La Gazzetta di Modena VIE Festival 16-22 ottobre 2011

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» Vie, tante strade per un’istantanea sul teatro di oggi

L’INTERVISTA PIETRO VALENTI DIRETTORE ERT

fino al 22 settembre

Sguardi all’opera Una pagina giornaliera per il festival

«Non vogliamo individuare delle linee tematiche ma creare un incontro tra artisti e pubblico» di Bernardo Brogi ◗ MODENA

Un programma eclettico, dalle proposte sfaccettate, che presenta una selezione di opere che esulano da temi ricorrenti e si pongono come un'istantanea del teatro di oggi. Il direttore di Emilia Romagna Teatro, Pietro Valenti, racconta le sue scelte e ci presenta, senza troppo riserbo, alcune anticipazioni sugli spettacoli ai quali assisteremo durante il Festival. Ci racconta come sono stati scelti gli artisti? È possibile individuare una linea tematica? «Non vogliamo mai individuare linee tematiche che attraversino il programma. Ci interessa realizzare un incontro tra l'artista e il pubblico; le scelte presentano allo spettatore nuove realtà teatrali, ma mostrano anche l'evoluzione di compagnie che già sono state ospitate, negli anni, all'interno del Festival o delle stagioni di Ert. Il rapporto con le presenze artistiche è ciò che caratterizza il nostro modo di agire: seguiamo molto da vicino la produzione di quasi ognuna di queste compagnie, persino quelle straniere. Riteniamo fondamentale coinvolgere le scuole, così da integrare i giovani nel tessuto teatrale attraverso la loro collaborazione attiva. Venendo agli spettacoli di quest' anno, si potrebbe parlare di un ritorno al testo classico, ma consiglio di aspettare e vedere cosa succederà sul palcoscenico. Sarà interessante notare i modi in cui i testi sono stati affrontati dalle compagnie: i Menoventi con “L'uomo della sab-

“Vision Disturbance” di Richard Maxwell, in scena a Vie nei prossimi giorni

Presentiamo compagnie nuove ma anche l’evoluzione di gruppi già ospitati negli anni scorsi del festival. Fondamentale per noi coinvolgere attivamente le scuole e i giovani. bia”, un classico minore, César Brie con “I Fratelli Karamazov”, un classico della letteratura, Danio Manfredini che si confronta con Amleto e Krzysztof Warlikowski che presenta uno Shakespeare al femminile, attraverso i monologhi di Desdemona e Cornelia. L'aspetto affascinante sarà scoprire come questi classici verranno reinventati».

Ert possiede una rete di contatti che supera i confini geografici, come nel caso del progetto internazionale di produzione e circuitazione Prospero. «L'esperienza di Prospero si concluderà nel maggio 2012: dal punto di vista relazionale ne usciamo arricchiti, grazie al confronto con le diversità incontrate fuori dall'Italia. C'è stato un redditizio scambio reciproco di conoscenze e competenze; basti pensare al partner di Tampere, da sempre concentrato più sulla formazione degli artisti e meno sulla produzione, che in questi giorni ha attivato il primo circuito di produzione teatrale finlandese. Nel futuro il progetto crescerà e dal 2013 al 2017 alla rete si affiancheranno altri enti, come il Gran Teatro di Lussemburgo, il

L’esperienza internazionale del progetto Prospero si concluderà nel 2012: ne usciamo arricchiti grazie al confronto con le diversità che abbiamo incontrato fuori dall’Italia Festival di Atene, il Barbican di Londra e altri. Ci attendono prospettive stimolanti». La produzione culturale, in Italia, è spesso sotto attacco. Su cosa scommettere per il futuro? «Non scommetterei più sul termine contemporaneo, poiché la sua ubiquità nei programmi teatrali lo ha svuotato dei riferimenti alla base dell'

esperienza; questo è un fattore che ci rimette in gioco e siamo pronti ad accettare nuove sfide. Sono sempre più convinto che la lezione del teatro come servizio da offrire si stia esaurendo, credo che debba prevalere una nuova concezione che consenta di eleggere il teatro a bene culturale; il teatro ha bisogno di operatori capaci di occuparsi seriamente di ogni fase della creazione artistica, addetti ai lavori in grado di sapere riconoscere quando una ricerca sia matura e quando invece richieda uno sviluppo più lungo nel tempo. Ciò che manca oggi è una realtà che permetta alle compagnie e agli artisti di curare il processo di produzione senza costringerli ad accelerare. Il futuro di Ert terrà sicuramente conto di questa riflessione».

Torna ad aprirsi tra le pagine della Gazzetta lo spazio che accompagna i lettori attraverso le giornate di Vie Scena Contemporanea Festival. Anche quest'anno, per la settima edizione, la redazione di Altre Velocità si riunisce insieme ai partecipanti del laboratorio di scrittura critica nelle stanze al primo piano del Teatro delle Passioni per seguire da vicino la vita del Festival e gli eventi in programma. Vie rappresenta da sempre un'occasione imperdibile per esercitare l'ascolto verso le arti sceniche: anche questa edizione offrirà agli spettatori tante opere da interrogare sia singolarmente, sia nel panorama che disegnano raccogliendosi dentro al Festival. Modena e i dintorni, ancora una volta, diventeranno il luogo su cui giovani artisti e grandi figure di riferimento segneranno le vie del teatro e della danza contemporanei: nove giorni di spettacoli, incontri, immagini e parole come possibilità di scoperta e di confronto per i cittadini e per gli appassionati della scena. Occasione di incontro fra artisti, critica e pubblico sarà "Overground", la mostra del fotografo Luca Del Pia che inaugura stasera alle 18 all'Ex Ospedale. Legate al progetto teorico/performativo di quattro giovani studiose di teatro contemporaneo, le immagini esposte si offrono come sguardo reciproco tra spettatore e performer, indagine dentro e oltre lo spazio della rappresentazione. Ci sembra importante in tale momento di “resistenza” teatrale contribuire alla salvaguardia di questo sguardo, perché possa segnare la direzione e aprire il dialogo fra le idee. In questa pagina giornaliera (e sul sito www.altrevelocita.it) condivideremo con chi vorrà seguirci le riflessioni e le domande che nascono dentro i luoghi del teatro, provando ogni volta ad attraversarli per sconfinare nelle altre arti, nella società, nel mondo. Altre Velocità


Stasera Pippo Delbono mette in scena la battaglia dell’Altro

Oltre le barriere linguistiche con Edit Kaldor ◗ MODENA

Il regista ligure apre la settima edizione del festival Al Comunale di Modena lo spettacolo co-prodotto con Ert allo storchi

Tratto da Max Ernst il reality collage degli Orthographe ◗ MODENA

Dopo averne presentato al Festival Steirischerherbst di Graz alcuni episodi preparativi gli Orthographe porteranno al Teatro Storchi, in prima assoluta, “Una settimana di bontà_stagione1” (oggi alle 23 e domani alle 16.30, posti limitati a prenotazione obbligatoria). Lo spettacolo mutua il titolo dai romanzi per immagini di Max Ernst e sembra volerne rielaborare la logica compositiva, trasportandola nella performance, tendendola verso i mezzi che guidano oggi la comunicazione di massa. Mentre l'artista tedesco pervertiva il senso comune attraverso il collage su illustrazioni di romanzi d'appendice, la compagnia ravennate elabora il materiale offerto dalle nuove tecnologie e strategie della comunicazione, deviandone la direzione nella messa in scena. Non si tratta, forse, di giudicare il dispositivo tecnico, quanto, piuttosto, di affrontarne la complessità, preferendo domandare di più al fruitore. Lo spettatore dovrà orientarsi all'interno di un archivio senza centro, in uno spettacolo creato dalla casualità della sua visione. Gli Orthographe, in questa nuova fase del loro percorso, sembrano comunque continuare il cammino sul crinale di quel precipizio che è la creazione: tra un discorso sotterraneo ma palpabile e un significato assente ma riconoscibile dagli occhi. Matteo Vallorani

di Carolina Ciccarelli ◗ MODENA

La settima edizione di Vie Scena Contemporanea Festival si apre con la prima regionale di Pippo Delbono, uno dei più grandi esponenti della scena contemporanea italiana e tra i suoi migliori rappresentanti nel panorama teatrale internazionale. Con la sua storica compagnia, amalgama di alterità psichiche e fisiche sapientemente costruito, lo vedremo mettere in scena - oggi alle 20.30 e domani alle 18, presso il Teatro Comunale Luciano Pavarotti - “Dopo la battaglia”, spettacolo co-prodotto da Emilia Romagna Teatro che ha debuttato al Teatro Verdi di Padova il maggio scorso. Pensato inizialmente come un'opera lirica, il lavoro si è poi trasformato in uno spartito di quadri scenici che Delbono, come un abile maestro d'orchestra, guida dall'oscurità della platea: affresco che diventa la voce e il gesto di chi subisce ingiustizia, di chi vuole disperatamente l'amore, di chi cerca aria chiuso dentro il grigio scuro dei muri sul palco. È l'urlo dell'Altro, dell'emarginato, del pazzo in manicomio o di chi non c'è più - inevitabile il riferimento a una delle più grandi maestre di Delbono, Pina Bausch - quell' alterità che accompagna, quasi ossessivamente, l'opera del regista e di cui Bobò, l'attore sordomuto e analfabeta che Delbono ha tirato fuori dal manicomio dopo 45 anni di internamento, ne è da sempre stato simbolo. E proprio a lui, ancora una volta in scena, è dedicato questo spettacolo in cui ritroveremo tutte le sfaccettature della poliedrica poetica del regista: danza, immagini, video, parole e silenzi, sempre

violentemente provocatori, portatori di ironia amara e crudele, di inquietudini e senso di soffocamento. In "Dopo la battaglia" lo spettatore sarà investito dalle parole di Artaud, Pasolini, Kafka, Whitman, Dante e dalla musica di Verdi, Pagani, Irene Jacob ed Elis Regina; vedrà esplodere in scena la bellezza dei corpi in movimento dell'étoile dell'Opéra di Parigi Marie-Agnès Gillot , di Grazia Spinella e di Marigia Maggipinto e le note emozionanti di uno dei più eccellenti violinisti viventi, Alexander Balanescu.

Alexander Balanescu in “Dopo la battaglia” di Pippo Delbono

Quest'ultimo lo ritroveremo con Delbono il 17 ottobre al Teatro Comunale di Carpi alle 21, per intraprendere un viaggio di parole, poesie e musica nello spettacolo che riprende il titolo del film presentato il mese

scorso a Venezia nella sezione Orizzonti, "Amore e carne", che sarà proiettato domani alle 16 e alle 21 presso la sala Truffaut (al termine dell'ultima proiezione incontro pubblico alla presenza del regista).

al fabbri il cantiere delle arti

“Karamazov”: tra politica e poesia Debutta a Vignola il nuovo lavoro firmato da César Brie ◗ VIGNOLA

Una scena spoglia, pochi oggetti che nelle mani degli attori prendono vita, acquisendo nuove e immaginifiche sembianze. È questo il potere del teatro di César Brie, regista argentino che debutta questa sera con “Karamazov” al Fabbri di Vignola alle 20.30 (replica il 16 e 17). Si tratta di una riduzione del romanzo di Fëdor Dostoevskij pubblicato nel 1879, opera immortale in cui la ricerca di un ordine superiore fra etica, ragione e libertà s'intreccia alle tormentate vicende di una famiglia nella Russia di fine secolo. Il teatro di Brie è fatto di pochi elementi che costruiscono mondi, come avveniva per “Otra vez Marcelo” e “Odissea”, visti negli anni scorsi a Modena, una scena attenta alle domande dell'attualità an-

“Karamazov” di César Brie

che quando parte da scritture del passato. Le sue opere sono percorse da una costante tensione poetico-politica, capace di far convivere echi delle tragedie del presente con miti dell'antichità, e sono abitate da attori-magneti che incarnano personaggi letterari e teatra-

li. Lo spettacolo che debutta a Vie è l'esito di un percorso di formazione che s'inscrive nel più ampio “Cantiere delle arti”, a cui partecipano, oltre a Emilia Romagna Teatro, l'Accademia Filarmonica di Bologna e il Cubec di Vignola e Modena (domani alle 11 alla Delfini si terrà un incontro condotto da Piergiorgio Giacchè che approfondirà l'idea stessa di "cantiere"). Sarà quindi un “Karamazov” irrorato dalle inquietudini di attori nel pieno di un apprendistato, forse non dissimili da quelle dei fratelli Dimitri, Ivan, Alekséj del romanzo, come sostiene Brie: «Vedo nell'allestimento pupazzi di bambini, corde, indumenti appesi e il coro degli attori. Coro che renda plurale l'intimo, intimo il sociale e sveli lo strazio di anime individuali». Loren

Raccontare qualcosa partendo dall'apparente impossibilità di raccontarla. Questa sembra essere la cifra di “C'est du chinois”, spettacolo di Edit Kaldor che debutta stasera al Teatro delle Passioni alle 23 (replica domani alle 19). Drammaturga ungherese di nascita, la Kaldor può essere considerata apolide per vicissitudini personali e formazione artistica. In scena i cinque componenti della famiglia Yao-Lu parlano soltanto il mandarino ma, dopo l'impasse iniziale, si cerca di arrivare alla piena e complice partecipazione del pubblico, guadagnando una comunicazione che affondi la propria efficacia nello sforzo della comprensione. Presentato nel giugno del 2010 all'Alkantara Festival di Lisbona, lo spettacolo (il cui titolo si potrebbe all'incirca tradurre con l'espressione “è arabo”, a significare qualcosa di incomprensibile) arriva al Festival Vie dopo esser stato rappresentato in numerosi paesi europei, ricevendo apprezzamenti positivi da parte di pubblico e critica. Gli attori cercheranno di insegnare i rudimenti della loro lingua, mettendo in scena una vera e propria lezione. Ma, successivamente, la necessità di fare i conti con le proprie vite spingerà i loro gesti verso un' urgenza comunicativa maggiore, che si avvarrà di tutto il corpo e degli oggetti a loro disposizione per creare un'intesa che inizialmente pareva irraggiungibile. La mancanza di una comprensione linguistica diviene dunque uno strumento attivo per condurre lo spettatore a condividere le vicende rappresentate sul palco. Interprete dell'estraneità e del disorientamento verso il mondo e “i mondi”, Kaldor ha composto il suo quinto lavoro nutrendosi della propria esperienza biografica. “C'est du chinois” restituisce la difficoltà di un'apertura verso l'altro e il diverso che, in definitiva, non può avvenire se non è rivolta anche nei confronti di noi stessi. Francesco Brusa


» Un coro di ottoni verso l’aldilà AL TEATRO STORCHI I RITI DELLA MEMORIA

Il lettone Hermanis fotografa il rapporto del suo popolo con i defunti in una gioiosa celebrazione

Manfredini, Amleto e la verità del dubbio ◗ RUBIERA

di Carolina Ciccarelli ◗ MODENA

Un occhio che scruta la primordialità delle relazioni umane e dei rapporti con il mondo, creando specchi della quotidianità. Questo è il teatro di Alvis Hermanis, regista lettone e direttore artistico del Teatro di Riga, che ritorna a Vie con “Kapusvetki - Graveyard Party”, spettacolo in prima nazionale oggi alle 21 e domani in replica alle 17 al Teatro Storchi. Ospite noto del festival, dove presentò “By Gorky” nel 2005 e l’acclamato “Sonja” nel 2007, Hermanis è reduce dalla sua prima regia italiana, produzione ERT del 2010, “Le signorine di Wilko”. Tratta dal romanzo di J. Iwaszkiewicz, Hermanis vi aveva impresso il timbro della sua cifra registica: non erano solo le parole a raccontare, ma anche gli oggetti che riempivano la scena di ricordi e di memoria, ingabbiando tutte le esperienza del vivere. A emozionare, nel teatro del lettone, non sono le improvvise rivelazioni di ciò che è sul fondo, nei bui meandri della coscienza individuale e collettiva, ma il misticismo profondo di ciò che siamo abituati a vivere e che appartiene ai tempi della tradizione. In questa edizione di Vie ritroviamo il regista con la sua compagnia del New Riga Theatre (che recita in lingua lettone con sovratitoli in italiano): con loro la silente sintonia regista/attore si manifesta a livelli profondi, complice il lavoro di anni e le comuni radici. Le figure in scena si ritrovano a ricordare ed onorare i loro defunti seduti tutti insieme al cimitero, in un’atmosfera di festa, accompagnati dalla melodia magica degli ottoni. È il riecheggiare di una presenza che, nonostante la fine della vita, rimane sulla terra, sopravvivendo con la parola nell’incontro e nel confronto con l’altro, nella condivisione delle stesse paure e degli stessi destini. Dietro gli attori scorrono le immagini fotografiche di Martinš Grauds, rubate all’intimità del popolo di Riga.

al teatro herberia

Un’immagine dello spettacolo che porterà sul palco il lavoro del lettone Hermanis

fanny & alexander e societas sanzio

Le comunicazioni utopiche nel desiderio dell’altro ◗ MODENA

Vie porta in scena questo primo fine settimana due figure storiche della scena romagnola, Claudia Castellucci, co-fondatrice della Socíetas Raffaello Sanzio, e Fanny & Alexander. La compagnia ravennate con “T.E.L.” (oggi e domani alle 21.30 al Teatro delle Passioni) mette in scena due attori, uno a Modena e l’altro a Firenze, che dialogano in contemporanea attraverso un «dispositivo di comunicazioni utopiche». I due corpi eterodiretti si sfiniscono

sul palco, «Termini Eternamente Lontani» s’incontrano nel desiderio della comunicazione. La voce, in “Il Regno Profondo” della Castellucci (oggi alle 23 e domani alle 19.30 al TeTe Teatro Tempio) è una preghiera che si scopre rivolta a nessuno. L’artista compone una litania di picchi tonali, intessuta di ritorni anaforici, pronunciando il suo sermone ironico in cui nessun Altissimo emerge dal Profondo, ma la potenza della preghiera si fa più forte, il canto più struggente, risuonando nel vuoto. Matteo Vallorani

Hoffman e raggiro Debutto a Castelfranco di “Menoventi” ◗ CASTELFRANCO

Menoventi è una temperatura, dicono nel loro manifesto Consuelo Battiston, Gianni Farina e Alessandro Miele, fondatori della giovane compagnia faentina che sarà al Teatro Dadà di Castelfranco Emilia oggi alle 21 e domani alle 16.30. In scena “L’uomo della sabbia - Capriccio alla maniera di Hoffman”, produzione di Ert all'interno del progetto Prospero. La loro poetica consiste nel mascherare la verità per rendere riconoscibili gli artifici che sottendono la men-

zogna. Già con “Invisibilmente”, ospitato alle Passioni nel 2010, proponevano questa ricerca. In “Perdere la faccia” ingannavano il pubblico con l’attesa di una telefonata di Daniele Ciprì. Il racconto di Hoffman, con una donna dalla “faccia di cera” che è in realtà un manichino, offre ai Menoventi ottimi spunti per giocare con i meccanismi dell’ambiguità. C’è da chiedersi chi interpreterà il fantoccio – loro o il pubblico – perché per Menoventi anche gli spettatori sono dentro la scena. Bernardo Brogi

«Essere o non essere?». Il celeberrimo dubbio esistenziale di Amleto tormenta da secoli artisti di ogni ambito. A sperimentarlo oggi sarà Danio Manfredini, maestro “invisibile” ma centrale nel panorama italiano. Il suo “Amleto – studio”, in scena al Teatro Herberia di Rubiera (stasera alle 23 e domani alle 21.30) rappresenta un evento eccezionale per due motivi. Innanzitutto per la possibilità di assistere dopo anni a un nuovo lavoro dell'autore (già a Vie con “Il sacro segno dei mostri” nel 2007). La sua personale ricerca, fondata sull'immersione totale nella materia trattata, lo ha condotto a concepire la propria opera come energia conoscitiva, che cresce e si evolve in continuazione, senza poter essere bloccata in una forma definitiva. Da qui la necessità di “sostare” a lungo sullo stesso spettacolo, di vivere in simbiosi con esso, e il rifiuto di costringerlo nella routine di numerose repliche. In secondo luogo, il confronto, mai avvenuto prima, con un testo shakespeariano: il capolavoro in cui, forse più di ogni altro, la vita e il teatro si manifestano come angoscia lacerante per l'ineluttabile scarto fra pensiero e azione. Il drammaturgo inglese ci ha consegnato il potente emblema di un dilemma, che Manfredini tenta di sciogliere con il suo particolare approccio. «Se si centra la domanda, tutto ha una risposta», ha detto in un' intervista. “Centrare” significa delimitare e definire lo spazio del dilemma, ovvero rappresentare il processo del suo costituirsi nella mente e sulla scena. Così, lo spettacolo, affinché emerga il momento di verità del dubbio, deve mantenersi “studio” in fieri, divenire incessante del testo in azione, dell'uomo in attore, della realtà in finzione. A testimoniare che il teatro può sempre essere rivelazione di qualcosa di invisibile, che stia oltre il palco, oltre l'artista. Oltre la vita. Francesco Brusa


Manfredini e Menoventi, l’attore prima di tutto Ultime repliche per “Amleto” e “L’uomo della Sabbia” a Rubiera e Castelfranco di Matteo Vallorani Come si abita la scena? Come si sta in quel luogo reale che si costruisce nel falso? Come si sta da attore tra dentro e fuori? Oggi le ultime repliche dei lavori di Danio Manfredini e Menoventi che, con modalità diverse, confermano l’esemplarità della loro ricerca su tali questioni del teatro. Attore-autore è Danio Manfredini che, con la sua personale disciplina espressiva ed etica, cerca di passare attraverso il vuoto della finzione, prendersene carico, per incontrare il pubblico all’interno delle sue visioni, fuori da ogni inganno. “Amleto – Studio” (oggi alle 21.30 al Teatro Herberia di Rubiera) segna un cambiamento nel suo processo creativo: per la prima volta si confronta con una drammaturgia di repertorio classico e sceglie di far nascere la sua composizione direttamente dal testo, affrontando il palco e le prove solo in un secondo momento. Il “maestro invisibile”, per fare i conti con il capolavoro shakespeariano più abusato e connotato nell’immaginario comune, è partito dalla traduzione per «recuperare la qualità di una scrittura concepita per la scena, ma spesso sottomessa al bisogno di una funzionalità letteraria». Cura, quasi filologica, che sembra ritrovarsi ancora nella scelta degli attori che, tutti uomini, interpreteranno anche i ruoli femminili. Manfredini si pone al centro della mappa testuale, si mette in risonanza con essa e crea dei percorsi, apre immagini colorate di sensazioni, squarci di stati d’animo. Ospite per un anno alla Corte Ospitale di Rubiera e prodotto da Ert, l’artista lombardo ha collaborato con attori di formazione non accademica, cercando con loro, nella misura tra il buio e la luce, una recitazione che sveli la vita nella finzione, la lacerazione tra essere e non essere. Cifra differente quella dei Menoventi che con “L’uomo della sabbia – capriccio alla maniera di Hoffmann” (oggi alle 16.30 al Teatro Dadà di Castelfranco Emilia, ma che ritro-

Un disegno preparatorio di Danio Manfredini per “Amleto - Studio”, in scena stasera a Rubiera

veremo a Modena dal 2 all'8 novembre in cartellone al Teatro delle Passioni) mettono in scena quell’illusione ottica che è il teatro, labirinto di fin-

zioni a simulare identità con la vita, labile e meccanico effetto di realtà. Lo spettacolo, prodotto da Ert nell’ambito del Progetto Prospero, prende le

mosse dall’omonimo racconto di Hoffmann ma segue la ricerca che la compagnia faentina porta avanti già da tempo sul confine tra mondo interio-

re e mondo esterno, tra verità e finzione. Nataniele, il protagonista, ha difficoltà a distinguere questi due mondi e sarà arduo per lo spettatore ricostruire il discrimine; la platea è subito avvisata ma viene comunque invitata ad affezionarsi, a farsi venire «qualche linea di febbre» per amore di quelle figure. La linearità del racconto, però, presto è messa in discussione, e il teatro diventa protagonista di se stesso: la storia diventa pre-testo ma ne resta il senso profondo nel giocattolo rotto. Una figura rimane, a traghettare il pubblico in questo veloce scambio di «dentro» e «fuori»: l’attore. Consuelo Battiston – in scena con altri cinque giovani interpreti – entra ed esce, si muove tra sipari e tende, spostando gli equilibri nel punto di contatto tra i mondi, separati da una quarta invisibile parete. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

ULTIME REPLICHE

APPROFONDIMENTI

dal “Regno profondo”

Azioni teoriche e incontri

Ricordando gli avi scomparsi Il tempo della preghiera Chi non ha ancora scoperto come in Lettonia si ricordano i cari defunti, oggi ha ancora una possibilità; allo Storchi alle 17 ci sarà infatti l'ultima replica di “Kapusvetki - Graveyard Party” di Alvis Hermanis. Ieri la prima nazionale ha raccontato l’annuale ricorrenza lettone di commemorare i morti radunandosi nei cimiteri adornati di fiori, banchettando e intonando canti religiosi anche improvvisati. In questa opera Hermanis continua a cesellare una delicata prospettiva antropologica: i suoi lavori sono pervasi da un’emotività ottenuta grazie alla conoscenza profonda di un tessuto culturale, un’indagine che si completa con la raccolta dei ricordi della memoria collettiva e della vita del singolo. A fungere da sfondo oltre 500 foto scattate da Martinš Grauds che registrano le celebrazioni avvenute nel cimitero di Riga, alle quali sono giustapposte quelle del rito messicano del Dìa de los Muertos. Sul palco gli attori del Jaunais Riga Teatris ricreano l’ambiente straniante che caratterizza i Graveyard Parties: parole accompagnate da una vera orchestra di ottoni che gli interpreti hanno imparato a suonare appositamente per lo spettacolo, mettendo in musica l'armonica malinconia della memoria. Bernardo Brogi

◗ MODENA

Se la scena diventa il luogo dove riflessione filosofica e azione possono aderire, il teatro può essere lo spazio vuoto dove osservarle tracciare desideri. Torna a Modena Claudia Castellucci - una delle figure centrali della Socíetas Raffaello Sanzio - con “Il Regno profondo” (ultima replica stasera alle 19.30 al TeTe Teatro Tempio), «sermone drammatico» sull’esistenza divina e sui dubbi che da sempre assalgono l’umanità. Due anni fa il pubblico di Vie aveva assistito a “Homo turbae”, opera della compagnia di ballo ritmico diretta dall’artista cesenate. In questa nuova opera la recitazione e il canto si alternano in una lunga preghiera, come anime di una conferenza necessaria e intima, profondamente terrestre eppure lieve e

piena di spirito. La Castellucci è sola in scena, suoi unici strumenti il corpo seduto, la voce e il pensiero nelle parole del testo; uno scrittoio e un microfono dietro cui soffermarsi per lanciare le proprie suppliche: un susseguirsi incalzante di invocazioni che si lanciano verso il nulla, verso un Dio inconsistente e irraggiungibile. Abitando il limite tra peso e leggerezza Claudia Castellucci compone nel “Regno profondo” una litania fluttuante, punteggiata di echi anaforici. Il ritmo, elemento fondativo del movimento, qui si manifesta nel moto del pensiero umano, che da sempre si scontra con l’evidenza della realtà per la ricerca di qualcosa che vada oltre. Ultima occasione anche per vedere “T.E.L” dei ravennati Fanny & Alexander, stasera alle 21.30 alle Passioni. Alessandra Cava

◗ MODENA

Proseguono gli appuntamenti di approfondimento di Vie con la presentazione del libro di Marco De Marinis dal titolo “Il teatro dell’altro. Interculturalismo e transculturalismo nella scena contemporanea”, edito da La casa Usher, oggi alle 12 presso la Biblioteca Delfini di Modena. Una riflessione sul concetto di alterità con i grandi maestri del teatro del novecento. Alla presentazione partecipa Pippo Delbono, a cui il libro è dedicato insieme a Eugenio Barba. Alle ore 17.30, invece, si svolgerà la prima azione teorico/performativa con l’attrice Eleonora Sedioli di Masque Teatro e con la studiosa Piersandra Di Matteo, alla mostra “Overground”, all’ex ospedale Sant’Agostino. Solo oggi, la mostra avrà un’apertura ridotta, dalle 11 alle 13 e dalle 16 alle 19. Carolina Ciccarelli


CARPI

» AL TEATRO COMUNALE

replica alle 20.30 a vignola

“Karamazov” di Brie: un coro di attori dà vita a un capolavoro

Una scena di “Amore e carne”, concerto di Pippo Delbono e Alexander Balanescu, stasera al Comunale di Carpi

“Karamazov” di César Brie, ultima replica stasera a Vignola

Seduzione in poesia declinata sulle corde di un violino Alle 21 di questa sera unica data per “Amore e carne” di Delbono e Balanescu Un concerto animato dalle parole di Rimbaud, Pasolini, Elliot e Whitman ◗ CARPI

“Amore e carne”, una dicotomia patemica è il titolo del concerto di Pippo Delbono (in scena al Teatro Comunale di Carpi stasera alle 21). Il musicista rumeno Alexander Balanescu accompagnerà col suo violino visionario il regista e attore ligure; le note acute dello strumento parteciperanno della seduzione dei corpi: come l'archetto solletica le corde, l'amore si lega alla carne, la purezza di un sentimento si sporca con l'istinto basso corporeo. Un tema semplice e non nuovo, ma reso lucido e passionale quando Delbono lo anima con le parole di grandi autori come Rimbaud, Pasolini, Elliot e Whit-

man. Le partiture scelte sono la sintesi sonora dei versi maledetti, che traducono in desiderio anche l'aspetto più volgare delle tentazioni. Balanescu non è nuovo a lavori in ambito teatrale: nel 2007 aveva musicato un sonetto di Shakespeare e, dopo avere vinto il Gopo Award per la colonna sonora del film rumeno “The Way I Spent the End of the World”, ha stretto un rapporto di collaborazione con Ada Milea realizzando la pièce “The Island”. Pippo Delbono, reduce del successo di pubblico a Modena con “Dopo la battaglia”, si misura, senza l'aiuto della sua storica compagnia, con la forma concerto; se nello spettacolo presentato allo Storchi la criti-

ca sociale e politica si manteneva rigida, costante e alle volte feroce, in “Amore e carne” la svolta intimista si affaccia forse su una possibile salvezza che arriva direttamente dall'interno del soggetto amoroso. Potremmo aspettare dei suggerimenti dai due artisti sul palco, che aiutino a comprendere meglio il tipo di emozione che ci spinge ad abbracciare l'altro: del resto l'amore è definito come un passo a due, dove la sinfonia dirige la vicinanza tra i corpi. Sicuramente il ritmo cardiaco, che lega la fisicità dell' organo cuore all'indefinibile sentimento dell'amore, sarà scandito dalle note della musica. Bernardo Brogi

◗ VIGNOLA

Riscoprendo la profondità e l'acutezza morale di Dostoevskij, César Brie con “Karamazov” decide di portare in scena l'ultimo romanzo dello scrittore russo, opera in cui “tutti gli aspetti dell'anima umana” vengono messi a confronto. In ultima replica oggi alle 20.30 al Teatro Fabbri di Vignola potremo assistere a una raffinata “danza registica” che conduce lo spettatore dentro una complessa polifonia, trovando nella coralità il suo significato più proprio. Dopo una potente apertura di gruppo la scena comincia a differenziarsi, mettendo in moto un raffinato meccanismo di scambi di posizione fra gli attori, così che ogni collocazione nello spazio assuma un significato definito. Il regista e attore argentino sceglie di concentrarsi sull'“energia” della storia, intesa come flusso incessante che intercorre e lega i numerosi personaggi. La scena è ridotta all'essenziale e articolata attraverso il movimento degli attori, affinché ogni loro posizionamento crei l'impressione visiva di assistere all' azione da angolature sempre diverse: il palco viene continuamente riempito e svuota-

to, tracciando direttrici sempre nuove che rimandano a ideali divisioni di tempo e di luogo. Un ingegnoso caleidoscopio di registri in cui episodi riflessivi e trasognati convivono accanto a siparietti di comicità quasi slapstick: suggestioni legate da un montaggio che spesso riflette esigenze di armonia estetica piuttosto che di logica narrativa, dentro una grammatica del movimento che riesce a mantenersi quasi sempre in equilibrio. Nella scena finale del processo di Dmitrij tutti gli attori vengono appesi a fili come marionette. Risolvendo in questo modo l'esito degli eventi, ovvero posizionando i protagonisti su un piano che allo spettatore appare fortemente oggettivizzato, il regista decide di chiudere il cerchio, riportando la vicenda alla situazione iniziale. Chi assiste viene sospinto nuovamente all'esterno della storia, di nuovo consapevole del gioco e della finzione. La vicenda potrebbe compiere un passo avanti verso i sentimenti del pubblico; invece si ritrae, offrendoci un'esaustiva visione globale, facendoci riconsiderare le domande ultime che costituiscono il nocciolo del capolavoro di Dostoevskij. Francesco Brusa


» Il dramma nascosto del quotidiano visto da Toshiki Okada ALLE PASSIONI OGGI E DOMANI

Diario di “Vie”

Gli appunti di metà festival: alla scoperta dello spettatore

Il regista giapponese per la terza volta consecutiva a “Vie” porta sulla scena le vite atomizzate delle grandi città di Graziano Graziani È stato definito “coreografo del quotidiano”. In realtà Toshiki Okada (per la terza volta consecutiva a Vie Festival, in scena oggi alle 21 e domani alle 19 al Teatro delle Passioni) è certamente qualcosa di più. Il suo stile minimale, che cerca di restituire l'inconsistenza del presente, in effetti attinge al teatro danza per riuscire a creare un ritmo a orologeria che rende i suoi spettacoli godibili anche da chi non capisce il giapponese. Ma il regista di Tokyo tiene a debita distanza ogni tentazione simbolista, per ricostruire il flusso dei frammenti della vita metropolitana senza godere della sue derive, per raccontarla senza farne oggetto estetico e estetizzante. La metropoli, il senso di solitudine, i rapporti personali esplosi che non riescono più a dare ragione delle aspirazioni dell'essere umano, sono questi gli elementi dei lavori di Okada, che tornano anche in questo “The sonic life of a giant tortoise” (sovratitolato in italiano). Al centro dello spettacolo c'è una coppia dalla vita apparentemente normale che lotta contro il senso di insoddisfazione: hanno un lavoro, un compagno che amano, ma non riescono a sentirsi davvero al centro della propria esistenza. Non c'è una ragione precisa per la vita che stanno conducendo, eppure non sanno uscirne, non sanno mutarla né trovarne un senso. Immaginano di potersi abbandonare a piccole gioie, soddisfazio-

“Overground”: al Sant’Agostino sono in mostra i paesaggi umani

Una mostra, un libro, quattro azioni teorico-performative: è “Overground”, dialogo plurale all'ex-ospedale Sant'Agostino di Modena oggi dalle 17 alle 19, e per tutta la durata di Vie. Il progetto interseca la fotografia di Luca Del Pia (sopra una foto) con la scrittura di quattro studiose di Performing Arts (Lucia Amara, Adele Cacciagrano, Piersandra Di Matteo e Tihana Maravi). Il corpo scenico cerca la perfezione in fieri, non è modello statico e stereotipo, ma si compie attraverso tutte le sue parti, agite. Le immagini di Del Pia ricostruiscono un paesaggio naturale e umano che tenta l'impossibile riduzione del gesto nell'assoluto dell'immagine fotografica. Da qui le riflessioni teoretiche delle studiose intorno al potenziale del corpo estratto dallo spettacolo e quindi, sul ruolo stesso dello sguardo, atto necessario dello spettatore che strappa l'immagine dal reale per incorniciarla in quello che chiamiamo arte. (Jennifer Malvezzi)

ni, di godere delle tante possibilità che offre vivere in una metropoli come Tokyo, salvo poi rendersi conto che forse sono proprio queste luci nel buio, queste fantasie artificiali di felicità, a pesare sulle loro aspettative deluse e a rendere l'esistenza quotidiana ancora più soffocante. Sullo sfondo, la condizione sperduta e fragile della società giapponese, per-

sa nelle pulsazioni delle sue metropoli rutilanti, che sono però in qualche modo specchio della perdita di senso che attraversa anche l'Occidente. Al centro della riflessione di Toshiki Okada, dunque, c'è il senso di vuoto e di caduta che vive l'uomo contemporaneo, il suo perdersi sempre di più all'interno di se stesso senza essere più in grado neppure di

Una scena del nuovo lavoro di Okada, in prima nazionale alle Passioni

ipotizzare una via d'uscita. Non a caso il drammaturgo giapponese - considerato uno dei maggiori autori della scena nipponica contemporanea ha ribattezzato la sua compagnia Chelfitsch, che sarebbe la storpiatura giapponese del termine inglese “selfish”, egoista. Ma l'egoismo è solo uno dei tanti vicoli ciechi del mondo moderno, caratterizzato da un

analfabetismo dei sentimenti sempre più diffuso, da una sorta di disabitudine alla felicità. Già, ma quale felicità? Okada ne ha un'idea piuttosto chiara: «La felicità è essere onesti, prima di tutto verso se stessi - ha dichiarato in un'intervista - È amarsi mettendo se stessi prima della religione, della politica, del lavoro. È un atto di lealtà verso noi e il prossimo».

Il festival Vie sta mettendo alla prova lo spettatore: come sempre più spesso accade, gli si richiede di uscire dal ruolo di “colui che guarda” e si esige da lui partecipazione, interpretazione e presenza fisica. A metà percorso del festival ciò appare già molto evidente e, seguendo le voci di corridoio, sembra non dispiacere affatto. Se i giovani Orthographe, nel loro provocatorio “Una settimana di bontà_stagione 1”, hanno lasciato libero lo spettatore di decidere in quale stanza dirigere il suo sguardo di voyeur cosciente, creando le dinamiche della folla in fiera che cede volontariamente alla sua curiosità, Edit Kaldor ha preteso le attenzioni dello scolaro che deve imparare una nuova lingua per poter entrare nelle dinamiche della famiglia protagonista di “C'est du chinois”, nell'intento più grande di spingerlo alla scoperta degli ostacoli che affronta l'emigrato. Claudia Castellucci trasforma lo spettatore nell'ascoltatore di un'intima preghiera che, donata alla platea, ha assunto la forma di sermone, mettendo a nudo i fili del proprio rapporto con Dio con le accennate sembianze di una suora che si confessa pubblicamente. A richiamare lo spettatore al suo ruolo classico di osservatore sono stati i Menoventi con “L'uomo della sabbia - Capriccio alla maniera di Hoffmann” e Danio Manfredini con “Amleto - studio”. Entrambi sorretti da un evidente lavoro di riflessione sul testo, creano, in maniera molto diversa, una composizione di immagini che si compenetra con la parola. Lo spettatore ha un ruolo attivo: vuole che il teatro lo interpelli, lo ascolti, lo renda partecipe, lo faccia decidere, vuole sentirsi amato dagli attori. E, finora, sembrerebbe che questa edizione di Vie abbia reso tutto questo possibile. Carolina Ciccar


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AL COMUNALE IN SCENA OGGI E DOMANI

a rubiera

La provincia americana e il minimalismo di Richard Maxwell

Una scena dai “Racconti africani da Shakespeare”, debutto nazionale di Krzysztof Warlikowski

Luce sugli abissi dell’anima per uno Shakespeare africano Una maratona di quasi sei ore ad opera del regista polacco Warlikowski per la prima volta ospite a Modena nell’ambito del progetto Prospero Di Carolina Ciccarelli Una lettura in chiave contemporanea delle tragedie degli esclusi di Shakespeare: questo è lo sfondo dell'atteso debutto di “Racconti africani da Shakespeare” del regista Krzysztof Warlikowski, oggi alle 19 al Comunale di Modena. Nato in Polonia, Warlikowski vi torna nel 1989 dopo aver proseguito gli studi a Parigi e frequentato un seminario di teatro antico all'Ecole Pratique des Hautes Etudes. Diplomato in regia presso la Scuola Statale di Teatro, ha collaborato con Peter Brook, Ingmar Bergman e Giorgio Strehler: fertile incontro con i maestri occidentali che ha condizionato tutta la

sua opera e il suo modo di pensare il teatro e la recitazione. È inevitabile ricollegare la sua cifra stilistica anche all'opera di Krystian Lupa, suo maestro alla scuola di Teatro di Cracovia. Infatti, il lavoro di Warlikowski, che ha ricevuto molti riconoscimenti a livello mondiale, è frutto di una spinta all' indagine sull'uomo, all'esplorazione dell'irrazionalità della mente, allo scavo nella sofferenza umana e nella sua natura più intima, in una scena che diventa una lente di ingrandimento sulla realtà. Ma, mentre Lupa tende all'inafferrabilità del senso profondo di questa, Warlikowski vuole avvicinarla a noi, slegare i fili di ciò che è ignoto e nascosto e che ci ren-

de angosciosi e irrequieti e, proprio per questo, uomini. Uno studio sull'umana natura che si rivela nell'amore per Shakespeare, di cui Warlikowski ha messo in scena le opere più note e di cui dice di apprezzare il rifiuto per il compromesso e il tentativo di chiamare in causa tutto il mondo e non solo un pezzo di realtà. Il regista polacco ricostruisce i significati dei suoi testi attraverso il pensiero contemporaneo e, in questa occasione, il filtro diventa quello dello scrittore sudafricano J. M. Coetzee, premio Nobel nel 2003, e del suo romanzo “Tempo d'estate. Scene di vita di provincia”: terza parte dell'autobiografia dello scrittore in cui Coetzee si im-

magina già morto e riporta cinque interviste su di lui a persone che lo conoscevano. Al centro dello spettacolo sono i protagonisti di “Re Lear”, “Otello” e “Il mercante di Venezia”, ovvero il Vecchio, il Nero e l'Ebreo, figure che vivono la condizione dell'escluso non solo nei testi shakespeariani ma anche nella società contemporanea. Questo stato di isolamento, di vita ai margini, diventa spunto per una riflessione sulle dinamiche del mondo globalizzato e sul sempre più diffuso sentimento di lotta allo straniero che pervade la società odierna. Lo spettacolo, a Vie grazie al progetto internazionale Prospero, sarà replicato domani alle 19.

Richard Maxwell giunge a Mo- te di una situazione quotidiadena, ospite per la prima volta na, apparentemente banale: il a Vie, con la sua compagnia rapporto di un oftalmologo New York City Player. Un no- con la sua paziente. Christina me che sintetizza il filo rosso Masciotti ha preso spunto da che attraversa gli spettacoli di un fatto che le è realmente acquesta formazione statuniten- caduto, una piccola operaziose, che si affida alla musica e a ne che l'ha costretta a stare con un minimalismo raffinato per un occhio bendato per un cerfar emergere i tratti essenziali to tempo: "Tutto sembrava delle storie che che arretrasse sceglie di portaha scritto la re in scena. Nel drammaturga caso di "Vision come ti avvicini Disturbance" alle cose sembra in scena da staseche si stacchira a sabato al Teno". Un senso di atro Herberia di disequilibrio che Rubiera - la stoè divenuto il fulria nasce dalla cro di un lavoro penna di Christiasciutto e poetina Masciotti, co, cifra costante drammaturga di Maxwell, che “Vision disturbance” emergente della trasforma un lonscena teatrale newyorkese, e tano e nascosto angolo della racconta di una donna greca di Pennsylvania, dove è ambienmezza età colpita da una rara ta la commedia, nello sfondo malattia agli occhi, il cui stato di una metafora dell'esistenza. di cecità e di isolamento diven- E lo strano nome della protagota metafora della sua condizio- nista, che si chiama Mondo, fa ne umana sradicata e solitaria. pensare che questo disequiliUn viaggio all'interno di un'esi- brio metaforico abbia una porstenza in crisi, prossima ad an- tata di carattere universale. dare in pezzi, attraverso la lenGraziano Graziani

Perdersi nel labirinto al modo di Menoventi A voler dare un giudizio su “L' uomo della sabbia” dei Menoventi, visto la settimana scorsa a Vie, si corre il rischio di ripetere quello che già è stato detto in scena. Ma ripetere è veramente un rischio? O è semplicemente inevitabile, e, forse, pure divertente? Non saprei da dove cominciare per spiegare come abbiano origine le azioni dei personaggi. Dalla mente dell'ingenuo Nataniele? Dall'ambizione del dottor Spallanzani? O dalle incursioni demiurgiche del dottor

Coppola? In realtà, non saprei da dove cominciare neanche per chiarire il modo in cui le vicende finiscono. Come ogni labirinto ben costruito, l'opera ti abbandona al dubbio. E se la fine consistesse nella mia consapevolezza di spettatore? Ciò che ho visto è solo una finzione? Ma, a quel punto, l'origine potrebbe essere tutta nella mia mente. E allora, ho visto veramente “L'uomo della sabbia”? A novembre si replica alle Passioni. Francesco Brusa


Un mito del cinema: Latella porta in scena Rossella O’Hara

Al Sant’Agostino teoria e azione su “Overground”

A Vie i primi due episodi di “Francamente me ne infischio” studio in cinque capitoli sulla protagonista di “Via col Vento” di Carolina Ciccarelli

Le vite sospese nel Giappone di Toshiki Okada Nella chiarore soffuso del palco si trascinano figure instabili svuotate di energia, particelle dal movimento irrisolto, isolate: "The Sonic Life of a Giant Tortoise", l'ultimo affondo di Okada sulla condizione umana, mette in scena un sogno iperreale che fa risuonare l'insoddisfazione di fondo propria dell'esistenza. I personaggi sono stretti nella loro vita quotidiana fino a soffocare, senza niente che possa giustificare il peso di quell'infelicità. Il corpo è lo specchio di questa condizione: perimetri leggeri, costruiti della consistenza della luce, racchiudono i percorsi casuali di arti spostati per inerzia; il disequilibrio è scaricato di tutta la tensione che porta con sé, lo slancio perde la direzione e ricade su se stesso. L'abilità del regista giapponese sta nell'impedire che tutte queste sensazioni restino confinate sul palco: come nei precedenti lavori, il ritmo dello spettacolo è dilatato da lunghi silenzi, da frasi accennate e mai pronunciate, i vuoti si riempiono dell'aspettativa frustrata dell'osservatore. Qui il pubblico entra esplicitamente sul palco: il vetro incrinato della quarta parete cade in frantumi, la luce da acquaio inonda gli spettatori che si scoprono a fluttuare come in scena, con gli occhi spenti e la bocca leggermente aperta. Matteo Vallorani

Un viaggio attorno alla poliedrica figura di Rossella O'Hara: questo è il filo conduttore dei cinque movimenti del progetto “Francamente me ne infischio”, di cui Antonio Latella presenterà, in prima assoluta a Vie da stasera a sabato, i primi due episodi intitolati “Twins” e “Atlanta”. Il regista, nato a Castellammare di Stabia, vive da molti anni a Berlino: uno sguardo da fuori che lo ha portato ad adottare, per la direzione artistica del Nuovo Teatro Nuovo di Napoli nel 2010, un elemento di novità rispetto al teatro italiano e cioè il passaggio dal teatro di produzione al teatro di repertorio. Il progetto, di cui oggi presenta il primo capitolo, è incentrato sul leggendario personaggio femminile del romanzo “Via col vento” di Margaret Mitchell, portato al successo dal celebre film del 1939 di Victor Fleming. Latella, solito alla forma della drammaturgia a capitoli, ne indaga tutti i lati della personalità, riflettendo sul modo in cui la sua figura può essere inserita all'interno delle dinamiche del sogno americano, tipico del primo Novecento. Se “Twins” si presenta, a detta di Latella, come un prologo dell'intero lavoro di riflessione sciolto in cinque spettacoli, in “Atlanta” si instaura un gioco di confronto tra la O'Hara e la capitale della Georgia, nel tentativo di ritrovare nella ragazza uno specchio della ricca America dominatrice dell' epoca. Latella continua a portare avanti la cifra registica che da anni caratterizza il suo lavoro, fatto di uno studio attento e scrupoloso sui personaggi, spogliati delle loro vesti superficiali per una messa a nudo

della loro intimità. Di qui la necessità di creare spettacoli divisi in quadri singoli e indipendenti, chiusi in se stessi ma collegati da una tematica comune o da un personaggio: tra questi “Studio su Medea”, in tre episodi, vincitore del premio Ubu per il miglior spettacolo, e “Non essere - Hamlet's Portraits”, undici quadri/studio in cui vengono analizzati tutti i personaggi di rilievo dell' opera. In questa dimensione si inseriva anche il progetto “Auguri e figli maschi! - Sei

“Atlanta” del progetto “Francamente me ne infischio” di Antonio Latella

sguardi d'autore sul Fondamentalismo” elaborato nella stagione passata e ospitato a Vie nel 2011. Ritroviamo la famiglia (come lui l'ha definita) di attori con cui Latella lavora da sempre e con cui ha creato

la nuova compagnia Stabile/ Mobile. “Twins” debutta oggi alle 20.30 mentre “Atlanta” va in scena domani alle 19, al Teatro Dadà di Castelfranco Emilia. In replica sabato alle 21 e alle 23.

al teatro tempio

Il presente dei Quotidiana.com

“Grattati e vinci” chiude la “Trilogia dell’inesistente” dei riminesi La compagnia riminese Quotidiana.com porta nel nome il rovello dell'indagine che è al centro della sua “Trilogia dell' inesistente”: indagare attraverso piccoli spostamenti del linguaggio la banalità (e il male che la accompagna) in cui è immersa l'esistenza, quel chiacchiericcio mellifluo e senza via d'uscita che sembra essere diventata la contemporaneità. “Grattati e vinci” sarà in scena da oggi fino a sabato al Teatro Tempio di Modena, e costituisce il terzo e ultimo episodio della trilogia sugli “esercizi di condizione umana”. Anche in questo caso, come negli altri due lavori, troviamo Roberto Scappin e Paola Vannoni in una posa statica e scomoda, in equilibrio su due sgabelli da campeggio, intenti a snocciolare un dialogo surreale che solo apparente-

Quotidiana.com: “Grattati e vinci”

mente è un dialogo tra due astratti personaggi. L'obiettivo della trilogia, difatti, non è di portare pedissequamente sul palco scene tratte dalla quotidianità - che in questo lavoro fa riferimento, nel titolo, alla speranza a poco prezzo di una lotteria e, nella scenogra-

fia, al sogno di una fuga vacanziera dal reale - ma di disegnarlo per approssimazioni, giocando col senso delle parole per trasformarle in immagini surreali, che sanno sfociare in un'ironia tagliente. L'ambientazione minimalista e la recitazione compassata e senza appigli di interpretazione agiscono come una lama, aprendo squarci comici inaspettati, in cui la spirale di perdita del senso diventa immediatamente qualcosa di più. Ma non è solo la critica alla società che emerge dalle drammaturgie asciutte eppure debordanti del duo riminese: quelle due figure ingessate che impersonano, animate solo di nonsenso e di gesti minimali, trasudano anche una solitudine senza via d'uscita e senza più ansia di riscatto. Graziano Graziani

Oggi alle 17.30 all'ex-Sant’Agostino di Modena si riflette sul linguaggio della performance, contrapponendo alla sua sfuggevole esistenza la staticità del frame fotografico. Francesca Proia e Adele Cacciagrano, nella seconda di quattro “Azioni teorico/performative” ospitate dalla mostra “Overground”, con “Breathing us” danno un saggio di questa forma d'arte e ricordano come sia arduo recuperare il momento estetico generato dai performers durante l'esibizione. La coreografia predilige il silenzio e indaga la relazione che inscena il corpo, condiviso tra il desiderio di forzare le porte del pudore e la ricerca di un luogo dove nascondersi: un fenomeno liminale tra la biologia e la cultura, dove la parola può sbilanciare l'asse sul quale la natura cede il posto all'identità. Overground raccoglie foto della scena contemporanea e prosegue per tutto il festival. Bernardo Brogi


Gob Squad & Campo, la perdita dell’innocenza “Before your very eyes”, questa sera e domani adolescenti in scena al teatro Fabbri di Vignola di Jennifer Malvezzi Verso il futuro, avanti veloce. Rinchiusi in una safe camera fatta di specchi unidirezionali, i bambini si osservano riflessi e si raccontano “proprio davanti ai nostri occhi”. “Before Your Very Eyes”, il nuovo spettacolo di Gob Squad (stasera alle 21 e domani alle 18 al Teatro Fabbri di Vignola) ci invita a scomporre e a riconsiderare le nostre idee sulla saggezza dell'età adulta e sull'innocenza della giovinezza. Gob Squad è un collettivo di artisti anglo-tedeschi che lavora sull'ibridazione di linguaggi tra performance, nuovi media e tecnologie; con il desiderio di porre lo straordinario nell'ordinario, attingono a un repertorio popular e giocoso cercando l'interazione col pubblico. La compagnia ha accolto l'invito di CAMPO, Centro di Produzione Artistica belga, a dirigere un laboratorio triennale

Gob Squad & Campo: “Before Your Very Eyes”, in scena questa sera e domani a Vignola

per bambini di età compresa tra gli otto e i quattordici anni. “Before Your Very Eyes” è la terza tappa di un progetto decennale di teatro per adulti fatto da

bambini, iniziato con “Übung” di Josse De Pauw (2001) e proseguito con “That Night Follows Day” di Tim Etchells (presentato a Vie nel 2007). Lo show in-

treccia i video registrati da Gob Squad durante i laboratori con parti improvvisate, seguendo un canovaccio di domande che gli stessi ragazzi si pongono

l'un l'altro, divenendo al contempo autori e protagonisti, ma anche spettatori di se stessi. Lo specchio è un accessorio fondamentale nell'adolescenza, proprio perché permette di accedere al nuovo “io” appena scoperto e in continua evoluzione, un io che si dovrà imparare a conoscere e a controllare con consapevolezza. Niente più dell'adolescenza può incarnare l'idea di cambiamento, quel doloroso lasciarsi l'infanzia alle spalle per sempre. Un senso di perdita inesorabile, che contraddistingue anche la volontà adulta di arrestare il processo d'invecchiamento reiterando la giovinezza più a lungo possibile. Forse è per questo che gli adolescenti ci turbano così tanto: stasera li spieremo di nascosto da dietro allo specchio, per catturare un briciolo di quell'innocenza che se ne va per sempre “proprio davanti ai nostri occhi”.

la recensione

Piano cartesiano dello sguardo Warlikowski, da Shakespeare Nella teoria della relatività il rapporto tra spazio e tempo è soggetto alle deformazioni causate dalla massa dei corpi. La coreografa franco-algerina Nacera Belaza, per la prima volta a Vie, si interroga con la sorella Dalila sulle leggi ultime della physis e sulle condizioni di possibilità per interagire con queste. “Les Sentinelles, (nella foto accanto una scena) oggi alle 23 e domani alle 17.30 al Teatro delle Passioni di Modena, è ispirato a “Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati e colloca lo spettatore all'interno di un piano cartesiano, dove i corpi delle performer si trasformano in punti immateriali privati di massa grazie a movimenti impercettibili. La semi oscurità, della durata di 50 minuti, definisce le posizioni degli enti secondo particolari coordinate, ma si percepisce l'assenza del demiurgo che plasma la materia; i parametri per l'osservazione sono definiti solo dalla distanza da colmare con le azioni. L'opera di Belaza non rispetta le formule estetiche ed esalta lo spirito di una ricerca che conduce a un impegno che ha poco di umano: squalificare le leggi fisiche e motorie con dei gesti minimi. Se la danza è un codice che usa il corpo come lingua, “Les Sentinelles” distilla un discorso dove ogni singola parola si ricongiunge al suo significato più prossimo. Bernardo Brogi

alla tragedia contemporanea Uno spettacolo monumentale quello di Krzystof Warlikowski, non solamente per la durata, ma soprattutto per il processo creativo e per le volontà che lo guidano. In “Racconti africani da Shakespeare” il regista polacco prende in mano tre delle più grandi tragedie shakespeariane come strumenti ben affilati, capaci di immergersi nel presente; strumenti che però si modificano a contatto con la nuova materia: le opere non vengono superficialmente vestite del contemporaneo, ma si trasfigurano dal loro interno, prendendosi carico della distanza storica e artistica che ci separa da loro. Come nell'autore inglese, Shylock, Otello e Re Lear vivono di una crudeltà della quale sono già vittime; nello spettacolo, però, l'ebreo, il moro e il vecchio vengono ridisegnati sullo

sfondo della discriminazione che caratterizza ancora la loro storia, così da amplificare la eco del loro dramma. Il male non viene banalizzato né sminuito: attraverso “Tempo d'estate” di Coetzee lo sguardo si sposta sul dolore delle donne, così che i monologhi di Desdemona, Cordelia (scritti da Wajdi Mouawad) e Porzia restituiscono l'intero volume della tragedia. Il ricco apparato scenografico all'interno del quale si articola l'intensità delle prove attoriali si diluisce nella ripetitività delle soluzioni trovate, come tutta la struttura testuale rischia di perdere di credibilità nel suo frequente ricorrere a stereotipati riferimenti e moventi sessuali, oltre che nell'insistere dello spiccato patetismo sui drammi della contemporaneità. Matteo Vallorani

Angélica Liddel per la prima volta ospite in Italia Le ferite che Angélica Liddell si infligge sul palco sono segni della violenza invisibile della società contemporanea. Il sesso, la morte, il potere: eventi che, se vissuti con la profonda intensità a cui l'artista spagnola impronta la sua vita e la sua opera, portano inevitabilmente a sofferenza e inquietudine. “Te harè invincible con mi derrota” (in scena a Carpi oggi alle 21 e domani alle 23) è la lancinante ricerca di una (im)possibile giustizia. La mediocrità domina il nostro mondo perché le persone migliori si esauriscono troppo presto, quasi soccombendo alla propria grandezza. E, attraverso la figura di Jacqueline Du Pré, violoncellista morta prematuramente a 42 anni a causa della sclerosi multipla, la Liddell si confronta con questa contraddittorietà, vedendo nella parabola della musicista un emblema atroce del conflitto fra corpo e spirito. Approdata recentemente al prestigioso Festival di Avignone, l'artista debutta per la prima volta in Italia, utilizzando il linguaggio che ha caratterizzato tutti i suoi lavori. La crudeltà delle immagini, l'esposizione tanto brutale quanto sincera di un dolore sia fisico che esistenziale, rendono lo spettacolo una sfida al senso del pudore e della misura. Nella visione della spagnola, infatti, non c'è spazio per la pace né per la riconciliazione, in quanto compromessi troppo banali per la profondità a cui aspira. La tensione per forme di espressione elevate viene bloccata dallo squallido rattrappirsi della materia e scatena un urlo potente contro lo scandalo della vita. Solo un odio onnipervasivo avrà spazio, tale da non risparmiare neanche gli strumenti presenti sul palco, ripetutamente sfregiati. Ma questo furore si apre a una dimensione poetica, seppur tormentata, divenendo un imprescindibile momento di conquista del sé, in cui la bellezza si configura come unica giustizia possibile. Francesco Brusa


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STORCHI DANZA QUESTA SERA ALLE 21

A CASTELFRANCO

Antonio Latella: Rossella O’Hara via sul vento di citazioni pop

Una scena di “La ragazza invisibile”, stasera alle 21 al teatro Storchi

Se il corpo è sospeso nell’universo

Virgilio Sieni racconta il suo spettacolo “La ragazza indicibile”, una riflessione sullo stato delle arti di Graziano Graziani Virgilio Sieni presenta “La ragazza indicibile” (stasera alle 21 allo Storchi), un lavoro per sei danzatrici che ruota attorno all'omonimo saggio di Giorgio Agamben incentrato sul mito di Persefone-Kore, ripensato sulla scena come mito del femminino ancestrale. Non è la prima volta che Sieni - uno dei maestri della danza contemporanea italiana - incontra la scrittura del filosofo romano, che in questo saggio ha una funzione evocativa attorno al concetto di “indicibilità”, parola chiave anche per la ricerca del coreografo toscano. Uno stare in bilico su ciò che è concepibile e ciò che non lo è ancora e che, come ci ha raccontato, è esercizio in grado di metterci in contatto con la nostra parte ancestrale. Cosa ha significato delineare queste intuizioni attraverso il corpo “reale” delle danzatrici? «Tutte le volte che comincio un lavoro resto sempre colpito

Il coreografo toscano Virgilio Sieni

dallo stupore del corpo. Perché ogni volta rivela una serie di aspetti nascosti e minimali che chiamo “dettagli indicibili”. Il corpo è una miniera di ricchezze ancora inesplorate, è principalmente un universo indicibile che attende di venire alla luce. Lavorando con le danzatrici per lo spettacolo sono partito dal concetto di “origine” come fonte propulsiva verso il futuro. È stato il modo per esplorare la figura fem-

minile intesa come soglia, come fa Agamben nel suo testo: né figlia né madre né animale, ma forse tutto questo insieme. Il loro corpo, esplorato sotto tale prospettiva, è stato fonte straordinaria per imboccare delle strade sconosciute». Agamben è un punto di riferimento per molta scena contemporanea. Che rapporto ha con il filosofo? «Con Giorgio ci siamo incontrati diversi anni fa. Con lui

condivido un’attitudine a vivere la vita per quella che è, un gioire continuo attraverso gli agenti naturali, quasi “preistorici”. Questo gioire permette all'uomo di attuare un senso di liberazione. Giorgio è guidato da una tensione costante che lo situa sulla soglia tra il dicibile e l'indicibile, tra l'umano e il disumano. La condivido fortemente». Stiamo vivendo una fase storica dove l'arte sembra perdere punti di riferimento e la ricerca sembra sempre più marginale. Qual è il loro ruolo in un momento come questo? «L’artista e il suo lavoro si inseriscono sempre in una Polis, un ambiente sociale che egli vive e anima. In un contesto difficile come l'attuale l'artista ha un compito: non mollare il legame con le origini, con i dettagli. E soprattutto non perdere una connessione con tutto quello che oggi è “sottovoce”. Un compito politico centrale, che si lega alla democrazia, dove l'elemento marginale è quello che sostiene l'elemento visi-

motus e il pubblico ❙❙ Mucchio Misto è un workshop d'azione e scrittura creativa che la compagnia riminese Motus ha condotto durante il festival Vie e che prossimamente attraverserà l’Europa. Si creano “Mucchi Misti” di giovani performer stranieri provenienti dal Nord-Africa e dall'area balcanica, per lavorare sulla produzione di ipotetiche visioni di un futuro prossimo rivoluzionario e sulla creazione di brevi performance. Oggi al teatro Storchi è prevista una presentazione pubblica a partire dalle 17. Alla presentazione è possibile entrare liberamente fino alle 19.30.

bile. Esattamente come accade nel corpo, in cui le componenti invisibili sostengono l'intera muscolatura. Bisogna mantenere una concezione olistica, che tenga conto di questa marginalità e le restituisca la sua importanza. Solo attraverso tale presa di coscienza si applica un processo democratico».

Rossella O’Hara, la bellezza e l'industria, la violenza e il sogno, si prepara al ballo; l'ingenua e testarda è pronta alla guerra come non fosse più che un intrattenimento: danzano soli, gli Stati Uniti d’America (o l’occidente intero), incuranti delle vite degli altri, affidati al denaro, abbracciati a un sogno inconsistente. Stasera al Teatro Dadà di Castelfranco Emilia ultime repliche di “Twins” (alle 21) e “Atlanta” (alle 23), primi due episodi del progetto “Francamente me ne infischio” di Antonio Latella. Il percorso, che comprenderà altri tre spettacoli, prende le mosse da “Via col vento” di Margaret Mitchell, traendone le forme archetipiche per raccontare l'America, e si avvale della nota trasposizione cinematografica per far leva sull’immaginario comune e raccogliere schegge di miti e cultura pop. “Twins”, prologo di questo viaggio attraverso il perturbante “paese delle meraviglie” che gli Usa rappresentano, è un tuffo all’interno dei sogni di Rossella. La protagonista, accompagnata dai due gemelli Tarleton, fa la sua entrata in società, nel mondo, nella storia. I gemelli cambiano continuamente forma durante lo spettacolo (da Adamo ed Eva a Marylin, da Joker a Neil Armstrong fino a Bart Simpson) e pongono l'ingenuità delle convinzioni della giovane O’Hara di fronte alla crudeltà che nascondono, finché loro stessi, ormai torri crollate, non mostrano l'inconsistenza della materia onirica su cui tutto quel mondo è costruito. Rossella, con le scarpette rosse alla Dorothy di Oz, inizierà sola il viaggio verso “Atlanta”, dove il suo sguardo si tingerà di nero nella lotta per la ricchezza, il successo, la supremazia. Da lì la seguiremo sulla strada verso Tara attraverso gli occhi di Latella, fra punte di retorica e richiami pop. Matteo Vallorani


La scena di Maxwell sul lieve confine tra il teatro e la realtà

al teatro tempio

Quotidiana.com stupore contro la rassegnazione

Il rapporto tra un dottore e la sua paziente per raccontare la sofferenza della vita con l’ironia dei New York City Players di Carolina Ciccarelli Persone ordinarie di un altro mondo: ultime due occasioni per assistere allo stupefacente “Vision Disturbance” di Richard Maxwell, oggi al Teatro Herberia di Rubiera alle 16 e alle 23. Nella presentazione al suo libro “Eccezione alla lettera. La scena di Richard Maxwell/New York City Players”, Piersandra Di Matteo racconta la reazione negativa degli spettatori e della critica che, alla Biennale del 2005, avevano assistito a “Good Samaritans” della compagnia americana. Non aderendo a un sistema di facile accesso, la compagnia di Maxwell è composta da attori generalmente non professionisti. Lontano dal principio di immedesimazione su cui si basa l'Actor Studio statunitense, il suo teatro riduce la mobilità corporea, abusa dei silenzi e predilige i dialoghi serrati, adottando un linguaggio della strada adornato di tic e balbuzie. Scarti che confondono lo spettatore abituato alla linearità di testo e contesto, a cui si aggiungono siparietti musicali - spesso dal vivo - e scenette comiche, gettate all'interno dell'apparato drammaturgico come momenti esilaranti o di spaesamento. Tali caratteristiche ritornano in “Vision Disturbance”, anche se più lievi: complice il testo di Christina Masciotti, che ha dato allo spettacolo un andamento narrativo. Nello spazio vuoto due sedie diventano i mezzi disponibili per ricreare gli ambienti e per segnare i passaggi tra una scena e l'altra attraverso la partitura dei loro spostamenti. È difficile non avvertire una sottile linea che separa il vero dal falso; un taglio tra l'assenza di un background - emoti-

vo, scenico, dialogico - e un realismo portato alle estreme conseguenze; una curiosa relazione tra il minimalismo scenico e registico e la sua grande forza di impatto sul pubblico. Quando Mondo, donna di origini greche affetta da una malattia agli occhi, parla del suo divorzio, non fa trasparire emozione dalle sue parole, eppure il pubblico viene travolto dalla sua sofferenza. Maxwell sfida la mimesi del reale, riscontrabile soprattutto nei dialoghi tra il confidenziale e il surreale: la cura che l'oftalmo-

“Vision disturbance” di Richard Maxwell, alle 16 e alle 23 a Rubiera

logo prescrive alla donna (ascoltare musica classica contro lo stress) ha un'apparente connotazione illogica, ma nel contesto della scena nasconde una logicità che a tratti è anche banale. Una regia sorpren-

dente di un autore che costruisce un linguaggio originale pur facendo i conti con i confini della tradizione nazionale, e che occupa un posto centrale nella storia dell'avanguardia teatrale americana.

Arrivano in teatro prima di tutti e sono seduti sul palco, chini con la testa sorretta dai propri pugni: Roberto Scappin e Paola Vannoni dei Quotidiana.com attendono che il pubblico entri in sala per lo spettacolo “Grattati e vinci”, ultimo episodio della loro “Trilogia dell'inesistente”. Le battute pungenti e comiche, che l'uomo e la donna scambiano, si riflettono nella luce acida e astringente dei neon sulla scena. I temi si oppongono all'idealismo, scalano la caducità della vita umana e la truffa diacronica dei rapporti intimi. Gli attori ci faranno sorridere spesso, accarezzando il cuore con la grazia di chi sa che lo stupore può distogliere dalla rassegnazione. Ancora stasera a Vie, al TeTe Teatro Tempio alle 19.30. Bernardo Brogi

a vignola

alle passioni e a carpi

L’ingresso nell’età adulta con i Gob Squad

In scena Nacera Belaza e Angélica Liddel

Dopo il debutto di ieri a Vignola, replica oggi alle 18 “Before Your Very Eyes”, spettacolo sulla perdita dell'innocenza di Gob Squad e Campo. Quella sul palco è una situazione molto particolare: gli attori (se così si possono chiamare) sono tutti adolescenti e lo spettatore li osserva attraverso una struttura di specchi senza essere visto. Non si può parlare di recitazione in senso stretto: i ragazzi raccontano se stessi e si confrontano con i compagni, costruendo un discorso frutto di un laboratorio teatrale che è soprattutto esperienza di crescita e, in qualche modo, sperimentazione di rottura nei confronti di una condizione sospesa. Al Teatro Fabbri i protagonisti dello spettacolo saranno dunque sette giovani di età compresa fra gli

Figure di donne attraversano i palcoscenici di Vie. Dopo il debutto nazionale di ieri sarà ancora possibile vedere i lavori di Nacera Belaza e di Angélica Liddel, che chiudono il weekend componendo la poesia del corpo esposto in scena. “Les sentinelles” di Nacera Belaza (oggi alle 17.30 al Teatro delle Passioni) è un’opera sul rapporto tra l’immagine e il tempo. La coreografa franco-algerina, traendo spunto da “Il deserto dei Tartari”, traduce sulla scena la dimensione d'attesa che attraversa il romanzo di Buzzati, creando una partitura impercettibile in cui due figure percorrono lo spazio dilatando all'estremo la durata del movimento. In scena con la sorella Dalila, con cui collabora da vent’anni, la Belaza accompagnerà lo spettatore in un viaggio dentro la tra-

Il paese dell’adolescenza Corpi contro il tempo

“Before your very eyes”

8 e i 14 anni che, apparentemente senza filtri, ci parlano di chi sono adesso e di chi stanno per diventare, non senza crisi e inquietudini. Affinché, “attraverso lo specchio”, si possa vedere cosa siamo stati tutti. Francesco Brusa

ma del tempo, espandendo la sua percezione e trasformandolo nella “sentinella” dei propri sensi. La spagnola Angélica Liddel, per la prima volta in Italia con “Te haré invencible con mi derrota” (stasera alle 23 al Teatro Comunale di Carpi), presenta uno spettacolo ispirato a un immaginario dialogo con Jacqueline Du Pré, celebre violinista morta prematuramente dopo una lunga malattia. La Liddel, artista radicale e intensa, scava nel dolore e nella paura della morte in un'opera che apre numerose ferite, sia simboliche che reali. I violoncelli sulla scena diventano il corpo sonoro con cui relazionarsi, legno da incidere nel tentativo di trovare consolazione, cercando di afferrare l'invisibile, rivolgendosi alla morte per comprendere la vita. Alessandra Cava


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