numero 5
LA M OSTR A
SABATO 1 0 giugno 201 7
FU T URI GIORN ALISTI
IL TERREMOTO IN SCENA
Il giusto labirinto di Marianna Laudano
Un’esperienza breve ma intensa viene offerta al visitatore della mostra
Presente e futuro: parole, immagini, visioni d’artista su amore, guerra, lavoro, crisi, migrazione , un viaggio tra grandi tematiche lette attraverso lo sguardo di sedici artisti internazionali. L’esposizione, nel piccolo foyer dell’Arena del Sole, è uno dei tanti tasselli del progetto Futuri maestri . Il
manifesto “Amore”, realizzato dai bambini della VB della Scuola primaria De Amicis di Bologna, inaugura il percorso dell’osservatore. Interessante è la scelta di accostare l’opera di Massimo Sciacca a quella di Florence Cestac. La prima, Touch me (1988), è una fotografia in bianco e nero dal sapore agrodolce: due corpi sdraiati, stanchi, che si sfiorano appena. La collation du voyageur (2014), illustrazione a colori, segue una linea completamente diversa: gola e lussuria prendono vita attraverso i caratteristici personaggi della fumettista. Un suggestivo video è associato a Pensavo fosse amore (2012), poesia di Alfonso Maria Petrosino. L’amore lascia il posto al lavoro. Ci guardano gli operai di Men Art Work (2009) di Ottavio Celestino. Cosa raccontano i loro volti? Sono di certo velati di stanchezza ma, ancor di più, è visibile l’orgoglio di chi ha costruito con fatica «un’opera architettonica destinata ad ospitare opere d’arte» e che, dopo il “clic” della macchina fotografica, diventa a sua volta opera d’arte. È il lavoro in nero che Sergio Ricciardi, invece, rappresenta nella sua opera del 2017. La mano scura regge un succoso pomodoro eppure ci sembra quasi di scorgere un cuore insanguinato. Lavorare è purtroppo necessario perché i soldi hanno un valore fondamentale. Ma qual è davvero questo valore? A porsi questa domanda è Paolo Agrati che, confrontando i prezzi di tanti prodotti per comprendere quante e quali cose sia possibile comprare con seicento euro, dà vita ad una lunga lista, utile per comprendere l’importanza della differenza tra «necessario e desiderio». La sezione dedicata alla guerra propone nuovamente l’incontro di linguaggi differenti con: la poesia Un giorno qualunque (2016) di Alessandra Racca, la fotografia Between Lands (2011) di Loris Savino e le due illustrazioni, Women’s movement e Candy Crush (2016) di Takoua Ben Mohamed. La migrazione è analizzata attraverso delle storie. My Journey (2016) è un racconto autobiografico per immagini dell’artista nigeriano Uyiagha. Il suo tratto grezzo è adatto per narrare il suo viaggio pericoloso. Mentre Loris Savino sceglie di fissare un preciso attimo con la fotografia I sognatori (2011), Stefano Liberti, Mario Poeta, Paolo Martino optano per il video reportage. A questo punto il visitatore è quasi giunto alla fine della mostra ma una panchina lo invita a sedersi, non solo per osservare con calma The Humming-il mormorio (2016) e Maybe Tomorrow (2014), ma soprattutto per riflettere. Questa pausa risulta essere una tappa necessaria, un trampolino per tuffarsi nell’ultima parte della mostra. È in crisi chi È nata donna, Anarkikka (2015), e deve affrontare situazioni di discriminazione ogni giorno. «Ogni crisi può portare ad una risoluzione positiva del problema oppure può degenerare in una soluzione negativa». Ma in crisi è anche chi, giunto in un punto cruciale, si è arreso alla stasi come la Grecia di Panta rei (2011) di Eloisa d’Orsi, cristallizzata in uno scatto che ce la mostra immobile, proprio come nella realtà. Dobbiamo muoverci anche quando ci sembra che tutto stia degenerando perché la crisi è onnipresente. Amore, guerra, lavoro, migrazione sono tematiche tanto diverse ma tutte strettamente legate dalla necessità di compiere delle scelte. Non si può vivere senza scegliere. Siamo in un labirinto, Nel labirinto sbagliato (2016) di Filippo Balestra, e sentirsi persi è inevitabile. «L'unica salvezza nel labirinto sbagliato è riuscire a concepire, che il labirinto sbagliato è ovunque». A questo punto, ciò che davvero fa la differenza è «convincersi di essere nel labirinto giusto. E finalmente muoversi: cercare l'uscita».
di Pietro "Pedro Pe" Perelli
C'è una piccola parte dello spettacolo Futuri Maestri che è stata aggiunta nella replica di giovedì 8 giugno. È un pezzo poco provato, inserito tra le scene della città militarizzata di Numanzia e della città degli uccelli, ma molto significativo. Si parla di eventi catastrofici che hanno colpito l'Italia negli ultimi anni, i terremoti che da quel 6 aprile 2009 a l'Aquila fino a quello delle Marche dell'estate scorsa hanno segnato migliaia di persone. I protagonisti, subito prima, sono incarcerati ma liberi di sognare. Continuano il loro viaggio con la fantasia dei ragazzi e al termine di questo sogno è inserita questa scena nella quale si racconta della ricostruzione sognata e mai completamente avvenuta dei territori terremotati. Una voce fuori campo ricorda «L’Aquila: comune italiano di 69.648 abitanti, capoluogo dell’omonima Provincia e della regione Abruzzo. Montegallo: comune italiano di 523 abitanti della provincia di Ascoli Piceno nelle Marche. Mirandola: comune italiano di 23.911 abitanti della provincia di Modena in EmiliaRomagna.» Sono ferite aperte, abrasioni che hanno rovinato il nostro stivale e sulle quali è stata spalmata una pomata che ha, forse, alleviato il dolore ma non ha
I giovani nella parte dei giovani
guarito la ferita. Un cerotto color pelle la copre cercando di nasconderla ma i futuri maestri non ci stanno, vogliono ricordarle, non dimenticarle e lo fanno attraverso la partecipazione di un gruppo scout che si è messo in gioco nei lavori di Protezione Civile a Mirandola. Sono lì, in scena, con le loro uniformi azzurre che, immersi nel caos, provano a mettere ordine costruendo una casetta sopra quei carcerati che hanno appena finito di sognare o forse stanno ancora sognando. Riescono così a mostrare le due facce della medaglia. Quella che mostra la grande umanità dei volontari e la gioia della solidarietà che ha visto sempre accorrere tantissime persone per aiutare chi si era improvvisamente trovato privato di quelle case che ci riparano e fungono da rifugio ultimo. E quella che mostra, anche se velatamente, la difficoltà e incapacità dello stato nel rispondere a queste inaspettate crisi. «Ed ecco che lo Scout, che sorride e fischietta anche nelle difficoltà, – dice, utilizzando una metafora calcistica, la voce fuori campo – realizza il calcio di trasformazione. Anche il tetto è stato posizionato. Triplice fischio. Tutti a casa. Quella nuova». Sarebbe bello non fosse ancora un sogno per molti.
Se una di queste sere andate all’Arena del Sole e cercate degli attori, non ne troverete affatto. Non c’ nemmeno la platea, al momento. Forse il teatro ha chiuso i battenti? No davvero, al contrario ha spalancato le porte a una piccola orda di impuri, invitati dal Teatro dell’Argine a giocare assieme al teatro. Tutto questo e molto altro è Futuri Maestri, un progetto prima che uno spettacolo, che dopo due anni di lavoro porta in scena per nove sere consecutive studenti delle scuole primarie, medie inferiori e superiori, e sfida le pratiche di teatro inclusivo e partecipato. Gli autori ce lo raccontano come «una bussola data in mano ai più giovani, perché ci aiutino a capire il mondo e il tempo in cui viviamo». Con questa bussola in mano, in due ore di spettacolo “gli impuri” (così si battezzano i ragazzi) esplorano mondi altri, rubati a classici del teatro e della letteratura, in cerca di una cura per il nostro tempo, per combattere lo strano morbo che ammala i loro genitori e i loro maestri, una peste che porta «sogni sbiaditi e parole che non comunicano». La missione è altissima, quella inscenata tanto quella intrapresa dal Teatro dell’Argine con questo progetto. Il gesto è generoso e reciproco: da una parte c’è una vocazione quasi pedagogica, indubbiamente inclusiva, di un teatro che si fa comunità, dall’altra c’è una risposta calda e accorata dai piccoli invitati al gioco. La posta in palio è in definitiva la nostra salvezza, di noi tutti insieme. Da un parte i grandi vogliono salvare i piccoli, dall’altra i piccoli vogliono salvare sia noi, i grandi di oggi, che loro stessi, i grandi di domani. Pur se la drammaturgia ruota intorno alla contrapposizione giovani/adulti, in scena più che contestazione o protesta, c’è empatia e rispecchiamento. Questa di per sé, è già una vittoria preziosa, condivisa da attori e spettatori, e da tutta la comunità che si è creata attorno al progetto. Ora si tratta di capire come difendersi dai rischi del rispecchiamento, come non scivolare nella consolazione e lasciare che “i giovani” possano avere luogo anche quando non sanno recitare la parte dei giovani, quando loro, tanto quanto noi, non hanno le parole giuste per raggiungere la Luna e stroncare il morbo, ma ne custodiscono altre, inattese, inaudite o incomprensibili. Alice "Alicanto" Merenda Somma
(disegno di Bianca Sandri)
Lo sbarco dei mille
(disegno di Martina Neretti)
di Carmen Zaira Torretta Il teatro si trasforma in un grande osservatorio: una contaminazione generazionale di padri e figli, uno spaesamento di ruoli, lo svezzamento dei più piccoli e lo slancio dei più giovani. I loro gesti, benché impercettibili, veicolano significati e la loro lettura imbarazza, stupisce, sconvolge, inquieta. Sguardi di adorazione, orgoglio che stringe ancora più stretto nei vestiti: mia figlia apre lo spettacolo, mio figlio lo chiude, sono stati tutti bravi, però mio figlio di più; l’umanità che straborda e che regala amore, linguaggio che Futuri Maestri ha tradotto e poi trasmesso. Molti occhi si scambiano vettori di incoraggiamento, molte mani pizzicano l’aria con applausi, la presenza dei bambini finalmente inclusa in quella dei grandi. Chissà se alcuni genitori si sono comunque accomodati sul merito di aver dato al proprio figlio la possibilità di vivere una cosa bella, un’esperienza formativa importante, perché mio figlio, dice una madre, deve essere migliore di me. O chissà se altri di loro si sono lasciati infettare dall’energia dei ragazzi, taluno provando fastidio qualcun altro trovando pienezza in una compatibilità di respiri, in un collaudo di menti, nello sbarco dei mille. Una società che funziona
di Jacopo Giancaspro Ritengo che un attore debba conoscere esattamente il pensiero del “personaggio-simulacro” che interpreta, per avere pienamente consapevolezza della sua parte. La mia prima considerazione su Futuri Maestri è che questa consapevolezza non fosse presente in toto; in particolar modo, i più piccoli penso che abbiano capito il significato del testo solamente ad un livello molto ”basic”. Forse perché i ragazzi dovrebbero parlare come ragazzi e non come adulti che non sono più ragazzi. Ritengo ad esempio che sia stato di forte impatto il monologo dello studente rivolto al proprio insegnante proprio perché era stato pronunciato “di pancia”. I filtri, le censure, i “perbenismi” lasciamoli ad altri. Spesso i giovani sono istintivi, a volte superano il limite loro imposto e se sono “incazzati” è giusto che si sfoghino in maniera sincera, che spacchino tutto, senza avere paura di subire ritorsioni. Tuttavia le mie perplessità si riducono quando considero il punto di vista partecipativo del progetto. Nel corso delle interviste ai protagonisti, è emerso quanta coesione e quanto entusiasmo vi fossero nell’ambiente e ho potuto constatare quanto possa essere stato utile coinvolgere ragazzi di tutte le fasce di età, a prescindere dalla loro effettiva comprensione del testo. Futuri Maestri non è soltanto uno spettacolo, ma è qualcosa di più ampio. L’insegnamento che posso trarre da questa iniziativa non si esaurisce quindi negli spunti del copione o nelle riflessioni degli ospiti, ma riguarda l’utilità del Teatro in sé. Gli attori in scena rappresentano una forma di società che funziona, nella quale per perseguire uno scopo, tutti sono davvero funzionali per il suo raggiungimento, ma al tempo stesso tutti sono tenuti ad esprimere al massimo la propria individualità LA TESTIM ON IA NZA .
Federica Zanetti: siete sicuri che quelli fragili siano i ragazzi? Da diversi anni mi occupo di teatro e cittadinanza studiando quelle realtà teatrali che cercano di creare o ricreare legami con le realtà cittadine. Seguo quindi da molto il Teatro dell'Argine e in particolare con Futuri Maestri abbiamo avviato una ricerca che coinvolge gli universitari per studiarlo a livello pedagogico. I ragazzi che hanno partecipano hanno avuto l'opportunità di vivere la città in modo diverso creando un senso di identità, di appartenenza. Si è tentato di formare cittadini anche attraverso l'arte, attraverso una forte esperienza collettiva che credo abbia segnato il loro percorso di crescita. È stato molto interessante anche l'unire ragazzi di diverse età perché questa trasversalità vuol dire, allo stesso tempo, prendersi cura degli altri e sentirsi alla pari. Gli abbracci gioiosi che si scambiano alla fine dello spettacolo mostrano una bellissima unione. Vi è poi il messaggio lanciato al pubblico adulto, un forte urlo con il quale bambini, adolescenti e ragazzi chiedono di essere ascoltati, di non essere considerati
contenitori vuoti da riempire, di potersi assumere le proprie responsabilità, di essere ritenuti soggetti attivi con una visone sul mondo e con la voglia di mettersi in gioco nonostante le paure. Spero che il pubblico e i genitori abbiano accolto questo messaggio, questa richiesta, non limitandosi alla mera esperienza spot della figlia o del figlio che vanno in scena. Inoltre per molte famiglie questa è stata la prima esperienza in teatro e spero che questo possa essere un modo per avvicinarli all'arte. Vi lascio con due domande a cui è difficile rispondere ma su cui vale la pena ragionare. Siete sicuri che quelli fragili siano i ragazzi? Non sono forse gli adulti a non voler\saper riconoscere queste difficoltà e fragilità? Federica Zanetti, professoressa associata di Didattica e Pedagogia Speciale, dal 2010 dirige il Corso di Alta Formazione “Il teatro come strumento per le professionalità educative”. A cura di Pietro "Pedro Pe" Perelli
LE FIGURE IN NERO di Matteo Posa
Abbiamo incontrato due attori del Teatro dell’Argine, Ida Strizzi e Paolo Fronticelli, che durante lo spettacolo Futuri Maestri si occupano della gestione dei ragazzi sia sul palco che dietro le quinte. Professionisti nell’ombra che fanno parte dello spettacolo ma di cui, in realtà, non si sa niente: come vivete questa esperienza e quali sono le vostre prospettive sullo spettacolo?
Ida Strizzi, dietro le quinte Diciamo che abbiamo messo da parte il fatto di essere attori e ci poniamo come organizzatori, insegnanti o, come ci piace definirci, “pastori dei mille”. Io mi occupo della gestione degli adolescenti under-20, che pur essendo un po’ confusionari, sono abbastanza autonomi, quindi cerco di dare una mano anche ai più piccoli, che hanno bisogno di essere accompagnati sul palco e di un sostegno morale per affrontare al meglio la scena.
Paolo Fronticelli, sul palco Per quanto riguarda il nostro ruolo, siamo entrati in scena molto prima dello spettacolo, con i laboratori teatrali fatti per i ragazzi che avrebbero recitato all’Arena del Sole. Quindi non ci sentiamo messi da parte, anzi, andiamo in scena attivamente con lo stesso ruolo che abbiamo avuto durante tutto il corso del progetto, con l’obiettivo di aiutare i ragazzi fuori e dentro la scena, come degli angeli custodi.
Quali sono le vostre impressioni, da insegnanti e attori, su come i ragazzi si muovono sulla scena?
È una visione un po’ strana, non avendo contezza dell’intero spettacolo. Soprattutto per quanto riguarda quei ragazzi che partecipano a una sola delle repliche, l’esperienza può risultare un po’ convulsa, dovendo fare vari cambi di scena e partecipando in misura minore allo spettacolo. I tempi di attesa sono anche piuttosto lunghi, dietro le quinte i ragazzi sono molto seri e concentrati su quello che andranno a fare sul palco. Sebbene l’ebrezza dell’esperienza in scena se la godano per poco tempo, l’emozione di vedere i propri genitori dal palco è grandissima e per loro è una motivazione incredibile per andare avanti e vincere la stanchezza.
Hanno sicuramente i pregi e i difetti di chi è giovane, di chi prende molto seriamente il teatro come passione personale. C’è una grande freschezza e genuinità che unite al desiderio di esprimersi sono fondamentali per la recitazione. Contemporaneamente, peccano ogni tanto di qualche piccola ingenuità, che noi cerchiamo di mantenere per aggiungere ricchezza alle scene, dando un senso a uno dei concetti di fondo dello spettacolo: la bellezza non è perfezione. D’altronde, è stato chiesto loro di fare un’operazione incredibile, recitare per nove giorni di seguito e impegnare i propri weekend e tempo libero per partecipare a un progetto enorme. Per la loro età è un sacrificio importante, a prova del fatto che hanno una grande passione che mostrano benissimo in scena.
Avete notato un calo di energia con l’incedere dei giorni?
Per ora no, anzi, molti hanno il piacere di tornare e vorrebbero partecipare a più serate di quelle per cui avevano dato disponibilità. Addirittura, un bambino ha detto emozionato che non vede l’ora che sia l’anno prossimo per ricominciare e che parteciperà a tutte le serate (poi gli abbiamo detto che l’anno prossimo non ci sarà Futuri Maestri). Per quanto riguarda la resa sul palco, dipende molto dall’individuo. In generale, loro hanno scelto di essere qua e si impegnano al massimo per dire anche quelle poche battute che hanno nel miglior modo possibile.
Il calo di energia è fisiologico, ce l’avrebbe chiunque dopo dieci repliche di uno spettacolo così grande. Soprattutto, trattandosi di ragazzi, questo spettacolo subentra a fine anno scolastico, quando in generale tutti gli studenti accusano una grande stanchezza. Nonostante questo, l’emozione rimane la stessa, ed è sotto gli occhi di tutti il fatto che non si notino enormi differenze tra una replica e l’altra. La stanchezza sì la sentono, ma la affrontano e riescono molto spesso a superarla.
Nello spettacolo, siete tutti vestiti interamente di nero e intervenite nella scena per questioni pratiche (consegnare i microfoni, spostare praticabili, guidare i ragazzi). La vostra figura è prettamente accessoria o, in un qualche modo, rappresentate un deus ex machina con una propria funzione drammaturgica?
Non credo che queste figure siano solamente accessorie, in quanto nessuno è accessorio nel teatro. Per quella che è la mia visione, non sono nemmeno dei deus ex machina, che invece sono i ragazzi stessi. Sono fondamentali nel dare le direzioni ai protagonisti e danno anche supporto morale. Chiunque può vederci quello che vuole, ma sostanzialmente siamo lì a dare forza a questi attori non professionisti, a volte agevolandoli e facendo cose pratiche, altre invece semplicemente con un sorriso.
Non si può essere su un palcoscenico senza un personaggio: in questo spettacolo, il personaggio che “interpretiamo” corrisponde in parte molto ampia a noi stessi e alla funzione che abbiamo all’interno del progetto in generale. Naturalmente, se per “personaggio” intendiamo anche tutto il processo di creazione e ricerca che ci sta dietro, non si può dire che sia questo il caso. Non è possibile e non ha proprio una logica. Incarniamo il ruolo che abbiamo avuto all’interno dei laboratori nel corso di questi anni e la funzione che abbiamo di “macchinisti” si aggiunge a quella di mentori che ci devono essere e allo stesso tempo non ci devono essere, per lasciare che siano i ragazzi ad esprimersi. Anche per questo siamo vestiti di nero, in senso pratico perché non dobbiamo farci vedere più del dovuto ma anche perché siamo come delle “ombre” dietro ai veri protagonisti, sorreggiamo tutto per fare in modo che arrivi ad un livello più alto.
I racconti impossibili dialoghi dietro le quinte (di Matteo Posa) Sala Archi dell’Arena del Sole, dove i ragazzi si cambiano e riposano prima e dopo le prove. Ultimo giorno di repliche serali dello spettacolo. Tre attori (Mario, 18 anni, Benedetta, 17 anni, Davide, 9 anni), ripassando le battute, si perdono a chiacchierare serenamente ma leggermente rattristati dall’avvicinarsi della fine del progetto di Futuri Maestri. Mario – Per carità, da un lato sono contento che stia finendo, come alla fine di ogni grande progetto, la soddisfazione c’è sicuramente stata. Però… (allungando la o finale spropositatamente) Benedetta – Però che tristezza, dai (sconsolatissima). Sono due settimane che praticamente viviamo insieme, siete un po’ tutti come i miei fratelli adesso. Ottanta fratelli (dice sottovoce perdendo lo sguardo nel vuoto pensando alle implicazioni dell’avere 80 fratelli in casa). Davide – No, tutti nella stessa casa non è possibile! Già dietro alle quinte facevamo un gran baccano, anche durante le scene degli altri si sentiva la nostra voce! (ridacchia ma poi ci ripensa e si sente in colpa) Mario – Vabbè, ma il pubblico non ci bada a queste cose. Lo spettacolo è piaciuto, chissene delle voci (lo dice con convinzione, ma cerca con lo sguardo l’assenso dei compagni). Benedetta – Io penso che tutti siano rimasti molto colpiti da quello che abbiamo portato in scena, che era un po’ il nostro obiettivo (rassicura Mario, ma nell’espressione si capisce che sta ancora pensando agli 80 fratelli in casa). Davide – Non solo, l’obiettivo era anche quello di imparare a stare insieme, farsi tanti amici… (sorride) Benedetta – Sconfiggere la timidezza, essere più aperti… (sorride) Mario – Crescere a livello artistico, fare nove repliche di uno spettacolo in un grande teatro… (non sorride più, pensando alle grosse responsabilità). No, ragazzi, io esco (mira alla finestra come possibile via di fuga). Benedetta – Dai, non ci pensare adesso (trattenendolo per evitare incidenti spiacevoli). Pensa invece a cosa farai dopo. Io so già cosa voglio fare: questa esperienza mi ha fatto capire che voglio lavorare con i bambini, per esempio (sottotesto: “L’importante è non averli in casa”). Mario – Beh, io sono all’università, studio sociologia (cerca una risposta ai suoi amletici dubbi sul futuro). Gli esami (panico incipiente). No, teatro, devo pensare al teatro. Sicuramente voglio continuare a fare teatro (tira un sospiro di sollievo dopo aver allontanato i pensieri negativi). Davide – Io sono troppo piccolo per pensare al futuro, ne ho ancora di anni di scuola da fare (non troppo sconfortato da questa riflessione). L’unico progetto futuro che ho, al momento, è di andare a casa (già rilassato e serafico all’idea di riposare). Volete venire? Benedetta – TUTTI E OTTANTA???
(disegno di Bianca Sandri)
Movimento, coreografia e sinergia Intervistiamo Patrizia Proclivi, danzatrice e coreografa del Teatro dell’Argine. Patrizia sembra essere molto timida e riservata, ma la capacità espressiva dei suoi movimenti e del suo portamento parlano sicuramente per lei.
Nel programma dello spettacolo, lei figura come“coordinatrice di movimenti”. Ci può spiegare cosa significa? Essenzialmente coreografa, ma inizialmente non c’era il progetto di avere una vera e propria coreografia nello spettacolo, sono stata convocata principalmente per gestire la “massa” dei ragazzi. Lavorando insieme a loro e partecipando ai laboratori extra della domenica prima delle prove ufficiali dello spettacolo, abbiamo deciso insieme ai registi di inserire una parte coreutica e incanalare nel movimento la sinergia creata con i ragazzi.
LA MACCHINA ORGANIZZATIVA
personalità di ciascuno. È stato difficile gestire la coordinazione di un gruppo così numeroso ed eterogeneo di persone, ma ha certamente aggiunto energia alla scena.
Intervista a Jessica Bruni, una delle organizzatrici di tutti gli eventi relativi a Futuri Maestri
Sentiamo anche la voce di Francesca Marchi, la “prima ballerina” della scena coreografica in questione, che nello spettacolo è alla guida dei ballerini della Città degli Uccelli.
Impegnativo e molto complesso, soprattutto per via della grande quantità di persone coinvolte. Abbiamo immaginato l’organizzazione come fosse un albero con tanti rami: si parte da una base in cui si sa cosa bisogna fare, qual è l’obiettivo che si dirama in più direzioni, dove ogni ramo corrisponde a una classe o un gruppo di ragazzi ai quali viene assegnato un operatore specifico tra gli attori professionisti del Teatro dell’Argine. Fondamentale è stato anche l’aiuto delle maestre e professoresse referenti delle loro classi che spesse volte si sono fatte da tramite. Possiamo dire che abbiamo creato una sorta di catena di montaggio.
Innanzitutto, perché hanno scelto proprio te per fare da guida agli altri ragazzi nella scena di ballo ? Sinceramente, è successo per puro caso. Sono capitata nel gruppo diretto da Patrizia che si sarebbe, appunto, occupato della scena coreografica. Si è creato un buonissimo rapporto con l’insegnante e forse in virtù di ciò mi ha scelto per essere la “prima ballerina”.
A che cosa si è ispirata per la scena La musica segue il ritmo e le emozioni della coreografica del quarto capitolo? scena, ce la puoi descrivere? Principalmente mi sono ispirata a quello che i ragazzi hanno creato sulla scena, cercando di rispettare l’assetto drammaturgico, di non perdere di vista gli indizi e le esigenze dei registi. Con i ragazzi ho lavorato su movimenti e gesti attraverso cui potessero esprimere a livello visivo il senso della scena. Anche la scelta della musica è dipesa molto dall’atmosfera e dai toni che vengono rappresentati nello spettacolo.
La Città degli Uccelli è la prima in tutto lo spettacolo che invece di presentare le parole chiave con un’accezione negativa, rappresenta l’amore. Gli uccelli sono felici e si mostrano uniti, per questo c’era il bisogno di avere una coreografia, in cui tutti compiessero gli stessi gesti insieme, come dovrebbe fare una comunità.
Come è stato ballare con così tante persone messe insieme per la prima volta?
Come si è confrontata con il lavoro insieme a una moltitudine di non-professionisti nella Quasi non me ne sono accorta, in realtà. danza? Stando davanti a tutti gli altri non mi sono mai accorta di cosa mi stesse accadendo alle spalle. Io amo lavorare con ballerini non-professionisti Ogni tanto mi capita di chiedermi «Ma ci sono? e la loro inesperienza mi ha aiutato a capire Qualcuno si è fatto male, là dietro?» Da una quali sono i loro limiti e, quindi, quali parte mi piace e mi sento privilegiata rispetto dovessero essere i limiti della coreografia da agli altri perché sono più libera nei miei eseguire. In questo modo può risaltare anche la movimenti.
Come è stato dirigere tutta la macchina organizzativa che ruota attorno a questo progetto così articolato e denso di eventi e attività?
A proposito delle istituzioni, come il MamBo, il Teatro Comunale o la Mediateca di San Lazzaro, come avete spiegato loro il progetto Futuri Maestri?
Dovendo capire quale fosse il modo più giusto per raccontarlo, abbiamo deciso di farlo attraverso una sorta di indice: mille ragazzi e bambini coinvolti, cinque eventi speciali, uno spettacolo, una mostra e decine di percorsi laboratoriali. Le istituzioni hanno partecipato attivamente alla creazione di ciò che si sarebbe andato a fare. Per esempio, con il MamBo abbiamo avuto l’idea di aprire il museo alla città, dato l’obiettivo di partecipazione attiva e di coinvolgimento della cittadinanza, per fare arrivare le arti dove solitamente non arrivano.
Domanda provocatoria: è stato più difficile gestire i ragazzi o gli adulti? Per quanto riguarda le scuolele maestre si sono prese delle grosse responsabilità e degli impegni che hanno portato a termine con dedizione e collaborazione. La stessa cosa vale per i genitori. Certamente ci sono stati degli imprevisti in corso d’opera, la gestione dei genitori è un capitolo molto difficile. Ogni famiglia ha esigenze e situazioni diverse, quello che ho imparato io svolgendo l’organizzazione è che i genitori hanno sempre bisogno di sentirsi rassicurati e di indicazioni molto chiare su cosa i ragazzi devono fare, per capire quale siala nostra tabella di marcia.
Quante persone hanno fattivamente collaborato all’organizzazione di un’opera gigantesca come questa? La gestione di tutta la macchina organizzativa di un progetto così vasto è frutto della collaborazione di tutta la famiglia del Teatro dell’Argine, a partire dalle persone che ci lavorano, in particolare Luca Gadler, Fabiola Martella e Cristina Tacconi, che hanno seguito questo progetto insieme a me. Durante i giorni dello spettacolo e gli eventi speciali, fondamentale è stata anche la collaborazione dei numerosi volontari reclutati tra i corsisti dei laboratori dell’ITC di San Lazzaro, della direzione del Teatro dell’Argine (Nicola Bonazzi, Micaela Casalboni, Andrea Paolucci) e di tutti gli attori e attrici che conoscevano benissimo i ragazzi dello spettacolo. (mp. )
Matteo Posa
Intervista a due piccoli special
di Jacopo Giancaspro
Abbiamo conversato con i mitici Arianna (10 anni) e Davide (10 anni), due tra i più piccoli “50 special”, presenti tutte le sere dello spettacolo. I ragazzi si sono sentiti quasi subito a loro agio e sono stati molto disponibili ed educati, come dei lord inglesi, rispettando al massimo i turni di parola durante la conversazione.
Chi vi ha proposto di partecipare a Futuri Maestri?
A - Quest’anno uno spettacolo su degli attori che, col sorriso, cercavano di portare gente a teatro, mente l’anno scorso abbiamo fatto Pinocchio!
Qual è la differenza tra gli esercizi teatrali della scuola di teatro e di Futuri Maestri?
Arianna - L’ho saputo a scuola di teatro. Da grande voglio fare l'attrice, la regista e scrivere copioni.
A - Penso che qui facciamo più esercizi per mantenere la concentrazione. E anche dei giochi! Il mio preferito è 007. Ieri ne abbiamo fatto uno in cui eravamo degli alberi e dovevamo muoverci senza che la maestra ci vedesse.
Ah, ti ispiri ai nostri drammaturghi?
Vi siete mai scordati una battuta?
A. - No, in realtà al mio cervello! (risate) Davide - Anche grazie alla scuola di teatro… prima di accettare ci ho pensato un po’, perché qua sono tutti più grandi.
A - Proprio ieri! (7 giugno, n.d.r) (risate) Ho fatto una pausa di troppo… ma me la sono cavata! D - Io per fortuna mai in Futuri Maestri, ricordo bene la mia parte e per me ormai stare sul palco è come stare a casa mia… invece nell’ultimo spettacolo di scuola di teatro c’era una battuta che ho un po’ sbagliato, forse per la tensione… A - Anche qui all’inizio la tensione era fortissima. Ora, piano piano, sta un po’ calando. Ma i nostri maestri ci dicono di non essere rilassati perché, quando si è troppo sicuri di sé, BUM! Si sbaglia.
Siete riusciti a socializzare con i ragazzi più grandi? A - Tantissimo, ho conosciuto moltissime persone. All’inizio conoscevo solo i ragazzi delle mie scene, ma poi abbiamo “mischiato” i gruppi. Noi siamo presenti anche in scene in cui non parliamo; Io ad esempio in Eldorado non dico niente. D - Il mio primo giorno qui era anche quello del mio compleanno; tutti mi hanno cantato ”tanti auguri”! Ho socializzato con tutti, prima con i piccoli, poi ho preso un po’ di confidenza e ho legato anche con i grandi, che sono carini. A - Delle elementari saremmo in 6.
Che spettacoli avete fatto con la scuola di teatro?
Le vostre famiglie vi hanno supportato? A - Sì sono stati miei genitori ad iscrivermi alla scuola di teatro, perché è un corso fatto meglio rispetto al teatro a scuola (ogni anno in questo si aggiungono nuovi bambini e si deve ricominciare dall’inizio). D - I miei genitori sono stati molto contenti quando mi hanno preso per Futuri Maestri. Mio padre lavora a Nizza e quando l’ho chiamato per dirgli che mi avevano preso è
stato davvero entusiasta. A - I miei sono quasi sempre venuti a vedermi. A loro piace molto la scena in cui si accendono i cellulari… sono venute anche delle mie amiche e verrà anche il nonno! D: Poi i miei si sono commossi nella scena delle “Scarpe” e del ”Ce l’hai”.
E invece quali sono le vostre scene/parti preferite? D - A me piace quella su Numanzia e anche la “Supercazzola” (risate) A - A me piacciono le parti molto movimentate in cui si corre a destra e a sinistra, come nella scena del “Ce l’hai”.
Ci sono delle questioni, non immediate, che avete fatto fatica a comprendere? A - Io non avevo capito subito perché ad un certo punto parlassero di una “Ruspa”. Poi la mia amica Layla mi ha spiegato che era riferito a un politico che vuole mandare via gli immigrati… D - Io all’inizio non sapevo cosa fosse una “Supercazzola”.
Qual è una tematica o una parola chiave che vi ha colpito particolarmente? A - Cos’è una tematica? Tra le parole chiave mi ha incuriosito la Migrazione. All’inizio pensavo fosse solo quella degli uccelli e che riguardasse un bel viaggio, poi il mio papà mi ha spiegato che era riferita alle persone dei Paesi in guerra. D - Penso che sia bello capire la storia di queste persone. Anche se forse la parola riguarda cose meno belle.