengono messi nella situazione di farsi raccontare, lo spettacolo è un’esperienza conoscitiva. All’inizio ci si interroga su cosa sia e su che cosa si faccia a teatro, alla fine questi quesiti tornano e il teatro viene presentato come il luogo di contaminazione della peste ma una peste opposta a quella artaudiana. Il copione è portatore di vita, il mondo degli adulti è, invece, un luogo da contaminare, un luogo infernale e negativo perché non si rivolge positivamente ai giovani. Certamente l’esperienza del pubblico è più ridotta rispetto a quella dei ragazzi che hanno preso parte attivamente al progetto. Gli spettatori sono posti davanti a due forme di coinvolgimento: da un lato la narrazione e il racconto mentre dall’altro il contatto fisico. Alla fine il pubblico viene toccato. La scelta di toccare e non di invitare a entrare in scena è molto interessante. Non ci si può tirare indietro. Venire toccati è un piccolo dono irreversibile. Gerardo Guccini, docente dell’Università degli studi di Bologna, ha fondato e dirige la rivista “Prove di drammaturgia”. A cura di Marianna Laudano
Matilde Maresca: a contatto diretto con gli attori, un'epifania Futuri Maestri smaschera il pubblico adulto denudandolo di fronte a quelle convenzioni che tendiamo a usare per coprire le nostre fragilità. Allo stesso tempo sono i ragazzi ad essere smascherati perché guardandoci con i loro occhi finiscono per mostrare le proprie urgenze ed esigenze. Il lavoro, la guerra, la preoccupazione per il futuro senza dimenticare la meravigliosa scena in cui ascoltano come conchiglie il suono delle scarpe che parlano attraverso la voce di chi le ha indossate per migrare. Ieri sera ho rivisto per la terza volta lo spettacolo e ho avuto un'epifania,
ho sentito un contatto diretto con gli attori e le attrici, sembrava mi parlassero direttamente in un dialogo che escludesse tutto il resto. Un dono. Uno dei problemi che ho avvertito è la scarsa preparazione di parte del pubblico alla visione, una platea fatta di genitori e parenti ha la tendenza alla ricerca del figlio in scena più che alla visione del lavoro nel suo complesso. Non si deve però fare l'errore di credere che sia stato così per tutti. Ieri sera ero seduta a lato di una mamma che ho visto mutare, farsi prendere dalla messa in scena nonostante in principio fosse molto distratta dalla ricerca
del figlio. Futuri Maestri è qualcosa di completamente diverso da un saggio di fine anno in cui bambini e ragazzi vengono valorizzati. C'è un rispetto unico per la loro infanzia e il rapporto che si crea tra bambini e adolescenti è fondamentale per la loro crescita. Non si dovrebbero mai isolare i ragazzi e da questo punto di vista il teatro è fondamentale. Matilde Maresca, docente di lettere presso il liceo scientifico Augusto Righi di Bologna, appassionata di teatro da anni organizza laboratori teatrali. A cura di Pietro Perelli